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Discussioni utente:Fedefro/Sandbox

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Il Mito delle Sirene

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Ligea (dal greco antico Λιγεια), Partenope (dal greco antico Παρθενόπη ) e Leucosia (in greco Λευκωσία ) sono figure della mitologia dell’antica Grecia e di Roma. Si tratta di esseri marini, o comunque acquatici, dal temperamento malevolo, che sfruttano le loro doti di seduzione, mostrando la parte superiore del corpo, per attrarre ignari giovani, ed ucciderli trascinandoli nel mare.[1] Nell’arte greca, fin dal periodo arcaico, sono raffigurate con busto di donna dalle braccia nude e con corpo di uccello con coda e ampie ali.[2] Questi esseri mitologici dal canto ammaliatore, o bellissime e sognanti principesse, sono le tre Sirene a cui i secoli hanno dedicato altrettante leggende. Tre spiriti che proteggerebbero ancora i luoghi in cui si consumarono le loro esistenze.[3]


Le tradizioni che riguardano le sirene sono estremamente confuse e discordanti tra di loro.[4] Secondo la leggenda le sirene rappresentavano una vera e propria minaccia per i marinai. Annidate sugli scogli, con la dolcezza del loro canto ammaliavano i naviganti che costeggiavano le sponde del Tirreno, dal Circeo a Scilla, che perdevano il controllo delle navi e facevano naufragio, finendo per essere divorati. Il mito venne introdotto su queste coste tirreniche dai coloni greci che vi si stabilirono a partire dall’VIII secolo a. C.[5] Omero, il primo a menzionarle, ne parla usando il duale, sottintendendo dunque che si tratta di una coppia; tuttavia nella tradizione figurativa e in quella letteraria sono generalmente tre[6]: Partenope (‘quella che sembra una vergine’), Leucosia (‘quella che ha candide membra’) e Ligea (‘la melodiosa dalla voce incantevole’).[7] Non mancano però le eccezioni che parlano di quattro o addirittura di otto sirene, come fa Platone. Uguale incertezza c'è sui loro nomi: in un dipinto vascolare troviamo il nome di Imeropa; ma poi abbiamo le triadi Thelxinoe, Aglaope, Pasinoe e Partenope, Leucosia, Ligea; e la tetrade Teles, Raedne, Molpe e Thelxiope. In tutto sono undici denominazioni differenti, talvolta legate a miti locali, come Partenope alla fondazione di Napoli. Platone dice che esse sono figlie di Forco e Ceto divinità, marine ambedue, fratello e sorella incestuosi, da cui nascono numerosi altri mostri celebri della mitologia greca, tra cui Scilla, Echidna, le Graie[8]. Esse sarebbero state mutate in uccelli da Demetra per punirle di non aver aiutato la loro compagna di giochi Persefone (figlia di Zeus e Demetra), quando Ade (il dio degli inferi) la rapì mentre insieme a loro stava cogliendo fiori nella pianura di Enna, trascinandola nell’Averno.[9] Secondo una leggenda, le tre sirene si uccisero gettandosi in mare poiché Ulisse aveva resistito al loro canto melodioso e ammaliatore.[10] Profondamente turbate dalla loro sconfitta dinanzi alla sfida vittoriosa di Ulisse, si gettarono in mare, lasciandosi annegare. La loro esistenza aveva perduto ogni significato.[11]

"Ligea urlò, presa dal terrore, vedendo sua sorella Partenope lanciarsi giù da una rupe. Ancora tremante trovò il coraggio di affacciarsi. La spuma bianca del mare era tinta di sfumature vermiglie, mentre le onde lambivano il corpo senza vita e la lunga pinna argentata di quella che una volta era stata sua sorella, la sirena Partenope. Poi la giovane sirena sentì un tuffo. Si voltò: sua sorella Leucosia era scomparsa nel mare. Poco distante la sua coda emerse solo per un flebile momento, prima di inabissarsi per sempre, prima di allontanarsi chissà dove. Per Partenope fu la rabbia, la frustrazione del fallimento. Per Ligea fu invece l’oppressivo senso di solitudine che la pervase all'improvviso, potente come colpo sferrato con ferocia e cattiveria. Non resistette nemmeno lei. Un'intera vita condannata a sentirsi sola, senza le sue amate sorelle. E fu così che la sirena Ligea prese la stessa decisione di sua sorella Partenope. Ligea attese ancora qualche giorno. Aspettò che il mare scatenasse la sua furia, in una di quelle spaventose tempeste che negli anni lei aveva imparato e temere. Il cielo era grigio e terribile come un tiranno di piombo, mentre le onde del mare erano muri d'acqua che si abbattevano sugli scogli. Quello che era stato il suo mondo sarebbe stato anche la sua tomba. La sirena si lasciò cadere nel mare. Si abbandonò completamente a esso[12], facendosi trasportare dalle onde, senza opporre resistenza, lasciando che fossero i flutti a scegliere della sua vita"[13]

Le onde del mar Tirreno avrebbero rigettato il corpo galleggiante di Partenope sulla spiaggia della Campania dove poi sorse Napoli (chiamata anche Partenope), quello di Leuocosia sul lido di Posidonia (Paestum), da cui il nome di Leucosia dato a un'isoletta presso quella città, e quello di Ligea sulla riva tirrenica della Calabria presso Terina. Sulla tragica fine delle Sirene ne parla Apollonio Rodio (III sec. a. C.) nel suo poema Le Argonautiche:

Dopo aver conquistato il Vello d'oro, Giasone e gli Argonauti, dopo numerosissime avventure, e dopo aver toccato anch'essi l'isola di Circe, giungono al Mare delle Sirene, di fronte al cui canto resterebbero inermi se Orfeo, il mitico cantore, imbarcato proprio con questo scopo, non suonasse ancora più dolcemente di loro, e non impedisse così che tutti i marinai si gettino in mare per raggiungerle. Solo uno di loro, Bute, soggiace al fascino delle seduttrici, ma viene salvato da Afrodite. Secondo alcune versioni, dopo questo smacco le sirene si gettano dalla loro rupe uccidendosi. Secondo altre questo suicidio avverrebbe solo una generazione dopo, al passaggio di Ulisse, che costituisce per le sirene il secondo grave smacco.[14] Apollonio Rodio, nelle Argonautiche (IV, 891-902) racconta non solo del loro canto ma fornisce tutta una serie di informazioni che riguardano il loro aspetto.[15]

«Erano già in vista della bella Abthemòessa, l’isola delle melodiose Sirene, le Acheloidi, ammaliavano con dolci canti e uccidevano chiunque gettasse le gomene per approdare. Le generò l’unione con Acheloo della leggiadra Tersicore, una delle Muse. Della gloriosa figlia di Deo una volta erano al servizio, quando ancora era vergine e insieme a lei cantavano: ora, invece, simili in parte ad uccelli si mostravano, in parte a giovani vergini. Stavano bene in vista, sempre di vedetta su un porto dal facile ormeggio, e spesso sorprendevano molti durante il dolce ritorno li logoravano con una lenta consunzione».[16]


Le origini della leggenda

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L'origine delle leggende su queste creature fantastiche risale alla notte dei tempi. Poiché sono state tramandate e riscritte per millenni da autori diversi, è difficile individuare esattamente una data di nascita del mito. Non esistono fonti certe o testimonianze attendibili che possano darci conferme. Secondo la storia, tutto parte con Acheloo, un'importante divinità fluviale nel panteon greco, largamente trattata nella mitologia della penisola.[17] Meno certa è la maternità: si parla di due delle Muse Calliope e Tersicore o di una donna dell'Etolia, regione in cui scorre il fiume Acheloo (oggi Aspropotamo), di nome Sterope.[18] Si narra che Acheloo ingaggiò una lotta contro Eracle (ovvero Ercole) perché entrambi volevano sposare Deianira, la figlia del re degli Etoli. Durante il combattimento, il dio greco assunse l'aspetto di diverse creature spaventose per intimidire Eracle. Nello specifico, si trasformò prima in un toro, poi in un drago e infine in un bue. Durante quest'ultima trasformazione, Eracle gli strappò un corno, ferendolo. Dalla ferita uscirono tre gocce di sangue e da ciascuna goccia nacque una sirena. Per questo motivo le sirene erano originariamente chiamate anche Acheloidi.[19] Per quanto riguarda l'aspetto fisico delle sirene, non ci sono incertezze: anche se Omero non le descrive ci sono numerose raffigurazioni vascolari e scultoree, nonché le descrizioni di autori più recenti, che ne testimoniano la forma ibrida, col corpo di uccello e la testa femminile. Nel tempo questa forma attenua i suoi caratteri ornitomorfi: compaiono le braccia umane, il seno, poi tutto il busto; successivamente solo le zampe restano a forma di uccello, finché non si perdono, in epoca alessandrina, anche questi ultimi residui di ibridismo. Quello che resta invece incerto è il motivo di questa forma. Sembra che esse fossero all'inizio del tutto umane, e che la loro parziale trasformazione in uccelli sia conseguente ad un evento, che varia però a seconda degli autori. Per Ovidio esse erano compagne di giochi di Persefone, alla quale stavano insieme anche quando il tenebroso Ade l'aveva rapita; allora esse avevano chiesto agli dei di diventare uccelli per poter cercare la loro compagna in mare e per terra. Secondo altre versioni sarebbe stata invece Demetra a trasformarle così, come punizione per non aver cercato di impedire il ratto della figlia.[20] Un'altra versione, invece, narra che in origine le sirene erano le sacerdotesse di Afrodite, che praticavano la prostituzione sacra così come avveniva in Oriente e nell’Asia Minore col culto di Ashtart dei Fenici (Astarte) e della dea Ishtar dei Babilonesi (Ištar). Con i proventi ricavati dall'esercizio di quella professione le sacerdotesse si costituivano la dote. Il loro aspetto metà umano e metà animale fu causato dalla dea Afrodite, la quale, irata per il disprezzo mostrato verso le sue storie amorose, decise di punirle.[21] La dea le esiliò sull'isola di Antemoessa (che significa fiorita) corrispondente probabilmente a Ischia o a Capri.[22] Elio Erodiano, grammatico alessandrino, figlio di Apollonio Discolo e contemporaneo all'autore del Fisiologo greco, racconta una storia differente che restituisce per la prima volta un’immagine delle sirene più vicina a quella conosciuta dai contemporanei o comunque prossima all'elemento acquatico. La vicenda a cui si riferisce Erodiano, narrata anche da Pausania il Periegeta, riporta i fatti capitati nel cosiddetto Mousèion, luogo di culto dedicato alle Muse, nel quale si svolse una gara di canto tra Muse e Sirene che si concluse con la vittoria delle prime e la sconfitta delle seconde, le quali, per la vergogna, si strapparono le ali dalle spalle e poi si gettarono in mare diventando bianche. Sembra quasi che con il tempo la costante vicinanza di queste creature al mare, per quanto alate, avrebbe comunque finito per trasformarle in creature marine; dato che le stesse arpie già dominavano i cieli, le sirene sembravano destinate ad abbandonare l'aria per impadronirsi del regno dell'acqua.[23] Un aspetto fondamentale è il legame delle sirene con il pericolo e la morte; sia attraverso i riferimenti al ratto di Proserpina negli inferi; sia attraverso lo stesso comportamento mortifero delle sirene che, se non riescono ad uccidere, si uccidono esse stesse. Questa correlazione con la morte si evidenzia soprattutto nella loro forma più antica di uccelli dal viso umano, pervenuta certamente attraverso l'Egitto, dalle raffigurazioni del Ba, l'anima uccello del defunto. Le stesse sirene greche sono rappresentate molte volte sui sarcofaghi, con in braccio una figura umana minuscola che è l'anima del defunto. Queste tre tematiche non sono scisse tra di loro; il mondo acquatico rimanda da un lato al sapere, comune a tutti gli esseri dell'acqua, ma dall'altro ha stretti rapporti con la morte; oltre ad essere mortale e pericolosa di per sé, l'acqua è anche il tramite necessario per l'aldilà, sia che si vada verso una nuova vita (Isola dei Beati), sia verso la morte definitiva degli inferi. L'attraversamento dell'acqua è la prova necessaria per il passaggio tra due livelli di realtà, quello profano e quello sacro. Questa connessione molteplice tra i temi, porta anche ad una loro interscambiabilità. E così nel tempo, accanto a quella progressiva umanizzazione che si produce nell'iconografia delle sirene, si verifica parallelamente uno spostamento delle valenze dal mondo propriamente infero dei modelli egiziani, a quello marino, legato alla conoscenza iniziatica. Dal concetto oggettivo di morte materiale si passa cioè a quello simbolico della morte-rinascita, ottenuta attraverso l'iniziazione.[24] Le sirene sono quindi strettamente collegate all'oltretomba. Il loro aspetto bello e dolce serve proprio ad ammaliare gli uomini che vi si trovano nei paraggi, al fine di accompagnarli nel cammino verso la morte.[25]


Le Sirene e Ulisse

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La mitologia classica ha fatto costantemente riferimento alle sirene come una sorta di "muse del mare" dal dolcissimo ed ammaliante canto che attirava i naviganti prima nell'oblio della loro patria e dei loro più cari affetti e poi conducendoli alla rovina. Già allora il loro significato appariva quello ben noto ai marinai: un mare disteso e tranquillo che così però nascondeva i numerosi e terrificanti pericoli della navigazione.[26] La storia della sirena Ligea e delle sue consorelle Partenope e Leucosia è narrata in molte produzioni letterarie antiche, in primis, nell'Odissea, ove si celebra il loro melodico canto, in grado di attirare le navi, fino a farle naufragare. Navi di marinai e pescatori, tra cui, l'unica che riuscì a resistere al loro tranello, fu quella del Re Ulisse[27] che avviene nel libro XII dell’Odissea. La tappa sull'isola delle sirene è tra i racconti più avventurosi e famosi di Ulisse che, dopo il viaggio nell’Ade (Libro XI) torna nuovamente da Circe che mette in guardia l'eroe e lo istruisce su come dovrà affrontare i rischi che lo attendono ancora nel suo viaggio: le Sirene e le vacche del dio Sole.[28]

« Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti gli uomini incantano, chi arriva da loro. A colui che ignaro s'accosta e ascolta la voce delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini gli sono vicini, felici che a casa è tornato, ma le Sirene lo incantano con limpido canto, adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa di uomini putridi, con la pelle che raggrinza ».[29]

La mattina seguente la nave di Ulisse e i suoi compagni riparte. Ulisse, previdente, segue i consigli della maga e ottura con la cera le orecchie dei compagni per sfuggire al pericolo di essere uccisi dalle sirene, e si fa legare all'albero della nave perché non vuole rinunciare ad ascoltare la loro voce. Ulisse, desideroso di conoscere e di sfidare ancora una volta la sorte, vuole udire quel canto stregato. Mentre i compagni remano con grande forza per oltrepassare il pericolo, ecco che le Sirene chiamano Ulisse e lo invitano a rimanere con loro. L'eroe vorrebbe slegarsi, ma Perimede ed Euriloco lo stringono all'albero ancora più forte. Così Odisseo e i suoi compagni passano incolumi accanto alla pericolosa isola e proseguono il viaggio verso Scilla e Cariddi.[30] Aveva potuto cosi ascoltare il letale canto delle sirene senza pericolo, ed aveva potuto conoscere le loro irresistibili armi seduttive, basate non sul sesso (come quelle delle Sirene che oggi conosciamo), seduzioni contro le quali a poco sarebbe servito chiudere le orecchie dei marinai, sfiancati da anni di guerra e di peregrinazioni; ma sull'intelletto, sulle lusinghe di una conoscenza senza limiti, che il loro canto offriva.[31] Sarà Ulisse a raccontare l'avventura nel palazzo di Alcinoo.

“Così cantavano modulando la voce bellissima, e allora il mio cuore voleva sentire, e imponevo ai compagni di sciogliermi, coi sopraccigli accennando; ma essi a corpo perduto remavano. E subito alzandosi Perimede ed Euriloco nuovi nodi legavano e ancora più mi stringevano. Quando alla fine le sorpassammo, e ormai né la voce più delle Sirene udivamo, né il canto, in fretta la cera si tolsero i miei fedeli compagni, e dalle corde mi sciolsero”. [32]

La tradizione, accolta anche da Virgilio, colloca l'isola delle sirene dell'episodio narrato da Omero in un gruppo di scogli a Sud della penisola di Sorrento, al largo delle Isole Sirenuse. Secondo altri, invece, le sirene vivevano su un'isola tra Scilla e Cariddi, nello Stretto di Messina.[33]

"Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei, e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce. Nessuno è mai passato di qui con la nera nave senza ascoltare con la nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose " [34]

È dunque un canto che è una promessa: se Ulisse si fermerà presso di loro, se ne andrà "sapendo più cose". Il canto delle sirene sembra una melodia che crea dipendenza in chi lo ascolta, che stordisce di dolcezza e calore, come il loto, come il vino, ma è più pericoloso perché cantando, promettono di assecondare la sete di conoscenza estrema che porta però solo morte e rovina nell'animo umano. Anche Ulisse è fortemente tentato, ma è costretto ad ascoltarle senza potersi fermare sull'isola. Omero, in questo libro, le condanna: cedere a questa tentazione porta a rompere i legami famigliari e a morire. Ulisse quindi deve fuggirle e non deve interrompere il suo viaggio.[35] Grazie all'astuto ed elaborato stratagemma dei tappi di cera nelle orecchie, Ulisse passò incolume l'ostacolo delle tre sirene che, come racconta Omero nell'Odissea, per il dispiacere, si gettarono in mare, tramutandosi in roccia. Queste tre piccole isole corrispondono all'immaginario comune a " Li Galli " , Gallo Lungo, Castelluccio e la Rotonda, situati in prossimità di Punta Campanella. Come ringraziamento agli dei olimpici per averlo favorito nella sua impresa, Ulisse eresse un tempio in onore alla dea Atena, proprio a Punta Campanella denominata “Capo Ateneo”.[36]


Terina e Ligea

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Terina, città della Magna Grecia, eretta dai Crotoniati nel VI secolo a.C, storicamente vide i suoi abitanti dispersi da Annibale nel 203 a.C., e la sua vera e propria fine, ad opera dei Saraceni nel 950 circa, allorquando distruggendo Lamezia (oggi Sant’Eufemia) ed Aiello, di conseguenza distrussero appunto anche Terina, posta proprio nel mezzo, tra le due.[37] Da poco più di un secolo un ristretto numero di studiosi si occupa delle monete di Terina alla ricerca di spiegazioni convincenti che schiariscano la nebbia che avvolge gli splendidi coni della città tirrenica ritenuti, al pari di quelli di Siracusa, creazioni del miglior periodo dell’arte classica. La ricerca pone attenzione su molteplici aspetti, dalla nascita (cronologia) alla interpretazione dei tipi, dalla circolazione all'impatto artistico dell'unico elemento diretto, reale e certo che abbiamo della città di Terina: le sue monete.[38] Sulle splendide monete coniate a Terina, alcune delle quali sono ritenute dei capolavori della numismatica antica, c'è la più antica testimonianza delle acque termali di Caronte. Infatti, sul dritto c'è impresso il dolce profilo di una fanciulla alata mentre riempie un vaso d'acqua ad una sorgente che sgorga dalla testa di un leone, chiara simbologia iconografica di una fonte sacra. Si tratta della rappresentazione del simulacro della Sirena Ligea (la melodiosa), la cui salma, sospinta dalle onde del Tirreno, fu gettata sulla spiaggia del golfo lametino dove ricevette onorata sepoltura dalle pietose mani dei naviganti e a cui più tardi i terinei elevarono culto religioso. E la Sirena avrebbe rappresentato la personificazione della città di Terina (che significa ‘la tenera’). La sirena Ligea, raffigurata con un busto di donna con le braccia nude ed il corpo di uccello con coda e ampie ali, compare in varie monete di Terina, seduta su un cippo mentre gioca con una palla, oppure mentre riempie un'anfora con l'acqua che sgorga dalla bocca di un leone. Inoltre Ligea compare in statue isolate ed in rilievi ad ornamento di tombe, in genere mentre suona la cetra, oppure in vasi dipinti, mosaici, pitture e sarcofagi romani. E' il mito della Sirena Ligea del poeta calcidese Licofrone (330 a. C. circa) nei versi del poema Alessandra.[39]

“E Ligea pertanto sarà sbalzata presso Terina sputando acqua di mare; e i naviganti la seppelliranno nella sabbiosa spiaggia presso le rapide correnti dell'Ocinaro; e questo, forte nume dalla fronte cornuta, con le sue acque bagnerà il sepolcro e tergerà il busto dell’alata fanciulla […]. Altri, stanchi di vagare penosamente di qua e di là, si stanzieranno nel paese di Terina, dove bagna la terra l’Ocinaro versando le sue limpide acque nel mare”.[40]

In questi versi il nome di Ligea e quello di Terina appaiono associati e la fonte e l'anfora simboleggiano il fiume Ocinaro (l'attuale Bagni) che attraversa Caronte e che con le sue acque tergeva il sepolcro della sirena Ligea nel mito cantato da Licofrone. Le onde del mar Tirreno avrebbero rigettato il corpo galleggiante di Ligea sulla riva tirrenica della Calabria presso Terina. Sulle monete di Terina, la figura alata di Ligea è accompagnata da alcuni attributi caratteristici di Afrodite, evidentemente attributi della divinità trasferiti alla sacerdotessa della stessa. Infatti su una faccia c'è una fanciulla alata che reca in mano una colomba o una lepre e un ramoscello di mirto. Sull'altra faccia una figura muliebre alata, assisa su un poggio e volta a sinistra, che stringe nella mano sinistra un caduceo e con la destra tiene un'anfora appoggiata sulle ginocchia, nella quale cade l'acqua che scorre da una testa di leone (simbolo di una fonte) situata su una muraglia di pietre e ai piedi si vede un cigno nuotante nella fontana. La colomba, la lepre e il ramoscello di mirto sono i simboli di Afrodite attribuiti alle sue alate sacerdotesse (dette ierodule). Alla schiera delle ierodule si possono ascrivere le Sirene, ossia le fanciulle che incantavano col fascino della loro voce e dei loro amorosi richiami i naviganti. Le sirene cantavano, suonavano, danzavano proprio come le meretrici dell'antichità che erano cantatrici, suonatrici e ballerine. Erano esseri graziosi, allegri, canori come gli uccelli e perciò erano rappresentate alate o in forma di uccelli o di fanciulle-uccelli. Esse abitavano nei paesi di mare, nei porti, perché la prostituzione sacra era praticata con stranieri e perciò erano dette le muse del mare, le figlie di divinità marine, esse stesse divinità marine, e più tardi furono rappresentate come fanciulle fino alla cintola e nel resto pesci. Il fascino maggiore delle Sirene, quello che ha colpito di più la fantasia dei naviganti, stava comunque nella loro dolcissima voce. Dunque, il mito di Ligea, cantato da Licofrone, è legato all'esistenza di Terina, recentemente portata alla luce nell'area denominata Jardini di Renda posta a sud di Caronte a poca distanza, interrata dalle piene del Bagni dopo la sua distruzione ad opera di Annibale.[41] Nel 1998 nella Piazzetta S. Domenico, a Nicastro (oggi Lamezia Terme), hanno inaugurato una statua, opera dell'artista Dalisi, dedicata alla sirena Ligea.[42]


Napoli e Partenope

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"Una di loro, rigettata dai flutti, l’accoglieranno le città di Falero e il Glanio, che con le sue correnti ne bagna la terra. Là gli abitanti, costruita la tomba della fanciulla, con libagioni e sacrifici di buoi ogni anno renderanno onore a Partenope, dea uccello".[43]

La ricchissima tradìzione della mitologia greca riserva alla leggenda della fondazione di Partenope almeno tre storie, in versioni molto dissimili nei contenuti e anche nei valori di volta in volta messi in evidenza. La prima leggenda di Partenope coincide con il mito delle tre sirene che scelgono di morire, forse per la delusione di non essere riuscite a fermare il marinaio Ulisse, pur estasiato dal loro canto. Il corpo che il mare depone sull'isolotto di Megaride, la piccola penisola dove ora si trova Castel dell'Ovo, è appunto quello di una delle tre sirene, Partenope, e di qui il nome alla città che nasce. Questa leggenda del mito di Partenope ebbe maggiore considerazione e diffusione quando Napoli, sin dalle cronache di Petronio e Apuleio, poi nelle più diffuse pagine di Petrarca e Boccaccio, cominciò a configurarsi come la città dei suoni e dei canti, peculiarità che ben si accordava con la leggenda delle sirene e del loro canto melodioso e tentatore. In pratica sottolinea un motivo religioso, il trasferirsi e il diverso ambientarsi del culto delle sirene dalle rive dell'Egeo, dove già era praticato da tempo e molto diffuso a Rodi e a Creta, ai luoghi nuovi della Magna Grecia.[44] Le dedicarono un Tempio, fu venerata come una Dea e in suo onore fondarono le feste e le corse Lampadiche. Oggi, i favolosi ritrovamenti archeologici avvenuti a Napoli durante i lavori della Metropolitana confermano le antichissime origini della città, la sua topografia greca, il suo litorale marino e portuale, con la riscoperta delle sue radici "partenopee". Quelle stesse radici mitologiche, e perciò popolari, dicono che la Sirena Partenope sia sepolta alle pendici di Pizzofalcone ed al contempo in una antichissima chiesa del centro storico, la chiesa di Sant'Agnello Maggiore a Caponapoli, nell'area di sedime della nuova città greca.[45] Tra le ipotesi romanzesche, riconoscendo Partenope con una Sirena, era Napoli o il suo golfo e le isole a nascondere queste erinni al mondo, pronte a manifestarsi quando inevitabile. Si veda, a questo proposito, un'incisione del Settecento con una sirena Partenope regale ma ancora alata, come lo è quella nella Fontana di Spina Corona o di Santa Caterina, copia dell’originale attribuita allo scultore Giovanni Merliano da Nola, che la restaurò nel 1540 per volere del Vicerè don Pedro di Toledo, e ubicata in Via Giuseppina Guacci Nobile a Napoli; o si ammiri un'altra incisione, più minuziosa, di anonimo napoletano che, ancora nel Settecento, raffigura l'area di Paestum completamente in balìa di Sirene. Oppure si riteneva un altro famoso centro del loro culto il Tempio delle Sirene a Sorrento – più probabilmente dedicato a Minerva, ma il dibattito sull'identificazione del sito di Punta Campanella è ancora aperto –, forse motivando tale credenza con le difficoltà della navigazione delle bocche di Capri.[46] La seconda leggenda è forse quella più diffusa, ripresa anche da Matilde Serao nelle sue Leggende e parla di una bellissima principessa greca Partenope: il suo nome significava “la Vergine”. Ogni giorno, la principessa amava salire su una roccia a picco sul mare, perdendosi con lo sguardo nell'orizzonte sterminato, immaginando luoghi e posti tanto lontani quanto meravigliosi. Il giovane Cimone la osservava segretamente ogni giorno seduta su quella roccia, mentre l'anima della fanciulla vagava oltre i confini dell'ignoto. Si innamorò di lei, perdutamente. E Partenope ricambiò il suo amore, con tutta sé stessa. Ma era già stata promessa in sposa a un altro uomo che lei non amava. Trascorsero notti intere, con la principessa che piangeva disperata tra le braccia di Cimone. Finché i due non decisero di scappare: prendere una barca, raggiungere la terra al di là del mare e lì coronare finalmente il proprio sogno. Con il cuore colmo di speranza e di paura, rubarono una barca e partirono. Il viaggio fu lungo, e pericoloso. Ma alla fine i due innamorati giunsero alla terra che avevano tanto sognato. Una terra bella e rigogliosa, a cui diedero proprio il nome della principessa: Partenope.[47] La scrittrice napoletana Matilde Serao nelle sue Leggende scriveva:

“… Parthenope non è morta, Parthenope non ha tomba, Ella vive, splendida giovane e bella, da cinquemila anni; corre sui poggi, sulla spiaggia. E’ lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori, è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene, ….quando vediamo comparire un’ombra bianca allacciata ad un'altra ombra, è lei col suo amante, quando sentiamo nell'aria un suono di parole innamorate è la sua voce che le pronunzia, quando un rumore di baci indistinto, sommesso, ci fa trasalire, sono i baci suoi, quando un fruscio di abiti ci fa fremere è il suo peplo che striscia sull'arena, è lei che fa contorcere di passione, languire ed impallidire d’amore la città. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non muore, non ha tomba, è immortale ...è l’amore.”[48]

Esiste una terza storia, una terza leggenda di Partenope, certamente poco conosciuta e meno leggendaria. Vi si narra di una regione greca da anni tormentata da una grave carestia e di un re che tenta dì sottrarre almeno un gruppo di giovani al destino incombente, lo colloca su alcune navi e lo invia, senza mezzi e senza provviste di cibo, verso la terra promessa della Magna Grecia. Era un'usanza abbastanza diffusa in Grecia, mentre imperversavano grandi carestie, ai più giovani si concedeva una possibilità di iniziare altrove una nuova vita, forse con meno privazioni e per chi rimaneva risultavano diminuite le bocche da sfamare. All'epoca non era facile attraversare quel tratto di mare, tra bufere, stretti perigliosi e improvvise e prolungate assenze di vento. Muore infatti di stenti, forse di fame, la più giovane delle tre principesse reali che erano a bordo, la dolce Partenope, proprio nel momento in cui la nave è finalmente giunta al sicuro, all'interno del golfo. Il primo atto, dunque, della futura città, appena dopo lo sbarco, è il funerale di Partenope, ancor più solenne nella teatrale e scenica liturgia funebre dei greci. Tutti gli avvenimenti di questa terza leggenda sono assolutamente casuali e attendìbili, rispecchiano movimenti e condizioni storiche propri di un'epoca, senza ricorrere ai mostri mitologici, come la prima leggenda.[49] Il monetato napoletano per rendersi riconoscibile nel mercato magno-greco, scelse come soggetto raffigurativo sulla maggior parte delle sue monete d'argento proprio la Sirena Partenope, considerando la valenza religiosa associata alla figura mitica. La tradizionale interpretazione iconografica vede Partenope su molte serie di monete. La raffigurazione di Partenope si sviluppa nel lungo tempo che la caratterizza secondo diversi stili ed influenze, passando dalle prime emissioni, esteticamente più rozze, a quelle più elaborate e sofisticate dei periodi tardi. Partenope viene raffigurata con capelli a fascio legati da un diadema di perline, porta un orecchino ed una collana di perle, la testa rivolta a destra. Tutto intorno a mo' di cornice vi è una corona di ulivo. Modelli ispiratori della testa di Partenope sono i rovesci siracusani della serie Boehringer XIV. Successive emissioni tendono a rendere la capigliatura della Sirena sempre più fluida, più naturale, imitando talvolta tipi di Cuma e di Terina. Una “nuova Partenope” si ispira alla celebre “Aretusa frontale” di Kimon . Si ritorna poi a tipi più simili alle emissioni precedenti all'Aretusa frontale, con tratti somatici e capigliatura sensibilmente evoluti. La testa di Partenope la si può vedere volta sia verso destra che verso sinistra. Il luogo di sepoltura di Partenope fu individuato, nella lunga storia delle città napoletana, in più siti disparati. I più noti sono il tempio presumibilmente dedicato a Partenope, pressappoco posizionato dove oggi vi sono le più antiche fondamenta del Castel dell'Ovo, inoltre sulla collina di Sant’Aniello. Più in generale, come ci informa Strabone, una località della penisola sorrentina era dedicata al culto delle Sirene. Una epigrafe nella chiesa medioevale napoletana di Sant’Eligio recita:

« PARTHENOPAE . EUMELI . PHAERAE TESSALIAE .REGIS . FILIAE . PHARETIS . CRETIQUE REGUM .NEPTIS . QUAE EUBOEA . COLONIA .DEDUCTA CIVITATI . PRIMA . FUNDAMENTA IECIT . ET DOMINATA. ESTORDO . ET . POPULUS . NEAPOLITANUS . MEMORIAM AB ORCO . VINDICAVIT »

« A Partenope, figlia di Eumelo re di Fera della Tessalia, nipote di Farete e dei re di Creta, che con coloni partiti dall’ Eubea diede alla città le prime fondamenta e la governò. Il popolo napoletano pose la sua memoria » .[50]


Punta Licosa e Leucosia

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"Sul promontorio Enipeo, scagliata con violenza, Leucosia occuperà per molto tempo lo scoglio col suo nome, dove il rapido Is ed il vicino Lari versano le loro acque".[51]

Una delle ammalianti voci delle tre donne pesce di Omero si chiamava Leucosia e il segreto della sua esistenza è nascosto in una piccola isola rocciosa, alla quale gli conferi' il proprio nome e che forma una delle due punte estreme della baia di Salerno. La leggenda narra che Leucosia si gettò dalla rupe della costa per non essere riuscita a sedurre il prode Ulisse ed i suoi compagni di viaggio, prendendo il suo corpo forma di uno scoglio, oggi conosciuto come l'isola di Licosia, dove s'erge un faro cinto da mura antiche.[52] Il corpo Di leucosia emerse nelle acque del golfo di Poseidonia, presso Paestum, a Punta Licosa. A Santa Maria di Castellabate, lì dove la Sirena Leucosia si arenò, la memoria storica rivive oggi in manifestazioni musicali dinanzi all'isolotto di Licosa – punta estrema del golfo di Salerno nel comune di Castellabate – chiamato così in ricordo della Sirena. Nell'estate del 2005 ha avuto luogo la V edizione dei "concerti sull'acqua" con la partecipazione di un complesso di musica sinfonica. E mai una manifestazione musicale fu più appropriata se si pone mente al canto melodioso delle sirene sulle acque del mare. Che in quell'area la memoria della Sirena Leucosia sia avvertita sin dall'epoca greco-romana, è testimoniato anche da una delle quattro porte di Paestum chiamata Porta Serena ed aperta ad Oriente.[53] Un'altra leggenda racconta che la morte della sirena Leucosia non avvenne per la delusione di non essere riuscita a fermare Ulisse, ma per l'amore verso un principe.

"Nuotava silenziosa e leggiadra come solo le sirene potevano. Arrivava sotto la finestra del castello del suo amato. E lo guardava da lì, mentre il principe si affacciava alla finestra delle sue stanze e si perdeva con lo sguardo lungo l'orizzonte del mare, una lastra nera su cui si specchiava la luna pallida. Lui era lì. Ma lei non lo poteva toccare, accarezzare, baciare. La sua coda le impediva di muoversi sulla terraferma, e nonostante questo amava quell'essere umano con tutta sé stessa. Ma la cosa che faceva soffrire Leucosia era un'altra: la consapevolezza che il principe non sospettasse nemmeno della sua esistenza. Lei era una sirena. E le sirene dovevano tenersi nascoste alla vista degli umani. Un giorno accadde qualcosa. Lei sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma Leucosia aveva preferito ignorare ogni volta quel triste pensiero. Al castello ci fu movimento per diversi giorni. E di notte, lo sguardo del suo principe non era più triste: adesso era sognante, estatico. Come se stesse pensando a qualcuno. Nascosta dallo sciabordio delle onde del mare, Leucosia si costrinse a zittire quanto il suo animo le stava gridando con tutta la forza possibile. La donna arrivò una mattina piena di sole e con il mare placido. Il giorno che tutte le donne sognavano per il proprio matrimonio. E convolò a nozze con il principe. Leucosia assistette a tutto. Attonita, incapace anche solo di pensare a qualcosa. Attese che calasse la notte. E vide il suo principe nuovamente affacciato alla finestra. Quel breve, fugace attimo di felicità, l'illusione che niente fosse cambiato, si tramutò nella più atroce delle condanne per la sirena: il suo principe si era affacciato con la donna che era diventa sua moglie, e le stava mostrando quel mare in cui Leucosia era stata costretta a nascondersi. I due sposi scomparvero. E il cuore di Leucosia non poté reggere oltre. Raggiunse un piccolo isolotto a poca distanza dal castello. Fu lì che si uccise, dilaniandosi il cuore con un pezzo di roccia mortale come una lama. Il suo ultimo pensiero fu per l'uomo che aveva amato".

Ancora oggi, diversi pescatori che navigano nei dintorni dell’isolotto omonimo asseriscono che in particolari giorni è possibile ascoltare l'armonioso, triste e struggente canto della sirena Leucosia. E alcuni affermano anche di averla vista nuotare sotto la propria barca, una visione tanto fuggevole quanto stupenda.[54]

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  3. ^ www.storiedifantasmi.it.
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  5. ^ Lamezia Storica, Il mito della Sirena Ligea, V. Villella .
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  8. ^ Massimo Izzi, adattato dal Dizionario Illustrato dei Mostri, Gremese Editore.
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  10. ^ Il mito delle Sirene, Maria Pellegrini, 2015.
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  22. ^ La Sirena, storia di Mito e bellezza, pericolosa nel costume, nella cultura e nelle arti visive. #1, Barbara Martusciello.
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  47. ^ www.storiedifantasmi.it.
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  50. ^ La Sirena Partenope ed i nummi neapolitani, Gionata Barbieri (Napoli, XI-MMVII).
  51. ^ Licofrone di Calcide, Alessandra, 723-725 (da M. BETTINI - L. SPINA, Il mito delle Sirene, cit., pp. 90 e 104).
  52. ^ Leucosia/Il Mito delle Sirene, Legolas Helda.
  53. ^ Ulisse e le Sirene di Positano, Edizione Colonnese 2006, Antonio Parlato .
  54. ^ www.storiedifantasmi.it.



Voci correlate

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