Vai al contenuto

Utente:Vincenzo80/Qing

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Voce principale: Dinastia Qing.
Esercito cinese dei Qing
L'ispezione meridionale dell'imperatore Qing Qianlong - DETTAGLIO "Il ritorno a palazzo" (rotolo n. 12) - dipinto di Xu Yang (1764–1770)
Descrizione generale
AttivaXVIII secolo - XX secolo
Nazione Impero cinese - Dinastia Qing
attuali Cina (bandiera) Cina, Mongolia (bandiera) Mongolia, Taiwan (bandiera) Taiwan
ServizioForza armata
Tipoforze armate di fanteria, cavalleria e navali
RuoloDifesa nazionale
Dimensionecirca 1 000 000 (Prima guerra sino-giapponese)
Battaglie/guerreTransizione tra Ming e Qing; Dieci grandi campagne; Guerre dell'oppio; Prima guerra sino-giapponese
Parte di
Imperatore
Ministro della guerra
Reparti dipendenti
Otto Bandiere
Guardia imperiale
Esercito dello Stendardo Verde
Flotta del Pei-yang
Nuovo Esercito (Corpo d'armata del Pei-yang)
Comandanti
Degni di notaDorgon
Qing Qianlong
Zeng Guofan
Vedi bibliografia
Voci su unità militari presenti su Wikipedia

La dinastia Qing (1636–1912), l'ultima dinastia della Cina imperiale, fu fondata sulla conquista e mantenuta dalla forza armata. Gli imperatori fondatori organizzarono e guidarono personalmente i loro eserciti e nei secoli successivi la legittimità culturale e politica della dinastia dipese dalla capacità di difendere il paese dalle invasioni ed espanderne il territorio. Le istituzioni militari, oltre alla capacità di governare, furono fondamentali per il successo iniziale e cruciali nel decadimento finale della dinastia Qing.

L'imperatore Qing Qianlong in armatura cerimoniale a cavallo - dipinto di Giuseppe Castiglione.

L'originale organizzazione militare degli Jurchen-Qing si basava sulle c.d. "Otto Bandiere" (mnc. Jakūn gūsa; zh. 八旗T, BaqíP), un'istituzione ibrida che svolgeva anche ruoli socio-politici[1] sviluppata nel 1601 e formalizzata nel 1615 dal khan Nurhaci (r. 1616–1626), già vassallo della dinastia Ming (1368–1644) allora regnante in Cina e retrospettivamente riconosciuto fondatore dei Qing. Suo figlio Huang Taiji (r. 1626–1643) ribattezzò gli Jurchen "Manciù", incorporò nel sistema delle Bandiere prima soldati mongoli e poi cinesi-Han (mnc. Nikan cooha; zh. 漢軍T, HànjūnP, lett. "Cinesi [Han] militari") con le truppe Ming che s'arresero o disertarono ai Qing tra il 1636 ed il 1644. Dopo il 1644, le truppe cinesi Ming passate ai Qing furono integrate dal principe Dorgon (r. 1643–1650) nell'Esercito dello Stendardo Verde, un corpo in cui effettivi alla fine superarono in ratio 3:1 le forze mancesi delle Bandiere.[2]

L'uso della polvere da sparo durante il primo periodo Qing (o "Alto Qing"), appreso dal confronto/scontro con i Ming, rese la neonata dinastia capace di competere con i c.d. "Imperi della polvere da sparo" dell'Asia occidentale (i.e. Impero ottomano, Impero safavide e Impero moghul).[3][4] I principi mancesi della casata Aisin Gioro guidarono le Bandiere nella sconfitta degli eserciti Ming ma dopo la fine delle ostilità (1683), sia le Bandiere sia lo Stendardo Verde iniziarono a perdere d'efficienza. Stanziati nelle città, i soldati Qing avevano infatti poche occasioni per esercitarsi ed erano suscettibili di corruzione ed altre malversazioni. I Qing usarono comunque armamenti e logistica superiori per espandersi profondamente nell'Asia centrale, sconfiggere i mongoli Zungari nel 1759 e completando la conquista cinese dello Xinjiang.

Nonostante il fulgore dinastico delle c.d. "Dieci grandi campagne" dell'imperatore-soldato Qing Qianlong (r. 1735–1796), il pur numericamente consistente esercito Qing (ormai 800.000 uomini, di cui 600.000 dello Stendardo Verde e 200.000 delle Bandiere)[2] divenne in gran parte inefficace entro la fine del XVIII secolo. Ci vollero infatti a Pechino quasi dieci anni ed un enorme sperpero fiscale per sconfiggere la mal equipaggiata Ribellione del Loto Bianco (1795–1804), in parte legittimando milizie guidate dalle élite cinesi Han locali.[5] La tecnologia militare della rivoluzione industriale europea rese poi rapidamente obsoleti gli armamenti e, di conseguenza, le forze armate Qing nel confronto con le sempre più aggressive potenze coloniali occidentali:[3] es. nella Prima guerra dell'oppio (1840–1842) le cannoniere della Royal Navy costrinsero rapidamente alla resa le forze Qing.

Nella seconda metà del XIX secolo, il potere militare Qing collassò. La Rivolta dei Taiping (1850–1864), una guerra civile di vasta portata iniziata nel sud della Cina, portò forze ostili a poche miglia da Pechino (1853) senza che l'esercito imperiale potesse fare alcunché, con la Corte mancese costretta a lasciare che i suoi governatori di etnia Han, guidati inizialmente da Zeng Guofan, formassero eserciti regionali. Questo nuovo tipo di esercito e leadership sconfisse i ribelli ma segnò la fine del dominio dei Manciù sull'establishment militare. Nel 1860 le forze britanniche e francesi nella Seconda guerra dell'oppio (1856–1860) conquistarono Pechino e saccheggiarono il Palazzo d'Estate. La Corte, scossa, tentò di modernizzare le sue istituzioni militari e industriali acquistando la tecnologia europea. Questo movimento di autorafforzamento fondò cantieri navali (in particolare l'Arsenale di Jiangnan e l'Arsenale di Foochow ) e acquistò cannoni e corazzate moderne in Europa. La marina Qing divenne la più grande dell'Asia orientale ma l'organizzazione e la logistica furono inadeguate, la formazione degli ufficiali carente e la corruzione diffusa. La Flotta del Pei-yang fu praticamente distrutta e le forze di terra modernizzate furono sconfitte nella Prima guerra sino-giapponese (1894–1895). I Qing crearono allora il c.d. "Nuovo Esercito" ma non poterono impedire all'Alleanza delle otto nazioni di invadere la Cina per reprimere la Ribellione dei Boxer nel 1900. La Rivolta di Wuchang nel 1911 che vide coinvolte proprie le forze del Nuovo Esercito aprì la Rivoluzione cinese che pose fine all'impero della dinastia Qing.

Contesto storico

[modifica | modifica wikitesto]
"Massacro di Yangzhou" - xilografia tardo-Qing.
Alla fine del XIX secolo, il massacro fu strumentalizzato dai rivoluzionari per fomentare risentimento verso i Manciù tra la popolazione Han.
Lo stesso argomento in dettaglio: Transizione tra Ming e Qing.

khan Nurhaci (r. 1616–1626)

khan Huang Taiji (r. 1626–1643)

Dorgon (r. 1643–1650) ... Dorgon si assicurò a quel punto di distribuire le forze delle Bandiere sul territorio cinese appena conquistato, anzitutto a Pechino, facendone una forza d'occupazione militare che divenne intrinseca alla loro stessa natura.

Lo stesso argomento in dettaglio: Dieci grandi campagne.
Scontro tra i Qing e gli uiguri Khoja al lago Eshilkul (1759).Esempio di uno dei quadri d'argomento militare commissionati dall'imperatore Qing Qianlong.[6]

L'imperatore Qing Qianlong (r. 1735–1796) ...

Nonostante l'eclatante eco militare delle vittoriose campagne di Qianlong, le forze Qing erano già negli anni 1740 tutt'altro che un esercito modello. Un'ormai secolare vita di guarnigione aveva logorato l'efficienza, il morale e le competenze tecniche tanto delle Bandiere quanto dello Stendardo Verde. La corruzione ed il vizio dilagavano tra i ranghi mongoli, mancesi e cinesi,[7] mentre i soldati davano prova, sul campo, d'inaccettabili livelli di inefficienza ed incompetenza: es. quando gli artiglieri dello Stendardo si dimostrarono incapaci di cannoneggiare efficacemente i Ribelli del Loto Bianco di Wang Lun nel 1774, il viceré al comando delle operazioni non poté far altro che incolpare del fallimento la magia nera nemica! Furiosa fu allora la risposta di Qianlong che definì l'incompetenza con le armi da fuoco «malattia comune e pervasiva» dello Stendardo Verde i cui artiglieri erano pieni di scuse.[8]

Gli imperatori Qing tentarono d'invertire il declino dell'esercito attraverso una varietà di mezzi. Come anticipato, già al tempo di Qianlong che pur aveva spinto l'impero alla sua estensione massima, sia l'imperatore sia i suoi generali ebbero modo di criticare il declino della marzialità delle Bandiere e dello Stendardo.[9][10] Qianlong ripristinò allora la tradizione della 秋獮T, 秋狝S, lett. "Caccia autunnale" a Mulan come forma d'addestramento militare: migliaia di soldati, selezionati tra le Bandiere (di Pechino quanto delle Province), vi partecipavano obbligatoriamente.[11][N 1] Qianlong promosse anche la cultura militare, comandando ai pittori di corte numerose grandi opere su temi militari: vittoriose battaglie, ispezioni/parate dell'armata imperiale, cacce imperiali, ecc.[6]

Il generale Qing Zeng Guofan.

Nonostante i buoni propositi di Qianlong, il XIX secolo registrò la sempre più marcata decadenza del potere militare cinese. L'erede di Qianlong, Qing Jiaqing (r. 1796–1820), che pur proseguì nella tradizione della caccia autunnale, aveva ereditato un impero prostrato dalle lunghe guerre, la cui deteriorata economia andava generando numerose rivolte: l'ennesima Ribellione del Loto Bianco (1795–1804), la Ribellione dei Miao (1795–1806) e la Rivolta degli otto trigrammi del 1813. Jiaqing non intraprese pertanto campagne militari né promosse l'ammodernamento di truppe ed armamenti, bensì ridusse le spese militari mentre ricorreva a forti (e spesso inefficienti) distaccamenti militari per reprimere i disordini. La situazione non migliorò con l'imperatore Qing Daoguang (r. 1820–1850) che ...

All'inizio della Rivolta dei Taiping (1850–1864), le forze Qing subirono una serie di disastrose sconfitte culminate nella perdita della capitale regionale di Nanchino (1853), ove i ribelli massacrarono l'intera guarnigione Manciù e le loro famiglie in città e ne fecero la loro capitale.[12] Poco dopo, un corpo di spedizione Taiping penetrò fino ai sobborghi di Tientsin in quelle che erano considerate le terre del cuore dell'impero. In preda alla disperazione, la corte Qing ordinò a un mandarino cinese, Zeng Guofan, d'organizzare le milizie regionali (zh. 團勇T, 团勇S, Tuán YǒngP) e di villaggio (zh. 鄉勇T, 乡勇S, Xiāng YǒngP) in un esercito permanente chiamato Tuanlian per contenere la ribellione. Zeng Guofan s'affidò alla nobiltà locale per creare una nuova forza militare nelle province direttamente minacciate dai Taiping: il c.d. "Esercito Xiang", dal nome della regione del Hunan ove fu organizzato; un ibrido tra milizia locale ed esercito permanente di soldati professionisti pagati però dalle casse regionali e dai fondi degli ufficiali, per lo più membri della nobiltà cinese, e non dall'erario. L'esercito Xiang e il suo successore, l'Esercito Huai, creato da Li Hongzhang, discepolo di Zeng Guofan, furono collettivamente chiamati "Yong Ying".[13]

Prima di formare e comandare l'esercito Xiang, Zeng Guofan non aveva esperienza militare. Mandarino di classica formazione neoconfuciana, derivò l'idea dell'Esercito Xiang da una fonte storica: il caso del generale Ming Qi Jiguang che, scontento dell'inefficiente truppa imperiale del suo tempo (XVI secolo) aveva creato il suo esercito privato per respingere i pirati Wokou. L'idea di Qi Jiguang era legare la lealtà delle truppe ai loro ufficiali ed alle regioni d'appartenenza, direttamente minacciate dal nemico, per irrobustirne, come avvenne, lo spirito di corpo. Una soluzione ad hoc ad un problema specifico tanto quanto fatto da Zeng Guofan con l'Esercito Xiang, creato per sradicare i Taiping!

Le truppe Yong Ying divennero però un'istituzione permanente all'interno dell'esercito Qing che a lungo termine crearono problemi enormi al governo centrale ch'erano nate per difendere. Anzitutto, lo Yong Ying segnò la fine del dominio mancese sul establishment militare mancese. Sebbene le Bandiere e lo Stendardo Verde persistessero come parassiti ai danni dell'erario, lo Yong Ying fornì de facto le truppe di prima linea dell'impero. Lo Yong Ying fu inoltre finanziato attraverso le casse provinciali e guidato da comandanti regionali, in una devoluzione del potere che indebolì la presa di Pechino sulla nazione, cosa doppiamente dannosa nell'allora congiuntura politica globale caratterizzata dal sempre più marcato espansionismo coloniale degli Europei che nella seconda metà del XIX secolo si facevano sempre più presenti in isolate enclave dell'impero. Nonostante questi gravi effetti negativi, la misura fu ritenuta necessaria poiché le entrate fiscali delle province occupate e minacciate dai ribelli avevano cessato di affluire alla capitale bisognosa di liquidità. Infine, la natura della struttura di comando Yong Ying favorì nepotismo e clientelismo tra i comandanti che, salendo i ranghi burocratici, gettarono i semi per la fine dei Qing e il dilagare a livello regionale del fenomeno dei "signori della guerra" che avrebbe caratterizzato la Cina nella prima metà del XX secolo.[13]

Alla fine dell'Ottocento, la Cina stava rapidamente decadendo al livello d'uno stato semi-coloniale. Anche gli elementi più conservatori all'interno della corte Qing non poterono più ignorare la debolezza militare dell'impero in contrasto con i "barbari" stranieri che letteralmente battevano ai suoi cancelli. Sebbene i cinesi abbiano inventato la polvere da sparo e le armi da fuoco fossero state da loro utilizzate continuamente sin dalla dinastia Song (960–1279), l'avvento delle armi moderne risultante dalla rivoluzione industriale europea aveva reso obsoleti l'esercito e la marina cinese tradizionalmente addestrati ed equipaggiati.[3] Nel 1860, durante la seconda guerra dell'oppio, la capitale Pechino fu conquistata e il Palazzo d'Estate saccheggiato da una forza della coalizione anglo-francese relativamente piccola (25.000 uomini).

Il Movimento di autorafforzamento

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Movimento di autorafforzamento.
Diverse figure importanti come Zaitao, Zaixun, Xu Shichang, Sheng Xuanhuai, Zaizhen e Yinchang

Dopo l'umiliante cattura di Pechino e il sacco del Palazzo d'Estate nel 1860, funzionari come Zeng Guofan, Li Hongzhang e il manciù Wenxiang si sforzarono di acquisire armi occidentali avanzate e copiare l'organizzazione militare occidentale.[14] Brigate speciali di soldati cinesi equipaggiati con fucili moderni e comandati da ufficiali stranieri (es. l'esercito, sempre vittorioso, comandato da Frederick Townsend Ward e poi da Charles George Gordon) aiutarono Zeng e Li a sconfiggere i ribelli Taiping.[14] L'esercito Huai di Li Hongzhang acquisì anche fucili occidentali e incorporò in pianta stabile alcune esercitazioni occidentali.[14] Nel frattempo, a Pechino, il principe Gong e Wenxiang crearono un esercito d'élite, il "Peking Field Force", armato di fucili russi e cannoni francesi e addestrato da ufficiali britannici.[15] Quando questa forza di 2.500 alfieri sconfisse un esercito di banditi superiore in numero in ratio 10:1, avvalorò la tesi di Wenxiang che un piccolo ma ben addestrato e ben equipaggiato esercito mancese sarebbe stato sufficiente per difendere la capitale in futuro.[16]

Grande enfasi fu data all'ammodernamento degli armamenti Qing. Per produrre fucili, artiglieria e munizioni moderne, Zeng Guofan fondò un arsenale a Suzhou, poi trasferito a Shanghai ed infine ampliato nell'arsenale di Jiangnan (completato nel 1865).[17] Nel 1866 fu creato il sofisticato cantiere navale di Fuzhou sotto la guida di Zuo Zongtang, il cui obiettivo era la costruzione di moderne navi da guerra per la difesa costiera.[17] Dal 1867 al 1874 costruì quindici nuove navi.[18] Altri arsenali furono creati a Nanchino, Tianjin (servì come una delle principali fonti di munizioni per gli eserciti della Cina settentrionale negli anni 1870 e 1880), Lanzhou (per sostenere la repressione di Zuo Zongtang di una grande rivolta musulmana nel nord-ovest), Sichuan, e Shandong.[17] Prosper Giquel, un ufficiale della marina francese che prestò servizio come consigliere al cantiere di Fuzhou, scrisse nel 1872 che la Cina stava rapidamente diventando un formidabile rivale delle potenze occidentali.[19]

Soldato di fanteria cinese d'inizio XX secolo.

Grazie a queste riforme, il governo Qing ottenne un grande vantaggio sui ribelli interni. Dopo aver sconfitto i Taiping nel 1864, gli eserciti da poco equipaggiati alla occidentale sconfissero la ribellione di Nian nel 1868, i Miao dell Guizhou nel 1873, la ribellione di Panthay nello Yunnan nel 1873 e la massiccia Rivolta dei Dungani (1862-1877) (d'ispirazione religiosa) che aveva inghiottito lo Xinjiang. Oltre a reprimere le rivolte interne, i Qing combatterono anche le potenze straniere con relativo successo. Gli eserciti Qing riuscirono a risolvere diplomaticamente la crisi del 1874 con il Giappone su Taiwan, costrinsero i russi a lasciare la valle del fiume Ili nel 1881 e combatterono i francesi fino a fermarli nella Guerra franco-cinese (1884-1885) nonostante i molti fallimenti nella guerra navale.[20]

Osservatori stranieri riferirono che, una volta completato il loro addestramento, le truppe cinesi del Wuchang erano paragonabili a forze militari europee contemporanee.[21] I mass media in Occidente dipingevano nel frattempo la Cina come una potenza militare emergente grazie ai suoi programmi di modernizzazione, addirittura una minaccia per il mondo occidentale quale possibile conquistatrice di lontane colonie orientali (es. l'Australia). Gli eserciti cinesi furono elogiati da John Russell Young, inviato degli Stati Uniti, che commentò «niente sembrava più perfetto», prevedendo addirittura un futuro confronto tra America e Cina.[22] L'osservatore militare russo D.V. Putiatia visitò la Cina nel 1888 e scoprì che nella Cina nord-orientale (attuale Manciuria), lungo il confine russo-cinese, i soldati cinesi erano potenzialmente in grado di diventare abili nelle "tattiche europee" in determinate circostanze e che i soldati Qing erano equipaggiati d'armi moderne: artiglieria Krupp, carabine Winchester e fucili Mauser.[23][24] Alla vigilia della Prima guerra sino-giapponese, lo stato maggiore tedesco predisse una sconfitta giapponese e William Lang, uno dei consiglieri britannici dell'esercito cinese, lodò l'addestramento, le navi, i cannoni e le fortificazioni cinesi, affermando che «alla fine, non c'è dubbio che il Giappone debba essere completamente schiacciato.»[25]

Nel 1894–1895, combattendo per l'influenza in Corea, le truppe giapponesi sconfissero le forze Qing.

I miglioramenti militari risultanti dalla modernizzazione delle riforme furono sostanziali ma si rivelarono comunque insufficienti, poiché i Qing furono sonoramente sconfitto dal Giappone Meiji nella Prima guerra sino-giapponese (1894-1895).[26] Anche le migliori truppe cinesi, l'esercito Huai e la Flotta del Pei-yang, entrambe comandate da Li Hongzhang, non poterono competere con l'esercito e la marina giapponese meglio addestrati, meglio guidati e più veloci.[27]

Quando fu sviluppata per la prima volta dall'imperatrice vedova Cixi (r. 1861–1872, 1875–1889 e 1898–1908), si disse che la Flotta del Pei-yang fosse la marina più forte dell'Asia orientale. Prima che suo figlio adottivo, l'imperatore Qing Guangxu (r. 1875–1908), assumesse direttamente il potere (1889), Cixi scrisse ordini espliciti che la marina doveva continuare a svilupparsi ed espandersi gradualmente.[28] Tuttavia, dopo il ritiro di Cixi, lo sviluppo navale e militare s'interruppe drasticamente. Una certa corrente storiografica ha indicato in Cixi,[29] rea presunta dell'indebita appropriazione di fondi della marina per costruire il Palazzo d'Estate (Pechino), la causa della sconfitta della Cina da parte del Giappone. Ricerche approfondite cinesi hanno però confermato che l'imperatrice-vedova non fu la causa del declino della marina cinese, dovuto, in realtà, alla mancanza d'interesse di Guangxu nello sviluppo e nel mantenimento delle sue forze armate.[28] Il fidato consigliere imperiale, il Gran Tutore Weng Tonghe, consigliò infatti a Guangxu di tagliare tutti i fondi alla marina e all'esercito, non ritenendo il Giappone una minaccia, mentre lo stesso Guangxu aveva preferito dedicarsi alla gestione dei diversi disastri naturali che nei primi anni 1890 avevano afflitto la Cina.[28]

Le sconfitte militari subite dalla Cina sono più realisticamente riconducibili alla faziosità dei governatori militari regionali: es. la Flotta del Pei-yang rifiutò di partecipare alla guerra sino-francese nel 1884[30] e, per ritorsione, la flotta di Nanyang rifiutò di schierarsi durante la guerra sino-giapponese del 1895.[31] Li Hongzhang stesso volle mantenere il diretto controllo della Flotta Nanyang e la mantenne nel nord della Cina perché temeva che, una volta spostata nel sud, sarebbe stata manipolata dai funzionari meridionali.[N 2] La Cina non ebbe poi un ammiraglio a capo di tutte le flotte prima del 1885,[32] permettendo la gestione autonoma delle marine della Cina settentrionale e meridionale dai rispettivi ammiragli e mettendo così il nemico giapponese nella condizione di dover affrontare solo un segmento della marina cinese e non l'intera flotta potenziale![N 3]

I capi militari e gli eserciti formati alla fine del XIX secolo continuarono a dominare la politica fino al XX secolo. Durante quella che fu chiamato il Periodo dei signori della guerra (1916-1928) gli eserciti del tardo Qing combatterono tra loro e/o contro nuovi gruppi militari.[33]

Le unità militari

[modifica | modifica wikitesto]

Otto Bandiere

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Otto Bandiere.
Elmo Qing del XVII secolo.

Una delle chiavi della riuscita unificazione degli Jurchen da parte di khan Nurhaci e della sua sfida alla dinastia Ming all'inizio del XVII secolo fu la formazione delle Otto Bandiere (mnc. Jakūn gūsa; zh. 八旗T, BaqíP) un'istituzione militare efficiente che svolgeva anche funzioni economiche, sociali e politiche.[34] Sin dal 1601 e forsanche prima, Nurhaci fece iscrivere i suoi soldati e le loro famiglie in compagnie permanenti conosciute come niru, lo stesso nome dei piccoli gruppi di caccia in cui gli Jurchen si univano tradizionalmente per andare in guerra.[35] Qualche tempo prima del 1607, queste compagnie furono raggruppate in unità più grandi chiamate gūsa (it. "bandiere"), differenziate per colori: giallo, bianco, rosso e blu.[36] Nel 1615 fu aggiunto un bordo rosso a ciascuna bandiera (tranne quella rossa che fu bordata di bianco) per formare un totale di otto bandiere che le truppe Jurchen portarono in battaglia.[36] Questo sistema consentì al nuovo stato di Nurhaci di assorbire le tribù Jurchen sconfitte semplicemente aggiungendo niru alle gūsa esistenti e quest'integrazione contribuì a riorganizzare la società Jurchen in una compagine statale più complessa ed articolata delle precedenti affiliazioni tra piccoli clan.[37]

Le Otto Bandiere, nell'ordine di precedenza, erano: a fondo giallo, bordata a fondo giallo, a fondo bianco, a fondo rosso, bordata a fondo bianco, bordata a fondo rosso, a fondo blu e bordata a fondo blu. Le bandiere a fondo giallo, bordata a fondo giallo e a fondo bianco erano le 上三旗T, Shàng sān qíP, lett. "Tre bandiere superiori", sotto il diretto comando dell'imperatore.[38] Tra i loro ranghi venivano selezionati i Manciù e alcuni Han che avevano superato il più alto livello di esami marziali per i ranghi della Guardia imperiale (v.si seguito). Le restanti bandiere erano le 下五旗T, Xià wǔ qíP, lett. "Cinque bandiere inferiori" comandate dai principi ereditari Manciù del clan imperiale Aisin Gioro, lett. "Principi del capo di ferro".

Mentre il potere Qing s'espandeva a nord della Grande muraglia cinese, il sistema delle bandiere continuò ad espandersi. Subito dopo aver sconfitto i mongoli Cahar con l'aiuto di altre tribù mongole nel 1635, il figlio e successore di Nurhaci, Huang Taiji, incorporò i nuovi sudditi e alleati mongoli creando le Otto Bandiere Mongole sul modello delle mancesi.[39] Huang Taiji fu invece più prudente nell'integrare truppe cinesi di etnia Han:[40] nel 1629 aveva creato un'armata cinese (mnc. Nikan cooha; zh. 漢軍T, HànjūnP, lett. "Cinesi [Han] militari") di circa 3000 uomini[41] che nel 1631 assorbì armaioli ed artiglieri per costruire e manovrare cannoni in stile europeo e fu ribattezzato "Truppe pesanti" (mnc. Ujen cooha; zh. 重軍T, ZhòngjūnP);[42] nel 1633 circa 20 compagnie (4.500 uomini) di Han che combattevano per i Manciù sotto delle bandiere nere.[42] Le compagnie cinesi furono raggruppate in due bandiere nel 1637, quattro nel 1639 e infine otto bandiere nel 1642. Le Bandiere Hànjūn divennero allora note come le "Otto Bandiere Cinesi" (zh. 漢軍八旗T, 汉军八旗S, Hànjūn bāqíP).[39][43][44]

Gruppi selezionati di alfieri cinesi Han furono trasferiti in massa nelle bandiere mancesi dai Qing, cambiando la loro etnia da Han (cinese) a Manciù. Gli alfieri Han di Tai Nikan 台尼堪 (lett. "cinesi del posto di guardia") e Fusi Nikan 抚顺尼堪 ("cinesi Fushun")[45] entrarono nelle bandiere mancesi nel 1740 per ordine dell'imperatore Qing Qianlong.[46] Fu tra il 1618 e il 1629 quando i cinesi Han di Liaodong che in seguito divennero i Fushun Nikan e Tai Nikan disertarono agli Jurchen.[47]

Soldati della Bandiera a fondo blu dell'imperatore Qing Qianlong.

I clan mancesi d'origine Han continuarono a usare i loro cognomi Han originali e sono contrassegnati come di origine Han negli elenchi Qing dei clan. Le famiglie manciù adottarono figli cinesi Han da famiglie di origine schiava Booi Aha e prestarono servizio nei registri delle società manciù come famiglia distaccata manciù e la corte imperiale Qing lo scoprì nel 1729. Alfieri manciù bisognosi di denaro aiutarono a falsificare la registrazione per i servitori cinesi Han adottati negli stendardi Manciù e le famiglie Manciù a cui mancavano i figli potevano adottare i figli o i servitori dei loro servitori.[48] Le famiglie manciù furono pagate per adottare figli Han dalle famiglie di servitori. Il capitano della Guardia Imperiale Qing Batu era furioso con i Manciù che adottarono i cinesi Han come loro figli da famiglie di schiavi e servi in cambio di denaro ed espresse il suo dispiacere per l'adozione dei cinesi Han invece di altri Manciù.[49] Questi cinesi Han che s'infiltrarono nelle bandiere mancesi tramite adozione erano noti come "alfieri di stato secondario" e "falsi manciù" o "manciù a registro separato" e alla fine c'erano così tanti di questi cinesi Han che presero il comando dell'esercito posizioni negli Stendardi che avrebbero dovuto essere riservate ai Manciù. Figlio adottivo cinese Han e alfieri separati del registro costituivano 800 dei 1.600 soldati degli stendardi mongoli e degli stendardi manciù di Hangzhou nel 1740. Il figlio adottivo cinese Han costituiva 220 delle 1.600 truppe non stipendiate a Jingzhou nel 1747 e un assortimento di alfieri cinesi Han di registro separato, mongoli e manciù erano il resto. Gli alfieri cinesi di stato secondario Han costituivano 180 delle 3.600 famiglie di truppe a Ningxia mentre i registri separati dei cinesi Han costituivano 380 dei 2.700 soldati manciù a Liangzhou. Il risultato di questi falsi Manciù cinesi Han che hanno assunto posizioni militari ha portato molti Manciù legittimi a essere privati delle loro legittime posizioni di soldati negli eserciti dello Stendardo, con il risultato che i veri Manciù non sono stati in grado di ricevere i loro stipendi poiché gli infiltrati cinesi Han negli stendardi hanno rubato i loro social e status e diritti economici. Si diceva che questi infiltrati cinesi Han fossero delle buone truppe militari e le loro abilità nella marcia e nel tiro con l'arco erano all'altezza, tanto che il tenente generale Zhapu non poteva differenziarli dai veri Manciù in termini di abilità militari.[50] Gli stendardi Manciù contenevano molti "falsi Manciù" che provenivano da famiglie han ma furono adottati dagli alfieri manciù dopo il regno di Yongzheng. Gli stendardi mongoli Jingkou e Jiangning e gli stendardi manciù avevano 1.795 Han adottati e gli stendardi mongoli di Pechino e gli stendardi mancesi avevano 2.400 cinesi Han adottati nelle statistiche tratte dal censimento del 1821. Nonostante i tentativi di Qing di distinguere gli Han adottati dai Manciù, le differenze tra loro divennero confuse.[51] Questi servi Han adottati che riuscirono a ottenere ruoli nelle bandiere manciù furono chiamati kaihu ren (開戶人) in cinese e dangse faksalaha urse in manciù. I Manciù normali erano chiamati jingkini Manjusa.

I Manciù mandarono alfieri Han a combattere contro i lealisti Ming di Koxinga nel Fujian.[52] I Qing hanno effettuato un divieto marittimo costringendo le persone a evacuare la costa per privare di risorse i lealisti Ming di Koxinga, generando il mito che i Manciù avevano "paura dell'acqua". Nel Fujian, gli alfieri cinesi Han che stavano conducendo i combattimenti per i Qing e questo smentiva l'affermazione del tutto irrilevante che la presunta paura dell'acqua da parte del Manciù avesse a che fare con l'evacuazione costiera e il divieto di mare.[53] Una poesia mostra alfieri Han del nord che si riferiscono al popolo Tanka che vive sulla costa e sui fiumi del Fujian meridionale come "barbari".[54]

Esercito dello Stendardo Verde

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Esercito dello Stendardo Verde.
Un soldato cinese dello Stendardo Verde a cavallo.

Con la conquista di Pechino (1644) e l'avvio della penetrazione in territorio cinese, il principe Dorgon seppe rimpinguare i numeri relativamente ridotti delle Bandiere con truppe (e ufficiali) di rinforzo provenienti dalle fila dell'esercito Ming in ritirata verso Sud. I primi disertori furono inizialmente inquadrati nelle Bandiere ma dopo il 1645 fu creato un corpo d'armata ad hoc chiamato "Esercito dello Stendardo Verde", dal colore dei suoi stendardi di battaglia.[55][56] Questo nuovo esercito composta da cinesi di etnia Han si gonfiò man mano che i Qing avanzavano in territorio cinese: il primo reclutamento fu eseguito nello Shanxi, nello Shaanxi, nel Gansu e nel Jiangnan (1645); poi nel Fujian (1650), nel Liangguang (i.e. Guangdong e Guangxi) (1651), nel Guizhou (1658) ed infine nello Yunnan (1659).[57] Gli arruolati Han mantennero i loro ranghi Ming e furono affidati ad ufficiali parte Han, quindi interni allo Stendardo Verde, e parte manciù, delle Bandiere.[58] Il numero totale degli effettivi complessivi si sbilanciò rapidamente in favore dello Stendardo Verde che arrivò a comprendere 600.000 uomini contro i 200.000 delle Otto Bandiere.[2]

Durante la Transizione tra Ming e Qing (1636–1683), seppur le Otto Bandiere fossero l'allora forza combattente più capace dei Qing, il grosso degli scontri con i lealisti Ming fu sostenuto dallo Stendardo Verde o comunque alle truppe cinesi, soprattutto nella Cina meridionale, dove la cavalleria mancese poté svolgere un ruolo limitato.[59] Le Bandiere si portarono male anche durante la Rivolta dei Tre Feudatari (1673–1681), nei fatti poi risoltasi in uno scontro tra truppe (ed ufficiali) cinesi lealisti Ming e truppe cinesi ormai passate ai Qing.[60] Sempre allo Stendardo Verde appartenne il personale della neonata marina militare Qing che giocò un ruolo preponderante nello sconfiggere la resistenza dei Ming Meridionali nel Regno di Tungning (Taiwan) nei primi anni 1680.[61]

Le truppe delle Bandiere e dello Stendardo Verde erano eserciti permanenti, pagati dal governo centrale. Inoltre, i governatori regionali, dal livello provinciale fino al livello di villaggio, mantennero proprie milizie locali irregolari per compiti di polizia e soccorsi in caso di calamità. A queste milizie venivano solitamente concessi piccoli stipendi annuali dalle casse regionali per obblighi di servizio estemporanei.

Lo Stendardo Verde era organizzato in 75 gruppi ciascuno comandato da un generale di brigata con altri 16 generali di brigata della marina. Ogni brigata conteneva un numero imprecisato di reggimenti e ciascuno di questi conteneva una quantità imprecisata di Ying (battaglioni) che contenevano ciascuno 500 fanti e 250 cavalieri. Se lo standard verde fosse conforme all'organizzazione del Lujun, ciascuna brigata contenesse 2 reggimenti che contenevano 3 battaglioni, quindi una brigata conterrebbe 6 battaglioni o 3.000 cavalieri e 1.500 cavalieri per un totale di 4.500, ciò darebbe un totale nazionale di 337.500 truppe di terra e 72.000 marine truppe (anche se le truppe marine non erano marines nel senso tradizionale ma contenevano anche truppe di difesa costiera e la loro cavalleria non era a cavallo). Ciò darebbe un totale di 273.000 fanti e 112.500 cavalieri a cavallo e 24.000 cavalieri non a cavallo.[62]

La struttura di comando dello Stendardo Verde fu divisa nelle province tra ufficiali di alto rango e ufficiali di basso rango, con l'unità migliore e più forte sotto il controllo diretto degli ufficiali di grado più alto e unità meno capaci ma più numerose sotto il comando degli ufficiali di grado inferiore, creando così un sistema che prevenisse l'insorgere di signori della guerra pronti a ribellarsi contro il governo centrale,[63] com'era stato appunto il caso nella Rivolta dei Tre Feudatari.

I generali e gli alfieri manciù furono svergognati dalle migliori prestazioni dello Stendardo Verde nella lotta ai ribelli e la cosa fu notata dall'imperatore Qing Kangxi (r. 1661–1722) che affidò ai generali cinesi Sun Sike, Wang Jinbao e Zhao Liangdong la gestione della repressione.[64] Si formò nei Qing l'idea che gli Han fossero superiori ai Manciù nel combattere altri Han, facendo dello Stendardo Verde l'armata dinastica deputata ai teatri di guerra civile e repressione delle rivolte.[65] Nella Cina nordoccidentale, contro Wang Fuchen, i Qing misero gli Alfieri nelle retrovie come riserve mentre usarono lo Stendardo Verde e i suoi generali (es. Zhang Liangdong, Wang Jinbao e Zhang Yong) come forze primarie, ottennendo la vittoria sui ribelli.[66] Il Sichuan e lo Shaanxi meridionale furono riconquistati dallo Stendardo Verde guidato da Wang Jinbao e Zhao Liangdong nel 1680, mentre i mancesi s'occupavano di logistica e provviste.[67] 400.000 soldati dello Stendardo Verde e 150.000 Alfieri prestarono servizio dalla parte dei Qing durante la guerra.[67] 213 compagnie di stendardi cinesi Han e 527 compagnie di stendardi mongoli e manciù furono mobilitate dai Qing durante la rivolta.[68] I Qing avevano il sostegno della maggior parte dei soldati cinesi Han e dell'élite Han contro i Tre Feudatari, poiché si rifiutavano di unirsi a Wu Sangui nella rivolta, mentre gli Otto Stendardi e gli ufficiali mancesi se la cavarono male contro Wu Sangui, quindi i Qing risposero usando un imponente esercito di oltre 900.000 cinesi Han (non Banner) invece delle Otto Bandiere, per combattere e schiacciare i Tre Feudatari.[69] Le forze di Wu Sangui furono schiacciate dall'Esercito dello Stendardo Verde, composto da soldati Ming disertati.[70]

La frontiera a sud-ovest si estese lentamente e nel 1701 i Qing sconfissero i Tibetani nella battaglia di Dartsedo. Il Khanato degli Zungari conquistò gli Uiguri nella conquista zungara di Altishahr e prese il controllo del Tibet. I soldati dello Stendardo Verde e gli alfieri manciù furono comandati dal generale cinese Han Yue Zhongqi nella spedizione cinese in Tibet (1720) che ne espulse gli Zungari, mettendolo sotto il dominio Qing. In più luoghi come Lhasa, Batang, Dartsendo, Lhari, Chamdo e Litang, le truppe dello Stendardo Verde furono presidiate durante la guerra con gli Zungari.[71] Le truppe dello Stendardo Verde e gli Alfieri Manciù facevano entrambi parte della forza Qing che combatté in Tibet nella guerra contro gli Zungari.[72] Si diceva che il comandante del Sichuan Yue Zhongqi (un discendente di Yue Fei ) fosse entrato a Lhasa per primo quando i 2.000 soldati dello Stendardo Verde e 1.000 soldati Manciù della "rotta del Sichuan" s'impadronirono della città.[72] Secondo Mark C. Elliott, dopo il 1728 i Qing usarono le truppe dello Stendardo Verde per presidiare la guarnigione a Lhasa piuttosto che gli Alfieri. Secondo Evelyn S. Rawski, sia lo Stendardo Verde sia gli Alfieri costituivano la guarnigione Qing in Tibet.[73] Secondo Sabine Dabringhaus, i soldati cinesi dello Stendardo Verde che contavano più di 1.300 erano di stanza dai Qing in Tibet per supportare i 3.000 uomini dell'esercito tibetano.[74]

Si trattava di milizie di villaggio armate principalmente di lance, spade, archi e infine sporadicamente fiammiferi man mano che la ribellione progrediva. Queste milizie di autodifesa venivano utilizzate principalmente per proteggere i territori immediati da cui provenivano i loro uomini e, se necessario, combattevano le forze Qing o Taiping. Ciascuno dei tuanlian possedeva tra 200 e 500 uomini in compagnie di 100, sebbene non fosse raro che diverse comunità unissero i loro tuanlian per formare una forza di diverse migliaia di uomini. Le regioni urbane avevano la loro controparte, il Thou-ping.[75]

"Nuovi eserciti"

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Nuovo Esercito.
Il Nuovo Esercito Qing (1905)
Il Corpo d'armata del Pei-yang alle esercitazioni militari (1910)
Il Nuovo Esercito Qing (1911)
Il Nuovo Esercito del Sichuan lascia Lhasa (1912).

La sconfitta nella Prima guerra sino-giapponese (1894–1895) fu uno spartiacque per il governo Qing. Il Giappone, un paese a lungo considerato dai cinesi poco più che una nuova nazione di pirati, aveva sconfitto in modo convincente il suo vicino più grande e nel frattempo aveva annientato l'orgoglio e la gioia del governo Qing: la sua flotta Beiyang modernizzata, allora considerata la forza navale più forte in Asia. In tal modo, il Giappone è diventato il primo paese asiatico a unirsi ai ranghi delle potenze coloniali precedentemente esclusivamente occidentali. La sconfitta fu un brusco risveglio per la corte Qing, specialmente se consideriamo che si verificò tre decenni scarsi dopo che il c.d. "Rinnovamento Meiji" (1866–1869) aveva bruscamente proiettato il Giappone feudale verso le vette delle più recenti conquiste economiche e tecnologiche delle potenze occidentali. Così, nel dicembre 1894, il governo Qing fece passi concreti per riformare le istituzioni militari e riqualificare unità selezionate in esercitazioni, tattiche e armi occidentalizzate. Queste unità furono chiamate collettivamente "Nuovi Eserciti". Il maggior successo di questi fu il Corpo d'armata del Pei-yang sotto la supervisione e il controllo complessivi di un ex comandante dell'esercito Huai, il generale Yuan Shikai, che utilizzò la sua posizione per diventare infine presidente della Repubblica cinese e infine imperatore della Cina.[76]

Durante la Ribellione dei Boxer (1899–1901), le forze imperiali cinesi minarono il fiume Hai He prima della Battaglia dei forti di Taku (1900), per impedire all'Alleanza delle otto nazioni d'inviare navi all'attacco, come riferì l'intelligence militare degli Stati Uniti.[77][N 4]

Diversi eserciti cinesi furono modernizzati in gradi diversi dalla dinastia Qing. Ad esempio, durante la Ribellione dei Boxer, in contrasto con i Manciù e altri soldati cinesi che usavano frecce e archi, la cavalleria musulmana passata alla storia come "Kansu Braves" aveva i più recenti fucili a carabina.[78] I Kansu Braves usarono le armi per infliggere numerose sconfitte agli eserciti occidentali nella rivolta, nella battaglia di Langfang e in numerosi altri scontri intorno a Tientsin.[79][80] Il Times osservò allora che «10.000 soldati europei sono stati tenuti sotto scacco da 15.000 coraggiosi cinesi.» Il fuoco dell'artiglieria cinese ha causato un flusso costante di vittime tra i soldati occidentali. Durante uno scontro, furono inflitte pesanti perdite a francesi e giapponesi e gli inglesi e i russi persero alcuni uomini.[81] Gli artiglieri cinesi durante la battaglia impararono anche a usare accuratamente l'artiglieria Krupp acquistata dai tedeschi, superando i cannonieri europei. I proiettili dell'artiglieria cinese hanno colpito direttamente le aree militari degli eserciti occidentali.[82]

Questo tardo, finalmente moderno, esercito Qing era diviso in un esercito regolare, il Lujun, e un esercito riservista/provinciale, lo Xunfangdui:

  • Il Lujun si componeva di 3 formazioni: Changbei jun (36 divisioni con 12.512 uomini in tempo di pace e oltre 21.000 in tempo di guerra, in servizio per 3 anni); Xubei jun o "prima riserva" (36 divisioni di 9.840 uomini in servizio per 4 anni); e Houbei jun (36 divisioni ciascuna di 4.960 uomini in servizio di 4 anni). La forza armata complessiva così organizzata comprendeva, in tempo di guerra, 934.560 effettivi di cui 756.000 organizzati in 36 divisioni di 21.512 (esclusi gli attendenti di campo) e 178.560 effettivi in 36 brigate indipendenti.[83]
  • Lo Xunfangdui era organizzato su base provinciale con ogni provincia tenuta a mantenere 5 unità di 3.010 fanti o 1.890 cavalieri o una truppa mista purché non ci fossero più di un totale combinato di 5 unità di fanteria e cavalleria. Il totale delle 22 province che componevano la Cina tardo-Qing potevano così schierare un massimo di 331.100 effettivi (se fanteria) o un minimo di 207.900. Lo Xunfangdui fungeva da gendarmeria in tempo di pace e come unità ausiliaria per le unità sul campo in tempo di guerra.[84]

La politica del " divieto marittimo " durante la prima dinastia Qing significava che lo sviluppo del potere navale ristagnava. La difesa navale fluviale e costiera era responsabilità delle unità navali dello Stendardo Verde, di sede a Jingkou (attuale Zhenjiang) e Hangzhou.

Marina delle Otto Bandiere

[modifica | modifica wikitesto]
La flotta del Fujian nello Stretto di Taiwan durante la Campagna taiwanese di Qianlong (1787–1788).

Nel 1661, un'unità navale fu istituita a Jilin per difendersi dalle incursioni russe in Manciuria. Successivamente furono aggiunte anche unità navali a varie guarnigioni di alfieri mancesi, denominate collettivamente "Marina delle Otto Bandiere". Nel 1677, la corte Qing ristabilì la flotta del Fujian per combattere il regno lealista Ming insulare di Tungning (Taiwan), conflitto culminato nella vittoria manciù nella battaglia di Penghu (1683) e nella conseguente resa dei Tungning.

I Qing, come i Ming, attribuirono una notevole importanza alla costruzione di una forte marina. Tuttavia, a differenza degli europei, non percepirono la necessità di dominare l'oceano aperto e quindi di monopolizzare il commercio, e si concentrarono sulla difesa, per mezzo di pattuglie, del loro spazio marittimo interno. I Qing delimitavano e controllavano i loro mari interni allo stesso modo del territorio terrestre.[85]

L'imperatore Kangxi e i suoi successori stabilirono un sistema di difesa marittima a quattro zone ove assegnarono le loro flotte: il Golfo di Bohai (flotta di Dengzhou, flotta di Jiaozhou, flotta di Lüshun e flotta di Tianjin/Daigu); la costa di Jiangsu-Zhejiang (flotta di Jiangnan e flotta di Zhejiang); lo Stretto di Taiwan (flotta del Fujian); e la costa del Guangdong (flotta del governatore del Guangdong e flotta regolare del Guangdong). Le flotte erano supportate da una catena di batterie d'artiglieria costiera e da "castelli d'acqua" o basi navali. Le giunche da guerra Qing dell'era Kangxi avevano un equipaggio di 40 marinai ed erano armate con cannoni e archibusoni (assicurato tramite fori o ganci alle murate delle navi) di design olandese.[86]

Dopo la morte dell'imperatore Qianlong (1799), si registrò un'improvviso cambio di rotta da parte dei Qing che, pressati dalla minaccia e dal costo della Ribellione di Miao prima e della Ribellione del Loto Bianco poi, smisero d'investire nella marina e nelle difese costiere. Nel XIX secolo, le forze navali Qing erano obsolete, poco e mal equipaggiate, sotto-finanziate e, cosa fondamentale, non coordinate.[87]

Marina imperiale cinese

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Marina imperiale cinese.

Gli scontri al largo di Canton durante la Prima guerra dell'oppio Prima guerra dell'oppio (1839–1842) misero brutalmente in evidenza che la marina militare Qing era del tutto inadeguata ad un confronto con le moderne navi delle potenze occidentali. Negli anni 1860, dopo gli ulteriori fallimenti bellici (e marittimi) della Seconda guerra dell'oppio (1850–1856), la Corte Qing avviò l'ammodernamento delle sue forze nautiche.

Organizzando la loro marina moderna, i Qing non si discostarono dallo schema di difesa marittima definito alla fine del XVII secolo, seguitando a quadri-partire le loro coste[88] e ad affidarle ad altrettante, separate e non coordinate, flotte:

Nel 1885, dopo la Guerra sino-francese, durante la quale la Flotta del ... aveva mal performato, la Corte istituì un Ammiragliato o Haijun yamenP, lett. "Consiglio navale", che supervisionasse tutte le flotte. Li Hongzhang, nel frattempo, dirottava sulla Flotta del Pei-yang la maggior parte delle risorse, acquistando imponenti navi da guerra moderne dai cantieri europei, tanto che, in previsione dello scontro con il Giappone, lo stato maggiore tedesco e William Lang, uno dei consiglieri britannici dell'esercito cinese, ingaggiato da Li come ispettore-capo della Pei-yang (1882), avevano lodato l'addestramento, le navi, i cannoni e le fortificazioni cinesi, ritenendo inevitabile la sconfitta dei giapponesi.[90]

Nel 1910, come parte della riforma della struttura del governo imperiale, l'Ufficio fu sostituito dal Ministero della Marina, guidato da un Segretario della Marina.[91]

Organizzazione

[modifica | modifica wikitesto]

Stato maggiore

[modifica | modifica wikitesto]

Al tempo del fondatore dinastico, Nurhaci, ed al principio del regno del suo erede Huang Taiij, il Consiglio dei principi e degli alti ufficiali (zh. cinese|议政王大臣会议|Yìzhèng Wáng Dàchén Huìyì|議政王大臣會議|Consiglio deliberativo dei principi e dei ministri) costituiva lo stato maggiore dell'esercito mancese. Ufficializzato da Taiij nel 1626 e ampliato nel 1637, era inizialmente composto quasi interamente da Manciù.[92][93][94][95] Assunse piene caratteristiche di stato maggiore dell'esercito durante la reggenza di Dorgon che, servendosene come strumento d'egemonia politico-dinastica, lo ramificò fino ad includere tutti gli alti ufficiali dell'esercito,[96] a quel tempo ormai sempre più multietnico.

Composizione ed acquartieramento delle guarnigioni

[modifica | modifica wikitesto]

Gli eserciti delle Otto Bandiere furono caratterizzati dalla comune origine etnica dei loro membri, Manciù e Mongoli, seppur le Bandiere mancesi comprendessero anche schiavi non tungusi registrati sotto la famiglia dei loro padroni. Con il progredire della guerra contro i Ming e l'aumento di cinesi Han sotto dominio mancese, Huang Taiji creò un ramo separato di Bandiere Han per sfruttare tale risorsa socio-politica. Furono infatti gli alfieri Han, come anticipato, a fornire la forza militare con cui i Qing sconfissero i Ming nella Cina del Sud e sempre gli alfieri Han fornirono la casta di burocrati che governò l'impero per conto dei Manciù.[97][98] Già al tempo degli imperatori Shunzhi e Kangxi, gli alfieri Han dominavano le cariche governative centrali tanto quelle di governatore ma si trattava, appunto, di "alfieri" Han e non di normali civili Han[99] che, esclusi dalle Bandiere, erano così esclusi dalla vita politica.[100]

Le origini sociali del sistema della Bandiera facevano sì che la popolazione di ogni ramo e le sue suddivisioni fossero ereditarie e rigide. Solo in circostanze speciali un editto imperiale consentiva il meticciato tra diverse Bandiere. L'Esercito dello Stendardo Verde era invece stato originariamente costituito quale forza combattente professionista.

Dopo aver sconfitto i Ming, l'esercito delle Bandiere, forte di circa 200.000 uomini, fu equamente diviso: metà fu collocato presso la capitale, Pechino, come guarnigione e che come principale forza militare della Corte; l'altra metà fu distribuita nelle città chiave dell'impero e divenne noto come Esercito territoriale/provinciale delle Otto Bandiere. Profondamente consapevoli del loro status di minoranza, i Qing promossero una rigida politica di segregazione razziale tra Manciù/Mongoli e Han, temendo la "sinicizzazione". Ciò si tradusse nell'isolamento delle truppe di Bandiera in apposite zone murate entro le città ove erano stanziate. Nelle città in cui lo spazio era limitato, come Qingzhou, fu eretta un'apposita cittadella per ospitare la guarnigione mancese e le rispettive famiglie. A Pechino, il principe Dorgon fece trasferire con la forza la popolazione Han nei sobborghi meridionali che divennero noti come la "Cittadella Esterna" e la città murata settentrionale, la "Città imperiale" (zh. 北京皇城T, Běijīng HuángchéngP, lett. "Città Gialla di Pechino"; mcn. Dorgi hoton, letteralmente "Città Interna"), che circondava il complesso palaziale della Città Proibita (zh. 紫禁城S, ZǐjìnchéngP, lett. "Città Purpurea") occupata dall'Imperatore, fu sezionata ed affidata alle Bandiere, ciascuna responsabile della sorveglianza d'una specifica sezione.

Le Bandiere restarono dunque, per tutta la loro esistenza, una forza d'occupazione militare in terra cinese, il cui scopo non era proteggere ma intimorire i cittadini dell'impero. Ciò però andò a detrimento della competenza militare dei mancesi, anzitutto delle loro proverbiale abilità come cavalleria. Un secolo di pace e mancanza di addestramento sul campo dopo Dogon (anni 1740), le Bandiere avevano perso buona parte della loro capacità di combattimento. La vita di guarnigione e lo stipendio fisso snaturarono inoltre le Bandiere, un tempo esercito nazionale di contadini e pastori obbligati al servizio militare in tempo di guerra, facendone una forza professionale abituata ed avida di ricchezze, dedita alla corruzione ed ai vizi: tra gli altri (tossicodipendenza, alcolismo, gioco d'azzardo, lenonismo) il vizio del teatro era così diffuso tra gli alfieri che il Governo lo bandì ai membri delle Bandiere.[7]

Il medesimo declino interessava contemporaneamente anche lo Stendardo Verde. In tempo di pace, il servizio militare divenne una fonte di reddito supplementare per soldati e ufficiali Han che trascurarono l'addestramento per perseguire i loro guadagni economici. La corruzione era dilagante quando i comandanti delle unità regionali presentavano retribuzioni e richieste di rifornimenti basate su conteggi esagerati al dipartimento del quartiermastro e intascavano la differenza.[8]

Rispetto ai loro corrispettivi europei, le truppe Qing, almeno fino al 1800, furono molto ben pagate.[101] ...

Addestramento

[modifica | modifica wikitesto]

L'addestramento dei soldati Qing prevedeva l'utilizzo di svariate tipologie di armi, sia bianche[102] sia a polvere nera (nonostante il mito secondo il quale il ricorso dei soldati cinesi alle arti marziali e quindi al corpo-a-corpo fosse legato al mancato utilizzo delle armi da fuoco!),[103] le cui tipologie e tecniche d'utilizzo seguitarono ad evolvere durante tutto il periodo.[104]

Come le forze armate Ming prima di loro, anche i militari Qing, al netto della differente origine etnica e fossero essi effettivi della fanteria o della cavalleria, beneficiarono nel loro addestramento di maestri che li iniziarono e formarono nelle arti marziali cinesi, materia compresa negli esami per ufficiali militari.[105] Alcuni shifu (zh. 師傅T, 师傅S, Shī FuP, anche 師父T, 师父S) già accompagnavano l'esercito mancese conquistatore,[106] mentre (molti) altri comparvero una volta occupata Pechino,[107] alcuni dei quali provenienti dalle campagne.[108] Conosciamo i nomi di alcuni di loro: es. tale Wang Xiang Zhai.[109]

Nello specifico, le arti marziali che trovarono maggiormente diffusione nell'esercito Qing furono lo Shuai jiao e il Bājíquán, cioè stili del wushu tipici della Cina del Nord, seppur, com'era già stato per i Ming, non mancarono anche insegnamenti legati alla tradizione Shaolin.[110] Lo Shuai jiao in particolare (allora noto come liaojiao, guanjiao, buku o jueli/jiaoli) fu molto apprezzato dai Qing al punto che l'imperatore Kangxi fece costruire a Pechino un apposito campo d'addestramento ove praticarlo.[111][112][113] Arte marziale originaria del Hebei, il Bājíquán s'era sviluppato e diffuso in seno alla locale enclave musulmana, motivo per cui una scuola d'arti marziali fu il luogo ove iniziarono le carriere dei generali musulmani Ma Fulu e Ma Fuxiang di Hezhou[114] e per cui era musulmano il noto shifu Wang Zi-Ping che combatté i Qing tra le fila dei ribelli Boxer! L'esercito Qing includeva chiaramente anche shifu non-musulmani, per es. taoisti.[115]

La diffusione delle arti marziali in Cina era tale che anche l'esercito ribelle dei Taiping poté beneficiare di artisti marziali che addestrarono la truppa anti-Qing,[116] per non parlare della celeberrima Ribellione dei Boxer che dovette il suo nome proprio ad una società segreta, la 義民會T, 义民会S, YìmínhuìP, I4-min2-hui4W, lett. "Gruppo della rettitudine nazionale"), sviluppatasi in seno alle palestre d'arti marziali dello Shandong e dello Zhili.[117]

A metà degli anni 1880 l'Esercito dello Stendardo Verde era composto da circa 447.876 uomini raggruppati in formazioni di varie dimensioni. Sei unità erano sotto i 1.000 uomini, 29 unità tra 2.000 e 3.000, 25 tra 2.000 e 3.000, 20 tra 3.000 e 4.000, 6 tra 4.000 e 6.000, 4 unità tra 6.000 e 7.000, 1 unità tra 8.000 e 9.000, 4 unità tra 9.000 e 10.000 e 1 unità su 10.000. Con ulteriori 31 unità d'importo non precisato per un totale di 127 unità con una media di poco superiore a 3.500 per unità.[118]
La spesa per il mantenimento di una simile armata era ...[119]

Nel suo resoconto del 1896, N.W.H. Du Boulay valutò, alla vigilia della Prima guerra sino-giapponese (1894–1895), le forze dichiarate cinesi di 1.100.000 uomini un'esagerazione, stimando come inferiori gli effettivi abili alle armi.[120] La comparazione è riportata nella tabella nel serguito:

Nelle zone interessate dal conflitto, le forze cinesi effettivamente addestrate risulterebbero, dall'analisi di Du Boulay 1896, in un totale di: 92.390 fanti, 23.410 cavalieri, 7.010 artiglieri (sul campo e nella guarnigione), 1.090 truppe di genio navale e 1.130 barcaioli per superare canali e fiumi. Gli artiglieri erano armati con cannoni Krupp da 70 mm e 80 mm ma il loro addestramento era carente.[120] Rispetto a Du Boulay, sempre nel 1896 Volpicelli fornisce questi numeri:

Li Hongzhang comandante del Esercito Huai e della Flotta del Pei-yang, leader de facto delle forze Qing nella Prima guerra sino-giapponese (1894–1895).

L'esercito Qing alla vigilia della guerra era quindi composto da 974.641 soldati (escluso l'esercito della Manciuria e quello di Taiwan): una forza imponente, se consideriamo che, nel 1888, l'esercito prussiano sommava meno di 380.000 effettivi[122] e che l'esercito imperiale giapponese, alla vigilia della guerra, si componeva di 120.000 uomini. La capacità bellica, non i numeri, erano il problema delle forze cinesi: es. Jowett afferma che dei quasi 600.000 soldati dello Stendardo Verde solo 50.000 avevano ricevuto un addestramento all'utilizzo delle moderne armi da fuoco![123] La tabella sopra non include la guarnigione di Taiwan, stimata da Esposito in 20 battaglioni Yong Ying o 10.000 uomini sulla carta con ulteriori 14.000 soldati dello Stendardo Verde sempre sulla carta. Tuttavia durante la guerra i rinforzi dalla Cina continentale e i prelievi indigeni portarono le forze a Taiwan a 50.000 effettivi.[124] Il resoconto di Volpicelli afferma che tra i 20.000 e i 30.000 stendardi metropolitani erano veri soldati con la capacità di combattere. Esposito afferma che il 60% dell'esercito delle Bandiere era costituito da cavalleria.[125][126]

Anche le forze pechinesi delle Bandiere erano suddivise ma, nuovamente, Volpicelli ed Esposito discordano su dimensione e natura della suddivisione:[124][121]

La battaglia di Yingkou del 1895 - stampa coeva.

Durante il periodo tra la fine della Rivolta dei Taiping (1850–1864) e l'inizio della Prima guerra sino-giapponese (1894–1895), i Qing avviarono la riforma dello Stendardo Verde, ormai debole, disperso, incapace di mobilitare effettivi ben addestrati poiché i fondi erano sperperati con stipendi di soldati inesistenti mentre molti dei soldati erano tossicodipendenti da oppio e/o gioco d'azzardo. Pechino cercò di rifondare un moderno Stendardo Verde con la creazione dei Lien-chunP, lett. "Forze Disciplinate", composti da effettivi dello Stendardo Verde ma gestiti come gli Yong Ying degli eserciti di Hunan e Anhui. Dal 1885, frequenti editti imperiali raccomandarono la trasformazione di tutte le forze dello Stendardo Verde in Lien-Chun ma i risultati furono pochi. Nel 1894, Pechino stabilì che lo Stendardo Verde fosse destinato a compiti di polizia e lotta al banditismo, mentre gli Yong Ying fossero destinati a combattere le ribellioni.[127] I Qing procedettero ad un moderno riarmo importando armi europee e producendone di proprie negli arsenali imperiali (ma solo nel 1880!): furono importati 149 pezzi d'artiglieria pesante e 275 di artiglieria da campo; s'importarono 26.000 fucili Mauser 1871, arma che fu standardizzata nel 1882, anche se solo in via teorica; furono acquistate 151 mitragliatrici Maxim tra il 1892 e il 1895 (e nel 1890 già ne venivano prodotte nell'arsenale di Tianjin cui si unì nel '92 quello di Nanchino).[128][129] Le stime del Board of Revenue e del Board of War affermano che la forza effettiva dell'esercito cinese era di 360.000 uomini, comprese la milizia provinciale, l'esercito di difesa (gli Yong Ying), i Lien-Chun e le truppe ammodernate. L'esercito, durante la guerra con i giapponesi, fu lento a mobilitarsi causa la mancanza di ferrovie, un fattore logistico chiave nella guerra moderna. Pertanto, gli scontri gravarono quasi interamente sulle forze già schierate in Manciuria, Zhili e Shandong. Queste armate erano prevalentemente composte da fanteria e cavalleria; l'artiglieria era accorpata alla fanteria; i servizi di supporto (logistica, assistenza medica, ingegneria e comunicazioni) erano inesistenti, così manodopera salariata conduceva i treni della logistica e forniva l'ingegneria di base, mentre lavoratori civili fungevano da quartiermastri e medici nelle retrovie e le vettovaglie gravavano sulle province in cui combattevano, con conseguente disomogeneità nella distribuzione delle razioni (anche di armi e munizioni, ulteriormente aggravate dalla mancata standardizzazione dell'armamento base. Gli arsenali governativi si rivelarono insufficienti a sostenere l'intero esercito Qing e la Corte fu costretta ad acquistare attrezzature dall'estero.[130] I problemi chiave dell’esercito cinese erano: comando decentralizzato; mancanza di formazioni specializzate; mancanza di addestramento moderno; carenza d'armi moderne; e, soprattutto, l'incompetenza tattico-strategica della leadership militare che seguitò a ripetere desuete tattiche di difesa passiva affidate a fortificazioni antiquate che i giapponesi fiancheggiavano e distruggevano sistematicamente.[127]

Armamento e tattica

[modifica | modifica wikitesto]
Soldato Qing a cavallo con moschetto.

Gli eserciti Qing nel XVIII secolo potrebbero non essere stati ben armati come i loro omologhi europei ma sotto la pressione del trono imperiale si sono dimostrati capaci di innovazione ed efficienza, a volte in circostanze difficili.

Quando scoppiò la Rivolta dei Taiping (1850), la corte Qing scoprì tardivamente che le truppe delle Bandiere e dello Stendardo Verde non potevano né reprimere ribellioni interne né tenere a bada gli invasori stranieri.

Lo stesso argomento in dettaglio: Armatura cinese.
Su Yuanchun, generale durante la Guerra sino-francese (1884-1885), in brigantina.

L'esercito Qing che nel XVII secolo sconfisse i Ming era protetto da armature, sia lamellari sia brigantine, ed elmi.[131] Dopo la conquista della Cina e la pacificazione dell'impero, molti soldati manciù divennero pigri e si rifiutarono d'indossare l'armatura. Nel XVIII secolo, l'imperatore Qianglong avrebbe detto: «I nostri vecchi costumi Manciù rispettano la rettitudine e riveriscono la giustizia. Giovani e vecchi, nessuno si vergogna di combattere per loro. Ma dopo aver goduto di un così lungo periodo di pace, inevitabilmente, le persone vogliono evitare di mettere in armatura e unirsi ai ranghi della guerra.»"[132] Nel XIX secolo, la maggior parte delle armature Qing divennero puramente ornamentali: es. le brigantine mantennero per scopi estetici borchie, rivetti e lamine esterne ma persero le piastre protettive interne di ferro.[133] Secondo una fonte britannica di fine Ottocento, solo la Guardia imperiale seguitava ad indossare armature (di vario tipo) e queste guardie erano tutte nobili della famiglia imperiale.[134]

Sempre fonti inglesi ottocentesche menzionano scudi cinesi in rattan che erano «quasi a prova di moschetto»,[135] tuttavia un'altra fonte inglese di fine secolo afferma che non fecero nulla per proteggere i loro utenti durante un'avanzata su una roccaforte musulmana, in cui sono stati tutti invariabilmente uccisi a colpi d'arma da fuoco.[134]

Armi da fuoco

[modifica | modifica wikitesto]
Soldato mancese armato di moschetto (1874)

L'imperatore Qing Kangxi istituì, tra il 1688 ed il 1691, una divisione militare d'élite, di stanza presso la capitale imperiale di Pechino, chiamata "Battaglione delle armi da fuoco" (zh. 火器營T, 火器营S, Huǒqì YíngP): una forza speciale che incorporava tutti gli specialisti di moschetti e cannoni precedentemente organizzati nelle Otto Bandiere, similare alla scomparsa divisione Shenjiying dell'esercito Ming. Gli uomini dello Huoqiying erano addestrati all'uso di diverse armi da fuoco, dai fucili a canna liscia ai cannoni di grandi dimensioni. Composto da soldati raccolti tra il personale delle Otto Bandiere tanto quanto dello Stendardo Verde, il battaglione era incaricato di sorvegliare Pechino (e quindi la Corte nella Città Proibita) e centralizzava su di sé il controllo delle armi a polvere nera dell'Impero.[136]

Parimenti però i Qing limitarono l'uso delle armi da fuoco, di fatto sottoponendole ad una sorta di monopolio statale per evitare che divenissero uno strumento per facinorosi, traditori, ecc. Ai pescherecci e alle navi costiere era vietato l'uso di artiglierie ed armi da fuoco in generale. Le armi da fuoco erano riservate solo alla caccia. La leadership mancese delle forze armate, in generale, tentò di limitare l'accesso degli Han alle armi più potenti, riservandole ai Manciù: es. nel 1778, l'imperatore-soldato Qing Qianlong criticò il governatore dello Shandong per aver addestrato all'uso delle armi da fuoco la milizia provinciale (di etnia Han/Hakka). Per parte loro però gli stessi Manciù, cui erano riservate le armi da fuoco, passavano più tempo ad esercitarsi con l'arco che con pistole e moschetti, si presume in ragione del ruolo tradizionalmente rilevante del tiro con l'arco nella cultura mancese.[137]

Si stima che il 30-40% dei soldati cinesi all'epoca della Prima guerra dell'oppio fossero equipaggiati con armi da fuoco obsolete tipo moschetti ad avancarica.[138]

La flotta di Shi Lang, per schiacciare la resistenza Ming a Taiwan, incorporò la tecnologia navale olandese.[139] I Qing furono smaniosi di adottare la tecnologia militare occidentale. Nella seconda guerra di Jinchuan, ad esempio, l'imperatore Qianlong mandò il gesuita Felix da Rocha, il direttore dell'Ufficio di Astronomia, al fronte per fondere pesanti cannoni da campo che non potevano essere trasportati nelle profonde montagne in cui vivevano le tribù ribelli da sopprimere.[140] L'esercito Qing produsse nuovi cannoni basati sui progetti forniti dai missionari gesuiti Ferdinand Verbiest negli anni 1670 e Felix da Rocha negli anni 1770. Questi disegni di cannoni continuarono ad essere riprodotti in Cina fino alla Prima guerra dell'oppio.[141]

Guardie imperiali

[modifica | modifica wikitesto]
Guardia imperiale Manciù dell'imperatore Qing Qianlong - dipinto (1760).
Lo stesso argomento in dettaglio: Guardia imperiale (dinastia Qing).

La Guardia imperiale (zh. 侍衛T, Shì WèiP) era il corpo militare preposto alla difesa dell'imperatore Qing e della sua famiglia. Come anticipato, i membri della Guardia erano scelti tra il personale militare più qualificato delle Tre bandiere superiori ed avevano il compito di presidiare la Città Proibita di Pechino. L'equipaggiamento standard consisteva nell'arco composito tipo "Quing" (v. arco cinese) e nella scimitarra mongola, il dao. Soldati di cavalleria in origine, i membri della guardia erano sottoposti anche ad un rigoroso addestramento nella lotta corpo a corpo, il Shuai jiao e il Bājíquán; presso la guardia trovò poi diffusione, per mezzo del maestro Yang Lu-ch'an (1799-1872), il Taijiquan.[142]

La Guardia imperiale si componeva di tre distinte unità: Avanguardia (Qianfeng ying), Guardia (Hujun ying) e Guardie del Corpo (Lingshiwei). La quasi totalità delle guardie vere e proprie (Hujun ying e Lingshiwei) era di etnia manciù, seppur non mancassero dei mongoli. I cinesi formavano un corpo di guardie del corpo dell'imperatore distinto dalla Guardia manciù. Gli effettivi erano così disimpegnati:

  • 1.250 Lingshiwei perennemente a disposizione dell'imperatore e della sua famiglia;
  • 15.000 Hujun ying costantemente di guardia lungo le mura della Città Proibita;
  • 10.000 uomini, tra Hujun ying e Qianfeng ying (questi in numero di 1.500, svolgenti appunto mansioni di avanguardia durante lo spostamento), componevano la scorta armata dell'imperatore e/o dei suoi funzionari all'esterno della Città Proibita e sul campo di battaglia.

La retribuzione ordinaria delle guardie era versata per metà in metallo (225 g di argento per un cavaliere e 150 g per un fantaccino) e per metà in riso.

Bandiere e striscioni

[modifica | modifica wikitesto]

(...)

  1. ^ Nel corso della sua vita, l'imperatore Qing Qianlong avrebbe personalmente guidato per quaranta volte la Caccia autunnale - Waley-Cohen 2006, p. 83.
  2. ^ Elleman 2001, p. 87.
    «Non sorprende che, considerando il potere politico di Li Hongzhang, molte delle navi migliori e più moderne abbiano trovato la loro strada nella flotta settentrionale di Li, che non ha mai visto alcuna azione nel conflitto sino-francese. In effetti, il timore che potesse perdere il controllo sulla sua flotta portò Li a rifiutarsi persino di considerare l'invio delle sue navi verso sud per aiutare la flotta di Fuzhou contro i francesi. Sebbene in seguito Li abbia affermato che lo spostamento della sua flotta verso sud avrebbe lasciato indifesa la Cina settentrionale, la sua decisione è stata criticata come un segno del governo frazionato della Cina e della sua mentalità provinciale nord-sud.»
  3. ^ Elleman 2001, p. 87.
    «[...] c'era poco, se non nessun, coordinamento tra le flotte nel nord e nel sud della Cina. La mancanza di un ammiraglio centralizzato che comandasse l'intera marina significava che in qualsiasi momento la Francia si opponeva solo a una frazione della flotta totale cinese. Questo virtualmente assicurò il predominio navale francese nel conflitto imminente.»
  4. ^ (EN) Stephan L'H. Slocum, Carl Reichmann, Adna Romanza Chaffee, United States. Adjutant-General's Office. Military Information Division, Reports on military operations in South Africa and China, G.P.O., 1901, p. 533.
    «Il 15 giugno si seppe che la foce del fiume, ov'erano i forti di Taku, era protetta da mine elettriche.»
  5. ^ Circa 100.000 effettivi della forza addestrata erano contestualmente arruolati nello Stendardo Verde - Olender 2014, p. 43.
  6. ^ Esisteva anche un Esercito della Manciuria forte di 170.000 effettivi (12.000 fanti addestrati; 1.500 cavalieri addestrati e 60 cannoni) equi-ripartiti nelle tre province di Shengjing, Jilin e Amur in forze di 4.000 fanti, 500 cavalieri e 20 cannoni. L'armata era stata organizzata da Wu Dacheng al volgere degli Anni 1880 ma, allo scoppio della guerra sino-giapponese nel 1894, 156.500 dei suoi 170.000 soldati erano ancora sprovvisti d'addestramento - Volpicelli 1896, pp. 74-76.
  7. ^ Nel resoconto di Esposito 2022 figurano anche 4.000 uomini per la Caccia autunnale organizzati nel "Battaglione caccia alla tigre" ed impiegati come forza d'urto nel corso del XIX secolo.
  8. ^ Nel resoconto di Esposito 2022, la Peking Field Force era composta da un effettivo di 7.250 uomini periodicamente gonfiati dagli alfieri che vi si avvicendavano per impratichirsi nell'uso delle armi moderne. I cannoni che vi vengono citati erano anche armi a canna liscia.

Bibliografiche

[modifica | modifica wikitesto]
  1. ^ Elliott 2001, p. 40.
  2. ^ Salta a: a b c (EN) Yingcong Dai, Qing military institutions and their effects on Government, Economy, and Society, 1640–1800, in Journal of Chinese History, vol. 1, Cambridge University Press, 12 luglio 2017, pp. 329–352, DOI:10.1017/jch.2017.1. URL consultato il 3 dicembre 2023.
  3. ^ Salta a: a b c Needham 1986.
  4. ^ (EN) James A. Millward, Eurasian Crossroads: A History of Xinjiang, Columbia University Press, 2007, p. 95.
  5. ^ Spence 1990, pp. 111-112.
  6. ^ Salta a: a b Waley-Cohen 2006, pp. 84–87.
  7. ^ Salta a: a b Elliott 2001, pp. 284–290.
  8. ^ Salta a: a b Waley-Cohen 2006, pp. 63–65.
  9. ^ Elliott 2001, pp. 283–284.
  10. ^ Elliott 2001, pp. 299–300.
  11. ^ Elliott 2001, pp. 184–186.
  12. ^ Crossley 1990, pp. 126-127.
  13. ^ Salta a: a b Liu e Smith 1980, pp. 202–210.
  14. ^ Salta a: a b c Horowitz 2002, p. 156.
  15. ^ Horowitz 2002, pp. 156-157.
  16. ^ Crossley 1990, p. 145.
  17. ^ Salta a: a b c Horowitz 2002, p. 157.
  18. ^ Wright 1957, p. 212.
  19. ^ Wright 1957, p. 220.
  20. ^ Horowitz 2002, pp. 158-159.
  21. ^ (EN) David Bonavia, China's Warlords, Oxford University Press, 1995, pp. 31–33, ISBN 0-19-586179-5.
  22. ^ (EN) David Scott, China and the International System, 1840–1949: Power, Presence, and Perceptions in a Century of Humiliation, SUNY Press, 2008, pp. 111-112, ISBN 978-0-7914-7742-7.
  23. ^ (EN) Alex Marshall, The Russian General Staff and Asia, 1860-1917, Routledge, 2006, pp. 80 e s., ISBN 978-1-134-25379-1.
  24. ^ Jowett 2016, p. 20.
  25. ^ Fairbank 1978, p. 269.
  26. ^ Horowitz 2002, p. 159.
  27. ^ Elman 2005, pp. 379-383.
  28. ^ Salta a: a b c Chang 2013, pp. 182-184.
  29. ^ Chang 2013, pp. 160-161.
  30. ^ (FR) M. Loir, L'escadre de l'amiral Courbet, Parigi, 1886, pp. 26-29 e 37-65.
  31. ^ (ZH) Lung Chang, 越南與中法戰爭S, Yueh-nan yu Chung-fa chan-chengP, lett. "Il Vietnam e la Guerra franco-cinese", Taipei, 1993, pp. 327-328.
  32. ^ (ZH) 姜文奎, 1987, pp. 839-840.
  33. ^ Dreyer 1995.
  34. ^ Elliott 2001, pp. 40 e 57.
  35. ^ Elliott 2001, p. 58.
  36. ^ Salta a: a b Elliott 2001, p. 59.
  37. ^ Roth Li 2002, p. 34.
  38. ^ Elliott 2001, pp. 404-405.
  39. ^ Salta a: a b Roth Li 2002, p. 58.
  40. ^ Elliott 2001, p. 75.
  41. ^ Roth Li 2002, p. 57.
  42. ^ Salta a: a b Roth Li 2002, pp. 57–58.
  43. ^ Elliott 2001, p. 74.
  44. ^ Crossley 1997, p. 204.
  45. ^ Elliott 2001, p. 84.
  46. ^ Crossley 2000, p. 128.
  47. ^ Crossley 2000, pp. 103-105.
  48. ^ Elliott 2001, p. 324.
  49. ^ Elliott 2001, p. 331.
  50. ^ Elliott 2001, p. 325.
  51. ^ (EN) Walthall, Anne (a cura di), Servants of the Dynasty: Palace Women in World History, (illustrated ed.), University of California Press, 2008, pp. 144–145, ISBN 978-0520254442.
  52. ^ Ho 2011, p. 135.
  53. ^ Ho 2011, p. 198.
  54. ^ Ho 2011, p. 206.
  55. ^ Elliott 2001, p. 480.
  56. ^ Crossley 1999, pp. 118-119.
  57. ^ Wakeman 1985, p. 480, nota 165.
  58. ^ Elliott 2001, p. 128.
  59. ^ Lococo 2002, p. 118.
  60. ^ Lococo 2002, p. 120.
  61. ^ Dreyer 2002, p. 35.
  62. ^ Brunnert e Hagelstrom 2007, pp. 337-340.
  63. ^ (EN) Wen Djang Chu, The Moslem rebellion in northwest China, 1862 - 1878: a study of government minority policy, Rist., Walter de Gruyter, 2011, pp. 12–13, ISBN 978-3111414508.
  64. ^ Luce e Di Cosmo 2007, pp. 24 e s.
  65. ^ Luce e Di Cosmo 2007, pp. 24-25.
  66. ^ Luce e Di Cosmo 2007, pp. 15 e s.
  67. ^ Salta a: a b Luce e Di Cosmo 2007, pp. 17 e s.
  68. ^ Luce e Di Cosmo 2007, pp. 23 e s.
  69. ^ Lococo 2002, p. 120 e s.
  70. ^ Lococo 2002, pp. 121-122.
  71. ^ (EN) Xiuyu Wang, China's Last Imperial Frontier: Late Qing Expansion in Sichuan's Tibetan Borderlands, Lexington Books, 2011, pp. 30 e s., ISBN 978-0-7391-6810-3.
  72. ^ Salta a: a b (EN) Yingcong Dai, The Sichuan Frontier and Tibet: Imperial Strategy in the Early Qing, University of Washington Press, 2009, pp. 81-82, ISBN 978-0-295-98952-5.
  73. ^ Rawski 1998, pp. 251 e s.
  74. ^ (EN) Jeroen Duindam e Sabine Dabringhaus (a cura di), The Dynastic Centre and the Provinces: Agents and Interactions, BRILL, 17 aprile 2014, pp. 123–, ISBN 978-90-04-27209-5.
  75. ^ Heath 1994, pp. 11–15.
  76. ^ Liu e Smith 1980, pp. 251-273.
  77. ^ (EN) Monro MacCloskey, Reilly's Battery: a story of the Boxer Rebellion, R. Rosen Press, 1969, p. 95, ISBN 9780823901456.
  78. ^ (EN) Diana Preston, The boxer rebellion: the dramatic story of China's war on foreigners that shook the world in the summer of 1900, Bloomsbury Publishing, 2000, p. 145, ISBN 0-8027-1361-0.
  79. ^ (EN) Jane E. Elliott, Some Did it for Civilisation, Some Did it for Their Country: A Revised View of the Boxer War, Chinese University Press, 2002, p. 204, ISBN 9789629960667..
  80. ^ (EN) Frances Wood, The Boxer Rebellion, 1900: A Selection of Books, Prints and Photographs, su fathom.com, The British Library. URL consultato il 28 giugno 2010 (archiviato dall'url originale il 29 ottobre 2011).
  81. ^ Smith 1901, p. 448.
  82. ^ Smith 1901, p. 446.
  83. ^ Brunnert e Hagelstrom 2007, pp. 285–288.
  84. ^ Brunnert e Hagelstrom 2007, pp. 308–309.
  85. ^ Po 2013, pp. 85-89.
  86. ^ Po 2013, pp. 116-151.
  87. ^ Po 2018, p. 80.
  88. ^ Salta a: a b Po 2013, pp. 116-151.
  89. ^ (EN) Guotong Li, Migrating Fujianese: Ethnic, Family, and Gender Identities in an Early Modern Maritime World, BRILL, Sep 8, 2016, p. 71, ISBN 9789004327214.
  90. ^ Fairbank 1978, p. 269.
  91. ^ (EN) Miles Li, Imperial Chinese Navy Flags (1909), su crwflags.com, 24 maggio 2007. URL consultato il 12 marzo 2017.
  92. ^ Wakeman 1985, p. 851.
  93. ^ Bartlett 1991, p. 267.
  94. ^ Hucker 1985, p. 266.
  95. ^ Rawski 1998, p. 123.
  96. ^ Wakeman 1985, p. 885.
  97. ^ (EN) Yoshiki Enatsu, Banner Legacy: The Rise of the Fengtian Local Elite at the End of the Qing, Center for Chinese Studies, The University of Michigan, 2004, p. 24, ISBN 978-0-89264-165-9.
  98. ^ (EN) Jonathan D. Spence, Ts'ao Yin and the K'ang-hsi Emperor: Bondservant and Master, Yale University Press, 1966, p. 41.
  99. ^ Spence 1990, pp. 4-5.
  100. ^ (EN) James A. Millward [et al.] (a cura di), New Qing Imperial History: The Making of Inner Asian Empire at Qing Chengde, Routledge, 2004, pp. 16 e s., ISBN 978-1-134-36222-6.
  101. ^ Perdue 1987, pp. 75-76.
  102. ^ (EN) Thomas A. Green e Joseph R. Svinth, Martial Arts of the World: An Encyclopedia of History and Innovation, ABC-CLIO, 2010, pp. 96 e s., ISBN 978-1-59884-243-2.
  103. ^ (EN) Peter Allan Lorge, Chinese Martial Arts: From Antiquity to the Twenty-First Century, Cambridge University Press, 2012, pp. 212 e s., ISBN 978-0-521-87881-4.
  104. ^ (EN) Xiaobing Li, China at War: An Encyclopedia, ABC-CLIO, 2012, pp. 270 e s., ISBN 978-1-59884-415-3.
  105. ^ (EN) Brian Kennedy e Elizabeth Guo, Chinese Martial Arts Training Manuals: A Historical Survey, Blue Snake Books, 2007, pp. 88 es., ISBN 978-1-58394-194-2.
  106. ^ (EN) Ben Hill Bey, Ba Gua Zhang An Historical Analysis, 2010, pp. 128 e s., ISBN 978-0-557-46679-5.
  107. ^ Crossley 1990, p. 174 e s.
  108. ^ (EN) Andrew D. Morris, Marrow of the Nation: A History of Sport and Physical Culture in Republican China, University of California Press, 2004, pp. 186 e s., ISBN 978-0-520-24084-1.
  109. ^ (EN) C.S. Tang, The Complete Book of Yiquan, Jessica Kingsley Publishers, 2015, pp. 33 e s., ISBN 978-0-85701-172-5.
  110. ^ (EN) Meir Shahar, The Shaolin Monastery: History, Religion, and the Chinese Martial Arts, University of Hawaii Press, 2008, pp. 4 e s., ISBN 978-0-8248-3110-3.
  111. ^ (EN) Alex Xian Zhao, Forlorn Heritage: The Transformation of Qing Dynasty Manchu Wrestling to Chinese Shuaijiao in Republican and Modern China, in MA Asian Studies, Leiden University Press, p. 39.
  112. ^ (ZH) Lian Zhao, 嘯亭雜錄T, Xiaoting zaluP, lett. "Raccolta miscellanea di Xiaoting", Pechino, Zhonghua shuju, 1980, p. 5.
  113. ^ (ZH) Xiaodong 曉東 Wang 王, 清代國家摔跤組織'善撲營'考略T, Qingdai guojia shuaijiao zhuzhi Shanpuying kaolueP, lett. "Raccolta di testi sullo Shanpuying, un'organizzazione nazionale di lotta della dinastia Qing", in Tiyu Xuekan, vol. 22, p. 113.
  114. ^ (EN) Jonathan Neaman Lipman, Familiar strangers: a history of Muslims in Northwest China, University of Washington Press, pp. 168 e s., ISBN 978-0-295-80055-4.
  115. ^ (EN) Vincent Goossaert e David A. Palmer, The Religious Question in Modern China, University of Chicago Press, 2011, pp. 113 e s., ISBN 978-0-226-30418-2.
  116. ^ (EN) Lily Xiao Hong Lee, Clara Lau e A.D. Stefanowska, Biographical Dictionary of Chinese Women: V. 1: The Qing Period, 1644-1911, Routledge, 2015, pp. 198 e s., ISBN 978-1-317-47588-0.
  117. ^ (EN) Yuzi Muramatsu, The "boxers" in 1898–1899, the origin of the "I-Ho-Chuan" (義和拳) uprising, 1900, in The Annals of the Hitotsubashi Academy, vol. 3, aprile 1953, pp. 236–261, JSTOR 43751277.
  118. ^ Hsieh 2018, p. 298.
  119. ^ Hsieh 2018, pp. 213-214.
  120. ^ Salta a: a b c (EN) N.W.H. Du Boulay, An Epitome of the Chino-Japanese War, 1894-95, H.M. Stationery Office, 1896, pp. 10–11.
  121. ^ Salta a: a b c Volpicelli 1896, pp. 72-76.
  122. ^ (DE) Curt Jany, Geschichte der Preußischen Armee vom 15.Jahrhundert bis 1914, Berlino, Verlag, 1928-1933, p. 287.
  123. ^ Jowett 2016, p. 11.
  124. ^ Salta a: a b c Esposito 2022, p. 76.
  125. ^ Volpicelli 1896, p. 71.
  126. ^ Esposito 2022, pp. 57–59.
  127. ^ Salta a: a b Powell 1955, pp. 40-47.
  128. ^ Esposito 2022, pp. 65-66.
  129. ^ Jowett 2016), p. 21.
  130. ^ Powell 1955, pp. 36-40.
  131. ^ Peers 2006, p. 216.
  132. ^ Perdue 2005, p. 274.
  133. ^ Peers 2006, p. 232.
  134. ^ Salta a: a b (EN) Mesny W, Mesny's Chinese Miscellany, Vol. 1 (1895), China Gazette Office, 1896, p. 334.
  135. ^ Wood 1830, p. 159.
  136. ^ (EN) Nicola Di Cosmo, European Technology and Manchu Power: Reflections on the "Military Revolution" in Seventeenth Century China (PDF), su oslo2000.uio.no, Paperfor the International Congress ofHistorical Sciences, Oslo 2000, 2000. URL consultato il 2 ottobre 2023.
  137. ^ Andrade 2017, pp. 242-243.
  138. ^ Andrade 2017, p. 242.
  139. ^ Po 2013, p. 113.
  140. ^ Waley-Cohen 2006, p. 58.
  141. ^ (EN) Joanna Waley-Cohen, The Sextants of Beijing: Global Currents in Chinese History, New York City-Londra, W.W. Norton and Company, 2000, pp. 118–121, ISBN 039324251X.
  142. ^ (EN) Y.L. Yip, A Perspective on the Development of Taijiquan – Qi, in The Journal of Traditional Eastern Health and Fitness, VIII, n. 3, 1998, ISSN 1056-4004 (WC · ACNP).
  • (ZH) 軍需則例T, Junxu zeliP, lett. "Regolamento per la spesa bellica", 1784.
Specifici
Storia della Cina

Voci correlate

[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti

[modifica | modifica wikitesto]

{{portale|Cina|guerra|storia}} [[Categoria:Dinastia Qing]] [[Categoria:Forze armate cinesi del passato]]