Collezione Barberini

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Stemma della famiglia Barberini
Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Urbano VIII
Gian Lorenzo Bernini, Busto del cardinale Francesco Barberini (cardinal nipote di Urbano VIII)
Carlo Maratta, Ritratto del cardinale Antonio Barberini (cardinal nipote di Urbano VIII)

La collezione Barberini è una collezione d'arte nata nel corso del Seicento a Roma e che rappresenta una delle principali espressioni del barocco.[1]

Frazionata a più riprese tra il Settecento e il Novecento, una parte è rimasta agli eredi della famiglia omonima, un'altra è sita nell'omonimo palazzo di Roma, sede delle Gallerie nazionali d'arte antica, mentre un'altra parte è sparsa in vari musei del mondo.[1]

La figura familiare dominante in ambito mecenatico fu quella di papa Urbano VIII,[1] cui si deve il merito di esser stato con la sua politica un vero e proprio manifesto dell'arte barocca, grazie al quale si raggiungono apici in ogni ambito, da quello letterario, a quello architettonico, pittorico e scultoreo (anche di antichità, seppur risulta marginale per quantità la raccolta di marmi antichi rispetto alle altre collezioni romane coeve).

La raccolta, organizzata tra il palazzo ai Giubbonari, quello della Cancelleria e soprattutto in gran parte nel sontuoso palazzo familiare alle Quattro Fontane di Roma, deve la sua evoluzione ai nipoti che hanno operato nell'orbita pontificia, i cardinal nipoti Antonio iuniore e, soprattutto, Francesco seniore e il principe di Palestrina Taddeo Barberini.[1]

Estinto il ramo principale sul finire del Settecento con Cornelia Costanza, ultima discendente diretta del casato, la collezione è stata frazionata nell'Ottocento dalle linee createsi con i Colonna di Sciarra, che ha causato la vendita di molte opere della collezione, e poi successivamente da un'ulteriore divisione avuta con la costituzione delle linee Sacchetti e Corsini.[1]

Il Regio decreto del 1934 ottenuto su pressioni della famiglia Barberini causò tuttavia l'ulteriore dispersione della collezione.[2] In ordine al dispositivo di legge infatti, una parte esigua della raccolta doveva essere alienata allo Stato italiano, che qualche anno dopo comperò anche il palazzo di via Quattro Fontane, poi sede della Galleria d'arte antica, un altro gruppo di opere sarebbe rimasto di proprietà agli eredi Barberini, i cui discendenti del ramo Sacchetti tutt'oggi rimangono proprietari di alcuni locali di pertinenza del palazzo, mentre ancora un altro gruppo di opere era libero di alienazione nel mercato, anche estero, trovando così collocazione in vari musei e collezioni del mondo.[2]

Nel 1952 lo Stato Italiano compra dagli eredi della collezione ulteriori centododici opere, cui se ne aggiunsero nel tempo altre ancora, portando la Galleria nazionale sita nel palazzo alle Quattro Fontane a possedere circa duecento opere dell'originario catalogo Barberini.[1]

Storia

Seicento

L'ascesa al soglio pontificio di Urbano VIII (1623)

Caravaggio (attribuito a), Ritratto di Maffeo Barberini (o monsignor Francesco Barberini) come protonotario apostolico

Il cardinale Maffeo Barberini, studente in legge presso il collegio gesuita di Roma, viveva con lo zio monsignor Francesco Barberini seniore, che lo chiamò nel 1584 con sé a Roma dopo la prematura morte del fratello, nonché padre di Maffeo, Antonio Barberini. Francesco rappresenta il primo approdo della famiglia a Roma: nel 1581 acquista il palazzo ai Giubbonari, che rimarrà interamente di proprietà del nipote una volta che l'uomo morirà nel 1600.

Caravaggio, Sacrificio di Isacco

Divenuto cardinale nel 1606, Maffeo finanzia altri acquisti immobiliari a Roma, compresi alcuni ampliamenti del palazzo ai Giubbonari (dove viveva anche il fratello Carlo Barberini dal 1600) e la cappella di famiglia in Sant'Andrea della Valle, per la quale furono chiamati a decorarla Matteo Castelli, Pietro e Gian Lorenzo Bernini, Cristoforo Stati, Francesco Mochi e Ambrogio Bonvicino, mentre la pala che orna l'altare è di Domenico Passignano del 1616, data di ultimazione dei lavori.

Maffeo inizia a raccogliere le prime opere della collezione artistica personale già dal 1603-1604, dove si registrano i pagamenti di complessivi 100 scudi a Caravaggio per la realizzazione del Sacrificio di Isacco (oggi agli Uffizi). Alla data del 1604, in occasione di una donazione di opere al fratello Carlo, risale un primo inventario dei beni del cardinale Maffeo, cui poi ne seguì un altro del 1608 che descriveva le opere in suo possesso collocate nel palazzo della famiglia Salviati presso il Collegio Romano, dove il cardinale viveva in fitto, fino a quello ultimo del 1623, in occasione di un ennesimo lascito al fratello Carlo quando fu eletto papa col nome di Urbano VIII. In quest'ultimo documento figuravano il San Sebastiano gettato nella Cloaca Massima di Ludovico Carracci e la scultura del San Sebastiano di Gian Lorenzo Bernini, commissionate in origine nel 1612 e nel 1617 dal cardinal Maffeo per l'ipogeo dedicato al santo sotto la cappella familiare in Sant'Andrea della Valle, progetto che poi sfumò.

Nel 1623 infatti il cardinale sale al soglio pontificio col nome di Urbano VIII. Il suo pontificato succede cronologicamente quelli Borghese di Paolo V e Ludovisi di Gregorio XV, pertanto rappresenta l'ultimo tassello, e probabilmente il più influente, di quel processo di rinnovamento artistico avviato dal Borghese (inframezzato dal breve pontificato Ludovisi) che ha caratterizzato la Roma del Seicento e di cui il pontificato Barberini diviene il manifesto della cultura barocca.[3]

Qualche mese dopo la nomina di Maffeo vennero elevati a cardinali nipoti Francesco e Antonio Barberini, i quali contribuirono in maniera determinante, assieme all'altro fratello Taddeo, allo sviluppo in campo politico, economico e artistico della famiglia. Francesco aveva come suo artista prediletto Pietro da Cortona, Antonio prediligeva Andrea Sacchi e Carlo Maderno mentre Taddeo teneva sotto la sua protezione Andrea Camassei. Con la loro ascesa sociale i Barberini poterono assicurarsi una posizione influente nella Curia romana, con l'investitura anche di ruoli diplomatici cruciali per le logiche politiche.[3]

Palazzo Barberini alle Quattro Fontane, Roma

Tanti furono i cantieri attivi sotto il regno di Urbano VIII, molti dei quali che hanno visto l'intervento di Gian Lorenzo Bernini (che invece era l'artista prediletto del papa, il quale realizzò nel 1628 su richiesta dello stesso pontefice il suo sepolcro monumentale in San Pietro), come i completamenti dei rifacimenti barocchi della basilica di San Pietro (compresa la commessa del Martirio di Sant'Erasmo a Nicolas Poussin), la costruzione della chiesa di Santa Maria Immacolata a via Veneto, quella di Santa Bibiana, l'ampliamento del palazzo del Quirinale con l'innalzamento della cinta muraria perimetrale e molteplici interventi di urbanistica come piazza del Tritone.

Oltre agli interventi pubblici vi fu anche quello privato del sontuoso palazzo di via Quattro Fontane, avviato nei lavori subito dopo l'elezione di Maffeo sotto la supervisione del cardinal Francesco (che rappresenta in generale la figura più significativa della famiglia per quel che riguarda il mecenatismo).[3] Con la salita al soglio, infatti, si pose il problema per i Barberini di dotarsi di un'adeguata dimora di rappresentanza poiché il palazzo ai Giubbonari, assegnato in un primo momento a Carlo e alla sua morte, nel 1630, passato al figlio Taddeo (principe di Palestrina dopo l'acquistò de feudo nel 1630 dalla famiglia della moglie, i Colonna) e Generale della Chiesa che vi manterrà la sua residenza per tutta la vita, non appariva più adeguato ad ospitare l'intera famiglia.

Il grande manifesto politico di Urbano VIII e lo "Stile Barberini"

La prima grande architettura messa in piedi dalla nuova famiglia più potente di Roma fu il palazzo alle Quattro Fontane, edificato su preesistenti corpi di fabbrica.[4] Francesco Barberini chiamò nel 1623 l'architetto Carlo Maderno (coadiuvato da Francesco Borromini) a eseguire il progetto dell'edificio, cui poi seguirono alla sua morte interventi di Gian Lorenzo Bernini sempre col supporto del Borromini che completarono il cantiere fino all'ultimazione nel 1633 dove furono realizzati anche i due scaloni monumentali alle estremità della facciata principale, uno quadrato (Bernini) e l'altro elicoidale (Borromini).[4][5]

Scaloni monumentali di palazzo Barberini a Roma: a sinistra quello di Gian Lorenzo Bernini, a destra quello di Francesco Borromini
Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza

Oltre al monumentale palazzo familiare, il cui modello sarà ripreso anche in edifici realizzati in Europa, come il palazzo prussiano di Potsdam, a Urbano VIII si deve anche l'utilizzo dell'arte pittorica quale strumenti di manifestazione del proprio dominio.[3] Esemplificativa in tal senso è la sontuosa commessa avanzata a Pietro da Cortona tra il 1632 e il 1639 del ciclo di affreschi del salone grande del palazzo alle Quattro Fontane, dov'è rappresentato in chiave celebrativo il Trionfo della Divina Provvidenza e il compiersi dei suoi fini sotto il pontificato di Urbano VIII.[3] L'opera si colloca tra le massime espressioni decorative barocche, senza precedenti fino a quel momento in campo artistico e che consacra definitivamente il Berrettini nella scena romana.[3]

Nel ventennio che caratterizza il pontificato di Urbano VIII si creò un vero e proprio "stile Barberini", inteso come quel modo di pensare l'arte e di fare collezionismo che, assorbito anche dalle molteplici personalità circolanti nell'orbita familiare (Cassiano dal Pozzo, segretario di Francesco Barberini, il cardinale Ascanio Filomarino, il cardinale Giulio Cesare e il banchiere Marcello Sacchetti, il cardinale Francesco Maria Del Monte, i cardinali francesi Giulio Mazzarino e Armand-Jean du Plessis de Richelieu, il marchese Vincenzo Giustiniani, il cardinale Bernardino Spada e i futuri pontefici Fabio Chigi e Giulio Rospigliosi) diffonde in tutta Europa il prestigio del casato papale.[3]

La diffusione dello stile Barberini fu dovuta anche al successo che ebbero i pittori protetti dalla famiglia, come Pietro da Cortona e la sua bottega. Il pittore, grazie all'intercessione di Cassiano dal Pozzo che lo portò alla corte di Francesco Barberini, lavorò per la famiglia in molte altre opere pittoriche, come la Caduta della manna e la Costruzione del tabernacolo, commissionati per essere donati da Amedeo dal Pozzo, cugino di Cassiano, o i replicatissimi Giacobbe e Labano, il Labano cerca gli idoli e le Tre virtù cardinali, Fede, Speranza e Carità.[3] il Berrettini fu attivo presso i Barberini anche come architetto di monumenti scultorei, tra cui le due tombe in San Lorenzo fuori le mura, del poeta John Barclay e del giurista Bernardo Guglielmi e l'apparato della macchina delle Quarant'ore, commissionata per il carnevale del 1633 nella chiesa di San Lorenzo in Damaso (presso cui Gian Lorenzo Bernini riceverà da Francesco Barberini nel 1638 l'incarico di progettare la nuova abside), incorporata nel palazzo della Cancelleria dove dal 1632 il cardinale Francesco visse per un periodo, quando divenne vicecancelliere alla morte di Ludovico Ludovisi (cardinal nipote del pontefice precedente a Urbano VIII).[3]

Conseguente al successo del maestro toscano, alla corte di Urbano VIII trovò la sua strada anche un collaboratore di bottega del Cortona, Giovanni Francesco Romanelli, chiamato nel 1638 ad affrescare la sala della contessa Matilde del palazzo Apostolico con le Storie della contessa (che ebbe il merito di convincere l'imperatore a sottomettersi al papa) mentre l'apparato decorativo scultoreo fu affidato a Gian Lorenzo Bernini.[3] Il Romanelli entrò quindi nelle grazie di Giulio Mazzarino in questa circostanza e fu chiamato in Francia ad eseguire alcuni affreschi del palazzo del cardinale (poiché il Cortona non poteva spostarsi da Roma) esportando così lo stile adottato nella commessa Barberini, ossia quello dell'affresco a mo' di quadro riportato entro finte cornici dipinte, del tutto nuovo in terra transalpina.[3]

Valentin de Boulogne, Allegoria dell'Italia
Andrea Sacchi, particolare della Divina Sapienza seduta sul trono Barberini

Ancora un altro collaboratore del Cortona determinante nella diffusione in Europa dello stile Barberini fu Ciro Ferri, che replicò molteplici volte i dipinti del maestro, come il Costantino ordina la distruzione degli idoli e Giacobbe e Labano presenti nella collezione del cardinal nipote Francesco e che ben presto circoleranno anche nelle collezioni francesi e inglesi.[3]

Nel frattempo il principe Taddeo Barberini convoca anch'egli il Cortona per realizzare i cicli di affreschi nell'ala di palazzo di sua pertinenza, ossia nella cappella privata dell'appartamento suo e di sua moglie, Anna Colonna, mentre Andrea Sacchi fu chiamato alla realizzazione di un altro ciclo per la volta della sala immediatamente precedente, dove esegue nel 1629 un ulteriore tema dal carattere encomiastico della famiglia, quello dell'Allegoria della Divina Sapienza.[6] Il soggetto riscosse tale successo al punto che fu replicato su tela dal Sacchi, per volere del cardinal Antonio Barberini, con lo scopo (in questa occasione) di compiere azioni di diplomazia per aggraziarsi la nobiltà interlocutrice: una versione del 1635 fu donata prima al mercante di diamanti Valguarnera, una fu donata nel 1638 all'ambasciatore imperiale d'Asburgo Giovanni Antonio I di Eggenberg e un'altra datata 1653 e pagata 500 scudi fu invece donata a papa Alessandro VII Chigi (oggi alla Galleria nazionale di Roma).[6]

Anche su tela i soggetti sono talvolta utili a creare contenuti ideologici e politici incentrati sul pontificato familiare: Francesco Barberini già nel 1627 possiede il dipinto di Charles Mellin dell'Allegoria della Pace e delle Arti durante il Pontificato Barberini, mentre nel 1637 commissiona a Valentin de Boulogne la grande opere dell'Allegoria dell'Italia con le api Barberini e ai lati i fiumi dell'Arno e del Tevere, chiaro riferimento a Urbano VIII e ai suoi territori di appartenenza (origine e di arrivo).[7]

La collezione dei fratelli Francesco, Taddeo e Antonio Barberini

Vaso Barberini

Tanti furono gli artisti che avviarono o consolidarono la propria attività sotto il dominio Barberini, tra questi Guido Reni, che fu chiamato nel 1627 a mostrare dinanzi al papa le sue doti col fine di riuscire a ottenere la commessa dei cicli con le Storie di Attila in San Pietro in Vaticano e che per l'occasione compì un affresco con un putto dormiente, che piacque talmente tanto al cardinale Francesco al punto che lo staccò, incorniciò e tenne nella propria collezione. Ancora, vi furono tra i principali artisti attivi presso i Barberini: Domenichino, Giovanni Lanfranco, Ottavio Leoni, Gian Lorenzo Bernini, Orbetto, Andrea Sacchi, Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, Simon Vouet, François Duquesnoy e Valentin de Boulogne.

Taddeo Barberini patrocinò l'operato del giovane pittore Carlo Maratta che giunse a Roma nel 1636 e che egli conobbe tramite il suo segretario personale, Corinzio Benicampi:[8] l'artista ricevette dal principe una delle sue prime commissioni, la Gloria dei Santi per l'appena nato duomo di Monterotondo, terminata poi nel 1645.

Caravaggio, I musici

Tra le immissioni più corpose e rilevanti di opere nella collezione Barberini fatte dai tre fratelli risultano quelle del 1626, con l'acquisto di dipinti e oggetti dalla collezione del cardinale Francesco Maria Del Monte, messa all'asta dagli eredi.[9] Il cardinale Antonio comperò per 550 scudi ventiquattro dipinti, tra cui tre quadri di Caravaggio (Santa Caterina d'Alessandria, Suonatore di liuto nella versione di New York e I bari nella versione di Fort Worth) e un San Girolamo del Guercino. Taddeo ebbe un esborso iniziale di 420 scudi per l'acquisto dei diversi beni della collezione mentre la spesa più consistente fu quella di Francesco, che acquistò diverse opere per una cifra iniziale pari a 974 scudi, di cui 200 soli per il prezioso vaso blu (oggi al British di Londra), a cui si aggiunsero altri 558 per ventisette dipinti, tra cui opere di scuola veneta (Giorgione, Tintoretto, Jacopo Bassano il Vecchio, il Pordenone), opere di scuola emiliana (Guido Reni, Francesco Albani, Annibale Carracci, Federico Barocci, il Garofalo) e altre di scuola caravaggista (Gerrit van Honthorst, Jusepe de Ribera, Alessandro Turchi, Filippo Napoletano).[9] L'incetta di quadri della collezione di Francesco Maria Del Monte proseguì poi anche con l'acquisto di altre opere attraverso svariati prestanome, come nel caso di Prospero Fagnani, che per il cardinale Antonio comperò altri due quadri di Caravaggio, un vaso di fiori non rintracciato e I musici (versione di New York, che poi il cardinale dona nel 1634 al maresciallo Charles I de Créquy assieme ad un altro gruppo di opere, in Francia, per poi passare quattro anni dopo nella collezione del cardinale Richelieu).[9][10]

La collezione Barberini era al tempo quasi certamente la più grandiosa di Roma per quantità e qualità, a cui reggevano il passo solo le raccolte Borghese e Giustiniani. Seppur divisa tra i vari esponenti del casato, la collezione era comunque quasi prevalentemente collocata all'interno del palazzo alle Quattro Fontane, dove vivevano i due cardinali, che diviene così cuore dell'arte barocca in Europa. Francesco, figura principale della famiglia in ambito mecenatico che comunque aveva alcune opere presso il palazzo della Cancelleria dove viveva dal 1632, aveva la propria collezione presso gli appartamenti dell'ala sud, Antonio invece aveva la sua raccolta in quella nord, mentre Taddeo aveva la sua collezione nel palazzo ai Giubbonari, dove restava residente.

Girolamo Tezi, letterato al servizio del cardinale Antonio Barberini, descrisse la collezione del suo protettore e del cardinal Francesco (senza specificare quali opere spettassero all'uno e quali all'altro, dato che invece si desume da in quali appartamenti fossero collocate le medesime) site nel palazzo alle Quattro Fontane nelle sue Aedes Barberinae del 1639 ed editato nel 1642, che costituisce così un documento essenziale per comprendere lo spesso della raccolta già a quel tempo.

Guercino, Et in Arcadia ego
Caravaggio, Santa Caterina d'Alessandria

Al piano terra, nell'ala che si affacciava su piazza Barberini era collocata la Galleria di Francesco, che constava in quattro stanze di centoquattro tavolette con i ritratti di uomini illustri fiorentini, il Cristo dodicenne tra i dottori di Albrecht Dürer (oggi al Thyssen-Bornemisza di Madrid) e svariate opere dei maestri veneti (Tiziano, Tintoretto, Sebastiano del Piombo e Giorgione),[11] il capolavoro di Nicolas Poussin, la Morte di Germanico (oggi al Minneapolis Institute of Arts), il Profeta Elia nutrito dai corvi di Guercino (oggi alla National di Londra), il Paesaggio con il lago di Castel Gandolfo di Claude Lorrain (oggi al Fitzwilliam Museum di Cambridge), il Ritratto di Enrichetta regina d’Inghilterra attribuito alla scuola di Van Dyck e la statua classica della Supplice Barberini (oggi al Louvre).[11] La sala di Parnaso (affrescata sulla volta da Andrea Camassei con scene di Apollo e le Muse, oggi perdute), era chiamata anche sala del Cembalo per via della presenza della celebre arpa Barberini che il musicista di corte Marco Marazzoli lascia in eredità al cardinale Antonio Barberini, strumento che compare anche in un dipinto di Giovanni Lanfranco della collezione (oggi rimasto in loco al museo d'arte antica di Roma), ospitava l'Et in arcadia ego di Guercino (rimasto a palazzo Barberini) e i tre dipinti di Caravaggio (il Suonatore di liuto del Metropolitan Museum di New York, la Santa Caterina d’Alessandria del Thyssen-Bornemisza di Madrid, entrambi che compaiono negli inventari della collezione di Antonio Barberini del 1644 e del 1671, e la versione de I bari al Kimbell Art Museum di Fort Worth).[11] Nello studio di Antonio Barberini era esposta la Fornarina di Raffaello (rimasta a palazzo Barberini), acquistato nel 1642 da Giovanni Buoncompagni, duca di Sora, genero della titolare del dipinto, la contessa Caterina Nobili Sforza di Santa Fiora, il cui edificio (palazzo Sforza) era stato inglobato nell’ala nord del costruendo palazzo Barberini, mentre nella sala da letto del cardinale erano esposte le ventotto tavole degli uomini Illustri di Giusto di Gand provenienti dallo studiolo di Federico da Montefeltro nel palazzo Ducale di Urbino e dapprima acquistate da Urbano VIII nel 1631.[11]

Giovanni Lanfranco, Cleopatra morente

Antonio Barberini si interessò anche di musica: il compositore Marco Marazzoli rappresenta tra i massimi musicisti di corte che ha fatto parte dell'entourage del cardinal nipote dal 1629 e che nel 1637 è divenuto suo aiutante di camera, occasione nella quale fece dono al suo protettore di tre dipinti di Giovanni Lanfranco della sua quadreria, la Venere che suona l'arpa, l'Erminia fra i pastori e la Cleopatra morente (tutte nel museo del palazzo Barberini).

L'Arpa Barberini e la sua riproduzione nel dipinto della Venere con l'arpa di Giovanni Lanfranco

Francesco Barberini non fu solo un intenditore di arte, ma si destreggiò anche in altri ambiti: disponeva di una ricca biblioteca composta da circa 40.000 volumi,[12][13] inaugurò nel 1632 all'interno degli appartamenti di sua pertinenza del palazzo il teatro di corte, adibito a spettacoli musicali, e fu il fondatore di una manifattura di arazzi a Roma nel 1627. Gli inventari del cardinale segnalano numerosi arazzi che decorano le sale dei suoi appartamenti, da quelli raffiguranti semplici battute di caccia e paesaggi alle serie più numerose come le Storie di Ciro, le Storie di Calcut, la Vita di Costantino (serie donata dal re di Francia Luigi XIII e disegnata da Peter Paul Rubens), le Storie di Apollo, altre sulla Vita di Costantino (da integrare a quelle francesi), quelle di Cristo e le Storie di Urbano VIII (queste ultime tutte realizzate proprio dall'arazzeria fondata dal cardinal Francesco partendo da cartoni dipinti rispettivamente da Clemente Maioli, Pietro da Cortona, Giovan Francesco Romanelli e Antonio Gherardi).

Già dal primo inventario di Francesco (1631) appariva inoltre molto ricca la collezione di busti coi ritratti (anche postumi) degli esponenti del casato realizzati dal Bernini e dalla sua scuola: in suo possesso figuravano un busto del cardinale Antonio Marcello Barberini e un altro di Alessandro (entrambi fratelli di Urbano VIII, di cui il primo del Bernini e oggi al museo di palazzo Barberini a Roma, noto anche in un'altra redazione identica coeva commissionata a Giuliano Finelli per la cappella in San Giovanni dei Fiorentini e il secondo non rintracciato), una pendance composta da Antonio Barberini seniore (padre di Urbano VIII, non rintracciato) e Camilla Barbadori (madre di Urbano VIII, eseguito da Gian Lorenzo Bernini e oggi a Copenaghen), originariamente commissionati dal cardinale Maffeo Barberini (futuro papa) per la cappella gentilizia in Sant'Andrea della Valle, dove di fatto furono collocati, e poi riposizionati dal cardinale Francesco nella sua galleria alle Quattro Fontane. Ancora sono registrati un busto del monsignor Francesco Barberini (zio di Urbano VIII) di Gian Lorenzo Bernini (oggi al museo di Washington) e infine il busto di Maria Duglioli Barberini (vedova di uno dei fratelli del cardinale Francesco, oggi al Louvre) di Giuliano Finelli. A questi si aggiungono nell'inventario del 1649 anche i busti di Carlo Barberini (fratello di Urbano VIII), noti in due redazioni, una di Francesco Mochi oggi al Museo di Roma a palazzo Braschi e l'altro rimasto in collezione privata Barberini e poi trasferito in raccolta milanese.

Taddeo anche possedeva una discreta collezione, in gran parte registrata però nel palazzo di via dei Giubbonari (tra cui le due tele di Andrea Camassei del Massacro dei Niobidi e del Riposo di Diana), per il quale finanzia interventi di ammodernamento particolarmente importanti tra il 1640 e il 1642, eseguiti dall'architetto Francesco Contini, attivo per conto della famiglia papale anche al convento di Santa Susanna di Roma e alla chiesa di Santa Rosalia e al Triangolo Barberini a Palestrina.

La crisi familiare sotto il pontificato di Innocenzo X Pamphilj (1644-1653)

Correggio, Matrimonio mistico di Caterina d'Alessandria

Urbano VIII muore nel 1644 e col cambio pontefice i Barberini caddero in disgrazia: Innocenzo X Pamphilj ordinò infatti delle investigazioni nei confronti della famiglia per illecito nei profitti durante il pontificato e durante la prima guerra di Castro.[14] I Barberini cercarono inizialmente di tutelare le fortune accumulate dalla loro famiglia fino a quel momento, tuttavia a causa dello sviluppo della situazione, Antonio e Taddeo fuggirono a Parigi il 27 settembre 1645, supportati dal cardinale Giulio Mazzarino e dal re Luigi XIV, mentre Francesco rimase a Roma.

Il principe Taddeo morirà appena due anni dopo, nel 1647, senza più rivedere Roma, mentre il cardinale Antonio si riconciliò con Innocenzo X e fece ritorno in città solo il 12 luglio 1653, ancorché il 15 agosto di quell'anno il papa gli restaurò tutti i suoi titoli e protettorati.[14] Tuttavia il supporto francese ricevuto in occasione della fuga non fu esente da oneri per la famiglia, che dovette infatti cedere al cardinale Mazzarino svariate opere, poi confluite nel 1665 nelle collezioni del Re Sole: tra queste vi fu lo Sposalizio mistico di santa Caterina e san Sebastiano di Correggio (oggi al Museo del Louvre), facente parte dei beni del cardinale Antonio Barberini.

Vista la politica barberiniana pro-francese e contro gli interessi spagnoli, contestualmente al bando del pontefice il re di Spagna Filippo IV dispose dal 1650 il sequestro di tutti i beni del cardinale Francesco Barberini sparsi nei territori spagnoli e italiani.[14] Il prelato dovette quindi utilizzare anch'egli l'arte per riuscire a riconciliare i rapporti con la corona, che ebbe definitivamente solo alla fine del regno, intorno al 1659, quando è registrato un grosso carico di opere che Francesco spedisce in dono da Roma a Madrid.[14]

Il ritorno della famiglia Roma e la morte di Antonio (1671) e Francesco Barberini (1679)

A sinistra il monumento funebre del cardinale Francesco Barberini seniore di Lorenzo Ottoni, a destra quello del cardinale Antonio Barberini iuniore di Bernardino Cametti

Rientrati in possesso dei propri beni, il principe Maffeo Barberini, figlio di Taddeo che ricevette in eredità il palazzo ai Giubbonari dal padre, lo cedette nel 1658 per 50.000 scudi allo zio Antonio,[15] il quale morì nel 1671 e lo ritornò in eredità ancora a Maffeo e in più ai cardinali Francesco e Carlo (altro figlio di Taddeo). Al 1671 risale quindi l'ultimo inventario che descrive la collezione di Antonio, uno dei più precisi tra i numerosi inventari che hanno caratterizzato la collezione familiare, poiché sono segnalate anche le stime economiche dei dipinti, dove figurano l'Ebrezza di Noé di Andrea Sacchi valutato 900 scudi, il Suonatore di liuto e la Santa Caterina d’Alessandria di Caravaggio.

I busti con i ritratti postumi del cardinale Francesco Barberini seniore e del cardinale Antonio Barberini iuniore di Lorenzo Ottoni

Antonio fu sepolto dapprima nella chiesa di San Lorenzo a Palestrina e poi successivamente trasferito per volontà del fratello dov'erano le spoglie di Taddeo, nella cappella di famiglia della chiesa di Santa Rosalia della medesima cittadina, per la quale fu innalzato il monumento funebre completato nel 1704 da Bernardino Cametti secondo canoni estetici berniniani.

Nel 1674 Maffeo, Francesco e Carlo riuscirono a vendere il palazzo ai Giubbonari a Stefano Pallavicini, fratello del cardinal Lazzaro da poco elevato alla porpora e in cerca di una sistemazione per sé e le sue collezioni d'arte. Il contratto di vendita per 50.000 scudi, del 12 febbraio 1674[16], prevedeva la possibilità di riscattare la Casa Grande entro vent'anni, cosa che avverrà poi nel 1694 ad opera del solo cardinal Carlo Barberini.[17]

Francesco, ultimo dei tre fratelli rimasto in vita, si trova quindi a gestire tutto l'enorme patrimonio artistico e immobiliare della famiglia fino alla sua morte, avvenuta otto anni dopo, nel 1679, mettendo fine a una delle più esaltanti stagioni collezionistiche della storia dell'arte. L'anno seguente vengono commissionati a Lorenzo Ottoni i due busti agli illustri cardinali che hanno contribuito allo sviluppo della collezione, quelli di Francesco e Antonio Barberini (entrambi oggi al museo di Roma a palazzo Braschi), integrando così la già gloriosa serie di ritratti agli avi del casato che fu di Francesco. Contestualmente l'artista lavorò anche al monumento funebre di Francesco Barberini, che trovò degna sepoltura nella basilica di San Pietro in Vaticano.

Settecento

La collezione sotto Cornelia Costanza Barberini, ultima erede del casato

Palazzo Barberini ai Giubbonari, Roma

Dopo alcuni passaggi familiari intermedi della collezione dei suoi predecessori, tra cui il cardinale Carlo Barberini, di cui è noto l'inventario della collezione, datato 1704, il fratello Maffeo Barberini, che si impegnò semplicemente a tenere la raccolta salda (la collezione di Taddeo in via dei Giubbonari viene intanto trasferita nel palazzo alle Quattro Fontane tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo) apportando solo lievi aggiunte, tra cui le opere di Niccolò Tornioli, la collezione passa al cardinale Francesco iuniore, che nel suo inventario del 1738 fotografò tutta la raccolta storica riunita. Il porporato, ultimo rappresentante della discendenza in linea maschile e legittima della famiglia,[18] in data 12 ottobre 1734 riuscì a far cassa con la vendita (definitiva) del palazzo ai Giubbonari, acquistato dall'Ordine dei Carmelitani Scalzi.[19]

Alla morte del cardinale Francesco iuniore nel 1738 la collezione viene ereditata dalla nipote Cornelia Costanza Barberini, IV principessa di Palestrina nonché ultima discendente diretta del casato, sposata con Giulio Cesare Colonna di Sciarra.

La donna assieme al marito viveva al secondo piano nell'ala sud del palazzo alle Quattro Fontane, i cui ambienti furono ripensati con cicli di affreschi rococò realizzati tra il 1760 e il 1770, tra cui sale decorate con paesaggi, motivi floreali o animali e decorazioni in trompe-l'oeil di svariati artisti tra cui Felice Balboni, mentre la quadreria del tutto settecentesca comprendeva anche un gruppo di tele che rimembrava i fasti della famiglia Colonna, realizzati da Niccolò Ricciolini e Domenico Corvi.[20]

La divisione della collezione tra i rami Barberini Colonna di Sciarra principi di Palestrina e principi di Carbognano

Palazzo Colonna Barberini, Palestrina

Nel 1773 Cornelia vende tuttavia diverse opere della collezione per far fronte alle criticità finanziarie della famiglia, oramai non più con le casse fiorenti come il secolo precedente. Molte di queste finirono soprattutto in Francia, tra cui il Giacobbe e Labano di Pietro da Cortona, mentre altre nelle collezioni inglesi, come il San Girolamo di Guido Reni.[21]

Senza eredi dal lato fraterno, la principessa lascia la collezione al maschio secondogenito, Carlo Colonna Barberini, gesto questo che suscita però malumori da parte del primo figlio, Urbano, che si concretizzano in vertenze legali[12] Vinta la causa quest'ultimo la collezione verrà divisa tra i due fratelli subendo così una prima netta frattura: da un lato la linea che porta i titoli dei principi di Palestrina, dall'altro i Barberini Colonna di Sciarra dei principi di Carbognano.

Il ramo dinastico dei Barberini Colonna di Sciarra dei principi di Palestrina conservò i feudi di Castel San Pietro, Capranica, San Vittorino, Collalto e in più tenne il grande palazzo Barberini di Roma. I principi di Carbognano avevano invece il palazzo su via del Corso e l'annessa Galleria, la villa sul Gianicolo e i feudi di Montelibretti, Nerola, Corese, Ponticelli e Montorio Romano, mentre per quanto riguarda la collezione, ottennero capolavori come il Sansone e l'Allegoria dell'Italia di Valentin de Boulogne, il San Sebastiano del Perugino, il Mosè con le tavole della legge e la Maddalena penitente di Guido Reni, la Cleopatra di Giovanni Lanfranco, I bari di Caravaggio e La bella di Jacopo Palma il Vecchio.

Ottocento

La vendita illegale dei pezzi della linea Barberini Colonna di Sciarra di Carbognano

Valentin de Boulogne, Sansone

La lite per l'eredità Barberini delle due linee familiari si risolse nel 1811 a Parigi, quando la collezione dei due fratelli era ancora tutta nel palazzo familiare alle Quattro Fontane; un anno dopo la proprietà verrà quindi divisa giuridicamente e concretamente tra le famiglie Barberini Colonna di Sciarra di Palestrina e quella di Carbognano (che trasferì le opere nel palazzo familiare su via del Corso).

Fauno Barberini

A peggiorare ancor di più il clima di tensione che correva tra i due rami familiari, vi furono le dismissioni che intanto interessavano alcuni pezzi della collezione. Nel 1814 il Fauno Barberini fu acquistato da Ludovico di Baviera per la Gliptoteca di Monaco; il marmo arrivò tuttavia nelle collezioni bavaresi solo nel 1820, dopo varie pressioni fatte per rimuovere un divieto di esportazione da Roma dell'opera.[22]

Nel corso del secolo una buona parte di quella che giunse nell'eredità degli eredi Colonna di Sciarra fu venduta a sua volta per far fronte agli ingenti debiti del casato, perdendo pressoché l'intero suo patrimonio in attività speculative,[23] così come il Ritratto di Marcello Sacchetti (attestato nella collezione del cardinal Antonio già dal 1644) viene venduto nello stesso anno a Pietro Camuccini. Ancora, la metà delle ventotto tavole della serie degli uomini illustri di Giusto di Gand di competenza del ramo passò nella collezione di Giampietro Campana, dove sono attestati almeno dal 1856 e successivamente confluiti nelle collezioni napoleoniche. Ad ogni modo al 1870 sono registrati nel palazzo Colonna di Sciarra a via del Corso ancora centotrentuno sculture antiche e centocinquantatré quadri.

Tra il 1891 e il 1896, sotto la gestione scellerata di Maffeo Barberini Colonna di Sciarra, VIII principe di Carbognano, e dopo aver fallito il trasferimento della sua collezione al Ministero della Pubblica Istruzione, che si dichiarò disponibile all’acquisto per la somma di 750.000 lire, rifiutata dal principe perché considerata bassa, avvenne tuttavia la dispersione illecita di ventuno capolavori assoluti posseduti dalla famiglia, tra cui anche opere della collezione Barberini (il feudo fu perso nel 1870 a seguito dell'annessione al Regno d'Italia).[24][25] Tra le più celebri opere vendute ex Barberini vi furono quelle del 1891-1892, con la Modestia e la Vanità di Bernardino Luini, le Nozze di Peleo e Teti del Romanelli, il busto di Maria Duglioli Barberini del Finelli,[26] il Suonatore di violino di Sebastiano del Piombo, I bari di Caravaggio, la Maddalena penitente di Guido Reni, per poi continuare nel 1896 con le vendite a Parigi del San Sebastiano del Perugino e del Ritratto di Francesco Sforza di Francesco Bonsignori, mentre nel mercato nord europeo finirono la tavola della Madonna col Bambino in trono coi santi Lorenzo e Giovanni Evangelista di Raffaellino del Garbo, la Santa Caterina d'Alessandria di Jacopino del Conte e soprattutto l'Allegoria dell'Italia Barberini di Valentin de Boulogne.[27]

Perugino, San Sebastiano

Per quest'ultime azioni Maffeo fu pesantemente multato e condannato a tre mesi di carcere. Nel 1897 il ramo Colonna di Sciarra di Carbognano era prossimo alla rovina finanziaria: Maffeo indebitato di circa due milioni di lire dovette infatti vendere il palazzo a via del Corso per ripagare i suoi creditori, tra i quali c'era anche l'ingegnere Edoardo Almagià, che ottenne come contropartita delle sue spettanze centotrentatré quadri (alcuni ex Barberini) messi all'asta presso la Galleria Sangiorgi nel marzo 1899, tra cui il Sansone del Boulogne (oggi al museo di Cleveland), il Mosè con le tavole della legge di Guido Reni, replica autografa del soggetto in collezione Borghese (oggi alla Credem di Reggio Emilia) e la Maddalena penitente attribuita a Mariano De Vecchio (oggi in collezione privata).[28][29]

L'ulteriore frazionamento con le linee Sacchetti marchesi di Castelromano e Corsini principi di Sismano

Se la parte confluita ai titoli Colonna di Sciarra ebbe sin da subito un destino scellerato, la quota parte della collezione rimasta agli eredi Barberini dei principi di Palestrina ebbe invece sorti diverse.

Avorio Barberini

Nel 1871 la legge n. 286 abolì l'istituto del fedecommesso, e quindi anche quello voluto da Urbano VIII nel 1627 che teneva unita la collezione Barberini, rinnovato poi dal cardinale Francesco Barberini nel 1678, quindi da Maffeo nel 1685 e infine per ultimo dal cardinale Carlo nel 1704,[2] La legge tuttavia ribadì l'inalienabilità e l'indivisibilità delle collezioni romane e pertanto anche quella Barberini Colonna di Sciarra di Palestrina, di cui erano comproprietari all'epoca i fratelli Carlo Felice ed Enrico. La loro discendenza (senza maschi in vita che potessero dare seguito all'eredità, alcuni celibi altri premorti ai genitori o deceduti in tenera età) determinerà però un'ulteriore frattura della raccolta, divisa tra i rami Corsini dei principi di Sismano e Sacchetti dei marchesi di Castelromano.

Maria, nata nel feudo di Castel Gandolfo, unica figlia di Enrico e sposata con Luigi Sacchetti, ereditò quindi nel 1889 la quota paterna della raccolta, rappresentante i 58 della collezione, mentre i restanti 38 furono dal 1878 di Anna e Luisa Barberini, figlie di Carlo Felice Barberini, i quali confluiranno successivamente per dote nella collezione Corsini in virtù dei matrimoni del 1859 rispettivamente con i fratelli Tommaso e Pierfrancesco Corsini.[12][2]

Mentre la discendenza Barberini-Sacchetti continuò poi a detenere privatamente la collezione, con comunque alcune opere evidentemente non vincolate che furono vendute a mercanti e collezionisti del tempo, tra cui la serie di centotrentacinque arazzi delle Storie di Apollo, vendute nel 1889 a Charles Mather Ffoulke,[30] o come l'Avorio Barberini, comperato dal Louvre dieci anni dopo, nel 1899, la famiglia Barberini-Corsini effettua nel 1882 la donazione allo Stato italiano dei loro beni (ottocentosei opere) collocati nel palazzo Corsini alla Lungara, donato anch'esso in quell'occasione, dov'erano anche una parte di opere già Barberini (un'altra rimase invece di proprietà privata della famiglia).[12] Due anni dopo nasce quindi la Regia Galleria d'arte antica e Gabinetto di di stampe.[12]

Novecento

La dispersione dei pezzi della collezione Barberini sotto il Regime fascista (1934)

Albrecht Dürer, Cristo dodicenne tra i dottori

In dissesto finanziario oramai da diversi anni (sia nei rami Sacchetti che Corsini) la famiglia Barberini cedette per 500.000 lire nel 1902 il nucleo più consistente della biblioteca e dell'archivio familiare al Vaticano (oggi presso l'archivio e la biblioteca Vaticana), comprendente oltre 4.000 manoscritti, latini e italiani, 700 manoscritti greci ed orientali, 400 incunaboli, 35.000 stampati, 3.000 volumi di carteggi politici, 200 volumi di carteggi familiari e due archivi composti da 10.152 fascicoli contenuti in 926 buste.[31] Nel 1926 Tommaso Corsini subentra nei diritti sulla collezione di pertinenza della sua famiglia al padre, Filippo, a sua volta investito dell'eredità di Anna e di Luisa Barberini Colonna di Sciarra rispettivamente nel 1911 e nel 1909.[2][32]

Nel 1929 fu invece venduta la villa di Castel Gandolfo allo Stato italiano, che poco dopo fu donata alla Santa Sede in occasione della stipula dei patti lateranensi.

Queste cessioni costituiscono solo il preludio al depauperamento vero e proprio di un grosso blocco della collezione; infatti dopo diverse sollecitazioni di Urbano Barberini Sacchetti (1895-1973), nipote di Maria Barberini Colonna di Sciarra, e degli eredi Corsini a Mussolini, al quale chiedevano con insistenza di poter alienare alcuni beni della propria raccolta, il duce rispose superando l'antico fidecommesso voluto da Urbano VIII nel 1627 (poi rinnovato dai suoi successori) e asserendo che si potesse procedere alla vendita delle opere, anche perché lo Stato non aveva le risorse per acquistarle.[11]

Raffaello, La Fornarina

Agendo in questo modo d'imperio senza tener conto del ruolo istituzionale delle Soprintendenze, i principi ottennero il riconoscimento delle proprie volontà con il Regio Decreto Legge del 26 aprile 1934, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Anno 75°, il 5 maggio 1934, n. 107,[2] secondo cui le collezioni venivano divise in tre parti:[31] una composta dal gruppo di opere che lo Stato avrebbe scelto e tenuto per sé fino al raggiungimento della metà del valore dell'intera collezione, una seconda composta da opere che sarebbero state lasciate a disposizione degli eredi Barberini per le alienazioni, anche all'estero, mentre una terza composta da quindici cartoni per gli arazzi sulla vita di Urbano VIII di Pietro da Cortona sarebbe rimasta vincolata ai proprietari senza diritto di vendita se non allo Stato italiano.[2][33]

Dea Roma (cosiddetta Dea Barberini)

I firmatari della Convenzione relativa alla collezione artistica del Fidecommesso Barberini furono il ministro dell'educazione nazionale Francesco Ercole (1884-1945) e i rappresentanti delle due linee ereditarie dei principi di Palestrina, Maria Barberini-Colonna di Sciarra (1872-1955), coniugata Sacchetti, che come ringraziamento al duce gli fece anche dono dell'affresco della Dea Roma (oggi al museo di palazzo Massimo alle Terme di Roma), e Tommaso Corsini (1903-1980), quest'ultimo che agì in proprio e per procura di tutti gli altri congiunti.[31][34]

Ne conseguì da questo accordo una importante vendita di opere della collezione, che lasciarono così il territorio italiano definitivamente in favore di collezionisti e musei stranieri, tra cui anche opere di statuaria antica.[11][35] La disastrosa decisione determinò infatti la possibile libera uscita di centosei dipinti (dove figuravano la Santa Caterina e il Suonatore di liuto di Caravaggio, il Cristo dodicenne tra i dottori di Dürer, che era la seconda opera più valutata nell'elenco di vendita, 1.000.000 di lire, le tavole di Fra Carnevale, un tempo assegnate al Maestro delle tavole Barberini, la Venere con l'arpa di Giovanni Lanfranco, il San Luca e il San Matteo del Guercino, il Martirio di sant'Apollonia, il putto dormiente e il Sant'Andrea Corsini di Guido Reni, svariate opere di Andrea Sacchi e Simon Vouet e la Santa Caterina d’Alessandria in carcere riceve la visita di Faustina di Mattia Preti) più trentadue sculture e frammenti antichi, a fronte di soli sedici quadri, contrassegnati con lettera "F", che furono invece comperati dal Stato (La Fornarina di Raffaello, in assoluto il pezzo più valutato dell'intero inventario, 1.500.000 lire, il Ritratto di Beatrice Cenci descritto al tempo come opera attribuita a Guido Reni e le restanti quattordici tavole di Giusto da Gand dallo studio del duca di Montefeltro a Urbino che non finirono nella divisione col ramo Colonna di Sciarra di Urbano).[2][35]

Nello stesso anno 1934 intanto circa l'80% di palazzo Barberini alle Quattro Fontane viene dato in fitto dalla famiglia al circolo Ufficiali delle Forze armate. Un anno dopo, nel 1935, la Supplice Barberini viene invece acquistata in tutta fretta dal Museo del Louvre di Parigi.

Nel 1936 il Sant'Andrea Corsini di Guido Reni commissionato in origine dalla famiglia Corsini per farne immediatamente dono a Urbano VIII, pontefice che lo canonizzò, e a loro ritornato con i lasciti Barberini, da parte di un gruppo di opere (tra cui anche la Santa Rosalia di Carlo Maratta e il Pigmalione e Galatea di Bronzino) che col tempo vengono portate via dal palazzo alle Quattro Fontane per esser collocate in quello Corsini al Parione di Firenze.[35]

L'acquisto di palazzo Barberini da parte dello Stato italiano (1949) e la nascita della Galleria d'arte antica

Costantino ordina la distruzione degli idoli, a sinistra il cartone preparatorio di Pietro da Cortona, a destra l'arazzo del 1637 della manifattura Barberini

Nel 1949 palazzo Barberini alle Quattro Fontane, ancora dimora della linea Sacchetti, ma spoglio di opere, venne acquistato dallo Stato italiano che salvò così in parte il processo di depauperamento avviato già a partire dal Settecento e che è culminato con la grande dispersione fascista degli anni '30 del Novecento.[1] In questa circostanza venne creata la Galleria nazionale d'arte antica, che però ospiterà solo una piccola parte della collezione museale poiché gli spazi rimasti all'istituto erano esigui rispetto alla porzione concessa già dal 1934 al circolo delle Forze armate, che nonostante la scadenza del contratto di affitto nel 1953 fu sempre restio a sgomberare i locali, cosa che avverrà solo nel 1997.[1]

Con la creazione del Museo la collezione Barberini trova una riorganizzazione più coerente con la conseguente separazione espositiva dalla "sorella" collezione Corsini, che viene invece lasciata tutta nello storico palazzo familiare alla Lungara, mentre le opere Barberini ritornano nell'originaria collocazione alle Quattro Fontane. Le altre quattordici tavole delle originarie delle ventotto di Giusto di Gand provenienti dal palazzo Ducale di Urbino già nella collezione Montefeltro e di competenza dei Barberini-Sacchetti furono trasferite nel 1983 nella loro sede originaria nelle Marche (a differenza di quelle che confluirono ilo tempore nella collezione della famiglia Colonna di Sciarra, le quali vennero alienate già nel 1812).[11] Una parte delle opere non donate allo Stato restano tutt'oggi nella collezione privata Corsini di Firenze sita nel palazzo al Parione.

Nicolas Poussin, Morte di Germanico

Centododici opere della collezione rimaste di proprietà della famiglia vengono acquistate nel 1952 dalla Galleria nazionale di Roma, tra cui anche opere rientranti tra quelle libere alla vendita e ancora non alienate, come la Venere con l'arpa di Giovanni Lanfranco, il San Matteo e il San Luca del Guercino e diversi cartoni per arazzi della bottega di Pietro da Cortona, in particolare quelli sulla vita di Cristo di Giovanni Francesco Romanelli.

Nel 1955 con la morte di Maria Barberini Colonna di Sciarra i locali del secondo piano che furono della principessa Cornelia Costanza vengono liberati dalla famiglia, che oramai viveva in quegli appartamenti già dal Settecento. Diversi quadri rimasti agli eredi Barberini-Corsini domiciliati tra Roma e Firenze furono poi venduti all'estero: la Morte di Germanico di Nicolas Poussin viene venduta nel 1958 al museo di Minneapolis grazie al fondo di un banchiere statunitense William Hood Dunwoody, la serie di arazzi con la Vita di Costantino (sia quella donata da Luigi XIII di Francia disegnata da Rubens che quella realizzata dall'arazzeria Barberini nel 1637 su disegni di Pietro da Cortona) è immessa nel mercato estero per poi confluire nel museo di Philadelphia, nel 1968 viene venduta l'Adorazione dei Magi di Guido Reni, infine nel 1971 viene venduto al Getty Museum di Los Angeles il San Sebastiano gettato dalla Cloaca Massima di Ludovico Carracci. Altre opere vengono di contro comperate dallo Stato da Tommaso Corsini nel 1977, tra cui svariati cartoni per le serie di arazzi.

L'ultima opera che lo Stato acquista dalla collezione privata Barberini degli eredi Sacchetti (comproprietari i fratelli Benedetto, Urbano, Francesca e Giovanni) per il tramite della Galleria nazionale risale al 2024, con la scultura bronzea di Francesco Mochi del Ritratto equestre di Francesco Barberini (zio di Urbano VIII), arrivando così a esporre nell'originaria collocazione voluta da Urbano VIII circa duecento opere dell'antica collezione.

Elenco

Antichità

Era Barberini

Manifattura e complementi d'arredo

Maestranze toscane sec. XVII, Cassetta Barberini

Pittura e scultura[38]

Gian Lorenzo Bernini, David con la testa di Golia
Gian Lorenzo Bernini, San Sebastiano
Andrea Camassei, Massacro dei Nibbiodi
Caravaggio, I bari
Caravaggio, Suonatore di liuto
Ludovico Carracci, San Sebastiano gettato nella Cloaca Massima
Pietro da Cortona, Giacobbe e Labano
Guercino, Sansone porta il favo di miele ai suoi genitori
Giovanni Lanfranco, Crocifissione
Giovanni Lanfranco, Trasfigurazione
Filippo Lauri e Filippo Gagliardi, Giostra dei Caroselli a Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia
Nicolas Poussin, Distruzione del tempio di Gerusalemme
Guido Reni, Maddalena
Guido Reni, Putto dormiente
Guido Reni, San Girolamo
Andrea Sacchi, Ritratto di Marcantonio Pasqualini incornato da Apollo
Andrea Sacchi, Ritratto di Taddeo Barberini, I principe di Palestrina, nelle vesti di Prefetto di Roma
Andrea Sacchi, Jan Miel e Filippo Gagliardi, Papa Urbano VIII visita le celebrazione dell'ordine gesuita nella chiesa del Gesù

A

B

C

D

E

F

G

L

M

O

P

R

S

T

Albero genealogico degli eredi della collezione

Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Barberini, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito, o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità il cognome Barberini viene abbreviato a "B.".

 Carlo B.
(1488-1566)
 
  
 Francesco B.
(1528-1600)
(cardinale e zio che crebbe Maffeo, futuro papa Urbano, alla morte del padre)
Antonio B.
(1529-1571)
(sposato con Camilla Barbadori)
 
   
 Carlo B.
(1562-1630)
Papa Urbano VIII
(1558-1644)
(nato Maffeo Vincenzo B., pontefice dal 1623 al 1644)
Antonio Marcello B.
(1569-1646)
(cardinale)
 
   
 Francesco B.
(1597-1679)
(cardinal-nipote)
Taddeo B., I principe di Palestrina
(1603-1647)
(sposato con Anna Colonna, è indicato anche come III principe di Palestrina in successione alla dinastia Colonna di Sciarra da cui acquistò il feudo nel 1630)
Antonio B.
(1608-1671)
(cardinal-nipote)
 
   
 Lucrezia B.
(1628-1609)
Carlo B.
(1630-1704)
(cardinale)
Maffeo B., II principe di Palestrina
(1631-1685)
(sposato con Olimpia Giustiniani)
 
   
 Francesco B.
(1662-1738)
(cardinale)
Urbano B., III principe di Palestrina
(1664-1722)
(ebbe un figlio illegittimo e tre matrimoni, il primo con Cornelia Zeno Ottoboni, senza figli, il secondo con Felice Ventimiglia Pignatelli d'Aragona il cui figlio morì dopo due anni e da cui si separò, e il terzo con Maria Teresa Boncompagni da cui ebbe una o due figli)
...e altri 3 fratelli/sorelle
 
   
 Maffeo Callisto B.
(figlio illegittimo)
Cornelia Costanza B., IV principessa di Palestrina
(1716-1797)
(sposata con Giulio Cesare Colonna di Sciarra, V principe di Carbognano, da cui nacque la linea Colonna-B.; dimorò nel palazzo nei pressi delle Quattro Fontane allestendo al secondo piano gli appartamenti settecenteschi a lei dedicati. Stabilì un fedecommesso di secondogenitura per il proprio secondo erede, Carlo, il quale assunse il cognome anch'egli di Barberini ed il titolo di Principe di Palestrina come il nonno, entrando così in concorrenza col ramo principale dei principi di Carbognano per il possedimento dei beni di famiglia. Tali contrasti si protrassero sino al 1811 quando a Parigi venne raggiunto un accordo per dividere definitivamente le proprietà tra i due rami belligeranti della famiglia.)
Ruggero B.
(forse premorto al padre)
 
    
 Urbano Colonna B. di Sciarra, VI principe di Carbognano
(1733-1796)
(impugnò la decisione della madre di dare in eredità tutto il patrimonio al solo fratello, da cui ne conseguirà il frazionamento avvenuto nel 1811 della collezione familiare, di cui una parte confluirà nel ramo Colonna di Sciarra principi di Carbognano a cui lui diede seguito; fu sposato con Maria Monica Carafa)
 Carlo Maria Colonna B. di Sciarra, V principe di Palestrina
(1735-1819)
(a lui la madre volle dare in eredità tutto il patrimonio i titoli e i successi della famiglia B., che però fu frazionata dopo la causa legale intentata e vinta dal fratello nel 1811; sposato con Giustina Borromeo Arese fu il continuatore dei titoli originari B. dei principi di Palestrina)
 Maria Vittoria Felice
(1737-1817)
(sposata con Bartolomeo Corsini, III principe di Sismano, dalla cui discendenza i rami Corsini-B. ritorneranno a intrecciarsi nella seconda metà dell'Ottocento)
...e altri 4 fratelli/sorelle
   
     
 Maffeo B. Colonna di Sciarra, VII principe di Carbognano
(1771-1849)
(ebbe un figlio che nacque dopo la sua morte, e pertanto portò il suo stesso nome)
...e altri 2 fratelli/sorelle
 Francesco B. Colonna, VI principe di Palestrina
(1772-1853)
...e altri 3 fratelli/sorelle
 Tommaso Maria Corsini
(1767-1856)
   
     
 Maffeo B. Colonna di Sciarra, VIII principe di Carbognano
(1850-1925)
(sposato con Alliette de Bonneval, a causa di problemi finanziari furono dismesse dopo il 1880 diverse proprietà e feudi della famiglia, quindi la villa al Gianicolo, quella a Frascati, la Galleria e il palazzo al Corso, inoltre alienò illegalmente gran parte della collezione all'estero sul finire dell'Ottocento)
 Carlo Felice B. Colonna
(1817-1880)
 Enrico B. Colonna
(1823-1889)
...e altri 5 fratelli/sorelle
 Neri Corsini, Marchese di Lajatico
(1805-1859)
(sposato con Eleonora Rinuccini, ebbe 4 figli tra cui il primogenito Tommaso e il secondo genito Pierfrancesco, che andarono rispettivamente in nozze con le due sorelle Anna e Luisa B. Colonna)
    
       
Stefanella B. Colonna di Sciarra
(1908-1999)
(nubile)
Urbano B. Colonna di Sciarra, IX principe di Carbognano
(1913-1942)
(sposato con Nadia Berlingieri)
 Anna B. Colonna
(1840-1911)
(sposò Tommaso Corsini, fratello di Pierfrancesco, che intanto sposò la sorella di lei, nonché trisnipote anch'egli di Giulio Cesare Colonna di Sciarra, V principe di Carbognano, nato sulla linea della figlia di questi Maria Vittoria Felice B. Colonna)
Luisa B. Colonna
(1844-1906)
(sposò Pierfrancesco Corsini, fratello di Tommaso, che intanto sposò la sorella di lei, nonché trisnipote anch'egli di Giulio Cesare Colonna di Sciarra, V principe di Carbognano, nato sulla linea della figlia di questi Maria Vittoria Felice B. Colonna)
 Maria B. Colonna
(1872-1955)
(sposata con Luigi Sacchetti dei marchesi di Castelromano da cui ebbe seguito la linea B.-Sacchetti tutt'oggi titolare dei titolo B. e del residuo della collezione privata, dove parte della famiglia vive in un'ala del palazzo alle Quattro Fontane di Roma; firmò il Regio Decreto Legge del 1934 che consentì di poter vendere alcuni pezzi della collezione)
 Tommaso Corsini
(1835-1919)
(sposò Anna B. Colonna; da qui si unirono i rami B.-Corsini)
Pierfrancesco Corsini
(?-?)
(sposò Luisa B. Colonna; da qui si unirono i rami B.-Corsini)
      
        
 Mirta B. Colonna di Sciarra
(1938-?)
(moglie di Alberto Riario Sforza, ex uxor X principe di Carbognano; assunse il cognome Riario Sforza Colonna di Sciarra)
Benedetta B. Colonna di Sciarra

Creazione della linea Barberini-Corsini

Crezione della linea Barberini-Corsini
Francesco B. Sacchetti
(1898-1959)
...e altri 6 fratelli/sorelle
(tra i fratelli[41] vi fu Urbano (1895-1973) che sollecitò Mussolini di poter avere il permesso vendere alcuni pezzi della collezione, cosa che gli fu consentita con Regio Decreto Legge nel 1934)
 Filippo Corsini
(1873-1926)
(eredita nel 1909 e nel 1911 le rispettive collezioni della zia Luisa e della madre Anna B. Colonna di Sciarra)
[...]
   
   
 Urbano Riario Sforza B. Colonna di Sciarra
(1961-)
 Augusto B. Sacchetti
(1923-2005)
(la sua famiglia detiene i titoli Barberini dei principi di Palestrina, vive in una pertinenza del palazzo B. alle Quattro Fontane di Roma e possiede privatamente una parte dell'originaria collezione di Urbano VIII)
 Tommaso Corsini
(1903-1980)
(firmò assieme alla prozia Maria Barberini Colonna di Sciarra il Regio Decreto Legge del 1934 che consentì la possibilità di vendere alcune opere della collezione)
   
      
 [...]
 Benedetto B. Sacchetti
(n. 1961)
Urbano B. Sacchetti
(n. 1962)
Francesca B. Sacchetti
(n. 1965)
Giovanni B. Sacchetti
(n. 1969)
[...]

Note

  1. ^ a b c d e f g h L'Erma di Bretschneider, pp. 15-23
  2. ^ a b c d e f g h Gazzetta Ufficiale, su www.gazzettaufficiale.it. URL consultato il 17 luglio 2024.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l Lorenza Mochi Onori, Sebastian Schütze e Francesco Solinas, I Barberini e la cultura europea del Seicento: atti del convegno internazionale : Palazzo Barberini alle Quattro Fontane, 7-11 dicembre 2004, De Luca, 2007, pp. 1-15 e 205-220, ISBN 978-88-8016-742-6.
  4. ^ a b PALAZZO BARBERINI A ROMA, su Storia dell'Arte, 1º settembre 2020. URL consultato l'11 luglio 2024.
  5. ^ PALAZZO BARBERINI A ROMA (II PARTE), su Storia dell'Arte, 6 ottobre 2020. URL consultato l'11 luglio 2024.
  6. ^ a b Galleria nazionale d'arte antica, Palazzo Barberini, Galleria Corsini: 100 capolavori, Officina libraria, 2021, pp. 19-20, ISBN 978-88-3367-052-2.
  7. ^ L'Allegoria dell'Italia di Valentin de Boulogne arricchisce da oggi la mostra su Urbano VIII, su www.finestresullarte.info. URL consultato l'11 luglio 2024.
  8. ^ Giovan Pietro Bellori: The Lives of the Modern Painters, Sculptors and Architects: A New Translation and Critical Edition translations and additions by Hellmut Wohl (Cambridge University Press, 2005).
  9. ^ a b c Loredana Lorizzo, La collezione del cardinale Ascanio Filomarino: pittura, scultura e mercato dell'arte tra Roma e Napoli nel Seicento, con una nota sulla vendita dei beni del cardinal Del Monte, collana Biblioteca Electa Napoli, Electa Napoli, 2006, pp. 53-63, ISBN 978-88-510-0375-3.
  10. ^ Era consuetudine per i Barberini donare le opere d'arte per fini diplomatici.
  11. ^ a b c d e f g La collezione Barberini e la sua dispersione | Artribune, su artribune.com, 16 giugno 2023. URL consultato l'11 luglio 2024.
  12. ^ a b c d e DALLA COLLEZIONE BARBERINI ALLA GALLERIA NAZIONALE, su Storia dell'Arte, 6 dicembre 2020. URL consultato l'11 luglio 2024.
  13. ^ Cinzia Fortuzzi, La Biblioteca Barberina: la raccolta libraria di Urbano VIII e Francesco Barberini. URL consultato l'11 luglio 2024.
  14. ^ a b c d Lorenza Mochi Onori, Sebastian Schütze e Francesco Solinas, I Barberini e la cultura europea del Seicento: atti del convegno internazionale : Palazzo Barberini alle Quattro Fontane, 7-11 dicembre 2004, De Luca, 2007, pp. 345-360, ISBN 978-88-8016-742-6.
  15. ^ p. 4 (PDF), su web.uniroma1.it.
  16. ^ Pallavicino, Lazzaro, su treccani.it.
  17. ^ Si è spesso fatta confusione sulle date di acquisto e riscatto del palazzo, fissate sovente la prima al 1671 e la seconda al 1680, e i termini del riscatto, come riportati, oscillano dai venti ai venticinque anni, quest'ultimo usato per spiegare il superamento del termine reale nei casi in cui si fissano la data della vendita al 1671 e quella del riacquisto all'effettivo 1694. Per le date corrette, si veda la nota precedente. Questi errori, causati dalla scarsa attenzione degli studi per la storia della Casa Grande a confronto con il più importante palazzo alle Quattro Fontane, sono piuttosto frequenti anche per altre questioni, come l'errata attribuzione al Borromini dell'atrio settecentesco e al Maderno della scala a lumaca che gli gira intorno (riportati ad esempio nelle Guide Rionali e nei volumi editi dalla Newton Compton in bibliografia).
  18. ^ Il casato si estinse con Cornelia Costanza (1716-1797), andata in moglie al principe Giulio Cesare Colonna di Sciarra; il cognome e i titoli della famiglia furono assunti dai discendenti da questo matrimonio e passarono successivamente in casa Sacchetti. Vi fu una linea illegittima in un fratellastro di Cornelia Costanza, Maffeo Callisto (n. 1688), legittimato come Marchese di Corese ma escluso dalla discendenza.
  19. ^ p. 5 (PDF), su web.uniroma1.it.
  20. ^ L’APPARTAMENTO DI CORNELIA COSTANZA, su Storia dell'Arte, 6 novembre 2020. URL consultato l'11 luglio 2024.
  21. ^ a b Pierre de (Berrettini Cortone e Italie, L'Alliance de Jacob et de Laban, 1625. URL consultato il 5 luglio 2024.
  22. ^ Il Fauno Barberini: allestimenti, restauri e fortuna critica (PDF), su thesis.unipd.it.
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  31. ^ a b c Cinzia Fortuzzi, La Biblioteca Barberina: la raccolta libraria di Urbano VIII e Francesco Barberini. URL consultato il 17 luglio 2024.
  32. ^ Nella fattispecie mentre Anna redasse testamento il 25 febbraio 1897 e fu pubblicato il 12 luglio 1911 e lasciò la collezione da lei ereditata a tutti i figli, Giuliana, Eleonora, Andrea Carlo, Beatrice, Elisabetta e Filippo, la sorella Luisa redasse testamento il 17 dicembre 1895 e fu pubblicato l'8 marzo 1906, dove lasciò la suo quota esclusivamente al nipote Filippo Corsini.
  33. ^ LA GALLERIA NAZIONALE D’ARTE ANTICA DI ROMA, su Storia dell'Arte, 7 gennaio 2021. URL consultato l'11 luglio 2024.
  34. ^ Tommaso agì per sé, che aveva ereditato dal padre la collezione, morto già nel 1926, e per procura degli zii ancora in vita: Giuliana, Eleonora, Andrea Carlo, Beatrice ed Elisabetta Corsini.
  35. ^ a b c Il museo cancellato, articolo del 2005 su Repubblica.it
  36. ^ a b Busto di Faustina Minore | Musei Capitolini, su capitolini.info. URL consultato il 3 gennaio 2024.
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  41. ^ Enrico (1892-1958), Maffeo (1897-1967), Giulio (1900-1977), Carlo (1905-1959) e Beatrice (1906-1963)

Bibliografia

  • AA. VV., Galleria nazionale d'arte antica. Palazzo Barberini - I dipinti. Catalogo sistematico, a cura di Lorenza Mochi Onori, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2008, ISBN 888265351X.
  • AA. VV., I Barberini e la cultura europea del Seicento, a cura di Lorenza Mochi Onori, Sebastian Schütze e Francesco Solinas, Roma, De Luca Editori d'Arte, 2007, ISBN 978-88-8016-742-6.
  • AA. VV., L'immagine sovrana: Urbano VIII e i Barberini, a cura di Flaminia Gennari Santori, Maurizia Cicconi e Sebastian Schütze, Roma, Officina libraria, 2023, ISBN 9788833672311.

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