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Abbiamo un fascio di luce (fig. 1, Tav. II). Alla sua incidenza in , una porzione penetrerà nella goccia, e si rifrangerà alla maniera ordinaria. In si farà una nuova separazione, una porzione uscirà fuori, un’altra si rifletterà nel modo già detto precedentemente, e anderà a ferire la superficie della goccia in . La luce rifratta in può incontrare l’occhio dell’osservatore in . La posizione di quest’ultimo, rispetto al sole, ci mostra che la luce non riflessa dalla goccia è perduta, per lui. Ecco adunque una prima perdita di luce. Ora: i raggi emergenti in subiscono una dispersione anch’essi precisamente come nel caso di prima. L’occhio riceverà, nel piano che abbiamo considerato, una mescolanza di raggi di modo che la sensazione risulterà confusa, e l’impressione sarà debole a causa della dilatazione del fascio oltre alla perdita già fatta nella prima dispersione.
È necessario, perchè l’occhio riceva un’impressione viva dei diversi colori, che ciascuno di essi offra un fascio di raggi non divergenti, ma paralleli alla loro emergenza. Sono questi raggi che sono stati chiamati efficaci, e che Cartesio ha avuto il merito di porre a base della sua teoria.
Si tratta di cercare, sia per mezzo dell’esperienza, come per mezzo del calcolo, le condizioni nelle quali hanno luogo i raggi efficaci. Ricorriamo subito all’esperienza colla quale potremo stabilire gli elementi dell’analisi, e dal caso particolare giungere per deduzione gradatamente al caso generale, come il Desprez1, o arrivarvi immediatamente in diversi modi, come fra gli altri il Verdet2 od il Mossotti3.
Se si fa cadere un certo numero di raggi di luce sopra una goccia sferica di acqua e si cerca per ciascuno di essi (fig. II) la deviazione totale, vale a dire l’angolo del