George Steiner

scrittore, saggista e accademico francese (1929-2020)

George Steiner (1929 – 2020), saggista, critico letterario e letterato francese.

George Steiner, 2013

Citazioni di George Steiner

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  • Abbiamo più che mai bisogno di libri, ma anche loro hanno bisogno di noi. Qual più bel privilegio di porci al loro servizio?[1]
  • Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz. Dire che egli ha letto questi autori senza comprenderli o che il suo orecchio è rozzo, è un discorso banale e ipocrita. In che modo questa conoscenza pesa sulla letteratura e la società, sulla speranza, divenuta quasi assiomatica dai tempi di Platone a quelli di Matthew Arnold, che la cultura sia una forza umanizzatrice, che le energie dello spirito siano trasferibili a quelle del comportamento? Per giunta, non si tratta soltanto del fatto che gli strumenti tradizionali della civiltà – le università, le arti, il mondo librario – non sono riusciti a opporre una resistenza adeguata alla bestialità politica: spesso anzi essi si levarono ad accoglierla, a celebrarla e a difenderla. Perché? Quali sono i legami, per ora assai poco compresi, tra gli schemi mentali e psicologici della cultura superiore e le tentazioni del disumano? Matura forse nella civiltà letterata un gran senso di noia e di sazietà che la predispone allo sfogo nella barbarie?[2]
  • Al cuore della cultura ci sono i classici – ovvero opere fuori dal tempo. Sono fuori dal tempo e immortali perché il loro significato trascende la morte. Nelle parole di HöIderlin: «Was bleibet aber, stiften die Dichter». («E tuttavia quello che resta, sono i poeti che lo creano.»)[3]
  • È indispensabile essere elitari – ma nel senso più autentico del termine: prendersi la responsabilità per «il meglio» della mente umana. Una élite culturale deve sentirsi responsabile della conoscenza e della conservazione delle idee e dei valori più importanti, dei classici, del significato delle parole, della nobiltà dei nostri spiriti. Essere elitari, come ha spiegato Goethe, significa essere rispettosi: rispettosi del divino, della natura, degli altri esseri umani, e dunque della nostra umana dignità.[3]
  • Esiste un rapporto tra l'arte e la politica, tra la cultura e la società. Per capire l'evoluzione della cultura, per capire quali idee prevalgano e quali siano le loro conseguenze, è indispensabile la riflessione culturale e filosofica.[3]
  • Essere a casa propria nel mondo della cultura significa essere a casa propria in molti mondi, in molti linguaggi: significa trovarsi a casa propria nella storia delle idee, nella letteratura, nella musica, nelle arti. Richiede erudizione e la capacità di cogliere i rapporti tra i diversi mondi: il nexus.[3]
  • Essere un critico significa: essere in grado di distinguere.[3]
  • Heidegger è il grande maestro della meraviglia, l'uomo il cui stupore di fronte al semplice fatto che noi siamo invece di non essere ha posto un luminoso ostacolo sul sentiero dell'ovvio. (da Heidegger)
  • Il carnevale e i saturnali del post-strutturalismo e della jouissance barthesiana, così come i giochi di parole senza fine e le etimologie arbitrarie di Lacan e Derrida, verranno dimenticati come tante altre retoriche di lettura.[4]
  • Invitare gli altri al significato.[3]
  • L'era del libro è quasi finita.
The age of the book is almost gone.[5]
  • La caratteristica dei capolavori è che ci interrogano, ci impongono di reagire. L'antico busto di Apollo nel celebre poema di Rilke ce lo dice in termini chiari: «Du sollst dein Leben ändern». («Devi cambiare vita.»)[3]
  • La diffusione di un sogno, in una lotta ideologica, è sempre l'arma più forte.[6]
  • La parola chiave qui è "facile". In tutte le geremiadi di Cioran c'è una minacciosa faciloneria. Non c'è bisogno di nessun pensiero analitico profondo, di nessuna particolare familiarità con l'argomento, né di lucidità, per pontificare sul "marciume", sulla "cancrena" dell'uomo e sul cancro terminale della storia. Non solo sono facili da scrivere, ma gratificano lo scrittore con il tenebroso incenso dell'oracolarità. Basta volgersi all'opera di Alexis de Tocqueville, di Henry Adams o di Schopenhauer per constatarne la drastica diversità. Sono maestri di una chiaroveggente tristezza non meno totalizzante di quella di Cioran. La loro interpretazione della storia non è più rosea. Ma le ragioni che adducono sono scrupolosamente argomentate, non declamate; sono pervasi, a ogni nodo e articolazione delle idee proposte, da una percezione esatta della natura complessa e contraddittoria delle testimonianze storiche. I dubbi espressi da questi pensatori, le riserve che accompagnano le loro stesse convinzioni, rendono onore al lettore. Non pretendono un'ottusa acquiescenza o un'eco compiacente, ma un ripensamento e una critica.[7]
  • Leggere bene significa correre grossi rischi. (da Romanae Litterae)
  • Non ci sono stati successori di Joyce nella lingua inglese; forse non ce ne possono essere di un talento così esauriente del suo proprio potenziale.[8]
  • Non sottrarti alle difficoltà. Spinoza: «Tutte le cose eccellenti sono tanto difficili quanto rare».[3]
  • Ora si respira un'aria pericolosa nel nostro continente. Sono molto in apprensione per il vento xenofobo e antisemita che sta soffiando in molti Paesi europei. L'odio per lo straniero, la caccia all'ebreo, l'apologia dell'autodifesa e delle armi sono i pericolosi segni di una terribile regressione, un preludio alla violenza. Continuando su questa strada della barbarie cosa resterà dell'Europa dei caffè, dell'Europa del pensiero e della cultura?[9]
  • Quelle speranze sempre rinnovate ci conducono alla dignitas della persona umana, al suo approdo alla parte migliore di sé.[10] (da Lezione dei maestri[3])
  • Solo gli sciocchi ignorano il significato della tradizione, dei fatti e della conoscenza. Hölderlin: «Wir sind nur Original, weil wir nichts wissen». («Noi siamo originali solo perché non sappiamo nulla.»)[3]
  • Uccidendo i suoi ebrei, l'Europa si è suicidata. (dal discorso al convegno di European Judaism, Amsterdam, 1969[3])

Intervista di Borja Hermoso,repubblica.it, 16 luglio 2016

  • Non bisogna avere paura del silenzio. [...] Solo il silenzio ci aiuta a trovare in noi l'essenziale.
  • La psicoanalisi è un lusso della borghesia. Per me la dignità umana consiste nell'avere dei segreti, e l'idea di pagare qualcuno perché ascolti i tuoi segreti e le tue cose intime mi disgusta. È come la confessione, ma con l'assegno di mezzo. Freud è uno dei grandi mitologi della storia. Però è finzione. Era un romanziere straordinario.
  • Molti dicono che le utopie sono delle idiozie. Ma saranno comunque idiozie vitali. Un professore che non consente agli alunni di immaginare utopie e di sbagliarsi è un professore pessimo.
  • Muhammad Ali era anche un fenomeno estetico. Era come un dio greco. Omero avrebbe compreso alla perfezione Muhammad Ali.

Dopo Babele

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  • Qualsiasi lettura completa di un testo tratto dal proprio passato linguistico e letterario è un atto multiplo di traduzione. (I, 2)
  • Le interazioni tra sessualità e linguaggio accompagnano tutta la nostra vita. [...] In che misura le perversioni sessuali sono fatti analoghi al linguaggio scorretto? Vi sono delle affinità tra gli stimoli erotici patologici e la ricerca, ossessiva in certi poeti e pensatori, di un 'linguaggio privato', di un sistema linguistico che risponda perfettamente alle esigenze e alle percezioni di chi ne fa uso? (I, 3; p. 39)
  • Studiare la traduzione significa studiare il linguaggio. (I, 3; p. 47)
  • Spinto dalla sua straordinaria visione e dalla consapevolezza emotiva delle capacità della lingua, di conferire la vita e di determinarla, Humboldt avanza l'idea che il linguaggio possa essere avverso all'uomo. (II, 2; p. 80)
  • Buona parte dell'attuale linguistica vorrebbe che le cose fossero assai più nitide di quanto sono.
  • Se vi sia o no una genuina 'scienza del linguaggio' è un punto controverso. [...] Vi è un inevitabile autismo ontologico, un procedere all'interno di un cerchio di specchi, in ogni cosciente riflessione sul (riflesso del) linguaggio. (III, 1; p. 107)
  • Un modello comprenderà un campo più o meno esteso e significativo di fenomeni linguistici. [...] Se ne fosse capace [di comprenderli tutti], il modello sarebbe il mondo. (III, 1; p. 109)
  • Non ho nessun ricordo di una prima lingua. Per quanto ne so, parlo con la stessa facilità l'inglese, il francese e il tedesco. (III, 1; p. 112)
  • Tagliata fuori dalla futurità, la ragione si seccherebbe. [...] Chiusa la porta sul futuro e su tutta la percezione, ogni conoscenza diventa inerte. [...] È soltanto tramite il linguaggio, e forse tramite la musica, che l'uomo può affrancarsi dal tempo, può vincere provvisoriamente la presenza e il presente della propria morte puntuale. (III, 2; pp. 154 sg.)
  • Ogni forma di comunicazione è un''interpretazione' tra mondi privati. (III, 3; p. 191)
  • Tutto il problema della traduzione e la ricerca corrente di universali nelle grammatiche generative trasformazionali esprimono una reazione di fondo contro gli aspetti privati dell'uso individuale e contro il disordine di Babele. Se una parte sostanziale di tutto ciò che si dice non fosse pubblica o, con maggiore esattezza, non potesse essere trattata come se lo fosse, ne deriverebbero il caos e l'autismo. (III; 3; pp. 197 sg.)
  • Il linguaggio è una creazione costante di mondi alternativi. [...] L'incertezza di significato è poesia incipiente. (III, 4; p. 226)
  • Elencate san Gerolamo, Lutero, Dryden, Hölderlin, Novalis, Schleiermacher, Nietzsche, Ezra Pound, Valéry, MacKenna, Franz Rosenzweig, Walter Benjamin, Quine – e avrete quasi esattamente il totale complessivo di quanti hanno detto qualcosa di fondamentale o di nuovo sulla traduzione. (IV, 1; p. 260)
  • Come le mutazioni nel miglioramento della specie, i grandi atti di traduzione sembrano avere una necessità fortuita. La logica è successiva al fatto. Ciò di cui ci stiamo occupando non è una scienza, ma un'arte esatta. (IV, 3; p. 285)
  • [Riassumendo i quattro moti/aspetti della traduzione] Vi sono testi in cui l'adesione iniziale ai rischi emotivi e intellettuali di un'alternità non definita e resistente prosegue vitale e scrupolosa fino al prodotto finito. Vi sono traduzioni che sono atti supremi di esegesi critica, in cui la comprensione analitica, l'immaginazione storica, la competenza linguistica articolano una valutazione critica che è al contempo un'esposizione assolutamente lucida e responsabile. Vi sono traduzioni che non soltanto rappresentano la vita integrale dell'originale, ma che la raffigurano arricchendo ed ampliando gli strumenti operativi della propria lingua. Infine – anche se si tratta di un caso assolutamente eccezionale – vi sono traduzioni che reintegrano, che raggiungono un equilibrio e una stabilità di equità radicale tra due opere, due lingue, due comunità di esperienza storica e di sensibilità contemporanea. Per una traduzione, realizzare tutti e quattro gli aspetti pienamente e in egual misura è, ovviamente, 'un miracolo di rara invenzione'. (V, 3; p. 398)

La Cabala, dove il problema di Babele e della natura del linguaggio è esaminato con tanta insistenza, sa di un giorno di redenzione quando la traduzione non sarà più necessaria. Tutte le lingue umane saranno rientrate nell'immediatezza trasparente di quella parola primeva perduta, comune ad Adamo e a Dio. Abbiamo visto tale visione continuare nelle teorie della monogenesi linguistica e della grammatica universale. Ma la Cabala conosce anche una possibilità più esoterica. Registra l'ipotesi, senza dubbio eretica, secondo cui verrà un giorno in cui la traduzione non sarà soltanto inutile ma inconcepibile. Le parole si ribelleranno all'uomo. Si scrolleranno di dosso la servitù del significato. Diventeranno «solo se stesse, e come pietre fredde sulla nostra bocca». In entrambi i casi, uomini e donne saranno liberati per sempre dal fardello e dallo splendore del crollo di Babele. Ma quale, ci si domanda, sarà il silenzio più grande?

Il correttore

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Adesso il bruciore sembrava pizzicarlo dietro agli occhi.
Da oltre trent'anni era un maestro nel suo mestiere. Il più veloce, il più preciso tra i correttori di bozze di tutta la città, forse della provincia. Al lavoro ogni notte, per tutta la notte. Affinché i protocolli giudiziari, gli atti di compravendita, gli avvisi delle finanze pubbliche, i contratti, le quotazioni in borsa potessero uscire l'indomani, senza pecche, precisi fino all'ultima cifra dei decimali. Nelle arti dello scrupolo, non aveva rivali. Gli affidavano il controllo dei testi stampati nel corpo più piccolo, la giustificazione delle colonne di cifre più lunghe, gli sterminati elenchi di oggetti smarriti messi all'asta dalla posta o dall'azienda dei trasporti pubblici. Le sue correzioni degli elenchi telefonici, delle liste elettorali e dei censimenti, dei verbali del consiglio municipale, erano leggendarie. Tipografie, pubblicazioni ufficiali e tribunali si contendevano la sua collaborazione.
Ma adesso la sensazione di bruciore, proprio vicino agli occhi, si faceva più acuta[11].

Citazioni

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  • Durante i lunghi anni in cui aveva partecipato a dibattiti, lui aveva sentito troppo spesso la parola «travisato» usata come panacea per rendere sopportabile il volto sospetto o tenebroso del futuro e come pretesto per accantonare le verità sconvolgenti. (cap. IV, p. 24)
  • È impazienza. Impazienza. Ecco cos'è il socialismo. Una furia dell'adesso. (il Professore: cap. VIII, p. 46)
  • E cosa lasciò Cristo alla sua piccola mafia? Un tesoro d'impazienza. Bramavano la fine dei tempi come cani che muoiono di sete. [...] La storia non aveva chiuso bottega. E ci siamo ritrovati nell'implacabile routine di sempre. A quel punto la Chiesa ordinò la pazienza, pazienza e ancora pazienza, e distribuì i calmanti. [...] Non c'è niente che Roma abbia temuto più dell'impazienza. Il suo regno non è di questo mondo. C'è mai stato un manifesto politico più abile? Rispondi, Professore. (cap. VIII, pp. 46 sg.)
  • Cosa diavolo può sperare un ricco? Perché tormentarti con la speranza quando hai la pancia piena? E questo che fa di ogni vittima un ebreo, un vero ebreo. Il progenitore degli autentici eletti non è Abramo, che era miliardario. Non discendiamo da Giobbe, che raddoppiò i suoi beni. Siamo figli di Agar. Ci siamo cibati di sassi e le vespe hanno cantato per noi. Non può esistere un comunista, un vero socialista che non sia, in fondo, un ebreo. [...] C'erano ebrei che vedevano più in fondo alle cose e capirono che il Messia non sarebbe mai venuto. Mai. O piuttosto che il Messia era un uomo anche lui. Che la rivelazione e i grandi venti a venire erano quelli della nostra storia. Che gli uomini e le donne ordinari non avevano neppure cominciato ad essere se stessi. [...] Uomini e donne, creature della ragione, custodi di questa terra: sì, c'è un Messia, e una Gerusalemme. Ma non dopo il nostro funerale e non fatti di nubi rosee. E ci sono leggi, ma non sono quelle eruttate da qualche vulcano nel Sinai. Ci sono le leggi della storia, e della scienza, e della domanda e dell'offerta. (il Professore: cap. VIII, pp. 50 sg.)
  • Hai ragione, perché trasformare l'acqua in vino? Un trucco da baraccone, sono d'accordo. Quando puoi trasformare il sangue e il sudore dell'uomo in oro e ferro. [...] Nel cuore del comunismo c'è la menzogna. La menzogna centrale, assiomatica: un regno di giustizia, una fratellanza senza classi, una liberazione dalla servitù qui e ora. In questo mondo. È questa la grande menzogna. La corruzione e il tradimento sistematici della speranza umana. (Carlo: cap. VIII, pp. 54 sg.)
  • Il marxismo ha reso all'uomo il massimo onore. La visione di Mosè e di Gesù e di Marx, la visione di una terra giusta, di un amore per il prossimo, di un'universalità, l'abolizione delle barriere fra paesi, classi, razze, l'abolizione degli odi tribali: questa visione era – siamo rimasti d'accordo su questo, vero? – un'immensa impazienza. Ma era anche qualcosa di più. Era una sopravvalutazione dell'uomo. Una sopravvalutazione forse fatale, forse insensata, eppure magnifica, giubilante, dell'uomo. Il più grande complimento che gli sia mai stato fatto. La Chiesa ha ostentato un disprezzo tremendo per l'uomo. L'uomo è una creatura caduta dalla grazia, condannata a trascorrere la sua sentenza a vita lavorando col sudore della fronte. Polvere alla polvere. (il Professore: cap. VIII, p. 57)
  • Questo è il vero genio del capitalismo: impacchettare, mettere l'etichetta con il prezzo sui sogni degli uomini. Mai valutarci al di sopra della nostra mediocrità. [...] Con quanta precisione l'America ha valutato l'uomo, riducendolo al benessere, mettendo pace tra i desideri umani e l'appagamento. (cap. VIII, pp. 60 sg.)
  • E quando l'America dice: "Sii soltanto te stesso," non dice: "Non migliorarti." Dice: "Lotta per quel Premio Nobel, se è questo che ti accende l'anima. O per quella piscina riscaldata." Non che l'America creda che le piscine riscaldate siano il Partenone; non le considera nemmeno una necessità. Ma perché sembrano procurare piacere e causare pochi danni. [...] Sai, Professore, l'America è probabilmente la prima nazione e società nella storia dell'umanità a incoraggiare gli esseri comuni, fallibili e impauriti, a sentirsi a loro agio nella propria pelle. [...] Ma, tutto sommato, l'America è davvero l'unica grande potenza, l'unica comunità che, a differenza di tutte le altre che conosco, si sforza di rendere la terra un filino migliore, un filino più speranzosa di quanto l'abbia trovata. Infatti la speranza è la principale materia prima della nazione e la sua maggior esportazione. (Carlo: cap. VIII, pp. 62 sg.)
  • «Il tuo dogma, la tua tirannia dell'ideale, hanno prosciugato la gioventù degli uomini. Sotto il dispotismo, i bambini nascono vecchi. Basta guardare i loro occhi e le loro bocche in quelle immagini dalla Romania. E se l'America è infantile, e forse lo è, che difetto fortunato! Fontana di giovinezza? La speranza dei conquistatori si è forse trasformata in Coca-Cola. Ma frizza!»
    «Fa marcire i denti. Gesuita che sei. Gesuita casuista. [...] Carlo, siamo una specie assassina, avida, impura. Ma abbiamo prodotto Platone e Schubert, per riprendere i tuoi esempi, Shakespeare e Einstein. Di conseguenza ci sono differenze di valore fra le imprese umane. Credo: che è intrinsecamente meglio che un essere umano sia ossessionato da un problema algebrico, da un canone di Mozart o da una composizione di Cézanne, piuttosto che dalla fabbricazione di automobili o dal mercato azionario. Che un insegnante, un erudito, un pensatore, persino, Dio mi perdoni, un prete è quasi incommensurabilmente più prezioso e vicino alla dignità della speranza di un campione di pugilato, di un piazzista o di un magnate dei detersivi. Credo ancora: che il mistero del genio creativo e analitico è proprio questo, un mistero, e che è concesso a pochissimi. Ma che gli esseri più umili possono essere risvegliati, resi attenti alla sua presenza e esposti alle sue esigenze. (cap. VIII, p. 65)
  • Sono un socialista. Sono e rimango un marxista. Perché altrimenti non potrei essere un correttore di bozze!»
    Questa evidenza assoluta l'aveva fulminato. Voleva allargare le braccia, ballare lì in strada.
    «Se trionfa la California, non serviranno più i correttori di bozze. Le macchine se la caveranno meglio. Oppure tutti i testi diventeranno audiovisivi, con programmi autocorrettori incorporati. Notte dopo notte dopo notte, Carlo, lavoro finché mi duole il cervello. Per arrivare all'esattezza perfetta. Per correggere il più infimo refuso in un testo che forse nessuno leggerà mai o che verrà mandato al macero il giorno dopo. L'esattezza. La santità dell'esattezza. Il rispetto di se stesso. Gran Dio, Carlo, devi capire quello che cerco di dire. L'Utopia significa semplicemente l'esattezza! Il comunismo significa togliere gli errata dalla storia. Dall'uomo. Correggere bozze.» (il Professore: cap. VIII, pp. 67 sg.)
  • «È un volantino. Per una vendita all'incanto di attrezzi agricoli usati e sacchi di concime! Avrà luogo al consorzio di San Maurizio – Dio sa dov'è quel buco – martedì prossimo. Cento copie. Che verranno affisse sulla porta del cesso esterno di qualche fattoria o buttate nel fosso più vicino. E lei si preoccupa per un accento!»
    «Disperatamente. Sa cosa insegna la Cabala? Che tutto il male, tutte le sofferenze dell'umanità provengono dallo sbaglio di uno scrivano pigro o incompetente che sentì male, o trascrisse erroneamente, un'unica lettera, un'unica e sola lettera nel Testo Sacro. Ogni orrore successivo ci è pervenuto tramite e a causa di quell'unico erratum. Non lo sapeva, vero? [...] È proprio qui che conta, più che mai in passato. Agire diversamente è segno del più profondo disprezzo. Disprezzo per quelli che non si possono permettere di sfogliare un'edizione di lusso, che non vedranno mai un foglio di carta di qualità o dei caratteri artigianali. Disprezzo per quelli cui Dio, sì, Dio!, ha concesso il diritto di avere un volantino senza pecche, anche per una svendita di concime! È proprio per quelli che vivono in qualche sperduto buco di campagna, nei bassifondi, che dovremmo produrre il lavoro migliore. Perché qualche scintilla di perfezione penetri nelle loro vite sconsolate. Non capisce quanto disprezzo ci sia in un accento sbagliato o in un trattino fuori posto? Come se lei sputasse su un altro essere umano.» (cap. X, pp. 76 sg.)
  • Quando si separarono, andando in direzioni diverse, Anna B. si voltò e alzò il pugno in... stava per dire in un gesto di commiato. Sarebbe stato un altro erratum. Lo alzò in segno di promessa e di terrore. (cap. XII, p. 88)
  • In cuor suo, per essere assolutamente onesto, non aveva mai lasciato il Partito. Aveva soltanto cercato di chiarire a se stesso, in un'epoca di contraddizioni interne particolarmente marcate, certi grovigli teorici (troppo tardi per cancellare quell'espressione pretenziosa e sfuggente). Certe perplessità che avevano turbato anche altri compagni. Aveva avuto torto. Adesso lo sapeva. Come aveva insegnato Bucharin, i deviazionisti, anche se soggettivamente hanno ragione, vengono abbandonati nel limbo della storia. (cap. XIV, p. 97)
  • «Il mese prossimo, onorato signore, il Partito forse non ci sarà più.»
    Ah sì che ci sarebbe stato, più snello, più ascetico, con armi teoriche più forti. La verità non si cura delle circostanze. Tullio aveva torto. Se Dio non credeva più in Dio, era venuto il tempo per l'uomo di credere nell'uomo. Soltanto il marxismo poteva rendere efficace questa fede. (cap. XIV, p. 98)

«Ma non legge nemmeno i giornali? Non lo sa? "Con la presente richiedo di essere ammesso nel Partito Comunista." Non esiste una cosa del genere, amico! Non c'è più PCI. Basta. Finito. [...] È a questo che lei vuole aderire? Sul serio?»
Sì. Con tanta precisione che il penitente non riusciva a ribattere, a trovare le parole per dire la sua sete. Soltanto un cenno cieco da burattino.
L'altro si schiarì la gola con impazienza, sputò in un fazzoletto grigio e gli chiese di scrivere il suo indirizzo. In stampatello, per favore.
Avrebbe ricevuto una convocazione dal comitato distrettuale.
«Ma solo Dio sa quando.»
Dio sembrava aggirarsi molto per la città in quei giorni. E sia. La vera battaglia con Lui sarebbe venuta dopo.
La porta sbatté rumorosamente.
Soltanto in fondo alle scale, ancora immerse nel buio pesto, si rese conto di non aver usato il corrimano. Nemmeno una volta. Ma non è necessario, vero, quando si torna a casa.

Nessuna passione spenta

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Jean-Baptiste Siméon Chardin, Le philosophe lisant
  • Non è un vero lettore, non è un philosophe lisant, colui che non ha mai provato il fascino accusatore dei grandi scaffali pieni di libri non letti, delle biblioteche di notte evocata da Borges nelle sua fiabe. (da Una lettura ben fatta: p. 10)
  • Fino al tardo Ottocento [...] era pratica comune per i giovani, e per i lettori impegnati vita natural durante, trascrivere lunghi discorsi politici, prediche, pagine di poesia e di prosa, voci di enciclopedie e capitoli di narrazioni storiche. Questo lavoro di copiatura aveva diversi scopi: il miglioramento del proprio stile, la tesaurizzazione voluta di esempi pronti di argomentazione o di persuasione, il rafforzamento di una memoria accurata (elemento cardinale). Soprattutto, la trascrizione comprende un coinvolgimento totale con il testo, una dinamica reciproca fra lettore e libro.
    Questo coinvolgimento totale è la somma dei vari modi di risposta responsabile: marginalia, annotazione sistematica, correzione ed emendamenti filologici, trascrizione. Tutti insieme, essi generano una continuazione del libro che viene letto. La penna attiva del lettore verga «un libro in risposta». (da Una lettura ben fatta: p. 14)
  • Eppure l'atto di lettura è autentico soltanto quando conosciamo integralmente un autore, quando esaminiamo con sollecitudine particolare, anche se un po' irritata, i suoi «fallimenti» per elaborare una nostra visione personale della sua presenza. (da Una lettura ben fatta: p. 20)
  • Oggi soltanto i professionisti – epigrafisti, bibliografi, filologi – correggono ciò che leggono. Vale a dire coloro che incontrano il testo come una presenza viva, che ha bisogno della collaborazione del lettore per mantenere intatta la sua vitalità, la sua vivacità e luminosità. [...] E chi, fra noi, si prende la briga di trascrivere per piacere personale e per impararle a memoria le pagine che lo hanno interpellato più direttamente, che lo hanno «letto» con maggiore accuratezza?
    La memoria, ovviamente, è il perno della questione. La «responsabilità verso» il testo, la comprensione dell'auctoritas e la risposta critica che le si dà, le quali plasmano il modo classico di leggere e la sua rappresentazione da parte di Chardin, dipendono strettamente dalle «arti della memoria». [...] L'atrofia della memoria è la caratteristica precipua dell'educazione e della cultura nella seconda metà del Novecento. [...] Non impariamo più a memoria, «con il cuore». Gli spazi interiori sono muti o intasati di banalità discordanti. (da Una lettura ben fatta: p. 21 ss.)
  • Le alternative non sono rassicuranti: rischiamo la volgarizzazione e la roboante vacuità dell'intelletto da una parte, e lo sconfinamento della letteratura nelle bacheche dei musei dall'altra. Da una parte il meschino «riassunto della trama» o le versioni predigerite banalizzate dei classici, dall'altra le illeggibili edizioni variorum. La cultura deve sforzarsi di riconquistare il terreno intermedio. Se non ci riuscirà, se une lecture bien faite diventerà un artificio obsoleto, si creerà un grande vuoto nelle nostre vite e non faremo mai più esperienza del silenzio e della luce del quadro di Chardin. (da Una lettura ben fatta, p. 27)
  • È nella letteratura, nella poesia, nel dramma, nel romanzo che i modelli filosofici e il vaglio delle possibilità metafisiche e morali ricevono la densità, il peso realizzato ed esistenziale (letteralmente, la Dichtung) della vita vissuta. (da Una lettura contro Shakespeare: p. 50)
  • Nel tragico assoluto la colpa criminale dell'uomo è di essere, di esistere. La sua sola presenza e la sua identità sono trasgressioni. Il tragico assoluto è quindi un'ontologia negativa. (da La tragedia assoluta: p. 72)
  • In senso stretto, la tragedia assoluta è il modo performativo della disperazione. (da La tragedia assoluta: p. 84)
  • Il carisma potrebbe essere definito come un «sogno premonitore» così potente che può suscitare sogni analoghi in altri – e poi dal gruppo sociale. (da La storicità dei sogni: p. 124)
  • Adesso, in un modo profondamente commovente, c'è gente in America che dice: non vogliamo più quella discussione tremenda sulla doppia lealtà, sul fatto che ogni ebreo ha la consapevolezza traditrice di essere ebreo prima che americano. Eppure quel fantasma continua a ossessionarci. È inerente alla natura stessa dell'identità di un popolo che rivendica di essere una razza ma non una razza, una nazione ma non una nazione, di avere una vocazione religiosa quando questa vocazione non ha più senso per la maggioranza secolare. (da Totem o tabù: p. 147)
  • Avete mai notato il panico che sorge nella vostra anima civilizzata, quell'impressione che ci sia qualcosa di atrocemente sbagliato, che la vostra stessa identità venga fatta a pezzi? L'autonomia potrebbe essere la forma naturale del gruppo sociale identitario, e quelli che vorrebbero fidarsi degli altri lo fanno forse in nome di una visione trascendente della giustizia, della speranza, dell'equità verso gli altri uomini, ma stanno forse affrettando un processo molto complesso. Non lo sappiamo. Gli esseri umani tendono a frequentare quelli del loro gruppo. Non tutti. Non le eccezioni. Ma la maggior parte di loro. (da Totem o tabù: p. 149)
  • Nessuna sinagoga, nessuna ecclesia può contenere Abramo quando procede, in muto tormento, verso il suo appuntamento con l'Eterno. (da Su Kierkegaard: p. 174)
  • Il grande filosofo è quello il cui discorso, per modo di dire, viene vissuto intimamente di generazione in generazione. (da Gli archivi dell'Eden: p. 187)
  • Il grido del cacciatore quando ha intrappolato una verità astratta, l'impegno della propria vita in ricerche metafisiche o matematiche perfettamente «inutili» e il terreno vasto e complesso della musica in occidente hanno la loro fonte specifica nella «disposizione mentale» greca e formano la base delle nostre teoria e pratica dell'eccellenza. (da Gli archivi dell'Eden: p. 190)
  • La mia ipotesi è questa: l'apparato dominante della cultura alta americana è dedicato alla preservazione. Le istituzioni della conoscenza e delle arti costituiscono il grande archivio, inventario, catalogo o solaio della civiltà occidentale. [...] Che questa disparità sussista in un secolo nel quale l'America ha raggiunto una prosperità economica senza precedenti mentre l'Europa ha vacillato due volte sull'orlo del suicidio mi sembra indicare differenze fondamentali nella gerarchia dei valori. (da Gli archivi dell'Eden: p. 197)
  • I principali avvenimenti della vita culturale americana sono (superbamente) organizzati piuttosto che organici. In modo altrettanto inevitabile, questa organizzazione prenderà la forma dominante della valutazione economica. «Il culturale», come lo chiama Veblen, diventa parte della dinamica generale del consumo ostentato. [...] La densità onnipresente, l'organicità dell'alta cultura europea è, o era fino a pochissimo tempo fa, un'illusione. Coloro che vi si impegnavano liberamente erano una piccola casta, un'élite più o meno mandarinesca che possedeva i mezzi per imporre politicamente e pedagogicamente le sue opinioni. [...] Anche se gli handicap o i dilemmi ora evocati a proposito della reazione artistica e del pensiero filosofico «alto» in America hanno una minima sostanza, sono inseparabili dagli ideali democratici e dai procedimenti populisti del Nuovo Mondo. [...] Può darsi che l'America sia stata soltanto più franca proposito della natura umana di qualsiasi società precedente. Se è vero, sarà stata l'evasione da questa verità, l'imposizione dall'alto di sogni e ideali arbitrari, a rendere possibili i luoghi e i momenti eccelsi della civiltà. (da Gli archivi dell'Eden: pp. 202-6)
  • In altre parole, una cultura autentica è caratterizzata dall'incoraggiamento di una formazione di base focalizzata sulla comprensione, sull'apprezzamento e sulla trasmissione delle opere migliori prodotte ieri e oggi dalla ragione e dalla fantasia. Una cultura autentica fa di quel tipo dio risposta percettiva una funzione morale e politica fondamentale. Trasforma quella «risposta» in «responsabilità», costringe quella risonanza a «essere responsabile» davanti alle occorrenze mentali eccelse. (da Gli archivi dell'Eden: p. 209)
  • Dissociare le fonti della civiltà dal concetto di una minoranza è un'illusione o una menzogna sfacciata. [...] Iniettare sensibilità e rigore intellettuale nella massa della società è impossibile, se non a un livello molto limitato e superficiale. È possibile invece banalizzare, annacquare, presentare secolarmente i valori e i prodotti culturali verso i quali vogliamo indirizzare il cittadino medio. Il risultato specifico di questa operazione è il disastro della pseudo-formazione letteraria e matematica che troviamo nelle scuole secondarie e in molto di quello che si spaccia per «istruzione superiore». [...] Le banalità predigerite, il didatticismo prolisso e pomposo, l'assoluta disonestà nella presentazione che caratterizza il programma, l'insegnamento, la politica amministrativa nelle scuole secondarie, nei junior college e nelle università (quanto l'America ha svilito questo termine nobile!) aperte a tutti rappresentano lo scandalo fondamentale della cultura americana. (da Gli archivi dell'Eden: p. 209)
  • Il pensiero assoluto è antisociale, antigregario, forse autistico. È una lebbra che cerca l'isolamento. (da Gli archivi dell'Eden: p. 213)
  • L'intellettuale non ha scelta, salvo fra essere sé stesso o tradire sé stesso. Se pensa che la «felicità», come appare nelle definizioni fondamentali della teoria e della pratica dell'American way of life, sia preferibile, se non sospetta che la «felicità» in quasi tutte le sue forme sia il dispotismo dell'ordinario, del volgare, ha sbagliato mestiere. Queste cose sono organizzate meglio nel mondo del despota. Gli artisti, i pensatori, gli scrittori ricevono il tributo irremovibile dell'attenzione e della repressione politiche. Il KGB e lo scrittore serio sono pienamente d'accordo perché sano entrambi – anche perché agiscono entrambi in funzione di questa conoscenza – che una poesia (quando Pasternak citò il primo verso di un sonetto di Shakespeare alla presenza di uno Ždanov inviperito, per esempio), un romanzo, una scena di tragedia possono essere la centrale energetica degli affari umani, che niente è più carico di detonatori di sogni e di azioni che la parola, e soprattutto la parola che si conosce a memoria. [...] Imprigionare un uomo perché cita Riccardo III durante le purghe del 1937, arrestarlo a Praga perché tiene un seminario su Kant, significa valutare esattamente l'importanza della grande letteratura e della grande filosofia. Significa onorare perversamente, ma cionondimeno onorare, l'ossessione della verità.
    Quale testo, quale dipinto, quale sinfonia potrebbe scuotere l'edificio della politica americana? Quale atto di pensiero astratto ha qualche influenza? Chi se ne cura? (da Gli archivi dell'Eden: p. 218)
  • Visto in modo rigoroso, il destino del giudaismo è un poscritto alle penali del contratto con Dio (anche qui, i passi in corpo piccolo). (da La nostra terra, il testo: p. 228)
  • La presenza ebraica, spesso impressionante, nella matematica moderna, in fisica, nella teoria economica e sociale, nasce direttamente da quella astinenza dall'approssimazione e dall'effimero che caratterizza l'ethos del chierico. (da La nostra terra, il testo: p. 237)
  • Per due millenni la dignità dell'ebreo ha consistito nell'essere troppo debole per trasformare altri uomini in profughi altrettanto infelici di sé stesso. (da La nostra terra, il testo: p. 242)
  • Siamo un popolo insaziabilmente avido di storia, di conoscenza in movimento. [...] In cuor suo, l'ebreo non può accettare la fine della storia, l'esclusione dell'ignoto, l'eterna immobilità e noia della salvezza che accompagnerebbero l'era messianica. Nel negare lo statuto messianico di Gesù, nel sovvertire la fede dei primi cristiani nell'imminenza del momento escatologico, l'ebreo esprimeva il genio di irrequietezza così centrale nella sua psiche. Noi eravamo e rimaniamo nomadi attraverso il tempo. [...] Non saremo mai in grado di «pensare la Shoah» – ne sono convinto – sia pure in modo inadeguato, se ne separiamo la genesi e l'enormità radicale dalle origini teologiche. In particolare, non capiremo mai la psicosi persistente del cristianesimo, che è quella dell'odio per gli ebrei (persino in luoghi dove non ci sono più ebrei o quasi), a meno di riuscire a discernere in quella patologia dinamica le ferite mai chiuse lasciate dal «no» degli ebrei al Messia crocifisso. È a queste cicatrici non rimarginate o stimmate che possiamo applicare, secondo un significato tremendo, l'imposizione di Kierkegaard di lasciare aperte le «ferite della possibilità». (da Attraverso quello specchio, oscuramente: p. 252-5)
  • Il marxismo è essenzialmente un giudaismo che ha perso la pazienza. Il Messia ci ha messo troppo a venire, o piuttosto a non venire. Il regno della giustizia deve essere instaurato dall'uomo stesso, su questa terra, qui e ora. (da Attraverso quello specchio, oscuramente: p. 259)
  • Chi odiamo più dell'essere che ci richiede un sacrificio, un'abnegazione, una compassione, un amore disinteressato che ci sentiamo incapaci di offrire ma la cui validità riconosciamo e proviamo tuttavia nei precordi? Chi desidereremmo annientare più dell'essere che insiste nel metterci sotto il naso le illusorie potenzialità della trascendenza? (da Attraverso quello specchio, oscuramente: p. 260)
  • Quando le fantasie della religione e la loro perversione affine toccano le pulsioni dell'inconscio, il mostruoso non è distante. (da Attraverso quello specchio, oscuramente: p. 261)
  • Gli ebrei sono costretti a contemplare, se non ad accettare o a razionalizzare, l'atroce paradosso della loro colpevolezza innocente, il fatto che sono stati loro a rappresentare nella storia occidentale l'occasione, la possibilità ricorrente per il gentile di diventare meno che umano. (da Attraverso quello specchio, oscuramente: p. 265)
  • Due morti hanno plasmato in gran parte la sensibilità occidentale. Due casi di pena capitale, di omicidio giudiziario determinano i nostri riflessi religiosi, filosofici e politici. Sono due morti a governare la percezione metafisica e politica che abbiamo noi stessi: quella di Socrate e quella di Cristo. Siamo tuttora figli di quelle morti. (da Due galli: p. 281)
  • Sono stati l'accademismo rarefatto di Platone, l'istituzionalizzazione dell'insegnamento metafisico, la nuova definizione, in parte sofistica in parte scientifica, del filosofo e dialettico come specialista accademico dopo Socrate, a permettere il commercio opportunistico e istrionico fra intelletto e potere. (da Due galli: p. 300)
  • Il letteralismo evita l'obbligo supremo della coscienza individuale, che è di scavare da sola, sotto la tensione della comprensione libera e del rischio di sbagliare, i fondamenti testuali, se esistono, delle sue convinzioni religiose. L'adozione acritica del «rivelato» e del mistero dell'autorità implicati dalla rivelazione rendono ancora più difficile, o forse persino impossibile, la conquista di quel diritto più esigente: tacere a proposito di Dio. (da Due galli: p. 309)
  • Mangiare da soli ci dà la sensazione di una solitudine particolare, a volte penosa. Invece, nel condividere cibo e bevande, penetriamo nel cuore della nostra condizione socioculturale. Le implicazioni simboliche e materiali di quell'azione sono quasi universali: comprendono il rituale religioso, le strutture e le divisioni dei ruoli fra i sessi, il campo erotico, le complicità e gli scontri politici, le opposizioni giocose o serie nel discorso, i riti del matrimonio o del lutto. (da Due cene: p. 310)

Una certa idea di Europa

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I parafulmini devono essere saldamente infissi nel terreno. Anche le idee più astratte e speculative devono essere ancorate nella realtà, nella materia delle cose. Che dire allora dell'idea di Europa?
L'Europa è i suoi caffè, quelli che i francesi chiamano cafés. Dal locale di Lisbona amato da Fernando Pessoa ai cafès di Odessa frequentati dai gangster di Isaac Babel. Dai caffè di Copenhagen, quelli di fronte ai quali passava Kierkegaard nel suo meditabondo girovagare, fino a quelli di Palermo. Non si trovano caffè archetipici a Mosca, che è già la periferia dell'Asia. Ce ne sono pochissimi in Inghilterra, dopo una fugace moda nel Diciottesimo secolo. Non ce ne sono nell'America del Nord, con l'eccezione dell'avamposto francese di New Orleans. Basta disegnare una mappa dei caffè, ed ecco gli indicatori essenziali dell'«idea di Europa».
Il caffè è il luogo degli appuntamenti e delle cospirazioni, del dibattito intellettuale e del pettegolezzo. Lo frequentano il flâneur, il poeta, il metafisico con il suo taccuino. È aperto a tutti, e al tempo stesso è un club, una massoneria di identità politiche o artistico-letterarie.

Citazioni

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  • I parafulmini devono essere saldamente infissi nel terreno. Anche le idee più astratte e speculative devono essere ancorate nella realtà, nella materia delle cose. (p. 29)
  • L'Europa è stata, e viene ancora, camminata. È un elemento fondamentale. La cartografia d'Europa è il frutto delle possibilità del piede umano, degli orizzonti che ci può far percepire. [...] In senso metaforico, ma anche nella realtà, quel paesaggio è stato modellato e umanizzato da piedi e mani. (pp. 31 sg.)
  • Le strade, le piazze dove camminano gli uomini, le donne e i bambini europei hanno preso il nome da statisti, generali, poeti, artisti, compositori, scienziati e filosofi. È questo il mio terzo parametro. [...] Lo scolaro europeo, e tutti quelli che vivono nelle grandi città, abitano quelle che sono – alla lettera – delle camere di risonanza di grandi imprese storiche e intellettuali, artistiche e scientifiche. (p. 36)
  • La sovranità del ricordo, questa auto-definizione dell'Europa come lieu de la mémoire, come luogo della memoria, ha però un suo lato oscuro. Le targhe affisse su tante case europee non parlano solo dell'eminenza artistica, letteraria, filosofica o politica. Commemorano anche secoli di massacri e di sofferenze, di odio e di sacrifici umani. (p. 37)
  • Certo, il problema è ancora più profondo. In Europa anche i bambini si piegano sotto il peso del passato, così come si piegano sotto il fardello di zaini scolastici troppo pesanti. Quante volte, passeggiando in Rue Descartes o attraversando il Ponte Vecchio, o passando davanti alla casa di Rembrandt ad Amsterdam, sono stato travolto, con una sensazione addirittura fisica, dalla domanda: «Ma a che serve? Che cosa può aggiungere chiunque di noi alle immensità del passato europeo?». [...] Un europeo colto si trova intrappolato nella ragnatela di un in memoria luminoso e insieme soffocante. (p. 39)
  • È il mio quarto assioma: la doppia eredità di Atene e Gerusalemme. [...] Essere europei significa cercare di negoziare sul piano morale, intellettuale ed esistenziale gli ideali, le pretese, le praxis contrastanti della città di Socrate e di quella di Isaia. (p. 40)
  • Il giudaismo e le sue due principali note a piè di pagina, il cristianesimo e il socialismo utopico, discendono direttamente dal Sinai, e anche gli ebrei erano solo un piccolo gruppo disprezzato e perseguitato. (p. 45)
  • Il mio quinto criterio è una consapevolezza escatologica che, credo, possiamo trovare solo nella coscienza europea. [...] È come se l'Europa, a differenza di altre civiltà, avesse intuito di essere destinata al collasso, sotto il peso paradossale dei propri trionfi e dell'insuperata ricchezza e complessità della propria storia. (pp. 46 sg.)
  • Chi è insensibile a quella che Platone chiamava mania, essere posseduti dalla ricerca di verità spesso astratte, senza alcuna immediata applicazione pratica, dovrebbe andarsene altrove. Gli scienziati, gli studiosi, sono destinati, come sostiene Weber, a un ideale sacrificale, antico come i presocratici, che caratterizza il genio dell'Europa. (p. 49)
  • Inoltre la nostra capacità di previsione è ridicolmente miope (quasi sempre costruiamo le nostre ipotesi utilizzando uno specchietto retrovisore). (p. 51)
  • Non c'è dubbio: l'Europa morirà se non combatte per difendere le sue lingue, le sue tradizioni locali, le sue autonomie sociali. Perirà se dimentica che «Dio si trova nei dettagli». (p. 54)
  • I campi della morte sono un fenomeno europeo: e per una mostruosa intuizione sono stati edificati nella più cattolica delle nazioni europee. Ancora una volta, i crocifissi deridono il perimetro di Auschwitz. (p. 56)
  • Forse dalle ombre delle persecuzioni religiose emergerà un'Europa post-cristíana, anche se lentamente e con modalità difficili da prevedere. In un mondo che ora appare preda di fondamentalismi assassini, da quello del Sud o del Mid-West americano a quello islamico, l'Europa occidentale ha il privilegio e il dovere di smussarli, per praticare un umanesimo laico. Se riuscirà a purgarsi dalla propria oscura eredità, se riuscirà a confrontarsi con questa eredità con la necessaria intransigenza, l'Europa di Montaigne ed Erasmo, di Voltaire e Immanuel Kant, potrà assumere ancora una vota il proprio ruolo di guida. [...] Chissà, in una maniera che è difficile prevedere, l'Europa darà il via a una rivoluzione contro-industriale, pur avendo dato essa stessa inizio alla prima rivoluzione industriale. [...] Non è la censura politica che uccide: sono il dispotismo del mercato di massa, le ricompense di una fama commercializzata. (pp. 56 sgg.)

Con il crollo del marxismo nella barbarie della tirannia e nell'assurdità economica abbiamo perso un grande sogno: quello dell'uomo comune che segue la scia di Aristotele e Goethe, come proclamava Trockij. Ora che si è liberato da un'ideologia fallimentare, quel sogno può – anzi deve – essere sognato di nuovo. E forse solo in Europa abbiamo i requisiti culturali necessari, quel senso di tragica vulnerabilità della condition humaine, per fornirgli una base. Solo tra i cittadini di Atene e Gerusalemme, spesso così stanchi, divisi, confusi, è possibile ritrovare la fiducia che non valga la pena di vivere una «vita non esaminata».
Forse queste sono solo sciocchezze, forse è troppo tardi. Spero di no, perché queste cose le sto dicendo in Olanda. Dove ha vissuto e pensato Baruch Spinoza.

  1. Da Un libro cambia la vita, La Stampa, 11 maggio 2000, p. 27.
  2. Dalla prefazione a Linguaggio e silenzio: saggi sul linguaggio, la letteratura e l'inumano, traduzione di Ruggero Bianchi, Garzanti, Milano, 2001, pp. 9-10. ISBN 88-11-59709-9
  3. a b c d e f g h i j k Citato in Riemen, prologo a Steiner 2006, pp. 17 sgg.
  4. Da Vere presenze, Leslie Stephen Memorial Lecture, Cambridge 1985, poi in Nessuna passione spenta. Saggi 1978-1996, traduzione di Claude Béguin, p. 38, Garzanti, Milano, 1997.
  5. (EN) Citato in The Daily Mail, 27 giugno 1988.
  6. Dall'intervista in Pierre Boncenne, Postino del sapere, Internazionale, n. 322, 18 febbraio 2000, p. 44.
  7. Da Tagliare corto, New Yorker, 16 aprile 1964, poi in Letture. George Steiner sul New Yorker, introduzione e cura di Robert Boyers, traduzione di Fiorenza Conte, Garzanti, Milano, 2010.
  8. Citato in Charles Shaar Murray, Jimi Hendrix. Una chitarra per il secolo, traduzione di Massimo Cotto, Feltrinelli, 1992.
  9. Dall'intervista di Nuccio Ordine, "La mia Europa sotto assedio", corriere.it, 26 aprile 2019.
  10. Secondo Rob Riemen «Steiner riassume in un'unica frase l'essenza dell'educazione e della cultura liberali».
  11. Nell'edizione Garzanti 1999 (ISBN 8811669421) quest'ultima frase è: "Ma adesso la sensazione di bruciore, proprio dietro agli occhi, si faceva più acuta".

Bibliografia

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  • George Steiner, Dopo Babele: Il linguaggio e la traduzione, traduzione di Ruggero Bianchi, Sansoni Editore, 1984. ISBN
  • George Steiner, Il correttore (Proofs, 1992), traduzione di Claude Béguin, Garzanti, 1992. ISBN 8811657105
  • George Steiner, Nessuna passione spenta, traduzione di Claude Béguin, Garzanti libri, Milano, 1997.
  • George Steiner, Una certa idea di Europa (The idea of Europe), X Nexus Lecture, traduzione di Oliviero Ponte di Pino, prefazione di Mario Vargas Llosa, prologo di Rob Riemen, Garzanti, Milano, 2006. ISBN 88-11-59777-3

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