Codicologia

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La codicologia è la disciplina che studia i libri manoscritti antichi e medievali e in parte anche umanisti e rinascimentali, nel loro aspetto materiale che lo costituiscono dal punto di vista della sostanza e della qualità, nel loro aspetto storico, ovvero come questi materiali sono cambiati nel corso del tempo, e infine nel loro aspetto artigianale, ovvero le tecniche e le fasi di produzione adottati dall’artigiano nella creazione del libro.

Origine del termine

Come termine in realtà è stato coniato in tempi relativamente recenti e viene conteso tra due studiosi: Charles Samaran, che in realtà aveva coniato il termine codicografia, da paleografia, per difendere l’autonomia dell’allora chiamata scienza del manoscritto, e Alphonse Dain, che invece creò il termine codicologia e lo utilizzò per la prima volta nel corso di filologia greca da lui tenuto nel 1944. Il termine rimase pressoché inutilizzato sino al 1949 data di pubblicazione della sua celebre opera Les manuscrits,[1] nella quale fra l'altro rivendicava la paternità del termine, sottolineando anche come tale definizione si fosse oramai acclimatata nel lessico di numerosi studiosi.

La codicologia prende il nome da codex, codice, termine che indica la forma libraria conservata fino al giorno d’oggi, e che progressivamente dal I secolo d.C. sostituì il volumen, ovvero il rotolo di pergamena o papiro in uso nella civiltà egiziana e poi greca e romana. Inizialmente con codex si indicava il tronco d’albero, quindi quando si è iniziato ad utilizzare il legno come supporto,  ha iniziato ad indicare le tavolette di legno lavorate su cui si scriveva. Poi siccome queste tavolette venivano raccolte ad anelli in blocchi di due, tre o via dicendo, nell’età cristiana passò ad indicare i blocchetti di papiro o pergamena cuciti insieme, che erano una sorta di antenato del codice vero e proprio. Codice quindi si riferisce al libro manoscritto nella sua concreta materialità, quella in cui l’idea astratta dello scrittore si realizza fisicamente tramite editore per raggiungere l’estremo opposto, ovvero i lettori. E dato che i libri manoscritti sono delle vere e proprie testimonianze materiali dell’epoca  a cui appartengono, bisogna indagarne anche il sostrato ideologico e successivamente anche l’iter che ha poi seguito per arrivare fino ai giorni nostri. In questo modo si arriva a ricostruire la storia di ogni paese alle radici dalla sua cultura e delle sue committenze.

Evoluzione storica della disciplina

La codicologia in realtà nella sua sostanza esisteva già da molto tempo prima che il termine venisse coniato, anche se inizialmente veniva trattata come disciplina particolarmente legata alla paleografia. Già nel 1708 Bernard de Mountfaucon con il suo trattato Paleografia Greca non solo aveva posto le basi della scienza paleografica greca, ma per la prima volta si indagava l’origine dei codici cercando quelle informazioni che oggi si considerano indispensabili per svolgere l’analisi filologica. Un altro passo in avanti verso la nascita della disciplina si ebbe solo un secolo dopo, tra il 1825 e il 27, anni nei quali un bibliotecario tedesco chiamato Friedrich Adolf Ebert, che tra l’altro aveva già pubblicato un opuscolo sulla formazione del bibliotecario, pubblicò due tomi in cui in sostanza divideva nettamente la scienza dei manoscritti in primis dalla diplomatica, che è studia i documenti di interesse storico o erudito per accertarne l'autenticità o la provenienza, e dall’epigrafia, che invece si occupa della lettura e interpretazione delle epigrafi, in particolare nelle lingue morte. Quindi Ebert intuì che lo studio dei manoscritti potesse essere trattata come una disciplina indipendente, divisa dalle altre che si occupano anche solo in parte dei manoscritti, ma ancora non c’era stata quella vera e propria divisione dei compiti e delle componenti che invece si ebbe progressivamente solo nel corso del Novecento.

Nel 1909 Ludwig Traube, spingendosi ancora più avanti di Ebert, individuò nella paleografia una paleografia storica, che si interessa delle glosse, delle note marginali e dei segni di rimando, e una storia delle biblioteche, che invece indaga il manufatto come prodotto di un centro scrittorio, come parte di una struttura e come testimonianza culturale e materiale. Inoltre attribuiva alla paleografia generale il compito di leggere i testi, datarli e localizzarli. Quindi ancora la paleografia era una disciplina legata alla filologia. Questa divisione diventò più netta solo tra gli anni 20 e 30 nel Novecento in Francia, in cui Charles Saraman e più tardi Alphonse Dain individuarono e descrissero anche i compiti che sono affidati a questa disciplina: la storia dei manoscritti, la loro evoluzione, la catalogazione, la ricerca della loro attuale ubicazione, ecc. Per contro, alla paleografia vengono affidati invece lo studio della scrittura e della materia scrittoria, la sua illustrazione e come è stato confezionato il libro. Quindi c’è stata una divisione più che altro sul piano terminologico.

Due date particolarmente importanti che bisogna ricordare sono il 1950 e il 1956, anni nei quali sono usciti due fascicoli della rivista Scriptorium, la più nota rivista di paleografia e codicologia, in cui il fondatore François Masai sosteneva per la prima volta che paleografia e codicologia hanno il diritto di esistere come due discipline separate negli ambiti di ricerca e nei metodi, affermando che la paleografia come disciplina storica debba studiare i testi antichi ponendo l’attenzione a tutti gli scritti a prescindere dal loro supporto, mentre considerava la codicologia come una disciplina archeologica che nel pratico studia i manoscritti per approfondirne la conoscenza.

L'affermazione di François Masai aprì la strada ad una nuova prospettiva che da quel momento in poi venne portata avanti da altri studiosi. Ad esempio Léon Marie Joseph Delaissé la estese alla storia del libro medievale intendendo la codicologia come interpretazione del materiale e dei fatti del libro in relazione al contenuto, o ancora Gilbert Ouy, che invece asseriva che i manoscritti costituiscono un ramo della bibliografia che va studiato come gli archivi, in quanto il manoscritto è anche un fenomeno culturale che può essere studiato sotto vari punti di vista. Oltre a loro due negli stessi anni anche Albert Deronez e Albert Gruys seguirono le parole del Masai, facendo anche un’ulteriore suddivisione interna della disciplina, dividendola in codicologia in lato sensu, che studia il manoscritto come fenomeno storico-culturale, e la codicologia in stricto sensu, ovvero l’analisi archeologica del libro nonché punto di partenza della codicologia generale. Successivamente, da Gumbert, la disciplina venne tripartita in codicologia archeologica che analizza il manoscritto come oggetto ad unicum, una codicologia tecnica, che appunto analizza le tecniche di fabbricazione del libro, ed una codicologia che esamina i libri come fenomeno culturale.

La prima applicazione concreta di questi studi teorici venne applicata da Léon Gilissen, la cui straordinaria esperienza venne raccolta nei Prolégomènes à la Codicologie, pubblicati nel 1977.

Accezioni

Solitamente si differenzia la codicologia stricto sensu dalla codicologia lato sensu.

  • La codicologia stricto sensu viene definita "l'archeologia del libro". Essa studia con la massima attenzione forma, supporti e procedure tecniche per la fabbricazione del libro. In generale l'archeologia del libro comprende una serie di conoscenze e di competenze di natura prettamente tecnica; essa si occupa della fisicità del manoscritto, della sua materialità.
  • La codicologia lato sensu va al di là della materialità del libro manoscritto, occupandosi della storia del libro in una sua accezione più ampia. È interessata a ciò che il libro rappresenta, al suo pubblico, alla sua fortuna, alla sua conservazione ed alle sue vicende.

Studi, riviste, risorse

L'interesse per tale studio nasce in Germania col nome di Handschriftenkunde, “arte o scienza del manoscritto”, termine ancora in uso nei paesi di lingua tedesca. In Italia non si nota un interesse particolare per questa disciplina: le principali riviste relative al settore sono infatti per lo più di area nord europea. Vanno in particolare citate:

  • “Scriptorium” (franco-belga) fondato nel 1946, semestrale, che raccoglie i saggi di varie discipline più un bollettino che raccoglie la bibliografia degli studi codicologici;
  • “Codicologica” (olandese) fondata nel 1976 e orientata verso riflessioni metodologiche (organizzata in fascicoli tematici, affrontano problemi specifici della codicologia).
  • "Gazette du livre medieval”, fondata nel 1982, per stabilire un legame tra i codicologi, diffondere l'informazione relativa al manoscritto e stimolare il dibattito metodologico.

In Italia, ma non specificamente sull'argomento, si può citare:

Tra gli strumenti ausiliari sono poi da citare alcune raccolte di termini specialistici per aiutare gli studiosi, fra gli altri:

  • Vocabulaire codicologique realizzato nel 1985 da Denis Muzerelle, in cui sono esaminati circa 2200 termini riguardanti:
    • supporti scrittori;
    • copisti e materiali per la scrittura;
    • fabbricazione del libro;
    • copia e testo;
    • decorazione;
    • legatura;
    • trasmissione e conservazione dei manoscritti;
  • Terminologia del libro manoscritto di Marilena Maniaci.

Note

  1. ^ Alphonse Dain, Les Manuscrits, Diderot éditeur, coll. « Pergame », 1949, pp. 76-93.

Bibliografia

  • E. Ruiz Garcia, Manual de codicologia, Salamanca-Madrid 1988.
  • J. Lemaire, Introduction à la codicologie, Louvain 1989.
  • J.A. Szirmai, The archaeology of medieval bookbinding, New York, 1999.
  • Marilena Maniaci, Terminologia del libro manoscritto, Roma-Milano 1996.
  • Marilena Maniaci, Archeologia del manoscritto: metodi, problemi, bibliografia recente, Roma 2002.
  • François Déroche, Annie Berthier, Manuel de Codicologie des manuscrits en écriture arabe, BnF, Parigi 2000.
  • M. L. Agati, Il libro manoscritto. Introduzione alla codicologia, Roma 2003.

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