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Uomo selvatico di Sacco

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L'Homo Salvadego (così chiamato in valtellinese).

Nell'abitato di Sacco di Cosio Valtellino, all'inizio della Val Gerola, vi è un edificio (antica abitazione di notai) che riporta una preziosa testimonianza, perfettamente conservata, del mondo orobico del XV secolo. La camera principale fu utilizzata come fienile fino agli ultimi decenni dell'800, ma questo uso continuato nel tempo non ha però leso la superficie intonacata e affrescata delle pareti.

Come altre "camere picte" di questo periodo, ha decorazioni floreali stampigliate e cartigli con preghiere e proverbi. Diverse figure si succedono sulle pareti: un cacciatore, una grande Pietà con San Bernardo, il committente raffigurato in posa genuflessa, i tre volti della trinità sull'architrave di ingresso e un uomo nudo, ricoperto di peli, che porta una lunga clava, è l'uomo selvatico, dalla cui bocca, come un fumetto, esce la frase:

«Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me ofende ge fo pagura»

La Pietà.

Sopra la Pietà si legge Simon et Battestinus pinxerunt (forse pittori della famiglia Baschenis di Averara, artisti itineranti, famosi per le loro danze macabre) e la data in cui fu conclusa l'opera: "18 maggio 1464"; sotto fino a qualche anno fa era leggibile anche il nome del committente, raffigurato in ginocchio in preghiera, sul lato destro della Pietà: "Augustinus de Zugnonibus".

L'homo salvadego

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In Valchiavenna (ómm salvadich) e Valtellina le testimonianze narrative orali che riguardano direttamente l'homo salvadego sono scarse, eppure il personaggio è una maschera del Carnevale di Samolaco e Gordona (Baghüta) in Valchiavenna e rientra in un'usanza carnevalesca - oggi estinta - a Cepina in Valdisotto:

«Si costruiva nella campagna, al limitare del bosco, una rozza capanna (bajta del bósk). Il più robusto giovane del paese vi si rifugiava con un altro travestito da donna. Ambedue erano coperti di peli e si chiamavano l'uno l'omen del bosk, l'uomo del bosco, l'altro la fémena del bosk, la femmina del bosco. Una squadra di giovani dava poi, armata di fucili, l'assalto alla capanna e l'incendiava. L'uomo e la donna del bosco - costretti a fuggire - venivan rincorsi, fatti prigionieri e tradotti sulla piazza. Quivi, alla presenza del popolo, venivan processati. La sentenza consisteva sempre nello stabilire la separazione dei coniugi, condannandoli uno su una sponda, e l'altro sull'altra della valle, per impedire la procreazione e obbligandoli a mantenersi più su che a mezza montagna, per evitare che tornassero a piantar casa in mezzo alla campagna e devastare i poderi[1]»

Una delle tre Leghe Grigie, quella delle Dieci Giurisdizioni, pose l'uomo selvatico nel proprio stemma, motivando tale scelta col fatto che esso rimanderebbe agli albori del carattere nazionale retico, e a quei sentimenti spirituali infusi nei dati luoghi e nei suoi abitanti prima del cristianesimo[senza fonte].

  1. ^ Citazione desunta da Ivan Fassin, Credenze e leggende dell'area orobica valtellinese: un esempio di interpretazione (seconda parte), Bollettino Società Storica Valtellinese n. 60, 2007, pp. 322-323.

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