Pietro Manelfi
Pietro Manelfi (Monte San Vito, 1519 – ?) fu un sacerdote cattolico passato all’anabattismo: la sua notorietà è dovuta unicamente aver denunciato all’Inquisizione i suoi compagni di fede, dopo la sua riconversione al cattolicesimo, provocando così la completa repressione del movimento anabattista italiano.
Pietro Manelfi si presentò il 31 ottobre 1551 davanti all'inquisitore bolognese Leandro de Albertis, dichiarando di essere stato «nell'eresia luterana e nella perfidia anabattista» e, ora «toccato dallo Spirito Santo», intendeva «rientrare nel grembo di Santa Romana Chiesa». A questo scopo, per liberare la propria coscienza, intendeva rivelare i nomi di tutti i luterani, anabattisti ed eretici di qualunque corrente, con i quali era stato in contatto o di cui aveva avuto notizia. Data l'importanza delle rivelazioni che il Manelfi si apprestava a rendere, fu trasferito a Roma e qui interrogato, a partire dal 12 novembre, dal Sant'Uffizio.
Secondo le sue dichiarazioni, nel 1540 il cappuccino Gerolamo Spinazzola, chiamato a predicare nelle chiese della diocesi di Senigallia, gli aveva manifestato il suo luteranesimo e successivamente gli fece conoscere ad Ancona lo stesso Generale dell'Ordine cappuccino, Bernardino Ochino, che gli diede da leggere libri luterani, come le Annotationes in evangelium Matthaei di Melantone, il Commentarius in epistolam Pauli ad Galatas e il Contra papatum romanum a diabolo inventum di Lutero (ma quest'ultima opera fu edita soltanto nel 1545 in Germania e l'Ochino aveva abbandonato l'Italia fin dal 1542).
Fu verso il 1543 che il Manelfi aderì decisamente al luteranesimo, frequentando i circoli segreti protestanti di molte città: verso il 1548 conobbe a Firenze l'anabattista veneto Tiziano, del quale non è noto il cognome, che egli considera il principale diffusore in Italia dell'anabattismo che poi, a Ferrara, lo ribattezzò.
I principi in nome dei quali fu battezzato sono riportati nel suo "constituto" - l'interrogatorio - del 12 novembre 1551:
«Non essere lecito secondo l'evangelio battezzare i fanciulli se prima non credono
Gli magistrati non poter esser christiani
Gli sacramenti non conferire grazia alchuna, ma essere segni esteriori
Non tenere nella chiesa altro che scrittura sacra
Non tenere oppenione alchuna de' dottori
Tenere la Chiesa Romana diabolica et antechristiana
Quelli che sono battezzati non essere christiani, ma bisogna rebattezzarli».
Il Manelfi sottolineò che quei principi erano «openioni antique» non essendo «ancora tra tali anabattisti concluso contra la divinità di Christo et altri articoli novi determinati et conclusi nel concilio che fu fatto in Venetia». Questa riunione si sarebbe tenuta a partire dal settembre 1550 per decidere sulle diverse opinioni tenuti circa la divinità di Cristo, in base all'interpretazione da dare al passo biblico (Deuteronomio, 18, 18) «Io susciterò un profeta fra i tuoi fratelli e porrò le mie parole sulla sua bocca».
Il concilio veneziano, a cui presero parte sessanta convenuti, durò quaranta giorni: fra di essi il Manelfi cita Francesco Negri, giunto da Chiavenna e Celio Secondo Curione, venuto da Basilea.
Essendo emersa una particolare diffusione dell'anabattismo nel Veneto, il Sant'Uffizio mandò il maestro del Sacro Palazzo, il domenicano inquisitore Girolamo Muzzarelli, a Venezia, perché desse al Senato veneziano le copie dei constituti. La lettera di accompagnamento affermava che «per tutta Italia è scoperta dalla gran bontà del signor Dio una moltitudine d'anabattisti, i quali hanno congiurato contra li magistrati, contra la fede et contra Christo nostro redentore [...] tengono nemici d'Iddio tutti i magistrati christiani et vogliono che niuno christiano possa essere imperatore, re, duca o esercitare magistrato alcuno, et li populi essere obbligati a obedirli [...] particolarmente nell'anno 1550 nel mese di settembre congregorno uno concilio secretamente in Venetia di Germani, Grissoni et Italiani sin al numero di cinquanta o sessanta, et erano solo dua per giesa cioè per congregazione [...]».