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Louis-Ferdinand Céline

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Louis-Ferdinand Céline

Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches (1894 – 1961), scrittore, saggista e medico francese.

Citazioni di Louis-Ferdinand Céline

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  • In Inghilterra il disoccupato mangia molto magramente; certo, porzione congrua, ma tutto sommato quasi sufficiente. Mentre in Germania il sussidio mensile di 250 franchi circa condanna nella realtà il disoccupato a morire di fame lenta. [...] Un gran numero di disoccupati sbarca ancora il lunario grazie agli aiuti occasionali di parenti o di anime caritatevoli. I vari tipi di mendicità e la prostituzione mantengono un certo contingente. Ma poi, infine, quelli che non trovano nessuna combinazione alternativa devono comunque rassegnarsi a scomparire; molto lentamente, è vero. Alcuni colleghi tedeschi bene informati sostengono che ci vogliono circa quattro anni a 250 franchi al mese per morire completamente di fame.[1]
  • Penso come voglio, come posso... ad alta voce.[2]
  • Sarebbe divertente che si creasse un premio letterario degli «Innominabili», per i boicottati del nostro genere, i lebbrosi, quelli che alla critica non garbano. Ce ne sono mille di premi! Questo farebbe 1001!
Ça serait marrant qu'on crée un prix littéraire des «Innommables», pour les boycottés dans notre genre, les lépreux, ceux dont ne veut pas la critique. Y en a mille de prix! Ça ferait 1001![3]
  • Sono anarchico da sempre, non ho mai votato, non voterò mai per niente né per nessuno. Non credo negli uomini.[4]
  • Un problema, umanamente parlando, non presenta più interesse quando si è giurato, tacitamente, di non risolverlo affatto.[5]
  • I nazisti mi detestano al pari dei socialisti, e i comunisti anche, senza contare Henri de Régnier o Comœdia. Si intendono tutti quando si tratta di sputarmi addosso. Tutto è permesso tranne che dubitare dell'Uomo. Allora non c'è più niente da ridere.
    Ho fatto la prova. Ma io me ne frego, di tutti.
    Non chiedo nulla a nessuno.[6]
  • [Su Gen Paul, l'amico pittore con cui ha rotto i rapporti] Tutta quella generazione del Village tende a farsi immondizia come matta arrogantesca, ebbra ma avida – il più schifoso è grelots-grelots [Gen Paul] che non smette di insozzarci – un delirante per la paura che ha avuto della gattabuia [...] e di sedurre l'acquirente Crucco. È fatto fesso dalla sua zozzona di Pamplona che gli ha dato un figlio (di chi?) e gli fa cadere tutto dall'alto!... la sola spiegazione di quel sozzo mostro è che lui non è manco un uomo ma un tipo recessivo, antropopiteco, macaco e uomo – da cui quell'agilità – le sue mani – il suo modo di camminare, le braccia, le orecchie, la fronte! sarebbe stato un ottimo criminale (homo delinquensis) quel cacasotto![7]

Il Dottor Semmelweis

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Mirabeau gridava così forte che Versailles ebbe paura.[8]

Citazioni

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  • Niente è gratuito in questo basso mondo. Tutto si espia; il bene, come il male, si paga prima o poi. Il bene è molto più caro, per forza. (p. 12)
  • Non conviene irritare le folle ardenti, non meno che i leoni affamati. (p. 14)
  • Che si fa di solito per strada? Si sogna.
    Si sogna di cose più o meno precise, ci si lascia trascinare dalle ambizioni, dai rancori, dal passato. È uno dei luoghi più meditativi della nostra epoca, è il nostro santuario moderno, la Strada. (p. 23)
  • Rimangono soltanto coloro che il destino designa per la messa eterna dell'amore infinito. Formano solo una piccolissima cappella di chiarore, nello spazio e nel tempo. (p. 25)
  • [...] Semmelweis attingeva la sua esistenza a fonti troppo generose per essere ben compreso dagli altri uomini. Egli era di quelli, troppo rari, che possono amare la vita in ciò che essa ha di più semplice e di più bello: vivere. L'amò oltre il ragionevole.
    Nella Storia dei tempi la vita non è che un'ebbrezza, la Verità è la Morte. (p. 28)
  • Si può amare il calore, ma nessuno ci si vuol bruciare, Semmelweis era il fuoco. (p. 38)
  • Nel caos del mondo, la coscienza è solo una debole luce, preziosa ma fragile. Non si accende un vulcano con una candela. Non si conficca la terra nel cielo con un martello. (p. 42)
  • Semmelweis era nato da un sogno di speranza che la costante presenza, intorno a lui, di tante atroci miserie non riuscì mai a scoraggiare, che tutte le avversità, all'opposto, hanno reso trionfante. Visse, lui così sensibile, in mezzo a lamenti così penetranti che un cane qualunque se ne sarebbe fuggito urlando. Ma forzare così il proprio sogno a tutte le promiscuità vuol dire vivere in un mondo di scoperte, vuol dire vedere nella notte, e forse anche forzare il mondo a entrare nel proprio sogno. (pp. 64-65)
  • Nel cuore degli uomini non c'è che la guerra. (p. 71)
  • [...] la durata, il dolore degli uomini contano poco, in fin dei conti, accanto alle passioni, alle assurde frenesie che fanno danzare la Storia sui pentagrammi del Tempo. (p. 90)
  • Forzati del Pensiero, ecco cosa siamo, tutti. Basta aprire gli occhi, e non è già un portare il mondo in equilibrio sulla propria testa? (p. 93)
  • Una personalità si squarta non meno crudelmente di un corpo quando la follia fa girare la ruota del suo supplizio. (p. 95)

Mea culpa

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  • Il '93, per la mia capa, sono i leccapiedi... leccapiedi testuali, leccapiedi fatti e sputati! Leccapiedi di penna che per una sera la fanno da padroni al castello, tutti pazzi d'invidia, deliranti, gelosi, saccheggiano, ammazzano, si piazzano lì e contano lo zucchero e le posate, le lenzuola... Contano tutto!...Non si fermano... Non sono mai riusciti a smettere. La ghigliottina è uno sportello di banca... Conteranno lo zucchero fino alla morte. [...] Basta fargliela vedere, la liquirizia! Andranno dove vorrete voi, seguendo l'odore della porca prebenda, la prospettiva dello sgabello... Non sono certo loro a poterla riscattare l'imbecillità titanica, il sudiciume cromato del bestiame... Puttane di razza, si moltiplicano... Nella fogna l'intera genia, dunque!... Non se ne parli più per niente!... Gli altri, quelli di fronte, è la stessa roba, purissimi cavalieri erranti a 75.000 franchi l'anno. (pp. 22-23)
  • Farsi vedere dalla parte del popolo, coi tempi che corrono, è come pescare un'assicurazione-regalo. (p. 23)
  • Parlare di morale mica t'impegna a niente. Ti fa fare bella figura, ti dissimula. Tutti i pezzi di merda sono gran predicatori! Più sono bacati e più parlano! E adulatori, poi! Ciascuno per sé!... (p. 25)
  • Il programma del Comunismo? hanno un bel negarlo: materialista da cima a fondo! Rivendicazioni di un bruto a beneficio dei bruti!... Mangiare! Guardatelo in faccia il grosso Marx, com'è gonfio! E ancora ancora se mangiassero, ma è proprio il contrario quel che succede! Il popolo è re!... Il re salta i pasti! Ha tutto! Gli manca la camicia!... Sto parlando della Russia.[9] (pp. 25-26)
  • Il davvero ignoto di tutte le società possibili o impossibili... Nessuno che ne parli mai di questo, non è «politica»!... Il Tabù dei Tabù!... La questione «ultima» proibita! Eppure, che stia in piedi o a quattro zampe, sdraiato o a testa in giù, l'Uomo non ha mai avuto, in cielo e in terra, che un solo tiranno: se stesso!... Non ne avrà nessun altro, mai... (p. 28)
  • La gran pretesa della felicità, ecco l'enorme impostura! Quella che complica tutta la vita! Che rende la gente così velenosa, canaglia, indigeribile. Niente felicità nell'esistenza, solo infelicità più o meno grosse, più o meno tardive, evidenti, segrete, differite, striscianti... «È con le persone felici che si fanno i migliori dannati». Il principio del diavolo non fa una grinza. Aveva ragione come sempre, lui, di inchiodare l'Uomo alla materia. Non è che ci sia voluto molto. In un paio di secoli, pazzo d'orgoglio, dilatato dalla meccanica, è diventato impossibile. (pp. 30-31)
  • Il minimo impraticabile buco del culo si vede Giove allo specchio. Ecco il gran miracolo moderno. Una fatuità gigantesca, cosmica. (p. 31)
  • Massacri a miriadi, non c'è guerra dal Diluvio in poi che non abbia avuto per musica l'Ottimismo... Tutti gli assassini vedono rosa nel futuro, fa parte del mestiere. Così sia. (p. 32)
  • L'Uomo è umano pressappoco quanto la gallina vola. Lei, se si prende un colpo duro nel didietro, se un'auto la fa piroettare, va su fino al tetto, è vero, ma ripiomba subito nella melma, a ribeccare lo sterco. È la sua natura, la sua ambizione. Per noi, nella società, è esattamente lo stesso. (p. 39)

Morte a credito

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Eccoci qui, ancora soli. C'è un'inerzia, in tutto questo, una pesantezza, una tristezza... Fra poco sarò vecchio. E la sarà finita, una buona volta. Gente n'è venuta tanta, in camera mia. Tutti han detto qualcosa. Mica m'han detto gran che. Se ne sono andati. Si son fatti vecchi, miserabili e torpidi, ciascuno in un suo cantuccio di mondo.

Citazioni

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  • Sono il vero rompimento, gli adulti! (p. 4)
  • Sono dei bei rompicoglioni, i filantropi. (p. 5)
  • Il mio strazio, per me, è il sonno. Se avessi sempre dormito bene non avrei mai scritto un rigo... (p. 5)
  • Quando si è troppo generosi, si sparpaglian qua e là i propri tesori, si finisce con lo smarrirli... (p. 5)
  • È l'ultima volta che spreco per te degli insulti!... (p. 6)
  • Il giorno che si fosse reso necessario, già avevo accumulato in me quasi quanto basta per potermi prendere il lusso di morire... (p. 8)
  • M'ero abbuffato d'infinito. (p. 8)
  • Li credi malati tu ?.. Uno geme.. un altro rutta... quello barcolla... questo è pieno di pustole... Vuoi vuotar la sala d'aspetto ? Istantaneamente ?... anche di quelli che s'accaniscono ad espettorare fino a farsi schiattare il petto ? Proponi una botta di cinema! ... un aperitivo gratis, sbattuto in faccia! ... vedrai quanti ne resteranno... Se vengono a cercarti, è soprattutto perché si scocciano. Mica ne vedi uno la vigilia d'una festa... Ai disgraziati, ricorda quel che ti dico, manca un'occupazione, mica la salute... Voglion semplicemente che tu li distragga, che tu li metta di buon umore, che tu li interessi coi loro rutti... i loro gaz... i loro scricchiolii.. che tu gli scopra delle flatuosità... delle febbriciattole... dei borborigmi... degli inediti! ... Che tu ti dilunghi... che tu t'appassioni... Per questo hai la tua laurea... Ah! Divertirsi con la propria morte mentre uno sta fabbricandosela, ecco tutto l'Uomo, Ferdinand! (p. 10)
  • Tu mica sei sempre stato così rincoglionito come oggi, abbruttito dalle circostanze, il mestiere, il bere, le sottomissioni più funeste... Te la senti, per un momentino, di tornare alla poesia ?... di fare un salterello di cuore e di minchia alla lettura di un'epopea, tragica certo, ma nobile... sfavillante!... Te ne credi capace ?... (p. 11)
  • Un'eternità di silenzio non basterà a consolarli!... (p. 12)
  • Siam provvisori, questo è vero, ma io ho già provvisorieggiato abbastanza per la mia dignità. (p. 16)
  • Le parole sono meravigliose finché non escon dal sogno (p. 184)

Incipit di Nord

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Oh, sì, mi dico, fra poco sarà tutto finito ... Auf! ...[11]

Viaggio al termine della notte

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Introduzione

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Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza.
Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non sbaglia mai.
E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi.
È dall’altra parte della vita.

È cominciata così. Io, avevo mai detto niente. Niente. È Arthur Ganate che mi ha fatto parlare. Arthur, uno studente, un fagiolo anche lui, un compagno. Ci troviamo dunque a Place Clichy. Era dopo pranzo. Vuol parlarmi. Lo ascolto. "Non restiamo fuori! mi dice lui. Torniamo dentro!". Rientro con lui. Ecco. "'Sta terrazza, attacca lui, va bene per le uova alla coque! Vieni di qua". Allora, ci accorgiamo anche che non c'era nessuno per le strade, a causa del caldo; niente vetture, nulla. Quando fa molto freddo, lo stesso, non c'è nessuno per le strade; è lui, a quel che ricordo, che mi aveva detto in proposito: "Quelli di Parigi hanno sempre l'aria occupata, ma di fatto, vanno a passeggio da mattino a sera; prova ne è che quando non va bene per passeggiare, troppo freddo o troppo caldo, non li si vede più; son tutti dentro a prendersi il caffè con la crema e boccali di birra. È così! Il secolo della velocità! dicono loro. Dove mai? Grandi cambiamenti! ti raccontano loro. Che roba è? È cambiato niente, in verità. Continuano a stupirsi e basta. E nemmeno questo è nuovo per niente. Parole, e nemmeno tante, anche le parole che son cambiate! Due o tre di qui, di là, di quelle piccole..." Tutti fieri allora d'aver fatto risuonare queste utili verità, siamo rimasti là seduti, incantati, a guardare le dame del caffè.

Citazioni

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  • L'amore è l'infinito abbassato al livello dei barboncini, e ci ho la mia dignità, io! (1992, p. 14)
  • Alla fine siamo tutti seduti su una grande galera, remiamo tutti da schiattare, puoi mica venirmi a dire il contrario!... Seduti su 'ste trappole a sfangarcela tutta noialtri! E cos'è che ne abbiamo? Niente! Solo randellate, miserie, frottole e altre carognate. Si lavora! dicono loro. È questo che è ancora più fetido di tutto il resto, il loro lavoro. Stiamo giù nelle stive a sputare l'anima, puzzolenti, con le palle che ci sudano, ed ecco lì! In alto sul ponte, al fresco, ci sono i padroni e mica se la prendono, con belle femmine rosa tutte gonfie di profumo sulle ginocchia. Ci fanno salire sul ponte. Allora, si mettono il cappello dell'alta uniforme, e poi te ne sparano in faccia una del tipo: "Banda di carogne, è la guerra! ti fanno loro. Adesso li abbordiamo, 'sti porcaccioni che stanno sulla patria n.º 2 e gli facciamo saltare la pignatta! Alé! Alé! C'è tutto quel che ci vuole a bordo! Tutti in coro! Spariamone una forte per cominciare, da far tremare i vetri: Viva la Patria n.º 1! Che vi sentano da lontano! Chi griderà più forte, avrà la medaglia e il confetto del buon Gesù! Porco dio! [...]" (1992, pp. 15-16)
  • La vera sconfitta in tutto è di dimenticare e specialmente ciò che ci ha fatto crepare, e crepare senza capire sino a qual punto gli uomini siano cani. Quando usciremo da questo crogiuolo, non occorrerà fare i furbi, ma nemmeno dimenticare; occorrerà raccontare tutto senza cambiare una parola, tutto quello che c’è di piu schifoso negli uomini; e poi morire e scendere nella tomba. Come lavoro, basta, per una vita intera. (1966, p. 19)
  • La guerra insomma era tutto quello che non si capiva. (1992, p. 19)
  • Il colonnello, era dunque un mostro! Adesso, ne ero convinto, peggio di un cane, non s'immaginava la sua dipartita! Capii al tempo stesso che dovevano essercene molti come lui nel nostro esercito, dei prodi, e poi di sicuro altrettanti nell'esercito di fronte. Chi poteva sapere quanti? Uno, due, molti milioni in tutto? Da quel momento la mia caghetta divenne panico. Con esseri del genere, quest'imbecillità infernale poteva continuare all'infinito... (1992, p. 20)
  • Uno è vergine dell'Orrore come lo è della voluttà. Come me lo potevo immaginarmelo io 'sto orrore lasciando Place Clichy? Chi avrebbe potuto prevedere prima d'entrare davvero in guerra, tutto quel che conteneva la sporca anima eroica e fannullona degli uomini? Adesso, ero preso in questa fuga di massa, verso l'assassinio di gruppo, verso il fuoco... Veniva dal profondo ed era arrivato. (1992, p. 21)
  • Dunque niente errori? Quello spararsi addosso che si faceva, così, senza nemmeno vedersi, non era proibito! Quello faceva parte delle cose che si possono fare senza meritarsi una bella sgridata. Era perfino riconosciuto, incoraggiato senza dubbio da gente seria, come le lotterie, i fidanzamenti, la caccia coi cani!... (1992, p. 22)
  • Ero bambino allora, mi faceva paura la prigione. È che non conoscevo ancora gli uomini. (1992, p. 22)
  • Quando non si ha immaginazione, morire è poca cosa, quando se ne ha, morire è troppo. (1992, p. 27)
  • Gli piacevano i bei giardini e i roseti, non ne mancava uno di roseto, dovunque passassimo. C'è nessuno come i generali per amare le rose. Si sa. (1992, p. 34)
  • Perché nel cervello d'un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli. (1992, p. 35)
  • Quel che mi aveva fatto pensare per la prima volta in vita mia, ma pensare davvero, idee pratiche e tutte mie, era certo il comandante Pinçon, questo ceffo da torturatore. (1992, p. 35)
  • La maggior parte della gente non muore che all'ultimo momento; altri cominciano e si prendono vent'anni d'anticipo e qualche volta anche di più. Sono gli infelici della terra. (1992, p. 45)
  • Ero mica tanto savio da parte mia, ma comunque diventato così pratico nel frattempo da essere definitivamente vigliacco. (1992, p. 46)
  • Mi rendevo conto che l'età è qualcosa, per le idee. Rende pratici. (1992, p. 53)
  • Lola, dopo tutto, non faceva che divagare su felicità e ottimismo, come tutte le persone che sono dalla parte giusta della vita, quella dei privilegi, della salute, della sicurezza e che hanno da vivere per un bel po'. (1992, p. 62)
  • L'anima, è la vanità e il piacere del corpo finché uno è in gamba, ma è anche la voglia di uscire dal corpo quand'è malato o le cose girano male. (1992, p. 63)
  • Questa specie d'agonia differita, lucida, ben portante, durante la quale è impossibile capire altro che non siano le vertià assolute, bisogna averla sperimentata per sapere per sempre quel che si dice. (1992, p. 63)
  • Non si perde gran che quando brucia la casa del padrone. Ne verrà sempre un altro, se non è sempre lo stesso, tedesco o francese, o inglese o cinese, per presentarti, vero?, il conto al momento giusto... in marchi o in franchi? Dal momento che bisogna pagare... (1992, p. 63)
  • Il suo corpo era per me una gioia che non finiva mai. Non ne avevo mai basta di percorrerlo, quel corpo americano. A dire il vero ero un gran maiale. Lo restai. (1992, p. 64)
  • Credevo al suo corpo, non credevo al suo spirito. La consideravo un'incantevole imboscata, la Lola, sul rovescio della guerra, sul rovescio della vita. (1992, p. 65)
  • Lola era con le mode morte che avvertiva il fuggire degli anni. (1992, p. 67)
  • La tristezza del mondo assale gli esseri come può, ma ad assalirli sembra che ci riesca quasi sempre. (1992, p. 67)
  • Quegli alberi hanno l'ampiezza dolce e la forza dei grandi sogni. (1992, p. 68)
  • La miglior cosa che puoi fare, no?, quando sei a 'sto mondo, è di uscirne. Matto o no, paura o no. (1992, p. 71)
  • Ci vuol quello d'altronde per far godere bene. In questa cucina, quella del didietro, la ribalderia, dopo tutto, è come il pepe in una buona salsa, ci vuole e lega. (1992, p. 73)
  • Ma quando sei debole quello che ti dà forza è lo spogliare gli uomini che temi di più di tutto il prestigio che sei ancora portato ad attribuirgli. (1992, p. 74)
  • Tutto quello che è interessante accade nell'ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini. (1992, p. 75)
  • La religione della bandiera sostituì prontamente quella celeste, vecchia nuvola già sgonfiata dalla Riforma e condensata da tempo in salvadanai episcopali. (1992, p. 81)
  • Aveva il vizio degli intellettuali, era inconsistente. Sapeva troppe cose 'sto ragazzo, e quelle cose lo incasinavano. Aveva bisogno di un sacco di trucchini per eccitarsi, per decidersi. (1992, p. 82)
  • Ci venivamo, noi, a cercare a tentoni la nostra felicità, che il mondo intero ci insidiava con rabbia. Ci vergognavamo di quella voglia, ma bisognava pur farci qualcosa! (1992, p. 84)
  • È più difficile rinunciare all'amore che alla vita. (1992, p. 84)
  • Si passa il tempo a uccidere o ad adorare a 'sto mondo, tutt'e due insieme."Ti odio! Ti adoro!" Si tira avanti, ci si tiene compagnia, si appioppa la vita al bipede del secolo dopo, con frenesia, a ogni costo, come se fosse straordinariamente divertente perpetuarsi, come se quello ci potesse rendere, in fin dei conti, eterni (1992, p. 84)
  • Il puritanesimo anglosassone ci rinsecchisce ogni mese che passa, ha quasi ridotto al nulla la goduria estemporanea dei retrobottega. Tutto va verso il matrimonio e la correttezza. (1992, p. 85)
  • Se la gente è così cattiva, forse è solo perché soffre. (1992, p. 86)
  • È lo spazio che ci vuole, due anni, per renderci conto, con un sol colpo d'occhio, infallibile proprio, come l'istinto, delle bassezze di cui un viso, anche delizioso al tempo suo, s'è caricato. (1992, p. 90)
  • Dopotutto, perché non ci potrebbe essere un'arte nella bruttezza come c'è nella bellezza? È un genere da coltivare, ecco tutto. (1992, p. 90)
  • L'amore è come l'alcool, più sei impotente e sbronzo e più ti credi forte e scaltro, e sicuro dei tuoi diritti. (1992, p. 91)
  • D'altronde, bisogna pure che succeda prima o poi, che ti classificano. (1992, p. 92)
  • Esistono certi posti così nella città, tanto stupidamente brutti che ci stai quasi sempre da solo. (1992, p. 92)
  • Avrebbe potuto suonare e guadagnarsi da vivere nei cinema, dove sarebbe stato molto più facile per me andarla a prendere, ma gli argentini erano allegri e pagavano bene, mentre i cinema erano tristi e pagavano poco. C'è tutta la vita in queste preferenze. (1992, p. 92)
  • Mi stupiva sovente, a me, col suo tatto e ho dovuto confessare a me stesso, ascoltandola, che in fatto di frottole ero solo un volgare simulatore al suo confronto. (1992, p. 93)
  • Ha ragione Claudie Lorrain, i primi piani di un quadro fanno sempre schifo, e l'arte vuole che quel che interessa in un quadro venga collocato sullo sfondo, nell'inafferrabile, là dove si rifugia la menzogna, questo sogno colto sul fatto, unico amore degli uomini. (1992, p. 93)
  • La donna che sa tener conto della nostra indole miseranda diventa facilmente la nostra prediletta, indispensabile e suprema speranza. Noi ci attendiamo da lei che ci conservi la nostra menzognera ragion d'essere, ma nell'attesa lei può, esercitando questa splendida funzione, guadagnarsi largamente di che vivere. (1992, p. 94)
  • Ero ancora brado come un animale a quel tempo, non volevo mollare la mia bella, e basta, come un osso. Si perde la maggior parte della propria gioventù a colpi di goffaggini. Era chiaro che stava per abbandonarmi la beneamata, presto e per sempre. (1992, p. 94)
  • Ci sono per il povero a 'sto mondo due grandi modi di crepare, sia con l'indifferenza generale dei suoi simili in tempo di pace, sia con la passione omicida dei medesimi quando vien la guerra. (1992, p. 95)
  • Poiché lei mi sfuggiva, Musyne, mi credevo un idealista, è così che uno chiama i propri piccoli istinti vestiti di paroloni. (1992, p. 95)
  • Il maestro della passione, sconcertato, si sforzava d'attenuare la bella e tragica commozione propagata dalla sua breve e vibrante allocuzione. Restava tutto confuso e afflitto davanti a lei. Risveglio di una troppo dolorosa inquietudine in un cuore d'élite, evidentemente languido, tutto sensibilità e tenerezza. (1992, p. 100)
  • Qualche rimpianto poetico piazzato al punto giusto sta bene a una donna quanto certi capelli vaporosi sotto i raggi della luna. (1992, p. 102)
  • Quand'era stremato, Puta arrivava a prendere un'arietta intelligente, per la stanchezza che lo tormentava e solo in quei momenti lì. Ma quand'era riposato, il suo volto, malgrado la finezza innegabile dei tratti, formava un'armonia di placidità ottusa di cui è difficile non conservare per sempre un ricordo disperante. (1992, p. 118)
  • Mica che fosse brutta, Madame Puta, no, avrebbe potuto perfino essere carina, come tante altre, solo che lei era così prudente, così diffidente, che si arrestava ai bordi della bellezza, come ai bordi della vita, con i suoi capelli un po' troppo curati, il sorriso troppo facile e improvviso, i gesti un po' troppo rapidi o un po' troppo furtivi. (1992, p. 118)
  • 'Sta repulsione istintiva che ispirano i commercianti a quelli che li avvicinano e che capiscono, è una delle rarissime consolazioni che quelli che non vendono niente a nessuno provano a essere poveri come sono. (1992, p. 119)
  • Bisogna aver sempre l'aria utile quando non sei ricco. (1992, p. 126)
  • È la confessione biologica. Quando il lavoro e il freddo non ti fanno più da astringente, allentano un momento la morsa, si può scorgere dei Bianchi quel che si scopre su una spiaggia ridente, quando il mare si ritira: la verità, stagni dalle grevi puzze, granchi, carogne e stronzi. (1992, p. 129)
  • Recitavo, senza volerlo, la parte fondamentale dello "sporcaccione infame e ripugnante", vergogna del genere umano che è attestata ovunque nel corso dei secoli, di cui tutti hanno sentito parlare, come del Diavolo e del Buon Dio, ma che resta sempre così diverso, così sfuggente, in terra e in vita, inafferrabile insomma. (1992, p. 131)
  • Quando l'odio degli uomini non comporta alcun rischio, la loro stupidità si convince presto, i motivi arrivano da soli. (1992, p. 134)
  • Ogni possibile viltà diventa una meravigliosa speranza se uno sa riconoscerla. Ecco quel che penso. Non bisogna mai fare i difficili sul modo di evitarsi uno sbudellamento, né perder tempo a cercare le ragioni della persecuzione di cui sei oggetto. Sfuggirvi è quel che basta al saggio. (1992, p. 136)
  • Fin che il militare non uccide, è come un bambino. Lo diverti facile. Non essendo abituato a pensare, quando uno gli parla è costretto per cercare di capire a decidersi a sforzi opprimenti. (1992, p. 138)
  • Il capitano Frémizon non mi uccideva, nemmeno se ne stava a bere, non faceva niente con le mani, né con i piedi, cercava solamente di pensare. Era assolutamente troppo per lui. In fondo, lo tenevo per la testa. (1992, p. 138)
  • Son come le maialate, le storie di coraggio, piacciono sempre a tutti i militari di tutti i paesi. (1992, p. 139)
  • Quel che ci vuole in fondo per ottenere una specie di pace con gli uomini, ufficiali o no, armistizi fragili è vero, ma preziosi lo stesso, è di permettergli in ogni circostanza di mettersi in mostra, di sbracare in ingenue vanterie. (1992, p. 139)
  • La vanità intelligente non esiste. È un istinto. Non c'è uomo che non sia prima di tutto vanitoso. (1992, p. 139)
  • La notte martellata di gong era dappertutto, tutta tagliuzzata di canti contratti e incoerenti come il singhiozzo, la grossa notte nera dei paesi caldi col suo cuore brutale a tam-tam che batte sempre troppo in fretta. (1992, p. 149)
  • Il tam-tam del vicino villaggio, ti faceva saltare, tagliati fini, pezzettini di pazienza. Mille diligenti zanzare presero senza indugio possesso delle mie cosce, ma non osavo più rimettere piede a terra per gli scorpioni e i serpenti velenosi di cui supponevo fosse iniziata la caccia. (1992, p. 151)
  • Zelanti, lo erano, e senz'ombra di dubbio, vili e cattivi quanto zelanti. Impiegati d'oro, insomma, scelti bene, d'una incoscienza entusiasta da sognarsela. Dei figli come mia madre avrebbe adorato averne uno, entusiasti dei loro padroni, uno tutto per lei sola, uno di cui essere fieri davanti al mondo, un figlio assolutamente legittimo. (1992, p. 151)
  • Erano venuti nell'Africa tropicale, quei begli abbozzi, per offrirgli la carne loro, ai padroni, il loro sangue, le loro vite, la loro gioventù, martiri per ventidue franchi al giorno (meno le ritenute), contenti, comunque contenti, fino all'ultimo globulo rosso concupito dalla decimilionesima zanzara. (1992, p. 151)
  • I piccoli colleghi non avevano scambi di idee tra di loro. Nient'altro che formule, fissate, cotte e stracotte come crostini di pensiero. (1992, p. 152)
  • Gli indigeni, loro, funzionano insomma solo a colpi di bastone, conservano questa dignità, mentre i bianchi, perfezionati dall'educazione pubblica, fanno da soli. (1992, p. 159)
  • Il bastone finisce per stancare chi lo maneggia, mentre la speranza di diventare potenti e ricchi di cui i bianchi s'ingozzano, quella non costa niente, assolutamente niente. Che non ci vengano più a decantare l'Egitto e i Tiranni tartari! Quei dilettanti antiquati erano solo dei pataccari pretenziosi nell'arte suprema di far spremere alla bestia verticale il massimo sforzo sul lavoro. (1992, p. 159)
  • La loro stupidità (non avevano che quella) dipendeva dalla quantità d'alcool che avevano appena ingerito, dalle lettere che ricevevano, dalla quantità più o meno grande di speranza che avevano perso durante la giornata. In generale, più deperivano, più gonfiavano il petto. Fossero stati fantasmi (come Ortolan in guerra), avrebbero avuto la faccia come il culo. (1992, p. 167)
  • Vero che la sua testa era contro di lui, innegabile, angosciosa faccia d'assassino, o piuttosto, per non accusare nessuno, d'uomo imprudente, con una fretta tremenda di realizzarsi, il che fa lo stesso. (1992, p. 168)
  • Che passeggiata! Il Papaoutah fendeva l'acqua come se l'avesse sudata tutta lui stesso, dolorosamente. (1992, p. 169)
  • Era prostrato dalla formidabile rassegnazione, quella stessa qualità di base che rende i poveri diavoli dell'esercito o d'altre parti così pronti a uccidere o a far vivere. (1992, p. 173)
  • Mai, o quasi, chiedono il perché gli umili, di tutto quel che sopportano. Si odiano gli uni gli altri, e tanto basta. (1992, p. 173)
  • Evidentemente Alcide faceva evoluzioni nel sublime come se fosse casa sua, per così dire con familiarità, dava del tu agli angeli, 'sto ragazzo, e aveva l'aria di niente. Aveva offerto quasi senza un dubbio a una ragazzina vagamente imparentata anni di tortura, l'annichilimento della sua povera vita in quella torrida monotonia, senza condizioni, senza mercanteggiare, senz'altro interesse che quello del suo buon cuore. Offriva a quella ragazzina lontana tanta tenerezza da rifare il mondo intero e questo non si vedeva. S'addormentò di colpo, alla luce della candela. Finì che mi alzai per guardare bene i suoi tratti alla luce. Dormiva come tutti. Aveva l'aria proprio normale. Però non sarebbe poi tanto male se ci fosse qualcosa per distinguere i buoni dai cattivi. (1992, p. 182)
  • Ma gli trovai, osservandolo, in seguito, una faccia indubbiamente avventurosa, una faccia dagli angoli ben marcati e perfino una di quelle teste da rivoltoso che entrano troppo nel vivo dell'esistenza invece di scivolarci sopra [...]. (1992, 185)
  • I tramonti di quell'inferno africano si rivelavano straordinari. Non te li toglieva nessuno. Ogni volta tragici come mostruosi assassinii del sole. Un immenso bluff. (1992, p. 190)
  • Niente costringe i ricordi a manifestarsi come gli odori e le fiamme. (1992, p. 199)
  • Il mondo sa solo ucciderti come un dormiente quando si gira, il mondo, su di te, come un dormiente uccide le sue pulci. (1992, p. 200)
  • È con gli odori che finiscono gli esseri, i paesi e le cose. Tutte le avventure se ne vanno per il naso. (1992, p. 205)
  • È molto raro che la vita torni al vostro capezzale, ovunque voi siate, in un modo che non abbia la forma di uno scherzo da prete. (1992, p. 205)
  • New York è una città in piedi. (1992, p. 208)
  • Ma da noi, si sa, sono sdraiate le città, in riva al mare o sui fiumi, si allungano sul paesaggio, attendono il viaggiatore, mentre quella, l'americana, lei non sveniva, no, lei si teneva bella rigida, là, per niente stravaccata, rigida da far paura. (1992, p. 208)
  • Forse è anche l'età che sopraggiunge, traditora, e ci annuncia il peggio. Non si ha più molta musica in sé per far ballare la vita, ecco. (1992, p. 225)
  • Tutta la gioventù è già andata a morire in capo al mondo nel silenzio della verità. E dove andar fuori, ve lo chiedo, quando uno non ha più dentro una quantità sufficiente di delirio? La verità, è un'agonia che non finisce mai. La verità di questo mondo è la morte. Bisogna scegliere, morire o mentire. Non ho mai potuto uccidermi io. (1992, p. 225)
  • Non bisogna credere che è facile addormentarsi una volta che ti sei messo a dubitare di tutto, soprattutto a causa di tutte quelle paure che ti hanno fatto. (1992, p. 226)
  • Quasi tutti i desideri del povero sono puniti con la prigione. (1992, p. 226)
  • Uno sceglie tra i sogni quelli che gli riscaldano meglio l'anima. Per me, lo confesso, erano quelli sporchi. (1992, p. 227)
  • In Africa, avevo certo conosciuto un genere di solitudine abbastanza feroce, ma l'isolamento in quel formicaio americano prendeva una piega ancora più opprimente. (1992, p. 229)
  • Siamo per natura così superficiali, che soltanto le distrazioni ci possono impedire davvero di morire. (1992, p. 230)
  • Bisogna rassegnarsi a conoscersi ogni giorno un po' meglio, dal momento che vi manca il coraggio di finirla con i vostri piagnistei una volta per tutte. (1992, p. 231)
  • Filosofeggiare non è che un altro modo di aver paura e porta solo sterili fantasie. (1992, p. 232)
  • Non si scappa mica al commercio americano. (1992, p. 234)
  • Gli nasconde tutto la vita agli uomini. Nel rumore che fanno loro stessi non sentono niente. Se ne fottono. E più la città è grande e più è alta e più se ne fottono. Ve lo dico io. Ho provato. Val mica la pena. (1992, p. 235)
  • Bisognerebbe proprio chiudere il mondo per due o tre generazioni almeno se non ci fossero più bugie da raccontare. Non ci sarebbe più niente da dirsi o quasi. (1992, p. 239)
  • È forse questo che si cerca nella vita, nient'altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi, prima di morire.
    Sono passati anni da quella partenza e poi ancora anni... Ho scritto spesso a Detroit e poi altrove a tutti gli indirizzi che mi ricordavo e dove potevano conoscerla, seguirla Molly. Non ho mai ricevuto risposta. [...]
    Per lasciarla mi ci è voluta proprio della follia, della specie più brutta e fredda. Comunque ho difeso la mia anima fino ad oggi e se la morte, domani, venisse a prendermi non sarei, ne sono certo, mai tanto freddo, cialtrone, volgare come gli altri, per quel tanto di gentilezza e di sogno che Molly mi ha regalato nel corso di qualche mese d'America. (1992, p. 264)
  • Tradire, si dice, è presto detto. Bisogna anche cogliere l'occasione. È come aprire una finestra in prigione, tradire. Ne hanno voglia tutti, ma è raro che ci riesci. (1992, p. 380)
  • Un padrone si sente sempre un po' tranquillizzato dall'infamia dei suoi dipendenti. (1992, p. 471)
  • Non credete mai a prima vista all'infelicità degli uomini. Chiedetegli se riescono ancora a dormire... Se sì, va tutto bene. Basta quello. (1992, p. 472)
  • Si ha un bel dire e pretendere, il mondo ci lascia molto prima che ce ne andiamo per davvero. (1992, p. 503)
  • Non si sale mica nella vita, si scende. Lei non poteva più. Lei non poteva più scendere fin dove ero io... C'era troppa notte per lei intorno a me. (1992, p. 508)
  • A confronto di questo vizio delle forme perfette, la cocaina non è che un passatempo per capistazione. (1992, p. 519)
  • Il nostro stizzoso sapere delle cose di questo mondo faceva il broncio a quella gioia se l'istinto vi trovava il suo tornaconto, stava sempre lì quel sapere, spaurito in fondo, rifugiato nei sotterranei dell'esistenza, rassegnato al peggio per abitudine, per esperienza. (1992, p. 519)
  • Nel chiosco accanto vicino al metrò la donna che vende se ne frega dell'avvenire, si gratta la vecchia congiuntivite e se la infetta con le unghie. È un piacere anche quello, oscuro e costa niente. (1992, p. 530)
  • I miei sentimenti erano come una casa in cui si va solo per le vacanze. È appena abitabile. (1992, p. 545)
  • Avere dei dispiaceri non è tutto, bisognerebbe poter ricominciare la musica, andarne a cercare ancora di dispiaceri... (1992, p. 548)
  • Un'idea più grossa ancora della mia grossa testa, più grossa di tutta la paura che c'era dentro, una bella idea, magnifica e comodissima per morire... (1992, p. 549)
  • Le idee che avevo io gironzolavano piuttosto nella mia testa con un sacco di spazio intorno, erano come delle candeline dimesse e vacillanti che se ne stanno a tremolare tutta la vita nel mezzo d'uno spaventoso universo proprio orribile... (1992, p. 549)
  • La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte.
  • I tramonti di quell'inferno africano si rilevavano straordinari. Non te li toglieva nessuno. Ogni volta tragici come mostruosi assassinii del sole. Un immenso bluff. Soltanto che c'era troppo da ammirare per un uomo solo. Il cielo per un'ora si pavoneggiava tutto spruzzato da un capo all'altro d'uno scarlatto delirante, e poi il verde scoppiava in mezzo agli alberi e s'innalzava dal suolo a strisce tremanti fino alle prime stelle. Dopo di che il grigio riprendeva tutto l'orizzonte e poi di nuovo il rosso, ma allora stanco il rosso e non per molto. Finiva così. Tutti i colori ricadevano a brandelli, afflosciati sulla foresta come vecchi stracci alla centesima replica. Ogni giorno verso le sei era esattamente così che andava. E la notte con tutti i suoi mostri entrava allora in ballo tra mille e mille rumori di gole di rospo.
  • Chi parla dell'avvenire è un cialtrone, è l'adesso che conta. Invocare i posteri, è parlare ai vermi. (2011)
  • La natura è una cosa spaventosa e anche quando è decisamente addomesticata [...] continua a dare una sorta di angoscia ai veri cittadini. (2011)
  • [...] quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia. [...] È con l'amore che comincia. Luigi XVI, lui almeno, ricordiamocelo, se ne sbatteva clamorosamente del buon popolo. Luigi XV, lo stesso. Ci si puliva l'anello sfinterico. Non si viveva tanto bene, ma non mettevano nello sbudellarli la testardaggine e l'accanimento che vediamo nei nostri tiranni di adesso. [...] I filosofi, son loro [...] che hanno cominciato a raccontargli delle storie al buon popolo... Lui che conosceva solo il catechismo! Si son messi, proclamarono loro, a educarlo... Ah! Ce ne avevano di verità da rivelargli! E di belle! [...] È così! ecco che ti comincia a dire il buon popolo, è proprio così! Assolutamente così! Moriamoci per 'sta roba! Domanda solo di morire il popolo! È fatto così. "Viva Diderot", si son messi a gridare e poi "Bravo Voltaire". (2011, p. 80)

Lontano, il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo ha passato il ponte, ancora un'arcata, un'altra, la chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano... Chiamava a sé tutte le chiatte del fiume tutte, e la città intera, e il cielo e la campagna, e noi, tutto si portava via, anche la Senna, tutto, che non se ne parli più.

Citazioni su Viaggio al termine della notte

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  • Uno dei gridi più feroci, più strazianti che l'uomo abbia mai gettato. (Gaëtan Picon).

Citazioni su Louis-Ferdinand Céline

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  • Ferdinand ha sempre avuto dentro un diavolo impaziente di torturare gli amici per mettere alla prova la loro fedeltà o soltanto per esibizione o soltanto per ridere... Dio sa se da parte sua ho saputo di amicizie, benevolenze, buffonate ripagate con carognate insigni, aberranti addirittura. (Robert Le Vigan)
  • Fin dall'inizio (Voyage au bout de la nuit, 1932) fu chiaro che a Céline la «lurida» realtà interessava solo se avesse potuto trasformarsi nell'autentico protagonista del suo narrare: la lingua. Di essa ci sono note caratteristiche minori, quali l'insistenza sui dettagli, le ripetizioni, i puntini; senonché è proprio dal grande amalgama del linguaggio che la realtà finisce per affiorare in tutta la sua evidenza. (Giacinto Spagnoletti)
  • L'arte non è mai duplicazione del reale: e Céline ci fornisce un documento prezioso e indicativo. Lo scrittore ci consegna l'allucinazione che la realtà provoca in lui. Si confronta con gli avvenimenti per individuare le allucinazioni che producono dentro di lui. Narra il reale attraverso il processo alienante con il quale è vissuto nei segreti della sua psicologia. E ne vengono fuori aberrazioni, rimorsi, speranze e le grandi paure. (Francesco Grisi)
  • Mescolando al realismo epico la poesia del linguaggio, Céline è il Rabelais di oggi, un Rabelais senza la salute, senza l'ottimismo né la fiducia nell'uomo. Un Rabelais senza illusioni:Creperò nella vergogna, l'ignominia e la povertà e tutto questo per imbecillità. Un Rabelais nero. Il Rabelais che meritiamo, il Rabelais dell'era atomica. (Jean-Louis Bory)
  • Céline il bambino, lo scemo del villaggio, il mostro, il brontosauro fossile. L'imbrattacarte con gli occhiali cerchiati di ferro sul naso e la penna sapiente che corre, dove crepita una scintilla luminosa... Povero Céline! Caro Céline!!
  • Il presunto giardiniere veste una sudicia pelandrana, ha il viso scavato, da anacoreta stanco, dove la bocca dolorosamente contratta contraddice gli occhi socchiusi e attraversati da una fiamma dura. Si tratta del dottor Destouches, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Louis-Ferdinand Céline, autore del più clamoroso successo letterario d'anteguerra, creatore di quel Bardamu cui somiglia fino a sembrarne il sosia, aggiungendovi forse una maggiore sciatteria, volgarità, pittoresca misantropia (e invincibile candore).
  • Il volto sempre più scavato, disfatto dalla sofferenza. L'occhio sinistro socchiuso, l'espressione nobile e prostrata, la calma del martire che dosa le ultime risorse. L'occhio destro spalancato, bruciante, pungente, duro... Qualcosa di canzonatorio, beffardo, plebeo: da osservatore scafato, da monello parigino... mentre nell'occhio sinistro vive il galantuomo stravolto dal dolore, colui che ha voluto dire al prossimo suo cose utili e urgenti; e l'hanno fatto a pezzi, senza un perché.
  • Molti guerrafondai erano ebrei. L'autore del Voyage non aveva nulla contro Israele. Anzi, aveva sempre mantenuto ottimi rapporti con molti israeliti. Nei suoi due primi romanzi non c'è un solo spauracchio col naso adunco. Tutto è cominciato intorno al 1933: prime avvisaglie di guerra. Se fossero stati i cinesi o gli anabattisti a volerla, Céline li avrebbe trattati con la stessa virulenza, senza preoccuparsi di prudenti eufemismi.

Note

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  1. Da Per abbattere la disoccupazione abbatteranno i disoccupati?, in I sotto uomini. Testi sociali, a cura di Giuseppe Leuzzi, Shakespeare and Company, 1993, pp. 116-117. ISBN 88-8131-020-1
  2. Da Bagattelle per un massacro.
  3. Da una lettera ad Albert Paraz, (FR) Citato in Jean-Louis Cornille, Conte d'auteur, Presses universitaires du Septentrion, 1992, p. 255. ISBN 2-85939-398-4
  4. Da una lettera a Elie Faure della primavera del 1934. Citato in Mea culpa, p. 68.
  5. Da Per abbattere la disoccupazione abbatteranno i disoccupati?, in I sotto uomini, pp. 117-118.
  6. Da una lettera a Elie Faure della primavera del 1934. Citato in Mea culpa, p. 69.
  7. Da una lettera a Robert Le Vigan, citato in Philippe Alméras, Cèline, Corbaccio, Milano, 1977, p. 473. ISBN 88-7972-233-6
  8. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  9. Dell'Unione Sovietica.
  10. Da Morte a credito, traduzione di Giorgio Caproni, Garzanti, Milano, 2021. ISBN 978-88-11-00184-3
  11. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Louis-Ferdinand Céline, Il Dottor Semmelweis, traduzione di Ottavio Fatica ed Eva Czerkl, Mondadori, 2007.
  • Louis-Ferdinand Céline, Il Dottor Semmelweis, Con un saggio di Guido Ceronetti, traduzione di Ottavio Fatica ed Eva Czerkl, Adelphi, 200412. ISBN 88-459-0182-3
  • Louis-Ferdinand Céline, Mea culpa, introduzione di Giovanni Raboni, traduzione di Giovanni Raboni per Mea culpa, di Antonietta Sanna per i testi in appendice, Guanda, Le Fenici Tascabili, Parma, 2000. ISBN 88-8246-289-7
  • Louis-Ferdinand Céline, Morte a credito, traduzione di Giovanni Caproni, Corbaccio, 2000.
  • Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit, 1932), traduzione di Alex Alexis (pseudonimo di Luigi Alessio), Dall'Oglio, 1966, copia c/o Biblioteca Civica di Varese, Fondo Guido Morselli.
  • Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit, 1932), traduzione e note di Ernesto Ferrero, Corbaccio, 19926, 14, 2011. ISBN 8879720171

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