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Gabella

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Jan Matsys, Beim Steuereintreiber
La raccolta delle tasse in un dipinto di Jan Matsys.

Il termine gabella (dall'arabo dialettale gabēla, variante di قَبالَةqabāla, 'versamento', passando per il latino medievale gabulum)[senza fonte] indicava nel medioevo varie forme di contribuzione tributaria,[1] ma in particolare venne utilizzato per le imposte solitamente indirette sugli scambi e sui consumi di merci.[2]

La riscossione era affidata ad esattori detti gabellieri, ufficiali pubblici oppure privati che ricevevano l'incarico in appalto.[2]

Le gabelle venivano applicate generalmente ai beni di consumo, in particolar modo i generi alimentari. L'esempio più comune era la gabella sul sale istituita a partire dal XIV secolo, che colpiva duramente la popolazione dato che il sale serviva alla conservazione del cibo, rendendo quest'imposta aspramente detestata.[2]

Esistevano anche altre tipologie di gabelle, come quella delle bestie, ovvero un'imposta sul bestiame; oppure la gabella del fondaco, che indicava nel Regno di Sicilia sotto Federico II di Svevia un dazio commerciale.[1] Inoltre poteva indicare un'imposta sui trasferimenti di capitale, e prendeva il nome di gabella emigrationis se colpiva un emigrante o gabella hereditatis per trasferimenti o eredità in denaro.[2]

Significati traslati

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In Italia meridionale era usato per il contratto della raccolta delle olive (gabella delle olive). A Bologna sotto il pontificato di Giulio III venne emessa una moneta detta Gabella, in quanto il suo valore corrispondeva all'importo daziario cittadino.[1]

Poteva altresì indicare il luogo stesso in cui venivano versati questi tributi,[2] oppure uffici particolari come la Gabella senese.

Regno di Francia

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In Francia una delle imposte più conosciute era la gabella sul sale, tra le più odiate, oltre che una delle meno equamente distribuite. Nonostante la disapprovazione di numerosi riformatori, fu solo nel 1790 che l'imposta venne abolita, per decisione dell'Assemblea nazionale costituente[3]. Dopo un fugace riapparire sotto Napoleone Bonaparte, cadde in disuso e venne definitivamente soppressa nel 1945.[4]

Imposta d'origine romana, era stata riaffermata tra XII e XIII secolo dalla Corona: già istituita come provvedimento temporaneo da Luigi IX nel 1246, poi ripresa da Filippo IV nel 1286, la gabella divenne permanente sotto il regno di Filippo VI che la estese a tutto il reame con ordinanza del 20 marzo 1343, ed il sale divenne così monopolio di Stato.[5]

Poco prima (1342), erano stati istituiti i greniers à sel, insieme magazzini d'ammasso cui i produttori erano obbligati a vendere il sale a prezzo imposto, e tribunali incaricati di giudicare le violazioni alla gabella.[6]

Come per molte tasse ed imposte durante l'Ancien Régime, la riscossione della gabella era sovente appaltata ad intermediari (fermiers) che ne versavano i proventi al re dopo aver riscosso le somme dovute dalla popolazione.

Jean-Baptiste Colbert affidò la riscossione ad una società di appaltatori, La Ferme o Gabelle, che creò un'unica centrale di riscossione al posto degli antichi greniers à sel, con un'articolazione in circoscrizioni provinciali. La Ferme pagava al re una somma fissa, rifacendosi a sua volta sui contribuenti, con ampia autonomia: per massimizzare il profitto stabilì che nei pays di grande gabelle, ogni contribuente non era libero di acquistare la quantità di sale a lui necessaria, bensì era tenuto ad acquistarne una quantità minima prefissata. I funzionari e le istituzioni caritatevoli, invece, godevano del diritto di franc salé, acquistavano cioè il sale al netto di imposte; potevano anzi ricevere il controvalore in denaro del sale che non utilizzavano.

Pays de gabelle

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Carta delle gabelle nel rendiconto di Necker al Re, Parigi 1781

La percezione - e l'applicazione - della gabella non era uniforme. Variava infatti da pays a pays (ordinanza del maggio 1680 di Colbert). La legislazione delle gabelle ripartiva la Francia in sei suddivisioni:

  1. ^ a b c Gabella, su Enciclopedia Treccani. URL consultato il 26 novembre 2021.
  2. ^ a b c d e Gabella, su Dizionario di Economia e Finanza Treccani. URL consultato il 26 novembre 2021.
  3. ^ Françoise Deshairs et Véronique Faucher, Briançon, ville forte du Dauphiné, livre + CD-ROM, La Maison d'à-côté et Fortimédia, ISBN 2-930384-15-8, 2006
  4. ^ Jean Chazelas, La suppression de la gabelle du sel en 1945, in Le rôle du sel dans l'histoire: travaux préparés sous la direction de Michel Mollat, Presses universitaires de France, 1968, pp. 263-65
  5. ^ Sismondi, pag. 229.
  6. ^ Vallez, pag. 549.

Voci correlate

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