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Museo lapidario maffeiano

Coordinate: 45°26′17.84″N 10°59′29.32″E
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Museo Lapidario Maffeiano
Cortile del Museo Lapidario
Ubicazione
StatoItalia (bandiera) Italia
LocalitàVerona
IndirizzoPiazza Bra, 28
Coordinate45°26′17.84″N 10°59′29.32″E
Caratteristiche
TipoArcheologia
DirettoreFrancesca Rossi
Visitatori2 433 (2022)
Sito web

Il museo lapidario maffeiano, inaugurato nel 1738 a Verona dal marchese Maffei, è uno dei più antichi musei lapidari d'Europa. Si trova vicino a Piazza Bra, all'interno delle antiche mura della città di Verona. Precursore del museo odierno fu una raccolta di 28 iscrizioni. I reperti sono stati collocati nel vestibolo dell'Accademia Filarmonica fondata nel 1543.

Storia

Dettaglio del pronao, il primo elemento realizzato del complesso, su progetto di Domenico Curtoni

Il museo occupa un terreno che venne acquistato nel 1603 dall'Accademia Filarmonica di Verona per costruirvi la propria sede e il teatro Filarmonico; si trattava, oggi come allora, di un'area di pregio, posta accanto ai portoni della Bra e a breve distanza dall'Arena di Verona. Domenico Curtoni, nipote e allievo del noto architetto rinascimentale-manierista Michele Sanmicheli, fu il progettista incaricato dei lavori: egli riuscì a completare l'imponente pronao esastilo e gli ambienti retrostanti, tuttavia non poté avviare i lavori di realizzazione della sala e del palcoscenico del teatro. Nel pronao egli volle perfino riproporre per la base delle colonne, quelle che erano in opera nel Capitolium, il più importante dei templi della Verona romana, situato nel foro veronese; inoltre la base originaria dell'antico tempio venne poi esposta alla sinistra del pronao. Quella del Curtoni si può definire, nell'ambito dell'architettura teatrale, un'opera di grande valore, in quanto rispetto alla precedente produzione cinquecentesca (come per esempio il teatro Olimpico di Andrea Palladio, situato a Vicenza), per la prima volta si diede un prospetto monumentale a questa tipologia di strutture.[1]

Ritratto di Scipione Maffei, dipinto del XVIII secolo opera di Fra Galgario

Scipione Maffei, che nel 1701 divenne socio dell'Accademia Filarmonica, ero uno studioso veronese che stava acquisendo, al fine di evitarne la dispersione, molte iscrizioni da raccolte private veronesi. Tali epigrafi, che vennero conservate presso l'Accademia, nel tempo continuarono a crescere di numero in quanto lo studioso proseguì nella raccolta di questi documenti, ampliando la propria ricerca in varie zone d'Italia, arrivando perfino, nel 1720, a vendere alcuni dipinti in modo da poter sovvenzionare l'acquisto di ulteriori lapidi e finanziare la costruzione della struttura che le avrebbe ospitate. Tra il 1719 e il 1724, infatti, fece edificare un muro che divideva l'attuale via Roma dal cortile del pronao, detto "muro delle lapidi", dove trovarono sistemazione circa 230 iscrizioni e frammenti scultorei. Nello stesso periodo, inoltre, promosse il completamento del teatro Filarmonico, il cui progetto venne commissionato a Francesco Bibiena. Egli riuscì così a fondare un museo pubblico ove mettere a disposizione di tutti il patrimonio culturale che aveva accumulato nel corso degli anni.[2]

Il museo negli anni trenta del Settecento, con il "muro delle lapidi" a separarlo da via Roma

Gli acquisti del marchese Maffei tuttavia continuarono, portando così alla necessità di ristrutturare il museo al fine di ampliarne gli spazi espositivi: il muro delle lapidi venne così demolito, e il progetto di ristrutturazione affidato al pittore e architetto classicista Alessandro Pompei: egli fece costruire un basso porticato ritmato da colonne doriche che circondava l'intero cortile antistante il pronao del teatro, potendo così disporre gli oggetti tra gli intercolumni e lungo il muro di fondo, al riparo dagli agenti atmosferici. La struttura ad un solo livello, completata nel 1745, consentiva inoltre di poter continuare ad ammirare il pronao dalla Bra.[2]

Il museo divenne così un'eccellenza della città, metà di tutti i viaggiatori stranieri che giungevano in Italia dall'Europa settentrionale per intraprendere il Grand Tour, interessati alla storia e all'arte antica di cui potevano avere qui un primo assaggio.[3]

L'esterno della struttura del museo, alla destra dei portoni della Bra, come appare a seguito dei lavori di ampliamento e sopraelevazione che coinvolse il porticato

In seguito diverse altre trasformazioni interessarono il complesso, tra cui la distruzione e ricostruzione del teatro in due occasioni. Nella prima parte del Novecento, inoltre, il portico venne pesantemente rimaneggiato: il lato verso via Roma venne traslato più all'interno e sopraelevato di tre livelli, mentre nel lato lungo l'ingresso venne realizzata un'ampia esedra, anche questa sopraelevata. Per un certo periodo di tempo il museo non fu più visitabile ma ebbe maggiore fortuna dopo che nel 1982 fu oggetto di lavori di riallestimento museale.[3]

Descrizione

L'accesso al museo avviene attraverso una costruzione all'ingresso di Piazza Bra. Da lì un portico ad arcate e un ascensore permettono di raggiungere gli spazi chiusi del museo.

La raccolta comprende iscrizioni latine, miliari della Via Postumia e materiale lapideo figurato di epoca soprattutto romana e greca, ma anche etrusca e paleoveneta, tra cui stele, rilievi funerari e piccole urne cinerarie. Uno dei punti chiave della mostra nelle sale del museo sono proprio le steli e le urne. Le antiche iscrizioni e rilievi nel cortile, il portico e nella sala sono disposti in ordine cronologico.

Sono presenti più di 500 epigrafi in lingua latina, etrusca, greca, e di provenienza orientale e paleocristiana. Vengono inoltre illustrate le varie tipologie di scrittura adottate dai romani, in particolare l'uso dello stilo per incidere della creta (o cera) stesa su una tavoletta.

Biglietteria

All'ingresso, destinato a biglietteria, è esposto un ritratto del 1740 circa raffigurante Scipione Maffei, opera di Dioniso Nogari, e un autoritratto di Alessandro Pompei, del 1730 circa. Trovano spazio, inoltre, un notevole sarcofago romano del II secolo, un frammento di iscrizione egizia, tre lapidi sepolcrali ebraiche del XVII secolo e un'epigrafe medievale.[3]

Nel corridoio si trovano invece un ulteriore ritratto del Maffei, in questo caso opera del 1745 di Antonio Elenetti, alcune illustrazioni che raccontano l'impianto originario del museo e del teatro, e due epigrafi arabe dell'XI secolo.[3]

Sala greca

La stele funeraria di Gaio Silio Bathyllo, raccontata anche dal poeta tedesco Goethe

La sala greca, caratterizzata da un'ampia terrazza da cui si può godere di piazza Bra e dell'Arena da un punto di vista sopraelevato,[4] custodisce diversi oggetti di elevato interesse, tra cui:

  • una statua acefala che raffigura Meleagro, un eroe cacciatore del cinghiale calidonio;[5]
  • un frammento di scultura votiva scolpita su due facce, che apparteneva al santuario di Asclepio di Atene, edificato da Telemachos intorno al 420 a.C.;[5]
  • un rilievo dedicato da Argenidas (presso la cui figura si nota un'imbarcazione, forse a ricordo di un salvataggio da un naufragio) ai gemelli divini Dioscuri, in questo pezzo rappresentati da due statue, due anfore e due troni;[5][5]
  • una lapide del V secolo a.C. relativa al culto di un eroe che è stato rappresentato come un giovane con il cavallo a lato, con il dedicante che si avvicina alzando la mano in segno di riverenza;[5]
  • l'iscrizione più nota è sicuramente quella di Epikteta, che fece incidere nell'isola di Thera nel III secolo a.C., in Fra le iscrizioni; ha grande notorietà quella su quattro lastre relativa alla fondazione testamentaria di Epikteta, in quanto si tratta di una delle epigrafi greche più lunghe mai ritrovate;[6]
  • una stele funerarie del V secolo a.C. che raffigura una donna seduta sulla gradini del proprio monumento funebre corredato da un'iscrizione che ricorda la morte di due sorelle e la conseguente estinzione della famiglia;[7]
  • una stele funeraria dedicata a Euklea, dove è raffigurato un tempio al cui interno si svolge un banchetto funebre con diversi personaggi e un tavolino ricco di offerte, mentre nella fascia al di sotto dell'architrave sono rappresentati diversi oggetti utilizzati dalle donne dell'epoca;[7]
  • una stele funeraria del I secolo dedicata a Gaio Silio Bathyllo, ove un fanciullo con ai piedi un cane è affiancato dai due genitori, mentre su un pilastro sono raffigurate due maschere che farebbero pensare che la famiglia fosse in qualche modo connessa al teatro. Tale lapide è piuttosto nota in quanto ricordata dal poeta tedesco Goethe, che visitò due volte il museo durante i suoi viaggi in Italia, riporta della commozione che gli suscitò il gioco di sguardi che si scambiano i personaggi.[8]

Sala etrusca e romana

In questa sala sono esposti diversi oggetti di età etrusca, veneta e romana. Tra le opere presenti degli Etruschi particolarmente numerose sono urne cinerarie datate tra il III e il I secolo a.C., la cui area di origine si riesce a identificare grazie all'utilizzo di diversi materiali di produzione: le urne in alabastro arrivano infatti da Volterra, quelle in travertino da Perugia e quelle in terracotta impressa a stampo da Chiusi.[4] Vi si ritrovano raffigurati numerosi temi mitologici, tra cui il rapimento di Elena e il combattimento tra i figli di Edipo, Eteocle e Polinice, e altri che hanno un più evidente significato funerario, come il banchetto funebre, il congedo del defunto dai familiari, il viaggio attraverso gli inferi su un carro; inoltre alcune lastre di chiusura delle urne riportano il defunto disteso su un letto.[9]

Numerose sono anche i manufatti degli antichi Veneti, tra cui un ciottolo funerario con iscrizione che venne acquistato da Scipione Maffei, convinto fosse una testimonianza delle scrittura etrusca, non essendo ancora conosciuta in quel periodo la cultura che era presente in Veneto prima dell'arrivo dei Romani.[9] Di questi ultimi, l'opera più interessante è il coperchio di un sarcofago del III secolo, probabilmente proveniente da Roma, su cui è rappresentato un bambino dormiente.[4]

Cortile

Il portico che si affaccia sul cortile del museo

Ai due lati dell'ingresso si trovano alcune colonne miliare, di cui quelle situate a destra provenienti dalla via Postumia, importante strada romana che collegava Genova ad Aquileia attraversando Verona.[10]

Lungo il portico destro sono esposte invece numerose iscrizioni veronesi, ordinate partendo dal pronao secondo il quinto volume del Corpus Inscriptionum Latinarum, una raccolta di epigrafi dell’intero impero romano elaborato nel corso del XIX secolo dall'Accademia delle scienze di Berlino. Ve ne sono alcune di particolare importanza per la storia antica di Verona, tra cui un frammento contenente poche lettere che faceva molto probabilmente parte dell’iscrizione dedicatoria dell'anfiteatro veronese, oppure alcune iscrizioni sacre che testimoniano quali dei fossero venerati nella città romana, e ancora un'iscrizione su una base di statua che ricorda come, intorno al 379-380, Valerio Palladio face risistemare una statua che si trovava abbattuta nel Capitolium veronese.[10]

Lungo il portico sinistro vi sono invece numerose iscrizioni provenienti da tutta la regione della Venetia et Histria, oltre che alcune originarie di Brescia e di Roma.[10]

Pronao

Sulle pareti del pronao si trovano alcune urne cinerarie etrusche, collocate in funzione decorativa dal marchese Maffei, sulle quali si trovano diverse raffigurazioni, tra cui il rapimento di Elena, il duello tra i figli di Edipo, la caccia di Meleagro al cinghiale e alcuni volti di Medusa che avevano la funzione di proteggere il sepolcro.[10] Al centro del pronao e sopra il portale, invece, si trova il busto dello stesso marchese, scolpito tra il 1728 e il 1729 da Giuseppe Antonio Schiavi e commissionata dell'Accademia Filarmonica per ringraziare il suo socio più importante.[11]

Oltre a questi, si trovano numerosi altri materiali, provenienti perlopiù da Verona e dal sul territorio, tra cui:

  • un pilastro di grandi dimensioni decorato con girali vegetali, che venne rinvenuto nella zona di piazza Duomo e che suscitò grande interesse tra gli artisti veronesi del XVI secolo;[10]
  • infine dei frammenti appartenenti al sepolcro del I secolo dei due fratelli Sertorii, Firmus e Festus, raffigurati in divisa militare, importante esempio di rappresentazioni funerarie romane dell’Italia settentrionale.[12]

Note

  1. ^ Bolla, p. 76.
  2. ^ a b Bolla, p. 77.
  3. ^ a b c d Bolla, p. 78.
  4. ^ a b c Bolla, p. 81.
  5. ^ a b c d e Bolla, p. 79.
  6. ^ Bolla, pp. 79-80.
  7. ^ a b Bolla, p. 80.
  8. ^ Bolla, pp. 80-81.
  9. ^ a b Bolla, p. 82.
  10. ^ a b c d e f g Bolla, p. 83.
  11. ^ Bolla, pp. 84.
  12. ^ Bolla, pp. 83-84.

Bibliografia

  • AA. VV., Il Museo Maffeiano riaperto al pubblico, Verona, Comune di Verona, 1982, SBN IT\ICCU\UBO\1022780 Controllare il valore del parametro sbn (aiuto).
  • Margherita Bolla, Verona romana, Sommacampagna, Cierre, 2014, ISBN 978-88-8314-771-5.

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