Callinectes sapidus

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Disambiguazione – Se stai cercando l'artropode marino talvolta indicato come granchio reale, vedi Limulus polyphemus.
Come leggere il tassoboxProgetto:Forme di vita/Come leggere il tassobox
Come leggere il tassobox
Granchio blu
Femmina di Callinectes sapidus presso il Museo dei bambini di Indianapolis
Stato di conservazione
Rischio minimo
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa Bilateria
PhylumArthropoda
SubphylumCrustacea
ClasseMalacostraca
SottoclasseEumalacostraca
OrdineDecapoda
SottordinePleocyemata
InfraordineBrachyura
SezioneEubrachyura
SottosezioneHeterotremata
SuperfamigliaPortunoidea
FamigliaPortunidae
SottofamigliaPortuninae
GenereCallinectes
SpecieC. sapidus
Nomenclatura binomiale
Callinectes sapidus
Rathbun, 1896

Il granchio blu[1] o granchio reale blu[1] o granchio nuotatore [2] (Callinectes sapidus Rathbun, 1896) è un crostaceo decapode brachiuro della famiglia Portunidae.[3] È una specie autoctona delle coste atlantiche del continente americano dove rappresenta un importantissimo prodotto della pesca. È stato ampiamente introdotto e acclimatato al di fuori del suo areale naturale, spesso con gravi effetti dannosi sulle comunità biologiche.

Distribuzione e habitat

Areale nativo

La specie è originaria della parte occidentale dell'oceano Atlantico, dove vive lungo le coste dell'intero continente americano, dalla Nuova Scozia all'Uruguay[4] comprese le Bermuda, l'intero golfo del Messico, il mar dei Caraibi e le piccole e grandi Antille[5]. Nelle acque nordamericane è storicamente riportata la presenza di popolazioni stabili a nord fino a Capo Cod in Massachusetts mentre le segnalazioni in stazioni più settentrionali erano perlopiù riferite a individui o gruppi di individui erratici[6] presenti solo durante la stagione calda[7] e non a popolazioni in grado di autosostenersi data l'assenza di femmine ovigere[8]. Nel 2015 è stata però accertata la presenza di una popolazione stabile nel golfo del Maine, circa 500 km più a nord[8]. La distribuzione nella parte sud dell'areale è meno nota: alcune fonti riportano l'Uruguay come limite meridionale[4] mentre altre riferiscono la sua presenza nel nord dell'Argentina senza però dare informazioni sulla consistenza e la stabilità delle popolazioni[5][9].

Specie introdotta

La specie è stata introdotta in numerose aree esterne al suo areale come il mare del Nord[4][10], il mar Baltico[4][11], il Mar Nero[4][12], il mar Mediterraneo[4][13] e il Giappone[4][5]. La via di introduzione più probabile è quella accidentale dovuta a stadi larvali pelagici rilasciati assieme alle acque di zavorra delle navi. Altre vie di arrivo di questa specie prese in considerazione sono rilasci più o meno intenzionali, trasporto passivo sugli scafi o in ammassi di alghe o espansioni naturali dell'areale[7]. Tuttavia l'abbondante presenza di questa specie nei pressi di grandi porti negli Stati Uniti e l'ubicazione delle prime colonie in Europa all'interno di aree portuali con traffico transatlantico rende l'ipotesi del trasporto nelle acque di zavorra quella più probabile e universalmente accettata[14].

Le prime segnalazioni per l'Europa risalgono al 1900 sulla costa atlantica settentrionale francese da cui si è diffusa alle acque dei Paesi Bassi, Germania e Danimarca[15] rimanendo però sporadico con segnalazioni occasionali almeno fino al 1965. Nel mare del Nord, un aumento delle popolazioni si è riscontrato a partire dal 1975[16], mostrando comunque abbondanze molto inferiori a quelle riscontrate nel Mediterraneo[13]. La presenza nel mar Mediterraneo è stata accertata la prima volta in Egitto nel 1940, quindi nel 1937 nel mar Egeo[17] e un anno dopo nell'Adriatico settentrionale; le prime popolazioni naturalizzate nel mar di Levante e nell'Egeo vengono segnalate solo a partire dal 1959; a partire da questi primi nuclei di colonizzazione si assiste a una rapida diffusione della specie nella parte orientale del Mediterraneo mentre, almeno fino al 2006 le segnalazioni per il Mediterraneo occidentale sono sporadiche, occasionali e senza segni di naturalizzazione[18]. Nel 2008 la situazione fotografata dall'atlante delle specie aliene del mar Mediterraneo della CIESM[4] riporta la specie come frequente nel Mediterraneo orientale dall'Egitto alla parte meridionale del mar di Marmara, compresa l'isola di Cipro, e nel golfo di Salonicco, mentre risultava poco comune nell'estremo nord del mare Adriatico. Segnalazioni occasionali erano riportate per il mar Ligure, il golfo del Leone, Malta, il mar Ionio e per entrambe le coste dell'Adriatico centrale[4]. È negli anni 2000 che l'esplosione demografica della specie si osserva nelle regioni dov'è invasiva[17]. Nel 2016-2023, la diffusione nel Mediterraneo occidentale ha un forte incremento diffondendosi su tutte le coste del bacino e anche aree esterne allo stretto di Gibilterra come le coste atlantiche della Spagna[19] e del Marocco[19][20] e colonizzando perfino le isole Canarie[19]. L'espansione verso il bacino occidentale, più freddo, del mar Mediterraneo potrebbe essere correlata con l'aumento delle temperature medie di questo mare[21]

Al 2023 il granchio blu risulta presente e naturalizzato in tutto il Mediterraneo[10].

In Italia

In Italia le prime segnalazioni ufficiali riguardano Marina di Grado e la Laguna di Venezia e datano, rispettivamente, 1949 e 1951; poi, in ordine di tempo, ci sono le segnalazioni per il porto di Genova (1965) e per la Sicilia (1970)[22]; la specie però non pare costituire popolazioni riproduttive almeno fino ai primi anni novanta del XX secolo, tanto che dopo le prime segnalazioni non si sono più avuti riscontri fino al 1991 nella Laguna di Venezia[22]. A partire dal nuovo millennio la colonizzazione delle acque italiane procede in maniera rapida: nel 2006 appare nel Golfo di Trieste[23] in seguito compare nel resto del mar Adriatico[24][25][26] compreso il delta del Po[27], nel mar Ionio[28], nel mar Ligure[29], in Sardegna[30][31], in Sicilia[32][33] e per ultimo viene colonizzato il mar Tirreno[34][35].

Nel 2021 risulta presente in tutti gli ambienti idonei dei mari italiani[36] spingendosi anche all'interno dei fiumi[37][38] fino a oltre 9 km[38].

In Francia

Benché la presenza del granchio blu sia stata registrata sin dai primi del Novecento sulle coste atlantiche francesi, la sua introduzione nel Mediterraneo è più recente[15]. Le prime notizie di quest'introduzione risalgono al 1962, quando, nella laguna di Berre alcuni esemplari erano stati pescati[39]. A partire dal 2016, la sua presenza si è diffusa in molte lagune della costa mediterranea francese e della Corsica[40]. In Corsica in particolare, le prime notizie della specie risalgono al 2033, ma è a partire dal 2019 che si è rapidamente diffusa lungo le coste dell'isola. Nel 2020 è stata confermata la riproduzione del granchio blu nelle acque corse[41].

Col fine di combattere la diffusione invasiva della specie, diversi strumenti di pesca specializzati sono stati sviluppati e testati, in particolare in Francia. Sebbene i risultati in ambiente controllato sono stati positivi, la loro applicazione in ambito naturale non ha portato i frutti sperati[42]. Le esche non vengono attaccate dai granchi probabilmente a cause dell'abbondanza di cibo in natura. Le nasse con inganni a maglie raffrozate hanno dato i risultati migliori per la cattura dei granchi blu[43].

In Spagna

Sulle coste spagnole, Callinectes sapidus è presente dal 2003[17], anche se la sua presenza è stata sporadicamente osservata a partire dagli anni 2010, ad iniziare dalle lagune della regione dell'Albufera, vicino Valencia[44]. Il 6 dicembre 2014, un esemplare intrappolato in reti da pesca era stato catturato all'imboccatura del fiume Segura, nel sud-est della Spagna[45]. In seguito, la presenza di larve di granchio blu è stata registrata nelle isole Baleari[46].

In Spagna, il granchio blu è anche sfruttato come risorsa dal valore mercantile: femmine gravide vengono rilasciate in mare[47] e i granchi sono pescati ed esportati verso i mercati cinesi e coreani[48].

Habitat

L'habitat preferito nell'areale naturale di C. sapidus è costituito dalle foci fluviali e le baie a profondità da 0 a 90 metri (ma normalmente in acqua bassa non più profonda di 35 metri) con fondali di sabbia o fango[49]. Il granchio blu è fortemente eurialino ed è reperibile da salinità marine[49] o addirittura superiori[4] all'acqua dolce; è in grado di risalire i fiumi anche per 195 km[49]. La tolleranza all'acqua dolce varia nella vita di un individuo: i primi stadi larvali non sono in grado di tollerare acque molto dissalate[50] e per questo motivo le femmine adulte, dopo aver raggiunto la maturità sessuale ed essersi accoppiate nelle acque poco salate degli estuari, migrano verso il mare o zone a salinità relativamente alta per la deposizione delle uova[49]. I giovani granchi sono invece tolleranti alla bassa salinità e si spostano verso acque salmastre[51]. In generale, tranne che nelle fasi giovanili e nel breve periodo di accoppiamento, i maschi stazionano in acqua salmastra e le femmine in zone a salinità marina o appena più bassa[52]. Tollera anche un ampia gamma di temperature[4]; le temperature ottimali vanno da 12°C a 24°C con un optimum termico a 23°C[53].

Descrizione

C. sapidus ha il carapace largo oltre il doppio della lunghezza[54] con granulature[4] soprattutto nella parte anteriore[54]. Sulla fronte sono presenti due denti non appuntiti[54] di forma triangolare[4], sui lati del carapace nella parte anteriore e laterale sono presenti 9 paia di denti, il più posteriore dei quali molto più grande degli altri e trasformato in una robusta spina diretta esternamente[4]; l'aspetto della spina laterale è variabile tra gli individui e può essere più o meno acuminata o rivolta leggermente indietro[55]. I pereiopodi, ovvero le appendici toraciche o zampe, sono cinque paia delle quali il più anteriore, come in tutti i granchi, è trasformato in chele e definito chelipede; le chele sono molto robuste[54] e più lunghe delle altre quattro paia di arti[4]. Sul lato anteriore del mero, il segmento basale dei chelipedi, sono presenti tre robuste spine[54], mentre una è situata sul lato esterno nella parte finale[4]. Nel carpo, il segmento del chelipede successivo al mero, non sono presenti spine sul lato interno[4]. Il propodio, l'ultimo segmento del chelipede corrispondente alla chela vera e propria, è percorso da carene rilevate cosparse di granuli[55]. Come in tutti i Portunidae l'ultimo paio posteriore di pereiopodi ha i due elementi finali appiattiti in forma di paletta[56]. L'addome è, come in generale nei granchi, piccolo, appiattito e ripiegato sotto il torace, la sua forma costituisce il più evidente dimorfismo sessuale di questa specie: nel maschio l'addome ha grossolanamente la forma della lettera "T" ed è costituito da due segmenti basali larghi, mentre i restanti sono molto sottili; nella femmina ha forma triangolare negli individui immaturi e ovale rotondeggiante in quelli adulti[55][57].

La colorazione del lato dorsale del carapace ha una certa variabilità e va dal grigiastro al verde oliva con sfumature bluastre[4][54][55], le spine sui bordi del guscio possono essere rossastre. Le zampe sono di solito verde brunastro con parti variamente colorate di blu e bianco e articolazioni fra i segmenti talvolta rossicce[55]. La colorazione delle punte delle chele è un carattere che consente di distinguere i sessi: nei maschi sono blu mentre sono rosso aranciato nelle femmine[4][54][55], nel maschio la chela ha lati di colore blu[55], da cui deriva il nome comune.

La taglia massima riportata in letteratura per il granchio blu è una larghezza di 22,7 cm nel maschio e di 20,4 per la femmina[55].

Biologia

Alimentazione

Il granchio blu è un animale onnivoro con una dieta scarsamente specializzata. L'alimentazione è basata su pesci, altri crostacei, molluschi e materiale vegetale. Studi condotti nell'areale naturale americano mostrano che la dieta di C. sapidus comprende prevalentemente pesci e loro resti[58][59], molluschi bivalvi[58][59], molluschi gasteropodi[59], policheti[59], crostacei anfipodi, decapodi e misidacei[59], alghe verdi del genere Ulva[58], fanerogame marine del genere Zostera[58] e perfino larve di insetti ditteri Chironomidae[59]. Gli individui di piccole dimensioni consumano relativamente più crostacei, molluschi e vegetali rispetto agli adulti che a loro volta predano animali più grandi e dotati di gusci più duri compresi molluschi bivalvi dotati di conchiglie massicce come le ostriche[58]. I bivalvi costituiscono una frazione consistente della dieta di C. sapidus, la conchiglia viene aperta dal lato della cerniera tagliando il legamento e i muscoli adduttori che tengono chiuse le due valve[60]; vengono scelti per primi gli individui più piccoli e più facili da aprire[61]. Studi condotti in laboratorio mostrano come individui sottoposti a una dieta esclusivamente vegetale abbiano mortalità molto più alta, minori tassi di crescita e minor potenziale riproduttivo di quelli alimentati con cibi animali[62]. Gli adulti mostrano una forte tendenza al cannibalismo nutrendosi frequentemente di altri individui di granchio blu[58], soprattutto delle classi di taglia inferiori[63]. L'alimentazione di C. sapidus nell'areale di invasività è poco nota: uno studio condotto nel golfo di Salonicco in Grecia riporta che la dieta si basa su molluschi bivalvi, crostacei e pesci tra i quali molte specie di grande interesse per la pesca come il cuore spinoso, il fasolaro, la vongola lupino, il cuore di laguna, la cozza, l'ostrica, la vongola verace e il cannolicchio tra i molluschi, il granchio verde e la mazzancolla tra i crostacei, la spigola, i cefali, i saraghi, la mormora, la triglia di scoglio, la sogliola, l' orata e l'ombrina tra i pesci nonchè di policheti, piante terrestri come la salicornia e carogne di animali terrestri tra le quali quelle di gabbiani e serpenti[64].

La dieta delle larve pelagiche di C. sapidus è scarsamente conosciuta ma sembra basarsi sullo zooplancton, sebbene comprenda anche una percentuale di fitoplancton sembra che una dieta basata solo su microrganismi vegetali non fornisca nutrienti a sufficienza per completare lo sviluppo larvale[58].

Riproduzione

Le varie fasi della muta.

Il granchio blu arriva alla maturazione sessuale verso l'anno di vita, dopo circa 18 mute, dopo la fase larvale; il numero di mute varia fra maschio e femmina, un po' più elevato per quest'ultima. Il momento della riproduzione è fortemente influenzato dalle condizioni di salinità e di temperatura del mare, ma avviene in acque salmastre[65]. L'accoppiamento avviene poco dopo l'ultima muta della femmina e generalmente in estate nell'areale nativo della specie: il maschio afferra la femmina immatura inserendo le sue chele fra quelle della femmina e il primo paio di zampe e la porta così fino alla sua ultima muta. Lo sperma, trasportato da spermatofori, raggiunge le spermateca della femmina attraverso i due pori genitali situati sotto l'addome[66]. Le femmine migrano in seguito in mare aperto oppure in acque ad alta salinità affinché le uova possano schiudersi e le larve possano completare il loro ciclo di sviluppo lontano della costa[67]. La femmina può deporre oltre 2 milioni di uova[68], deposti fra i due e i nove mesi dall'accoppiamento[66]. Di tutte queste uova, sopravvive lo 0,000001%. Le cause della distruzione delle uova sono varie: possono venire mangiare da vermi o uccise da funghi, possono anche morire a causa della temperatura dell'acqua o della poca ossigenazione[69]. La schiusa avviene, a seconda della temperatura dell'acqua, fra i 12 e i 17 giorni dopo la deposizione[67].

Dopo la schiusa, il C. sapidus passa attraverso due stadi larvali: quello di zoea e quello di megalopa[69]. Le larve maturano attraverso una serie di mute successive in acque poco profonde e a bassa salinità. Con il freddo invernale, la crescita rallenta fino a bloccarsi, ma riprende con l'estate. Vi sono 7-8 stadi zoea e, dopo 31 a 49 giorni, la larva diventa una megalopa. Lo stadio di megalopa dura dai 6 ai 20 giorni, prima che la larva diventi un giovane granchio[70][71][72].

Predatori

I predatori naturali del granchio reale blu sono numerosi e includono diverse specie di pesci (anguille, Scienidi, Morone saxatilis, pesci tamburo, trote, alcuni squali, Dasiatidi), stelle marine (Asterias forbesi), alcune specie di tartarughe marine (Lepidochelys olivacea) o di uccelli (Larus argentatus, Phalacrocorax auritus, Ardeidae)[73].

Uso commerciale

Questi crostacei, nelle loro zone d'origine, vengono pescati in quantità per uso alimentare: in particolare, vengono considerati una prelibatezza quelli pescati nella baia di Chesapeake[74][75], dove essi costituiscono un'importante risorsa (valutata in oltre 100 milioni di dollari USA negli anni '90; la domanda si è successivamente dimezzata).
Per far fronte alla continua richiesta, gli Stati di Maryland e Virginia, che si affacciano sulla baia, hanno emanato speciali provvedimenti, volti a salvaguardare le popolazioni rimanenti, fra i quali il divieto di pescare esemplari di diametro inferiore ai 14 cm e restrizioni varie circa i periodi in cui effettuare la pesca. A causa di tali provvedimenti, per far fronte alla forte domanda i due Stati americani hanno dovuto ricorrere all'importazione da altri Stati (Carolina del Nord, Louisiana, Florida e Texas)[76] o addirittura dal Sud-est Asiatico.

Pesca commerciale

Esemplari in vendita al porto del Pireo.

La pesca al granchio reale si effettua tramite particolari nasse, simili a quelle utilizzate per pescare le aragoste e denominate crab pot[77]: tali nasse consistono in reticolati di filo metallico, posti attorno ad uno scheletro di legno o di metallo, a formare una gabbia di forma cubica con due entrate. Tali fori sono studiati in modo che l'animale, entrando attratto dall'esca (costituita da pezzetti di pesce o pollo fissati in una tasca di metallo per impedire agli animali di mangiarli), sia poi impossibilitato ad uscire dal foro. Le varie nasse vengono disposte in lunghi filari e controllate giornalmente, rimuovendo gli esemplari pescati ed eventualmente sostituendo le esche consumate.

I granchi vengono divisi in jimmies (maschi adulti), sallies (femmine immature) e sooks (femmine adulte): gli esemplari in fase di muta vengono separati dagli altri e piazzati in vasche di cemento di 90×150 cm a seconda della fase della muta in cui si trovano, per evitare atti di cannibalismo. Dopo la muta, si attendono circa due giorni per lasciar solidificare la nuova corazza dei granchi, dopodiché essi vengono congelati e venduti.

Pesca sportiva

I pescatori amatoriali, per pescare occasionalmente qualche granchio, utilizzano sia i palangari, che le nasse: queste ultime, di dimensioni minori rispetto a quelle utilizzate commercialmente e dalle forme anche assai varie (oltre che cubiche, se ne trovano anche di forma piramidale o cilindrica). In queste trappole l'animale ha maggiori probabilità di fuga e perciò esse devono essere ispezionate più frequentemente, all'incirca ogni mezz'ora.
Un altro metodo assai semplice per pescare questi animali è quello di utilizzare una lampara, per vederli nelle acque fluviali durante la notte, e pescarli con un retino dalle maglie robuste, per evitare che questi animali danneggino la rete con le forti chele.

Cucina

Negli Stati Uniti[78] orientali questi animali vengono bolliti in acqua, aceto e varie misture di erbe aromatiche: per poterli cuocere a piacimento, essi vengono gettati in scolapasta ed estratti una volta raggiunto il colore rosso, tipico dei crostacei bolliti.
Per estrarre la polpa del granchio, è necessario "scoperchiarlo" e in seguito romperne le varie articolazioni, ricavando un quantitativo di carne modesto rispetto alle dimensioni totali dell'animale. Le branchie, solitamente rimosse, chiamate tomalley o mostarda (a causa del colore), vengono considerate da alcuni una prelibatezza[79].

La carne del granchio blu, ricca di vitamina B12[80], viene utilizzata, oltre che come cibo istantaneo, anche come prezioso ingrediente del crab cake[81] e di altre ricette locali. La carne inoltre può essere trattata per la conservazione in appositi stabilimenti ed essere venduta inscatolata.

I granchi catturati appena dopo la muta, e perciò muniti di guscio ancora molle, vengono privati delle interiora e delle branchie e fritti dopo essere stati immersi in una pastella di uova, farina ed erbe aromatiche.

Danni per l'ecosistema e l'economia

Il granchio reale blu è una specie aliena e invasiva nel Mediterraneo[82] dove si è adattato al clima, seppur inizialmente con qualche difficoltà, causando danni ormai accertati all’itticoltura e alla coltivazione dei molluschi, anche per via della sua ecologia riproduttiva[83]. Può entrare in competizione negli areali di specie autoctone, danneggiandone la popolazione[84]. Può inoltre rovinare alcuni tipi di reti da pesca con le proprie chele ed introdursi negli allevamenti di pesci e altri animali acquatici danneggiandoli[85][86][87][88][89].

Note

  1. ^ a b Treccani
  2. ^ Denominazione obbligatoria in Italia per tutti i membri del genere Callinectes in base al Decreto Ministeriale 2563 del 31 gennaio 2008 ai sensi del DM 31 gennaio 2008
  3. ^ DecaNet (eds), Callinectes sapidus, (WoRMS 2024)
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s CIESM Atlas of Exotic Crustaceans in the Mediterranean Sea
  5. ^ a b c Millikin, 1984, p. 6
  6. ^ Johnson, p.105
  7. ^ a b Nehring, 2011, p. 607
  8. ^ a b Johnson, 2015, p.107
  9. ^ Williams, 1971, p. 781
  10. ^ a b Castriota et al., 2024, p. 7
  11. ^ Czerniejewski et al., 2020
  12. ^ Snigirev et al., 2020
  13. ^ a b Castriota et al., 2024, p. 1
  14. ^ Nehring, 2011, p. 617
  15. ^ a b Veyssiere et al., 2022, p. 18.
  16. ^ Castriota et al., 2024, p. 8
  17. ^ a b c Veyssiere et al., 2022, p. 17.
  18. ^ Castriota et al., 2024, p. 6
  19. ^ a b c Castriota et al., 2024, p. 11
  20. ^ Oussellam et al., 2023, p. 403
  21. ^ Marchessaux et al,, 2022, pp. 7-11
  22. ^ a b Mizzan, 1999, p.158
  23. ^ Manfrin et al., 2006, p. 1
  24. ^ Cilenti et al., 2015, p. 281
  25. ^ Castriota et al., 2012, p. 467
  26. ^ Mancinelli et al., 2013, p. 46
  27. ^ Manfrin et al., 2015, p. 1
  28. ^ Carrozzo et al., 2014, p. 1
  29. ^ Suaria et al., 2017, p. 147
  30. ^ Piras et al., 2019, p. 134
  31. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 22.
  32. ^ Giacobbe et al., 2019, p.365
  33. ^ Pipitone et al., 2020, p. 101
  34. ^ Tiralongo et al., 2021, p.99
  35. ^ Battisti et al., 2023, p.63
  36. ^ Tiralongo et al., 2021, p.102
  37. ^ Vecchioni et al., 2022, p. 43
  38. ^ a b Scalici et al., 2021, p. 3
  39. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 20.
  40. ^ Labrune et al., 2019, pp. 878-879
  41. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 21.
  42. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 31.
  43. ^ Croizer, 2022
  44. ^ Campus de Gandia Ciencia
  45. ^ Gonzalez-Wanguemert e Pujol, 2016, p. 616
  46. ^ Png-Gonzalez et al., 2021, pp. 2-4
  47. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 33.
  48. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 35.
  49. ^ a b c d Nehring, 2011, p. 608
  50. ^ Millikin, 1984, p.7
  51. ^ Millikin, 1984, p.8
  52. ^ Millikin, 1984, p.24
  53. ^ Marchessaux et al,, 2022, p. 4
  54. ^ a b c d e f g Falciai e Minervini, 1992, pp. 202-204
  55. ^ a b c d e f g h Millikin, 1984, p. 3
  56. ^ Falciai e Minervini, 1992, p. 199
  57. ^ van Engel, p. 7.
  58. ^ a b c d e f g Millikin, 1984, p. 21
  59. ^ a b c d e f Laughlin, 1982, p. 818
  60. ^ Hughes e Seed, 1981, p.83
  61. ^ Hughes e Seed, 1981, pp.86-87
  62. ^ Belgrad e Griffen, 2016, pp.5-8
  63. ^ Peery, 1989, p.9
  64. ^ Kampouris et al., 2019, p. 29
  65. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 6.
  66. ^ a b van Engel, pp. 7-8.
  67. ^ a b Veyssiere et al., 2022, p. 7.
  68. ^ (EN) Charles E. Epifanio, Early Life History of the Blue Crab Callinectes sapidus: A Review, in Journal of Shellfish Research, vol. 38, n. 1, 17 aprile 2019, pp. 1-22, DOI:10.2983/035.038.0101. URL consultato il 23 agosto 2023.
  69. ^ a b van Engel, p. 9.
  70. ^ Veyssiere et al., 2022, pp. 7-10.
  71. ^ van Engel, pp. 10-11.
  72. ^ (EN) John D. Costlow e C. G. Bookhout, THE LARVAL DEVELOPMENT OF CALLINECTES SAPIDUS RATHBUN REARED IN THE LABORATORY, in The Biological Bulletin, vol. 116, n. 3, 1959-06, pp. 373–396, DOI:10.2307/1538947. URL consultato il 2 luglio 2024.
  73. ^ (FR) P. Noël, Le Crabe bleu américain Callinectes sapidus (Rathbun, 1896), collana Inventaire national du Patrimoine naturel, Parigi, Muséum national d'Histoire naturelle, 2017.
  74. ^ Simona Mazza Certelli, Granchio blu: necessità di salvare habitat a Cheasapeake bay, su Il Giornale dell'Ambiente, 28 settembre 2021. URL consultato il 10 agosto 2023.
  75. ^ Darianny Ventura, Granchio blu, la prelibatezza della Virginia, su XXI Secolo, 2 ottobre 2021. URL consultato il 10 agosto 2023.
  76. ^ Baltimore Sun, 2007
  77. ^ Samuel Kersey Sturdivant e K. L. Clark, An Evaluation Of The Effects Of Blue Crab (Callinectes Sapidus) Behavior On The Efficacy Of Crab Pots As A Tool For Estimating Population Abundance, in Fishery Bulletin, vol. 109, n. 1, 1º gennaio 2011, pp. 48–55. URL consultato il 10 agosto 2023.
  78. ^ Antonella De Santis, Mangiare i granchi blu con le ricette di grandi chef, su Gambero Rosso, 9 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  79. ^ Come cucinare il granchio blu (Callinectes sapidus) - Il giornale dei marinai, su https://www.ilgiornaledeimarinai.it/, 1º giugno 2021. URL consultato il 10 agosto 2023.
  80. ^ Gilda Giusti, Granchio blu: il killer del mare diventa re della tavola. E fa bene: possiede vitamina B12, su Firenze Post, 9 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  81. ^ Crab Cake: polpette di granchio ricetta originale del Maryland, su Buon Appetito by Paola, 14 gennaio 2021. URL consultato il 10 agosto 2023.
  82. ^ Cos'è il granchio blu che sta invadendo l'Italia, su Wired Italia, 17 agosto 2023. URL consultato il 24 agosto 2023.
  83. ^ Mancinelli et al., 2017, p. 4
  84. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 32.
  85. ^ Lo chiamano il “killer dei mari”: l’allarme di Coldiretti, su QuiFinanza, 10 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  86. ^ Granchio blu: 'il killer dei mari' che sta mettendo a rischio il settore pesca, su CataniaToday. URL consultato il 10 agosto 2023.
  87. ^ Mariangela Pala, Allarme granchio blu, Flag Nord Sardegna: «Per eliminarlo bisogna mangiarlo», su L'Unione Sarda.it, 10 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  88. ^ Granchio blu, cos'è e perché è pericoloso per l'ecosistema, su Tgcom24, 8 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  89. ^ Granchio blu, cos'è (e perché è pericoloso), su ilgazzettino.it, 4 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.

Bibliografia

Altri progetti

Collegamenti esterni

Controllo di autoritàLCCN (ENsh85018989 · GND (DE4265407-5 · BNF (FRcb15564549n (data) · J9U (ENHE987007293659105171
  Portale Artropodi: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di artropodi