Produzione di energia elettrica in Giappone

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La produzione di energia elettrica in Giappone si basa prevalentemente sull'importazione di fonti energetiche non rinnovabili. Il paese manca infatti di significative riserve interne di combustibili fossili, tranne il carbone, e deve importare sostanziali quantità di greggio, gas naturale e altre risorse energetiche, incluso l'uranio.

Storia

Gli inizi

La prima compagnia elettrica giapponese, la Tokyo Electric Lighting, fu istitutita nel 1886,[1] mentre i primi esempi di sfruttamento di energia elettrica a scopi privati risalgono almeno al 1878, con l'installazione di una lampada ad arco in occasione dell'inaugurazione dell'ufficio di telegrafia dell'Istituto di tecnologia di Tokyo. Inizialmente l'uso dell'elettricità fu destinato principalmente all'illuminazione pubblica, per via della sua sicurezza e pulizia, trovando gradualemnte applicazioni più ampie come fonte di energia in alternativa al motore a vapore.[2]

Nel 1896 in tutto il Giappone si contavano trentatré diverse compagnie elettriche e, con l'introduzione all'inzio del XX secolo delle grandi centrali termoelettriche e idroelettriche, i costi di produzione diminuirono e l'elettricità trovò ampio impiego in tutto il Paese. Di conseguenza, l'elettricità divenne non soltanto una fonte di energia indispensabile a livello industriale, ma anche un bene essenziale per la vita delle persone.[2]

Negli anni successivi il business delle aziende elettriche crebbe in parallelo con la modernizzazione del Giappone e lo sviluppo della sua industria. Allo stesso tempo, il settore dei servizi elettrici subì una profonda ristrutturazione che portò alla dissoluzione di settecento compagnie, che unendosi portarono alla nascita di cinque grandi aziende elettriche per la fine della prima guerra mondiale. Durante la seconda guerra mondiale, l'intera industria energetica giapponese finì sotto controllo dallo Stato e le varie società furono integrate nella Nihon Hatsusoden e in nove operatori che si occupavano della distribuzione di energia elettrica nel Paese.[2]

La crisi petrolifera

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, mentre il Giappone si riprendeva ed espandeva rapidamente la sua base industriale, era fortemente dipendemente dalle importazioni di combustibili, in particolare dal petrolio del Medio Oriente (il petrolio alimentava il 66% dell'elettricità nel 1974). Questa vulnerabilità geografica e merceologica divenne critica con lo shock petrolifero del 1973.[3] Allora il Giappone aveva un'industria nucleare in crescita, con cinque reattori operativi. La necessità di rivedere la politica energetica nazionale portò alla diversificazione delle fonti, in particolare a un importante programma di sviluppo nucleare. Un'alta priorità fu data alla riduzione della dipendenza del Paese dalle importazioni petrolifere. Fu adottato un ciclo del combustibile chiuso per ottenere il massimo vantaggio dall'uranio importato.[3]

L'idea era che l'energia nucleare avrebbe giocato un ruolo sempre più rilevante nel futuro del Giappone. Nell'ambito del piano per le tecnologie energetiche innovative Cool Earth 50 del Ministero dell'economia, del commercio e dell'industria (METI) nel 2008, l'Agenzia giapponese per l'energia atomica mise a punto una strategia per una riduzione delle emissioni di CO2 del 54% (dai livelli del 2000) entro il 2050, per arrivare a una riduzione del 90% entro il 2100. In tal modo nel 2100 l'energia primaria sarebbe stata prodotta per il 60% circa da fonti nucleari (rispetto al 10% nel 2008), per il 10% da fonti rinnovabili (rispetto al 5%) e per il 30% da combustibili fossili (rispetto all'85%); inoltre, il nucleare avrebbe contribuito per il 51% alla riduzione delle emissioni di CO2. Nel giugno 2010 il METI decise di accrescere l'autosufficienza energetica al 70% entro il 2030, sia per la sicurezza energetica, sia per la riduzione delle emissioni. Questo richiedeva anzitutto nuove relazioni strategiche con i paesi produttori di energia. Il piano prevedeva inoltre un ruolo essenziale dell'energia nucleare e il raggiungimento di un grado di sfruttamento di tutti gli impianti pari al 90% della capacità installata.[3]

Il post-Fukushima

Lo stesso argomento in dettaglio: Energia nucleare in Giappone § Il post-Fukushima.

Mentre il Giappone in precedenza aveva fatto affidamento sull'energia nucleare per soddisfare circa il 30% dei suoi fabbisogni di elettricità, dopo il disastro di Fukushima Dai-ichi del 2011 tutti i reattori nucleari sono stati progressivamente spenti per preoccupazioni sulla sicurezza.[3] Il reattore n. 3 della centrale nucleare di Ōi alla fine fu riavviato il 2 luglio 2012.[4] Tuttava, nel settembre 2013 l'impianto fu chiuso affinché potesse subire le ispezioni di sicurezza e superare i controlli legati per la riapertura.[5] Rispettivamente l'11 agosto e il 1º novembre 2015 ripartirono i due reattori della centrale nucleare di Sendai. In seguito al disastro di Fukushima, l'opinione pubblica si è opposta all'uso dell'energia nucleare.[6][7]

Questo spinse inizialmente il governo giapponese nell'ottobre 2011, subito dopo il disastro di Fukushima, ad adottare una politica di riduzione della produzione di energia nucleare. Tuttavia, dopo la sconfitta alle elezioni del 2012, nel 2014 il nuovo governo approvò il 4º Piano strategico per l'energia (4th Basic [o Strategic] Energy Plan), con una programmazione ventennale, che riaffermava il ruolo dell'energia nucleare come fonte energetica primaria, essenziale per garantire (sia pure in modo sicuro) un approvvigionamento energetico stabile e sostenibile e per combattere il riscaldamento globale.[3] Fino al 2011, l'energia nucleare aveva rappresentato quasi il 30% della produzione totale di elettricità del paese, con una potenza installata (netta) di 47,5 GWe nel marzo 2011 e di 44,6 dopo di allora. I nuovi piani prevedevano di aumentare tale quota al 41% entro il 2017 e al 50% entro il 2030. Nell'aprile 2015, tuttavia, il governo annunciò che voleva riportare la quota di elettricità prodotta dalle fonti del carico di base al 60% del totale entro il 2030, di cui circa un terzo nucleare.[3] Le analisi del Research Institute of Innovative Technology for the Earth stimavano che i costi per l'energia (lievitati notevolmente negli anni precedenti) si sarebbero in tal modo ridotti a 2.400 miliardi di yen (20,0 miliardi di dollari) all'anno, rispetto all'attuale scenario del carico di base del 40% (le rinnovabili essendo il 30%). Allo stesso tempo, si prevedeva anche un significativo aumento della produzione delle centrali alimentate con combustibili fossili.[3]

Con il 5º Piano strategico dell'energia, atteso per il 2018, il governo intenderebbe sostanzialmente confermare gli orientamenti già manifestati con il piano precedente. Precisamente, si vorrebbe confermare per il 2030 il "mix" delle diverse fonti di produzione di energia elettrica, mantenendo al 20-22% la quota del nucleare sul totale della produzione, portando al 22-24% la quota delle fonti rinnovabili e confermando il 26% della quota di combustibili fossili.[8]

Alcuni osservatori ritengono tuttavia che questi obiettivi andrebbero rivisti, per tenere conto dei numerosi cambiamenti che si sono verificati dal 2014 in poi nell'industria energetica giapponese.[9] In primo luogo, anche se molte centrali nucleari sono state nel frattempo riattivate, il numero è comunque inferiore a quello programmato nel piano del 2014, anche per la necessità di adeguare gli impianti ai più severi standard di sicurezza adottato dopo il disastro di Fukushima. In secondo luogo, l'obiettivo di aumentare la quota delle fonti rinnovabili per la produzione di elettricità dal 22 al 24% entro il 2030 sembrerebbe troppo cauto, considerando che tale quota è già aumentata intorno al 15%, grazie soprattutto al netto calo dei costi delle suddette fonti, e che nel mondo l'uso dell'energia da fonti rinnovabili è in costante espansione. Infine, sarebbe da rivedere anche la quota del 26% che il piano assegna alle centrali alimentate a combustibili fossili (in particolare a carbone) nell'obiettivo di "mix" energetico per il 2030. Tale scelta comporterebbe infatti la costruzione di nuove centrali a carbone, più inquinanti, in controtendenza rispetto alle scelte della maggior parte dei paesi avanzati che, come si è visto nella Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico COP23, tenutasi a Bonn nel novembre 2017, progettano invece di abbandonare progressivamente i combustili fossili.[9]

Consumi, potenza richiesta e potenza installata

Produzione di elettricità in Giappone per fonte.

Il consumo di energia primaria nel paese era di 445,3 Mtep nel 2016, in lieve calo (-0,4%) rispetto all'anno precedente.[10]

A maggio 2018, il Giappone doveva soddisfare circa il 90 per cento dei suoi fabbisogni energetici attraverso le importazioni di combustibili.[3] Il Giappone era anche il quarto importatore mondiale di greggio nel 2015, con 165 Mt (8% delle importazioni mondiali totali di greggio), il terzo importatore di carbone nel 2016, con 189 Mt (15,6% delle importazioni mondiali totali di carbone) e il primo importatore di gas naturale nel 2016 con 116 miliardi di metri cubi (13.5% delle importazioni totali mondiali di gas).[11]

Il Giappone nel 2015 produceva 1.041 TWh di elettricità, 409 TWh da gas naturale, 343 TWh da carbone, 103 TWh da petrolio, 91 TWh da idroelettrico, 41 TWh da solare ed eolico, 41 TWh da biocarburante e rifiuti e 9 TWh da nucleare. Non c'erano importazioni o esportazioni, e il consumo finale nello stesso anno era di 957 TWh, pari in media a circa 7.500 kWh pro capite. La capacità totale installata era di circa 324 GWe alla fine del 2015.[3]

Tipologie di fonti energetiche primarie utilizzate

Energia da fonti non rinnovabili

Lo stesso argomento in dettaglio: Energia nucleare in Giappone.

Energia da fonti rinnovabili

Scambi con l'estero


Problemi

Costo

Divisione della rete elettrica nazionale


Dipendenza


Note

  1. ^ (EN) Takeo Kikkawa, The history of Japan's electric power industry before World War II (abstract), in Hitotsubashi Journal of Commerce and Management, vol. 46, n. 1, 2012, pp. 1–16. URL consultato il 31 maggio 2018.
  2. ^ a b c (EN) History of Japan's Electric Power Industry, su fepc.or.jp, The Federation of Electric Power Companies of Japan. URL consultato il 31 maggio 2018.
  3. ^ a b c d e f g h i (EN) Nuclear Power in Japan, su World Nuclear Association, maggio 2018. URL consultato il 24 maggio 2018.
  4. ^ Japan restarts first reactor since Fukushima – World news – Asia-Pacific | NBC News, su msnbc.msn.com, MSNBC, 7 gennaio 2012. URL consultato il 10 dicembre 2012.
  5. ^ Japan halts last nuclear reactor at Ohi, su BBC, 15 settembre 2013. URL consultato il 20 ottobre 2016.
  6. ^ Japan restarts second nuclear reactor despite public opposition, su The Guardian, 15 ottobre 2015. URL consultato il 20 ottobre 2016.
  7. ^ Opposition to nuclear energy grows in Japan, Deutsche Welle, 21 ottobre 2016. URL consultato il 4 ottobre 2017.
  8. ^ Japanʼs Strategic Energy Plan (PDF), su numo.or.jp, Agency for Natural Resources and Energy, 12 aprile 2018. URL consultato il 25 maggio 2018.
  9. ^ a b Revamping the nation’s basic energy plan, in The Japan Times, 17 gennaio 2018. URL consultato il 25 maggio 2018.
  10. ^ BP Statistical Review of World Energy 2017 (PDF), su bp.com, BP. URL consultato il 24 maggio 2018.
  11. ^ IEA Key World Energy Statistics 2017 (PDF), su iea.org, International Energy Agency, 2017. URL consultato il 24 maggio 2018.

Voci correlate

Collegamenti esterni