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Sofi Oksanen

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Sofia Oksanen (2010)

Sofi-Elina Oksanen (1977 – vivente), scrittrice e drammaturga finlandese.

Citazioni di Sofi Oksanen

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Intervista di stradanove.it, n.d..

  • La differenza fra una malattia comune e i disordini alimentari è che chi soffre di questi ultimi ama essere in queste condizioni. Gli piace, non vuole liberarsene. Non è come l’influenza, per cui si prendono delle medicine. La maggior parte di chi soffre di disturbi alimentari vuole continuare a soffrirne. In genere ci si sottopone a terapie quando la cosa si trascina da anni e allora la terapia è più difficile perché il disordine alimentare ormai fa parte dell’identità, ci si è abituati, ci si sente sicuri: hai creato te stesso con questo disordine. Diventa molto difficile da curare: è qualcosa di biologico e non solo psicologico. E sì, non si guarisce mai del tutto, al massimo si tiene sotto controllo. Come succede per gli alcolizzati.
  • Essere un immigrato è vivere in un luogo immaginario. Il paese dove hai le radici non esiste più dopo che lo hai lasciato. Il paese di cui hai nostalgia non c’è più. È il caso degli estoni che fuggirono in massa nel 1944: i figli e anche i nipoti sognavano un’ Estonia indipendente che non esisteva più. E così, quando vi tornano, non riconoscono più il loro paese. Per noi che vivevamo in Finlandia e ci tornavamo spesso, il cambiamento non è stato una gran sorpresa. Ma quelli che erano emigrati in Australia o negli Stati Uniti erano traumatizzati quando tornavano.
  • Il mio interesse per l'Estonia è perché penso che la storia dell'Estonia debba essere riscritta nella forma letteraria. È la storia che non si trova nella letteratura finlandese dove non ci sono immigrati e, se ci sono, sono degli stereotipi. Io scrivo in finlandese e considero i miei libri come letteratura finnica, ma la storia dell'Estonia è storia d'Europa. Non si fa alcuno sforzo per capire i problemi dell'ex blocco sovietico, ci si è dimenticati tutto. Ci si ricorda dell'Africa, dei problemi del post-colonialismo e non ci si accorge che i paesi dell'Est Europa hanno gli stessi problemi, soffrono di post-colonialismo. Non so se potranno mai essere cambiati in paesi occidentali come i paesi occidentali poco equamente si aspettano.[1]

Intervista di Alessandra Iadicicco, Lastampa.it, 6 aprile 2012.

  • [«Chi sono le vacche di Stalin?»] L'espressione si riferisce all'epoca della propaganda stalinista in Estonia, paese rurale dove la gente viveva di agricoltura e dove - si sottolineava con orgoglio - le vacche erano le più grandi, floride, generose di latte di tutta l'Urss. In Siberia però, dove venivano deportati i dissidenti, bovini non ce n'erano: solo capre. Queste appunto furono ribattezzate "le vacche di Stalin".
  • Ricerche recenti hanno dimostrato che le persone cui sfugge il controllo della propria vita - come le vittime dei regimi totalitari - giocano come ultima carta il controllo alimentare del proprio corpo. Lo dimostrano studi compiuti sulla seconda generazione dei sopravvissuti all’Olocausto e ai gulag.

Intervista di Daniele Castellani Perelli, Repubblica.it, 9 aprile 2023.

  • Il denaro sporco di sangue dei russi faceva comodo. Eppure non c’erano segreti, la Russia ammazzava i giornalisti e stava diventando uno Stato autoritario o totalitario.
  • Putin è stato abile a camuffarsi da democratico, ad esempio non ha indossato uniformi e ha usato i vecchi strumenti di disinformazione e maskirovka (mascheramento) del Cremlino.
  • [Putin avrebbe avuto mire imperialistiche anche sulla Finlandia?] Sicuramente, ma non in termini militari. Il suo regime ha già detto chiaramente che la Finlandia è parte della Russia. Ma a questo punto lo saremmo di più della Svezia, che ci ha governato più a lungo. Occupare territori è costoso, è più facile colonizzare in altro modo, ad esempio finlandizzando. È quello che avrebbe riprovato a fare nell’Est Europa se l’invasione dell’Ucraina avesse avuto successo.
  • Solo un Paese ci ha invasi nell’ultimo secolo, ed è stata l’Urss. Mio nonno combatté la Guerra d’inverno e ne so qualcosa. Poi la nostra fiaba nazionale parla di bambini rapiti e portati in Russia, mentre il nostro primo romanzo storico è ambientato negli anni della russificazione. Noi non dimentichiamo.

Intervista di Anna Lombardi, Repubblica.it, 30 aprile 2024.

  • [Sulla condizione della donna in Russia] [...] in Russia la vita delle donne vale poco e la violenza di genere è molto diffusa. Serve a mantenere controllo e influenza, a tenere in piedi un potere centralizzato e maschile. Non a caso Putin bolla femminismo, diritti lgbtq+ e quelli di altre minoranze come "decadenti" e attacca l'Occidente descrivendolo come minaccia ai "valori tradizionali" russi.
  • Il genocidio è un processo che mira a distruggere sistematicamente le fondamenta di uno specifico gruppo. Non presuppone necessariamente la morte ma l'idea di estinzione. Ebbene, una donna stuprata ha poi difficoltà a tessere relazioni. Il modo in cui percepisce la propria femminilità è profondamente scossa. Non accade solo alle donne: in Ucraina anche uomini subiscono violenze sessuali. Solo che le chiamano "torture" perché per loro parlare di stupro è una forma di tabù. Ma gli effetti sociali sono gli stessi.
  • Se c'è un alto rischio di condanna, i crimini atroci diminuiscono. Per questo servono nuove e migliori leggi internazionali: i russi compiono cose orrende in Ucraina sapendo che nessuno li perseguirà né in patria né fuori.
  • La retorica guerresca russa ha radici remote. Ai cittadini viene detto che i militari sono difensori, eroi sempre intenti a liberare qualcosa: è scritto pure nella Costituzione. D'altronde in Russia non c'è mai stato nulla di simile a ciò che avvenne in Germania dopo la caduta del nazismo: nessun processo pubblico ai criminali di guerra, nessuna assunzione di responsabilità collettiva. Anche per questo la retorica disumanizzante verso gli ucraini va avanti da vent'anni: non sono considerati pari ai russi e dunque qualunque atrocità si compia nei loro confronti, si resta sempre buoni cittadini. Anche le donne agiscono secondo questo modello. Dicono quel che ci si aspetta da loro, convinte di essere brave patriote. Vessate da soprusi e violenze quotidiane, sono vittime di una società patriarcale che usa ciò che chiama valori tradizionali per contenere il malcontento.
  • Parliamo di un popolo che raramente ha accesso al dissenso, ha una visione e comprensione del mondo differente e dà perfino significati diversi alle parole. "Fascista" ad esempio: indica un potenziale aggressore della Russia. E pure la parola "guerra" contempla il concetto implicito di difesa. Per noi certi proclami di politici russi sono folli: ma i loro cittadini li comprendono bene.

Contro le donne

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Nella primavera del 2023 ho tenuto un discorso all'Accademia di Svezia sulla guerra di Putin contro le donne e, incoraggiata dall'accoglienza favorevole, ho deciso di ampliare il discorso in un saggio su come la Russia abbia fatto della misoginia uno strumento chiave del suo sistema di potere. In Ucraina, la violenza sessuale è parte integrante del genocidio. In politica interna, la misoginia è uno strumento utilizzato dal Cremlino per impedire l'ascesa al potere delle donne. In politica internazionale, è uno strumento dell'imperialismo russo. Tutti elementi che garantiscono la riuscita della missione più importante di Putin: il consolidamento del potere centrale.

Citazioni

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  • Poiché la Russia non ha più un'ideologia come il comunismo da esportare, lo Stato, sfruttando l'alibi dei valori tradizionali, utilizza la misoginia per trovare alleanze, ma anche per costruire comunità solidali in un Occidente dove l'uguaglianza è un valore fondamentale. Il modo in cui la Russia ha strumentalizzato l'odio verso le donne costituisce una minaccia globale ai diritti delle donne e delle minoranze. (p. 5)
  • L'Occidente ha incoraggiato poco la Russia a sottoporsi a un percorso simile a quello della Germania dopo la Seconda guerra mondiale. Forse non lo ha ritenuto necessario perché i crimini dell'èra sovietica non erano considerati abbastanza rilevanti, almeno non quanto le strette di mano di Putin e il riciclaggio del denaro sporco sottratto al popolo dagli oligarchi. Dal momento che si è voluto sorvolare su queste vecchie colpe, l'invasione illegale dell'Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022 ha colto l'Occidente di sorpresa. (p. 9)
  • Quando l'espressione «Mai più» fu usata in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale, suonò falsa alle orecchie di tutti coloro che avevano sperimentato le politiche repressive russe. Le violazioni dei diritti umani e l'occupazione da parte dell'Unione Sovietica continuarono anche dopo la caduta della Germania di Hitler. «Mai più» suonava come se la nostra esperienza fosse irrilevante. Non era scritta sulla mappa della coscienza collettiva occidentale. (p. 10)
  • L'Unione Sovietica cercava di distruggere la memoria dei territori che aveva invaso, anche dal punto di vista visivo, e ora la Russia sta facendo lo stesso nei territori occupati in Ucraina. Oltre alla sostituzione del personale docente e alla russificazione dell'istruzione, la coscienza del patrimonio culturale ucraino viene smantellata col saccheggio degli archivi pubblici della memoria, come i musei, e di quelli privati, cioè le case della gente comune. I servizi televisivi hanno mostrato al mondo come le truppe russe abbiano raso al suolo intere città. Le città sono fatte di case, le case sono piene di ricordi e cimeli. Al loro confronto, le singole fotografie sono piccola cosa, ma nessun ricordo è troppo insignificante per gli invasori, perché a volte una sola immagine, un solo racconto può mantenere viva la storia di un'intera famiglia. Ecco perché la Russia non sta cercando di saccheggiare le sole collezioni d'arte. Anche una sola foto può essere pericolosa perché contiene ricordi di esperienze che si vogliono cancellare. Conserva la memoria delle vittime dei crimini russi e dell'Ucraina come nazione indipendente. (pp. 13-14)
  • Nel dibattito pubblico sulla violenza sessuale riecheggiano ancora vecchi concetti secondo cui sarebbe in qualche modo connaturata alle pulsioni sessuali maschili e, in quanto tale, incontrollabile. Non è così: gli atti si verificano quando chi li commette arriva a credere di non esserne penalmente responsabile. (p. 16)
  • Osservatori e investigatori indipendenti hanno riferito di avere raccolto prove di atti mai riscontrati neppure nel corso delle guerre in Bosnia o in Ruanda, pur con tutte le loro atrocità. Molti stupri sono stati commessi in pubblico: i soldati russi hanno compiuto i loro crimini per strada o hanno costretto altri membri della comunità ad assistere alle violenze. I genitori sono stati obbligati a guardare lo stupro dei propri figli, i bambini a vedere i propri genitori violati. Alcune vittime sono state brutalizzate fino alla morte. (p. 17)
  • La violenza sessuale traumatizza e spezza famiglie e intere comunità per generazioni, cambiando la struttura demografica di un territorio. Ecco perché è un mezzo di conquista così diffuso, perché la Russia usa ancora quest'arma così arcaica. Nel caso dell'Ucraina, la domanda è se la Russia stia usando lo stupro come strumento di genocidio. (p. 18)
  • Nel caso della Russia, l'intento genocida traspare chiaramente dai discorsi della leadership statale e dei media: che l'Ucraina non sia uno Stato e che gli ucraini non esistano sono affermazioni ripetute sistematicamente. Le formule retoriche del genocidio vengono ribadite anche nei discorsi dei soldati autori delle violenze sessuali, i quali, ad esempio, hanno dichiarato che continueranno a stuprare finché le vittime non vorranno più avere rapporti sessuali con gli uomini ucraini. (p. 19)
  • La Russia ha fatto della violenza sessuale un'arma, rendendola un deterrente generazionale e transnazionale. Durante la Guerra fredda, «equilibrio del terrore» era diventata un'espressione abituale. Ma la violenza sessuale non può trovare un suo equilibrio in una minaccia equivalente, ed è per questo che la Russia ne fa uso. È un ricatto e l'Occidente non può rispondere con la stessa moneta. Ciò non significa, tuttavia, che dovremmo far passare la violenza sessuale sotto silenzio o nell'indifferenza, perché un tale atteggiamento serve gli interessi russi – e allo stesso tempo quelli dei dittatori o dei capi militari di altri Paesi, che osservano attenti le reazioni internazionali ai comportamenti della Russia. [...] la Federazione Russa cerca di mettere a tacere le vittime del suo terrore, utilizzando un'ampia gamma di metodi, tra cui la colpevolizzazione. Si tratta di uno strumento efficace perché in linea con la stigmatizzazione, la vergogna e il biasimo universali associati agli abusi sessuali. (p. 22)
  • In generale, il problema è la mancanza di volontà politica e il fatto che la violenza sessuale non è considerata un atto criminale come gli altri. C'è sempre un crimine più importante, per il quale la condanna è più certa. Poiché i processi sono costosi, solo alcuni reati vengono perseguiti. È una questione di scelte, quindi, e la mancanza di volontà politica porta a decisioni che permettono agli autori di violenza sessuale di farla franca più facilmente. E l'impunità permette che continuino a utilizzare simili armi in futuro. (p. 30)
  • Nel caso dei reati sessuali, la mancanza di prove ha rappresentato in passato un problema rilevante al fine di assicurare i colpevoli alla giustizia. Per quel che riguarda l'Ucraina, la registrazione delle prove e la loro esibizione sui media è avvenuta immediatamente. Una cosa inedita nella storia dei crimini di guerra. Per questo motivo le indagini sui reati possono essere avviate a combattimenti ancora in corso. L'avvocato per i diritti umani Oleksandra Matvijčuk ha sottolineato come l'eredità della Seconda guerra moniale e la memoria visiva lasciataci da Norimberga hanno portato alla convinzione che i processi per crimini di guerra possano essere allestiti solo alla fine del conflitto. Una percezione che dovrebbe essere modificata: il tempo dei processi per crimini di guerra è adesso. (p. 32)
  • Non ci sono statue per le vittime di crimini sessuali, né francobolli, né strade intitolate in loro onore, né giornate commemorative. Non ci sono bandiere esposte in loro memoria. Non sono celebrate come gli eroi di guerra o i personaggi di rilievo nazionale, e l'onore, se c'è, è la giustizia. (p. 35)
  • La violenza sessuale è una delle armi più antiche del mondo perché è economica, efficace, ha un impatto transgenerazionale e non richiede logistica, manutenzione tecnica o aggiornamento. Tuttavia, la cultura dell'impunità che favorisce lo stupro non appartiene a tutti gli eserciti, sebbene si siano sentiti commenti di questo genere da quando sono venuti alla luce i crimini di guera commessi dalla Russia in Ucraina. Lo storico Antony Beevor ha definito le violenze sessuali commessi dai soldati dell'Armata Rossa in Germania il più grande stupro di massa della nostra storia. In seguito, la Federazione Russa ha utilizzato la stessa arma in Cecenia, in Siria, nei territori che controlla in Ucraina dal 2014 e in numerosi Paesi africani attraverso il gruppo Wagner, sotto la direzione dell'intelligence militare russa. Nel 2022, nella Repubblica Centrafricana, i soldati del gruppo Wagner hanno attaccato una clinica neonatale e violentato le neomamme. Quando un'infermiera ha cercato di fermare i soldati, è stata stuprata anche lei. (p. 45)
  • La tradizione dell'impunità nell'esercito russo è un'eredità della Grande guerra patriottica, e per questo la mitologia legata a quest'ultima va sviscerata. Il modo in cui la guerra viene raccontata e denominata è parte di un mito e la prospettiva sugli eventi degli anni Quaranta del secolo scorso è molto diversa da quella occidentale. In occidente, il nome condiviso di Seconda guerra mondiale sottolinea che quel grande conflitto è stato tale per tutti noi: tutti abbiamo sofferto. La maniera russa di definire la guerra come «grande» enfatizza il fatto che fu la Russia il punto focale di quel conflitto. Le perdite sovietiche sono quindi collocate al centro della scena, rendendo qualsiasi deviazione dalla propaganda storica ufficiale un atto antipatriottico, come lo è anche riflettere sulle sofferenze e sulle perdite degli altri. L'empatia per le altre vittime della guerra è un'emozione falsa, un tradimento. (pp. 45-46)
  • Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, se la Federazione Russa avesse voluto staccarsi dal linguaggio proprio di un Stato totalitario avrebbe potuto cominciare a chiamare quanto successo negli anni Quaranta Seconda guerra mondiale. Questo però non è accaduto. E l'insegnamento della Storia nelle scuole non ha subito alcuna riforma significativa, anche se il multilinguismo è aumentato negli anni Novanta del XX secolo. Nei primi anni Duemila, molti insegnanti della vecchia generazione presentavano ancora la storia sovietica secondo l'antica dottrina. I crimini sovietici in materia di diritti umani non hanno parte in questa storia. Il terrore dell'Armata Rossa non fa parte di questa storia. Il modo in cui i Paesi occupati dai sovietici hanno vissuto la presenza dell'esercito invasore, per non parlare dello stupro di massa da parte dell'Armata Rossa in Germania, non sono parte di questa narrazione. La storia viene ancora raccontata basandosi sui miti dell'eroismo e della vittoria. I monumenti e i musei di guerra sono ancora chiamati monumenti alla vittoria o musei della vittoria. Quando negli anni Novanta gli attivisti della memoria cominciarano a definire «terrore di Stato» i crimini sovietici contro i diritti umani, la loro iniziativa non fu presa in nessuna considerazione. Le autorità e lo Stato preferirono definire le esecuzioni di massa «repressione», tenendo così in ombra la responsabilità di chi dava gli ordini. (pp. 47-48)
  • Mentre in epoca sovietica tutti i cittadini erano parte della narrazione della vittoria, ora la storia enfatizza la vittoria dei russi sul fascismo, quasi che questi avessero sconfitto Hitler senza il contributo delle altre Repubbliche sovietiche. Putin ha portato questo racconto a un nuovo livello, arrivando a vedere la vittoria come il risultato di un fattore biologico. Secondo Putin, la vittoria fa parte del codice genetico dei russi. (p. 52)
  • Esistono ovviamente leggi sulla memoria anche altrove e negare l'Olocausto, per esempio, può essere un reato penale [...]. tali leggi hanno lo scopo di proteggere la memoria storica dei gruppi oppressi e di impedire la cancellazione dei crimini di un governo. La versione russa è unica in quanto protegge le azioni del regime che ha sfruttato i gruppi sottomessi durante la Seconda guerra mondiale e nega l'esperienza delle vittime. Tale costituzione è il frutto del lavoro degli eredi degli autori dei crimini contro i diritti umani della Seconda guerra mondiale. Putin è un uomo del Kgb e si è circondato di uomini del Kgb. Il servizio di sicurezza responsabile dell'arcipelago-gulag, delle deportazioni e del consolidamento delle varie occupazioni sovietiche. (p. 60)
  • La Federazione Russa non è uno Stato di diritto. L'applicazione della legge nel Paese è selettiva ed è un mezzo per mettere a tacere l'opposizione e le opinioni della dissidenza. Tuttavia, la sua legislazione rappresenta la bussola morale di uno Stato, è una guida valoriale. La legge è stata uno strumento di persecuzione in Unione Sovietica e lo è ancora. (pp. 60-61)
  • In Germania, molte professioni sono vietate agli ex agenti della famigerata Stasi. Per esempio, non possono fare gli insegnanti di Storia. In Russia, invece, un passato nel Kgb non è un problema, semmai un vantaggio. I dipendenti del Kgb hanno usato la loro posizione di privilegio per guadagnare ruoli di comando nella nuova federazione. Sono stati ricompensati per i loro trascorsi. Quindi, quanto più si è collaborato con il potere in passato, tanto più facile è stato organizzarsi il futuro. (p. 61)
  • Quando i soldati russi arrivarono a Buča, nella primavera del 2022, all'inizio erano di buon umore, secondo alcuni testimoni. Tuttavia, quella che doveva essere un'operazione di due giorni fu dilazionata. Non si vedevano ragazze locali che porgevano fiori agli invasori, né nazisti da scovare. I soldati erano furibondi. Non potevano lamentarsi con i superiori, né con la leadership del Paese, non potevano cambiare il sistema che li aveva spediti in una missione che si sarebbe rilevata del tutto insensata. La gente del posto ha ipotizzato che sia stato questo il motivo per cui rabbia e risentimento si sono poi sfogati sulla popolazione civile. (p. 62)
  • Alcune testimonianze di sopravvissuti riferiscono che chi li interrogava non sembrava avere alcuna idea del modo di vivere del posto. Quando un abitante di Cherson che operava come volontario fu arrestato, gli furono poste domande sui membri di associazioni cospirative e sui legami con la Cia. L'idea che un cittadino si prenda la responsabilità di distribuire medicine e alimenti alle persone senza un secondo fine sembrava un concetto incomprensibile per chi conduceva gli interrogatori. L'idea di un sindaco liberamente eletto sembrava essere altrettanto ambigua. I militari dissero agli ucraini di madrelingua russa che da quel momento erano liberi da ogni discriminazione linguistica. Quando questi li rassicurarono che la loro lingua madre non gli aveva causato alcun problema in Ucraina, restarono senza parole. Uno Stato democratico e russofono è quindi un'idea che il regime di Putin ha cercato di rendere impossibile, e sembra che almeno una parte della popolazione abbia fatto propria tale convinzione. L'esperienza dei prigionieri è stata simile in tutti i territori occupati. (p. 64)
  • In Russia, l'aiuto umanitario è un nome in codice per armi, deportazioni, corruzione o estorsione. Quindi, secondo la logica del Cremlino, ogni missione di sostegno alla popolazione dell'Occidente deve essere un'operazione spionistica, e il clero stesso fa parte della medesima cricca. Un sacerdote torturato a Cherson non è riuscito a convincere i suoi aguzzini che non era in combutta con i servizi di sicurezza ucraini. In Unione Sovietica, la Chiesa era strettamente controllata dal Kgb e la collaborazione era un fatto normale. In Russia, la Chiesa ortodossa è legata al Cremlino e il Patriarca Kirill ha un passato nel Kgb. Forse l'idea di un sacerdote che non sia un agente dei servizi di sicurezza appariva completamente assurda a chi conduceva quegli interrogatori. (pp. 65-66)
  • Nella primavera del 2022, la propaganda del Cremlino si fece ispirare dal tema dell'«ucronazismo», visto come una versione ancor più pericolosa del nazismo hitleriano: in Ucraina il nazismo sarebbe mascherato da movimento per l'indipendenza, e ciò che gli ucraini vedono come sviluppo sarebbe in realtà sintomo di declino. In Occidente si tornò a ridacchiare. Ma la divisione del fascismo in sottocategorie etniche è communque antica e in Unione Sovietica esisteva una categoria di fascismo a parte per gli estoni già più di un secolo fa: di lotta contro gli «estofascisti» si parlava già nei libri di testo sovietici pubblicati nel 1922. [...] In Urss, coloro che combattevano per l'indipendenza dell'Estonia venivano definiti fascisti, quindi nel linguaggio sovietico l'indipendenza estone era sinonimo di fascismo. L'espressione permeò il settore educativo per tutta l'era sovietica e fu ampiamente utilizzata per demonizzare la resistenza. Era un alibi per l'occupazione e un modo per tenere sotto controllo l'opposizione. (pp. 73-74)
  • Finora la propaganda russa non ha perseguito obiettivi ideologici, come in Unione Sovietica, e l'ideologia non è stata presentata, alla vecchia maniera, come un'immagine utopistica, ma cerca comunque di influenzare la realtà, di stigmatizzare persone, Paese e nemici. Ciò che l'accomuna alla propaganda sovietica, tuttavia, è il rovesciamento del significato delle parole. Per l'Unione Sovietica l'occupazione era amicizia e liberazione, la resistenza era follia, malattia o crimine. Allo scoppio della guerra in Ucraina orientale, la Russia ha definito genocidio la situazione nel Donbas, anche se in realtà niente del genere era accaduto. Il nazionalismo russo è chiamato patriottismo, ma si tratta di nazionalismo. La guerra in Ucraina viene definita operazione speciale quando invece è una guerra. La scelta dei termini indica come Mosca abbia preso atto del fatto che potrebbero esserci dei limiti all'entusiasmo bellico in Russia. (p. 88)
  • [...] comincio a sospettare che la resistenza locale sorprenda la Russia in continuazione perché il significato del sentimento nazionale presente negli Stati indipendenti è per molti, in quel Paese, un mistero. È difficile capire perché si dovrebbe difendere con il proprio sangue qualcosa che non apprezzi: l'appartenenza a un Paese più piccolo della Russia. (p. 93)
  • La Russia di Putin ha utilizzato l'amore per la patria come un'arma ed è molto abile nel manipolare le emozioni usando parole che evocano sensazioni diverse in territori diversi. In Occidente, per via dell'eredità della Seconda guerra mondiale, qualsiasi riferimento al nazionalismo fa rizzare i capelli in testa. Ecco perché definire i baltici e gli ucraini nazionalisti fa così comodo alla Russia. In Russia la parola ha la stessa connotazione negativa di «estrema destra» o «neonazista» nei Paesi nordici. Eppure ciò che modella un Paese è proprio il sentimento nazionale, senza il quale la Finlandia, gli Stati baltici o l'Ucraina non esisterebbero. Senza, i Paesi baltici non si sarebbero risollevati. Il sentimento nazionale è quindi la nostra linfa vitale. Non è il tipo di nazionalismo che ruba spazio vitale agli altri, come in Russia. (p. 96)
  • [...] la Russia non è uno Stato nato dal risveglio del sentimento nazionale. I russi sono un popolo con uno Stato, ma il loro non è uno Stato nato attorno al sentimento nazionale, nemmeno a una lingua, come i Paesi baltici e la Finlandia. Pertanto, anche durante l'era sovietica, i russi avevano un'identità meno forte rispetto agli abitanti delle altre repubbliche. Poiché la russità non può essere giustificata in base a caratteristiche facilmente definibili, come la lingua o una collocazione geografica chiaramente definita, certi argomenti pseudoscientifici inventati dagli ultranazionalisti russi hanno trovato una risonanza già in epoca sovietica, e gli si è dato spazio poiché non rappresentavano una minaccia per l'unità territoriale dell'Unione, a differenza dell'attaccamento alla loro nazione dei baltici o degli ucraini. Le idee degli ultranazionalisti sull'eccezionalità e sulla supremazia della russità si sono infiltrate nell'amministrazione della Federazione Russa e nell'addestramento dell'esercito e dei servizi di sicurezza, che in precedenza erano basati sull'ideologia comunista. E il vuoto ideologico creatosi dopo il crollo dell'Unione Sovietica è stato riempito dall'idea dell'eccezionalità e della superiorità della Russia di origine ultranazionalista. (p. 97)
  • Dopo la dissoluzione dell'Urss, la più grande colonia russa, la Siberia, è rimasta parte della Federazione. Non ci sono state rivolte, non ci sono state rivoluzioni in Siberia perché gli spazi vitali e le energie dei popoli della regione sono stati ridotti al minimo da secoli di colonialismo. La Russia di Putin ha continuato a sfruttare quei territori e le loro risorse naturali, e il prezzo del petrolio ha garantito il potere e la popolarità di Putin. Petrolio e risorse naturali che provengono da aree abitate da popolazioni indigene. Se la Russia non avesse avuto la Siberia tra i suoi domini, prima della guerra in Ucraina il valore delle sue esportazioni sarebbe stato inferiore a quello dell'Ungheria. (p. 100)
  • Il colonialismo russo non è presente nella cultura popolare occidentale, né nei fumetti, né nei film, né nei servizi streaming, né nei giochi per bambini, né nei nomi delle tavolette di cioccolato, che in Occidente sono stati corretti nel XXI secolo in quanto inappropriati. Su Netflix non ci sono film sui russi che sparano ai nenezi per spogliarli dei giacimenti di petrolio, e nei nostri negozi di articoli da carnevale non si vendono abiti tradizionali nenezi. I film occidentali hanno ispirato i bambini a giocare ai cowboy e a indossare copricapi indiani nei loro giochi fino a quando l'appropriazione culturale non è stata riconosciuta come un problema. Eppure il discorso postcoloniale sull'argomento ha ignorato le popolazioni indigene della Siberia perché l'asservimento di questi popoli non è parte della cultura di massa. Le minoranze etniche che vivono in Russia sono, in Occidente, completamente invisibili.
    Alle altre potenze coloniali ci sono voluti secoli e diverse generazioni per arrivare ad assumersi la responsabilità dei torti commessi. Nessuna lo ha fatto volontariamente. La Russia semplicemente non lo fa. (pp. 100-101)
  • Una Russia senza impero è inconcepibile, perché la Russia non è mai esistita senza impero, e non è mai stato possibile immaginarne una diversa, nemmeno in Occidente. Il problema non è semplicemente che in Russia gran parte della popolazione non riesce a visualizzare il proprio Paese senza colonie. Il fatto è che non è in grado di farlo neppure l'Occidente, e anzi, l'idea di una disgregazione della Federazione Russa lo spaventa. L'ignoto rende sempre inquieti, in questo non c'è nulla di strano. Nemmeno tutte le donne erano un tempo favorevoli al suffraggio femminile. Tuttavia, la riluttanza dell'Occidente a riconoscere l'imperialismo russo e l'ultranazionalismo ad esso associato ha permesso che la Russia preparasse per anni la guerra e il genocidio senza che le democrazie occidentali se ne accorgessero. (pp. 101-102)
  • [...] le telefonate intercettate dagli ucraini rivelano con certezza che mogli, fidanzate e madri dei soldati russi non solo sono consapevoli, ma addirittura incoraggiano i crimini di guerra commessi dai loro congiunti. [...] Sono cresciuti con l'immagine del nemico che l'uomo forte del Cremlino ha progressivamente rafforzato e sono esempi da manuale dell'homo putinicus creato dal regime. [...] Riducendo gli ucraini a esseri non umani, questi russi innalzano sé stessi allo status di nuoni patrioti. Senza il sostegno del fronte interno, i crimini di guerra non sarebbero possibili: i soldati devono essere certi di essere ben accolti una volta tornati in patria, preferibilmente come eroi. (pp. 104-105)
  • Quando, negli anni Novanta, sono giunti dall'Occidente dei finanziamenti per lo studio della condizione femminile, il femminismo e i diritti delle donne sono stati associati a quei valori occidentali che minavano la Russia e si è iniziato a presentarli come una minaccia alla sua mitologica grandezza. La crescita demografica del Paese era già catastroficamente bassa all'epoca, per cui bisognava convincere le donne a rimanere a casa a fare figli. Per contrastare i diritti delle esponenti del sesso femminile vennero messi in campo i cosiddetti valori tradizionali, di cui si faceva portavoce la Chiesa ortodossa. (pp. 111-112)
  • Da bambina ho appreso due proverbi russi: «Se un uomo non ti picchia, non ti ama» e «Le donne partoriscono comunque». [...] In tutte le lingue esistono espressioni dispregiative nei confronti delle donne, ma tendono a scomparire dal gergo popolare e scivolare nelle nebbie della storia quando cominciano a suonare obsolete. [...] La prima volta che mi sono imbattuta in una formula che associava amore e botte, ho pensato che, per fortuna, da noi l'amore è diverso: risultava evidente la differena tra la cultura estone e quella russa, quantomeno in una versione idealizzata delle stesse. Ma cosa avrei pensato se fossi stata una bambina russa? [...] I detti popolari creano la realtà e rafforzano gli stereotipi. Gli atteggiamenti russi verso le donne e la vita umana sono stati descritti negli stessi adagi per generazioni e non mi sembra siano stati superati. (pp. 119-121)
  • In Russia la vita delle donne vale poco e la violenza di genere è diffusa. Poiché la violenza produce altra violenza, questa condizione in Russia e gli eventi in Ucraina sono interconnessi, e le ricerche sui crimini di guerra del passato dimostrano che quanti commettono stupri nelle zone di guerra provengono molto probabilmente da aree in cui gli abusi sono accettati e la misoginia è prassi comune. Lo stesso vale per le minoranze sessuali: quanto più deboli sono i loro diritti, tanto più lo sono quelli delle donne; e più deboli sono i diritti di queste ultime, tanto più accettabile è la violenza che viene loro inflitta. (pp. 122-123)
  • La Russia è un classico esempio di Stato autoritario a conduzione patriarcale, in cui i diritti delle donne vengono limitati, riducendo la loro possibilità di decidere del proprio corpo, indebolendo le misure legislative sulla violenza sessuale e intima, impedendo l'accesso delle cittadine di sesso femminile a posizioni politicamente di rilievo, limitandone la partecipazione alla vita pubblica e rafforzando i ruoli e le gerarchie di genere tradizionali. Uno schema in cui rientrano anche le restrizioni dei diritti delle minoranze sessuali. Per la Russia di Putin limitare il margine di manovra delle donne è importante, perché la partecipazione di queste ai movimenti civili garantisce loro maggiori probabilità di successo e li rende più creativi e resilienti. Se in un moto popolare è coinvolto il 25 per cento o più delle donne, è già una minaccia per il sistema al potere. Quanto siano importanti lo dimostra la rivoluzione ucraina del 2014, alla quale hanno partecipato attivamente. Le storie di resistenza, di donne, minoranze sessuali e dissidenti potrebbero raggiungere il grande pubblico e diventare esempi di eroismo anche in Russia, proprio come accade in Occidente. Tuttavia, se tali narrazioni venissero promosse, quello di Putin si troverebbe nella condizione di mostrarsi per quello che è, un governo siloviki, proprio ciò che non vuole. La gente comincerebbe a immaginare alternative al regime attuale e questo non può essere consentito. Ecco perché le femministe devono essere bollate come estremiste, cioè terroriste. (pp. 130-131)
  • Nel XXI secolo, l'idea del bottino di guerra suona molto strana alle orecchie occidentali, qualcosa che appartiene al passato. Negli ultimi anni in Occidente ci si è dedicati al rimpatrio dei beni culturali e delle salme. In Russia la tendenza è diversa. Il suo esercito ha spedito in patria lavatrici e altri elettrodomestici sottratti agli ucraini sin da quando è iniziata l'invasione: i soldati che non capiscono perché combattono devono essere motivati in qualche modo. Gli oggetti saccheggiati dalle case degli ucraini sono stati caricati su camion e venduti onlini in Bielorussia. I telegiornali hanno mostrato carri armati russi carichi di refurtiva e biancheria intima ucraina è stata trovata negli zaini di soldati russi caduti, insieme ad alcolici e computer rubati. [...] Le madri e le compagne dei militari nel resto del mondo non chiamano al fronte per chiedere ai loro cari di spedire a casa le lavatrici delle madri locali. Le famiglie dei russi invece sì, perché le generazioni precedenti hanno fatto lo stesso e perché l'intera società si regge sul furto, sia a livello individuale che statale, e si può essere puniti solo se non si è leali verso i propri superiori, verso Putin. In un simile contesto è quindi perfettamente normale che un soldato russo entri nella casa di una donna ucraina, rovisti nel suo guardaroba e telefoni alla sua ragazza per chiederle che taglia di reggiseno porta. (pp. 132-133)
  • L'abilità principale del regime di Putin è stata quella di distogliere l'attenzione dai propri crimini e da quelli dei suoi predecessori, e l'aver trasformato gli anni Novanta nel più grande incubo della storia russa né è un buon esempio. Per di più, fornisce al popolo una buona ragione per odiare i liberal occidentali, considerati responsabili di aver trascinato la Russia in quell'inferno. E sotto questa etichetta rientravano anche femministe, attivisti gay, organizzazioni per i diritti umani e la libertà di espressione. (p. 160)
  • Pavlovskij, che è stato consigliere di Putin dal 2006 al 2011, è poi diventato un suo critico, ma ha anche scoperto le idee del filosofo ultranazionalista Aleksandr Dugin, aiutando il Cremlino a diffondere la sua concezione di un'Eurasia con Mosca al centro. Pavlovskij vedeva nel fascismo di Dugin un mezzo per ampliare lo spettro politico del regime, una sorta di tecnologia politica per raggiungere nuovi sostenitori. I siloviki e i militari si ispirarono a Dugin e ad altri eurasiatisti, fornendo un quadro di riferimento per ciò di cui il Kgb e le forze armate erano alla ricerca: una visione del mondo utilizzabile come strumento per giustificare la loro esistenza in un futuro anche lontano. (p. 161)
  • Il sistema russo basato sull'essenzialismo biologico crollerebbe, se a sfidarlo fosse un potere delle donne più che meramente simbolico. Per l'Ucraina, la Russia è una minaccia esistenziale perché vuole cancellarla dalla carta geografica, ma per la struttura di potere di Putin l'Ucraina rappresenta una minaccia esistenziale perché i valori ucraini mettono in luce il tokenism del Paese nei confronti delle donne, e sfidano la legittimità dell'imperialismo russo. (p. 163)
  • La missione principale di Putin è mantenere il potere e il denaro nelle mani di uomini avanti negli anni. La cricca di Putin è caratterizzata da un passato nel Kgb, da un'ideologia imperialista e da un modo di governare di tipo mafioso. Il fatto che nell'amministrazione prevalgono caratteristiche simili ha frenato l'avanzamento dell'uguaglianza e dei diritti delle donne. La normalizzazione e il consolidamento della misoginia come parte dell'identità nazionale impedisce alle donne, all'opposizione e alle giovani generazioni di ambire al potere. L'odio verso le donne in Russia è stato mobilitato a sostegno del potere centrale e quindi la guerra in Ucraina è anche una guerra tra generazioni – e tra ruoli di genere. (p. 165)
  • A differenza che in Russia, [in Ucraina] un passato da attivista è un vantaggio per un politico e l'appartenenza alla vecchia élite corrotta un handicap. (p. 166)
  • L'Ucraina non è l'unico Paese ex sovietico in cui il potere si è femminilizzato a un ritmo rivoluzionario. Lo stesso è accaduto in altre nazioni europee confinanti con la Federazione Russa, nonostante negli anni Novanta il punto di partenza, in fatto di uguaglianza, fosse in queste regioni lo stesso della Russia. Quel che spaventa di più il Cremlino è che una parte significativa delle donne arrivate al potere sono giovani. Molte di loro sono le più giovani elette nella storia del Paese. Hanno dimostrato che il volto processo decisionale politico può essere femminile. (p. 166)
  • Per quanto la fobia del regime di Putin per le rivoluzioni colorate sia ben nota, non ho ancora visto alcun servizio giornalistico o ricerca che abbia parlato della sua insofferenza per un'altra rivoluzione occidentale, il fenomeno #MeToo sulla violenza sessuale che ha dato forza alle donne e spogliato del loro potere uomini considerati fino a quel momento intoccabili. Nel 2017, la tempesta di accuse sul magnate del cinema statunitense Harvey Weinstein ha destato enorme interesse in tutto il mondo dopo che una serie di donne ha denunciato i suoi crimini. In Russia, invece, il dibattito pubblico ha trasformato Weinstein in un eroe, una macchina del sesso ossessionata dalle ragazze, e Dmitrij Peskov ha definito le sue vittime prostitute che si ripromettono di intascare milioni di dollari con le loro dichiarazioni. Il movimento #MeToo non è stato ignorato in Russia, ma ne è stata offerta al pubblico un'immagine speculare, distorta. Le donne dell'industrai cinematografica sono state ascoltate, ma soprattutto per esprimere opiniono opposte a quelle dell'Occidente. Celebri attrici russe hanno difeso Weinstein e incolpato le vittime. Ksenja Aleksandrova, Miss Russia, ha dichiarato che in Russia non esistono molestie sessuali, «grazie al presidente Vladimir Putin». Quello stesso anno, Putin ha elogiato le prostitute russe, definendole le migliori del mondo. (pp. 171-172)
  • La paura di moti rivoluzionari ha radici lontane in Russia. I turbamenti prodotti dalla Rivoluzione francese hanno avuto una scia fino al XIX secolo e hanno portato le classi alte, gli intellettuali e i leader russi a valutare seriamente il da farsi per impedire che moti dello stesso tipo si diffondessero nel loro impero. Non volevano perdere il potere. Per paura di possibili cambiamenti, elaborarono l'idea che la Russia fosse essenzialmente diversa dagli altri Paesi e che quindi le riforme fatte altrove non vi potessero attecchire. Perché tale piano funzionasse, bisognava far credere al popolo che essere russi significasse appartenere a un impero, non a uno Stato nazionale. Questa narrazione appositamente concepita è la cornice stranamente familiare dentro la quale la Russia giustifica oggi la sua guerra in Ucraina, e la paura di Putin per le rivoluzioni riecheggia l'orrore delle rivolte tra le classi alte dell'impero zarista. (p. 173)
  • [Sulla cessione della Crimea] La penisola di Crimea non fu un regalo del segretario all'Ucraina, come sostiene Mosca, ma un'operazione di salvataggio allo scopo di rivitalizzare la regione. Chruščëv, che ha spinto per le riforme agricole per alleviare la carenza di cibo dell'Unione Sovietica, aveva accettato ciò che a Putin non interessa: la vitalità della Crimea dipende interamente dal collegamento via terra con l'Ucraina, poiché da lì proviene il rifornimento d'acqua della penisola. (p. 183)
  • La Russia non ha mai presentato pubblicamente le sue scuse per la sorte dei tatari. L'Occidente non ha proposto l'istituzione di una commissione per indagare sul loro genocidio e non ha promosso il lustrismo nella regione. Studiosi e giornalisti non hanno guardato alla Crimea attraverso la lente del colonialismo, nonostante sia così che l'Occidente guarda alla storia di tutti gli altri ex imperi. Si è fatto sì che il mito dell'«eterna» identità russa della regione contasse più della storia tatara, e ciò è stato fatto senza far ricorso alla terminologia tipica del colonialismo: ad esempio, gli occupanti russi della regione non sono mai stati chiamati coloni. Nel contesto della conquista della Crimea da parte di Caterina la Grande, si parla della penisola come se fosse una terra disabitata, non il Khanato di Crimea (1441-1783). Il colonialismo russo è l'elefante nel salotto: è assente dal dibattito – e dalla ricerca – sul colonialismo e quindi le misure richieste ad altri ex imperi per sanare i torti del passato non si applicavano alla Russia. (pp. 183-184)
  • Benché la colonizzazione comporti sempre la celebrazione dei valori della madrepatria e del ruolo della sua lingua come strumento di potere, gli inglesi non hanno cercato di trasformare in cittadini inglesi gli abitanti delle loro lontane colonie. La Russia, invece, colonizza sempre secondo le procedure del passato: prima la pulizia etnica, cui fa seguito l'assimilazione, la russificazione. La storia e la cultura della regione vengono sostituite con la mitologia del conquistatore. È così che l'Unione Sovietica ha occupato gli Stati baltici. I coloni e i loro discendenti continuano a essere utilizzati dalla Russia come strumenti per esercitare un'influenza anche dopo che il territorio occupato ha riconquistato l'indipendenza o è stato restituito allo Stato di appartenenza. (p. 184)
  • Dall'inizio della grande offensiva russa contro l'Ucraina, molti si sono chiesti se i russi credano davvero alla propaganda di Stato. Allo stesso modo, gli occidentali si domandavano in passato quanti comunisti ci fossero davvero in Unione Sovietica. Ma la risposta è molto più complicata di un dato percentuale. La propaganda influenza la realtà, l'identità e le scelte di vita, che piaccia o no. Può essere definita violenza emotiva e coercizione piscologica, ma nessuno può sfuggire alle conseguenze di un lavaggio del cervello, e la capacità di resistere di ciascuno è un fatto personale. Un mio conoscente che aveva frequentato la scuola sovietica mi ha descritto il suo percorso scolastico in questo modo: «Dovevi semplicemente smettere di pensare. Non appena iniziavo a pensare a ciò che avevo mandato a memoria, sentivo che la testa mi stava per scoppiare. Quindi era meglio non capire, era meglio non pensare». (pp. 200-201)
  • Il motivo per cui i gulag e la necessità di fare i conti con il passato sono diventati impopolari in Russia è anche legato alla paura di ciò che si potrebbe scoprire sui propri parenti. Non tutti vogliono conoscere la verità, ci sono tanti responsabili di persecuzioni e soprusi, e spesso le vittime diventano oppressori, gli oppressori vittime. (p. 209)
  • Nel 2017, trenta Paesi hanno manipolato la loro popolazione attraverso i social media; nel 2020, il loro numero è salito a ottantuno. L'interesse della Russia in questo campo non è quindi eccezionale. Tuttavia, il fatto che le femministe e le donne siano il suo principale bersaglio rende le azioni del Cremlino una minaccia globale allo sviluppo della parità di genere. [...] L'incitamento all'odio di genere riduce la partecipazione delle donne al dibattito pubblico e alla politica. Quando a entrare in gioco e a fare da cassa di risonanza per la misoginia sono soggetti nazionali come lo Stato russo, siamo di fronte a una minaccia globale. Le campagne di disinformazione sostenute dalla Russia sono per la misoginia quello che il lievito rappresenta per una torta: senza quell'agente, la torta non cresce. Lo stesso vale per razzismo e omofobia. (pp. 215-216)
  • Il contenuto delle cosiddette «misure attive» dell'era sovietica è qualcosa con cui abbiamo dovuto fare i conti. Le malattie infettive si sono rivelate un'eccellente piattaforma per la disinformazione e la falsa notizia del Kgb secondo cui l'Aids sarebbe una creatura della Cia circola ancora in tutto il mondo. [...] Poiché il successo della Germania Ovest rispetto alla Ddr era qualcosa che la propaganda non poteva negare in modo plausibile, la manipolazione del passato nazista del Paese diventò un classico , per il Kgb, e viene utilizzata ancora oggi. I dipartimenti di disinformazione sovietici hanno prodotto in ogni Paese del globo messaggi di odio contro ebrei e minoranze etniche, fingendo che provenissero dalla penna di razzisti o antisemiti locali. In Germania sono stati reclutati neonazisti e sono state dipinte svastiche sulle sinagoghe di tutto il mondo. L'ex generale del Kgb Oleg Kalugin ha partecipato alla realizzazione dell'«operazione svastica». Secondo Kalugin, lo scopo era quello di perpetuare l'antisemitismo nel mondo. Esattamente allo stesso modo, l'obiettivo della Russia oggi è quello di perpetuare la misoginia. (pp. 217-218)
  • Artyom Baranov, uno dei pochi ex dipendenti della Internet Research Agency di Prigožin ad aver parlato pubblicamente del suo lavoro, ha affermato che il femminismo, fomentato dall'Occidente, era un obiettivo ovvio per i troll perché era visto come un nemico dei valori tradizionali rappresentati dalla Russia. Negli attacchi personali, la Russia si è concentrata in particolare sulle donne impegnate in politica e sulle attiviste. (p. 219)
  • Il modo in cui la Russia manipola le divisioni interne di un Paese rende particolarmente impegnativo opporvisi. La soluzione, tuttavia, non è liquidare semplicemente i problemi quali bugie alimentate dai troll russi. Dovremmo essere in grado di affrontare e risolvere le pratiche discriminatorie nelle nostre società, pur senza dimenticare le interferenze degli agenti statali. Allo stesso modo, le simpatie dell'estrema destra occidentale per la Russia non sono dovute solo al sostegno finanziario che ne ricevono, ma anche al fatto che questa ha adottato gli strumenti preferiti di Mosca e adesso li utilizza nei propri collegi elettorali. Per esempio, l'aggressività dell'estrema destra verso i media ricalca il metodo russo di negare i fatti. Ma che un populista adotti le modalità di logoramento a lungo sperimentate dalla Russia, non significa che pensi di essere dalla parte di Putin o che lo pensino i suoi elettori. E poiché la metodologia bellica della Russia li avvantaggia, non rinunceranno a politiche a sostegno della strategia russa per indebolire l'Occidente, perché anch'essi hanno interesse a sconfiggere i liberal occidentali. È proprio facendo appello a emozioni di questo tipo che l'Unione Sovietica trovava persone disposte a collaborare e utili idioti. (p. 229)
  • Io mi ispiro alle donne artiste emarginate nella Storia dell'arte, il misogino si ispira a quei leader che tengono le donne a casa e il populista a quegli Stati che sopprimono la libertà di espressione. Il razzista cerca il sostegno emotivo di altri razzisti. (p. 230)
  • Pochi ammiratori dell'Unione Sovietica hanno continuato a studiarla dopo l'abbattimento della cortina di ferro. E invece, il momento per fare ricerca sarebbe stato quello. Allo stesso modo, è prevedibile che pochi di coloro che oggi simpatizzano per la Russia, o utilizzano gli strumenti populisti affinati dal Cremlino, vorranno sviscerare le loro passate simpatie dopo la fine dell'èra Putin. Pochi ex addetti alle troll factories hanno parlato pubblicamente del loro lavoro. Pochi «utili idioti» ammettono di aver condiviso accidentalmente o inconsapevolmente menzogne sui social media, perché nessuno ama essere definito «utile idiota». Mentre l'unione Sovietica era vicina alle femministe di sinistra dell'Occidente, la Russia ora sostiene i misogini e gli omofobi dei Paesi occidentali. Sebbene nessuna delle due tendenze rifletta di per sé i valori del Cremlino, il potenziamento di entrambe ha lo stesso obiettivo: indebolire i propri avversari e trovare alleati che non gli si rivolteranno contro nemmeno quando la casa del padrone vacillerà e crollerà. (p. 234)
  • La Russia non è mai stata definita uno Stato imperialista. I popoli vittima dell'oppressione russa non avevano volti internazionalmente riconoscibili nella coscienza culturale dell'Occidente: nessuna Anne Frank, nessun George Floyd. La storia della resistenza in Europa orientale durante la Seconda guerra mondiale non è stata una grande storia europea, ma un insieme di vicende locali, rilevanti solo a livello nazionale. (p. 243)
  • Quando gli Stati baltici, l'Europa orientale e la Russia vengono visti solo attraverso un unico prisma, quello sovietico, o come un'unica entità priva di differenze locali, si crea l'idea, errata, che un evento come la rivoluzione di Maidan in Ucraina sarebbe possibile in ognuno di essi, Russia compresa.
    Ma la Russia non è l'Ucraina. Non è l'Estonia. Alla Russia manca una tradizione di resistenza come grande storia identitaria. (p. 245)

Qualche uccellino mi ha suggerito che decolonizzazione è ora la parola più di moda nei dipartimenti di slavistica di tutto il mondo. Faccio fatica a credere che un tale miracolo possa essersi verificato. Forse l'imperialismo russo è finalmente diventato un oggetto di ricerca importante anche al di fuori dell'Europa orientale. Forse l'Europa dell'Est non è più vista solo come un'esotica «periferia arretrata della Russia». Forse la lente dell'esotismo e dell'orientalismo occidentale sull'Europa dell'Est e sugli Stati baltici si è finalmente infanta. Solo la coraggiosa resistenza dell'Ucraina l'ha resa visibile, e in quella resistenza sento la voce della mia prozia.

Note

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Bibliografia

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  • Sofi Oksanen, Contro le donne. Lo stupro come arma di guerra, traduzione di Nicola Rainò, Einaudi, 2023, ISBN 978-88-06-26296-9

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