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Geografia (Strabone)

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Geografia
Titolo originaleΓεωγραφικά, Geōgraphiká
Altri titoliDe situ orbis
Strabonis Geographia cum notis Casauboni et aliorum, Amsterdam, Joannes Wolters, 1707
AutoreStrabone
1ª ed. originale14-23 d.C.
Editio princepsVenezia, eredi di Aldo Manuzio e Andrea Torresano, 1516
GenereTrattato
Sottogeneregeografia
Lingua originalegreco antico
AmbientazioneCiviltà greca

La Geografia (in greco antico: Γεωγραφικά?, Gheographiká)[1] è un'opera in diciassette libri di argomento storico-geografico, scritta in lingua greca dall'erudito greco Strabone, la cui composizione è databile tra il 14 e il 23 d.C.[2]

Tramandata nella quasi totale interezza - con la sola eccezione di qualche lacuna nella parte finale del settimo libro - la Geografia è anche l'unica opera di questo autore che ci sia pervenuta. Si conosce, infatti, l'esistenza di una sua precedente trattazione di argomento storico, la cui stesura intendeva colmare le lacune temporali precedenti e, soprattutto, successive all'arco temporale coperto dall'opera di Polibio; ma di questa estesa composizione, i Commentari storici (Ἰστορικὰ ὑπομνήματα), articolata probabilmente[3] in ben 47 libri,[4] non ci è pervenuto altro che il frammento papiraceo Vogliano 46, conservato presso l'Università degli Studi di Milano,[5] a cui sono da aggiungere brevi e frammentarie citazioni riportate da lui stesso o da altri autori, in particolar modo da Flavio Giuseppe.[6]

Per la vastità dei materiali offerti al lettore, per i frequenti excursus storici, per la precisione dei riferimenti toponomastici, il testo di Strabone è opera fondamentale della storiografia greca e romana, strumento imprescindibile per lo studio di molti aspetti della civiltà e della storia del mondo antico mediterraneo.

Fonti autoptiche

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Strabone, descrive se stesso come un uomo che ha molto viaggiato, come mai avrebbe fatto alcun altro cultore della materia:

«[...] dall'Armenia verso occidente, fino alla Tirrenia di fronte alla Sardegna, e dal Ponto Eusino verso sud fino ai confini dell'Etiopia. Né può trovarsi altra persona, tra chi abbia scritto di geografia, che abbia viaggiato per distanze più lunghe di quanto io stesso non abbia fatto»

E tuttavia la sua esposizione non è quella di un periegeta, come sarà invece nella Guida della Grecia di Pausania. Neppure i suoi viaggi sembrano potersi considerare finalizzati o in qualche modo propedeutici alla realizzazione dell'opera visto che egli sembra servirsi ben poco delle conoscenze acquisite da osservazioni autoptiche: quando queste ricorrono, e sono rarissimi i casi, il contributo che aggiungono è solitamente accessorio e marginale, con l'unica probabile eccezione del caso di Corinto.[7] Ma le scarne annotazioni autoptiche risultano per altro verso preziosissime per la datazione del complesso dell'opera e delle sue singole parti, oltre che per far luce su aspetti della vita e della cronologia di Strabone.

Fonti scritte

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Strabone, invece, dipende in maniera essenziale dalle sue fonti scritte, di volta in volta menzionate nel corso della descrizione o, in buona parte, preventivamente dichiarate.[8] Gli autori a cui attinge sono di varia estrazione: si va da poeti come Omero, da lui definito, in un altro passo, il padre della geografia,[9] a filosofi, matematici e scienziati come Anassimandro, Ecateo, Eraclito, Democrito, Eudosso, Dicearco, Eforo di Cuma, Eratostene, Ipparco, oltre ovviamente a geografi e storici come Polibio, Posidonio, Artemidoro di Efeso, Eforo di Cuma, Apollodoro di Artemita.

Si tratta, a ben vedere, di un repertorio che rinvia costantemente a un ambiente e una tradizione scientifico-letteraria di cultura e lingua greca. Strabone non mostra, infatti, di tenere in gran conto geografi e storici di cultura latina o comunque di estrazione culturale diversa da quella greca:

«Ma delle regioni barbare, remote, piccole e frammentate, di tutte queste le descrizioni non sono né precise né numerose: e tanto più sono distanti dai Greci tanto più aumenta l'ignoranza. Gli storici romani poi imitano quelli greci, ma non pienamente: infatti ciò che dicono lo derivano dai Greci, mentre ciò che di proprio aggiungono non testimonia di una gran sete di sapere, cosicché ogni qual volta occorre una lacuna tra i primi, non viene sufficientemente colmata da questi ultimi, se è vero che gli stessi nomi, quelli più illustri, sono per lo più greci.»

Dati questi presupposti, non stupisce se, perfino nella descrizione della Gallia, Strabone riesce a limitarsi a una sola e fugace menzione dei Commentari redatti da Giulio Cesare nel corso delle sue campagne galliche.[10] In altro luogo dell'opera, volendo riferire della fama oratoria di Menippo di Stratonicea, non può fare a meno di un vago accenno a Cicerone che, avendone ascoltata di persona l'eloquenza, a buon titolo aveva potuto testimoniare il suo apprezzamento in un passo di una sua opera sulla retorica.[11]

Utilizzo delle fonti

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Quello di Strabone è, con tutta evidenza, un lavoro basato su materiali estremamente disparati ed eterogenei, provenienti per di più da epoche diverse, e assai difformi nell'impostazione, nei diversi gradi di approfondimento e nella copertura spaziale e cronologica. Ne risulta, in maniera quasi obbligata, una disomogeneità della trattazione. C'è da aggiungere, comunque, che in Strabone, proprio in vista del carattere unitario della sua concezione geografica, è evidente la tendenza a far uso di un approccio di volta in volta diverso, a seconda dei luoghi descritti; infatti se si ammette, com'è nella sua ottica unitaria, che la sfera geografica non può prescindere dai differenti aspetti umani, economici, ambientali, allora l'approccio ad aree geografiche diverse deve essere ogni volta declinato in funzione delle particolarità dei suoi abitanti.

Peso e limiti della tradizione omerica

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Vi è un altro importante elemento che contribuisce a conferire disomogeneità alla trattazione e incostanza nell'approfondimento, finendo per costituire un limite dell'opera: si tratta dell'accoglimento della testimonianza poetica di Omero quale fonte privilegiata della Geografia. Si è già ricordato il passo programmatico dei prolegomeni in cui l'autore dell'Iliade e dell'Odissea viene definito padre della geografia.[8] A questo va ad aggiungersi, nell'VIII libro (il Peloponneso) una enunciazione di metodo critico:

«Ora, mentre è facile dare un giudizio su quel che hanno scritto gli altri, le notizie date da Omero hanno invece bisogno di una attenta indagine critica, dal momento che egli parla da poeta e, inoltre, non di argomenti attuali, ma molto antichi, che il tempo ha in gran parte offuscato»

Nonostante le premesse, Strabone avverte spesso il bisogno di non dare per scontata questa sua impostazione, preferendone ribadire la necessità ogni volta che se ne presenta l'occasione. Procedendo da queste assunzioni programmatiche, il ruolo attribuito alla tradizione omerica e l'analisi critica che ogni volta ne consegue, comportano un notevole appesantimento dell'esposizione proprio per quei luoghi, come il Peloponneso, nei quali il confronto diretto con la narrazione epica si fa più serrato.[12] Il solo fatto di aver attribuito al poeta epico il ruolo di autorità in campo geografico, secondo Albin Lesky, che vede in questo un influsso della Stoa,[13] costituisce di per sé un limite metodologico che «gli impedisce di penetrare a fondo nelle cose».[14]

Finalità dell'opera e destinatari

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È lo stesso autore a descrivere la scopo formativo e i destinatari della sua opera:

«In breve, questo mio libro dovrebbe essere di utilità generale - a beneficio sia del politico che del comune cittadino - come il mio lavoro sulla Storia. In questo, come in quell'altro lavoro, non intendo per politico la persona completamente illetterata ma qualcuno che abbia seguito il corso regolare degli studi che compete a un uomo libero e a uno studente di filosofia. E così, dopo aver scritto le mie Descrizioni storiche, che ritengo siano state utili per la filosofia politica e morale, mi sono deciso a scrivere anche questo trattato; perché questo lavoro è basato sullo stesso disegno, essendo indirizzato alla stessa classe di lettori, e particolarmente a persone di elevato status sociale. Inoltre, come nelle mie descrizioni storiche [...] così in questo lavoro io non mi soffermo su ciò che è insignificante e indegno di nota, ma rivolgo la mia attenzione su ciò che è nobile e grande, e a ciò che contiene qualcosa di utile, memorabile o divertente. [...] Si tratta infatti di un'opera enorme, che si occupa di fatti relativi alle cose grandi, e nel loro aspetto generale, eccetto per qualche dettaglio minore, laddove può stimolare l'interesse dello studioso o della persona comune. Ho detto tutto questo per mostrare che questo è un lavoro serio, e ben degno dell'interesse di un filosofo.»

In relazione a tale dichiarazione di metodo, e ai destinatari dell'opera, occorre rimarcare come il suo stile, pur senza esprimere particolari qualità, manifesti comunque un'aspirazione alla semplicità che non sembra più di tanto soggiacere ad influssi di impronta atticista[14] e che ha il pregio di garantire alla sua prosa una piacevolezza di lettura che, unita all'interesse per le sue descrizioni, permane immutata ancora oggi. La sua lingua, vicina a quella di Polibio, mantiene il contatto con la lingua viva dell'epoca. Ne risulta una koinè ellenistica ricca di forme popolari e di novità lessicali.[15]

Concezione della geografia in Strabone

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L'Europa nell'oikoumene secondo Strabone.

La materia trattata riguardava la geografia dell'intero ecumene allora conosciuto, in un'accezione che non si riduceva ai soli aspetti della Geografia fisica, ma che teneva in considerazione le relazioni esistenti tra questi ultimi e le connotazioni culturali, etnografiche, storiche, politiche: si tratta di ambiti di indagine appartenenti alla sfera conoscitiva di quello che, con linguaggio attuale, possiamo definire geografia umana e politica.

Importanza del rapporto con l'ambiente

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È notevole ad esempio la sua osservazione su come l'espressione culturale di un popolo dipenda dal suo rapporto con il territorio. Strabone, ad esempio, individua la felice posizione della Grecia sul mare quale uno dei fattori della sua fortuna, stabilendo, in questo caso, un'interessante correlazione tra il progredire della civiltà di un popolo e il suo contatto con l'elemento marino.

Ma riguardo alla relazione con i luoghi, e all'importanza di questa nel condizionare il percorso di una civiltà, la sensibilità del geografo non incorre nell'errore di trascurare gli effetti che, sulla sfera ambientale, sono indotti dall'attività dell'uomo. Così, riferito alla città di Roma:

«Questi sono dunque i vantaggi che la natura ha offerto alla città, ma i Romani, da parte loro, ne hanno aggiunti altri che derivano dalla loro oculata amministrazione. Mentre infatti i Greci ritenevano di aver raggiunto il loro massimo scopo con la fondazione delle città, perché si erano preoccupati della loro bellezza, della sicurezza, dei porti e delle risorse naturali del paese, i Romani hanno pensato soprattutto a ciò che quelli avevano trascurato: a pavimentare vie, a incanalare acque, a costruire fogne che potessero evacuare nel Tevere tutti i rifiuti della città. Selciarono anche le vie che passano attraverso tutto il territorio, provvedendo a tagliare colline e a colmare cavità, cosicché i carri potessero accogliere i carichi delle imbarcazioni; le fogne, coperte con volte fatte di blocchi uniformi, talvolta lasciano il passaggio a vie percorribili da carri di fieno. Tanta è l'acqua condotta dagli acquedotti da far scorrere fiumi attraverso la città e attraverso i condotti sotterranei: quasi ogni casa ha cisterne e fontane abbondanti dovute per la maggior parte alla cura che se ne prese Marco Agrippa, che ha abbellito la città anche con molte altre costruzioni.»

Inclinazioni culturali dei popoli

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Allo stesso tempo, insisteva sul fatto che i fattori ambientali e le interrelazioni con l'attività dell'uomo non erano in grado, da soli, di spiegare la grandezza di un popolo, senza considerarne le inclinazioni: nella determinazione della grandezza della civiltà greca, ad esempio, fermo restando la felicità del rapporto che essa aveva con il mare, Strabone attribuiva un grande peso all'interesse espresso da quella cultura per le arti, la politica, la speculazione scientifica e filosofica.

Spessore diacronico della descrizione

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È evidente inoltre propensione dell'autore a non accontentarsi di una descrizione cristallizzata a un'epoca a lui contemporanea: Strabone indulge spessissimo ad excursus diacronici, a divagazioni sia mitiche che storiche. Non è un fatto casuale; fedele ai suoi precursori, e tra essi in particolare Polibio, Strabone segue una precisa e dichiarata scelta di metodo:

«E tuttavia chi si propone di trattare la geografia della terra deve esporre sia le cose come sono attualmente, sia, in qualche misura, anche come furono prima, soprattutto quando si tratta di cose illustri.»

«Forse non dovrei esaminare così estesamente cose che sono passate, ma limitarmi semplicemente a parlare in dettaglio lo stato attuale delle cose, se non vi fossero su questi argomenti racconti che abbiamo appreso fin da bambini»

Conoscenza geografica e filosofia

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L'investigazione geografica ha, in Strabone, una portata eminentemente filosofica.

Nella concezione di Strabone, come si può vedere dal passo precedentemente citato,[17] quella geografica è una forma di conoscenza che occupa un posto di grande rilievo. Così si esprime in apertura dell'opera:

«La scienza della Geografia, che mi propongo ora di investigare è, a mio parere, tanto quanto le altre scienze, di competenza del filosofo»

La larghezza di vedute che essa presuppone, la vastità di conoscenze che pone in gioco, sono prerogativa di chi, per sua natura, è incline alle speculazioni sul senso più profondo dell'esistenza, la ricerca filosofica della felicità:

«[...] l'ampiezza del sapere, la sola in grado di render possibile l'intraprendere lo studio della geografia, è prerogativa di chi ha saputo speculare sulle cose sia umane che divine, la conoscenza delle quali si dice costituisca la filosofia. [...] l'utilità della geografia, intendo dire, presuppone che il geografo sia egli stesso un filosofo, un uomo che impegna se stesso nella ricerca dell'arte di vivere, o detto in altro modo, della felicità.»

Matematica, geometria, astronomia

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L'autore poi si intrattiene spesso, nei Prolegomeni dei primi due libri, a discutere sull'importanza della matematica e della geometria nella conoscenza geografica:

«Mi sembra, come ho già detto, che in una materia come la geografia sia prima di ogni cosa necessaria la geometria e l'astronomia; [...] perché senza i loro metodi non è possibile determinare accuratamente configurazioni geometriche, fasce climatiche latitudinali, dimensioni, e altre questioni collegate; ma siccome queste scienze dimostrano, in altri trattati, tutto quello concerne alla misurazione della terra nel suo complesso, io potrò dare per assodato che l'universo è di forma sferica, che la superficie della terra è sferica e, soprattutto, dare per presupposto la legge che precede questi due principii, cioè che i corpi sono attratti verso il centro»

Ma sono proprio le confutazioni in cui si produce e le discettazioni che egli intesse, in rapporto agli autori che l'hanno preceduto, a rivelare come questi campi di conoscenza non dovessero essere quelli a lui più congeniali.[14][15]

Fortuna dell'opera

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Il successo della Geografia di Strabone, nei due secoli successivi, non dovette essere proporzionale alla grandiosità della concezione e alla vastità del materiale presentato. Appare strano infatti, proprio in relazione a tali peculiarità che il testo straboniano sia completamente trascurato, per un paio di secoli, da logografi e scrittori greci e latini di geografia: Tolomeo arriverà a scrivere la sua importante Geografia trascurando completamente il testo straboniano; ma già Plinio, per altri versi un affastellatore acritico di notizie, mostra di ignorare completamente Strabone. In seguito, fino al V secolo, l'opera si guadagna qualche rara citazione, ma perché essa riceva la dovuta attenzione bisogna aspettare il secolo successivo quando Stefano di Bisanzio, nella redazione del suo lessico Ethnikà, incorporerà frequenti notizie attinte dal testo straboniano. Di questa epoca ci sono pervenuti una trentina di papiri, databili presumibilmente al periodo dal 100 al 300.[18]

Medioevo e Umanesimo

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Queste caratteristiche suscitarono invece un interesse maggiore in epoche successive, Medioevo e Umanesimo, tanto da favorire la trasmissione quasi integrale del testo fino ai giorni nostri. L'esposizione è infatti letteralmente costellata di annotazioni del genere più disparato: storia, miti di fondazione, mitologia, cultura, ambiente, opere d'arte; tutti questi elementi concorrono insieme a fare dell'opera una fonte inestimabile di informazioni.

Età contemporanea

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Il ritrovamento dei resti del santuario di Hera Argiva alla foce del Sele è stato guidato dalla fedele indicazione topografica del testo di Strabone

La visione geografica di Strabone, sottesa nella sua trattazione, ha suscitato l'attenzione e l'apprezzamento di importanti geografi del XIX e XX secolo, fondatori di una nuova concezione della geografia, come Friedrich Ratzel e Paul Vidal de la Blache.

I pregi della Geografia di Strabone ne hanno fatto col tempo uno strumento imprescindibile nello studio di tanta parte del mondo antico mediterraneo, nelle diverse implicazioni storiche, geo-topografiche, etnografiche, toponomastiche e archeologiche, tanto che essa è oggetto di frequentissime citazioni in studi moderni.

Non è un caso se importanti opere sul mondo antico mediterraneo sono largamente intessute di corsivi estratti dall'opera di Strabone. Esempi ne sono Jean Bérard, La Magna Grecia, Torino, 1963 e Mario Napoli, Civiltà della Magna Grecia, Eurodes, 1978.

La puntualità delle sue descrizioni, le preziose digressioni storiche, la precisione delle annotazioni topografica, sono elementi che sono di basilare importanza nell'inquadramento e nella soluzione di problemi di indagine archeologica. Un esempio eclatante risale al 1934, quando l'appassionata ricerca di due intellettuali confinati, Umberto Zanotti Bianco e Paola Zancani Montuoro, orientata proprio dalle parole di Strabone, rese possibile una delle più importanti scoperte dell'archeologia greca del XX secolo, lo spettacolare ritrovamento dei resti dell'Heraion alla foce del Sele, le cui origini mitiche risalgono a Giasone e gli Argonauti, con l'importante ciclo narrativo-metopale di epoca arcaica:

«Dopo la foce del fiume Silaris, si giunge alla Lucania e al santuario di Era Argiva[19], fondato da Giasone. Vicino, a 50 stadî, sorge Posidonia

Questa è invece la descrizione di Plinio:

«Da Sorrento al fiume Sele, si estende per 30 miglia l'agro Picentino,[20] che fu degli Etruschi, famoso per il tempio costruito da Giasone in onore di Giunone Argiva. All'interno vi troviamo le città di Salerno e Picentia. Dal Sele, inizia la Regio tertia e il territorio dei Lucani e dei Bruttii [...]»

È da rimarcare la differenza abissale tra la descrizione di Strabone e l'indicazione di Plinio: l'erudito romano colloca infatti il santuario sulla destra idrografica del fiume, nell'ager Picentinus, territorio che un tempo fu degli Etruschi. L'imprecisione di questo passo è stata all'origine dell'incertezza topografica fino alla scoperta dello Heraion alla foce del Sele nel XX secolo.

  • Libro I e II, I Prolegomena, a cura di Federica Cordano e Gabriella Amiotti, Tivoli, Tored, 2013. ISBN 88-88-61740-X
  • Libro III e IV, Geografia. Iberia e Gallia, BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), Francesco Trotta (a cura di), 1996. ISBN 88-17-17114-X
  • Libro V e VI, Geografia. L'Italia, BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), Anna Maria Biraschi (a cura di), 1988. ISBN 88-17-16687-1
  • Libro VIII, Geografia. Il Peloponneso, BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), Anna Maria Biraschi (a cura di), 1992. ISBN 88-17-16859-9
  • Libro XI e XII, Geografia. Il Caucaso e l'Asia minore, BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), Roberto Nicolai e Giusto Traina (a cura di), 2000. ISBN 88-17-17339-8
  • L'Anatolia Meridionale in Strabone - Libro XIV della "Geografia", Edilibri, Nicola Biffi (a cura di), 2009. ISBN 978-88-7228-569-5
  • L'Estremo Oriente di Strabone. Libro XV della "Geografia", Edilibri, Nicola Biffi (a cura di), 2005. ISBN 88-7228-450-3
  • Il Medio Oriente di Strabone. Libro XVI della "Geografia", Edilibri, Nicola Biffi (a cura di), 2002. ISBN 978-88-7228-356-1
  • L'Africa di Strabone. Libro XVII della "Geografia", Edizioni Dal Sud, Nicola Biffi (a cura di), 1999. ISBN 88-7553-025-4
  1. ^ Indicata anche, fino al V secolo, con il titolo di Geographoúmena.
  2. ^ Francesco Sbordone, L’impero di Tiberio e la redazione definitiva della «Geografia» di Strabone, in Liceo ginnasio statale G. Bruno (Maddaloni). Nel CL annuale della fondazione (1807-08/1957-58). Annuario celebrativo, Caserta, Tip. E. Farina, 1958, pp. 51-59. Bisogna comunque sempre ricordare che nell'opera (XVII 3, 7) è menzionata come recente la morte di Giuba II di Mauretania, avvenuta nel 23 d.C.
  3. ^ Albin Lesky, Op. cit., Vol. III, p. 958.
  4. ^ I primi quattro libri coprivano gli eventi fino al 144 a.C., già trattati da Polibio e costituivano i prolegomeni alla parte successiva (probabilmente in 43 libri) nella quale si realizzava l'intenzione, dichiarata già nel sottotitolo «storia dell'età posteriore a Polibio» (Τά μετά Πολύβιον), di coprire estesamente il periodo successivo all'opera di Polibio, dal 144 a.C. all'età augustea; cfr. Albin Lesky. Op. cit., Vol III, p. 958.
  5. ^ Per le edizioni di questo frammento si veda Strabo: Papyri Archiviato il 28 febbraio 2008 in Internet Archive. di Sarah Pothecary, citato tra le fonti.
  6. ^ Va segnalato che le frequenti citazioni di Strabone fatte da questo autore, sono sempre prive del titolo dell'opera cui si riferiscono. Si veda: Sir William Ridgeway, Contributions to Strabo's Biography, citato in bibliografia.
  7. ^ Sulle finalità non documentarie dei viaggi si veda l'introduzione di H.L. Jones all'edizione Loeb, p. xxiii, disponibile su LacusCurtius, in cui peraltro viene smorzata l'enfasi posta da Strabone sulla sua esperienza di viaggiatore. Si vedano poi in particolare, a p. xxiv, le considerazioni di Ettore Pais sulle circostanze e le motivazioni non documentarie che ispirarono i viaggi di Strabone.
  8. ^ a b Strabone, Geografia. i 1, 1.
  9. ^ Strabone. Geografia. i 1, 2.
  10. ^ Strabone. Geografia. iv 1, 8-11.
  11. ^ Strabone. Geografia. xiv 2, 25. Anche se non indicato da Strabone in maniera esplicita, il passo ciceroniano è riconoscibile in Brutus, 315 ((LA) su The Latin Library).
  12. ^ Anna Maria Biraschi. Introduzione e note all'VIII libro, p. 23, BUR, 1992.
  13. ^ Nella formazione di Strabone, improntata a un certo eclettismo, ha un peso considerevole il filone culturale e dottrinario dello stoicismo, come da lui affermato in vari passi, che si affianca alla sua formazione peripatetica. Fu certamente amico di Atenodoro di Tarso (XVI, 4 21) e del suo discepolo Augusto. Subì l'influenza del maestro di Atenodoro, lo stoico Posidonio, importante filosofo ma anche geografo, che Strabone enuncia tra le sue fonti nel passo già citato. È molto dubbia invece la circostanza di una frequentazione diretta di Posidonio, ricavabile da un frammento del VII libro.
  14. ^ a b c Albin Lesky. Storia della letteratura greca. Milano, Il Saggiatore, 1984, Vol. III, p. 1083.
  15. ^ a b Aristide Colonna. La letteratura greca. Lattes, Torino, 1973 pp. 697-698
  16. ^ https://www.romanoimpero.com/2020/08/strabone-strabo.html
  17. ^ Strabone. Geografia, i, 22-23.
  18. ^ Si veda il sito Strabo: Papyri Archiviato il 28 febbraio 2008 in Internet Archive. di Sarah Pothecary, citato tra le fonti.
  19. ^ Il riferimento va letto alla città della Tessaglia, legata al mito degli Argonauti, e non alla Argo del Peloponneso.
  20. ^ È il territorio etrusco che, a sud di Salerno e a nord del fiume Sele, si distende tra i monti Picentini e il Tirreno, prendendo il nome da Picentia, città non ben identificata, ma corrispondente forse all'odierna Pontecagnano. Si Veda M. Napoli, in Studi Etruschi, XXXIII (Serie II), 1965, pp. 661-670.
  • Strabone, Geografia: L'Italia, a cura di Anna Maria Biraschi, Libri V, VI, BUR, 1988, ISBN 88-17-16687-1.
  • Strabone, Geografia: Il Peloponneso, a cura di Anna Maria Biraschi, Libro VIII, BUR, 1992, ISBN 88-17-16859-9.
  • Albin Lesky. Storia della letteratura greca. Milano, Il Saggiatore, 1984, Vol. III
  • Aristide Colonna. La letteratura greca. Lattes, Torino, 1973
  • (EN) Contributions to Strabo's Biography, in Classical Review, Vol. 2 (1888), p. 84 (disponibile su LacusCurtius)

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Alcune edizioni digitalizzate
  • (GRC) Strabo, Geographica, Basileae, Heinrich Petri, 1549. URL consultato il 21 aprile 2015.
  • (GRC) Strabo, Geographica. 1, a cura di Johann Philipp Siebenkees, Lipsiae, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, 1796. URL consultato il 21 aprile 2015.
  • (GRC) Strabo, Geographica. 2, a cura di Johann Philipp Siebenkees, Lipsiae, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, 1798. URL consultato il 21 aprile 2015.
  • (GRC) Strabo, Geographica. 3, a cura di Johann Philipp Siebenkees, Lipsiae, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, 1801. URL consultato il 21 aprile 2015.
  • (GRC) Strabo, Geographica. 4, a cura di Johann Philipp Siebenkees, Lipsiae, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, 1806. URL consultato il 21 aprile 2015.
  • (GRC) Strabo, Geographica. 5, a cura di Johann Philipp Siebenkees, Lipsiae, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, 1808. URL consultato il 21 aprile 2015.
  • (GRC) Strabo, Geographica. 6, a cura di Johann Philipp Siebenkees, Lipsiae, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, 1811. URL consultato il 21 aprile 2015.
Alcune traduzioni digitalizzate
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