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Battaglia del Cremera

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Battaglia del Cremera
parte delle guerre romane con Veio
Mappa del possibile luogo della battaglia (tra Roma e Veio)
Data477 a.C.
Luogofiume Crèmera
EsitoVittoria etrusca
Schieramenti
Romani della
Gens Fabia
Veienti
Comandanti
Effettivi
306 uominiSconosciuto
Perdite
306 uominiSconosciuto
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La battaglia del Crèmera fu combattuta sulle sponde dell'omonimo fiume il 13 febbraio[1] del 477 a.C.

Fu più che altro un agguato teso dai Veienti alle forze romane che stavano saccheggiando il loro territorio. Deve la sua notorietà al fatto che le forze romane erano composte esclusivamente da combattenti (a Roma non si parla ancora di "soldati") appartenenti alla gens Fabia.

Rapporti Roma-Veio

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Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre tra Roma e Veio.

Veio era una città etrusca posta a circa 17 km a nord di Roma che controllava il territorio a destra del Tevere. Si era sviluppata nel corso dei secoli assoggettando le città circonvicine e raggiungendo una discreta potenza militare ed economica. Posta al confine meridionale della zona d'influenza etrusca, racchiusa fra possenti mura e arroccata sulla cima di un colle scosceso, Veio contrastò per lungo tempo l'ascesa della potenza di Roma. Fra le due città scoppiavano continuamente guerre per il controllo del territorio, dell'accesso al mare e ai relativi commerci, soprattutto del sale. La rivalità economica fra le due città era, quindi, acerrima. In genere i veienti non affrontavano le legioni di Roma, però

(LA)

«[...] Veiens hostis, adsiduus magis quam gravis, contumeliis saepius quam periculo animos agitabat, quod nullo tempore neglegi poterat aut averti alio sinebat.»

(IT)

«[...] i nemici veienti, assillanti più che pericolosi, tenevano in allarme i romani, più con le loro provocazioni che per via di un effettivo pericolo, perché mai li si poteva trascurare del tutto indirizzando altrove lo sforzo bellico.»

I Fabii erano una gens all'epoca fra le più influenti della città. Il primo console offerto dai Fabii a Roma, fu Quinto Fabio Vibulano nel 485 a.C. e nei sette anni seguenti tre fratelli Fabii (Quinto, Marco e Cesone) si succedettero alla massima carica, fino a quando l'aristocrazia romana non riuscì a fermare la loro potenza aggredendo la politica della gens e in particolare di Cesone, tesa all'affrancamento delle classi meno abbienti.

Nel 479 a.C., forse anche per distogliere l'attenzione dei concittadini dal modo di amministrazione della politica interna perseguita da Fabii, la famiglia decise di assumersi tutte le responsabilità di una nuova e definitiva guerra contro Veio. Tali operazioni militari divennero quindi una faccenda privata, per cui privati avrebbero dovuto essere costi e benefici. I costi lo furono. Tito Livio continua raccontandoci l'apertura delle ostilità fra i Fabii e Veio:

(LA)

«Tum Fabia gens senatum adiit. Consul pro gente loquitur: "Adsiduo magis quam magno praesidio, ut scitis, patres conscripti, bellum veiens eget. Vos alia bella curate. Fabios hostes veientibus date. Auctores sumus tutam ibi maiestatem romani nominis fore. Nostrum id nobis velut familiare bellum privato sumptu gerere in animo est; res publica et milite illic et pecunia vacet". Gratiae ingentes actae.»

(IT)

«Allora la gente Fabia si presentò al Senato e fu il console a parlare per tutti i suoi: "La guerra contro Veio, come voi padri coscritti ben sapete, ha più bisogno di un impegno assiduo che del coinvolgimento di molti uomini. Voi dedicatevi alle altre guerre e lasciate che siano i Fabi ad essere nemici dei veienti. Noi ci impegniamo a salvaguardare l'autorità di Roma in quel settore. Noi intendiamo condurre questa guerra come un affare di famiglia, finanziato privatamente, mentre la repubblica non dovrà impegnare né denaro né uomini". Ricevettero grandi segni di gratitudine.»

Livio spiega che se altre due famiglie si fossero assunte gli stessi impegni anche contro i Volsci e gli Equi,

(LA)

«Populo romano tranquillam pacem agente omnes finitimos subigi populos posse.»

(IT)

«sarebbe stato possibile sottomettere tutti i popoli confinanti, mentre il popolo romano se ne sarebbe stato tranquillo in pace.»

I Fabii si riunirono il giorno successivo, erano "trecentosei uomini, tutti patrizi, tutti membri di un'unica famiglia". Partirono osannati dall'intera popolazione, il console li guidò verso le mura, uscirono dalla città attraverso l'arcata destra della Porta Carmentale (dall'esito della spedizione questa arcata verrà chiamata Porta Scelerata)

(LA)

«Profecti ad Cremeram flumen perveniunt. Is opportunus visus locus communiendo praesidio.»

(IT)

«[...] e arrivarono al fiume Cremera che sembrò il luogo adatto per stabilirvi un presidio fortificato.»

In realtà si calcola che le forze messe in campo dai Fabii fossero prossime alle cinquemila unità, (quasi un'intera legione di cui i Fabii "veri" probabilmente fornivano la cavalleria) dato che assieme ai componenti della famiglia si dovettero aggregare, per amore o per forza, anche i numerosi clientes legati ai Fabii, secondo le leggi romane del patronato e della clientela, da doveri di aiuto e sostegno reciproci.

«Quando arrivarono presso il fiume Cremera che scorre non lontano dalla città dei veienti costruirono un forte su un colle ripido e scosceso, per controllare il territorio. La fortezza era grande a sufficienza per essere difesa da un tale esercito, circondata da una doppia palizzata e con torri ravvicinate e fu chiamata Cremera dal nome del fiume. Poiché al lavoro partecipava lo stesso console fu impiegato meno tempo del previsto.»

Asserragliati nel loro presidio i Fabii si diedero al saccheggio del territorio veiente e, "vagando al di qua e al di là del confine, in tutta la regione limitrofa fra territorio etrusco e romano, avevano rese sicure le proprie campagne e insicure quelle dei nemici". I veienti attaccarono il presidio e un esercito romano, comandato da Lucio Emilio, venne ad aiutare i Fabii. Si ebbe una vera battaglia e gli etruschi, attaccati prima ancora di essersi disposti in formazione vennero sonoramente battuti e inseguiti fino a Saxa Rubra dove erano accampati. Chiesero la pace e la ottennero, ma prima ancora che i Fabii lasciassero il loro presidio Veio riprese le ostilità.[2]

I Fabii resistevano. Livio ricorda che

(LA)

«[...] nec erant incursiones modo in agros aut subiti impetus <in> incursantes, sed aliquotiens aequo campo conlatisque signis certatum.»

(IT)

«[...] non si trattava solo di scorrerie attraverso il territorio o di improvvisi assalti di un gruppo di sabotatori, ma più volte si arrivò a battaglie regolari in campo aperto.»

Per Veio, allora la più potente città della zona, che una sola famiglia romana, riuscisse per due anni a tenerle testa era un abbassamento di prestigio. E un pericoloso segnale di impotenza lanciato ad altri popoli nemici. Veio non poteva tollerare la situazione. La risposta venne nel 477 a.C.

Gli etruschi cominciarono a far credere di essere ancora più deboli di quanto non fossero. Rendevano deserto parte del territorio per simulare una maggiore paura dei loro contadini. Lasciarono libero del bestiame per far credere che fosse stato abbandonato in una fuga precipitosa. Fecero arretrare le truppe mandate a contrastare le incursioni. I continui successi resero i Fabii supponenti e imprudenti,

(LA)

«adeo contempserant hostem ut sua invicta arma neque loco neque tempore ullo crederent sustineri posse.»

(IT)

«erano arrivati a sottovalutare al tal punto i nemici da essere ormai convinti che non fossero in grado di resistere alle loro armi invitte, a prescindere dal luogo e dall'occasione del combattimento.»

Il 13 luglio 477 a.C. i Fabii, dall'alto della loro fortezza videro le greggi "abbandonate" e sicuri della loro forza

(LA)

«Et cum improvidi effuso cursu insidias circa ipsum iter locatas superassent palatique passim vaga, ut fit pavore iniecto, raperent pecora.»

(IT)

«senza pensarci troppo si misero a correre tralasciando i collegamenti tra di loro; oltrepassarono l'imboscata allestita proprio lungo il loro itinerario e, in ordine sparso iniziarono a catturare le pecore.»

I veienti uscirono allo scoperto disorientando i Fabii con grandi grida, li bersagliarono di proiettili, li circondarono con "una muraglia impenetrabile di guerrieri". Si vide quindi quanto pochi fossero i Fabii e quanti, invece, fossero i veienti. Per i Fabii non c'era alternativa; lasciato il precario ordine di combattimento, schieratisi a cuneo, sempre battendosi, si aprirono una via per radunarsi sopra un rialzo del terreno.

(LA)

«Inde primo resistere; mox ut respirandi superior locus spatium dedit recipiendique a pavore tanto animum, pepulere etiam subeuntes, vincebatque auxilio loci paucitas, ni jugo circummissus veiens in verticem collis evasisset.»

(IT)

«Lì organizzarono una prima resistenza, poi, appena il luogo sopraelevato diede loro un po' di respiro e consentì loro di riprendersi dal grande spavento, presero addirittura a respingere i nemici che si facevano sotto. E anche se il loro numero era scarso, sfruttando la posizione, avrebbero vinto se i veienti, aggirando l'altura, non si fossero impadroniti della sommità di questa.»

La conquista della cima restituì il vantaggio ai veienti. I Fabii furono sopraffatti e massacrati. Di tutta la gens Fabia rimase un solo componente: Quinto, figlio di Marco. Livio riporta che era stato lasciato a Roma perché troppo giovane ma l'informazione sembrerebbe errata dato che solo dieci anni dopo Quinto Fabio Vibulano divenne console.

Sull'onda del successo i veienti sconfissero un esercito romano inviato immediatamente a contrastarli al comando del console Tito Menenio Lanato. Roma rischiò di essere assediata e fu salvata solo dall'intervento di altre truppe richiamate dal territorio volsco dove stavano combattendo al comando dell'altro console Gaio Orazio Pulvillo. I veienti arrivarono ad occupare il Gianicolo da dove per un certo tempo resero a Roma gli attacchi e i saccheggi che avevano subito dai Fabii. Ironia della storia furono essi stessi fermati, sconfitti e massacrati quando i romani utilizzarono nei loro confronti l'identico tranello in cui caddero i Fabii. Un gregge di pecore fu fatto sparpagliare e i veienti si misero all'inseguimento finendo per disperdersi inermi.

«quo plures erant, maior clades fuit» (quanto più erano numerosi [i Veienti] tanto più ingente fu la strage) (ibid., 51)
  1. ^ Sulla data esatta della battaglia non vi è in realtà una convergenza di ipotesi fra i vari studiosi. Le ipotesi sono tre: 13 febbraio, 16 luglio o 18 luglio. La data del 13 febbraio sembra la più accreditata, in quanto riportata da Ovidio che solitamente dà prova di notevole precisione circa gli aspetti calendariali degli eventi storici (Augusto Fraschetti, Op. citata)
  2. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II.49.
  • Tito Livio, Ab Urbe condita libri
  • Eutropio, Breviarium ab Urbe condita I,16
  • Dionigi di Alicarnasso, Ρωμαικης Αρχαιολογιας (Rhomaikes Archaiologias, Antichità romane, IX.
  • Augusto Fraschetti, Ovidio, i Fabii et la battaglia del Cremera (PDF)[collegamento interrotto].

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