Alienazione

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Disambiguazione – Se stai cercando il concetto giuridico di alienazione, vedi alienazione (diritto).

Alienazione deriva dall'aggettivo latino alienus e questo, a sua volta, dal pronome indefinito "alius" (in greco allos): altro. Il termine fa riferimento a colui o a ciò che è altro, straniero, non appartenente alla nostra comunità, in pratica che "non è dei nostri" e che, quindi, ci è estraneo. L'alienazione, nel suo verbo "alienare", fa parimenti riferimento all'atto dell'allontanare o dell'estraniare da sé e, quindi, all'atto di prendere distanza da qualcuno o da qualcosa. La terminologia legata a questa parola viene spesso usata anche per indicare i folli, gli alienati mentali per l'appunto, o chi vive ai margini della società e della comunità umana, e tutti coloro che esprimono comportamenti borderline. Altre volte, infine, il termine viene utilizzato per indicare genericamente il disagio dell'uomo nella moderna civiltà industriale, nella quale l'artificio che gli è proprio lo fa sentire lontano dalle proprie radici naturali. I primi studi in cui questo concetto viene esplicitato si hanno con Rousseau, Fichte, Schelling ed Hegel, mentre è proprio con le elaborazioni di Marx ed Engels - e di molti autori formatisi a questa scuola di pensiero e di azione politico-economica - che lo studio e l'analisi del fenomeno dell'alienazione, dopo l'avvento della società industriale e capitalista, trova la sua fioritura.

Il concetto di alienazione in filosofia

Lo stesso argomento in dettaglio: La Metafisica (Tommaso Campanella).

L'alienazione è stata interpretata in vari modi dai filosofi che se ne sono interessati.

Rousseau

Il primo a parlare di alienazione fu Rousseau. Secondo il filosofo francese, l'alienazione avveniva nel momento in cui i cittadini, "stringendo" il contratto sociale, si alienavano di tutti i loro diritti a favore di un'entità superiore, lo Stato.

Hegel

Hegel

Successivamente il concetto di alienazione occuperà un posto rilevante sia nella filosofia di Hegel che nei lavori di Marx ed Engels, la cui impostazione filosofica del pensiero è esplicitamente derivata dalla dialettica hegeliana. All'interno del sistema di pensiero di Hegel l'alienazione quale momento dello sviluppo dello spirito è intesa in senso sia negativo che positivo. Egli ritiene infatti che l'alienazione, considerata come un estraniarsi dello spirito a se stesso, avviene quando questo, nell'oggettivare se stesso, si proietta al di fuori di sé, divenendo così natura. In questo senso l'alienazione per Hegel è tutt'uno con l'oggettivarsi dello spirito e il suo manifestarsi come natura, si parla dunque di un'alienazione in senso negativo. Quando lo spirito, in un secondo momento, ritorna in sé rivela la positività del perdersi dello spirito nella natura per ritrovarsi infine in se stesso. Si ha dunque la visione sintetica dell'alienazione intesa come fenomeno positivo. Dunque per Hegel l'alienazione si configura come una tappa necessaria del divenire dello spirito, che, oltre ad essere vista come una negazione, va considerata come un arricchimento dello spirito, o dell'Idea, nel suo processo dialettico. La differenza sostanziale presente tra il concetto di alienazione nella dialettica di Hegel e l'accezione presente nella dialettica materialistica di Marx ed Engels è che per questi ultimi l'alienazione comincia con lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, mentre per Hegel l'alienazione è un fenomeno connaturato all'essere stesso del pensiero che, oggettivandosi, si aliena da sé stesso, riunendosi in sé stesso in un successivo e superiore momento di sintesi.

Eppure, e forse inaspettatamente, nel pensiero dell'ultimo Hegel spunta una drastica dissociazione fra il pantragismo e il pangiustificazionismo come patodicea e/o teodicea. Nella famosa sezione dedicata all'"astuzia della ragione", nella "Introduzione" alle Lezioni sulla filosofia della storia, egli approda a un netto distinguo fra l'alienazione (Entäusserung) dello Spirito assoluto, che sarà pure riconciliabile (Versöhnung) con sé stesso, e l'estraniazione (Entfremdung) dello spirito soggettivo e personale, il quale invece non ne può ricavare alcuna consolazione e conforto.Rimane solo l'essere parassitati strumentalmente dal male: "spirito", sì, anche se magari materialistico poiché bottom-up, però comunque fatalismo antiprovvidenziale, esiziale, negativo, maligno[non chiaro]. Con ciò viene rigettata ogni identificazione intenzionale delle coscienze individuali nei confronti d'una simile mostruosa progettazione e architettura del decorso storico.[1]

Feuerbach

Feuerbach

Nell'accezione usata da Ludwig Feuerbach, appartenente al gruppo dei "giovani hegeliani", o della "sinistra hegeliana", il termine è usato per indicare la proiezione in un mitico al di là delle qualità positive dell'uomo, in particolare amore, ragione e volontà all'ennesima potenza, creando un essere superiore (identificato in Dio) ed elaborando, così, una teoria della religione vista come alienazione dell'uomo, poiché egli in questo processo si scinde: estranea da sé stesso caratteristiche proprie dell'uomo per creare una potenza che è superiore a lui, alla quale si sottomette. La chiave di volta della teologia è infatti l'antropologia.

Marx e Engels

Karl Marx, il cui motto preferito era Homo sum, humani nihil a me alienum puto («Sono un uomo, non ritengo a me estraneo nulla di umano»), e Friedrich Engels furono due allievi di Hegel, i quali, oltre a procedere nell'ulteriore critica dell'alienazione religiosa portata avanti da Feuerbach, misero in rilievo, attraverso la loro critica all'economia-politica, l'alienazione originale che è alla base di tutti gli altri tipi di alienazione, inclusa quella religiosa: l'alienazione economica. Alla base di questa, che condiziona tutte le altre, secondo la loro concezione dialettica ma materialistica della storia, vi sono:

  1. La divisione del lavoro.
  2. La proprietà privata (non tanto delle merci in sé quanto degli strumenti di produzione).

Prendendo le mosse da quella che allora veniva chiamata sinistra hegeliana, i due filosofi che oltre a essere pensatori erano anche organizzatori e guide politiche, individueranno la forma maggiormente nota e dibattuta di alienazione, cioè quella subita dalla classe operaia. Secondo Marx, alienazione è quel processo che estranea un essere umano da ciò che fa fino al punto da estraniarsi da sé stesso.

La critica al concetto di alienazione in Marx

Il filosofo di Treviri distingue quattro tipi di alienazione, confrontando l'operaio con l'artigiano tradizionale:

  1. L'operaio è alienato dal prodotto del suo lavoro, perché produce beni senza che gli appartengano (infatti sono di proprietà del capitalista) e si trova, anzi, in una condizione di dipendenza rispetto ad essi;
  2. L'operaio è alienato dalla propria attività, perché non produce per sé stesso, ma per un altro (il capitalista); il lavoro dell'operaio non è libero come quello dell'artigiano né fantasioso, ma costrittivo: si svolge infatti in un determinato periodo di tempo, stabilito da altri (il capitalista).
  3. L'operaio è alienato dalla sua stessa essenza (Wesen), poiché il suo non è un lavoro costruttivo, libero e universale, bensì forzato, ripetitivo e unilaterale (Marx paragona l'operaio al Sisifo della mitologia greca);
  4. L'operaio è alienato dal suo prossimo, cioè dal capitalista, che lo tratta come un mezzo da sfruttare per incrementare il profitto e ciò determina un rapporto conflittuale. Da un punto di vista più ampio, l'economia capitalistica traduce il rapporto tra le persone in modi di sfruttamento.

A fronte di una tale “disumanizzazione” diventa meno impedente la questione degli aumenti salariali e dell'addolcimento della vita. In una pagina de Il Capitale, scritta dopo l'adozione dei primi interventi a favore degli operai, Marx affermerà “Come il vestiario, l'alimentazione, il trattamento migliore e un maggiore peculio non aboliscono il rapporto di dipendenza e lo sfruttamento dello schiavo, così non aboliscono quello del salariato”.

I quattro tipi di alienazione vengono teorizzati da Marx nei "Manoscritti economico-filosofici", opera che scrive nel 1844 (anche se sarà pubblicata soltanto nel 1932) e che sancisce il definitivo passaggio dal liberalismo al comunismo del pensatore di Treviri. Questa alienazione coinvolge solamente gli operai, che vivono appunto in una situazione alienante, dalla quale deriva l'opposizione dialettica presente tra forza lavoro e rapporti di produzione.

Louis Althusser

Louis Althusser ha definito il passaggio di Marx dalla problematica antropologica di Feuerbach all'indagine storica e socio-economica come transizione dalla filosofia alla scienza.

Alienazione e psicologia

Lo stesso argomento in dettaglio: Dissociazione (psicologia) e Scissione (psicologia).

Sigmund Freud

Secondo la psicoanalisi l'individuo vive in prima persona la contraddizione che lo mette in croce tra "natura" e "cultura". Freud ritiene che questa contraddizione sia insolubile e che comunque per quanto la scelta della cultura corrisponda al processo di civilizzazione, tale civilizzazione non possa essere vissuta dal singolo individuo se non come una alienazione da sé stesso per il sacrificio della pulsionalità immediata che essa richiede. Da qui il disagio fondamentale che il singolo deve accettare: il disagio appunto della civiltà che lo porta a dover scegliere tra eros o civiltà, tra civiltà o barbarie. Questo è il prezzo che il singolo deve pagare per poter beneficiare della civilizzazione. Taluni non sono disposti a pagare tale prezzo o lo ritengono consciamente o inconsciamente troppo elevato, e in taluni casi lo può essere veramente, oppure non avere gli strumenti conoscitivi per riuscire a gestirsi tale contraddizione si da venire a trovarsi nella confusione, da qui la nevrosi e in taluni casi anche la psicosi.

Nostalgia dell'Eden (Edipo) e alienazione

La sottomissione al processo di civilizzazione corrisponde alla sottomissione del figlio al "padre", al "terzo", il "fallo" e alla risoluzione della rivendicazione (protesta edipica), con la rinuncia alla realizzazione della fantasia simbiotica incestuosa con la "madre". Ma proprio perché comunque la nostalgia dell'Eden permane e non è eliminata definitivamente, il processo di civilizzazione stesso viene considerato e quindi vissuto dal singolo individuo come altro dal sé vero, reale che continua invece ancora a sognare l'unione comunque. La rassegnazione, in questa prospettiva, diviene una iniziazione che coincide con la guarigione e l'entrata nel regno degli adulti con il conseguentemente sciogliersi della tensione scaturita dalla contraddizione tra natura e cultura di cui il singolo individuo è portatore come la sua croce di cui non può liberarsi se non accettando di portarla.

Carl Gustav Jung

Il principale allievo di Freud, lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, pur mantenendo lo stesso scenario di impostazione alla problematica dell'alienazione, non giunge alle stesse conclusioni "pessimistiche" del suo maestro viennese, in quanto, per Jung, la naturale attività simbolizzatrice del pensiero - che la psicoanalisi semplicemente riattiva o permette di esercitare come in una palestra del pensiero riflessivo e non ripetitivo - è proprio ciò che permette la sintesi reale dei contrari. Per Jung, infatti, lo spirito non è sublimazione; esso non cela la sessualità come nella concezione riduttivistica della attività e dimensione spirituale che è propria di Freud e dei suoi epigoni. Per Jung, invece, lo spirito vero coincide con la stessa libido che vuole ciò che la libido vuole: l'unione, ma ad un livello riflessivo più elevato da dove riprendere a desiderare l'unione in un procedere negaentropico infinito tale che la tensione natura/cultura, quale croce inscritta nell'essere da cui scaturisce l'energia psichica, invece di ricadere distruttivamente sul sistema conoscitivo che il singolo incarna, diviene la fonte dove trovare quella forza per procedere ulteriormente. Nota è infatti la frase di Jung che ribalta la lettura della psicopatologia: "Non siamo noi a guarire dalla nevrosi ma è la nevrosi stessa che ci guarisce".

Le critiche a Jung

La critica principale alla impostazione della problematica dell'alienazione umana dello psicoanalista Jung è che tale sintesi dei contrari, che l'attività simbolizzatrice dovrebbe realizzare togliendo l'uomo dalla croce e dal suo vissuto di alienazione, è solo apparente e che, quindi, il simbolo, di per sé, non è la resurrezione dell'umanità in croce tra l'istinto e la necessità di mediare l'istinto per poter essere accolto nella famiglia umana, sicché a questi critici la soluzione data da Jung al problema appare più che altro come un esorcismo del male del mondo e nulla più.

Note

  1. ^ Per una breve sintesi: P. Ricoeur, Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, ed. or. 1986, trad. it. Morcellana, Brescia 1993, pp. 35-49 - ISBN 88-372-1520-7

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