Pitagora

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Copia romana del I secolo a.C. di originale greco conservata nei Musei Capitolini di Roma

Pitagora (in greco antico: Πυθαγόρας?, Pythagóras; Samo, tra il 580 a.C. e il 570 a.C.Metaponto, 495 a.C. circa) è stato un filosofo, matematico, scienziato e legislatore greco antico.

Forse figlio di Mnesarco, noto commerciante e incisore di sigilli, e Partenide, una delle donne più belle di Samo, successivamente chiamata Pythais, fu convinto a seguire le orme del padre, ma già in tenera età mostrò invece una predisposizione alle materie scientifiche e filosofiche, che lo portarono a girare il Mediterraneo alla ricerca di conoscenza e sapere, che egli attinse soprattutto alle scuole misteriche dell'antico Egitto. Fu inoltre taumaturgo, astronomo, scienziato, politico e fondatore a Crotone di una delle più importanti scuole di pensiero dell'umanità, che prese da lui stesso il nome: la Scuola Pitagorica.

A lui si deve la nascita della nozione di esoterismo in Occidente, basato su una trasmissione del sapere solo a cerchie ristrette di adepti.[1] Il suo pensiero ha avuto enorme importanza per lo sviluppo della scienza occidentale, avendo per primo intuito l'efficacia della matematica per descrivere il mondo[2], intesa però non come un insieme di conoscenze astratte e teoriche, ma come arte del saper vivere. La scuola italica, successivamente a lui intitolata, fu il crogiolo nel cui ambito si svilupparono molte conoscenze, in particolare quelle filosofiche, etiche, politiche, fin anche quelle matematiche e le sue applicazioni, come il noto teorema di Pitagora.

Busto di Pitagora. Copia romana, della fine del I secolo a.C., di un originale greco della prima età ellenistica o tardo ellenistica[3]

La vita di Pitagora è poco nota e la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano sono di epoca più tarda. Alcuni autori antichi o suoi contemporanei, come Senofane, Eraclito ed Erodoto, hanno dato testimonianze tali da far pensare all'esistenza storica di Pitagora, pur se inserita nella tradizione leggendaria[4]. La più antica testimonianza su Pitagora risale a un detto canzonatorio di Senofane (VI secolo a.C.), dove Pitagora si sarebbe lamentato con un tale perché picchiava un cane in cui egli aveva riconosciuto - con riferimento alla metempsicosi - l'anima di un suo amico[5]. Nel IV secolo, lo scettico Timone di Fliunte accusa Pitagora di essere stato un ciarlatano; così pure Cratino, poeta comico ateniese, accusa i pitagorici di usare la retorica per ingannare i loro uditori. Anche Eraclito ha sostenuto che Pitagora, figlio di Menarco, fosse un erudito, ma di "artificiosa astuzia"[6] e incapace di comprendere cosa caratterizzasse la sua erudizione[7].

Secondo queste fonti, Pitagora nacque nella prima metà del VI secolo a.C. nell'isola di Samo, dove fu scolaro di Ferecide, Aglaofamo e Anassimandro, subendone l'influenza nel suo pensiero. Secondo alcune ricostruzioni[8], il padre potrebbe essere stato un cittadino facoltoso di nome Mnesarco[9]. Questi, trovandosi a Delfi, volle chiedere alla Pizia delucidazioni sul suo futuro e la sacerdotessa predisse la nascita di un figlio utile al genere umano e saggio.[10][11] Secondo altre fonti, Pitagora non nacque in Grecia, ma nell'omonima città di Samo in Calabria, dopo essersi trasferito insieme alla famiglia di facoltosi mercanti.

Attribuibile alle leggende sulla vita di Pitagora è il suo matrimonio con Teano, dalla quale avrebbe avuto vari figli: due maschi, Arimnesto e Telauge, e tre femmine, Arignota, Myia, Damo[12].

Da Samo, Pitagora si trasferì nella Magna Grecia. Dei suoi viaggi in Egitto e a Babilonia, narrati dalla tradizione dossografica, non vi sono fonti certe; essi sono ritenuti, almeno in parte, leggendari. Viste le testimonianze, è probabile che l'erudito Pitagora sia giunto in Italia meridionale, a Crotone, da Samo intorno al 530 a.C.[13][14], abbia impressionato le élite locali e, guadagnando presto la loro fiducia, le abbia infine spinte ad adottare costumi più sobri e a cercare l'armonia all'interno della propria comunità. A Crotone fondò la Scuola pitagorica. Secondo Russell[15], il trasferimento di Pitagora si dovette a cause politiche in quanto il filosofo non approvava la tirannide di Policrate.

Sulla sua morte i resoconti dei biografi non coincidono: essendo scoppiata una rivolta dei democratici contro il partito aristocratico pitagorico, la casa dove si erano riuniti gli esponenti più importanti della setta fu incendiata. Si salvarono Archippo e Liside, che si rifugiò a Tebe. Secondo una versione, Pitagora prima della sommossa si era ritirato a Metaponto, dove morì. Secondo altri invece casualmente era assente alla riunione nella casa incendiata e quindi riuscì a salvarsi fuggendo prima a Locri, quindi a Taranto e da lì a Metaponto[16] dove morì nei pressi dell’Heraion, più conosciuto come Tavole Palatine[17]. A questo riguardo Porfirio (232-305 d.C.) scrisse:

«Si dice che Pitagora abbia trovato la morte nella comunità di Metaponto, dopo essersi rifugiato nel piccolo tempio dedicato alle Muse, dove rimase quaranta giorni privo del necessario per vivere. Altri autori affermano che i suoi amici, nell'incendio della casa dove si trovavano riuniti, gettatisi nelle fiamme aprirono una via di uscita al maestro, formando con i loro corpi una sorta di ponte sul fuoco. Scampato dall'incendio Pitagora, raccontano ancora, si diede la morte, per il dolore di essere stato privato dei suoi amici.[18]»

Quasi sicuramente Pitagora non lasciò nulla di scritto e le opere Tre libri e Versi aurei vanno ascritte ad autori sconosciuti, che li redassero in epoca cristiana o di poco antecedente.

Giamblico, fondatore di una scuola neoplatonica ad Apamea in Siria, attesta invece[19] che i primi libri a contenuto pitagorico pubblicati erano opera di Filolao.

La più antica biografia di Pitagora è di età romana.[20] Porfirio e Giamblico scrissero una Vita di Pitagora. Secondo alcune fonti come Diog. Laert. 8,55[21], che riprende la notizia da Timeo di Tauromenio, sebbene le date ufficiali non collimino, Pitagora fu il maestro di Empedocle che a sua volta fu un suo estimatore. Empedocle fu espulso dalla scuola per aver divulgato la dottrina nei suoi poemi.

Pitagora autore del termine "filosofia"

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Lo stesso argomento in dettaglio: Filosofia § Origine e significato del termine.
Statua di Pitagora all'agorà di Metaponto

Pitagora è stato indicato in passato come l'autore del termine "filosofia" (φιλοσοφία), inteso come "amore per la sapienza". La storia della filosofia fa risalire questo nuovo termine a fonti come Eraclide Pontico, Cicerone (nelle Tuscolane) e Diogene Laerzio (nelle Vite e dottrine dei più celebri filosofi).

Autori moderni tra cui Walter Burkert e Christoph Riedweg hanno messo in dubbio questa tradizione antica. Riedweg ha rilevato come intendere modestamente il filosofo come colui che ama (φιλέω) la sapienza (σοφία), ma non la possiede perché solo gli dei sono veramente sapienti, voglia significare che con un'apparente «umile definizione della filosofia» il filosofo pretenderebbe di «raggiungere qualcosa di irraggiungibile»: la sapienza divina.

Questa interpretazione del termine "filosofia" non corrisponde al senso delle dottrine dei presocratici, dove l'interesse fondamentale era la conoscenza della natura escludendo ogni altra considerazione trascendente, per cui quel significato sembra essere adeguato piuttosto alla dottrina platonica.

In un frammento che si fa risalire ad Eraclito, poi, sarebbe già indicato, prima ancora che in Pitagora, il termine "filosofia", e così anche in un'opera precedente di Erodoto, il quale però, per l'uso normale, non specifico che egli ne fa nelle sue Storie, rende difficile pensare che questa parola sia nata negli anni venti del V secolo quando probabilmente fu pubblicata la sua opera.

Infine, questa attribuzione di modestia che si troverebbe nel significato del filosofo che "ama la sofia che però non gli appartiene" non si confarebbe al carattere di Pitagora, che orgogliosamente si poneva come un capo religioso dalla personalità carismatica[22].

Critica storica

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«Quanto Pitagora comunicava ai discepoli più stretti, nessuno è in grado di riportare con sicurezza: in effetti presso di loro il silenzio era osservato con grande cura.[23]»

La figura di Pitagora, detto "il saggio di Samo", è una delle più controverse della storia della Grecia antica. La ragione di questa problematicità risiede sostanzialmente nella scarsa decifrabilità – quando non inattendibilità – delle testimonianze che lo riguardano[24][25]

La figura storica di Pitagora viene malgrado tutto menzionata da scrittori suoi contemporanei o di poco posteriori come Senofane, Eraclito, Erodoto, e sembra essere accertata[26], ma la sua fisionomia di filosofo risulta confusa poiché si mescola alla leggenda narrata nelle numerose Vite di Pitagora composte nel periodo del tardo neoplatonismo e del neopitagorismo, nelle quali il filosofo viene presentato come figlio del dio Apollo.[8] Secondo la leggenda, il nome risalirebbe etimologicamente ad una parola che significherebbe "annunciatore del Pizio", cioè del dio Apollo, (ΠυθαγόραςPythagòras), composto da Πύθιος (Pýthios, un epiteto di Apollo) e agorà (ἀγορά – "piazza")[27]; altre fonti identificano il primo elemento con pèithō (πείθω – "persuadere"), quindi "colui che persuade la piazza", "colui che parla in piazza"[28], "oratore della piazza".[29]

Si giunse a considerarlo profeta, guaritore, mago e ad attribuirgli veri e propri miracoli[30]. Secondo Abaris, profeta e sacerdote Iperboreo, Pitagora era l'incarnazione di Apollo.[31]

È quasi impossibile distinguere, nell'insieme di dottrine e frammenti a noi pervenuti, non solo ciò che appartiene al pensiero di Pitagora ma neppure, nonostante i tentativi di John Burnet[32] di separare il pensiero del primo pitagorismo da quello successivo. Anche Aristotele, che si può considerare il primo storico della filosofia, nella difficoltà evidente di identificare la dottrina del maestro, parla genericamente de «i cosiddetti pitagorici».[33]

Le dottrine proprie di Pitagora e il bíos pythagorikós

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L'importanza fondamentale della figura di Pitagora per la storia religiosa e filosofica dell'umanità è legata a regole proprie della vita, del bíos pythagorikós[34]. La condotta di vita pitagorica contiene numerose regole, per lo più centrate sulla condizione di "purezza", molte delle quali risultano nelle loro motivazioni a noi incomprensibili, già in antichità si era tentato di fornirne una spiegazione[35]. A queste regole verranno affiancate, in epoca tarda, spiegazioni simboliche. Oltre alle regole di "purezza", fondamentali per il bíos pythagorikós, risultano le regole alimentari: la più nota consiste nella proibizione di cibarsi di esseri animati, nel contempo tuttavia vi sono delle prescrizioni che consentono sia i sacrifici sia la consumazione di carne (solo alcuni tagli e solo di alcuni animali) il che fa sostenere a Riedweg[36] che «il vegetarianismo più rigoroso rimase probabilmente limitato alla cerchia più interna della comunità pitagorica, in cui non erano più in vigore i "criteri di socialità" normale, tra l'altro anche a motivo della comunione dei beni.» Altra regola fondamentale per i pitagorici riguardava l'astensione del consumo delle fave[37].

Nel bíos pythagorikós compare per la prima volta anche il divieto di avere relazioni extraconiugali[38].

Euclide e Pitagora, ovvero la Geometria e l'Aritmetica, formella del Campanile di Giotto, Luca della Robbia, 1437-1439, Firenze

Sebbene sembri che Pitagora non abbia lasciato scritti[39], tuttavia i suoi discepoli gli attribuirono un'estesa dottrina, arrivando anche a scrivere opere a suo nome.

Limitazioni alimentari

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L'astensione dalle fave

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Lo stesso argomento in dettaglio: Scuola pitagorica § Il divieto delle fave.
Pitagora sostiene il vegetarianismo, Peter Paul Rubens (1618-1620)

Una versione della morte di Pitagora è collegata all'idiosincrasia del filosofo e della sua Scuola per le fave, che i pitagorici si guardavano bene dal mangiare,[40] evitando anche il semplice contatto. Secondo la leggenda, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone di Crotone, preferì farsi raggiungere e uccidere piuttosto che mettersi in salvo in un campo di fave.[41]

Esistono due interpretazioni riguardo al divieto di mangiare fave: secondo Gerald Hart,[42] il favismo era una malattia diffusa nella zona del crotonese e ciò conferirebbe al divieto una motivazione profilattico-sanitaria. Pitagora viveva in zone di favismo diffuso, e da questo nasceva la sua proibizione igienica. Ma perché i medici greci non avevano identificato questa patologia? Nell'esperienza quotidiana le fave erano un cardine dell'alimentazione, che tutt'al più causava flatulenze e insonnia, e se qualcuno che aveva mangiato fave contemporaneamente si ammalava i due fatti non venivano collegati. Se dunque Pitagora dell'astenersi dal mangiare fave fa addirittura un precetto morale, è perché i greci del VI secolo a.C. avevano un modo diverso dal nostro di considerare le malattie, nel senso che le riferivano alla religione[43], per cui, come ha messo in luce Claude Lévi-Strauss, le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell'impurità, da cui il filosofo si deve tenere lontano.

La connessione con la natura

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«Pitagora ed Empedocle avvertono che tutti gli esseri viventi hanno eguali diritti, e proclamano che pene inespiabili sovrastano a coloro che rechino offesa a un vivente.»

Pitagora è tradizionalmente considerato l'iniziatore del vegetarianismo in Occidente grazie ad alcuni versi delle Metamorfosi di Ovidio[45], che lo descrivono come il primo degli antichi a scagliarsi contro l'abitudine di cibarsi di animali, reputata dal filosofo un'inutile causa di stragi, dato che la terra offre piante e frutti sufficienti a nutrirsi senza spargimenti di sangue. Ovidio lega il vegetarianismo di Pitagora alla credenza nella metempsicosi, secondo cui negli animali vi è un'anima non diversa da quella degli esseri umani.[46]

Diogene Laerzio sostiene inoltre che Pitagora fosse solito mangiare pane e miele al mattino e verdure crude la sera; in più implorava i pescatori affinché ributtassero in mare quello che avevano appena pescato.[47]

Lo stesso argomento in dettaglio: Scuola pitagorica.

Intorno al 530 a.C. fondò a Crotone una delle prime scuole di pensiero dell'umanità. Intorno alla sua figura la scuola seguì le indicazioni di vita proprie del maestro[48], e si affermò anche in altre città della Magna Grecia, dando vita a un movimento filosofico e scientifico fino a circa il 450 a.C.[49].

A tal proposito si possono ricostruire alcuni insegnamenti.

La metempsicosi

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Pochi sono gli elementi certi della dottrina pitagorica; tra questi la metempsicosi[50], ossia la dottrina della sopravvivenza della psyché alla morte e il suo trasferimento in altro corpo fisico. Oltre a Dicearco – posteriore di due secoli a Pitagora – ne parla Aristotele[51] come di un "mito" pitagorico. Ione di Chio parla di metempsicosi, citando Ferecide, dove tratta degli insegnamenti di Pitagora su un aldilà felice se si conduce una vita moralmente adeguata[52]. Platone si riferisce più volte alla dottrina della trasmigrazione delle anime[53], ma non si richiama mai a Pitagora; piuttosto cita pitagorici come Filolao[54]. Diogene Laerzio[55] riporta (attribuendolo a Senofane[56]) un episodio in cui Pitagora difese un cane dal suo padrone poiché aveva riconosciuto nell'animale l'anima di un suo amico scomparso.

Derivato dall'orfismo, nella dottrina pitagorica vi è un aspetto religioso, relativo alla trasmigrazione delle anime che, per una colpa originaria, erano costrette ad incarnarsi in corpi umani o bestiali sino alla finale purificazione.

La novità del pensiero di Pitagora rispetto all'orfismo è rappresentata dalla considerazione della conoscenza come strumento di purificazione, nel senso che l'ignoranza è ritenuta una colpa da cui ci si libera con il sapere. Questa particolarità della dottrina è considerata dagli studiosi sicuramente proveniente da Pitagora, che viene tradizionalmente definito, a partire da Eraclito, come polymathés (erudito) che «…praticò la ricerca più di tutti gli altri uomini», anche se la sua fu una sapienza fraudolenta (kakotechnie)[57]. Eraclito non specifica quale fosse il contenuto di questa sapienza. Porfirio, riferendosi al già citato Dicearco (allievo di Aristotele) [58], parla di Pitagora e menziona, seppur due secoli dopo la morte del filosofo, gli aspetti principali della sua filosofia: l'immortalità dell'anima e la sua trasmigrazione fra varie specie animali in un ciclo di rinascite, per cui tutti gli esseri viventi vanno riconosciuti come appartenenti ad una sola specie. Porfirio non accenna ad alcun interesse di Pitagora per la matematica, mentre insiste sul problema dell'anima. Questo ha fatto pensare che Porfirio e Giamblico (un altro tardo autore fonte del pitagorismo) appartenessero entrambi alla scuola platonica, determinando una sorta di sincretismo tra la dottrina pitagorica e quella platonica, una «platonizzazione del pitagorismo»[59].

Rappresentazione del famoso "teorema" detto di Pitagora. Tale teorema è inserito alla proposizione 47 del I libro degli Elementi di Euclide (IV-III sec. a.C.).[60].

Matematica e Acusmatica

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Nella dottrina pitagorica, la base della realtà e di ogni cosa in essa contenuta è costituita dai numeri. Così, non solo gli elementi corporei sono composti da numeri, ma anche il cosmo e i suoi astri, gli dèi, i concetti, la musica con la sua harmonia[61].

Secondo le tarde testimonianze di Giamblico[62] e Porfirio[63] nella scuola pitagorica si sarebbe verificata una distinzione tra i discepoli, a seconda del loro interesse per i contenuti "scientifici" o mistico-religiosi, in "Matematici" (da mathema, scienza) e "Acusmatici" (da akousma, detto orale). Dopo la morte di Pitagora sarebbe nata una contesa tra le due fazioni che si attribuivano l'eredità filosofica del maestro[64]. I primi cercavano di rinnovare il Pitagorismo rifacendosi a una presunta dottrina segreta di Pitagora della quale essi si consideravano i depositari privilegiati. I "Matematici" sostenevano infatti che Pitagora avesse insegnato in pubblico ai più anziani, incaricati della guida politica della polis[65], senza curare troppo l'aspetto rigoroso del suo insegnamento. Di contro, avrebbe riservato il suo insegnamento basato sui mathémata ai discepoli più giovani[66]. Questa tradizione della divisione tra i due gruppi di discepoli è stata considerata poco attendibile e storiograficamente poco fondata[67], anche se utile per evidenziare gli aspetti mistici della dottrina di Pitagora: l'insegnamento praticato dietro a una tenda dava un aspetto oracolare alla sua parola per gli allievi, semplici acusmatici, ascoltatori obbligati a seguire le lezioni in silenzio[68].

È quasi certo che l'insegnamento pitagorico avesse un aspetto mistico-religioso consistente in un addottrinamento dogmatico, secondo il noto motto della scuola “αὐτὸς ἔφα” o “ipse dixit” (lo ha detto lui)[69] e un contenuto che riguardava gli opposti e i numeri (in quanto principi cosmologici), da intendersi però, come hanno osservato vari autori (tra cui Édouard Schuré e René Guénon[senza fonte]) in un senso non solo quantitativo, ma anche qualitativo e simbolico[70].

Il modello pitagorico dell'universo

La concezione pitagorica dell'universo mette al centro di questo non la Terra, come in altre cosmografie antiche, come ad esempio Anassimandro, ma il Fuoco: il nostro pianeta è solo uno dei corpi celesti che girano intorno al Fuoco. Gli altri astri erranti sono: l'Antiterra, che precede la Terra nella sua vicinanza al Fuoco in posizione all'esatto opposto della Terra e, dopo il nostro pianeta, seguono la Luna, il Sole e i cinque pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno), tutti astri che unitamente al Fuoco sono contenuti all'interno dell'universo sferico delle Stelle fisse. Secondo Aristotele[71], questa concezione pitagorica, decisamente non geocentrica, non è frutto di osservazioni empiriche quanto piuttosto si basa sulla loro valutazione della rilevanza degli enti: il Fuoco è il più importante anche rispetto alla Terra quindi il luogo che gli spetta è al centro del cosmo[72] per questa ragione lo indicano anche come la "custodia di Zeus"[72]. Secondo Filolao[73] il Sole è di natura vitrea e quindi questo astro si limita a riflettere luce e calore che sono propri del Fuoco.

"Scienza" e musica

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Xilografia medievale che raffigura Pitagora con campane e altri strumenti che suonano in armonia

Riguardo alle elaborazioni scientifiche attribuite a Pitagora, gli storici della filosofia non sono in grado di avere certezza.

Le dottrine astronomiche sono sicuramente state elaborate dai suoi discepoli nella seconda metà del V secolo a.C.

Il teorema per cui il filosofo è famoso era già noto agli antichi Babilonesi, ma alcune testimonianze, tra cui Proclo, riferiscono che Pitagora ne avrebbe intuito la validità. Tale "teorema" è inserito alla proposizione 47 del I libro degli Elementi di Euclide. L'attribuzione a Pitagora di detto "teorema" si deve tuttavia esclusivamente al commento di Proclo che, a sua volta, si rifaceva alla testimonianza di un oscuro Apollodoro il quale avrebbe sostenuto che Pitagora, dopo la scoperta del teorema avrebbe sacrificato un bue. Anche se è probabile che il "saggio" di Samo si sia interessato ad argomenti matematici e di filosofia della natura occorre ricordare che «fino a Platone e Aristotele inclusi, non esiste ombra di prova diretta che permetta di qualificare Pitagora come filosofo della natura o come matematico»[74].

Di contro, si deve a Pitagora l'aver indicato come sostanza primigenia (archè) l'armonia, determinata dal rapporto tra i numeri e le note musicali, da cui deriva l'invenzione della scala musicale[75]. Pitagora avrebbe tradotto sperimentalmente la sua intuizione costruendo un monocordo[76]: tese una corda fra due ponticelli e ricavò l'ottava ponendo una stanghetta esattamente al centro della corda (1:2). Poi ne pose un'altra a 2/3 della lunghezza della corda, stabilendo così l'intervallo di 5ª. Sistemando a 3/4 un'altra stanghetta trovò l'intervallo di 4ª. La distanza, in termini di altezza, fra la 4ª e la 5ª la chiamò tono. La scala musicale basata su questi intervalli, che nel Medioevo era attribuita allo stesso Pitagora, ebbe una particolare importanza teorica, al di là della pratica musicale: Platone, nel dialogo Timeo, la descrisse come fondamento numerico dell'anima del mondo.

Pitagora, dettaglio della Scuola d'Atene (1511) di Raffaello Sanzio.

«Non so di nessun altro uomo che abbia avuto altrettanta influenza nella sfera del pensiero. […] Ciò che appare come il platonismo, si trova già, analizzandolo, nell'essenza del pitagorismo. L'intera concezione di un mondo eterno rivelato all'intelletto, ma non ai sensi, deriva da lui. Se non fosse per lui, i Cristiani non avrebbero pensato a Cristo come al Verbo; se non fosse per lui i teologi non avrebbero cercato prove logiche di Dio e dell'immortalità. Ma in lui tutto ciò è ancora implicito.»

La figura di Pitagora ha esercitato una forte influenza polarizzatrice[77]: da una parte i suoi estimatori (ad esempio Empedocle), dall'altra i suoi critici (ad esempio Senofane o Eraclito)[78].

Per Platone[79], Pitagora è un esempio di maestro che insegna uno stile di vita; mentre Isocrate nella sua orazione su Busiride (XI) sostiene anche che «Pitagora di Samo, andato in Egitto e fattosi loro discepolo, portò in Grecia per primo lo studio di ogni genere di filosofia», ottenendo così l'ammirazione dei suoi contemporanei. Platone eredita da Pitagora l'idea dell'importanza della matematica come linguaggio per descrivere il mondo, pur mantenendola nell'ambito metafisico ma ripulendola dal pesante bagaglio misticheggiante in cui era immersa. L'astronomia della scuola pitagorica, che continua nella visione del cosmo di Platone[80], sarà destinata a diventare un modello di scienza, che, attraverso Copernico[81], sarà alla base della scienza moderna. L'influenza del progetto pitagorico-platonico è esplicita sugli scienziati della rivoluzione scientifica moderna, come Galileo e Keplero.[82]

Plutarco[83] riporta che Platone da vecchio si sia ricreduto sul geocentrismo riportato nel Timeo, il tutto a dimostrare come la teoria del Fuoco al centro dell'universo poteva aver avuto accoglimento nell'Accademia platonica.

Con Democrito, che titola una delle sue opere Pitagora, e che un contemporaneo, Glauco di Reggio, indica come discepolo di un pitagorico, terminano le testimonianze antiche sulla figura del "saggio" di Samo. Agli inizi del IV secolo, le testimonianze su Pitagora si fanno vieppiù positive (cfr. ad esempio Antistene, Aristippo e Androne di Efeso) fino alla progressiva "monopolizzazione" della figura all'interno dell'Accademia platonica.

La figura di Pitagora godeva di grande considerazione presso i romani, che lo ritenevano il più forte tra i greci, tanto che gli fu dedicata una statua posta nel Comizio, uno delle aree più antiche nel Foro Romano. Tanta era la considerazione, che alcuni membri della Gens Aemilia, come anche altri della Gens Marcia, allo scopo di nobilitare le origini delle rispettive casate, sostenevano che queste discendessero dal filosofo e matematico greco.[84]

  1. ^ Pitagora, il padre dell'esoterismo, su giuseppebalena.it, 2016.
  2. ^ Lucio Lombardo Radice, La matematica da Pitagora a Newton, Edizione Muzzio, Roma, 2003.
  3. ^ In modo originale Pitagora viene rappresentato con un copricapo formata da una fascia di tessuto intrecciata al di sopra di un berretto probabilmente in cuoio. Secondo quanto riferisce Claudio Eliano (Varia historia, XII, 32) il filosofo era solito vestire all'orientale e adoperare una benda (tenia) annodata intorno alla testa, simile a quanto è ancora oggi il copricapo indossato nel Nord Africa e nel vicino e medio Oriente. Questa specie di turbante stabilisce un collegamento con la tradizione sviluppata dall'età ellenistica in poi secondo cui Pitagora sarebbe stato un mediatore culturale tra Occidente ed India (Museo Archeologico Nazionale di Napoli).
  4. ^ Pitagora, in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. URL consultato il 16 dicembre 2015.
  5. ^ Diogene Laerzio, Vite... VIII, 36; D-K 21 B 7
  6. ^ D-K 22 B 129.
  7. ^ D-K 22 B 40.
  8. ^ a b c Russell, Storia della filosofia occidentale, Vol. I, p. 49.
  9. ^ Silvio Accame, Scritti minori, vol. III, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1990, p. 1163, nota 27.
  10. ^ Vincenzo Capparelli, La sapienza di Pitagora, Edizioni Mediterranee, 1944, ISBN 9788827205877. URL consultato il 20 maggio 2018.
  11. ^ Christoph Riedweg, Pitagora: vita, dottrina e influenza, Vita e Pensiero, 2007, ISBN 9788834311608. URL consultato il 20 maggio 2018.
  12. ^ Rita Cuccioli Melloni, Ricerche sul pitagorismo: Biografia di Pitagora, Compositori, 1969, p. 8.
  13. ^ Croniche et antichita di Calabria; conforme all'ordine de'Testi Greco, et Latino, raccolte da'piu famosi Scrittori Antichi et Moderni (etc.), Pasquati, 1601, p. 154. URL consultato il 9 maggio 2018.
  14. ^ Pitagora di Samo, su kaulon.it. URL consultato il 9 maggio 2018 (archiviato dall'url originale il 13 giugno 2017).
  15. ^ Russell, Storia della filosofia occidentale, Vol. I, p. 50.
  16. ^ Metaponto, frazione del comune di Bernalda in provincia di Matera.
  17. ^ Cioffi et alii, I filosofi e le idee, Vol. I, Ed. Bruno Mondadori 2004 p. 46.
  18. ^ Porfirio, Vita di Pitagora (ΜΑΛΧΟϒ Η ΒΑΣΙΛΕΩΣ ΠϒΘΑΓΟΡΟϒ ΒΙΟΣ), 57, tradotto in Stefano Fumagalli, Versi aurei seguiti dalle vite di Pitagora, di Porfirio e Fozio, da testi pitagorici e da lettere di donne pitagoriche, Mimesis Edizioni, Milano, 1996, pp. 93-94.
  19. ^ Christoph Riedweg in Pitagora: vita, dottrina e influenza, Vita e Pensiero, 2007, cita Giamblico in Vita di Pitagora, p. 199.
  20. ^ Pitagora e la setta dei matematici, su storicang.it.
  21. ^ DOI10.1353/hph.2008.0554
  22. ^ Christoph Riedweg, Pitagora: vita, dottrina e influenza, Vita e Pensiero, 2007, p. 25.
  23. ^ Porfirio in DK 14 A 8a; in Pitagora, Versi aurei. Seguiti dalle vite di Porfirio e Fazio, da testi pitagorici e da lettere di donne pitagoriche, a cura di S. Fumagalli, Mimesis, Milano, 1996, p. 72.
  24. ^ Ad esempio nella raccolta Diels-Kranz non vengono previste per Pitagora le sezioni B e C.
  25. ^ Gli scritti Vita di Pitagora riferibili rispettivamente a Diogene Laerzio, Porfirio e Giamblico sono tutte del III secolo d.C. anche se attingevano a fonti del IV secolo a.C., oggi perdute, come due libri di Aristotele dedicati ai pitagorici e alle opere dei suoi allievi, Dicearco e Aristosseno, sempre dedicate al pitagorismo, oltre che alle opere del platonico Eraclide Pontico e di Timeo di Tauromenio.
  26. ^ Enciclopedia Italiana Treccani alla voce corrispondente
  27. ^ Vito Maria De Grandis, Dizionario etimologico-scientifico delle voci italiane di greca origine, Stamp. francese, 1824.
  28. ^ Pitagora, su DI.MA. Discovering "Magna Grecia". URL consultato il 3 febbraio 2013.
  29. ^ Enzo La Stella T., Santi e fanti - Dizionario dei nomi di persona, Roma, Zanichelli, 2009, p. 295.
  30. ^ Salvatore Fazìa, Versi Aurei, Editrice Veneta, 2014 p. 134.
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  33. ^ Aristotele, Metafisica, 985b.
  34. ^ Carl Huffman, Pitagorismo, in Il sapere greco- dizionario critico, vol. II, p. 487.
  35. ^ Ad esempio Anassimandro il giovane, contemporaneo di Aristotele, nel suo Συμβόλων Πυθαγορείων έζήγεσις.
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  37. ^ Acusmi e simboli, 3; in Pitagorici antichi. Traduzione di Maria Timpanaro Cardini, Milano, Bompiani, 2010, pp.903-5
  38. ^ Giamblico, Vita di Pitagora: al 50 per quanto attiene alle condotte degli uomini ("lasciarono andare le concubine"); mentre al 55 per quanto attiene alle indicazioni alle donne. Anche Walter Burkert, La religione greca.
  39. ^ DL VIII, 6.8, 14 A 19; Giamblico, A 17; Galeno, A 18.
  40. ^ Russell, Storia della filosofia occidentale, Vol. I, pp. 50-51.
  41. ^ Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VIII, I.
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  44. ^ Dal De re publica, III, 1, 19; citato in Claudio Tugnoli (a cura di), Zooantropologia. Storia, etica e pedagogia dell'interazione uomo/animale, Milano, FrancoAngeli, 2003, p. 21n.
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  47. ^ AA.VV., La grande cucina - Vegetariana, Milano, RCS, 2005, p. 142, ISSN 1824-5692 (WC · ACNP).
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  52. ^ D-K (Ione di Chio) 36, B, 4 «ὣς ὁ μὲν ἠνορέηι τε κεκασμένος ἠδὲ καὶ αἰδοι καὶ φθίμενος ψυχῆι τερπνὸν ἔχει βίοτον, εἴπερ Πυθαγόρης ἐτύμως ὁ σοφὸς περὶ πάντων ἀνθρώπων γνώμας εἶδε καὶ ἐξέμαθεν.»
  53. ^ Menone, 81 AD; Fedone, 70 A, ecc.
  54. ^ Platone, Fedone, 61b.
  55. ^ VIII, 36, pp. 301-303 tr. it.
  56. ^ 21 B 7 DK.
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  58. ^ 14 A 8a DK (Porfirio, Vita di Pitagora, 19), pp. 225-227 tr. it.
  59. ^ Christoph Riedweg, Pitagora. Vita, dottrina e influenza, Editore: Vita e Pensiero 2007, p. 34.
  60. ^ L'attribuzione a Pitagora di detto "teorema" la si deve tuttavia esclusivamente al "commento" che Proclo (V secolo d.C.) compose per questa opera; a sua volta tale attribuzione riposerebbe sulla testimonianza di un oscuro Apollodoro il quale avrebbe sostenuto che Pitagora, dopo la scoperta del "teorema" avrebbe sacrificato un bue. Anche se è probabile che il "saggio" di Samo si sia interessato ad argomenti matematici e di filosofia della natura occorre ricordare Carl Huffman quando sostiene che «fino a Platone e Aristotele inclusi, non esiste ombra di prova diretta che permetta di qualificare Pitagora come filosofo della natura o come matematico». (Carl Huffman, Pitagorismo in Il sapere greco- dizionario critico, vol. II p. 483)
  61. ^ Aristotele, Metafisica, A 5 985 b; Traduzione di Antonio Russo, in Aristotele Opere vol.1 a cura di Gabriele Giannantoni, Milano, Mondadori, 2008, pp. 676-7.
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  68. ^ Aristotele, Frammenti. Opere logiche e filosofiche, a cura di Marcello Zanatta, BUR, pp. 298-299.
  69. ^ Il detto compare nel De natura deorum (I,5,10) di Marco Tullio Cicerone, il quale, parlando dei pitagorici, ricorda come fossero soliti citare la loro somma autorità, Pitagora, con la frase ipse dixit, per poi criticare tale formula in quanto elimina la capacità di giudizio dello studente.
  70. ^ La dottrina pitagorica dei "numeri" e degli opposti, su Ariannaeditrice.it. URL consultato il 5 aprile 2018.
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  77. ^

    «Surely he was an extraordinary personality and a charismatic chief, venerated by his followers and desecrated by his opponents.»

  78. ^ Riedweg, p. 119.
  79. ^ Repubblica 600 A B.
  80. ^ Oriano Spazzoli, Universo di sfere: astronomia e cosmologia degli antichi Greci, su planet.racine.ra.it.
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    «Poi trovai anche presso Plutarco che alcuni altri avevano avuto la stessa opinione; e trascrivo qui le sue parole perché siano note a tutti: "è opinione comune che la terra stia ferma; ma Filolao Pitagorico dice che gira intorno al fuoco secondo un circolo obliquo così come il sole e la luna. Eraclide Pontico ed Ecfanto Pitagorico fanno muovere la terra, non però di moto traslato, ma rotatorio, infilata in un asse a guida di ruota e girante intorno al proprio centro da occidente ad oriente". Prendendo spunto da qui cominciai anch'io a meditare intorno alla possibilità di un movimento della terra.»
  82. ^ Rivista scientifica, su swif.uniba.it, sito web italiano per la filosofia - Università di Bari - Laboratorio di epistemologia. URL consultato l'11 novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 10 novembre 2013).
  83. ^ Platonicae quaestiones 8, su testimonianza di Teofrasto, e Vita Numae 11.
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Testi
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  • Giovanni Reale (a cura di), I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Hermann Diels e Walther Kranz, Milano: Bompiani, 2006.
  • Maurizio Giangiulio (a cura di) Pitagora - Le opere e le testimonianze. Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 2000
Studi
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  • Mario Alcaro, Roberto Bondi (a cura di), Storia del pensiero filosofico in Calabria, da Pitagora ai giorni nostri, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore, 2012. ISBN 978-88-498-3305-8
  • Graziano Biondi, La favola di Euforbo e Pitagora, manifestolibri, Roma 2009.
  • Bruno Centrone, "L’VIII libro delle “Vite” di Diogene Laerzio", in Aufstieg und Nieder-gang der römischen Welt, Vol. II.36.6, edito day Wolfgang Haase, Berlino, De Gruyter, 1992, pp. 4183-4217.
  • Bruno Centrone, Introduzione a I pitagorici, Roma-Bari, Laterza, 1996.
  • Kitty Gail Ferguson, La musica di Pitagora. La nascita del pensiero scientifico, Longanesi 2009.
  • Carmelo Fucarino, Pitagora e il vegetarianesimo, Editore: Giannone A. 1982.
  • Christiane L. Joost-Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull'arte, traduzione dall'inglese di Pasquale Faccia, Roma, Arkeios, 2008 [2006], ISBN 978-88-86495-92-9.
  • Leonida Lazzari, Pitagora, Editrice Pitagora, Bologna 2007.
  • Lucio Lombardo Radice, La matematica da Pitagora a Newton, Muzzio, Roma, 2003.
  • Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Roma, Carocci editore, 2008.
  • Alfonso Mele, Pitagora: filosofo e maestro di verità, Roma, Scienze e lettere, 2013.
  • Piergiorgio Odifreddi, Pitagora, Euclide e la nascita del pensiero scientifico Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2012.
  • Christoph Riedweg, Pitagora. Vita, dottrina e influenza, Vita e Pensiero, Milano 2007.
  • Augusto Rostagni, Il verbo di Pitagora, Il Basilisco 1982.
  • Bertrand Russell, Storia della filosofia occidentale, traduzione di Luca Pavolini, Milano, TEA, 2014 [1948], ISBN 978-88-502-0514-1.
  • Christoph Riedweg, Pythagoras: Leben–Lehre–Nachwirkung, In italiano: Pitagora. Vita, dottrina e influenza, presentazione, traduzione e apparati a cura di Maria Luisa Gatti, Milano, Vita e Pensiero, 2007. L'opera è significativamente dedicata a Walter Burkert, Monaco di Baviera, 2002.
  • Cerqueiro, Daniel. “Evohé (Doxografía de Pitágoras)”. Buenos Aires 2004: Ed. Peq. Ven. ISBN 987-9239-14-8

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