Osservazioni sui colori
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Questa traduzione è stata condotta sul testo tedesco (Bemerkungen über die Farben) della seguente edizione bilingue: Ludwig Wittgenstein, Remarks on Colour, a cura di G.E.M. Anscombe, University of California Press, 1978. Il testo originale è nel pubblico dominio in tutti i paesi dove i diritti di proprietà intellettuale scadono 70 anni o meno dopo la morte dell'autore. Questa traduzione, realizzata grazie al sostegno finanziario di Wikimedia Italia, è pubblicata secondo i termini della licenza Creative Commons Attribuzione.
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La Tigre di Carta, rivista di arte e cultura
ISSN 2420-8787
Via Mortara 4 | 20144, Milano (MI)
Collana: La Tartaruga Nera, collana di filosofia
La Taiga, associazione culturale
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I edizione giugno 2022
Parte I
1). Un gioco linguistico: dire se un determinato corpo sia più chiaro o più scuro di un altro. – Ma eccone uno simile: asserire qualcosa sul rapporto fra le chiarezze di due determinate tonalità cromatiche. (Si può confrontare con: determinare il rapporto fra le lunghezze di due bastoni – o determinare il rapporto fra due numeri.) La forma delle proposizioni è la medesima in entrambi i giochi linguistici: “X è più chiaro di Y”. Ma nel primo il rapporto è esterno e la proposizione temporale, nel secondo il rapporto è interno e la proposizione atemporale.
2). In un quadro, in cui un pezzo di carta bianca riceve la propria chiarezza dal cielo blu, il cielo è più chiaro della carta bianca. Eppure, in un altro senso, il blu è il colore più scuro e il bianco il più chiaro (Goethe). Su una tavolozza il bianco è il colore più chiaro.
3). Secondo Lichtenberg sarebbero poche le persone ad aver visto davvero il bianco puro. Quindi la maggior parte delle persone usa la parola in modo scorretto? – Ha costruito un uso ideale a partire dall’uso comune. E questo non vuol dire un uso migliore, ma un uso perfezionato in una certa direzione, in cui qualcosa è stato spinto all’estremo.
4). E naturalmente un uso così costruito può insegnarci qualcosa sull’uso effettivo.
5). Se dicessi di un foglio che è bianco, e se della neve venisse avvicinata al foglio facendolo sembrare grigio, nel suo ambiente normale continuerei, a ragione, a definirlo bianco e non grigio chiaro. Potrei anche, per esempio in un laboratorio, impiegare un concetto perfezionato di bianco (così come, ad esempio, un concetto perfezionato di determinazione temporale).
6). Cosa si può dire per sostenere che il verde sia un colore primario e non un colore composto ottenuto mescolando blu e giallo? Sarebbe corretto dire: “Lo si capisce subito, semplicemente guardando i colori”? Ma come faccio a essere sicuro che con le parole “colore primario” intendo la stessa cosa di un altro che, come me, sia disposto a definire il verde un colore primario? No – qui decidono i giochi linguistici.
7). C’è il compito di mescolare un dato gialloverde (o bluverde) con uno meno tendente giallo (o al blu), – oppure di sceglierlo fra un certo numero di campioni di colore. Un verde meno tendente al giallo, però, non è un verde tendente al blu (e viceversa), e c’è anche il compito di scegliere, o di ottenere per mescolanza, un verde che non sia né tendente al giallo né tendente al blu. Dico “o di ottenere per mescolanza” perché un verde non diventa tendente al blu [1] o tendente al giallo per il solo fatto di essere stato ottenuto da una specie di mescolanza di giallo e blu.
8). Le persone potrebbero avere il concetto di colore intermedio o colore composto anche se non avessero mai ottenuto i colori attraverso la mescolanza (in qualunque senso si intenda il termine). Nei loro giochi linguistici potrebbe sempre trattarsi soltanto di cercare o scegliere colori intermedi o composti.
9). Anche se il verde non è un colore intermedio fra il giallo e il blu, non potrebbero esserci persone per cui esiste un giallo tendente al blu, o un verde tendente al rosso? Persone, dunque, i cui concetti di colore deviano dai nostri – perché in fondo anche i concetti di colore dei daltonici deviano da quelli delle persone normali e non tutte le deviazioni dalla normalità devono necessariamente essere una cecità o un difetto.
10). Chiediamo a una persona capace di trovare, o di produrre, una data tonalità cromatica, tendente al giallo, al bianco, al rosso e così via, ovvero a una persona che conosca il concetto di colore intermedio, di mostrarci un verde tendente al rosso. Potrebbe non capire affatto la richiesta e reagire come se le avessimo chiesto di mostrarci, dopo un quadrato, un pentagono e un esagono regolari, un unagono regolare. E se invece, senza esitare, ci indicasse un campione di colore (magari quello che noi chiameremmo un marrone tendente al nero)?
11). Chi sa riconoscere un verde tendente al rosso dovrebbe essere in grado di creare una serie di colori che comincia con il rosso e finisce con il verde, e che potrebbe costituire, forse anche per noi, una transizione continuativa dall’uno all’altro. Allora si scoprirebbe che, laddove noi vediamo sempre la stessa tonalità, per esempio il marrone, l’altra persona vede una volta un marrone e un’altra un verde tendente al rosso. Oppure potrebbe riuscire a distinguere due composti chimici, che per noi hanno lo stesso colore, e definirli uno marrone e l’altro rosso tendente al verde.
12). Immagina che l’intera umanità, con poche eccezioni, sia cieca al rosso e al verde. Oppure un altro caso: l’intera umanità è cieca al rosso e al verde oppure cieca al blu e al giallo.
13). Immaginiamo un popolo di daltonici, e potrebbe essere possibile. Non avrebbero i nostri stessi concetti di colore. Perché, anche dando per scontato che parlino, per esempio, tedesco e conoscano quindi tutte le parole tedesche per i colori, le userebbero in modi diversi dai nostri, e imparerebbero a usarle in modo diverso.
Oppure, se parlassero una lingua straniera, ci verrebbe difficile tradurre le loro parole per i colori nella nostra.
14). Ma se anche esistessero persone per le quali fosse normale impiegare espressioni come “verde tendente al rosso” o “blu tendente al giallo” in modo coerente, e che nel farlo dimostrassero anche capacità che a noi mancano, non saremmo per questo costretti a riconoscere che vedono colori che noi non vediamo. Non esiste infatti alcun criterio universalmente riconosciuto per stabilire cosa sia un colore, se non il fatto che è uno dei nostri colori.
15). In ogni serio problema filosofico l’insicurezza affonda fino alle radici. Bisogna sempre essere pronti a imparare qualcosa di completamente nuovo.
16). La descrizione dei fenomeni del daltonismo appartiene alla psicologia. E quindi anche i fenomeni della vista normale? La psicologia descrive soltanto le deviazioni del daltonismo dalla vista normale.
17). Runge (nella lettera pubblicata da Goethe nella sua Teoria dei colori) distingue fra colori trasparenti e colori opachi. Il bianco sarebbe un colore opaco.
Questo dimostra l’imprecisione del concetto di colore, o anche del concetto di uguaglianza dei colori.
18). Un vetro verde trasparente può essere dello stesso colore di un foglio di carta opaco o no? Se il vetro in questione venisse rappresentato in un quadro, i colori sulla tavolozza non sarebbero trasparenti. Per poter dire che i colori del vetro sono trasparenti anche nel quadro, bisognerebbe affermare che il complesso di macchie colorate che rappresenta il vetro è il colore del vetro.
19). Com’è possibile che una cosa trasparente possa essere verde, ma non bianca?
Trasparenza e riflesso esistono soltanto nella dimensione profonda di un’immagine visiva.
L’impressione del mezzo trasparente è che ci sia qualcosa dietro il mezzo. La perfetta monocromaticità dell’immagine visiva non può essere trasparente.
20). Un oggetto bianco dietro un mezzo trasparente colorato appare del colore del mezzo, un oggetto nero appare nero. Secondo questa regola il nero su sfondo bianco deve vedersi, attraverso un mezzo “bianco trasparente”, esattamente come attraverso un mezzo incolore.
21). Runge: “Immaginare un arancione tendente al blu, un verde tendente al rosso, oppure un viola tendente al giallo è un po’ come provare a immaginare un vento del Nord che viene da sud-ovest… Il bianco e il nero sono entrambi opachi, ovvero corporei… Non si può immaginare un’acqua bianca che sia anche limpida, proprio come non si può immaginare il latte limpido”.
22). Non vogliamo trovare una teoria dei colori (né fisiologica né psicologica), ma la logica dei concetti di colore. E con questa si ottiene ciò che spesso, a torto, ci si è aspettati da una teoria.
23). “Non si può immaginare un’acqua bianca etc.” significa che non si può descrivere (per esempio, dipingere) che aspetto avrebbe qualcosa di limpido e bianco, vale a dire: non si sa quale descrizione o rappresentazione queste parole pretendano da noi.
24). Non è intuitivamente chiaro di quale vetro trasparente si possa dire che ha il medesimo colore di un campione di colore opaco. Quando dico “Cerco un vetro di questo colore” (e lo indico su un foglio colorato), significa all’incirca che un oggetto bianco, visto attraverso il vetro, avrà lo stesso aspetto del mio campione.
Se il campione è rosa, azzurro, lilla, allora immagineremo che il vetro sia opaco, ma forse anche limpido e semplicemente poco tendente al rosso, al blu o al viola.
25). Al cinema, talvolta, si possono vedere le vicende del film come se avvenissero dietro la superficie dello schermo, ma questa fosse trasparente, come una tavola di vetro. Il vetro sottrarrebbe alle cose i loro colori e lascerebbe trasparire soltanto il bianco, il grigio e il nero. (Qui non facciamo fisica, ma consideriamo il bianco e il nero come colori, proprio come il verde e il rosso.) – Si potrebbe quindi pensare che qui immaginiamo una tavola di vetro che potrebbe essere definita bianca e trasparente. Eppure non siamo tentati a definirla così: allora l’analogia, per esempio, con una tavola verde trasparente viene meno in qualche punto?
26). Di una tavola verde diremmo forse che dà agli oggetto dietro di lei una colorazione verde; soprattutto al bianco dietro di lei.
27). “Non lo si può immaginare”, quando si tratta di logica, significa: non si sa cosa ci si deve immaginare in questo caso.
28). Della mia tavola di vetro fittizia al cinema si potrebbe dire che dà agli oggetti dietro di lei una colorazione bianca?
29). A partire dalla regola dell’apparenza visiva del colorato trasparente che puoi ricavare dal verde trasparente, rosso trasparente etc., costruire l’apparenza del bianco trasparente! Perché non funziona?
30). Ogni mezzo colorato oscura ciò che viene visto attraverso di esso: inghiotte luce. Allora anche il mio vetro bianco dovrebbe oscurare? E farlo tanto di più, quanto più è spesso? Ma allora sarebbe un vetro scuro!
31). Perché non si può immaginare un vetro bianco e trasparente, anche se in realtà non esiste? Dove va storta l’analogia con il vetro colorato e opaco?
32). Spesso le proposizioni vengono utilizzate al confine fra la logica e l’empiria, cosicché il loro senso oscilla da un lato all’altro del confine ed esse valgono ora come espressione di una norma, ora come espressione di una esperienza.
(Perché non è un fenomeno fisico concomitante – così si possono immaginare i “pensieri” – ma l’impiego a distinguere la proposizione logica da quella empirica.)
33). Quando si parla del “colore dell’oro” non si intende il giallo. “Dorato” è la caratteristica di una superficie che riluce o scintilla.
34). Esistono il calor rosso e il calor bianco: che aspetto avrebbero il calor marrone e il calor grigio? Perché non li si può pensare come un grado più debole del calor bianco?
35). “La luce è incolore.” Se è così, allora lo è nello stesso senso in cui i numeri sono incolori.
36). Ciò che appare luminoso, non appare grigio. Tutto il grigio appare illuminato.
37). Ciò che si vede come luminoso non si vede come grigio. Ma si può benissimo vedere come bianco.
38). Si potrebbe dunque vedere una cosa ora come debolmente luminosa, ora come grigia.
39). Non dico (come gli psicologi della Gestalt) che l’impressione del bianco ha luogo in questo o quell’altro modo. La questione invece è quale sia il significato di quest’espressione, quale la logica del concetto.
40). Il fatto che non si possa pensare qualcosa di “grigio incandescente”, infatti, non rientra nella fisica né nella psicologia del colore.
41). Mi dicono che una certa sostanza brucia producendo una fiamma grigia. Non conosco i colori delle fiamme di tutte le sostanze, quindi perché non dovrebbe essere possibile?
42). Si dice di un filtro che è “rosso scuro”, non “rossonero”.
43). Una superficie bianca liscia può riflettere. E se invece ci si sbagliasse, e ciò che sembra riflesso da essa sia in realtà dietro la superficie e venga visto attraverso di essa? Allora sarebbe bianca e trasparente?
44). Si parla di uno specchio “nero”. Dove riflette, però, scurisce, ma non appare nero, e ciò che si vede attraverso di esso non appare “sporco”, ma “profondo”.
45). L’opacità non è una proprietà del colore bianco. Così come la trasparenza non è una proprietà del verde.
46). E non è sufficiente nemmeno dire che la parola “bianco” viene impiegata soltanto per l’aspetto esteriore delle superfici. Sarebbe possibile anche avere due parole per “verde”: una per le superfici verdi, l’altra per gli oggetti verdi trasparenti. Resterebbe allora da chiedersi perché non esista un nome di colore equivalente alla parola “bianco” per una cosa trasparente.
47). Un mezzo, attraverso il quale un pattern bianco e nero (scacchiera) appaia invariato, non si definirà bianco, anche se attraverso di esso gli altri colori perdessero colorazione.
48). Si potrebbe non voler chiamare “bianco” un effetto luminoso bianco, e chiamare “bianco” soltanto ciò che si vede come colore di una superficie.
49). Due punti dell’ambiente che, in un certo senso, vedo dello stesso colore, potrebbero, in un altro senso, apparirmi uno bianco e l’altro grigio.
In un certo contesto, questo colore per me è bianco sotto una scarsa illuminazione, in un altro mi sembra grigio sotto una buona illuminazione.
Queste sono proposizioni sui concetti di “bianco” e “grigio”.
50). Il secchio che ho di fronte è verniciato di un bianco brillante. Sarebbe assurdo definirlo “grigio” o asserire: “In realtà io vedo un grigio chiaro”. Ma ha un effetto luminoso bianco molto più chiaro del resto della superficie, e questa è in parte a favore della luce e in parte no, senza che appaia di un colore diverso. (Senza che appaia, non soltanto senza che sia.)
51). Dire che: “L’impressione del bianco o del grigio si verifica a certe condizioni (causale)” non è la stessa cosa di dire: “È un’impressione in un determinato contesto di colori e forme”.
52). Il bianco come colore materiale (nel senso in cui si dice che la neve è bianca) è più chiaro di qualunque altro colore materiale; il nero è il più scuro. Qui il colore è un oscuramento, e se al materiale viene sottratto ogni oscuramento rimane il bianco, e perciò si può definirlo “incolore”.
53). Non esiste la fenomenologia, soltanto i problemi fenomenologici.
54). È facile vedere che non tutti i concetti di colore sono logicamente affini. Per esempio, è chiara la differenza fra i concetti “colore dell’oro” o “colore dell’argento” e i concetti di “giallo” o “grigio”.
55). Un colore “brilla” in un ambiente. (Come gli occhi sorridono su un viso). Un colore “tendente al nero” – il grigio, ad esempio – non “brilla”.
56). Le difficoltà che incontriamo nel riflettere sulla natura dei colori (e che Goethe volle affrontare nella Teoria dei colori) sono insite nell’indeterminatezza del nostro concetto di uguaglianza dei colori.
57).
[“Io percepisco X”
“Io osservo X”
Nelle due proposizioni la X non sta per lo stesso concetto, anche se forse sta per la stessa espressione verbale, per esempio per “un dolore”. Perché se mi chiedessero: “Che dolore?”, nel primo caso potrei rispondere: “Questo”, e pungere con un ago chi me l’ha chiesto. Nel secondo caso dovrei rispondere alla stessa domanda in modo diverso, per esempio: “Il mio dolore al piede”. Inoltre, la X nella seconda proposizione potrebbe stare per “il mio dolore”, ma nella prima no.]
58). Pensa a una persona che indica un punto dell’iride di un occhio in un dipinto di Rembrandt e dice: “Le pareti della mia stanza devono essere verniciate di questo colore”.
59). Dipingo la vista dalla mia finestra; un punto preciso, determinato dalla sua posizione nell’architettura di una casa, lo dipingo di color ocra. Dico che vedo questo punto di questo colore. Ciò non significa che qui vedo il colore ocra, perché questo pigmento potrebbe, in questo ambiente, apparire più chiaro, più scuro, più tendente al rosso (etc.) dell’ocra. “Vedo questo punto come l’ho dipinto, color ocra, ovvero come un giallo fortemente tendente al rosso.”
Ma come risponderei se qualcuno pretendesse che gli indicassi l’esatta tonalità cromatica che vedo in quel punto? – Come potrei indicarlo, determinarlo? Si potrebbe pretendere che produca un campione di colore (un pezzo di carta rettangolare di questo colore). Non dico che un simile confronto sarebbe privo di interesse, ma ci dimostra che non è chiaro in partenza come si debbano confrontare le tonalità di colore e cosa significhi “uguaglianza del colore”.
60). Immaginiamo di tagliare un dipinto in piccoli pezzi all’incirca dello stesso colore e di utilizzarli come le tessere di un puzzle. Anche nei casi in cui una di queste tessere non è monocromatica, non dovrebbe intravedersi alcuna forma spaziale, ma soltanto una macchia piatta e colorata. Soltanto in connessione con le altre diventerà un pezzo di cielo azzurro, un’ombra, un lampo di luce, opaca o trasparente, etc. Le singole tessere ci mostrano forse i reali colori dei punti del dipinto?
61). Si tende a credere che l’analisi dei nostri concetti di colori, alla fine, conduca ai colori dei luoghi del nostro campo visivo, indipendenti da qualsiasi interpretazione spaziale o fisica; qui, infatti, non esiste illuminazione, ombra, brillantezza, etc.
62). Il fatto di poter dire che questo luogo del mio campo visivo è grigioverde non significa che io sappia come si dovrebbe chiamare una copia esatta della tonalità di questo colore.
63). In una fotografia (non a colori) vedo un uomo dai capelli scuri e un ragazzo con i capelli biondi lisci pettinati all’indietro davanti a una specie di tornio, fatto in parte di pezzi fusi e pitturati di nero, in parte di rulli lisci, ruote dentate e altro; lì accanto una grata di fil di ferro zincata di un colore chiaro. Vedo le superfici di ferro lavorate color ferro, i capelli del ragazzo biondi, la grata color zinco, nonostante sia tutto rappresentato attraverso le sfumature più chiare o più scure della carta fotografica.
64). Ma vedo davvero biondi i capelli in foto? Cosa si può dire a sostegno di ciò? Quale reazione dell’osservatore dovrebbe dimostrare che vede il biondo e non si limita a dedurre il biondo basandosi sulle tonalità della fotografia? – Se mi chiedessero di descrivere questa fotografia, il modo più diretto sarebbe con le parole che ho usato. Se questo modo di descrivere non dovesse più essere accettato, dovrei mettermi subito a cercarne un altro.
65). Se la parola “biondo” può suonare bionda, tanto più possono apparire biondi dei capelli fotografati!
66). “Non si potrebbe immaginare che alcune persone abbiano una geometria dei colori diversa dalla nostra?” Ma questo significa: Non si possono immaginare persone con concetti di colore diversi dai nostri? E questo, a sua volta, significa: Non si possono immaginare persone che non hanno i nostri concetti di colore e che tuttavia hanno concetti così simili ai nostri concetti di colore che possono anch’essi essere definiti “concetti di colore”?
67). Guarda la tua stanza a tarda sera, quando i colori non si distinguono quasi più – poi accendi la luce e disegna ciò che hai visto prima, nella penombra. – Come sono i colori del disegno a confronto con quelli della stanza in penombra?
68). Per rispondere alla domanda: “Cosa significano le parole ‘rosso’, ‘blu’, ‘nero’, ‘bianco’?” possiamo senz’altro indicare degli oggetti di quel colore, ma in tal modo la nostra capacità di spiegare il significato di queste parole non ha fatto passi avanti! Inoltre non ci facciamo nessuna idea del loro impiego, oppure soltanto un’idea grezza e in parte sbagliata.
69). Posso immaginarmi un logico che racconti di essere appena riuscito a pensare veramente “2 x 2 = 4”.
70). La dottrina goethiana dell’origine dei colori dello spettro ottico non è una teoria che si è dimostrata insoddisfacente: non è proprio una teoria. Con essa non si può predire nulla. È piuttosto un vago schema di pensiero, simile a quello che si trova nella psicologia di James. Non esiste nemmeno un experimentum crucis che possa farci optare per questa teoria o scartarla.
71). Chi è d’accordo con Goethe, pensa che Goethe abbia veramente compreso la natura dei colori. E qui natura non è ciò che deriva dagli esperimenti, ma ciò che risiede nel concetto di colore.
72). Una cosa per Goethe era inequivocabilmente chiara: dall’oscurità non si può ottenere nulla di luminoso, così come dall’accumularsi di ombra non può originarsi la luce. Detto altrimenti: se si definisce lilla un blu tendente al rosso e al bianco, o marrone un giallo tendente al nero e al rosso, allora non si può definire bianco un blu che tende al giallo, rosso e verde, o a qualcosa del genere. Il bianco non è un colore intermedio fra altri colori. E questo non può essere né confermato né smentito da esperimenti con lo spettro ottico. Ma sarebbe anche sbagliato dire: “Guarda i colori in natura e vedrai che è così”. Perché non si apprende nulla sui concetti di colore soltanto guardando.
73). Non riesco a immaginare che le osservazioni di Goethe sulle caratteristiche dei colori e sulle combinazioni di colori possano essere utili per un pittore, e difficilmente lo saranno per un decoratore. Il colore di un occhio iniettato di sangue potrebbe essere magnifico per un arazzo da parete. Chi parla del carattere di un colore, pensa sempre soltanto a un modo determinato di usarlo.
74). Se ci fosse una teoria dell’armonia dei colori, comincerebbe con una divisione dei colori in gruppi e vieterebbe o ammetterebbe determinate mescolanze e accostamenti. E, come la teoria dell’armonia, non dovrebbe giustificare le proprie regole.
75). Potrebbero esistere degli imbecilli a cui non è possibile insegnare il concetto di “domani”, oppure il concetto di “io”, oppure a leggere l’ora. Allora non imparerebbero il concetto di “domani”, etc.
Ma a chi posso descrivere cosa costoro non sono in grado di imparare? Non solo a chi l’ha imparato? Posso dire ad A che B non riesce ad apprendere la matematica superiore, se nemmeno A la padroneggia? Chi conosce il gioco non dà forse alla parola “scacchi” un significato diverso rispetto a chi non lo conosce? C’è differenza fra l’uso che il primo può fare della parola e l’uso che il secondo ha imparato.
76). Descrivere un gioco significa sempre dare una descrizione grazie alla quale lo si può imparare?
77). Una persona che vede normalmente e una che soffre di daltonismo hanno lo stesso concetto di daltonismo? Un daltonico non può imparare a usare le nostre parole per i colori né la parola “daltonico” come uno che ha una vista normale. Per esempio, non può nemmeno constatare il daltonismo allo stesso modo di quest’ultimo.
78). Potrebbero esserci persone che non capiscono cosa intendiamo quando diciamo che l’arancione è un giallo tendente al rosso, e che sarebbero inclini a usare un’espressione del genere soltanto quando vedessero davanti agli occhi una transizione di colore che va dal giallo al rosso, attraverso l’arancione. Per costoro l’espressione “verde tendente al rosso” non presenterebbe necessariamente difficoltà.
79). La psicologia descrive i fenomeni del vedere. Per chi li descrive? Quale ignoranza può rimuovere questa descrizione?
80). La psicologia descrive ciò che è stato osservato.
81). Si può descrivere a un cieco com’è quando si vede? Certo. Un cieco impara alcune cose sulla differenza fra l’essere ciechi e il vedere. Ma la domanda era posta male, come se il vedere fosse un’attività e se ne potesse dare una descrizione.
82). Se posso osservare il daltonismo, perché allora non il vedere? Posso osservare quali giudizi di colore, in determinate circostanze, esprime una persona daltonica o una che vede normalmente.
83). Talvolta si dice (anche se in modo equivoco): “Soltanto io posso sapere ciò che vedo”. Ma non: “Soltanto io posso sapere se sono daltonico”. (E nemmeno: “Soltanto io posso sapere se vedo o sono cieco”.)
84). Gli enunciati “Vedo un cerchio rosso” e “Vedo (non sono cieco)” non sono logicamente omogenei. Come si dimostra la verità del primo, come la verità del secondo?
85). Ma posso credere di vedere ed essere cieco, o credere di essere cieco e vedere?
86). In un manuale di psicologia potrebbe trovarsi la proposizione: “Ci sono uomini che vedono”? Sarebbe falsa? Ma a chi ci si rivolge, qui?
87). Come può essere insensato dire: “Ci sono persone che vedono”, se non è insensato dire: “Ci sono persone che sono cieche”?
Ma ammesso che io non abbia mai sentito parlare dell’esistenza di persone cieche e un giorno qualcuno mi dica che “ci sono persone che non vedono”, dovrei comprendere questa proposizione senza problemi? Devo essere consapevole, se non sono cieco, che possiedo la facoltà di vedere, e che esistono anche persone che non la possiedono?
88). Quando lo psicologo ci insegna che “Ci sono persone che vedono”, allora possiamo chiedergli: “Come definisci le ‘persone che vedono’?”. La risposta dovrebbe essere: persone che in queste e queste altre circostanze si comportano in questo e quest’altro modo.
Parte II
1). Si potrebbe parlare dell’impressione di colore di una superficie, e con ciò si intenderebbe non il colore, ma l’insieme delle tonalità cromatiche che risultano nell’impressione di una superficie (per esempio) marrone.
2). L’aggiunta di bianco toglie al colore il colorato; cosa che, diversamente, non fa l’aggiunta di giallo. – C’è questo alla base della proposizione per cui non può esistere un bianco chiaramente trasparente?
3). Ma che proposizione è mai questa: l’aggiunta di bianco toglie al colore il colorato?
Per come la intendo io, non può essere una proposizione fisica.
Qui è forte la tentazione di credere a una fenomenologia, a una via di mezzo fra la scienza e la logica.
4). Qual è dunque l’essenza dell’opaco? Perché una cosa trasparente, rossa o gialla, non è opaca. Bianca è opaca.
5). Opaco è ciò che nasconde le forme, e nasconde le forme perché cancella luce e ombre?
6). Bianco non è ciò che annulla l’oscurità?
7). Si parla di “vetro nero”, ma chi vede una superficie bianca attraverso un vetro rosso, la vede rossa; chi la vede attraverso un vetro “nero” non la vede nera.
8). Per vedere meglio ci si serve spesso di lenti colorate, ma non opache.
9). “L’aggiunta di bianco cancella la differenza fra luminoso e scuro, fra luce e ombre”: questo definisce meglio il concetto? Credo di sì.
10). Chi non fosse d’accordo non avrebbe l’esperienza opposta; ma noi non lo capiremmo.
11). In filosofia bisogna sempre chiedersi: “Come dobbiamo considerare questo problema, perché diventi risolvibile?”.
12). Qui (quando considero i colori, per esempio) c’è prima di tutto soltanto una incapacità di mettere ordine fra i concetti.
Siamo come un bue di fronte alla porta della stalla verniciata di un nuovo colore.
13). Pensate a come un pittore rappresenterebbe la trasparenza di un vetro colorato di rosso. Ciò che ne risulterebbe è una complicata immagine di superficie. Ovvero il quadro conterrà un mucchio di gradazioni di rosso e altri colori, una accanto all’altra. E lo stesso se si guarda attraverso un vetro blu.
Ma come andrebbe se si dipingesse un quadro dove, nel punto in cui prima qualcosa diventava blu o rosso, qualcosa diventasse bianco?
14). La differenza sta forse tutta nel fatto che i colori non perdono la loro intensità se visti attraverso un filtro tendente al rosso, mentre la perderebbero se visti attraverso un filtro tendente al bianco?
Sì, non si parla proprio mai di un “filtro tendente al bianco”!
15). Se una certa illuminazione fa sembrare tutto tendente al bianco, non ne concluderemo che la fonte luminosa debba apparire bianca.
16). L’analisi fenomenologica (come, ad esempio, la voleva Goethe) e un’analisi concettuale e non può né concordare con la fisica né contraddirla.
17). E se invece da qualche parte andasse così: la luce di un corpo al calor bianco fa sembrare le cose luminose ma tendenti al bianco, dunque debolmente colorate; la luce di un corpo al calor rosso le fa sembrare tendenti al rosso, etc.? (Soltanto una fonte luminosa invisibile e non percepibile all’occhio le farebbe brillare dei loro colori.)
18). Sì, e se le cose brillassero dei loro colori solo se, nel nostro senso, non venissero colpite da nessuna luce, se, per esempio, il cielo fosse nero? Non si potrebbe dire, allora: soltanto sotto una luce nera i colori appaiono nella loro pienezza?
19). Ma qui non ci sarebbe una contraddizione?
20). Non vedo che i colori dei corpi riflettono luce nel mio occhio.
Parte III
24/03/50
1). In un quadro il bianco deve essere il colore più chiaro?
2). Nel tricolore, ad esempio, il bianco non può essere più scuro del blu e del rosso.
3). Qui c’è una specie di matematica del colore.
26/03
4). Ma anche il giallo puro è più chiaro del rosso puro saturo o del blu puro saturo. E questa è una proposizione dell’esperienza? – Per esempio, non so se il rosso (cioè il rosso puro) sia più chiaro o più scuro del blu; dovrei vederli entrambi per poterlo stabilire. E tuttavia, se l’avessi visto, lo saprei una volta per tutte, come il risultato di un calcolo.
Dove si separano, qui, logica ed esperienza (empiria)?
5). La parola il cui significato non è chiaro è “puro” o “saturo”. Come impariamo questo significato? Come si fa a dire che le persone attribuiscono a queste parole lo stesso significato? Io chiamo “saturo” un colore (per esempio il rosso) quando non contiene né nero né bianco, quando non tende né al nero né al bianco.
Ma questa spiegazione serve soltanto a una comprensione provvisoria.
6). Quale importanza ha il concetto del colore saturo?
7). Qui c’è un fatto evidentemente importante, ovvero che le persone accordano una posizione privilegiata a un punto nel cerchio cromatico. E non devono sforzarsi per tenere a mente questo punto, ma tutte lo ritrovano sempre facilmente.
8). Esiste una “storia naturale dei colori”? Fino a che punto è simile a una storia naturale delle piante? Non è forse questa temporale e la prima atemporale?
9). Quando diciamo che “il giallo saturo è più chiaro del blu saturo” non è una proposizione della psicologia (perché soltanto così potrebbe essere storia naturale), intendiamo: non la impieghiamo come proposizione della storia naturale. E allora la domanda è: come sarebbe l’altro impiego, quello atemporale?
10). Soltanto così, infatti, la proposizione della “matematica dei colori” potrebbe essere distinta da quella della storia naturale.
11). O anche: la domanda è: qui si possono distinguere (chiaramente) due impieghi?
12). Se hai fissato nella mente due sfumature di colore, A e B, e A è più chiara di B, e poi chiami una sfumatura di colore “A” e l’altra “B”, ma questa è più chiara della prima, allora hai dato nomi sbagliati alle sfumature di colore. (Questa è logica.)
13). Il concetto di colore “saturo” sia tale che il colore X saturo non possa essere a volte più chiaro e altre più scuro del colore Y saturo; ovvero che non abbia senso dire che sia a volte più chiaro e altre volte più scuro. Questa è una determinazione concettuale e appartiene di nuovo alla logica.
Qui non si stabilisce se un concetto così determinato sia utile o meno.
14). Questo concetto potrebbe avere soltanto un impiego molto limitato. E questo perché ciò che noi solitamente definiamo X saturo è in realtà una impressione di colore relativa a un determinato ambiente. Paragonabile all’X trasparente.
15). Dai esempi di semplici giochi linguistici con il concetto di “colore saturo”.
16). Credo che certi composti chimici, per esempio i sali di un determinato acido, abbiano colori saturi e possano essere riconosciuti così.
17). Oppure che il luogo di provenienza di certi fiori si possa dedurre dalla saturazione dei loro colori. In modo che si potrebbe dire, per esempio: “Deve essere un fiore alpino, perché ha un colore molto intenso”.
18). In un caso simile, però, potrebbe darsi anche un rosso saturo più chiaro o più scuro, etc.
19). E non devo ammettere che spesso le proposizioni sono impiegate al confine fra la logica e l’empiria, con la conseguenza che il loro significato oscilla da un lato all’altro del confine e diventano talvolta espressione di una norma, mentre talaltra vengono trattate come espressione dell’esperienza?
Infatti non è il “pensiero” (un fenomeno concomitante psichico), ma il suo impiego (qualcosa che lo circonda) a distinguere una proposizione logica da una dell’esperienza.
20). L’immagine sbagliata confonde, l’immagine giusta aiuta.
21). La domanda sarà, ad esempio: “È possibile insegnare cosa definiamo ‘verde saturo’ insegnando cosa sono il rosso saturo, il giallo saturo o il blu saturo?”.
22). L’effetto luminoso, la lucentezza, non può essere nero. Se in un quadro sostituissi la chiarezza dell’effetto luminoso con il nero, non otterrei delle lucentezze nere; e questo non soltanto perché in natura la lucentezza esiste così e non altrimenti, ma anche perché reagiamo in un determinato modo a una luce in questo punto. Una bandiera può essere gialle e nera, un’altra gialla e bianca.
23). La trasparenza dipinta in un quadro ha un effetto diverso dell’opacità.
24). Perché è impossibile un bianco trasparente? – Dipingi prima un corpo rosso trasparente, e poi sostituisci il rosso con il bianco!
Nero e bianco sono già in prima linea quando si tratta di trasparenza dei colori.
Se sostituisci il rosso con il bianco, l’impressione della trasparenza non ha più luogo; così come l’impressione della tridimensionalità non ha più luogo se si sostituisce il disegno con il disegno .
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25). Perché un colore saturo non è semplicemente questo, o questo, o questo, o questo? – Perché si riconosce, o si determina, in un altro modo.
26). Il fatto che alcuni hanno creduto di riconoscere tre colori primari, mentre altri ne hanno riconosciuti quattro, ci insospettisce. Qualcuno ha sostenuto che il verde è un colore intermedio fra blu e giallo, e a me, per esempio, questo sembra sbagliato e lontano da ogni esperienza.
Blu e giallo, così come rosso e verde, mi sembrano contrari – ma questo potrebbe dipendere dal fatto che sono abituato a vederli su due punti opposti del cerchio cromatico.
E che importanza ha per me (dal punto di vista, per così dire, psicologico) la questione del numero dei colori puri?
27). Mi sembra di notare una cosa logicamente importante: se si definisce il verde un colore intermedio fra il blu e il giallo, allora si deve anche poter dire, per esempio, cosa sia un giallo leggermente tendente al blu o un blu vagamente tendente al giallo. E queste espressioni non mi dicono proprio nulla. Ma non potrebbero dire qualcosa a un altro?
Dunque se qualcuno mi descrive il colore di una parete come “un giallo tendente al rosso”, capisco che da un certo numero di campioni potrei sceglierne uno che si avvicina abbastanza a quello giusto. Ma se qualcuno descrivesse un colore definendolo un giallo leggermente tendente al blu, non potrei mostrarglielo su un campione. – Qui si è soliti dire che in un caso ci si potrebbe immaginare il colore e nell’altro no, ma questa espressione è fuorviante, perché qui non è necessario pensare all’affiorare di un’immagine all’occhio della mente.
28). Come esiste un orecchio assoluto ed esistono persone che non lo possiedono, così si potrebbe pensare che anche in relazione alla vista dei colori si diano un gran numero di diverse disposizioni.
Si confrontino ad esempio i concetti di “colore saturo” e “colore caldo”. È necessario che tutti conoscano i colori “caldi” e “freddi”? A meno che non si impari semplicemente a chiamare nell’uno o nell’altro modo una determinata disgiunzione di colori.
Potrebbe un pittore non avere alcun concetto dei “quattro colori puri” e trovare ridicolo parlarne?
29). O anche: cosa manca alle persone per cui questo concetto non è affatto naturale?
30). Chiedi questo: sai cosa significa “rosso”? E come dimostri di saperlo?
Gioco linguistico: “Indica un giallo (o bianco, blu, marrone) tendente al rosso!” – “Indicane uno più tendente al rosso!” – “Uno meno tendente al rosso!” eccetera. Ora che padroneggi questi giochi, si pretende: “Indica un verde leggermente tendente al rosso!”. Prendi in considerazione due casi. Uno: indichi un colore (e sempre il medesimo), per esempio un verde oliva. L’altro: rispondi: “Non so cosa significa” oppure “Non esiste”.
Si potrebbe essere inclini a dire che il primo ha un concetto di colore diverso dal secondo; o un diverso concetto di “tendente”.
31). Parliamo di daltonismo e lo chiamiamo un difetto. Ma potrebbero tranquillamente esserci molte diverse disposizioni, nessuna delle quali è palesemente inferiore alle altre. – E tieni presente anche questo: una persona potrebbe vivere una vita intera senza che il suo daltonismo venga notato, finché una circostanza particolare non lo fa comparire.
32). Dunque persone diverse potrebbero avere diversi concetti di colore? – Leggermente diversi. Diversi per un qualche aspetto. E questo non pregiudica la loro comprensione in misura maggiore o minore, anzi, spesso non la pregiudica affatto.
33). Qui vorrei fare un’osservazione generale sulla natura dei problemi filosofici. La mancanza di chiarezza filosofica è angosciante. Viene percepita come umiliante. Si ha la sensazione di non capirci molto proprio là dove bisognerebbe capire. E tuttavia non è così. Possiamo vivere benissimo senza queste distinzioni, anche senza capire.
34). Qual è la relazione fra la mescolanza di colori e i “colori intermedi”? È evidente che si può parlare di colori intermedi in un gioco linguistico in cui i colori non vengono creati per mescolanza, ma scelti soltanto dalle tonalità cromatiche disponibili.
Eppure uno degli usi del concetto di colore intermedio è anche riconoscere la mescolanza di colore che produce una tonalità cromatica.
35). Secondo Lichtenberg sarebbero poche le persone ad aver visto davvero il bianco puro. Quindi la maggior parte delle persone usa la parola in modo scorretto? Ed egli come avrebbe appreso l’uso corretto? – Piuttosto: ha costruito un uso ideale a partire da un uso concreto. Come si costruisce una geometria. Qui, però, con “ideale” non si intende qualcosa di particolarmente buono, ma soltanto qualcosa di portato all’estremo.
36). E certamente un uso così inventato può insegnarci qualcosa sull’uso reale.
E potrebbe anche darsi che noi, ad esempio a scopi scientifici, introduciamo un nuovo concetto di “bianco puro”.
(Un simile nuovo concetto corrisponderebbe allora all’incirca al concetto chimico di un “sale”.)
37). Fino a che punto il bianco e il nero si possono paragonare con il giallo, il rosso e il blu, e fino a che punto non lo si può fare?
Se avessimo una carta da parati a scacchi fatta di quadrati rossi, blu, verdi, gialli, neri e bianchi, non diremmo che è composta di due elementi, per esempio di parti “colorate” e “non colorate”.
38). Proviamo ora a immaginare che le persone non contrappongano immagini colorate e immagini in bianco e nero, ma immagini colorate e immagini in blu e bianco. Vale a dire: non potrebbe anche il blu non essere sentito (e quindi impiegato) come un colore vero e proprio?
39). La mia sensazione è che il blu smorzi il giallo, – ma perché non dovrei poter dire che un giallo leggermente tendente al verde è un “giallo tendente al blu” e il verde un colore intermedio fra blu e giallo, e un verde fortemente tendente al blu definirlo un blu leggermente tendente al giallo?
40). In un giallo tendente al verde non noto niente di blu. – Per me il verde è una particolare stazione sulla strada colorata che porta dal blu al giallo, e il rosso ne è un’altra.
41). Cosa avrebbe più di me una persona che conoscesse la strada colorata diretta che porta dal blu al giallo? E come si dimostra che io non conosco una strada simile? – Dipende tutto dai giochi linguistici che sono capace di fare con la forma del “tendente a…”?
42). Ci si dovrà anche chiedere: come sarebbe se le persone conoscessero colori che non sono noti nemmeno a noi dotati di una vista normale? In generale a questa domanda non si può rispondere in modo univoco. Perché non è immediatamente chiaro che, di queste persone anomale, dobbiamo necessariamente dire che conoscono altri colori. Non esiste infatti un criterio generalmente riconosciuto per stabilire che cosa sia un colore, a parte il fatto che è uno dei nostri colori.
E tuttavia sarebbe possibile pensare circostanze in cui diremmo: “Queste persone vedono, oltre ai nostri, altri colori ancora”.
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43). In filosofia non si deve soltanto imparare, per ogni caso, che cosa ci sia da dire su un oggetto, ma anche come se ne debba parlare. Bisogna sempre prima apprendere il metodo per affrontarlo.
44). O anche: in ogni problema serio l’insicurezza affonda fino alle radici.
45). Bisogna essere sempre pronti a imparare qualcosa di completamente nuovo.
46). Nei colori: affinità e contrasto. (E questa è logica.)
47). Cosa significa: “Il marrone è affine al giallo”?
48). Significa forse che il compito di scegliere un giallo tendente al marrone sarebbe comprensibile senza problemi? (O un marrone tendente al giallo.)
49). La mediazione colorata fra due colori.
50). “Il giallo è più affine al rosso del blu.”
51). La differenza fra nero-rosso-oro e nero-rosso-giallo. Qui oro vale come colore.
52). La realtà è che riusciamo a capirci sui colori delle cose con sei nomi di colori. Anche se non usiamo espressioni come “verde tendente al rosso” o “blu tendente al giallo”.
53). Descrizione di un puzzle attraverso la descrizione dei suoi pezzi. Assumo che questi non lascino riconoscere una forma tridimensionale, ma ci appaiano come pezzi piatti, monocromatici o policromatici. Soltanto una volta messi insieme una certa cosa diventerà “un’ombra”, “una luce” una “superficie concava o convessa”, eccetera.
54). Posso dire: questa persona non distingue il rosso dal verde. Ma posso dire: noi persone normali distinguiamo il rosso dal verde? Però potremmo dire: “Noi qui vediamo due colori, costui soltanto uno”.
55). La descrizione dei fenomeni del daltonismo appartiene alla psicologia. Dunque anche quella del vedere normale? Certo, ma cosa presuppone questa descrizione, e a chi è rivolta, o meglio: di quali ausili si serve? Quando dico: “Cosa presuppone?”, intendo: “Come si deve reagire a essa per capirla?” “Chi descrive in un libro i fenomeni del daltonismo, li descrive con i concetti di chi vede normalmente”.
56). Questo foglio di carta è chiaro in modi diversi in punti diversi; ma posso dire che è bianco soltanto in certi punti e grigio negli altri? – Sì, se dovessi dipingerlo, aggiungerei sicuramente del grigio per i punti più scuri.
Un colore di una superficie è una qualità di una superficie. Si potrebbe anche essere tentati di non considerarlo un concetto puro di colore. Ma cosa sarebbe, allora, un concetto puro?
57). Non è giusto che in un quadro il bianco debba essere sempre il colore più chiaro. Invece lo è in una combinazione superficiale di macchie di colore. Un quadro potrebbe raffigurare un libro di carta bianca nell’ombra e, più chiaro di questo, un cielo illuminato di giallo, o di blu, o di rosso. Ma se descrivo una superficie piatta, per esempio una carta da parati, composta da quadrati giallo puro, rosso puro, blu puro, bianco puro e nero puro, allora i gialli non potrebbero essere più chiari dei bianchi, e i rossi non potrebbero essere più chiari dei gialli.
Per questo i colori per Goethe erano ombre.
58). Sembra che esista un concetto di colore più fondamentale di quello di colore di superficie. Sarebbe da descrivere – si potrebbe pensare – o attraverso piccoli elementi colorati del campo visivo oppure attraverso punti luminosi simili alle stelle. Di questi punti di colore, o piccole macchie colorate, sarebbero composte anche le più estese aree colorate. In modo tale che si potrebbe descrivere l’impressione del colore di una superficie indicando le molte piccole macchie di colore nelle loro diverse posizioni.
Ma come si dovrebbe, ad esempio, confrontare un così piccolo campione di colore con un pezzo della superficie più estesa? In che ambiente dovrebbe trovarsi il campione di colore?
59). Nella vita di tutti i giorni siamo praticamente circondati da colori impuri. E per questo è tanto più curioso che abbiamo costruito un concetto di colori puri.
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60). Perché non parliamo di un marrone “puro”? Il motivo di ciò è semplicemente il posizionamento del marrone rispetto agli altri colori “puri”, la sua affinità con essi? – Il marrone è, prima di tutto, soltanto un colore di superficie. Vale a dire: non esiste un marrone trasparente, ma soltanto un marrone opaco. Inoltre: il marrone contiene il nero. – (?) – Come dovrebbe comportarsi una persona, perché si possa dire che conosce un marrone puro e primario?
61). Dobbiamo sempre porci la domanda: come imparano le persone il significato dei nomi di colore?
62). Che cosa significa: “Il marrone contiene il nero”? Ci sono marroni più o meno tendenti al nero. Ne esiste uno che non è più affatto tendente al nero? Sicuramente non c’è un marrone che non è affatto tendente al giallo.
63). Proseguendo così con le nostre considerazioni, ci vengono in mente sempre nuove “caratteristiche interne” di un colore, a cui all’inizio non avevamo pensato. E questo può indicarci il cammino di una ricerca filosofica. Dobbiamo essere sempre consapevoli che potrebbe arrivarne una nuova, che non avevamo preso in considerazione.
64). Non dovremmo neanche dimenticare che le nostre parole per i colori caratterizzano l’impressione di una superficie su cui vaga il nostro sguardo. È per questo che ci sono.
65). “Luce marrone”. Supponiamo che venga proposto che un segnale luminoso stradale dovrebbe essere marrone.
66). È prevedibile che troveremo aggettivi che (come, ad esempio, “cangiante”) sono caratteristiche del colore di una superficie estesa, o anche di una superficie più piccola in un ambiente preciso (“luccicante”, “scintillante”, “splendente”, “luminoso”).
67). Già, i colori puri non hanno nemmeno nomi particolari, usati da tutti, così poco importanti sono per noi.
68). Proviamo a immaginare qualcuno che dipinga una qualsiasi parte della natura, e che la dipinga utilizzando colori fedeli alla realtà. Ogni parte della superficie di un simile quadro avrebbe un preciso colore. Quale colore? Come determino il suo nome? Dovrebbe avere il nome del pigmento di cui è composto e con cui, ad esempio, lo si può comprare? Ma un simile pigmento non potrebbe, in un ambiente particolare, apparire completamente diverso di come è sulla tavolozza?
69). Così forse arriveremmo al punto di dare nomi particolari a piccolissime chiazze di colore su uno sfondo nero (per esempio).
Con questo voglio dimostrare che non è chiaro, a priori, quali siano i concetti di colore semplici.
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70). Non è vero che un colore più scuro è automaticamente un colore più tendente al nero. Questo è chiaro. Un giallo saturo è più scuro, ma non più tendente al nero di un giallo tendente al bianco. Ma neanche il color ambra è un “giallo tendente al nero”. (?) Eppure si parla anche di un vetro o di uno specchio neri. – La difficoltà sta forse nel fatto che con “nero” mi riferisco sostanzialmente al colore di superficie?
Non direi mai di un rubino che è di un rosso tendente al nero, perché indicherebbe opacità. (D’altra parte, ricorda che opacità e trasparenza si possono dipingere.)
71). Tratto i concetti di colore similmente ai concetti delle percezioni sensibili.
72). I concetti di colore si devono trattare in modo simile ai concetti delle percezioni sensibili.
73). Non esiste il concetto puro di colore.
74). Ma da dove viene, allora, l’inganno? Non è una semplificazione nella logica troppo affrettata, come ogni altra?
75). Vale a dire: i diversi concetti di colore sono certamente analoghi gli uni agli altri; le diverse “parole per i colori” hanno un uso affine, ma ci sono differenze di vario genere.
76). Runge dice che esistono colori trasparenti e colori opachi. Ma non per questo un pezzo di vetro verde in un quadro viene dipinto con un verde diverso da quello con cui si dipinge una stoffa verde.
77). È una misura peculiare della pittura rappresentare una luce con un colore.
78). La vaghezza del concetto di colore dipende in primo luogo dalla vaghezza del concetto di uguaglianza dei colori, dunque dalla vaghezza del metodo del confronto fra colori.
79). Esiste un color oro, ma Rembrandt non ha dipinto un elmo dorato con il color oro.
80). Cosa rende il grigio un colore neutro? È qualcosa di psicologico o di logico?
Cosa rende sgargianti i colori sgargianti? È qualcosa che sta nel concetto, o nelle cause e negli effetti?
Perché nero e bianco non sono accettati nel “cerchio cromatico”? Soltanto perché a ciò si oppone un sentimento?
81). Non esiste un grigio luminoso. Questo attiene al concetto di grigio o alla psicologia, ovvero alla storia naturale, del grigio? E non è strano che io non lo sappia?
82). Che i colori abbiano cause ed effetti caratteristici, questo lo sappiamo.
83). Il grigio si trova a metà fra due estremi (nero e bianco), e può assumere una tonalità di ogni altro colore.
84). Sarebbe pensabile che qualcuno veda nero tutto ciò che noi vediamo bianco, e viceversa?
85). In un campione variopinto, bianco e nero potrebbero stare accanto al rosso, al verde, etc., senza essere isolati come diversi.
Soltanto nel cerchio cromatico resterebbero fuori. Già perché nero e bianco si mescolano a tutti gli altri colori; e in particolare anche perché entrambi si mescolano con il loro polo opposto.
86). Non si può immaginare che alcune persone abbiano una geometria dei colori diversa dalla nostra normale geometria dei colori? E questo, naturalmente, significa: lo si può descrivere, si può soddisfare senza difficoltà l’invito a descriverlo, si sa dunque in modo inequivocabile cosa si pretende da noi?
La difficoltà, evidentemente, è questa: non è la geometria dei colori stessa a poterci indicare che si parla dei colori?
87). La difficoltà di immaginarselo (o di dipingerlo) è dunque, in fondo, la difficoltà di sapere quando si è dipinta questa cosa, cioè la vaghezza della richiesta di immaginarsela.
88). La difficoltà è dunque sapere cosa qui si possa considerare l’analogo di qualcosa che ci è noto.
89). Un colore che sarebbe “sporco” se fosse il colore di un muro, non lo è per questo in un quadro.
90). Dubito che le osservazioni di Goethe sul carattere dei colori possano essere utili per un pittore. E difficilmente lo saranno per un decoratore.
91). Se esistesse una teoria dell’armonia dei colori, comincerebbe con una ripartizione dei colori in diversi gruppi, vieterebbe determinate mescolanze e accostamenti di colori e ne permetterebbe altre; e, come la teoria dell’armonia, non giustificherebbe le sue regole.
92). Ma questo non può gettare luce sulla modalità di quelle distinzioni fra colori?
93). [Non diciamo che A sa questo e B sa il contrario. Ma se si sostituisce “sapere” con “credere”, la proposizione ha senso.]
94). Runge a Goethe: “Se si provasse a immaginare un arancione tendente al blu, un verde tendente al rosso o un lilla tendente al giallo, ci si sentirebbe come se si provasse a pensare a un vento del nord proveniente da sud-ovest”.
E sempre lì: “Il bianco e il nero sono entrambi opachi o corporei… Non si può immaginare un’acqua bianca pura, così come non si può pensare il latte trasparente. Se il nero scurisse soltanto potrebbe anche essere trasparente, ma, dal momento che sporca, non può esserlo.”
95). Nella mia stanza, intorno a me, ci sono diversi oggetti colorati. È facile indicare i loro colori. Se però mi venisse chiesto quale colore vedo da qui, su questo punto della mia scrivania, per esempio, non saprei rispondere; il punto in questione è tendente al bianco (perché qui la scrivania marrone è rischiarata dalla parete chiara), in ogni caso molto più chiaro del resto della scrivania, ma, fra diversi campioni di colore, non sarei in grado di sceglierne uno che abbia la stessa tonalità di questo punto della scrivania.
96). Dal fatto che a me – o a tutti – sembri così, non consegue che sia effettivamente così.
Dunque: dal fatto che a noi tutti questa scrivania appaia marrone non consegue che essa sia marrone. Ma cosa significa: “Questa scrivania alla fine non è affatto marrone?” – Allora dal fatto che ci sembra marrone consegue che è marrone?
97). Non chiamiamo marrone una scrivania che, in determinate circostanze, appare marrone a chi vede normalmente? Potremmo facilmente immaginarci una persona alla quale le cose, indipendentemente dal loro colore, appaiano ora colorate in un modo e ora in un altro.
98). Il fatto che alle persone qualcosa sembri così è il loro criterio per dire che è così.
99). Sembrare così ed essere così potrebbero anche, in casi eccezionali, essere indipendenti l’uno dall’altro; ma questo non li rende logicamente indipendenti; il gioco linguistico non sta nell’eccezione.
100). Dorato è un colore di superficie.
101). Abbiamo pregiudizi riguardo l’impiego delle parole.
102). Per rispondere alla domanda: “Cosa significano ‘rosso’, ‘blu’, ‘nero’, ‘bianco’?”, possiamo tranquillamente indicare oggetti di quei colori, – ma questo è anche tutto: la nostra capacità di spiegare i significati non va oltre.
103). Per il resto, di essi non ci formiamo alcuna idea, o al massimo un’idea piuttosto rozza e parzialmente falsa.
104). “Scuro” e “tendente al nero” non sono lo stesso concetto.
105). Runge dice che il nero “sporca”: cosa significa? È un effetto del nero sull’animo? Ci si riferisce qui a un effetto della mescolanza del colore nero?
106). Perché un giallo scuro non viene sentito necessariamente come “tendente al nero”, anche se lo chiamiamo scuro?
La logica dei concetti di colore è molto più complicata di quanto potrebbe sembrare.
107). I concetti “opaco” e “lucente”. Se si pensa al colore come alla proprietà di un punto nello spazio, allora i concetti di opaco e lucente non hanno alcuna affinità con quest’idea di colore.
108). La prima “soluzione” al problema dei colori che ci viene in mente è che i concetti “puri” di colore si riferiscono a punti o a piccole macchie indivisibili nello spazio. Domanda: come si devono confrontare i colori di due punti come questi? Semplicemente spostando lo sguardo dall’uno all’altro? Oppure mediante il trasporto di un oggetto colorato? E in questo caso, come si fa a sapere che l’oggetto non ha cambiato colore nel trasporto? In quell’altro caso, invece, come si possono confrontare i punti colorati, senza che il confronto venga influenzato dall’ambiente in cui si trovano i punti?
109). Potrei immaginarmi un logico che dica di essere infine riuscito a pensare realmente 2 + 2 = 4.
110). Se non ti è chiaro il ruolo della logica nei concetti di colore, inizia dal semplice caso di un rosso tendente al giallo, per esempio. Questo colore esiste, di ciò non dubita nessuno. Come apprendo l’uso dell’espressione “tendente al giallo”? Mediante giochi linguistici di ordinamento, per esempio.
Posso anche imparare a riconoscere, in accordo con altri, un rosso, un verde, un marrone e un bianco più o meno tendenti al giallo.
In questo modo faccio passi indipendenti, come in aritmetica. Qualcuno potrebbe risolvere il compito di trovare un blu tendente al giallo indicando un blu-verde, mentre un altro potrebbe non capirlo. Da cosa dipende?
111). Io dico che il blu-verde non contiene giallo; se un altro mi dice che invece sì, contiene il giallo, chi ha ragione? Come si può provare? Le due posizioni differiscono soltanto per le parole usate? – L’uno non riconoscerà forse un verde puro che non tende né al blu né al giallo? E qual è l’utilità di tutto ciò? In quali giochi linguistici si può trasformare? – Egli potrà ad ogni modo portare a termine il compito di selezionare gli oggetti verdi che non hanno nulla di tendente al giallo, e quelli che non contengono affatto il blu. E in questo consisterà il discrimine “verde”, che l’altro non conosce.
112). Uno potrà imparare un gioco linguistico che l’altro non può imparare. E in questo devono consistere anche tutte le forme di daltonismo. Perché, se i “daltonici” potessero apprendere i giochi linguistici di chi vede normalmente, perché li si dovrebbe escludere da certe professioni?
113). Se dunque si fosse fatta notare a Runge questa differenza fra verde e arancione, forse egli avrebbe rinunciato all’idea che ci siano soltanto tre colori primari.
114). Fino a che punto il poter o il non poter imparare un gioco appartiene alla logica e non alla psicologia?
115). Io dico: chi non sa giocare a questo gioco, non possiede questo concetto.
116). Chi possiede il concetto di “domani”? Di chi diciamo che lo possiede?
117). In una fotografia ho visto un ragazzo con i capelli biondi pettinati all’indietro e una giacca chiara sporca e un uomo con i capelli scuri di fronte a una macchina, composta in parte da pezzi fusi verniciati di nero e in parte da rulli e ingranaggi lisci; accanto, una grata di metallo chiaro zincato. Il metallo lavorato era color metallo, i capelli del ragazzo erano biondi, i pezzi fusi neri, la grata color zinco, sebbene tutto fosse rappresentato mediante i toni chiari e scuri della carta fotografica.
118). Potrebbero esserci degli imbecilli a cui è impossibile insegnare il concetto di “domani”, o il concetto di “io”, o a leggere l’ora. Costoro non apprenderebbero l’uso della parola “domani”, etc.
119). Ma a chi posso comunicare cosa questo imbecille non è in grado di imparare? Non soltanto a chi lo abbia già imparato? Non posso dire a una persona che qualcuno non è in grado di apprendere la matematica superiore, anche se questa persona non la padroneggia? E tuttavia: chi ha imparato la matematica superiore non la conosce in modo più esatto? Chi conosce il gioco non capisce in modo diverso la parola “scacchi” rispetto a chi non lo conosce? Cosa chiamiamo “descrivere una tecnica”?
120). Oppure così: coloro che vedono normalmente e i daltonici hanno lo stesso concetto di daltonismo?
Eppure il daltonico comprende la frase: “Sono daltonico”, e anche il suo contrario.
Un daltonico non può imparare a usare né i nostri nomi per i colori né la parola “daltonico” come una persona che vede normalmente. Per esempio, non può sempre constatare il daltonismo, mentre chi vede normalmente può farlo.
121). E a chi posso descrivere cosa noi che vediamo normalmente siamo in grado di apprendere?
Anche la comprensione della descrizione presuppone che si sia imparato qualcosa.
122). Come posso descrivere a una persona in che modo impieghiamo la parola “domani”? Posso insegnarlo a un bambino, ma non vuol dire descrivergli l’impiego.
Ma posso descrivere l’esperienza di persone che hanno un concetto, per esempio “verde tendente al rosso”, che noi non abbiamo? – In ogni caso, non posso insegnare questa esperienza a nessuno.
123). Allora posso anche dire: “Queste persone definiscono questo colore (per esempio un marrone) verde tendente al rosso”? E se fosse soltanto una parola diversa per qualcosa per cui ho una parola anch’io? Se davvero hanno un concetto diverso dal mio, si dovrebbe capire dal fatto che non riesco a dare un senso all’uso che fanno delle parole.
124). Ma non ho sempre detto che si potrebbe immaginare che i nostri concetti siano diversi da come sono? Era tutta un’assurdità?
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125). La teoria goethiana dell’origine dello spettro non è una teoria dell’origine che si sia dimostrata insoddisfacente: non è proprio una teoria. Non permette di prevedere nulla. È piuttosto un vago schema mentale simile a quelli che troviamo nella psicologia di James. Non esiste un experimentum crucis per la teoria goethiana dei colori.
Chi è d’accordo con Goethe pensa che Goethe abbia riconosciuto la natura dei colori. E la “natura” qui non indica una somma di esperienze che riguardano i colori, ma sta nel concetto di colore.
126). Una cosa era chiara a Goethe: dall’oscurità non può originarsi nulla di chiaro, così come da più ombre non si origina la luce. Ma si potrebbe anche mettere così: se, per esempio, si definisce il lilla un “blu tendente al rosso tendente al bianco”, oppure il marrone un “giallo tendente al rosso tendente al nero”, allora il bianco non lo si potrebbe chiamare soltanto un “blu che tende al giallo che tende al rosso che tende al verde” (o qualcosa del genere). E questo non è stato dimostrato neanche da Newton. Il bianco non è un colore composto in questo senso.
12/04
127). “I colori” non sono cose che abbiano determinate proprietà tali che i colori si possano cercare facilmente, o si possano immaginare colori che ancora non conosciamo, o che possiamo immaginare qualcuno che conosca colori diversi dai nostri. È senz’altro possibile che, in precise circostanze, diciamo che alcune persone conoscono colori che noi non conosciamo, ma non siamo tenuti a usare questa espressione. Perché non è chiaro cosa dovremmo considerare un’analogia sufficiente con i nostri colori per poterlo dire. È simile a quando si parla di “luce” a infrarossi. Ci sono buoni motivi per farlo, ma si può anche ritenere un uso improprio del termine.
E lo stesso vale per il mio concetto di “provare dolore nel corpo dell’altro”.
128). Una stirpe di soli daltonici potrebbe vivere molto bene. Ma inventerebbero i nostri stessi nomi per i colori? E in che modo la loro nomenclatura corrisponderebbe alla nostra? Come suonerebbe qui la loro lingua naturale? Lo sappiamo? Potrebbero, forse, avere tre colori primari: blu, giallo e un terzo che prenderebbe il posto di rosso e verde? – Cosa succederebbe se incontrassimo una simile tribù e volessimo impararne la lingua? Incontreremmo alcune difficoltà.
129). Non potrebbero esserci persone che non capiscono quando diciamo che l’arancione è un giallo tendente al rosso (eccetera) e che siano disposte a usare un’espressione simile soltanto quando un arancione (per esempio) compare in una effettiva transizione dal rosso al giallo? E per costoro potrebbe anche esistere, facilmente, un verde tendente al rosso.
Essi dunque non potrebbero “analizzare i colori composti”, non potrebbero apprendere il nostro uso di “X tendente a Y”. (Come le persone che non hanno l’orecchio assoluto.)
130). E come andrebbe per le persone che avessero soltanto concetti di colore-forma? Di loro dovrei dire che, se indicassi loro una foglia verde e un tavolo verde, non vedrebbero che sono dello stesso colore, o che hanno qualcosa in comune? E se non gli fosse mai “venuto in mente” di confrontare oggetti di forma diversa ma dello stesso colore? Il confronto, in conseguenza del loro particolare ambiente, non avrebbe alcuna importanza per queste persone, o sarebbe importante soltanto in via eccezionale, al punto che non si arriverebbe a costruire uno strumento linguistico.
131). Un gioco linguistico: parlare della maggiore chiarezza o maggiore oscurità dei corpi. – Ma eccone uno simile: dire qualcosa sul rapporto fra le chiarezze di determinati colori. (Da confrontare con: il rapporto fra le lunghezze di due stecche – il rapporto fra due numeri.)
La forma delle proposizioni è la stessa in entrambi i casi (“X è più chiaro di Y”). Ma nel primo gioco linguistico sono temporali, nel secondo atemporali.
132). In una particolare accezione di “bianco”, il bianco è il colore più chiaro.
In un quadro in cui un pezzo di carta bianca riceve la sua luminosità dal cielo blu, quest’ultimo è più chiaro del bianco. Eppure, in un altro senso, il blu è il colore più scuro, il bianco il più chiaro (Goethe). Su una tavolozza, il bianco sarebbe più chiaro del blu. Sulla tavolozza il bianco è il colore più chiaro.
133). Voglio imprimermi nella mente un certo grigio-verde, così da poterlo riconoscere sempre, anche senza un campione. Il rosso puro (o il blu puro, eccetera), invece, posso, per così dire, ricostruirlo sempre. È semplicemente un rosso che non tende né da una parte né dall’altra, e lo riconosco senza un campione, così come, per esempio, riconosco l’angolo retto e non un qualsiasi angolo acuto o grave.
134). In questo senso esistono soltanto quattro (o sei, se si contano il bianco e il nero) colori puri.
135). Una storia naturale dei colori dovrebbe occuparsi della loro presenza in natura, non della loro essenza. Le sue proposizioni dovrebbero essere temporali.
136). Per analogia con gli altri colori un disegno nero su sfondo bianco, visto attraverso un vetro bianco trasparente, dovrebbe apparire invariato, come un disegno nero su sfondo bianco. Perché il nero deve restare nero, e il bianco, essendo il colore del corpo trasparente, rimane invariato.
137). Si potrebbe immaginare un vetro attraverso il quale il nero si veda nero, il bianco si veda bianco e tutti gli altri colori si vedano come sfumature di grigio; di modo che, attraverso di esso, tutto appaia come in una fotografia.
Ma perché dovrei chiamarlo “vetro bianco”?
138). La domanda è: la costruzione di un “corpo bianco trasparente” è come quella di un “biangolo regolare”?
139). Posso osservare un corpo e forse vedere una superficie bianca opaca, cioè ricevere l’impressione di una superficie simile, oppure l’impressione della trasparenza (che sia presente o meno). Questa impressione potrebbe essere dovuta alla distribuzione dei colori, nella quale il bianco e gli altri colori non sono coinvolti allo stesso modo.
(Ho scambiato una cupola di lamiera dipinta di verde per un vetro lucido tendente al verde, senza sapere, all’epoca, quale particolarità della distribuzione dei colori avesse prodotto quell’effetto.)
140). E nell’impressione visiva di un corpo trasparente può benissimo comparire il bianco, per esempio come riflesso, o come effetto luminoso. Vale a dire: se l’impressione è percepita come trasparente, il bianco che vediamo non viene interpretato come il bianco del corpo.
141). Guardo attraverso un vetro trasparente: ne segue che non dovrei vedere il bianco? No, però non vedo il vetro come bianco. Ma come accade una cosa del genere? Può succedere in diversi modi. Potrei vedere il bianco con entrambi gli occhi, come se fosse sullo sfondo. Ma potrei anche vedere il bianco semplicemente per via della sua posizione come un bagliore (anche se forse non lo è affatto). Eppure qui si tratta di vedere, non di dare un parere. E non è nemmeno necessaria la visione bioculare per vedere una cosa dietro il vetro.
142). I diversi colori non hanno tutti il medesimo legame con la visione spaziale.
143). Ed è indifferente se questo lo si spiega mediante l’esperienza fatta durante l’infanzia o no.
144). Quel legame è certamente il legame tra spazialità e luce e ombra.
145). Non si può nemmeno dire che il bianco sia essenzialmente la proprietà di una superficie (visiva). Sarebbe infatti pensabile che il bianco si presentasse soltanto come effetto luminoso, o come il colore di una fiamma.
146). E anche un corpo in realtà trasparente può apparirci bianco; ma non può apparirci bianco e trasparente.
147). Ma questo non si dovrebbe esprimere dicendo che il bianco non è un colore trasparente.
148). “Trasparente” si potrebbe confrontare con “riflettente”.
149). Un elemento dello spazio visivo può essere bianco o rosso, ma non può essere né trasparente né opaco.
150). La trasparenza e la riflessione si danno soltanto nella dimensione profonda di un’immagine visiva.
151). Perché un piano visuale monocromatico nel campo visivo non può essere color ambra? Questo nome di colore si riferisce a un mezzo trasparente; se quindi un pittore dipinge un vetro color ambra, si potrebbe certamente chiamare la superficie del quadro che lo rappresenta “color ambra”, ma non si può chiamare così un elemento monocromatico di questa superficie.
152). Il nero lucido e il nero opaco non potrebbero avere nomi di colore diversi?
153). Di una cosa, che appare trasparente, non diciamo che appare bianca.
154). “Non si possono immaginare persone che abbiano una geometria dei colori diversa dalla nostra?” – Questo però equivale a dire: Non si possono immaginare persone con concetti di colore diversi dai nostri? E questo, a sua volta, significa: Non si possono immaginare persone che non abbiano i nostri concetti di colore, e che abbiano invece concetti che sono a tal punto imparentati con i nostri da poterli definire “concetti di colore”?
155). Se le persone fossero abituate a vedere sempre soltanto quadrati verdi e cerchi rossi, potrebbero guardare con sospetto a un cerchio verde, come se fosse un essere deforme, e persino dire, per esempio, che sarebbe propriamente un cerchio rosso, ma ha qualcosa di un…
Se le persone avessero soltanto concetti di forma-colore, avrebbero anche una parola specifica per indicare un quadrato rosso e una per il cerchio rosso e una per il cerchio verde, eccetera. Ma, se ad esempio vedessero soltanto una figura verde, non noterebbero alcuna somiglianza con il cerchio verde? E non gli salterebbe all’occhio alcuna analogia fra il cerchio verde e il cerchio rosso? Ma come vorrei che si mostrasse il fatto che notano la somiglianza?
Costoro potrebbero per esempio avere un concetto dell’“accostamento riuscito”; e tuttavia non arrivare a utilizzare i nomi dei colori.
Ci sono tribù che contano soltanto fino a 5, e probabilmente non hanno sentito la necessità di descrivere ciò che non si riesce a descrivere così.
156). Runge: “Il nero sporca”. Questo vuol dire che il nero toglie policromia al colore, ma cosa significa? Il nero sottrae al colore la sua intensità luminosa. Ma è un qualcosa di logico o psicologico? Ci sono un rosso luminoso, un blu luminoso, eccetera, ma non un nero luminoso. Il nero è il colore più scuro. Si dice “nero profondo” ma non “bianco profondo”.
“Un rosso luminoso”, però, non significa un rosso chiaro. Anche un rosso scuro può essere luminoso. Ma un colore diventa luminoso attraverso il suo ambiente, nel suo ambiente.
Il grigio, invece, non è luminoso.
Ora però sembra che il nero offuschi un colore, ma che l’oscurità non lo faccia. Un rubino, dunque, potrebbe diventare sempre più scuro senza diventare più opaco; mentre se diventasse rossonero, allora sarebbe più opaco. Ora, il nero è un colore di superficie. Scuro non è un colore. Nei quadri lo scuro può anche essere rappresentato con il nero.
La differenza fra il nero e, per esempio, un viola scuro è simile a quella fra il suono di un grosso tamburo e il suono di un timpano. Del primo si dice che è un rumore e non una nota. È smorzato e completamente nero.
157). Guarda la tua stanza a tarda sera, quando non è più possibile distinguere i colori; e ora accendi la luce e dipingi ciò che hai visto nella penombra. Ci sono quadri di paesaggi o stanze nella semioscurità: ma come si confrontano i colori di un quadro simile con quelli visti nella semioscurità? Quanto è diverso questo confronto rispetto al confronto fra due campioni di colore che ho di fronte a me e posso mettere uno accanto all’altro!
158). Cosa si può dire a sostegno della tesi che il verde è un colore primario e non una mescolanza di blu e giallo? Sarebbe corretta questa risposta: “Lo si può riconoscere direttamente osservando i colori”? Ma come faccio a sapere che con l’espressione “colori primari” intendo la stessa cosa di un altro che, come me, è portato a definire il verde un colore primario? No, qui sono i giochi linguistici che decidono queste domande.
Esiste un verde più o meno tendente al blu (o al giallo) ed esiste il compito di aggiungere a un dato verde tendente al giallo (o verde tendente al blu) un verde meno tendente al giallo (o al blu), oppure di sceglierlo fra numerosi campioni di colore. Un verde meno tendente al giallo non è però un verde tendente al blu (e viceversa), e potrebbe esserci anche il compito di selezionare – oppure di ottenerlo da una mescolanza – un verde che non tenda né al giallo né al blu. E dico “ottenerlo da una mescolanza” perché un verde non tende contemporaneamente al giallo e al blu soltanto perché nasce da una mescolanza di giallo e blu.
159). Pensa al fatto che su una superficie bianca liscia le cose possono riflettersi in modo che le loro immagini riflesse sembrino giacere dietro la superficie e, in un certo senso, vengano viste attraverso di essa.
160). Se dico di un foglio di carta che è bianco puro e poi gli avvicino un po’ di neve e mi sembra soltanto grigio, in un ambiente normale e per gli scopi consueti non lo definirei grigio chiaro. Potrebbe essere che, per esempio in laboratorio, io utilizzi un altro concetto di bianco, in un certo senso raffinato. (Così come lì, talvolta, impiego un concetto raffinato di una “esatta” determinazione temporale.)
161). I colori puri saturi hanno una loro specifica chiarezza relativa ed essenziale. Il giallo, per esempio, è più chiaro del rosso. Il rosso è più chiaro del blu? Non lo so.
162). A chi abbia acquisito il concetto dei colori intermedi e ne padroneggi la tecnica, dunque chi sia in grado di trovare, o di ottenere da una mescolanza, sfumature di un certo colore tendenti al bianco, al giallo, al blu, e così via, si chieda ora di trovare o di produrre un verde tendente al rosso.
163). Chi avesse familiarità con un verde tendente al rosso dovrebbe essere in grado di produrre una serie di colori che cominci con il rosso, termini con il verde e costituisca, anche per noi, una transizione continuativa dall’uno all’altro. Si potrebbe allora dimostrare che là dove noi, per esempio, vedevamo ogni volta la stessa sfumatura di marrone, costui vede ora un marrone, ora un verde tendente al rosso. Che, per esempio, egli possa distinguere, dai loro colori, due composti chimici che per noi hanno lo stesso colore, e chiamare l’uno “un marrone” e l’altro un “verde tendente al rosso”.
164). Per descrivere il fenomeno della cecità al verde-rosso, dovrei dire soltanto cosa i ciechi al verde-rosso non possono imparare; per descrivere il fenomeno della vista normale, invece, dovrei elencare tutto ciò che noi possiamo fare.
165). Chi descrive i “fenomeni del daltonismo”, descrive soltanto le deviazioni dalla normalità di chi è daltonico, non anche tutto il resto del suo vedere.
Ma non potrebbe descrivere anche le deviazioni del vedere normale dalla cecità totale? Ci si potrebbe chiedere: per insegnarlo a chi? Mi si può insegnare che vedo un albero?
Cos’è un “albero” e cos’è “vedere”?
166). Per esempio, si può dire: in questo modo si comporta una persona con una benda sugli occhi, e in quest’altro un vedente senza benda. Con la benda reagisce in questo e quest’altro modo, senza benda cammina velocemente in strada, saluta i suoi conoscenti, fa cenno a questo e quello, quando attraversa evita facilmente le macchine e le biciclette, e così via. Già nei neonati si capisce che vedono quando seguono i movimenti con gli occhi. Eccetera eccetera. – La domanda è: chi dovrebbe capire questa descrizione? Soltanto i vedenti, o anche i ciechi?
Per esempio, ha senso dire: “Il vedente distingue con gli occhi una mela acerba da una matura”. Ma non ha senso dire: “Il vedente distingue una mela verde da una rossa”. Cosa sono, infatti, “rosso” e “verde”?
Annotazione a margine: “Il vedente distingue una mela che gli sembra verde da una che gli sembra rossa”.
Ma non posso dire: “Distinguo una mela di questo tipo da una mela di quell’altro (e indico una mela rossa e una verde)”? E se qualcuno mi indicasse due mele che a me sembrano identiche e mi dicesse questa cosa?! Del resto costui potrebbe dirmi: “A te queste due mele sembrano identiche, potresti tranquillamente confonderle; ma io vedo una differenza, e potrei riconoscerla in qualsiasi momento”. Questo può essere confermato con un esperimento.
167). Quale esperienza mi insegna che distinguo il rosso dal verde?
168). La psicologia descrive i fenomeni del vedere. Per chi li descrive? Quale ignoranza può cancellare questa descrizione?
169). Se un vedente non avesse mai sentito parlare di un cieco, non gli si potrebbe descrivere il comportamento di un cieco?
170). Posso dire: “Il daltonico non è in grado di distinguere una mela verde da una rossa”, e questo si può dimostrare. Ma posso dire: “Io sono in grado di distinguere una mela verde da una rossa?”. Forse con il gusto. – Ma, per esempio: “Sono in grado di distinguere una mela che voi chiamate ‘verde’ da una che voi chiamate ‘rossa’”, quindi: “Non sono daltonico”.
171). Questo foglio di carta è chiaro in modi diversi in punti diversi; ma mi sembra grigio nei punti più scuri? L’ombra della mia mano è parzialmente grigia. Dove il foglio è lontano dalla luce, però, lo vedo bianco, anche se più scuro, e anche se, per dipingerlo, dovrei aggiungere un po’ di grigio. Non è simile a questo il fatto che un oggetto lontano sia visto spesso soltanto come più lontano, ma non come più piccolo? E che dunque non si può dire: “Mi accorgo che sembra più piccolo e ne concludo che è più lontano”, ma mi accorgo che è più lontano, senza poter dire come me ne accorgo.
172). L’impressione che dà un mezzo trasparente (colorato) è che ci sia qualcosa dietro il mezzo. La completa monocromia dell’immagine visiva, di conseguenza, non può essere trasparente.
173). Un oggetto bianco dietro un mezzo trasparente colorato appare del colore del mezzo, un oggetto nero appare nero. Secondo questa regola, un disegno nero su un foglio bianco dietro un mezzo bianco trasparente apparirebbe come dietro un mezzo colorato.
Questa non è una proposizione della fisica, ma una regola dell’interpretazione spaziale della nostra esperienza visiva. Si potrebbe anche dire che è una regola per il pittore: “Se vuoi rappresentare una cosa bianca dietro un rosso trasparente, devi dipingerla di rosso”. Se la dipingi di bianco, non sembra che sia dietro un mezzo rosso.
174). Là dove è leggermente meno illuminato, un foglio di carta bianca non sembra affatto grigio, ma sempre bianco.
175). La domanda è questa: come deve essere fatta la nostra immagine visiva per mostrarci un mezzo trasparente? Per esempio, come deve risaltare il colore del mezzo? Se parliamo in termini fisici – benché qui non si tratti direttamente di leggi della fisica – allora tutto ciò che si vede attraverso un vetro verde puro dovrebbe apparire di un verde più o meno scuro. La sfumatura più chiara sarebbe quella del mezzo. Ciò che si vede attraverso di esso somiglia a una fotografia. Se si traspone il tutto su un vetro bianco, l’effetto sarebbe di nuovo quello di una fotografia, ma in tonalità che vanno dal bianco al nero. E perché un simile vetro – ammesso che ce ne sia uno – non dovremmo definirlo bianco? Qualcosa ci impedisce di farlo? L’analogia con altri vetri colorati viene meno da qualche parte?
176). Un cubo di vetro verde, quando è davanti a noi, ci appare verde: l’impressione generale è verde; quindi anche quella del cubo bianco dovrebbe essere bianca.
177). Dove deve apparire bianco il cubo perché possiamo chiamarlo bianco e trasparente?
178). Se non esiste un analogon tra il bianco e un vetro verde trasparente, è perché le affinità e i contrasti fra il bianco e gli altri colori sono diversi da quelli fra il verde e gli altri colori?
179). Se cade attraverso un vetro rosso, la luce getta una luce rossa; ora, come appare una luce bianca? A una luce bianca, il giallo dovrebbe apparire tendente al bianco oppure semplicemente chiaro? E il nero dovrebbe apparire grigio, oppure restare nero?
180). Qui non ci occupiamo dei fatti della fisica, se non nella misura in cui determinano le leggi dell’apparenza visiva.
181). Non è immediatamente chiaro di quale vetro trasparente si debba dire che ha “il medesimo colore” di un foglio di carta verde.
182). Se, per esempio, il foglio di carta è rosa, lilla, azzurro, si penserà il vetro come opaco, ma si potrebbe intendere anche un vetro chiaro leggermente tendente al rosso e così via. Perciò talvolta un oggetto senza colore viene detto “bianco”.
183). Il colore di un vetro trasparente, si potrebbe dire, è quello in cui appare una fonte luminosa bianca vista attraverso di esso.
Ma questa appare pienamente bianca attraverso un vetro incolore.
184). Al cinema è spesso possibile vedere le scene come se avvenissero al di là dello schermo e questo fosse trasparente come una tavola di vetro. Al tempo stesso, però, lo schermo priverebbe le scene del colore e lascerebbe passare soltanto il bianco, il grigio e il nero. Ma con ciò non si è tentati di definire lo schermo una tavola di vetro bianca e trasparente.
Come si vedrebbero allora le cose attraverso una tavola di vetro verde? Una differenza, naturalmente, sarebbe che questa ridurrebbe la differenza fra chiaro e scuro, mentre l’altra non sfiorerebbe nemmeno questa differenza. Una tavola “grigia e trasparente” la ridurrebbe leggermente.
185). Di una tavola di vetro verde si direbbe forse che dà alle cose il suo colore. Ma la mia tavola “bianca” lo fa? – Se il mezzo verde dà il suo colore alle cose, allora lo dà soprattutto alle cose bianche.
186). Uno strato sottile di un mezzo colorato colora le cose soltanto debolmente: come dovrebbe colorarle un vetro “bianco” sottile? Non dovrebbe sottrarre alle cose tutto il colore?
187). “Non si può immaginare un’acqua bianca che sia anche limpida…” Questo significa: non si può descrivere come apparirebbe qualcosa di bianco e limpido, il che significa: non si sa quale descrizione si esiga da qualcuno con queste parole.
188). Non vogliamo trovare una teoria dei colori (né fisiologica, né psicologica), ma la logica dei concetti di colore. E con questa si ottiene ciò che ci si è spesso ingiustamente attesi da una teoria.
189). Quando si spiegano a una persona i nomi dei colori indicando dei pezzi di carta colorati, non si tocca ancora il concetto di trasparenza. È questo concetto ad avere relazioni dissimili con i diversi concetti di colore.
190). A chi dunque volesse dire, a proposito dei colori, che non ci rendiamo nemmeno conto che i loro concetti sono così diversi, bisognerebbe rispondere che egli ha rivolto la propria attenzione all’analogia (l’uguaglianza) in questi concetti, ma che le differenze stanno nelle relazioni con altri concetti. [Su questo ci vorrebbe un’osservazione migliore.]
191). Se la tavola di vetro verde conferisce alle cose dietro di lei il suo colore verde, allora trasforma il bianco in verde, il rosso in nero, il giallo in giallo-verde, il blu in blu tendente al verde. La tavola bianca dunque dovrebbe rendere tutto tendente al bianco, quindi tutto pallido; e perché non dovrebbe trasformare il nero in grigio? – Anche un vetro giallo scurisce, dovrebbe scurire anche un vetro bianco?
192). Ogni mezzo colorato scurisce ciò che viene visto attraverso di esso, inghiotte luce: allora anche il mio vetro bianco dovrebbe scurire? E farlo tanto più, quanto più è spesso? Ma dovrebbe lasciare bianco il bianco: allora il “vetro bianco” sarebbe in realtà un vetro scuro.
193). Se il verde, visto attraverso di esso, diventa tendente al bianco, perché il grigio non diventa tendente al bianco e perché, allora, il nero non diventa grigio?
194). Ma il vetro colorato non può certo schiarire le cose che si trovano dietro di esso: per esempio, cosa succederebbe con qualcosa di verde? Dovrei vedere un verdegrigio? E come si vedrebbe qualcosa di verde attraverso di esso? Verde tendente al bianco?
195). Se tutti i colori diventassero tendenti al bianco, l’immagine perderebbe sempre più profondità.
196). Il grigio non è un bianco male illuminato, il verde scuro non è un verde chiaro male illuminato.
Infatti si dice: “Di notte tutti i gatti sono grigi”, ma questo significa, in realtà: non riusciamo a distinguere il loro colore e potrebbero anche essere grigi.
197). Dove va ricercata qui la differenza decisiva fra il bianco e gli altri colori? Nell’asimmetria delle affinità? E questo significa, in sostanza, che la differenza va ricercata nella particolare posizione occupata nell’ottaedro dei colori? O bisogna piuttosto cercarla nella posizione dissimile dei colori rispetto allo scuro e al chiaro?
198). Cosa dovrebbe dipingere il pittore che vuole riprodurre l’effetto di un vetro bianco trasparente?
Rosso, verde (eccetera) dovrebbero diventare tendenti al bianco?
199). La differenza non è semplicemente che ogni vetro colorato dovrebbe colorare il bianco, mentre il mio dovrebbe o lasciarlo invariato o soltanto scurirlo?
200). Visto attraverso un vetro colorato, il bianco appare del colore del vetro. Questa è una regola per l’aspetto della trasparenza. Così il bianco appare bianco attraverso un vetro bianco, dunque come attraverso un vetro incolore.
201). Lichtenberg parla di un “bianco puro” e con ciò intende il più chiaro dei colori. Nessuno potrebbe parlare così di un giallo puro.
202). Dire che il bianco è corporeo suona strano, perché anche il giallo e il rosso possono essere colori di una superficie e in quanto tali non li si distingue categoricamente dal bianco.
203). Se si guarda un cubo bianco, con le facce illuminate in modi diversi, attraverso un vetro giallo, questo appare soltanto giallo, e le sue facce illuminate in modi molto diversi. Come apparirebbe attraverso un vetro bianco? E come si vedrebbe un cubo giallo attraverso un vetro bianco?
204). Sarebbe come se si fosse aggiunto del bianco o del grigio al suo colore?
205). Un vetro non potrebbe lasciare il bianco, il nero e il grigio invariati, e rendere gli altri colori tendenti al bianco? E questo non si avvicinerebbe tantissimo a un vetro bianco e trasparente? L’effetto sarebbe come una fotografia che conservi una traccia dei colori naturali. Il grado di oscurità di ciascun colore dovrebbe però essere conservato e di certo non diminuito.
206). Questo posso capirlo: che una teoria fisica (come quella di Newton) non è in grado di risolvere i problemi che mossero Goethe, anche se poi nemmeno lui li ha risolti.
207). Se vedo un rosso puro attraverso un vetro e mi appare grigio, qui il contenuto di grigio del colore è venuto davvero dal vetro? Vale a dire: è soltanto un’apparenza?
208). Perché sento che un vetro bianco dovrebbe colorare il nero, ammesso che colori qualcosa, mentre accetto che il giallo venga inghiottito dal nero? Non è forse perché il vetro chiaro colorato dovrebbe colorare prima di tutto il bianco, e se non lo fa ed è bianco, allora è opaco?
209). Se ci si guarda intorno strizzando forte gli occhi, i colori diventano indistinti e tutto assume il carattere del bianco e nero; ma per me è come se guardassi attraverso un cristallo di vetro di questo o quel colore?
210). Spesso si definisce il bianco incolore. Perché? (Lo si fa anche quando non si pensa alla trasparenza.)
211). È degno di nota che talvolta il bianco appaia sullo stesso piano degli altri colori puri (bandiere), e talvolta no.
Perché, per esempio, si dice che un verde o un rosso tendenti al bianco non sono saturi? Perché il bianco indebolisce questi colori, ma il giallo no? Il motivo è da ricercare nella psicologia (l’effetto) dei colori, o nella logica? Ora, il fatto che si impieghino parole come “saturo”, “sporco” eccetera. è una questione psicologica; ma il fatto che si compia una distinzione netta rimanda a un piano concettuale.
212). Questo dipende dal fatto che il bianco annulla, un poco alla volta, tutti i contrasti, mentre il rosso non lo fa?
213). Uno stesso tema ha un carattere in tono maggiore e un altro carattere in tono minore, ma parlare in generale di un carattere del tono minore è sbagliato. (In Schubert spesso il maggiore suona più triste del minore.) E per questo, credo, parlare dei caratteri dei singoli colori al fine di comprendere la pittura è ozioso e inutile. Quando se ne parla si pensa soltanto agli impieghi particolari. Il fatto che il verde come colore di una tovaglia abbia un effetto e il rosso ne abbia un altro non ci permette di trarre alcuna conclusione sul loro effetto in un quadro.
214). Il bianco scioglie tutti i colori, – lo fa anche il rosso?
215). Perché non esistono una luce marrone e una luce grigia? Non c’è nemmeno una luce bianca? Un corpo luminoso può apparire bianco; ma non può apparire né marrone né grigio.
216). Perché non ci si può immaginare un calor grigio?
Perché non ci si può immaginare un grado inferiore di calor bianco?
217). Che una cosa che sembra luminosa non possa apparire grigia deve indicare che l’incolore luminoso si chiama sempre “bianco”, e dunque ci insegna qualcosa sul nostro concetto di bianco.
218). Una luce debolmente bianca non è una luce grigia.
219). Ma il cielo, che illumina tutto ciò che vediamo, può ben essere grigio! E come faccio, dalla sola vista, a sapere che non è luminoso?
220). Questo significa, all’incirca: una cosa è “grigia” o “bianca” soltanto in un determinato ambiente.
221). Qui non intendo ciò che sostengono gli psicologi della Gestalt: che l’impressione del bianco si origina in questo e quell’altro modo. La domanda è piuttosto cosa sia l’impressione del bianco, quale sia il significato di questa espressione, quale la logica del concetto di bianco.
222). Infatti, che non si possa pensare un “calor grigio” non dipende dalla psicologia del colore.
223). Immagina che qualcuno ci dica che una sostanza brucia producendo una fiamma grigia. In fondo non conosci i colori delle fiamme di tutte le sostanze: perché non dovrebbe essere possibile? Eppure non si dice. Se sentissi una cosa del genere, penserei soltanto che la fiamma sia debolmente luminosa.
224). Ciò che appare luminoso, non appare grigio. Tutto il grigio appare illuminato.
Che però qualcosa possa “apparire luminoso” dipende dalla distribuzione della luminosità in ciò che si vede; ma è anche possibile “vedere qualcosa come luminoso”; in certe circostanze si può scambiare la luce riflessa per la luce di un corpo luminoso.
225). Quindi potrei vedere una cosa ora come debolmente luminosa, ora come grigia.
226). Ciò che si vede come luminoso, non si vede come grigio. Ma lo si potrebbe ben vedere come bianco.
227). Si parla di una luce “rosso scuro”, ma non di una luce “rossonera”.
228). Esiste una impressione di luminosità.
229). Dire: L’impressione del bianco o del grigio si realizza soltanto a queste condizioni (causale) non equivale a dire che è l’impressione di un determinato contesto (definizione). (La prima è psicologia della Gestalt, la seconda è logica.)
230). Il “fenomeno originario” è, per esempio, ciò che Freud credette di riconoscere nei semplici sogni di desiderio. Il fenomeno originario è un’idea precostituita che si impossessa di noi.
231). Se nella notte mi apparisse un fantasma, potrebbe rilucere di una debole luce tendente al bianco; se invece apparisse grigio, allora la luce sembrerebbe arrivare da un’altra parte.
232). Quando parla di apparenza, la psicologia mette in relazione l’apparire con l’essere. Ma noi potremmo parlare soltanto di apparenza, oppure mettere in relazione l’apparire con l’apparire.
233). Si potrebbe dire che il colore del fantasma è quello che devo mescolare sulla tavolozza per dipingerlo in modo fedele.
Ma come si determina cos’è un’immagine fedele?
234). La psicologia connette il vissuto con qualcosa di fisico, noi connettiamo il vissuto con il vissuto.
235). Si potrebbe dipingere la penombra nella penombra. E la “giusta illuminazione” di un quadro potrebbe essere la penombra. (Pittura scenografica.)
236). Una superficie bianca liscia può riflettere: E se invece ci si sbagliasse, e ciò che sembra riflesso su una superficie simile fosse in realtà dietro di essa e visto attraverso di essa? La superficie sarebbe allora bianca trasparente? Anche in quel caso, ciò che vediamo non corrisponderebbe al trasparente colorato.
237). Si parla di uno “specchio nero”. Quando riflette, però, questo specchio scurisce, ma non appare nero e il suo nero non “sporca”.
238). Perché il verde affoga nel nero, e il bianco no?
239). Ci sono concetti di colore che si riferiscono soltanto all’apparenza visiva di una superficie, e possono essercene altri che si riferiscono soltanto all’apparenza di mezzi trasparenti, o piuttosto all’impressione visiva di essi. Si potrebbe anche non definire “bianco” un effetto luminoso bianco sull’argento, e distinguerlo dal colore bianco di una superficie. Da qui, credo, il parlare di luce “trasparente”.
240). Se si insegnassero a un bambino i concetti di colore indicando fiamme colorate o corpi trasparenti colorati, la peculiarità del bianco, del grigio e del nero emergerebbe con maggiore chiarezza.
241). Che non tutti i concetti di colore sono logicamente analoghi lo si vede facilmente. Si vede facilmente la differenza fra i concetti: “colore dell’oro” oppure “colore dell’argento” e “giallo” o “grigio”.
Che esista una differenza, in un certo senso affine a questa, fra “bianco” e rosso”, invece, è difficile da vedere.
242). Il latte non è opaco per il fatto che è bianco, – come se il bianco fosse qualcosa di opaco.
Se “bianco” è già un concetto che si riferisce a una superficie visiva, perché allora non c’è un concetto di colore affine al “bianco” che si riferisce a qualcosa di trasparente?
243). Non si vorrà definire bianco un mezzo attraverso il quale un pattern bianco e nero (per esempio, una scacchiera) appaia invariato, anche se cambia gli altri colori in colori tendenti al bianco.
244). Il grigio e il bianco debolmente illuminato o luminoso possono essere, in un certo senso, lo stesso colore, perché per dipingere il secondo, forse, devo mescolarlo sulla tavolozza con il primo.
245). Il fatto che io veda una cosa grigia o bianca, può dipendere da come vedo le cose illuminate intorno a me. In un contesto per me il colore è bianco con una cattiva illuminazione, in un altro può essere grigio con una buona illuminazione.
246). Il secchio che vedo di fronte a me è smaltato di bianco un luminoso; non potrei mai definirlo “grigio” o dire: “In realtà lo vedo grigio”. Ma ha un punto luminoso molto più chiaro del resto della sua superficie, e, poiché è circolare, passa gradualmente dalla luce all’ombra, ma senza sembrare di colore diverso.
247). Di che colore è il secchio in questo punto? Come dovrei deciderlo?
248). Non esiste la fenomenologia, ma esistono i problemi fenomenologici.
249). Si vorrebbe dire: l’aggiunta di rosso non stempera i colori, l’aggiunta di bianco sì.
D’altro canto non si percepiscono sempre un rosa o un blu tendente al bianco come stemperati.
250). Si può dire: “Il grigio luminoso è bianco?”.
251). Le difficoltà che incontriamo nel riflettere sull’essenza dei colori (e con cui Goethe voleva confrontarsi nella sua Teoria dei colori) sono già racchiuse nel fatto che non abbiamo un solo concetto di uguaglianza fra i colori, ma ne abbiamo diversi, fra loro affini.
252). La domanda è: di che genere deve essere l’immagine visiva se dobbiamo definirla l’immagine di un mezzo colorato trasparente? O anche: come deve apparire una cosa perché noi la definiamo colorata e trasparente? Non è una questione della fisica, ma è legata a questioni fisiche.
253). Com’è fatta la nostra immagine visiva che definiamo immagine di un mezzo colorato trasparente?
254). Ci sono, apparentemente, colori che possiamo chiamare “di sostanza” e colori che possiamo chiamare “di superficie”.
255). I nostri concetti di colore si riferiscono a volte alle sostanze (la neve è bianca), altre volte alle superfici (questo tavolo è marrone), altre all’illuminazione (nella luce rossastra della sera), altre ancora a corpi trasparenti. E non c’è anche un’applicazione a un punto del campo visivo, logicamente indipendente da un contesto spaziale?
Non posso dire: “Lì vedo bianco” (e forse dipingerlo), anche se non posso assolutamente interpretare l’immagine visiva in modo spaziale? (Macchie di colore) (Penso alla tecnica puntinista)
256). Essere in grado di dare un nome a un colore non significa ancora essere in grado di copiarlo alla perfezione. Forse posso dire “Lì vedo un punto tendente al rosso” e tuttavia non sono in grado di creare per mescolanza un colore che riconosca come esattamente uguale.
257). Prova a dipingere quello che vedi quando chiudi gli occhi! Eppure riesci a descriverlo approssimativamente.
258). Pensa ai colori dell’argento, del nichel o del cromo bruniti, oppure al colore di una fessura in questi metalli.
259). Assegno a un colore il nome “F” e dico che è il colore che vedo lì. O forse dipingo la mia immagine visiva e poi dico soltanto: “Vedo questo”. Ora, quale colore c’è in questo punto del mio quadro? Come lo determino? Introduco, per esempio, l’espressione “blu cobalto”: in che modo stabilisco cosa sia “K”? Potrei prendere un foglio di carta come paradigma di questo colore, oppure un colorante in vasetto. Ora come faccio a stabilire che una superficie, ad esempio, ha questo colore? Alla fine dipende tutto dai metodi di comparazione.
260). Ciò che si può chiamare l’impressione generale “colorata” di una superficie non è una specie di media aritmetica di tutti i colori della superficie.
261).
[“Io vedo (sento, percepisco, eccetera) X”
“Io osservo X”
X non sta per il medesimo concetto nel primo e nel secondo caso, anche se in entrambi i casi si trovasse la medesima espressione, per esempio “un dolore”. Alla prima proposizione, infatti, potrebbe seguire la domanda: “Che tipo di dolore?”, alla quale si potrebbe rispondere pungendo con un ago chi l’ha posta. Ma se la domanda “Che tipo di dolore?” seguisse la seconda proposizione, la risposta dovrebbe essere di altro tipo, per esempio: “Il dolore nella mia mano”.]
262). Vorrei dire: “Questo punto del mio campo visivo è di questo colore (indipendentemente da ogni interpretazione)”. Ma a che scopo uso questa frase? “Questo” colore deve essere un colore che sono in grado di riprodurre. E deve essere stabilito in quali circostanze dico di una cosa che ha questo colore.
263). Immagina che qualcuno ti indichi un punto in un’iride di un volto di Rembrandt e dica: “La parete della mia stanza deve essere dipinta di questo colore”.
264). Il fatto che possiamo dire “Questo punto del mio campo visivo è grigioverde” non significa che sappiamo come si dovrebbe chiamare una copia esatta di questa tonalità cromatica.
265). Dipingo la vista dalla mia finestra; un determinato punto, definito dalla sua posizione nell’architettura di una casa, lo dipingo di color ocra. Dico: “Questo punto lo vedo di questo colore”.
Questo non significa che in questo punto io veda il color ocra, perché in questo contesto il pigmento potrebbe apparirmi più chiaro o più scuro o più rossiccio (eccetera) dell’ocra.
Posso dire, ad esempio: “Così come l’ho dipinto qui (in ocra), vedo questo punto di un giallo fortemente tendente al rosso”.
Ma cosa succederebbe se da me si pretendesse che indicassi l’esatta sfumatura di colore che mi appare qui? Come dovrei indicarla, come dovrei determinarla? Per esempio, qualcuno potrebbe pretendere da me che producessi un campione di colore, un pezzo di carta rettangolare di questo colore. Non dico che un simile confronto sia privo di interesse, ma dimostra che non è chiaro da subito come si debbano confrontare le tonalità di colore e, quindi, cosa significhi qui “uguaglianza di colore”.
266). Immaginiamo un quadro suddiviso in piccoli pezzi quasi dello stesso colore, e poi di usare questi pezzi come tessere di un puzzle. Anche nei punti in cui un pezzo non è monocromatico, non deve alludere a una forma tridimensionale, ma apparire come macchia colorata piana. Soltanto in relazione con gli altri diventa un pezzo di cielo, un’ombra, una luce, una superficie concava o convessa eccetera.
267). Si potrebbe anche dire che questo puzzle mostra i reali colori dei punti del quadro.
268). Si potrebbe essere tentati di credere che una analisi dei nostri concetti di colore conduca, alla fine, ai colori dei punti del nostro campo visivo, colori che sarebbero indipendenti da ogni interpretazione spaziale o fisica, perché qui non ci sarebbe né ombra né luce, né trasparenza né opacità, eccetera.
269). Ciò che ci appare come una linea chiara e monocromatica senza spessore su un fondo scuro può sembrare bianca, ma non grigia. (?) Un pianeta non potrebbe apparire grigio chiaro.
270). Ma non si potrebbe, in determinate circostanze, interpretare il punto o la linea come grigi? (Pensa a una fotografia.)
271). Vedo davvero biondi i capelli del ragazzo in fotografia?! – Li vedo grigi?
Inferisco semplicemente che ciò che in foto sembra biondo debba essere biondo anche nella realtà?
In un certo senso li vedo biondi, in un altro di un grigio più chiaro e più scuro.
272). “Rosso scuro” e “rossonero” non sono concetti della stessa specie. Un rubino può apparire rosso scuro se si guarda attraverso di esso, ma se è limpido non può apparire rossonero. Il pittore può dipingerlo mediante una macchia rossonera, ma l’effetto di questa macchia nel quadro non sarà rossonero. Si vedrebbe come qualcosa che ha profondità, così come la superficie appare tridimensionale.
273). In un film, come in una fotografia, un volto e i capelli non appaiono grigi, ma fanno un effetto molto naturale; invece il cibo su un piatto, in un film, lo vediamo spesso grigio, e di conseguenza poco invitante.
274). Ma cosa significa che i capelli si vedono biondi in fotografia? Come si mostra che appaiono così e non abbiamo soltanto inferito il colore? Quale delle nostre reazioni ce lo fa dire? – Una testa di pietra o di gesso non appare bianca?
275). Se anche la parola “biondo” può suonare bionda, tanto più facilmente possono apparire biondi i capelli in fotografia!
276). Ora, descriverei la fotografia, in modo del tutto naturale, con le parole: “Di fronte a una macchina ci sono un uomo con i capelli scuri e un ragazzo con i capelli biondi pettinati all’indietro”. Così descriverei la fotografia, e se qualcuno mi dicesse che in questo modo non descrivo la fotografia ma gli oggetti fotografati, allora potrei rispondere che l’immagine appare come se i capelli fossero di questo colore.
277). Se mi venisse chiesto di descrivere la fotografia, lo farei in quei termini.
278). Il daltonico comprende la proposizione sul suo essere daltonico. Il cieco comprende la proposizione sul suo essere cieco. Ma costoro non possono impiegare queste proposizioni in tutti i modi in cui può farlo chi vede normalmente. Infatti, come chi vede normalmente padroneggia i giochi di parole con i nomi dei colori, nomi che gli altri non possono imparare, così padroneggia anche i giochi di parole con “daltonico” e “cieco”.
279). Si può descrivere a una persona cieca com’è vedere? – Certamente; un cieco impara pur sempre qualcosa sulla differenza fra lui e un vedente. Eppure a questa domanda si potrebbe anche rispondere di no. – Ma non è posta in modo fuorviante? Si può descrivere sia a una persona che gioca a calcio sia a una che non gioca “com’è giocare a calcio”, alla prima, forse, perché verifichi la correttezza della descrizione. Allora si può descrivere a un vedente com’è vedere? Ma gli si può certamente spiegare cosa sia la cecità! Vale a dire, gli si può spiegare il comportamento caratteristico di una persona cieca e gli si possono bendare gli occhi. Viceversa, però, non si può rendere vedente un cieco per un preciso lasso di tempo; ma gli si può descrivere il comportamento del vedente.
280). Si può dire che il “daltonismo” (o la “cecità”) sia un fenomeno, mentre il “vedere” no?
Questo significherebbe forse: “Io vedo” è un’osservazione, “io sono cieco” no. Ma questo non è vero. Spesso per la strada mi prendono per cieco. Quando succede, potrei dire “Io vedo”, ovvero: non sono cieco.
281). Si potrebbe dire: è un fenomeno che ci siano persone che non possono imparare questo o quest’altro. Questo fenomeno è il daltonismo. – Esso sarebbe dunque un’incapacità; il vedere sarebbe la capacità.
282). Dico a B, che non sa giocare a scacchi: “A non riesce a imparare a giocare a scacchi”. B capisce. – Ma ora dico a una persona che non è assolutamente in grado di imparare alcun gioco, che un tale non riesce a imparare un gioco. Cosa sa questa persona dell’essenza di un gioco? Non potrebbe, per esempio, avere un concetto del tutto erroneo di un gioco? Ebbene, potrebbe almeno capire perché non invitiamo né l’uno né l’altro a giocare, perché non sanno giocare a nessun gioco.
283). Tutto ciò che voglio dire qui porta a concludere che l’affermazione “io vedo un cerchio rosso” è logicamente diversa dall’affermazione “io vedo, non sono cieco”? Come si mette alla prova una persona per scoprire se la prima affermazione è vera? E per scoprire se è vera la seconda? La psicologia insegna a constatare il daltonismo, e di conseguenza il vedere normale. Ma chi può impararlo?
284). Non posso insegnare a nessuno un gioco che io per primo non posso imparare. Un daltonico non può insegnare a una persona che vede normalmente l’uso normale dei nomi dei colori. È vero? Non può presentargli il gioco, l’uso.
285). A un membro di una tribù di daltonici non potrebbe venire in mente di immaginarsi un popolo esotico (che noi chiameremmo “dalla vista normale”)? E non potrebbe rappresentare una persona simile, che vede normalmente, in teatro? Così come potrebbe rappresentarne una che ha il dono della profezia, pur non avendolo lui stesso. Questo è quantomeno pensabile.
286). Ai daltonici, però, sarebbe mai venuto in mente di chiamarsi “daltonici”? – Perché no?
Ma come potrebbero le persone dalla vista normale apprendere l’impiego “normale” dei nomi dei colori, se fossero l’eccezione in una popolazione di daltonici? – Non è possibile che essi usino “normalmente” i nomi dei colori, e forse commettono qualche errore agli occhi degli altri, finché questi non imparano finalmente ad apprezzarne le insolite capacità?
287). Posso immaginarmi (figurarmi) come mi apparirebbe la cosa, se incontrassi una persona simile.
288). Posso immaginare come si comporterebbe una persona per la quale non è importante ciò che per me è importante. Ma posso immaginarmi il suo stato? – Cosa significa? – Posso immaginare lo stato di una persona per la quale è importante ciò che per me è importante?
289). Potrei anche imitare alla perfezione qualcuno che facesse una moltiplicazione, senza poter a mia volta imparare a moltiplicare.
E allora non potrei insegnare a un altro a moltiplicare, anche se sarebbe pensabile che gli dia la spinta a impararlo.
290). Una persona daltonica può sicuramente descrivere la prova che ha fatto venire alla luce il suo daltonismo. E ciò che egli in seguito può descrivere, avrebbe anche potuto inventarlo.
291). Si può descrivere a qualcuno la matematica superiore senza insegnargliela? O anche: questo insegnamento è una descrizione del sistema di calcolo? Spiegare a una persona il gioco del tennis non significa insegnarglielo, e viceversa. Per un altro verso: chi non sapesse cos’è il tennis e imparasse soltanto a giocare, allora saprebbe cos’è. (“Knowledge by description and knowledge by acquaintance.”)
292). Chi ha l’orecchio assoluto può imparare un gioco linguistico che io non posso imparare.
293). Si potrebbe dire che i concetti delle persone mostrano ciò che conta e ciò che non conta per loro. Ma non è che questo spieghi gli specifici concetti che esse hanno. Dovrebbe soltanto escludere l’idea che i nostri concetti siano giusti e quelli di altre persone sbagliati. (Ci sono diverse gradazioni fra un errore di calcolo e un altro tipo di calcolo.)
294). Quando i ciechi, come fanno volentieri, parlano del cielo azzurro e di altri specifici fenomeni visivi, spesso il vedente dice: “Chissà cosa si immaginano”. Ma perché non si chiede la stessa cosa per gli altri vedenti? Naturalmente è un’espressione sbagliata.
295). Ciò di cui io scrivo così laboriosamente potrebbe apparire ovvio a una persona con un intelletto più integro.
296). Diciamo: “Immaginiamo delle persone che non conoscono questo gioco linguistico”. Ma con questo non abbiamo ancora una rappresentazione chiara della vita di queste persone, e in cosa essa devii dalla nostra. Non sappiamo ancora cosa dobbiamo immaginare; infatti per il resto la vita di queste persone dovrebbe corrispondere alla nostra e si deve prima stabilire cosa noi, nelle nuove circostanze, chiameremmo una vita che corrisponde alla nostra.
Non è come se si dicesse: ci sono persone che giocano a scacchi senza il re? Subito sorgono delle domande: chi vince? chi perde? Devi prendere ulteriori decisioni, non previste nella prima valutazione. Perché nemmeno tu hai chiara la tecnica originaria, ti è soltanto familiare caso per caso.
297). Della finzione fa parte anche considerarla possibile anche per gli altri.
298). Quando le persone si comportano in modo tale da farci supporre una finzione, ma non mostrano diffidenza le une per le altre, allora non danno l’immagine di persone che fingono.
299). “Non possiamo che meravigliarci sempre di queste persone.”
300). Potremmo rappresentare in scena certe persone e mettere loro in bocca monologhi che naturalmente non pronuncerebbero mai nella vita reale, ma che corrispondono ai loro pensieri. Ma non potremmo mai rappresentare in questo modo delle persone completamente diverse da noi. Anche se fossimo in grado di prevedere le loro azioni, non potremmo mettere loro in bocca dei monologhi adatti.
Eppure anche in questo modo di considerare la questione c’è qualcosa di sbagliato. Uno di loro, infatti, potrebbe dire qualcosa fra sé e sé mentre agisce, e questa cosa potrebbe, per esempio, essere del tutto convenzionale.
301). Che io possa essere amico di una persona si fonda sul fatto che questa abbia le mie stesse possibilità, o possibilità simili alle mie.
302). Sarebbe giusto dire che nei nostri concetti si riflette la nostra vita?
Stanno proprio nel mezzo.
303). La regolarità del nostro linguaggio pervade la nostra vita.
304). Di chi diremmo che non ha il nostro concetto del dolore? Potrei supporre che quella persona non conosca il dolore, ma assumerò che lo conosca; dunque essa ha sue manifestazioni di dolore e le si potrebbero insegnare le parole: “Ho dei dolori”. Sarebbe anche capace di ricordarsi i suoi dolori? – Dovrebbe anche riconoscere le manifestazioni di dolore degli altri come tali; e come andrebbe? – Dovrebbe mostrare compassione – dovrebbe capire quando un dolore è simulato?
305). “Non so quanto fosse arrabbiato.” “Non so se fosse davvero arrabbiato.” – Il diretto interessato lo sa? Glielo si chiede, e lui risponde: “Sì, lo ero”.
306). Che cos’è allora l’insicurezza sull’arrabbiatura dell’altro? È una condizione dell’anima dell’insicuro? Perché dovrebbe interessarci? Sta tutta nell’impiego della proposizione: “È arrabbiato”.
307). Ma se uno è insicuro, un altro può essere sicuro: costui conosce “l’espressione del viso” di questa persona quando è arrabbiata. Come impara a riconoscere gli indizi di rabbia in quanto tali? È difficile da dire.
308). Non solo: “Cosa significa essere incerti dello stato d’animo di un altro?” – ma anche: “Cosa significa sapere che l’altro è arrabbiato?”.
309). Qui si potrebbe chiedere cosa voglio davvero, fino a che punto voglio occuparmi della grammatica.
310). Qualcosa accomuna la sicurezza che una persona verrà a trovarmi e la sicurezza che sia arrabbiata. Anche il tennis e gli scacchi hanno qualcosa in comune, ma qui nessuno direbbe: “È molto semplice: si gioca in entrambi i casi, soltanto a giochi diversi”. In questo caso si vede la dissomiglianza con “uno mangia una mela, l’altro una pera”, mentre nell’altro caso non la si vede così facilmente.
311). “So che ieri è venuto.” – “So che 2 x 2 = 4.” – “So che aveva dolore.” – “So che lì c’è un tavolo.”
312). So in ogni caso, ma so sempre qualcosa di diverso? Certo, – ma i giochi linguistici sono molto più diversi fra loro di quanto ci accorgiamo in queste proposizioni.
313). “Il mondo degli oggetti fisici e il mondo della coscienza.” Che cosa so del secondo? Quello che mi insegnano i miei sensi? E quindi com’è vedere, sentire, percepire e così via. – Ma lo imparo davvero? Oppure imparo com’è vedere, sentire eccetera ora e credo che anche prima fosse così?
314). Cos’è veramente il mondo della coscienza? Su questo vorrei dire: “Ciò che accade nel mio spirito, ciò che accade in esso in questo momento, ciò che vedo, sento…” Non potremmo semplificare e dire: “Ciò che vedo in questo momento”?
315). Evidentemente la domanda è: come confrontiamo gli oggetti fisici – come le esperienze?
316). Cos’è veramente il “mondo della coscienza”? – Ciò che c’è nella mia coscienza: ciò che vedo, sento, percepisco in questo momento… E ad esempio, cosa vedo in questo momento? La risposta a questa domanda non può essere: “Ebbene, tutto questo”, accompagnata da un ampio gesto.
317). Quando una persona che crede in Dio si guarda intorno e chiede: “Da dove viene quello che vedo?” “Da dove viene tutto?”, non esige alcuna spiegazione (causale); e la cosa divertente della sua domanda è che è l’espressione di questa esigenza. Questa persona dunque esprime un atteggiamento nei confronti di tutte le spiegazioni. – Ma in che modo tutto ciò si manifesta nella sua vita? È l’atteggiamento che prende sul serio una determinata cosa, ma poi, in un certo punto preciso, non la prende più sul serio e dichiara che qualcos’altro è ancora più serio.
Allora uno potrebbe dire che è una cosa molto seria che una persona sia morta prima di poter terminare una certa opera; e in un altro senso è irrilevante. Qui si usa l’espressione: “In un senso profondo”.
In realtà vorrei dire che qui non importano tanto le parole che si pronunciano e nemmeno cosa si pensa mentre le si pronuncia, ma la differenza che fanno in luoghi diversi della vita. Come faccio a sapere che due persone intendono la stessa cosa quando dicono che credono in Dio? E lo stesso si potrebbe dire se le persone fossero tre. La teologia, che spinge a utilizzare certe parole e ne proibisce altre, non chiarisce le cose. (Karl Barth.) Per così dire, gioca con le parole perché vuole dire una cosa e non sa come dirla. È la prassi a dare il loro senso alle parole.
318). Osservo questa macchia. “Ora è così” – e indico qualcosa su un quadro. Potrei osservare costantemente la stessa cosa e ciò che vedo potrebbe restare invariato o cambiare. Ciò che osservo e ciò che vedo non hanno lo stesso genere di identità. Le parole “questa macchia”, per esempio, non lasciano intendere il genere di identità che ho in mente.
319). “La psicologia descrive i fenomeni del daltonismo e anche del vedere normale.” Cosa sono i “fenomeni del daltonismo”? Ebbene, le reazioni di una persona daltonica, attraverso le quali essa si differenzia da chi vede normalmente. Ma non tutte le reazioni di un daltonico, per esempio, non quelle che lo distinguono dai ciechi. – Posso insegnare a un cieco a vedere? Oppure posso insegnarlo a un vedente? Questo non significa niente. Cosa significa, infatti, descrivere il vedere? Ma posso insegnare alle persone il significato delle parole “cieco” e “vedente” e queste può impararle sia un vedente che un cieco. Allora il cieco sa com’è vedere? E il vedente lo sa?! Sa anche com’è avere coscienza?
Ma lo psicologo non può osservare la differenza fra il comportamento del vedente e quello del cieco? (Il meteorologo non può osservare la differenza fra la pioggia e la siccità?) Si potrebbe, per esempio, osservare la differenza fra i topi a cui siano stati tagliati i baffi e quelli non mutilati. E questo forse si potrebbe definire una descrizione della funzione di questo apparato tattile – La vita dei ciechi è diversa dalla vita dei vedenti.
320). Chi vede normalmente può, per esempio, imparare a scrivere sotto dettatura. Come funziona? Ebbene, uno parla, mentre l’altro scrive ciò che il primo dice. Se, per dire, uno pronuncia il suono a, l’altro scrive il segno “a”, e così via. – Ora, chi comprende questa spiegazione non dovrebbe conoscere già il gioco, anche se forse non con questo nome, o averlo già imparato attraverso la descrizione? Ma Carlo Magno aveva sicuramente compreso il principio della scrittura, eppure non riusciva a imparare a scrivere. E dunque anche chi capisce la descrizione della tecnica può non essere in grado di impararla. Ma ci sono due casi del non-riuscire-a-imparare. In uno semplicemente non acquisiamo un’abilità, nell’altro ci manca la comprensione. Si può spiegare un gioco a una persona: essa può comprendere questa spiegazione, ma non riuscire a imparare il gioco, oppure essere incapace di comprendere una spiegazione del gioco. Ma è pensabile anche il contrario.
321). “Tu vedi l’albero, il cieco non lo vede.” Questo dovrei dire a un vedente. E dunque a un cieco dovrei dire: “Tu non vedi l’albero, noi lo vediamo”? Come andrebbe se il cieco credesse di vedere o se io credessi di non poter vedere?
322). Il fatto che io vedo un albero è un fenomeno? Di certo lo è il fatto che lo riconosco correttamente come un albero, che non sono cieco.
323). “Io vedo un albero”, come espressione di una impressione visiva, è la descrizione di un fenomeno? Di quale fenomeno? Come posso spiegarlo a un’altra persona?
E per l’altro non è forse un fenomeno che io abbia questa impressione visiva? Infatti è qualcosa che osserva lui, non qualcosa che osservo io.
Le parole “io vedo un albero” non sono la descrizione di un fenomeno. (Per esempio, non potrei dire: “Vedo un albero! Che strano!”, ma: “Vedo un albero, anche se non ce ne sono. Che strano!”)
324). Oppure dovrei dire: “L’impressione non è un fenomeno; il fatto che L.W. abbia questa impressione è un fenomeno”?
325). (Ci si potrebbe immaginare che una persona descrivesse l’impressione parlando fra sé, come un sogno, senza il pronome di prima persona.)
326). Osservare non è la stessa cosa di guardare con attenzione o di sfuggita. “Guarda con attenzione questo colore e dimmi cosa ti ricorda.” Se il colore cambia, non stai più guardando con attenzione quello che intendevo io.
Si osserva per vedere quello che non si vedrebbe se non si osservasse.
327). Si dice, per esempio: “Guarda attentamente questo colore per un po’ di tempo”. Ma non lo si fa per vedere di più di ciò che si è visto al primo sguardo.
328). In una “psicologia” troverebbe posto la frase: “Ci sono persone che vedono”?
Ebbene, sarebbe falsa? – Ma a chi si comunica qualcosa qui? (E non intendo soltanto: ciò che viene comunicato è noto da tempo.)
329). Mi è noto che vedo?
330). Si potrebbe voler dire: Se non ci fossero persone che vedono, non ci sarebbe nemmeno il concetto del vedere. – Ma una cosa del genere non potrebbero dirla anche gli abitanti di Marte? Magari da noi potrebbero aver incontrato per prime, del tutto casualmente, soltanto persone cieche.
331). E come può essere insensato dire “esistono persone che vedono”, se non è insensato dire che esistono persone cieche?
Ma il senso della proposizione: “Esistono persone che vedono”, vale a dire il suo possibile impiego, non è immediatamente chiaro.
332). Non potrebbe il vedere essere l’eccezione? Ma né il cieco né il vedente potrebbero descriverlo, se non come capacità di fare questo o quest’altro. Anche, per esempio, di giocare a certi giochi linguistici; ma lì bisogna fare attenzione a come si descrivono questi giochi linguistici.
333). Se si dice “Esistono persone che vedono”, ne segue la domanda: “E cos’è ‘vedere’?”. Come si dovrebbe rispondere? Insegnando a chi ci ha posto la domanda l’uso della parola “vedere”?
334). E cosa dire di questa spiegazione: “Esistono persone che si comportano come te e me, e non come quello lì, il cieco?”.
335). “A occhi aperti, puoi attraversare la strada senza essere investito eccetera”
La logica della comunicazione.
336). Dicendo che una proposizione della forma di una comunicazione ha un impiego non si dice ancora nulla sulla specie del suo impiego.
337). La psicologia può comunicarmi cosa sia il vedere? Che cosa si definisce “comunicare cosa sia il vedere”?
Non è lo psicologo a insegnarmi l’uso della parola “vedere”.
338). Se lo psicologo ci informa che “esistono persone che vedono”, potremmo chiedergli: “E come chiami le ‘persone che vedono’?”. La risposta sarebbe qualcosa tipo: “Persone che in determinate circostanze reagiscono in questo e quest’altro modo, si comportano in questo e quest’altro modo”. “Vedere” sarebbe un termine tecnico dello psicologo, che egli ci spiega. Il vedere dunque è qualcosa che egli ha osservato in una persona.
339). Impariamo a usare le espressioni “io vedo…” “egli vede…” eccetera prima di saper distinguere tra capacità di vedere e cecità.
340). “Esistono persone che sanno parlare.” “Posso dire una frase.” “Posso pronunciare la parola ‘frase’.” “Come vedi, sono sveglio.” “Sono qui.”
341). Esiste sicuramente un insegnamento sulle circostanze nelle quali una certa proposizione può essere una comunicazione. Come dovrei chiamare questo insegnamento?
342). Si può dire che ho osservato che io e un altro possiamo camminare a occhi aperti senza inciampare, ma non ci riusciamo a occhi chiusi?
343). Se comunico a una persona che non sono cieco, la mia è un’osservazione? In ogni caso posso convincerla con il mio comportamento.
344). Un cieco potrebbe scoprire facilmente se anch’io sono cieco; per esempio, facendo un certo movimento con la mano e chiedendomi di descrivere cosa ha fatto.
345). Non potremmo immaginarci una tribù di ciechi? Non potrebbe, in certe circostanze, essere capace di sopravvivere? E non potrebbero esistere dei vedenti che costituirebbero l’eccezione?
346). Poniamo che un cieco mi dica: “Tu puoi camminare senza inciampare, io non posso farlo” – la prima parte della frase sarebbe una comunicazione?
347). Ebbene, non mi dice nulla di nuovo.
348). Sembra che ci siano proposizioni che hanno il carattere di proposizioni empiriche, ma la cui verità per me è inattaccabile. Vale a dire che, se suppongo che siano false, non dovrei più fidarmi di nessuno dei miei giudizi.
349). In ogni caso ci sono errori che accetto come comuni, e altri che hanno un carattere diverso, e devono essere esclusi dal resto dei miei giudizi in quanto confusioni passeggere. Ma non ci sono anche delle vie di mezzo fra questi due?
350). Non serve a niente introdurre il concetto del sapere in questa ricerca; il sapere, infatti, non è uno stato psicologico grazie alle cui peculiarità si possono spiegare una varietà di cose. La particolare logica del concetto di “sapere”, anzi, non è quella dello stato psicologico.
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