Le città demaniali erano quelle città del Regno di Sicilia, che non erano sottoposte a feudatari e facevano parte del demanio del re, quindi, chiamate anche città regie.

Tali città erano quindi sottratte alla giurisdizione del locale vescovo, come anche delle terre feudali e venivano governato da una Mastra Giuratoria solitamente composta dal Pretore, dai Giurati (in numero variabile a seconda della città) e dal Capitano Giustiziere. A tali cariche potevano concorrere esclusivamente gli appartenenti alla nobiltà, anche se in alcune città regie erano previsti i cosiddetti "giurati popolari", ovvero governanti scelti tra i maggiorenti del popolo. Queste cariche portavano un grande lustro in coloro che le ricoprivano ed erano quindi ambitissimi dall'aristocrazia isolana.

Nel 1130 si riunì per la prima volta a Palermo, il Parlamento siciliano, il secondo al mondo dopo quello islandese, per proclamare re di Sicilia Ruggero II. Questo era costituito da tre rami e precisamente dal Feudale, dall'Ecclesiastico e dal Demaniale. Il ramo feudale era costituito dai nobili rappresentanti di contee e baronie, il ramo ecclesiastico era formato da arcivescovi, vescovi, abati e archimandriti. Fu Federico II di Svevia, che, convocandolo a Capua nel 1220, vi invitò per la prima volta i rappresentanti locali delle città demaniali, assurgendo così ad elemento centrale di un progetto di riforma amministrativa del Regno[1]. Con Carlo d'Angiò furono denominate Universitas demaniali.

Con la separazione del regno dopo le guerre del Vespro, con il regno di Trinacria agli aragonesi, e il regno di Napoli agli angioini, questa distinzione rimase.

Le Città Demaniali o Regie della Sicilia

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Il ramo demaniale era costituito dai rappresentanti delle 42 città regie della Sicilia che occupavano il seggio assegnato in base all'importanza della città. Queste erano nell'ordine: Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Girgenti (Agrigento), Trapani, Patti, Cefalù, Mazara, Sciacca, Noto, Caltagirone, Troina, Termini (Imerese), Marsala, Lentini, Castrogiovanni (Enna), Naro, Licata, Nicosia, Polizzi, Taormina, Piazza (Armerina), Calascibetta, Randazzo, Mineo, San Filippo D'Argira, Vizzini, Monte San Giuliano (Erice), Salemi, Corleone, Mistretta, Augusta, Jaci D'Aquila (Acireale), Santa Lucia, Tortorici, Sutera, Linguaglossa, Castronovo, Castroreale, Milazzo e Rometta. Le più importanti fra queste ricevettero il titolo di Senato riferito alla Mastra Giuratoria che governava la città e il suo territorio. Le città che ebbero tale privilegio furono: Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Trapani, Caltagirone, Lentini, Cefalù, Augusta, Nicosia, Sciacca, Noto, Monte San Giuliano, Polizzi, Taormina, Licata, Mineo, Acireale, Naro, Mazara, Patti, Tortorici, Corleone e Termini.

Le Città Demaniali o Regie nel Regno di Sicilia citra Pharum

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Le città regie del Regno di Sicilia citra Pharum (successivamente noto come Regno di Napoli) erano[2][3]:

                       
I
Terra di Lavoro
II
Principato Citra
III
Principato Ultra
IV
Basilicata
V
Calabria Citra
VI
Calabria Ultra
VII
Terra d'Otranto
VIII
Terra di Bari
IX
Abruzzo Citra
X
Abruzzo Ultra
XI
Contado di Molise
XII
Capitanata
                       
Napoli
e Casali
Amalfi
e Casali
Ariano Lagonegro Amantea Catanzaro Brindisi Bari Chieti Accumoli Foggia
Aversa
e Casali
Airola Solofra (dal 1535 al 1555) Maratea Cosenza Crotone Gallipoli Barletta Lanciano Alanno Lucera
Capua
e Casali
Capri
e Anacapri
Rivello Longobucco Policastro Lecce Bisceglie Agnone Campana Manfredonia
Gaeta Cava de' Tirreni Tolve Rossano Reggio Calabria Ostuni Bitonto Civitella del Tronto Troia
Massa Lubrense Gragnano Tramutola Scigliano Sant'Agata Squinzano Matera Civita Regale Vieste
Pozzuoli La Sala Seminara Taranto Monopoli Fagnano
San Germano Le Franche Stilo Torre Santa Susanna Trani
Somma Vesuviana
e Casali
Lettere Taverna
Sorrento
e il suo Piano
Maiori Tropea
Marsico Nuovo
Minori
Pimonte
Ravello
Salerno
Scala
  1. ^ Città, Regno di Sicilia, demaniali, su Treccani.
  2. ^ Giovanni Grimaldi, "Città Regie nel Regno di Napoli", grimgio.altervista.org, 2008
  3. ^ Solofra storica, su solofrastorica.it. URL consultato il 19 luglio 2019.

Voci correlate

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