Dal vero (Serao)/Sogni
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SOGNI.
Questo giovane avete dovuto incontrarlo in qualche parte; il suo aspetto ha dovuto colpirvi. Avrete supposto: è amore, forse. No: non è amore il pallore concitato di quel volto, non è amore la febbre di quel sangue che consuma le vene, non è amore il lampo di quello sguardo — i giovani come lui non amano. Sembra meschino compenso al loro spirito battagliero la conquista di una donna; il loro sconfinato ideale non può rinchiudersi nel possesso di un cuore amoroso; la loro ardente realtà è informata da più vasto pensiero che la modesta famigliuola; hanno desiderii, inclinazioni, aspirazioni diverse; sono uomini di guerra, disprezzano la pace. Sibbene prostrati nella polvere adorano una bellissima, perfida e divina amante; l’adorano ciecamente, follemente, pronti come il fanatico indiano a lasciarsi stritolare sotto il carro dell’idolo, sentendo con delizia lo scricchiolio delle ossa che si rompono; l’adorano con tutte le forze riunite e sospinte: nell’arida solitudine della loro anima, essa, la gloria, è il miraggio celeste e fatale, l’oàsi del deserto, l’unica meta della vita e del lavoro.
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Così egli sognava. La politica fu la prima ad appassionarlo. Nella precoce esperienza della sua gioventù, egli sapeva quali minuti ed ignoti congegni muovano il grandioso apparato dello Stato; conosceva le meschine e piccole cause che determinano le grandi azioni; conosceva che le mille facce del poliedro parlamentare mutano di forma e di colore, come cangia la luce che le illumina; sapeva che in quel mondo il vocabolario trasforma il significato delle parole, chiamando ardimento la sfacciataggine, destrezza la furberia e conoscenza pratica degli affari l’abbandono della via vecchia per la nuova. Ma che importava tutto questo?
La poesia drammatica della vita era là; là erano rinnovate le lotte titaniche dell’antichità: il suo sogno era quello di diventare uno di quegli eccelsi lottatori. Ecco: la situazione politica si complica di nuovi avvenimenti, la diplomazia estera diventa incerta, la Corona è pensierosa, l’Europa è attenta. L’aula parlamentare è imponente: sono ivi riuniti i forti campioni che uscirono vittoriosi da tante sconfitte, i trionfatori di un mese e quelli di una giornata, le prime intelligenze italiane, gli oratori eminenti, i parlatori brillanti; la rappresentanza ufficiale è tutta nella tribuna degli ambasciatori; quelle pubbliche riboccano di spettatori — è una grande giornata. Ebbene, essere l’eroe della giornata, essere il solo uomo che possa risolvere la tensione politica; esordire con l’impeto della parola netta, precisa, fulgida, trascinare gli spiriti nel torrente dell’eloquenza, conquidere la ragione col rigore dell’argomento, scorgere con lo sguardo d’aquila il futuro e profetarlo, vedere scossi e meravigliati i nemici, profondamente turbata la coscienza della Camera: poi l’ansietà dell’attesa ed infine, in fine, la proclamazione del voto, vale a dire la vittoria che sarà annunziata dappertutto, unita ad un solo nome, il proprio!
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L’opera d’arte è stata creata nel silenzio della mente, si è maturata sotto il sole caldo della fantasia che le ha donato i più ricchi colori; dopo esser cresciuta e fatta vigorosa, le sono parse anguste le pareti di un cranio, ha domandato la veste per uscire nel mondo, ha voluto la bella forma ed è venuta fuori splendida come una creatura vivente. Ora il mondo deve giudicarla, darle il soffio che la manterrà viva per anni ed anni; per tutte le cantonate, in ogni giornale è annunziata la sera del suo battesimo, al tale teatro. Nei circoli letterari non si parla di altro, gli amici commettono delle graziose indiscrezioni e fanno previsioni poco graziose, i critici si armano della loro schiacciante freddezza, gli autori vecchi sorridono di compassione, i novellini d’incredulità. E l’ansietà dell’artista cresce ogni ora, ogni momento; egli è turbato, inquieto, esitante; a volte spera senza ragione, a volte si dispera senza causa: il suo lavoro gli appare prima buono, poi mediocre, poi diventa una enorme sciocchezza ed infine prende l’aspetto del suo più grande nemico. Ma retrocedere è impossibile; le prime parole cadono nel silenzio pieno di malevolenza e di benevolenza della platea: il pubblico sta in guardia, non vuol lasciarsi prendere la mano da un entusiasmo prematuro, non vuol cedere ad un sentimento di diffidenza; ma è invano, invano, l’arte vince, la natura umana dimentica i suoi propositi, si lascia trasportare, un lungo applauso risuona. Che n’è del cuore dell’autore in quell’istante? Il freno è rotto, il ghiaccio si è liquefatto, uno spirito di gioventù è passato sulla fredda platea e l’ha sollevata in un sol sentimento; fremiti di approvazione, esclamazioni e poi da capo applausi, applausi senza fine; ma sono amici, sono partigiani, sono nemici che acclamano l’autore? Chi sa! Sono mani che si alzano per plaudire, sono volti convulsionati, sono anime che scoppiano, è il pubblico, la folla, il mondo! L’autore, ancora più pallido, si avanza e ringrazia.
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L’aula vasta, fredda, grigia, nuda di arredi; sulla parete scialba il simbolo della giustizia e della misericordia, il Cristo; di fronte il ritratto del re; tavoli e sedie, roba vecchia, triste, dalle linee dure ed angolose. I giudici, cuori morti, anime fatte pietra, impassibili, indifferenti; la figura pallida e severa del pubblico accusatore, destinato alla eterna parte del carnefice morale; i giurati, gente per lo più ignorante, spesso insensibile, talvolta crudele: di sopra a tutti costoro la idea alta, pura, sublime della legge — e contro la legge, fuori di essa, contro lo Stato, contro la società, contro la famiglia, un uomo solo: l’imputato.
No, non solo. Vi è qualcuno per lui, qualcuno che gli è amico, fratello, padre, che per mesi intieri si è occupato di lui, che ne ha studiata, sviscerata la vita, che gli ha sacrificato le ore del diletto e del riposo. Domani quando l’imputato sarà chiuso nel suo cancello di ferro come una belva feroce, quando contro lui saranno esaurite tutte le risorse dell’accusa, quando il pubblico ministero ne avrà chiesta la testa o la galera sorgerà una voce che risponderà per lui. Il difensore si rivolgerà alla mente dei giurati, narrerà loro le più minute circostanze, porrà in luce particolari obbliati, sarà sobrio, evidente, efficace: ed in ultimo si rivolgerà al loro cuore, adopererà la sua eloquenza a colpirli, a farli esitare nelle loro convinzioni, a commuoverli, a farli piangere. Domani forse un innocente sarà ridonato alla sua famiglia o ad un colpevole mitigata la pena: il sacro ministero della difesa ha tanto operato. Ma dite, dite, non deve essere fiero, soddisfatto, orgoglioso quest’uomo che compie una missione ed illustra il suo nome? Che desiderare di meglio quando salgono voci di riconoscenza al suo cuore, applausi alla sua intelligenza?
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Fluttuano innanzi alla immaginazione fantasmi opalini, profili aerei, indefiniti, figurine appena abbozzate: passano nel cielo caldamente azzurro della fantasia le bianche colombe; nella mente del poeta si uniscono, riddano, si fondono, colori, suoni, profumi, sorrisi, apparizioni, baci, sospiri, gridi di passione, — e sopra tutto domina sempre una musica lontana, ora dolce e grave come suono d’organo, ora saltellante e bizzarra come tamburello di zingara. Così si ripercuote, echeggia nel verso che sgorga spontaneo e si innalza, come limpida polla d’acqua: così tutto quello che è amore fremente, gentilezza di sentimento, soavità di dolore, scettica malinconia, si trasfonde nello slancio lirico del poeta. Nella sua anima è così grande il focolare di amore, il suo dolore ha tanto carattere di universalità che la sua voce non gli appartiene più, è la voce del suo tempo; quando egli dice io, vuol dire noi, quando parla di sè stesso, parla di tutti. Egli è amato, ammirato, odiato, ma non discusso; nessuno osa toccare la sua corona di alloro; qualcuno può imitarlo, ma superarlo nessuno, perchè egli è la più completa manifestazione di un periodo umano, perchè la sua anima eccelsa è l’anima di migliaia di poeti taciturni; lo volesse potentemente egli stesso, non potrebbe diminuire di una linea il suo piedestallo.
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Questi erano i suoi sogni, i sogni che non gli davano riposo, che accendevano in una fiamma tormentosa ed implacabile il suo spirito: erano i sogni che conturbano ogni anima sensibile che si affaccia alla vita. Chi non ha delirato come lui? Chi non ha spasimato come uomo in croce, nell’inappagato desiderio di gloria?
Ora tutto è mutato. Nulla del passato è rimasto in lui: sono crollati gli edifizii maestosi della sua superbia; una parte della sua vita è morta: ora ha una donna gentile daccanto, ha un bimbo ricciuto sulla cui testolina si appoggia la sua mano di padre felice. Ma è ignoto come si svelse dal core la sua passione, la sua tragedia non si conosce; il ferro infuocato con cui cicatrizzò la sua ferita, il coltello tagliente con cui gettò via una parte di sè stesso, non si sono ritrovati. Certo fu un coraggio spaventoso che molti non hanno; perchè molti trascinano sempre e dappertutto i loro sogni ambiziosi; perchè molti preferiscono tentare e cadere, anzichè cedere; perchè molti muoiono di questo male. E quale è la vera via? Chi il felice? Colui che combatte nel vastissimo campo del mondo, davanti agli occhi della folla, ora sotto l’amarezza dei fischi, ora nelle grandi ed aride consolazioni dell’applauso — o colui che si ristringe, ignorato, ignorante, nella famiglia? Io non lo so; e nessuno, nessuno può dirmelo.