Utente:Silvianarduzzi/Sandbox
Con la riapertura forzata del Giappone agli Stati Uniti d’America (1854 - Trattato di Kanagawa 日米和親条約 Nichibei washin jōyaku), l’immagine dell'imperatore iniziò a essere strumentalizzata dai media, a partire dalla fotografia introdotta nel diciannovesimo secolo, con lo scopo di proiettare il Giappone in un nuovo contesto internazionale.
Imperatore Meiji
[modifica | modifica wikitesto]Il ritratto imperiale
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1872, l'imperatore Meiji si fece ritrarre dal fotografo di corte in abito tradizionale giapponese; poi di nuovo, l'anno seguente, in abbigliamento occidentale.
Nell'immagine del 1872, l'Imperatore compare in una posa ancora tradizionale: è un ritratto frontale di un giovane uomo, senza baffi, seduto su una sedia bassa, tipicamente giapponese. Nel giro di un anno, l'Imperatore tagliò i lunghi capelli caratteristici della tradizionale acconciatura giapponese e si fece fotografare in un ritratto a figura intera, posto appena di sbieco. Qui indossa l'uniforme prevista dal nuovo protocollo istituito nel giugno del 1873, ed è immerso in un’atmosfera tipicamente occidentale: seduto su una poltrona in stile rococò, con un cappello a bicorno e appoggiato su un tavolino accanto alla poltrona. Sempre nell'anno 1873, fu presa la decisione da parte del governo di concedere il ritratto dell'Imperatore, indicato con il termine 御真影 goshin'ei, a tutte le provincie della nazione. La graduale espansione dell’area in cui il ritratto fu distribuito è indicativa dei tempi di sviluppo e di trasformazione verso la modernità dell'apparato politico del governo Meiji. Fra i primi a essere gratificati con “l'invio della fotografia” (il cosiddetto “favore concesso dal sovrano”, 君恩 kun'on), oltre alle autorità locali, ci fu l'esercito. Era un atto simbolico volto a porre l'accento sullo status dell'Imperatore come Comandante supremo delle forze armate. Il 4 gennaio 1882, infatti, fu promulgato il Rescritto imperiale ai soldati e marinai (陸海軍軍人に賜はりたる敕諭 Rikukaigun gunjin ni tamaharitaru chokuyu), in cui si ritrovava l'idea di appartenenza dell'esercito all'Imperatore. In seguito, la goshin'ei arrivò nelle scuole, accompagnata dal Rescritto imperiale sull'educazione (教育ニ関スル勅語 Kyōiku ni kansuru chokugo), promulgato il 30 ottobre 1890. Era custodita nel cosiddetto 奉安殿 hōanden e i professori, o le persone responsabili, avrebbero dovuto salvaguardare l'immagine anche a costo della propria vita. Da quest'ultimo ritratto ci si aspettava che fosse all'altezza delle figure autorevoli dei sovrani occidentali. Tuttavia, tale obiettivo fu realizzato solo in parte. La posizione leggermente rilassata sulla poltrona privava la figura di autorevolezza. In poche parole, il ritratto era ancora lontano dal poter costituire l'emblema dello stato. Dopo questi due episodi, la produzione di fotografie dell'Imperatore si sarebbe interrotta, per lo meno ufficialmente, fino al 1888, anno del cosiddetto “Ritratto dell'imperatore Meiji”, di Edoardo Chiossone (1833-1898). Anche se è difficile pensare che già da allora la classe dirigente fosse consapevole di quanto la fotografia imperiale potesse essere sfruttata per scopi politici, presto essa sarebbe divenuta maestra nell'utilizzo di tale mezzo, su cui esercitò un controllo monopolistico, tanto da stabilire un rituale che ne prevedeva la contemplazione obbligatoria nei giorni festivi, e mirava all'educazione del popolo come insieme di sudditi obbedienti.
Il ritratto di Edoardo Chiossone
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1888 Edoardo Chiossone realizzò il famoso ritratto imperiale, poi fotografato da 丸木 利陽 Maruki Riyō (1854-1923). L'immagine è sapientemente costruita: la figura non è intera ma a tre quarti, il corpo occupa quasi la totalità del campo visivo, la posizione delle mani permette l'ostentata esibizione delle medaglie, la leggera distanza dallo schienale, con il busto eretto, esprime autorevolezza e dignità tipiche di un sovrano. Questo non era il ritratto di un semplice essere umano soggetto ai mutamenti del tempo, ma di un uomo il cui carisma era stato enfatizzato, divenendo un dio vivente, un corpo concettuale e astratto ottenuto con le tecniche di composizione iconografica. Dopo circa quindici anni dalla prima fotografia, il suo ritratto era finalmente diventato un'immagine ideale di sovrano. A quel punto, non c'era più alcun bisogno di altre fotografie. Il giovane Imperatore immaturo di un tempo si trasformò nel “sovrano-patriarca” della nazione, adatto al senso di famiglia patriarcale custodito nel profondo della vita socio-politica del Giappone. S'iniziò, in quel momento, a intravedere la possibilità di estendere il concetto di “famiglia” a quello di “stato” e, più tardi, a quello di “mondo”. Un esempio si può ritrovare nel famoso slogan “gli otto angoli del mondo sotto un unico tetto” (八紘一宇 hakkō ichiu), usato per giustificare l’invasione giapponese a danno di paesi stranieri, da quella della Manciuria (1931) fino alla Guerra del Pacifico (1941-1945).
Commemorazione pubblica
[modifica | modifica wikitesto]La commemorazione pubblica della vita dell'imperatore Meiji, in seguito alla sua morte nel 1912, fu un’occasione cruciale per plasmare, con l’utilizzo di fotografie, la memoria nazionale. Le emozioni dei giapponesi furono dirette verso le immagini e la stampa provvide subito a diverse pubblicazioni per incanalare i sentimenti di nostalgia e lutto. Un esempio: la raccolta "L'imperatore Meiji" (明治之天皇 Meiji no Tennō), pubblicata dalla casa editrice 至誠社出版部 Shiseisha Shuppanbu solo una settimana dopo la morte, fu molto popolare e in soli due giorni si giunse alla terza ristampa[1]. La celebrazione dei successi dell'imperatore Meiji fu unita all'incoraggiamento per il futuro con un nuovo Imperatore. Lo speciale "Il saggio e virtuoso Meiji" (明治聖天子 Meiji Seitenshi), apparso il 10 settembre 1912 nel giornale 太陽 Taiyō, ne è la prova. La copertina era adornata da un’immagine stilizzata di un 埴輪 haniwa di un guerriero a cavallo. Seguivano: la foto del defunto Imperatore incorniciata di nero, come nei tipici album di famiglia; due mappe del Giappone che mostravano come l'impero fosse stato ampliato durante il suo regno; le immagini del nuovo imperatore Taishō e della sua consorte. Come richiamo all'immagine dello haniwa iniziale, vi erano le foto dei tre giovani principi, vestiti in stile militare su dei pony: in questo modo veniva naturalizzato il ruolo militare appartenente all'Imperatore che il giovane principe Hirohito avrebbe poi dovuto portare avanti[2]. Inoltre, sebbene fosse inappropriato sfruttare l'immagine dell'imperatore Meiji per promuovere prodotti commerciali, il giornale ci andò molto vicino con le fotografie imperiali intervallate a specifiche pubblicità. Indicativo è l'esempio della cinepresa connessa all'Imperatore dal disegno del sole che sorge, con otto raggi che descrivono i numerosi utilizzi del prodotto: per la propaganda, per la pubblicità, per l'industria dell'intrattenimento, per uso domestico, per divertimento, per l'educazione[3].
Imperatore Taishō
[modifica | modifica wikitesto]Yoshihito divenne l'imperatore Taishō (大正, letteralmente “grande rettitudine”) nel 1912, inaugurando la famosa “democrazia Taishō”, un'epoca di movimento liberale. La vita pubblica di questo sovrano fu molto limitata a causa dei suoi problemi neurologici. Nel 1919 abbandonò completamente le sue funzioni imperiali, lasciando al primogenito Hirohito il ruolo di Reggente. Per questi motivi, la sua figura è rimasta schiacciata tra il carisma e la rilevanza storica sia del padre che del figlio.
Imperatore Shōwa
[modifica | modifica wikitesto]L'evoluzione dell'immagine da Principe a Imperatore
[modifica | modifica wikitesto]Il grande terremoto del 1923 e il mancato attentato nello stesso anno da parte del figlio di un membro del parlamento[4], furono dei decisivi banchi di prova per la costruzione della sua immagine pubblica, proiettata dai media come un'immagine di competenza, sicurezza di sé, affidabilità nelle funzioni politiche, così come traspare nelle foto della sua ispezione dei danni causati dal sisma.
Il periodo in cui il precedente fidanzamento e il matrimonio dell'allora Principe comparvero come titoli dei giornali fu lo stesso che segnò la crescita e la diffusione dei mass media. Nelle vesti di principe ereditario, Hirohito era molto più accessibile al pubblico rispetto all'Imperatore, e notizie sul suo viaggio in Europa nel 1921, o sulla nascita della sua primogenita nel 1925, trovarono ampio spazio nei mezzi di comunicazione di massa. Quando si avvicinò la fine per l'imperatore Taishō nel 1926, la figura di Hirohito era già profondamente nota al pubblico giapponese, grazie alla sostanziale copertura dei media. Divenuto il 124esimo Imperatore il 25 dicembre 1926, la sacralità del nuovo ruolo lo rese meno visibile al popolo e nei ritratti ufficiali si mostra rigido nella sua uniforme militare. Al momento di scegliere il nome con il quale essere ricordato dopo la sua morte, il 毎日新聞 Mainichi Shinbun, grazie a una fuga di notizie dal Palazzo Imperiale, annunciò che l'era di Hirohito sarebbe stata nota con il nome di 光文 kōbun, “luce e successi letterari”. L'episodio fece infuriare l'Imperatore che decise di punire il giornale adottando, alquanto ironicamente, il nome 昭和 shōwa, “pace luminosa”. Data la lunga assenza pubblica dell'imperatore Taishō, il nuovo sovrano fu strettamente associato al nonno, l'imperatore Meiji, sfruttando la nostalgia per un tempo lontano che si sarebbe poi riflesso nel futuro del nuovo regno. Le cerimonie di ascensione al trono, per quanto segrete, ebbero luogo all'interno di una cultura di massa. Infatti, per coinvolgere la popolazione, si tennero a Kyōto attività aperte a tutti, come le mostre che esaltavano l'industria e l'impero giapponese. Furono anche preparati dei dossier, sia per la stampa giapponese sia per quella straniera, per spiegare in dettaglio i riti che si sarebbero tenuti. Per la prima volta, fu autorizzata la presenza di alcuni giornalisti nella sala esterna rispetto a quella che accolse la cerimonia ufficiale. Per la fine dei rituali, il popolo giapponese era già stato efficacemente confortato dalla ripetizione continua della superiorità morale e del progresso del Giappone, che sarebbero poi stati incarnati dalla figura stessa dell'Imperatore. Dal 1929, le apparizioni pubbliche del nuovo Imperatore si diradarono e, addirittura, per evitare che lasciasse il Palazzo Imperiale, furono costruiti, all'interno di questo, un campo da golf e un laboratorio. Per quanto abolite alcune usanze, come quelle legate al vestiario, altre rimasero in vigore. È il caso del divieto di toccare l'Imperatore, esteso anche a medici e sarti, tant'è che nelle foto si possono notare gli abiti sempre più larghi o più stretti del necessario. Nel 1930 fu approvata una regola secondo la quale nella prima pagina di ogni pubblicazione doveva esserci l'immagine imperiale, seguita da una pagina bianca e un titolo che non “disturbasse” la foto del sovrano.
L'immagine imperiale nella Seconda Guerra Mondiale
[modifica | modifica wikitesto]Negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, Hirohito fu presentato al popolo giapponese come un comandante divino. Nelle istituzioni scolastiche il culto dell'Imperatore prese una decisiva piega militare: gli studenti sfilavano in divisa davanti alle fotografie del sovrano in veste di Comandate Supremo. Nel 1936, ci fu una serie di viaggi regionali per mobilitare il Giappone nello sforzo bellico. Il viaggio terminò in Hokkaidō con la visita “manovre militari speciali e visita regionale dell’Imperatore” (陸軍特別大演習並び地方行幸 rikugun tokubetsu dai enshū narabi chihō gyōkō). Nelle foto si vede l'Imperatore che attraversa la nazione sfilando in auto o addirittura sul suo cavallo bianco. In un certo senso, Hirohito incarnava un tipo d'identità mascolina in cui si doveva riflettere, di conseguenza, l'identità nazionale. È difficile avere un senso di persona “reale” da queste immagini che trasmettono, soprattutto, un senso di misticità. Questo è un discorso che si riallaccia anche all'acceso dibattito sulle sue effettive responsabilità di guerra. Le foto scattate durante la guerra mostrano un'immagine attentamente costruita di un dio vivente. Vi erano regole che stabilivano: chi poteva scattare foto (fotografi scelti e certificati dall'Agenzia della Casa Imperiale), la distanza dei fotografi (20 metri dall'Imperatore), le tipologie di foto considerate adatte alla pubblicazione. Proprio per questo motivo, tutte le immagini lo mostrano con una posa rigida e un'espressione impassibile, caratteristiche opportune per una divinità manifesta e un comandante delle forze armate, mentre quelle come uomo di famiglia non raggiungevano mai il pubblico. Ciò creava la figura di un sovrano che, dall'alto, visionava tutta la nazione e i suoi sudditi.
L'Imperatore nella propagando nazionale e straniera
[modifica | modifica wikitesto]I film e le immagini di propaganda giapponese allusero all'Imperatore in modo sempre meno diretto, creando un'identità giapponese che trascendeva le influenze corrotte dell'occidente. Questa trascendenza era emanata dalla purezza della Casa Imperiale e spesso era associata all'immagine del monte Fuji. In questo modo, si ricordava ai giapponesi la loro prossimità all'Imperatore che era allo stesso tempo il patriarca, il padre dell'intera nazione. Secondo questa logica, ogni giapponese condivideva parte dell’essere divino dell’Imperatore e da ciò derivava la loro superiorità razziale[5]. Data la grande reverenza mostrata nei confronti dell'Imperatore, la stessa propaganda delle forze nemiche si guardò bene dal discreditarlo per evitare di spingere l'esercito giapponese a combattere con maggiore ferocia. Ovviamente, non tutti la pensarono così. Nel 1944, il quartier generale di MacArthur (1880-1964) ordinò di pubblicare alcuni volantini in lingua giapponese con espliciti attacchi all'Imperatore, il cui effettivo potere era sfidato focalizzando l'attenzione sulle debolezze delle forze armate giapponesi. Questi volantini presentavano, generalmente, nell'angolo in alto a sinistra una scritta come ad esempio “cosa sta facendo il vostro Imperatore per questo?”, accompagnata da una foto di Hirohito ritratto passivamente di lato, con un binocolo in mano, mentre un disegno di un braccio mette in dubbio la sua onnipotenza indicando una scena di disfatta per l'esercito giapponese[6]. Questa propaganda, paradossalmente, riconosceva il potere dell'immagine dell'Imperatore, cercando di sminuire il suo status divino. Tuttavia, la sua demistificazione dovette attendere la sconfitta del 1945 e la successiva occupazione americana ma, anche in quel caso, la sua figura mantenne dei contorni sfocati.
La resa del 1945 e la trasformazione dell'immagine imperiale
[modifica | modifica wikitesto]Nonostante il tentato colpo di stato per impedire che fosse accettata la Dichiarazione di Potsdam[7], il 15 agosto 1945 fu trasmesso per radio il Rescritto imperiale della resa (大東亜戦争終結ノ詔書 Daitōa sensō shūketsu no shōsho). Nei giorni precedenti, a causa dei notevoli danni subiti dai sistemi di comunicazione, si diffusero nel paese notizie preoccupanti sull'Imperatore: si credeva che si fosse ammalato, suicidato o che, addirittura, avesse abdicato. L'Imperatore non aveva mai parlato alla radio e la diretta era impensabile. Fu, dunque, riunita un'improvvisata equipe tecnica che avrebbe dovuto registrare il discorso imperiale da trasmettere in seguito. Il testo fu spedito a tutti i ministri che dovettero controfirmarlo e, dopo una lunga ed estenuante attesa, l'Imperatore registrò il messaggio.La visualizzazione del sovrano era stata portata a termine, ma fu la prima volta che il popolo udì la sua voce: il linguaggio di corte richiese la traduzione nel giapponese comune e la parola “sconfitta” non fu pronunciata neanche una volta. Con la famosa fotografia di Hirohito al fianco del Generale MacArthur si segnò la fine dell'accento mascolino sulla figura dell'Imperatore. Traspare l'idea di evidente superiorità delle forze americane contro cui si scontrarono, ingenuamente, quelle giapponesi. Il governo trovò eccessiva la subordinazione di Hirohito, implicita nella foto, e subito la bandì. Come risposta, MacArthur ordinò l'utilizzo della fotografia nei giornali e revocò tutte le restrizioni giapponesi sulle pubblicazioni. Se fino a quel momento le immagini dell'Imperatore erano strettamente controllate non solo dall'Agenzia della Casa Imperiale, ma anche dalla polizia e dall'esercito, la sconfitta del 1945 capovolse la direzione dello sguardo: Hirohito passò dall'essere un sovrano che vede tutto, a oggetto di scrutinio pubblico. In questa trasformazione dell'Imperatore in una figura docile e benigna si legge, con estrema facilità, il tentativo di limitare i problemi derivanti dalle sue responsabilità di guerra.
Da divinità a uomo del popolo
[modifica | modifica wikitesto]Il 1° gennaio del 1946, attraverso il discorso di inizio anno, l’imperatore rinunciò ufficialmente alla sua natura divina con la "Dichiarazione della natura umana dell'imperatore" (天皇の人間宣言 “tennō no ningen sengen) e lo Shintō 神道 cessò di essere religione di stato. La nuova costituzione, plasmata secondo il modello inglese, lo trasformò in un monarca costituzionale i cui poteri erano puramente formali, e in seguito a ciò, l’imperatore divenne unicamente il simbolo dello stato e dell’unità del popolo. Sotto il controllo dell’occupazione quindi, in una nuova forma passiva, l’Imperatore tornò alla sua vita familiare e attraverso le varie pubblicazioni, sia giapponesi che americane, venne presentato al mondo sotto un nuovo aspetto, quello di padre e marito.
Da questo momento in poi, Hirohito si impegnò a rendere l’occupazione americana più accettabile e di avvicinarsi al suo popolo, cominciando per esempio ad imparare una lingua a lui ignota, il giapponese “standard” parlato dal resto della popolazione, lontano da quello di corte, che lo rendeva ancora più distante dal mondo reale. Dopo la resa, le sue uniformi militari e i cavalli bianchi scomparvero e i cittadini si trovarono in presenza di un sovrano civile e borghese. Si cominciarono a diffondere immagini banali della famiglia imperiale, come scene nella sala da pranzo della residenza imperiale o scene in cui l’imperatore è ritratto mentre cura le sue piante. Nel febbraio del 1946, sulla rivista americana Life comparve uno sprezzante articolo intitolato Sunday at Hirohito’s[8] , con commenti sarcastici ad accompagnare le immagini della famiglia dell’Imperatore, commissionate dall’agenzia della casa imperiale. In una delle foto, nella quale è intento a leggere il Times, l’Imperatore viene mostrato da una prospettiva, lui in basso e il fotografo in alto, che sarebbe stata impensabile prima della sconfitta. Ciò che non è menzionato nell’articolo è che queste immagini di vita quotidiana servivano allo scopo, auspicato da MacArthur, di preservare l’immagine della casa imperiale e quella di Hirohito, in modo tale che tutte le colpe legate alla guerra ricadessero su un vago gruppo di “militaristi” che avevano ingannato sia l’imperatore che il popolo. È anche significativo il fatto che subito dopo la sconfitta, ripresero le visite imperiali per tutto il paese, con il fine di mostrare un aspetto più popolare del monarca e unire la nazione in un momento di possibili divisioni.
Infatti prendendo come modello le visite nazionali del re britannico, Giorgio VI, tra il suo popolo, Hirohito per 5 anni a partire dal febbraio del 1946 fece un tour del paese.
Le visite imperiali all'interno del paese
[modifica | modifica wikitesto]L’opinione pubblica in quegli anni era di certo a favore dell’imperatore. Nosaka Sanzō[9] 野坂 参三 condusse un sondaggio, chiamato “Nosaka notes”, tra i prigionieri di guerra e in base a questo divenne chiaro che solo il 31% della popolazione aveva fiducia nei propri ufficiali capi a il 99% dei soldati era completamente devoto all’Imperatore. Vi erano alcuni intellettuali che sostennero l’abolizione del sistema imperiale, aspettandosi una reazione negativa del popolo nei confronti di Hirohito, ma grazie ai suoi viaggi, che continuarono fino al 1951, inaspettatamente l’ammirazione per lui crebbe a dismisura.
Andò nelle fattorie, nelle miniere e nelle scuole, visitò le famiglie dei militari caduti e persino gli ospedali, con l’obbiettivo di dare speranza alla gente. Questa idea però era scaturita dalla mente del colonnello americano Kermit R. Dyke[10] ,ma questo dettaglio, che nascondeva il proposito di facilitare il proprio governo alleato in Giappone, non fu svelato al popolo giapponese. All’inizio la reazione della popolazione a queste visite fu di enorme stupore, non essendo abituati ad essere testimoni di alcuni suoi comportamenti umani dopo averlo per lungo tempo percepito come una figura divina, lontana e inavvicinabile. Durante la visita a Ōsaka nel 1947, l’Imperatore camminò vicino la folla, ispezionando infrastrutture pubbliche, come gli acquedotti e visitando la sede di stampa del Mainichi Shinbun 毎日新聞. Tuttavia, raramente vi fu un effettivo diretto contatto col popolo, o addirittura con il suolo locale: l’Imperatore camminava su un tappeto, e le folle che lo attendevano erano organizzate in categorie di professione o sesso e la maggior parte della gente comune provava ancora soggezione nei suoi confronti. Nonostante ciò, le fotografie del dopoguerra riscrissero la vita dell’imperatore come uomo di pace, di scienza e di famiglia, accessibile al popolo. Questa nuova immagine, rafforzata dai media, aiutò a costruire un nuovo imperatore del Giappone che, nel bene o nel male, non fece i conti con le proprie responsabilità di guerra, ma guardò dritto verso il futuro. Così come per suo nonno prima di lui, l’imperatore Meiji, fu importante anche per Hirohito farsi vedere coinvolto nell’industrializzazione del Giappone . Il ferro divenne la nuova risorsa nell’economia del dopo guerra, come dimostra la visita dell’imperatore alla nihon kōkan kabushiki kaisha[11] 日本鋼管株式会社 a Kawasaki, con gli impiegati che si tolgono il cappello e si inchinano al suo passaggio. Il viaggio a Hiroshima poi fu particolarmente simbolico così come il bisogno di avere i media come testimoni. Mentre agli inizi dei viaggi, l’Imperatore non si trovò a suo agio, gradualmente si abituò alla presenza delle fotocamere, e i giapponesi alla sua visione diretta.
L'uso dell'immagine dell'imperatore: Tra mass media e politica
[modifica | modifica wikitesto]Simbolo democratico o neonazionalista?
Nel 1948 la popolare rivista di scienza Kagaku asahi 科学朝日 pubblicò un articolo sull’Imperatore nelle vesti di scienziato. Questo mostra come i media aggiunsero all’immagine di un imperatore di pace e del popolo, anche quella di uomo di scienza.
Tolta oramai la divisa militare, l’imperatore si mostrava in abiti semplici, mentre, accompagnato dall’imperatrice Kōjun 良子皇后, collezionava campioni da esaminare nel laboratorio biologico della Casa Imperiale. Queste immagini cercarono di associare le sue ricerche alla creazione di un Giappone nuovo. Nello stesso mese del Kagaku asahi, sul giornale di sinistra Shinsō 新装)comparve una vignetta che ridicolizzava però il nuovo ritratto dell’imperatore. Intitolata “Diario dell’imperatore umano: il caso del microorganismo insolito”[12] , mostrava l’Imperatore che, ricevuti dei campioni, corre entusiasta nel suo laboratorio per esaminarli al microscopio, ma si ritrova davanti la scoperta di un microorganismo che sventola una bandiera nazionalista e mostra un cartello con la scritta “pretendo l’abdicazione dell’imperatore!”. Finita l’occupazione americana, nel 1952, continuarono le pressioni per determinare cosa dovesse rappresentare politicamente la figura dell’imperatore. Vi erano due tendenze: l’impulso a renderlo un monarca costituzionale, popolare e democratico, e l’impulso a proiettarlo come una venerabile icona neo-nazionalista di controllo e autorità statale. La sua immagine era frutto del lavoro di molti, tra cui principalmente il governo, l’agenzia della casa imperiale, e i mass media. Il governo voleva popolarizzare l’imperatore in modo che simboleggiasse ai giapponesi e al mondo l’evoluzione democratica del dopoguerra e la rinascita del paese come membro responsabile della comunità internazionale, vicino alle democrazie occidentali. Allo stesso modo, spingeva sull’imperatore come simbolo neo-nazionalista per assicurare il controllo del dissenso radicale e l’accettazione pubblica delle sue politiche. L’agenzia della casa imperiale aveva le stesse motivazioni del governo, incoraggiando soprattutto i mass media a connettere l’imperatore con gli obiettivi di democrazia e impegno internazionale. L’agenzia, tuttavia, mantenne il tabù sulle critiche (i cosiddetti “tabù del crisantemo”[13] ) nei confronti dell’imperatore e dell’istituzione imperiale, contribuendo alla sua immagine neo-nazionalista. I mass media, a loro volta, popolarizzarono l’imperatore sia per l’entusiasmo nei confronti della riforma democratica, sia ovviamente per scopi commerciali di profitto. Infatti la famiglia imperiale, sotto i riflettori dei media, ebbe un effetto anche sui consumi e se succedeva qualcosa legato a loro alcune imprese ne beneficiavano. L’attenzione mediatica sulla famiglia imperiale quindi era costante, anche perché tra il 1968 e il 1969, venne definita “famiglia reale” e furono presi come modelli di raffinatezza ed eleganza, amanti degli sport e dediti alla famiglia. Tuttavia, l’uso abituale di onorifici dava l’impressione che il sovrano fosse ancora separato dalla gente comune.
Approvazione popolare
[modifica | modifica wikitesto]Questa popolarizzazione dell’imperatore fu portata avanti sottolineando la sua immagine pubblica di uomo di pace, marcando il suo ruolo nella fine della guerra e il suo interesse per le sofferenze di chi l’aveva subita. A questo riavvicinamento contribuivano anche i continui resoconti delle sue attività di vita quotidiana, un aspetto che era sempre rimasto all’interno delle mura imperiali, fuori dalla portata del popolo. Dal 1945 al 1960 ci fu quindi un totale cambiamento della figura dell’imperatore da leader carismatico anteguerra, all'immagine pacata di un uomo facente parte di una civiltà civile post guerra. Ma l’avvenimento che mise l’accento a questo passaggio fu il matrimonio nel 1959 del principe Akihito 明仁 con una donna comune della media borghesia, Shoda Michiko 正田 美智子. Il matrimonio ruppe la tradizione precedente visto che si trattava della prima cittadina comune ad andare in sposa ad un membro della famiglia reale. Sondaggi condotti negli anni Sessanta[14] mostrano come l’affetto (親愛shinai) fosse il principale sentimento provato dall’opinione pubblica nei suoi confronti (40% nel 1961, 38% nel 1963, 52% nel 1965, 33% nel 1969) seguito da reverenza (崇拝sūhai) e rispetto (尊敬sōnkei), e una percentuale insignificante di ostilità (犯情hanjō). C’era anche una grande fetta di indifferenza (無関心mukanshin) che, negli ultimi anni della sua vita, costituì un problema centrale per il governo conservatore (42.7% nel 1973, 44.1% nel 1978, 47% nel 1988). Tuttavia, ciò che emerge nei sondaggi nazionali degli stessi anni è il prevalente desiderio popolare (80-90%) di mantenere l’istituzione imperiale così come era stata ridefinita nella costituzione del 1947. Nel 1964 le Olimpiadi di Tōkyō furono l’ennesima occasione per vendere l’immagine dell’imperatore “umano”e soprattutto, tornava in scena a capo di un Giappone che si era ormai finalmente e faticosamente riabilitato. Il famoso regista Ichikawa Kon 市川崑 catturò l’evento nel suo Tōkyō Orinpikku 東京オリンピック, del 1965, con il quale si percepisce come le Olimpiadi furono un’occasione cruciale per promuovere una visione dell’essenza giapponese, con l’imperatore ancora al centro, mostrando i risultati del lungo cammino che aveva percorso il Giappone dopo la seconda guerra mondiale, mettendo in luce il suo futuro connesso a scienza e tecnologia. L’Imperatore che aveva dichiarato la resa qualche decennio prima, ora accoglieva con orgoglio le nazioni di tutto il mondo in un evento al centro dell’attenzione globale.
L'imperatore e le visite diplomatiche internazionali
[modifica | modifica wikitesto]Negli anni tra il 1970 e il 1980, le pressioni neo-nazionaliste condizionarono significativamente la posizione politica dell’imperatore, cercando di promuoverlo all’estero come simbolo popolare della democrazia giapponese, per affievolire le critiche internazionali. In questo panorama si inseriscono i due importanti viaggi nel 1971 e nel 1975, rispettivamente in Europa e negli Stati Uniti. In Europa, l’Imperatore, ma soprattutto l’agenzia della casa imperiale e il ministero degli esteri, che gestivano cosa l’imperatore dovesse dire, si scontrarono con la difficile realtà del trascendere la guerra e le sue conseguenze. Le proteste dell’opinione pubblica in diversi paesi furono accompagnate da critiche dei media locali nei confronti delle mancate scuse per le sue responsabilità di guerra. Nel 1971 l’imperatore iniziò un tour in giro per l’Europa per visitare sette nazioni. La prima fu l’Inghilterra dove visitò Londra in carrozza e il quotidiano London mail riportò che “l’Imperatore venne accolto nella città di Londra in un silenzio inquietante come se stessero partecipando ad un funerale”[15]. Andò in Francia, in Germania, in Belgio e in Olanda dove qui fu accolto da gruppi che protestavano per le mancate scuse dell’imperatore per la morte dei soldati stranieri durante la guerra. Questo episodio fu frainteso in Giappone, e la popolazione pensò che l’imperatore era stato accolto in questo contesto poco amichevole anche in tutti gli altri paesi Europei.
Questo fallimento però non fermò il governo da un nuovo tentativo di “diplomazia imperiale” con il successivo viaggio negli USA, dove Hirohito fu accolto dal presidente Gerald Ford.
Anche questa volta, l’Imperatore fu istruito in anticipo su cosa dire davanti ai mass media sul suolo americano, mantenendo la stessa linea tracciata in precedenza nelle risposte alle domande più spinose sulla guerra. Politicamente e simbolicamente, il picco massimo fu raggiunto durante il suo discorso di risposta al brindisi del presidente Ford: dopo aver ringraziato il popolo americano, terminò con un commento sulla guerra dicendo di provare“una profonda tristezza”(深く悲しみとする fukaku kanashimi to suru[16] ). Questa frase, ripetuta in numerosi discorsi, era stata accuratamente elaborata dagli ufficiali dell’ambasciata giapponese a Washington, in stretta consultazione con il ministero degli esteri. Entrambi erano dell’idea che, esprimendo il suo disappunto per la guerra, l’imperatore avrebbe evitato qualsiasi espressione che potesse essere interpretata come affermazione della sua responsabilità. Quelle parole infatti furono interpretate come delle scuse accettabili per la guerra, che non erano state presentate durante il precedente viaggio in Europa. La risposta dei media americani fu abbastanza favorevole, grazie anche a diverse situazioni che mostrarono l’aspetto più umano dell’imperatore, come la partita di football a New York o la visita a Disneyland. Dopo il viaggio americano, nell’ottobre del 1975, l’imperatore uscì dall’attenzione internazionale, rimanendone fuori fino alla sua morte nel 1989.
Dalla malattia alla morte attraverso i media
[modifica | modifica wikitesto]Dal 1986, quando le condizioni fisiche dell’imperatore divennero sempre più fragili, il governo intensificò la sua coordinazione con i media per preparare i numerosi reportage che sarebbero stati creati in occasione dell’evento del decennio, ossia la sua morte, in modo da utilizzarla sia per onorare l’imperatore, sia per pubblicizzare le virtù dell’istituzione imperiale, rafforzando il rispetto pubblico. Per fare sì che l’Imperatore fosse ricordato come un uomo di scienza, e non di guerra, fu organizzata una mostra, nel 1988, al Museo Nazionale della Scienza, nel parco di Ueno a Tōkyō. Nel 1988, dopo che il 29 aprile dello stesso anno fece una delle sue ultime apparizioni pubbliche, il giorno del suo 86esimo compleanno, le condizioni dell’Imperatore peggiorarono ulteriormente e la popolazione ebbe differenti reazioni, ma i mass media presentarono solamente un unico panorama, che vedeva il popolo giapponese controllarsi nonostante il dolore.
Il giorno dell’inevitabile morte dell’imperatore venne chiamato "Giorno X"[17] (X-デー) ma la maggior parte della popolazione rimase indifferente, soprattutto i giovani che non vennero minimamente scossi dalla notizia. Questo episodio fu completamente ignorato dai mass media come conseguenza al tabù del crisantemo. Ma l’indifferenza popolare non fu certo dovuta alla mancanza d’informazioni. Giorno e notte infatti, i sintomi dell’imperatore venivano sbandierati nei dettagli, lasciando intendere al pubblico la gravità della situazione a seconda del posto occupato nella scaletta delle notizie giornaliere. La stretta relazione tra mass media e imperatore fu rivelata anche dal comportamento dell’agenzia della casa imperiale che costruì dei rifugi attorno la residenza imperiale durante gli ultimi mesi di vita dell’imperatore, in modo tale che i giornalisti potessero riferire all'istante qualsiasi cambiamento delle condizioni di salute dell’imperatore. A partire dal 19 di settembre, giorno in cui l’imperatore cominciò a tossire sangue, i media soppressero qualsiasi forma di critica all’imperatore o al sistema imperiale. Questo tipo di censura si sarebbe aspettata per la NHK, azienda statale, ma anche le reti private e i maggiori giornali si astenettero dal pubblicare critiche. Furono anche organizzati in anticipo nei particolari i funerali e le cerimonie post mortem , e furono presi accordi con le tv, le radio e i giornali su cosa dire nei vari comunicati pubblici. Alla morte dell’imperatore, ci fu una quasi inaspettata “tennō fever” da parte del popolo, dimostrazioni sicuramente forzate dalla grande pressione mediatica (il 57% della popolazione, in un sondaggio condotto dallo Asahi Shinbun 朝日新聞 , accusò i media di aver venduto esageratamente l’imperatore). Il funerale, avvenuto il 24 febbraio 1989, fu trasmesso in diretta tv, con 200.000 persone ad attendere il passaggio della bara lungo le strade di Tōkyō. La stampa religiosa Shintō acclamò il defunto imperatore ma lo stesso non accadde con altri media religiosi (come il giornale buddhista “Chūgai nippō” o il “Christian weekly”) che colsero l’occasione per criticare la monarchia e il suo sfruttamento politico. Per quanto molti cittadini ritenessero l’imperatore responsabile per la guerra (52% nel sondaggio della Jiji Tsūshinsha 時事通信社), molti continuavano a professare rispetto oppure affetto per il defunto sovrano. Molte persone, alla sua morte firmarono il memoriale ma molte di queste, tra cui giovani, non lo fecero per rispetto nei suoi confronti ma solo perché la partecipazione all’evento dava sia la possibilità di apparire in tv che scrivere il proprio nome sul memoriale, il che significava fare parte della storia giapponese nel passaggio tra le due ere Shōwa 昭和e Heisei平成. Ovviamente i media non fecero trasparire neanche questa parte di reazioni.
Reazioni internazionali alla morte
[modifica | modifica wikitesto]In questo contesto era chiaramente presente anche il punto di vista straniero che riguardava l’Imperatore, che non fu di certo positivo. L’opinione più critica apparve sui giornali inglesi tanto da provocare dei problemi tra i due governi. I giornali The Sun e Daily Star scrissero “Ci sono due motivi per i quali dobbiamo sentirci dispiaciuti nei confronti dell’imperatore sul letto di morte: Il fatto che è vissuto così tanto e il fatto che morirà senza essere stato punito per il più grande crimine del secolo. [...]” e ancora “[...] alla sua morte ci sarà sicuramente un posto riservato per lui all’inferno”. Incontrarono problemi anche con un giornale sudcoreano “The Dong-a Ilbo” 동아일보 dove si accusava il Giappone di non essersi mai scusato per le brutalità dell’amministrazione coloniale, e l’odio ovviamente veniva indirizzato verso l’imperatore. Nel giorno del suo funerale si creò un enorme vertice politico-diplomatico anche per altri motivi. Questi riguardavano i rituali post mortem: avrebbe dovuto essere inumato come un qualsiasi altro cittadino o doveva ricevere i rituali Shintō riservati al discendente della dea Amaterasu?
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Morris Low, Japan on display. Photography and the Emperor, London, New York, Routledge, 2006, p. 25.
- ^ Ivi, p. 27.
- ^ Ivi, p. 28.
- ^ Nanba Taisuke, giovane anarchico che aveva giurato di vendicare la morte di Sakae Ōsugi, leader anarchico. Fu processato e giustiziato.
- ^ Il film 富士に誓ふ: 少年戦車兵訓練の記録 Fuji ni chikau: shōnen senshahei kunren no kiroku (1943) mostra le operazioni giornaliere di addestramento scolastico per i giovani dai quindici ai diciotto anni, sotto lo sguardo benevolo del Fuji.
- ^ Morris Low, Japan on display. Photography and the Emperor, London, New York, Routledge, 2006, p. 89.
- ^ Per evitare che il discorso di resa fosse trasmesso, il Maggiore 畑中健二 Hatanaka Kenji, insieme a un piccolo gruppo di ufficiali, occupò dapprima il Palazzo Imperiale e poi la sede della NHK. In mancanza di un supporto decisivo e delle registrazioni, il tentativo di colpo di stato fallì e Hatanaka si suicidò.
- ^ “LIFE Magazine”, 4 Febbraio 1946, “Photographic Essay: Sunday at Emperor Hirohito's”, Rita Hayworth, Pag.75.
- ^ Fondatore del Nihon Kyōsan tō (日本共産党) ossia il partito comunista giapponese di cui fu presidente dal 1958 al 1982.
- ^ Kermit “Ken” R. Dyke, capo della sezione di informazione ed educazione civile (CIE) della AFPAC (forze armate nel pacifico) dal Settembre 1945 al Maggio del 1946.
- ^ La seconda più importante impresa produttrice di acciaio in quegli anni e una delle due più grandi produttrici di navi da guerra durante la seconda guerra mondiale.
- ^ Morris Low, Japan on display. photography and the emperor, London, New York, Routledge, 2006, P.127
- ^ Il crisantemo (菊 kiku) è il simbolo della famiglia imperiale giapponese.
- ^ Stephen S. Large, Emperor Hirohito and Showa Japan: a political biography, London, New York, 1992, P.190
- ^ Daikichi Irokawa, The age of Hirohito:in search of modern Japan,New York, The Free Press, 1995, P. 113.
- ^ Stephen S. Large, Emperor Hirohito and Showa Japan: a political biography, London, New York, 1992, P. 188.
- ^ Katsumasa Harada "Shōwa niman nichi no zen kiroku Vol.19 -Shōwa kara Heisei he" ,Tōkyō,Kōdansha, 1991. P. 102.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Edward Behr, Hirohito, l'imperatore opaco: mito e verità, Firenze, Ponte alle Grazie, 1989.
- Stephen S. Large, Emperor Hirohito and Showa Japan: a political biography, London, New York: Routledge, 1992.
- Stephen S. Large, Emperors of the rising sun: three biographies, Tokyo, Kodansha International, 1997.
- Morris Low, Japan on display. photography and the emperor, London, New York, Routledge, 2006.
- Edwin Palmer Hoyt, Hirohito: the emperor and the man, New York, Praeger, 1992.
- Koji Taki, Il ritratto dell'Imperatore, Milano, Edizioni Medusa, 2005.
- Daikichi Irokawa, The age of Hirohito: in search of modern Japan, translated by Mikiso Hane and John K. Urda, New York, The Free Press, 1995.
- Leonard Mosley, Hirohito: Emperor of Japan, London, Weidenfeld and Nicolson, 1966. (tradotto da Ninì Boraschi, Hirohito, Milano, Longanesi, 1970.)