Utente:Vincenzo80/Storia della falconeria: differenze tra le versioni

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Contemporaneamente al Medioevo europeo, anche le compagini statali asiatiche erano state interessate da un sistematico diffondersi, tra la classe dominante, della passione per la caccia con il falco:
Contemporaneamente al Medioevo europeo, anche le compagini statali asiatiche erano state interessate da un sistematico diffondersi, tra la classe dominante, della passione per la caccia con il falco:


* In Cina, la [[dinastia Tang]] (618–907), restauratrice dell'unità imperiale perduta al collasso degli Han, fu interessata dalla pratica frequente della falconeria<ref name=":0" /> e nuovamente concorse alla sua diffusione presso gli stati clienti di Giappone e Corea. Al collasso dei Tang in Cina, il [[Celeste Impero]] tornò a frammentarsi anche in ragione del massiccio afflusso, nelle terre a nord del [[Fiume Giallo]], di popolazioni nomadi [[Turchi|turche]], [[Mongoli|mongole]] e [[Tungusi|tunguse]] la cui presenza portò paradossalmente nuova linfa alla falconeria trattandosi del passatempo prediletto dei barbari. L'affermarsi dell'[[Impero mongolo]] del ''[[Khaghan]]'' ("imperatore") [[Gengiz Khan]] (r. 1206–1227), esteso a tutto il continente [[eurasia]]tico, dalla Cina alla [[Bielorussia|Russia Bianca]] ed all'[[Ungheria]] creò poi una solida compagine la cui élite, mongola o cinese che fosse, apprezzò e coltivò la caccia con i rapaci: il [[Venezia|veneziano]] [[Marco Polo]], ne ''[[Il Milione]]'' (ca. [[1298]]), riporta, con l'esagerazione consueta all'opera, che il ''[[Gran Khan]]'' [[Kublai Khan|Kublai]] (r. 1260–1294) si serviva, nelle sue battute di caccia di 10.000 falconieri, addetti alla gestione di 500, tra [[Falco rusticolus|girifalchi]], [[Falco peregrinus|falchi pellegrini]] e [[Falco cherrug|falchi sacri]], oltre ad una non precisata quantità d’astori, tutti dotati di un loro trespolo in argento!<ref>{{cita libro|autore=[[Marco Polo]]|anno=1298|titolo=[[wikisource:it:Milione|Il Milione]]|cid=Il Milione|capitolo=Capitolo 93. Come 'l Grande Sire va in caccia}} ed. {{cita libro|autore=Marco Polo|titolo=Il Milione|curatore=Antonio Lanza|editore=L'Unità - Editori Riuniti|edizione=ed. fuori commercio riservata agli abbonati|anno=1982}} {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}</ref>
* In Cina, la [[dinastia Tang]] (618–907), restauratrice dell'unità imperiale perduta al collasso degli Han, fu interessata dalla pratica frequente della falconeria<ref name=":0" /> e nuovamente concorse alla sua diffusione presso gli stati clienti di Giappone e Corea. Al collasso dei Tang in Cina, il [[Celeste Impero]] tornò a frammentarsi anche in ragione del massiccio afflusso, nelle terre a nord del [[Fiume Giallo]], di popolazioni nomadi [[Turchi|turche]], [[Mongoli|mongole]] e [[Tungusi|tunguse]] la cui presenza portò paradossalmente nuova linfa alla falconeria trattandosi del passatempo prediletto dei barbari. L'affermarsi dell'[[Impero mongolo]] del ''[[Khaghan]]'' ("imperatore") [[Gengiz Khan]] (r. 1206–1227), esteso a tutto il continente [[eurasia]]tico, dalla Cina alla [[Bielorussia|Russia Bianca]] ed all'[[Ungheria]] creò poi una solida compagine la cui élite, mongola o cinese che fosse, apprezzò e coltivò la caccia con i rapaci: il [[Venezia|veneziano]] [[Marco Polo]], ne ''[[Il Milione]]'' (ca. [[1298]]), riporta, con l'esagerazione consueta all'opera, che il ''[[Gran Khan]]'' [[Kublai Khan|Kublai]] (r. 1260–1294) si serviva, nelle sue battute di caccia di 10.000 falconieri, addetti alla gestione di 500, tra [[Falco rusticolus|girifalchi]], [[Falco peregrinus|falchi pellegrini]] e [[Falco cherrug|falchi sacri]], oltre ad una non precisata quantità d’astori, tutti dotati di un loro trespolo in argento!<ref>{{cita libro|autore=[[Marco Polo]]|anno=1298|titolo=[[wikisource:it:Milione|Il Milione]]|cid=Il Milione|capitolo=Capitolo 93. Come 'l Grande Sire va in caccia}} ed. {{cita libro|autore=Marco Polo|titolo=Il Milione|curatore=Antonio Lanza|editore=L'Unità - Editori Riuniti|edizione=ed. fuori commercio riservata agli abbonati|anno=1982}} {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}</ref>

* In Giappone, il gusto del ''[[tennō]]'' per la caccia con i rapaci portò risultati variegati: nell'818, l'imperatore [[Saga (imperatore del Giappone)|Saga]] (r. 809–823) commissionò uno dei primi trattati sulla materia oggi noti, lo ''Shinshuu Youkyou;'' l'imperatore [[Shirakawa (imperatore del Giappone)|Shirakawa]] (r. 1073–1087) fece invece della falconeria un suo assoluto privilegio, proibendola ai suoi sudditi;<ref>{{cita|Nakazawa 2021|pp. 82-83}}.</ref> apposite riserve di caccia (''kin'ya''), con residenze imperiali e falconieri assegnati, furono istituite a [[Osaka]], [[Kyoto]] e [[Nara]].<ref>{{cita|Nakazawa 2021|p. 86}}.</ref> Stante i capricci imperiali, durante lo [[Shogunato Kamakura]] (1192–1333), il primo ''[[bakufu]]'' della storia nipponica, la falconeria era per la classe nobile/guerriera del Sol Levante (''[[daimyō]]'' e ''[[samurai]]''), similarmente a quella europea, un aspetto fondamentale della vita sociale, tanto che lo ''[[Shogun]]'' doveva con una certa frequenza proibirla tramite appositi bandi,<ref>{{cita|Nakazawa 2021|pp. 84-85}}.</ref> e tale restò anche sotto il successivo [[Shogunato Ashikaga]] (1336—1573).<ref>{{cita|Nakazawa 2021|pp. 86-87}}.</ref> Importante è notare che al tempo i giapponesi ponevano un netto distinguo tra la caccia alla selvaggina di terra {{Nihongo|||''Makigari''}} e la caccia alla selvaggina di penna con i rapaci {{Nihongo||鷹狩|''Takigari''}}.<ref>{{cita|Nakazawa 2021|p. 85}}.</ref><ref name=":1" />
* In Giappone, il gusto del ''[[tennō]]'' per la caccia con i rapaci portò risultati variegati: nell'818, l'imperatore [[Saga (imperatore del Giappone)|Saga]] (r. 809–823) commissionò uno dei primi trattati sulla materia oggi noti, lo ''Shinshuu Youkyou;'' l'imperatore [[Shirakawa (imperatore del Giappone)|Shirakawa]] (r. 1073–1087) fece invece della falconeria un suo assoluto privilegio, proibendola ai suoi sudditi;<ref>{{cita|Nakazawa 2021|pp. 82-83}}.</ref> apposite riserve di caccia {{Nihongo|||''Kin'ya''}}, con residenze imperiali e falconieri assegnati, furono istituite a [[Osaka]], [[Kyoto]] e [[Nara]].<ref>{{cita|Nakazawa 2021|p. 86}}.</ref> Stante i capricci imperiali, durante lo [[Shogunato Kamakura]] (1192–1333), il primo ''[[bakufu]]'' della storia nipponica, la falconeria era per la classe nobile/guerriera del Sol Levante (''[[daimyō]]'' e ''[[samurai]]''), similarmente a quella europea, un aspetto fondamentale della vita sociale, tanto che lo ''[[Shogun]]'' doveva con una certa frequenza proibirla tramite appositi bandi,<ref>{{cita|Nakazawa 2021|pp. 84-85}}.</ref> e tale restò anche sotto il successivo [[Shogunato Ashikaga]] (1336—1573).<ref>{{cita|Nakazawa 2021|pp. 86-87}}.</ref> Importante è notare che al tempo i giapponesi ponevano un netto distinguo tra la caccia alla selvaggina di terra {{Nihongo|||''Makigari''}} e la caccia alla selvaggina di penna con i rapaci {{Nihongo||鷹狩|''Takigari''}}.<ref>{{cita|Nakazawa 2021|p. 85}}.</ref><ref name=":1" />


Quando, nel corso del [[XIV secolo]], l'Europa e l'Asia tornarono a instaurare reciproci scambi commerciali (v.si ''[[Pax mongolica]]''), le ''élite'' dei regni europei e quelle dell'Impero mongolo si scoprirono così accomunate dalla passione per la caccia con i rapaci.
Quando, nel corso del [[XIV secolo]], l'Europa e l'Asia tornarono a instaurare reciproci scambi commerciali (v.si ''[[Pax mongolica]]''), le ''élite'' dei regni europei e quelle dell'Impero mongolo si scoprirono così accomunate dalla passione per la caccia con i rapaci.

Versione delle 14:35, 26 lug 2024

Voce principale: Falconeria.
Scena di idillio e falconeria di ambiente normanno-svevo: Bianca Lancia e Federico II - Codex Manesse (copia 1304)

La storia della falconeria, intesa come pratica venatoria basata sull'uso di falchi o altri rapaci per catturare prede, solitamente altri uccelli, principia con le civiltà del Vicino Oriente antico, quasi certamente agli Assiri, e trova riscontri, sempre in età proto-storica, tra le popolazioni nomadi della steppe eurasiatica come gli Sciti che la veicolarono nell'Estremo Oriente, anzitutto Cina e da lì Giappone e Corea. Dati utili per valutare il ricorso alla falconeria da parte della Civiltà greca e della Civiltà romana sono scarsi. In generale, in Europa la caccia con il falco si diffonde nella Tarda Antichità, complice l'afflusso massiccio di popolazioni germaniche come i Goti che l'avevano appresa tramite il loro contatto con l'impero nomade degli Unni.

Solo nel corso del Medioevo la falconeria si diffuse capillarmente sul suolo europeo, raggiungendo interessantissimi sviluppi, ed entro il XIII secolo divenne un aspetto fondamentale della vita sociale della nobiltà, oggetto anche d'una florida trattatistica che trovò nel De arte venandi cum avibus del sacro romano imperatore Federico II di Svevia (r. 1198–1250) capisaldi.

Come altre tipologie di caccia, anche la falconeria è oggi diventata un hobby che, negli ultimi decenni, sta conoscendo un ottimo sviluppo, soprattutto in Europa e in Nord America.

Età antica

L'esatto momento di genesi della falconeria e il suo originale centro di promanazione, se di un solo centro si trattò, sono a oggi argomento di dibattito. Dato certo è che la pratica di servirsi degli uccelli rapaci per predare altri volatili e mammiferi di taglia medio-piccola si sviluppò prima in Oriente che in Occidente.

Le prime evidenze relative alla falconeria provengono dal Vicino Oriente antico. Riferimenti alla pratica venatoria aviaria si trovano già nell'Epopea di Gilgamesh, testo fondamentale della mitologia mesopotamica prodotto dalla civiltà dei Sumeri. Del pari, testimonianze archeologiche hanno confermato il ricorso alla falconeria degli Assiri. Negli scavi del palazzo di Sargon II a Khorsabad (VIII secolo a.C.) è stato rinvenuto un bassorilievo assiro raffigurante due cacciatori, l'uno impegnato ad abbattere dei rapaci con l'arco, l'altro intento invece a catturarne uno incolume, presumibilmente per destinarlo all'addomesticamento. Già l'archeologo Austen Henry Layard (1817–1894) aveva parlato di falconieri raffigurati nei bassorilievi delle rovine di Ninive.[N 1]

Nel corso del VII secolo a.C. la falconeria era già diffusa nell'Estremo Oriente. Pratica consueta tra le popolazioni nomadi della steppa euroasiatica, presso le quali il falco e l'aquila avevano un fortissimo significato simbolico sin dai tempi dell'Impero nomade degli Sciti,[1] viene citata da fonti dell'Antica Cina già nel 680 a.C. prima cioè della fondazione dell'Impero cinese vero e proprio nel 221 a.C.[2] Dalla Cina, la falconeria, ormai pratica diffusa tra i nobili durante la dinastia Han (206 a.C.–220 d.C.),[2] raggiunse la Corea ed il Giappone, allora intenti a costruirsi quali culture/compagini statali sul modello sinico. Secondo gli Annali del Giappone, però, solo nel IV secolo, sotto l'imperatore Nintoku (r. 313–399), si può attestare una massiccia diffusione della pratica venatoria aviaria nel Sol Levante.

Non siamo oggi nelle condizioni di poter affermare con certezza che la pratica della falconeria fosse diffuso nell'Antica Roma, seppur i rapaci avessero un ruolo predominante nella simbologia e nella mitologia romana quanto greca: basti pensare all'aquila intesa come simbolo di Zeus/Giove e il ricorrere del medesimo uccello quale stemma distintivo della legione romana.[3] Talune prove supporterebbe invece la pratica della falconeria presso i Traci, popolazione "barbara" affine ai Greci stanziata nei Balcani che ebbe contatti anche con i Romani.

La pratica della caccia con i rapaci raggiunse l'Europa romana grazie ai barbari nei turbolenti secoli delle Invasioni barbariche (164–476).
I Germani, con buona probabilità, portarono i rudimenti della falconeria delle popolazioni della steppa asiatica. Fondamentale, in questo senso, la parte giocata dai Goti, etnia germanica dominante nell'Europa orientale intorno al III secolo, che, nelle terre gravitanti intorno al Mar Nero, appresero dai nomadi Sarmati la pratica della caccia con il falco tanto quanto quella della cavalleria. Il successivo scontro dei Goti con gli Unni di Balamber nella Battaglia del fiume Erac (375) e il loro assoggettamento all'impero nomade di Rugila e Attila (434-453) intensificò certamente l'adozione, da parte dei Germani sconfitti, di usi e costumi asiatici quali la falconeria. Dai Goti, la pratica venatoria con i rapaci passò alle altre popolazioni germaniche e si diffuse nei domini romani, ormai dipendenti dai barbari per quanto riguarda il mantenimento di efficienti forze armate. L'imperatore romano Avito (r. 455–456), nato presso i Celti Arverni delle Gallie, avrebbe appreso proprio dai Goti, con i quali aveva combattuti gli Unni nella celebre Battaglia dei Campi Catalaunici (451), la pratica della falconeria e l'avrebbe poi introdotta nell'impero. A oggi, l'unica testimonianza archeologica pervenutaci della pratica venatoria aviaria presso i Romani data al 500 circa: un mosaico romano raffigurante un cacciatore con un falco che preda anatre rinvenuto nella ribattezzata "Villa del Falconiere" di Argos (Grecia).[4]

Medioevo

Aroldo II con in mano un falcone

Europa

Fu durante il Medioevo che la falconeria si diffuse sul suolo europeo, raggiungendo interessantissimi sviluppi.
Un influsso notevole a questa diffusione provenne nuovamente dall'arrivo in Europa di popolazioni latrici della pratica venatoria aviaria. La formazione dell'Impero arabo-musulmano costituì, sulla sponda meridionale del Mediterraneo, una solida compagine statale che contribuì a diffondere usi e costumi appresi dagli Arabi grazie alla Persia dei Sasanidi.[5] Fu infatti proprio in concomitanza con l'espansione musulmana in Europa nell'VIII secolo (v.si Conquista islamica della penisola iberica e Guerre bizantino-arabe in Sicilia) che la pratica della falconeria, dopo i torbidi della Tarda antichità, tornò a fiorire nel Vicino Oriente ora conteso tra Arabi e Bizantini, gettando le basi per quella solida tradizione che avrebbe portato gli studiosi occidentali del XIX secolo a guardare con stupore e ammirazione all'incredibile empatia tra il beduino e il suo falco.[N 2]

A partire dal VII-VIII secolo, la falconeria radicò capillarmente nelle diverse compagini statali che andavano lentamente formandosi nelle terre del vecchio impero dei Romani. Tale diaspora dell'attività venatoria aviaria, sempre inquadrabile quale privilegio della classe guerriera dominante, i futuri milites, più per questioni di disponibilità finanziaria necessaria alla cura, all'addestramento e all'allevamento domestico dei rapaci, viene ben testimoniata dalle fonti, via via più numerose, dell'epoca:

Il massiccio intensificarsi degli scambi tra l'Europa cristiana e l'Oriente arabo-bizantino nell'XI-XII secolo, provocato dal movimento sociopolitico delle Crociate, contribuì ulteriormente a diffondere e sviluppare la pratica della falconeria presso i milites occidentali. Un ruolo importante, in questo senso, venne giocato dall'ordine monastico-militare dei Cavalieri Ospitalieri, specialisti della caccia con i rapaci poiché le altre forme di caccia erano loro interdette come penitenza volontaria, laddove per i Cavalieri Templari valeva esattamente l'opposto e cioè era la falconeria a essere interdetta.

Federico II in trono con il falco - De arte venandi cum avibus (c. 1260)

Entro il XIII secolo la falconeria era divenuta un aspetto fondamentale della vita sociale del nobile europeo. Non un semplice diletto ma una vera e propria scienza, che venne formalmente codificata attraverso una prolifica produzione letteraria:

  • Il multietnico ambiente normanno-svevo del Regno di Sicilia giocò un ruolo centrale nella storia della falconeria, fondamentalmente grazie all'imperatore Federico II (r. 1198-1250), uomo colto e amante delle lettere nonché grande appassionato di caccia che praticava nei boschi del Vulture in Basilicata e nella Calabria centrale. Fu sfegatato fautore della caccia con il rapace al punto di fare di un falco il suo stesso stemma araldico.[N 3] Falconiere di corte di Federico II fu il cavaliere tedesco Guicennas, autore di un manuale, De arte bersandi, sulla caccia e sulla falconeria. Per ordine dell'imperatore, lo studioso Teodoro di Antiochia tradusse il cosiddetto Moamyn latino (De scientia venandi per aves), probabile opera dell'erudito arabo Abū Zayd Ḥunayn ibn Isḥāq al-ʿIbādī (809–873), medico del califfo abbaside al-Mutawakkil (r. 847–861).[11] La redazione, da parte dello stesso Federico II, dell'opera in sei volumi De arte venandi cum avibus, poi messa per iscritto dal figlio Manfredi di Sicilia, costituì lo zenit di questo fenomeno socio-culturale. Si trattò di una vera e propria opera omnia, analizzante i sistemi di allevamento, addestramento e impiego di uccelli rapaci (fond. falchi) nella caccia soprattutto ad altri uccelli, tutti accuratamente descritti nell'opera, che riprese ed ampliò il volume di Guicennas e del Maestro Teodoro.[12]
  • Altra realtà multietnica sensibile alle sollecitazioni culturali orientali promotrice della falconeria si rivelò la penisola iberica, interessata in quegli anni dai più importanti risultati della Reconquista. Alfonso X di Castiglia (r. 1252-1284), grande promotore delle arti e delle lettere, aveva già nel 1250 concluso una seconda versione del Moamyn circolante presso la corte federiciana. Successivamente, curò la redazione di un importante trattato sulla caccia con i rapaci, il Libro de los animales que caçan.
  • Anche il Regno d'Ungheria, situato al margine della steppa eurasiatica e costituito da un'etnia di provenienza orientale, i magiari, dominante sul locale elemento slavo europeo, lasciò ampia testimonianza della capillare diffusione di cui ivi godeva la pratica della caccia con i rapaci. Nel 1222 la nobiltà costrinse il sovrano Andrea II (r. ...–...) a sottoscrivere una Bolla d'Oro nella quale rinunciava a molte delle sue prerogative: tra le varie clausole, spiccò la proibizione per i falconieri reali di portare i rapaci a caccia in territori non appartenenti alla corona, a riprova non solo della diffusione della pratica venatoria aviaria presso i magiari ma del notevole grado di impunità che i praticanti affiliati alla casa del sovrano erano arrivati a godere. Il successivo sovrano ungherese, Bela IV (r. ...–...), appassionato falconiere, si fece ritrarre sulla monetazione nazionale a cavallo, con un falco sul braccio. Nel 1279, tra le norme disciplinari per i religiosi redatte in occasione del Concilio di Buda, figurava la proibizione, per i monaci di praticare la falconeria.
  • Il Regno di Francia fu tra i primi a istituire la figura ufficiale del "Falconiere Reale": il primo Gran falconiere di Francia, attivo alla corte di Luigi IX (r. 1226–1270), fu tale Jean de Beaune.

Da un punto di vista pratico, notevole input allo sviluppo della falconeria, nel Duecento, fu l'introduzione sul suolo europeo del cappuccio per il rapace, lo chaperon, importato dal Vicino Oriente grazie ai sempre più massicci scambi con i bizantini ora dominati dagli occidentali grazie alla nuova compagine statale sorta in Grecia dopo il Sacco di Costantinopoli (1204), l'Impero latino (1204–1261).

Nel corso del XV secolo, nel più generale contesto di una società europea ove la nobiltà difendeva in modo sempre più classista e xenofobo i suoi privilegi contro un patriziato urbano di banchieri e ricchi commercianti, la falconeria venne fatta oggetto di particolarissime misure restrittive e di controllo. Un preziosissimo documento inglese dell'epoca, il "Libro di St Albans" (1486), fissò non solo regole d'uso ma, cosa ben più importante, di possesso per i rapaci: il testo stabilì che la povera gente, i vecchi laboratores, potevano al massimo possedere un falco di piccole dimensioni (es. la servitù poteva al massimo aspirare a un gheppio), là dove lo scudiero era autorizzato a portare il falco lanario e il cavaliere il falco sacro, mentre i rapaci più pregiati erano esclusiva dei regnanti (il girifalco per un re e l'aquila per l'imperatore).

Il Gran Khan Kublai a caccia. I cavalieri in basso a dx portano dei falchi sul braccio.

Asia

Contemporaneamente al Medioevo europeo, anche le compagini statali asiatiche erano state interessate da un sistematico diffondersi, tra la classe dominante, della passione per la caccia con il falco:

  • In Cina, la dinastia Tang (618–907), restauratrice dell'unità imperiale perduta al collasso degli Han, fu interessata dalla pratica frequente della falconeria[2] e nuovamente concorse alla sua diffusione presso gli stati clienti di Giappone e Corea. Al collasso dei Tang in Cina, il Celeste Impero tornò a frammentarsi anche in ragione del massiccio afflusso, nelle terre a nord del Fiume Giallo, di popolazioni nomadi turche, mongole e tunguse la cui presenza portò paradossalmente nuova linfa alla falconeria trattandosi del passatempo prediletto dei barbari. L'affermarsi dell'Impero mongolo del Khaghan ("imperatore") Gengiz Khan (r. 1206–1227), esteso a tutto il continente eurasiatico, dalla Cina alla Russia Bianca ed all'Ungheria creò poi una solida compagine la cui élite, mongola o cinese che fosse, apprezzò e coltivò la caccia con i rapaci: il veneziano Marco Polo, ne Il Milione (ca. 1298), riporta, con l'esagerazione consueta all'opera, che il Gran Khan Kublai (r. 1260–1294) si serviva, nelle sue battute di caccia di 10.000 falconieri, addetti alla gestione di 500, tra girifalchi, falchi pellegrini e falchi sacri, oltre ad una non precisata quantità d’astori, tutti dotati di un loro trespolo in argento![13]
  • In Giappone, il gusto del tennō per la caccia con i rapaci portò risultati variegati: nell'818, l'imperatore Saga (r. 809–823) commissionò uno dei primi trattati sulla materia oggi noti, lo Shinshuu Youkyou; l'imperatore Shirakawa (r. 1073–1087) fece invece della falconeria un suo assoluto privilegio, proibendola ai suoi sudditi;[14] apposite riserve di caccia (?, Kin'ya), con residenze imperiali e falconieri assegnati, furono istituite a Osaka, Kyoto e Nara.[15] Stante i capricci imperiali, durante lo Shogunato Kamakura (1192–1333), il primo bakufu della storia nipponica, la falconeria era per la classe nobile/guerriera del Sol Levante (daimyō e samurai), similarmente a quella europea, un aspetto fondamentale della vita sociale, tanto che lo Shogun doveva con una certa frequenza proibirla tramite appositi bandi,[16] e tale restò anche sotto il successivo Shogunato Ashikaga (1336—1573).[17] Importante è notare che al tempo i giapponesi ponevano un netto distinguo tra la caccia alla selvaggina di terra (?, Makigari) e la caccia alla selvaggina di penna con i rapaci (鷹狩?, Takigari).[18][19]

Quando, nel corso del XIV secolo, l'Europa e l'Asia tornarono a instaurare reciproci scambi commerciali (v.si Pax mongolica), le élite dei regni europei e quelle dell'Impero mongolo si scoprirono così accomunate dalla passione per la caccia con i rapaci.

Età moderna

Europa

Tiziano, Ritratto d'uomo con falcone (circa 1525)

Presso le corti sempre più mondane e raffinate del Rinascimento, amanti del lusso e fautrici di un approccio epicureo alla vita, la falconeria, non più legata a motivazioni di sostentamento, oltre che come esercizio di un'arte, ebbe larga diffusione.
Tra i tanti regni, primeggiava ancora il Regno d'Ungheria, i cui rapaci e falconieri divennero famosi in tutta Europa, dai Paesi Bassi al Mediterraneo, guadagnandosi le attenzioni dei sovrani cristiani occidentali tanto quanto del sultano dei Turchi ottomani, subentrati ai bizantini nel controllo dell'Anatolia e dei Balcani e, a loro volta, sfegatati amanti della caccia con il falco come tutte le altre popolazioni nomadi della steppa eurasiatica.[20] Presso i magiari, la caccia a cavallo con i rapaci era pratica già diffusa anche tra le nobildonne. Non a caso, tra le opere di Bálint Balassi (1554–1594), poeta padre della moderna letteratura ungherese, compare anche un'operetta dedicata al suo falco.
Noti falconieri restarono i Cavalieri Ospitalieri, divenuti Cavalieri di Malta nel 1530, che proprio con un falcone maltese pagavano al Viceré di Sicilia il tributo annuo per la permanenza nell'isola omonima.[N 4]

Jan Boeckhorst, Giovanotto con falcone (circa 1630)

In Europa, la falconeria toccò il suo apogeo nel XVII secolo, presso le corti sovrane dell'assolutismo nella sua piena affermazione. In quel contesto socio-politico, cioè, ove il Re, primo tra i nobili, dettava le mode in materia di usi e costumi. Privilegio esclusivo della nobiltà, la caccia con i rapaci aveva ora, in ogni reame, quale suo metro di paragone, la Falconeria Reale:

  • Nel Regno di Francia, Luigi XIII (r. 1610–1643) contava, nella sua voliera di falchi, 300 esemplari divisi in sei squadre specializzate in diverse tipologie di prede: airone, pernice, cornacchia, ecc. Il sovrano era poi solito tenere presso di sé, anche in tempo di guerra, dieci rapaci scelti, alloggiati presso il Cabinet d'Apollon al Louvre di Parigi, gli Oiseaux du Cabinet du Roi (lett. "Uccelli da gabinetto").[21] La Falconeria Reale venne poi spostata da Luigi XIV di Francia (r. 1643–1715), appassionatissimo cacciatore, a Montainville (Yvelines), non appena pronta la nuova reggia di Versailles.[22]
  • Nell'Impero russo, lo zar Alessio I (r. 1645–1676), grande appassionato di falconeria e noto come uomo pio e riflessivo, redasse un trattato sulla pratica venatoria aviaria, esaltandone il valore ascetico-catarchico. La storiografia contemporanea dispone anche di istruzioni, redatte dal monarca, per i falconieri di corte.[23]
  • Gli Asburgo d'Austria, signori delle terre dei magiari settentrionali ("Ungheria Reale") dal 1526, svilupparono una grande passione per la pratica venatoria aviaria. La loro Falconeria Reale era collocata presso i fastosi Castelli di Laxenburg (attuale periferia di Vienna).
  • Tra gli Asburgo di Spagna brillò in quegli anni, sia in positivo sia in negativo, la figura del sovrano Filippo IV (r. 1621–1665), passato ai posteri come un grandissimo appassionato di caccia, sia con l'innovativo moschetto sia con la lancia da cinghiale o il falcone. Appassionato di falconeria, quanto meno sulla carta, era anche il suo plenipotenziario Olivares che, in realtà, sfruttava il pretesto di una passeggiata a caccia con il falco per appartarsi a complottare con cortigiani e ambasciatori stranieri.[24] Già all'inizio del secolo la letteratura spagnola aveva versato il suo tributo all'antica arte della falconeria con la quarta edizione del capolavoro di Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, stampato a Madrid nel 1605 con un frontespizio sul quale figurava un falcone incappucciato poggiato sul braccio di un uomo.
  • Nell'Inghilterra degli Stuart, nonostante i torbidi politici e la precaria posizione della famiglia reale, la falconeria fu assiduamente pratica, quasi osannata dai sovrani quanto dalla nobiltà grande e piccola.[25] Giacomo I Stuart (r. 1603–1625) s'innamorò della falconeria sin da fanciullo, quando cacciava con lo sparviere; promosse largamente la Falconeria Reale, intrattenette la corte ed i suoi ospiti stranieri con battute di caccia con i falconi[26] e profuse denari e risorse nella ricerca di pregiati rapaci.[N 5] La passione di Giacomo passò all'erede Carlo (r. 1625–1649), ferito da una pernice durante una battuta di caccia con il falcone,[27][28] fanatico al punto da pretendere che il suo Lord Deputy in terra d'Irlanda si preoccupasse, oltre che della delicata situazione politica, anche di procurargli esemplari di rapaci locali.[29] Dall'ossessione degli Stuart per falchi e falconi non furono esenti nemmeno Carlo II (r. 1660–1685) e Giacomo II (r. 1685–1688), tanto appassionati da non volersi privare della compagnia del provetto falconiere William Russell per le battute con i rapaci a Hampton Court (marzo 1683) nonostante il ruolo giocato dallo stesso nella Guerra civile inglese (r. 1642–1651) che era costata la testa a loro padre.[30] Sempre Carlo II aveva acconto nel 1662 l'ambasciatore dello zar Alessio I con una processione di venticinque cavalieri tutti muniti di falcone.[31] Al volgere del secolo, la corona inglese spendeva ogni anno 1500 sterline per il Gran Falconiere d'Inghilterra, 335 sterline per il Maestro dei Falchi e 136 sterline per il Sergente dei Falchi.[32]
  • Nelle terre dei Paesi Bassi, produttrici di falconieri e rapaci apprezzati in tutta Europa, la cittadina di Valkenswaard, nel Brabante Settentrionale, dipendeva unicamente dalla falconeria per il suo sostentamento.
Philip Reinagle, Ritratto d'uomo con falcone (post 1750)

Dopo i fasti del Seicento, la falconeria europea cadde sistematicamente nell'oblio durante il XVIII secolo, soppiantata dall'ormai imperante uso delle armi da fuoco poiché, differentemente dalle altre forme di caccia, entro le quali il fucile andava a costituirsi solo quale alternativa all'arma bianca, nella pratica venatoria con i rapaci il proiettile andava a sostituire il falcone medesimo.
La Rivoluzione francese sferrò un colpo simbolico potentissimo alla falconeria, abolendo la falconeria reale, liberalizzando la pratica della caccia e relegando l'uso dei rapaci a un memento delle pratiche "gotiche" medievali.

Asia

In Cina ...

In Giappone, il lungo periodo di caos politico noto come Epoca Sengoku (1478–1605) concorse ad incentivare la falconeria: i vari signori della guerra nipponici facevano infatti a gara nel procacciarsi e nello scambiarsi reciprocamente falchi e falconi,[33] facendo della falconeria una pratica elitaria tanto quanto uno status symbol.[19] Pare inoltre si debba attribuire a uno di questi signori della guerra, Asakura Norikage (1477–1555), il primo caso di allevamento in cattività dell'astore nel Sol Levante.[34] Successivamente, lo Shogunato Tokugawa, durante il Periodo Edo (1603–1868) che cristallizzò la società giapponese sino all'Età contemporanea, codificò e promosse la falconeria tradizionale nipponica del Takigari quale strumento d'ostentazione dello status e del potere delle classi dominanti.[19][35]

Età contemporanea

Joseph Wolf, Autoritratto con falco (1890)

La falconeria era ancora blandamente praticata in Europa nel corso del XIX secolo, ormai ridotta a un semplice hobby. Fu riscoperta nella seconda metà dell'Ottocento, sulla scia del c.d. Gothic revival innescato dal Romanticismo,[36] passando poi più o meno incolume attraverso i due conflitti mondiali sino ai giorni nostri.

  • In Francia già Napoleone, certamente non ricordato quale un vero appassionato di caccia, aveva comunque cercato di mantenere viva, per questioni di prestigio culturale, l'antica pratica della falconeria. I regolamenti di polizia del regno post-Restaurazione (1844) non menzionano però in alcun modo l'uso dei rapaci nella caccia, a riprova di una diffusione "pubblicamente" pressoché inesistente della falconeria. Durante il Secondo Impero Francese, Napoleone III cercò, come lo zio, di promuovere quanto meno una diffusione a livello hobbistico della falconeria, riconoscendo al Club de Champagne il diritto di "lanciare" rapaci nei campi intorno a Châlons.
  • Nel Regno Unito, lo Old Hawking Club of Great Britain venne fondato nel 1864.

Fu sempre durante l'Ottocento, concomitantemente alla formazione dei grandi imperi coloniali delle potenze europee, che la pratica della falconeria si diffuse in quei paesi ove non aveva avuto un suo sviluppo autonomo. I britannici diffusero la pratica della caccia con i rapaci tanto in Australia e Tasmania quanto in Sudafrica. Nel contempo, la sempre più libera circolazione di uomini, mezzi e materiali, garantì il formarsi di un'utenza di falconieri anche negli Stati Uniti d'America, ove la presenza di particolari specie autoctone di rapaci (fondamentalmente falco di Harris e falco della prateria) contribuì a una significativa evoluzione rispetto al tradizionale bagaglio tecnico della falconeria europea.

In Giappone, uno degli effetti del Rinnovamento Meiji (1868–1912) fu l'apertura al pubblico del Takagari, ora in gestione all'Agenzia Imperiale degli Affari Interni (Kunai-chō) e non più appannaggio della nobiltà guerriera. L'operazione, volta a garantire una maggior diffusione alla pratica venatoria aviaria, intesa come patrimonio culturale del Sol Levante, non sortì però gli effetti voluti. Pare, addirittura, che taluni segreti del Takagari siano andati persi proprio durante il XIX secolo.[37]

Le capacità venatorie dei rapaci sono oggi utilizzate non solo a fini hobbistici o nei revival di caccia medievale. Molti problemi legati alla coabitazione tra esseri umani e volativi, nelle grandi città, sono stati risolti ritornando ad allevare falchi, astori e poiane per poi liberarli contro una ben specifica preda. I rapaci vengono dunque usati non solo in parate o manifestazioni ma anche per allontanare uccelli, come i colombi, presenti in gran quantità nei pressi dei monumenti o per allontanare stormi di uccelli (come gli storni o le oche) negli aeroporti o ancora per mandare via i gabbiani dalle discariche. Nei centri storici, ultimamente, proprio perché si ha bisogno di una presenza costante di uccelli che allontanino i piccioni, si è deciso di liberare e riprodurre in cattività anche uccelli rapaci che predino questi ultimi.

Nel 1968 le associazioni nazionali di falconeria sorte un po' ovunque nel mondo sono confluite nella International Association for Falconry and Conservation of Birds of Prey (IAF), un organo di promozione e coordinamento sovranazionale efficacemente attivo da ormai oltre trent'anni. Oggigiorno, l'IAF riunisce 45 associazioni da 38 paesi, con un totale di oltre 8 000 iscritti che si ritrovano annualmente per praticare insieme.[38]

Note

Esplicative

  1. ^ (EN) Layard, A.H., Discoveries in the Ruins of Nineveh and Babylon, Londra, John Murray, 1853.
    «A falconer bearing a hawk on his wrist appeared to be represented in a bas-relief which I saw on my last visit to those ruins.»
  2. ^ (EN) W. Thesiger, Arabian Sands, Londra, Penguin Books, 1959, p. 269.
    «I have been told, that in England it takes fifty days to train a wild falcon, but here the Arabs had them ready in a fortnight to three weeks. This is because they were never separated from them. A man who was training a falcon carried it about everywhere with him. He even fed with it sitting on his left wrist, and sleep with it perched on its block beside his head. Always i was strocking it, speaking to it, hooding and unhooding it.»
  3. ^ Il falcone figura nel verso dell'augustale in oro coniato durante il regno di Federico II (sul recto appare il profilo del sovrano normanno-svevo, agghindato come un imperatore romano). Lo stemma passò poi al figlio illegittimo di Federico, Manfredi di Sicilia.
  4. ^ Il peculiari tributo con cui i Cavalieri di Malta pagavano il loro signore feudale servì da spunto per la trama del famoso romanzo di Dashiell Hammett (1894-1961), Il falcone maltese.
  5. ^ (EN) A.L. Rowse, Tudor Cornwall : portrait of a society, Londra, C. Scribner, 1941, p. 439. riporta la peculiare richiesta, fatta dal re Giacomo I d'Inghilterra a Sir William Godolphin di procurargli un esemplare di falco pellegrino della costa di Cornish data la nota attitudine di quei rapaci a cacciare volatili acquatici.

Bibliografiche

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  2. ^ a b c (EN) Leslie V. Wallace, Early raptor and falconry imagery in China: four case studies (10th century BC until 8th century AD), in Grimm, Gersmann e Tropato 2020, pp. 569-586.
  3. ^ (EN) Johannes Nollé, Birds of prey on Greek and Roman coins – symbols of super-human power, manifestations of gods, and heaven’s messengers, in Grimm, Gersmann e Tropato 2020, pp. 387-402.
  4. ^ (EN) Jose Manuel Fradejas Rueda, The depiction of falconry on Late Roman/Early Byzantine mosaics, in Grimm, Gersmann e Tropato 2020, pp. 519-534.
  5. ^ (EN) Otávio Luiz Vieira Pinto, Birds of glory: the falcon (and its absence) in Sasanian art, in Grimm, Gersmann e Tropato 2020, pp. 557-568.
  6. ^ Episcopi & alij Clerici canes ad venandum aut acceptores non habeant in Capitularia Karoli Magni imperatoris, capitula addita ad legem Longobardorum, anno Christi DCCCI imperij Karoli Magni primo, I, Capitulare primum anni DCCCII sive capitula data missis dominicis anno secundo imperii, XIX; Clerici venationes non faciant cum avibus vel canibus, in Capitularium Karoli Magni et Ludovici Pii libri VII collecti ab Ansegiso Abbate & Benedicto Levita ante annos octigentos, VII, CXLVI.
  7. ^ (EN) Sigmund Oehrl, “I am Eagle” – Depictions of raptors and their meaning in the art of Late Iron Age and Viking Age Scandinavia (c. AD 400–1100), in Grimm, Gersmann e Tropato 2020, pp. 451-480.
  8. ^ (EN) Oliver Grimm, The early 7th century AD Rickeby (Vallentuna) cremation grave from mid-east Sweden, understood as a three-dimensional painting/still life embodying three different kinds of falconer, in Grimm, Gersmann e Tropato 2020, pp. 481-488.
  9. ^ (EN) Tom Lorenz, Burial arrangements and conceptions about the afterlife in Old Norse literary sources from the 9th to the 14th century, with reference to the role of birds of prey played therein, in Grimm, Gersmann e Tropato 2020, pp. 489-510.
  10. ^ (EN) Algirdas Girininkas e Linas Daugnora, Historical and archaeological sources on birds of prey in the cremation rites in the State of Lithuania in the 13th to 14th centuries, in Grimm, Gersmann e Tropato 2020, pp. 511-518.
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  14. ^ Nakazawa 2021, pp. 82-83.
  15. ^ Nakazawa 2021, p. 86.
  16. ^ Nakazawa 2021, pp. 84-85.
  17. ^ Nakazawa 2021, pp. 86-87.
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  38. ^ IAF website, su i-a-f.org (archiviato dall'url originale il 26 agosto 2012).

Bibliografia

Fonti

Studi

In Italiano
  • Giovanni Camerini, Falconeria. L'arte antica di addestrare e cacciare con i falchi, autoedizione, 2006.
  • Dino Trocchi, Falconeria, Milano, La stampa commerciale, 1927.
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