Machine Learning With R Cookbook 2nd Edition Bhatia PDF Download
Machine Learning With R Cookbook 2nd Edition Bhatia PDF Download
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Machine Learning with R Cookbook 2nd Edition Bhatia
Digital Instant Download
Author(s): Bhatia, AshishSingh; Chiu, Yu-Wei (David)
ISBN(s): 9781787287808, 1787287807
Edition: 2nd
File Details: PDF, 17.02 MB
Year: 2017
Language: english
Machine Learning with R Cookbook
Second Edition
BIRMINGHAM - MUMBAI
Machine Learning
with R Cookbook
Second Edition
Copyright © 2017 Packt Publishing
Every effort has been made in the preparation of this book to ensure
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contained in this book is sold without warranty, either express or
implied. Neither the authors, nor Packt Publishing, and its dealers
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to be caused directly or indirectly by this book.
ISBN 978-1-78728-439-5
www.packtpub.com
Credits
Authors
Copy Editor
AshishSingh Bhatia
Safis Editing
Yu-Wei, Chiu (David Chiu)
Reviewers
Project Coordinator
Ratanlal Mahanta
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E così conversando e raccontando favole e novelle ingannarono le
ore. Quando scesero a terra, essa disse:
— «Domani andiamo in città.» —
— «Ma ti troverai ai giuochi?» — egli chiese.
— «Oh, sì.» —
— «Ti manderò i miei colori.» —
E così si divisero.
CAPITOLO IV.
CAPITOLO V.
Lo sceicco aspettò, ben soddisfatto, finchè Ben Hur, ebbe terminate
le esercitazioni del mattino.
— «Questo pomeriggio, o sceicco, potrai riprenderti Sirio» — disse
Ben Hur, accarezzando il collo del vecchio cavallo. — «Lo puoi
riprendere, e darmi il cocchio.» —
— «Così presto?» — chiese Ilderim.
— «Con cavalli come i tuoi basta una giornata. Non hanno paura;
hanno l'intelligenza di un uomo, ed amano l'esercizio. Questo, egli
scosse le redini sul dorso al più giovine dei quattro, — tu lo
chiamasti Aldebran, credo, — è il più veloce. In un giro di stadio
avanzerebbe gli altri di tre lunghezze.» —
Ilderim si lisciò la barba, con gli occhi scintillanti.
— «Aldebran è il più veloce» — disse. — «E il più tardo?» —
— «Eccolo.» — Ben Hur scosse le redini sopra Antares. — «Ma egli
vincerà, perchè, vedi, sceicco, egli correrà tutto il giorno, e in sul
calar del sole potrà raggiungere la sua massima velocità.» —
— «Hai nuovamente ragione» — disse Ilderim.
— «Io ho un solo dubbio, o sceicco.» —
Lo sceicco si fece serio.
— «Nella sua avidità di trionfare, un Romano transige anche con
l'onore. Nei loro giuochi, — in tutti i loro giuochi, praticano una
infinità di tranelli e di frodi; nelle gare dei cocchi, la loro furfanteria
non risparmia nè i cavalli, nè l'auriga, nè il padrone. Quindi, buon
sceicco, bada bene a quanto tu fai. Finchè la gara non sia terminata,
non lasciare che nessun estraneo si avvicini ai cavalli. Per esser più
sicuri, fa di più: — metti una guardia armata che li invigili notte e
giorno. Allora non avrò paura per l'esito.» —
Alla porta della tenda smontarono.
— «Ciò che tu dici sarà fatto. Per lo splendore di Dio, nessuna mano
dovrà avvicinarsi a loro tranne quella dei fedeli. Stanotte medesima
porrò le sentinelle. Ma guarda, figlio di Arrio,» — Ilderim estrasse il
plico dalla cintura e lo svolse lentamente, sedendo sopra il divano, —
guarda, figlio di Arrio, e aiutami col tuo latino.» —
Egli consegnò il dispaccio a Ben Hur.
— «Ecco; leggi, leggi ad alta voce, traducendo le parole nella lingua
de' tuoi padri. Il latino è un abbominio.» —
Ben Hur era di buon umore e intraprese la lettura con leggerezza.
Messala a Grato! Si arrestò. Ebbe come un presentimento e il cuore
gli cominciò a palpitare fortemente. Ilderim osservò la sua
agitazione.
— «Dunque? Aspetto.» —
Ben Hur domandò scusa e ricominciò la lettura del papiro, che il
lettore avrà già indovinato essere una copia della lettera con tanta
cura spedita da Messala a Grato, la mattina dopo l'orgia nel palazzo.
I primi paragrafi erano solo notevoli in quanto che rivelavano che lo
scrittore non aveva perduto quelle qualità di scherno e d'ironia che
adornavano il suo dire giovanile. Ma quando il lettore arrivò ai passi
intesi a rammentare a Grato la famiglia dei Hur, la sua voce tremò, e
due volte dovette arrestarsi, per riprendere padronanza di sè. Con
uno sforzo continuò. — «Richiamerò anche le disposizioni che
prendesti riguardo ai membri della famiglia Hur» — qui la voce del
lettore fu rotta come da un singhiozzo — «affinchè il silenzio della
tomba ci assicurasse il tranquillo godimento dei nostri guadagni, e
allo stesso tempo il rimorso di aver versato sangue non ci
macchiasse la coscienza.» —
Ben Hur non potè continuare. Il papiro scivolò dalle sue mani ed egli
si coprì il volto.
— «Sono morte — morte. Io sono solo!» —
Lo sceicco era stato muto ma commosso spettatore del dolore del
giovine.
Egli si alzò e disse: — «Figlio di Arrio, io devo chiederti perdono.
Leggi la lettera da solo. Quando ti sarai riavuto abbastanza per
comunicarmi il resto del contenuto, mandami a chiamare.» —
Egli uscì dalla tenda. Il pensiero delicato era degno di lui.
Ben Hur si gettò sul divano e si abbandonò alla foga della sua
passione.
Quando si fu rimesso alquanto, si ricordò che parte della lettera non
gli era ancora conosciuta, e ne riprese la lettura. — «Ti ricorderai di
ciò che hai fatto della madre e della figlia del malfattore, e se ora
cedo alla curiosità di sapere se vivano o siano morte....» — Ben Hur
trasalì, rilesse il passo: — «Egli non sa se siano morte; egli non sa!»
— esclamò. — «Benedetto sia il nome del Signore! C'è ancora un po'
di speranza.» — Sorretto da questo pensiero continuò la lettura fino
al fondo.
— «Non sono morte» — egli disse, dopo breve riflessione: — «Non
sono morte; altrimenti egli lo saprebbe.» —
Una seconda lettura, più attenta della prima, lo confermò in questa
opinione. Allora mandò a chiamare lo sceicco.
— «Quando venni la prima volta alla tua tenda ospitale, o sceicco»
— egli incominciò con calma, quando l'arabo ebbe preso posto sul
divano, e furono soli, — «io non aveva l'intenzione di parlarti della
mia vita, tranne che di quella parte necessaria per provarti la mia
destrezza ed esperienza nel guidare i cavalli. Non volli comunicarti la
mia storia. Ma il caso che ha fatto pervenire questa lettera nelle mie
mani, è così strano, che io sento il dovere di rivelarti ogni cosa. Mi
conforta in questo proposito il fatto che siamo entrambi minacciati
dal medesimo nemico, contro il quale è necessario che procediamo
d'accordo. Io ti leggerò la lettera e ti darò la spiegazione, dopo la
quale comprenderai facilmente il motivo della mia emozione. Se la
considerasti debolezza o sentimentalità infantile, saprai ricrederti o
scusarmi.» —
Lo sceicco ascoltò in assoluto silenzio finchè Ben Hur arrivò al
paragrafo in cui si faceva speciale menzione della sua persona. —
«Io incontrai ieri l'Ebreo nel boschetto di Dafne» — diceva la lettera
— «e se egli non vi è, tuttavia dimora certamente nelle vicinanze,
cosicchè ti sarà facile tenerlo d'occhio. Anzi, se tu mi chiedessi dove
sia in questo momento, io giuocherei che egli si trova nell'Orto delle
Palme.» —
— «Ah!» — esclamò Ilderim, afferrandosi la barba.
— «Nell'Orto delle Palme,» — ripetè Ben Hur, — «sotto la tenda di
quel canuto traditore, lo sceicco Ilderim....» —
— «Traditore! Io?» — gridò il vecchio con voce fattasi acuta, mentre
il labbro e la barba tremavano d'ira, e le vene della fronte e del collo
si gonfiavano come per scoppiare.
— «Un momento, sceicco» — fece Ben Hur. — «Tale è l'opinione di
Messala, ascolta la sua minaccia»:.... sotto la tenda di quel canuto
traditore, lo sceicco Ilderim, il quale non sfuggirà a lungo alle nostre
mani. Non ti sorprenda se Massenzio, come passo preliminare faccia
imbarcare l'Arabo sulla prima galera di ritorno, e lo mandi a
Roma.» —
— «A Roma! Me — Ilderim, — sceicco di diecimila cavalieri con
lancie — me a Roma!» — Balzò in piedi, le mani tese, le dita che si
aprivano e si stringevano con moto convulso, gli occhi scintillanti
come quelli di un serpente.
— «O Dio! — no, per tutti gli Dei, tranne per quelli di Roma! —
quando finirà questa insolenza? Un uomo libero son io; libero è il
mio popolo. Dobbiamo morire schiavi, o, peggio, dovrò io condurre
la vita di un cane che striscia ai piedi del suo padrone? Devo leccare
la sua mano perchè non mi batta? Ciò che è mio non è più mio, per
l'aria che respiro devo dipendere da Roma. Oh, se fossi giovine
un'altra volta! Oh se potessi scrollare dalle mie spalle venti anni, — o
dieci, — o cinque!» —
Strinse i denti, ed agitò le braccia sopra il capo; poi, sotto l'impulso
di una nuova idea, fece due passi verso Ben Hur e gli afferrò con
veemenza il braccio.
— «Se io fossi come te, figlio di Arrio — giovine, forte, destro nelle
armi; se avessi un torto come il tuo che mi spronasse alla vendetta,
un torto tale da santificare l'odio — giù le maschere! Figlio di Hur,
figlio di Hur, io dico!» —
A quel nome il sangue di Ben Hur quasi si arrestò nelle vene;
stupito, confuso, egli fissò gli occhi in quelli dell'Arabo, ora vicini ai
suoi, e animati da una fiamma selvaggia.
— «Figlio di Hur, io dico, se io fossi, come te, coi tuoi torti, coi tuoi
ricordi, io non avrei, non potrei aver pace. Alle mie sofferenze
aggiungerei quelle del mondo, e mi dedicherei alla vendetta. Per
mare e per terra, in ogni paese, predicherei la rivolta contro il
Romano. Ogni guerra di indipendenza mi troverebbe fra i
combattenti, in ogni battaglia contro Roma brillerebbe la mia spada.
Diventerei Parto, in mancanza di meglio. Che se anche gli uomini mi
venissero meno, non interromperei i miei sforzi, no. Per lo splendore
di Dio! Andrei fra i lupi, le tigri e i leoni nella speranza di aizzarli
contro il comune nemico. Ogni arma sarebbe lecita, ogni eccidio
giustificato, purchè le vittime fossero Romane. Alle fiamme tutto ciò
che è Romano! Di notte pregherei gli Dei, i buoni e i cattivi
egualmente, che mi prestassero i loro terrori, le loro tempeste, le
carestie, il freddo, il caldo, e tutti gli innominabili veleni che essi
lasciano liberi nell'aria, e tutto, tutto scaraventerei sul capo ai
Romani. Oh, io non potrei dormire! Io, io....» —
Lo sceicco si fermò per mancanza di respiro, e rimase muto,
ansando, pallido, coi pugni serrati.
Di tutto questo appassionato scoppio d'ira Ben Hur non ritenne che
una vaga impressione di occhi fiammeggianti, di una voce stridula, di
una collera troppo intensa per essere espressa con coerenza, a
parole. Per la prima volta in otto anni il misero giovane era stato
chiamato col suo vero nome. Un uomo almeno lo conosceva e lo
riconosceva senza chiedere prove, e questi era un Arabo del deserto!
Come era egli venuto a questa cognizione? La lettera? No. Essa
parlava delle crudeltà inflitte alla sua famiglia, narrava la storia delle
proprie sofferenze, ma non diceva che egli era la vittima
provvidenzialmente sfuggita all'ira Romana. Questo anzi egli avrebbe
voluto spiegare allo sceicco dopo terminata la lettura. La gioia e la
speranza gli fiorirono in cuore, e con calma forzata domandò:
— «Buon sceicco, dimmi, come venisti in possesso di questa
lettera?» —
— «La mia gente custodisce le strade fra le città» — rispose Ilderim
bruscamente. — «La tolsero ad un corriere.» —
— «Sanno che quella gente è tua?» —
— «No. Davanti al mondo figurano come predoni, che è mio dovere
di prendere ed impiccare.» —
— «Un'altra domanda, sceicco. Tu mi chiamasti figlio di Hur — il
nome di mio padre. Io mi credeva sconosciuto da tutti. Come
apprendesti il mio nome?» —
Ilderim esitò; poi, rinfrancandosi rispose. — «Io ti conosco, ma non
sono libero di dirti altro.» —
— «Qualcheduno ti tiene sotto padronanza?» —
Lo sceicco tacque e fece per andarsene; ma osservando la
disillusione di Ben Hur, ritornò indietro, e disse: — «Non parliamone
più per ora. Io vado in città; quando ritorno ti parlerò liberamente.
Dammi la lettera.» — Ilderim ripiegò con cura i papiri e li rimise
subito nella loro busta.
— «Che cosa dici» — egli chiese con energìa — «della mia proposta?
Io ti esposi ciò che farei ne' tuoi panni, e tu non mi hai ancora
risposto.» —
— «Io voleva risponderti, sceicco, e ti risponderò.» — Il volto di Ben
Hur si contrasse come sotto lo sforzo di un imperiosa volontà. —
«Tutto ciò che tu hai detto, io farò, — almeno tutto quanto
umanamente è possibile. Io ho dedicata la mia vita alla vendetta. Per
cinque anni questa fu il mio unico pensiero. Senza tregua, senza
riposo, sprezzando gli allettamenti di Roma e le tentazioni della
gioventù, ho impiegato tutte le forze dell'animo mio a questo unico
scopo. La mia educazione ebbe per meta ultima la vendetta. Praticai
i più famosi maestri — non quelli di rettorica e di filosofia — ahimè!
Non aveva tempo per questi. Le arti essenziali all'uomo d'armi erano
la mia occupazione; vissi con gladiatori e con vincitori dell'arena; con
centurioni nei campi Romani. E tutti furono orgogliosi di avermi a
scolaro. O sceicco, io sono un soldato; ma per attuare i sogni ch'io
nutrivo, avevo bisogno di essere un generale. Con questo intento mi
sono arruolato nella guerra contro i Parti; quando essa sarà
terminata, allora, se il Signore mi darà vita e forza, — allora» — egli
alzò i pugni stretti, e parlò con veemenza — «allora, quando sarò un
nemico perfezionato alla scuola di Roma, Roma dovrà pagarmi tutti i
miei torti col sangue de' suoi figli. Questa è la mia risposta,
sceicco.» —
Ilderim gli gettò le braccia al collo e lo baciò, dicendo con voce
bassa, quasi strozzata dall'emozione: — «Se il tuo Dio non ti aiuterà
in questo, figlio di Hur, egli sarà morto. Senti ciò che ti prometto, che
ti giuro, se vuoi: Tu avrai me stesso, e tutto ciò che io posseggo —
uomini, cavalli, cammelli, — e il deserto per preparare i tuoi piani. Io
lo giuro! E per ora basta. Mi vedrai, o udrai di me, prima di sera.» —
Voltandosi bruscamente, lo sceicco uscì dalla tenda, e di lì a poco si
trovò sulla via verso la città.
CAPITOLO VI.
La lettera intercettata era per più ragioni importante per Ben Hur.
Era una confessione che l'autore di essa era stato complice nella
soppressione della famiglia; che egli aveva sanzionato il piano
proposto da Valerio Grato a questo scopo; che egli aveva ricevuto
parte dei beni confiscati e che godeva ancora in quel momento; che
egli temeva la improvvisa comparsa di quegli ch'egli chiamava il
principale malfattore; nella quale vedeva una minaccia per la
sicurezza propria e quella di Grato; infine che egli era pronto ad
eseguire qualunque disegno che il fertile cervello del procuratore di
Giudea avrebbe saputo escogitare, per togliere di mezzo il comune
nemico.
Specialmente quest'ultima considerazione, l'avviso di un pericolo
vicino, diede molto a pensare a Ben Hur, rimasto solo nella tenda
dopo la partenza di Ilderim. I suoi avversari erano personaggi
potenti ed astuti. Se essi lo temevano, egli aveva maggior ragione di
temerli. Cercò di chiarirsi bene la situazione e di riflettere sul modo
in cui l'odio di essi avrebbe potuto esplicarsi, ma i suoi pensieri
venivano costantemente turbati dalla visione della madre e della
sorella. Poco importava se il fondamento di questa sua persuasione
era debole, riposando essa interamente sul fatto che Messala non
aveva appreso la loro morte; la gioia che egli provava, soffocava
ogni dubbio. Finalmente aveva trovato una persona la quale sapeva
dove esse erano celate, e, nella esaltazione del momento, la loro
scoperta gli sembrava già vicina, un evento di prossima attuazione.
Con tutti questi pensieri e sentimenti pensava con una specie di
mistica certezza che Iddio stava per presceglierlo al compimento di
una grande missione.
Di tanto in tanto, richiamando le parole di Ilderim, egli si
meravigliava donde l'arabo avesse tratte le informazioni sul suo
conto; non da Malluch certamente; non da Simonide, l'interesse del
quale stava al contrario nel celare ogni cosa. Messala? L'idea era
ridicola. Ogni congettura approdava al medesimo risultato negativo.
— «Meno male» — egli pensava consolandosi che da qualunque
fonte lo sceicco avesse appreso il suo nome e i particolari della sua
vita, non poteva essere che da un amico, il quale, come tale, si
sarebbe a suo tempo dichiarato. — «Un po' di pazienza, un po' di
attesa» — forse la gita dello sceicco in città aveva relazione con
l'affare; possibilmente la lettera favorirebbe una completa
rivelazione.
E paziente egli sarebbe stato se solamente egli avesse potuto
accertarsi che Tirzah e sua madre lo attendevano in circostanze tali
da permettere anche ad esse le medesime speranze che egli nutriva;
se, in altre parole, la coscienza non lo pungesse con mille accuse per
la sua inazione.
Per isfuggire a questi rimorsi, egli si diede a passeggiare sotto gli
alberi dell'Orto, ora fermandosi a osservare i raccoglitori di datteri,
ora a seguire i voli degli uccelli che andavano a nascondersi nel
fogliame delle palme, ora le corse dello sciame delle api, che
ronzando circondavano i cespugli fioriti e carichi di bacche.
Più a lungo indugiò lungo le sponde del lago. Quelle limpide acque,
appena increspate dal vento, che venivano con mormorìo sommesso
a lambire voluttuosamente le rive, gli richiamavano l'immagine
dell'Egiziana e la sua meravigliosa bellezza, e il ricordo di quella sera
allietata dalle parole e dal canto di lei, gli riempiva il cuore di una
grande dolcezza. Ripensava al fascino dei suoi modi, all'armonìa del
suo riso, alle sue lusinghe e alle sue blandizie, al tepore molle di
quella manina che stringeva la sua sopra il pomo del timone. Da lei il
suo pensiero correva a Balthasar, e alla sua miracolosa narrazione; e
da lui al Re dei Giudei, che il santo uomo con tanta profondità di
convinzione diceva vivo e annunziava vicino. E qui la sua mente si
arrestò, indagando il mistero di quello strano personaggio, e traendo
da quelle riflessioni la soddisfazione di cui andava in cerca. Nulla è
più facile della confutazione di un pensiero contrario ai nostri
desideri, e Ben Hur rifiutò energicamente la definizione data da
Balthasar del regno che doveva venire. Il concetto di un regno
spirituale, se non era intollerabile alle dottrine Sadducee di cui era
imbevuto, gli sembrava una deduzione tratta dalle profondità di una
fede troppo astratta e sognatrice. Un regno della Giudea, ah sì,
quello era più comprensibile; un tale regno era già esistito e per la
stessa ragione potrebbe ritornare! E accarezzava il suo orgoglio il
pensare un regno nuovo, più vasto nei suoi dominii, più ricco e più
splendido dell'antico; un Re sotto il quale egli troverebbe e servizio e
vendetta. In questa condizione d'animo egli ritornò al dovar.
Terminata la colazione, per occupare il pomeriggio, Ben Hur fece
condurre davanti alla tenda il cocchio che egli sottopose ad un
attento esame. Questa parola non rende che poveramente lo studio
e la cura ch'egli pose nell'osservare ogni minimo particolare del
veicolo. Con una soddisfazione che apparirà più comprensibile in
seguito, vide che il modello era Greco, a suo avviso preferibile a
quello Romano. Era più ampio nello spazio fra ruota e ruota, più
basso di sala e più pesante; ma lo svantaggio del peso maggiore
sarebbe più che compensato dalla resistenza dei suoi Arabi. In
generale i costruttori di cocchi in Roma fabbricavano solamente
veicoli da corsa, sacrificando la sicurezza alla leggerezza, e la
resistenza alla grazia; mentre i carri di Achille e del Re degli uomini
designati per la guerra e i suoi pericoli erano ancora i tipi preferiti
nelle gare Istmiche e d'Olimpia.
Poi attaccò i cavalli e li guidò sul campo delle esercitazioni, dove per
parecchie ore li tenne sotto il giogo, obbligandoli ad ogni genere di
evoluzioni. Quando ritornò al padiglione sul far della sera, il suo
animo si era calmato e aveva deciso di sospendere ogni passo
riguardo a Messala fin dopo la giornata delle corse. Il piacere di
misurarsi col suo nemico al cospetto di tutto l'Oriente era una voluttà
di cui egli non sapeva privarsi. La sua fiducia nella propria abilità e
nel risultato finale era assoluta. Quanto ai cavalli, essi sarebbero
stati i suoi compagni nella gloriosa impresa.
— «Ch'egli stìa all'erta! Ch'egli badi! Nevvero, Antares, Aldebran?
Nevvero Rigel, buon cavallo? E tu Altair, Re dei corsieri, non dovrà
egli temerci? Buoni, buoni!» —
Così parlava ai cavalli negli intervalli di riposo, andando dall'uno
all'altro, e accarezzando loro le guancie e i colli.
Sul far della notte Ben Hur sedeva davanti alla porta della tenda,
aspettando Ilderim, non ancora ritornato dalla città. Non provava
impazienza, nè dubbio, nè timore. Lo sceicco almeno avrebbe
parlato. Anzi, fosse la soddisfazione dell'ottimo lavoro prestato dai
cavalli, o la dolce stanchezza che succede a una giornata di tanta
fatica, o la cena a cui aveva fatto largo onore, o la reazione, che, per
una provvida legge di natura tien sempre dietro al momento di
depressione e di tristezza, il giovane si trovava di ottimo umore, e
quasi felice. Gli sembrava che la Provvidenza lo avesse preso sotto la
sua speciale protezione.
Finalmente si udì lo scalpitare di un cavallo, e Malluch smontò
davanti alla tenda.
Ben Hur non fece domande, ma entrò nel recinto dove pascolavano i
cavalli. Aldebran gli si avvicinò, come profferendo i suoi servigi. Egli
lo accarezzò affettuosamente, ma passò a scegliere un altro cavallo,
non uno dei quattro: questi erano sacri alla gara. In breve tempo i
due cavalieri percorrevano rapidamente e in silenzio la via della città.
Prima d'arrivare al Ponte Seleucio, essi attraversarono il fiume su di
una barca, e penetrarono nella città dal lato occidentale. Il cammino
era più lungo, ma Ben Hur lo accettò senza far parola, pensando che
fosse una precauzione necessaria.
Passarono il molo di Simonide, e, davanti alla porta del grande
magazzeno, Malluch fermò il suo cavallo.
— «Siamo giunti» — egli disse — «smonta.» —
Ben Hur riconobbe la località.
— «Dov'è lo sceicco?» —
— «Vieni con me. Te lo mostrerò.» —
Un custode prese i cavalli, e quasi prima che Ben Hur si rendesse
chiaramente conto di quanto avveniva, egli si trovò di nuovo davanti
alla porta della casa sopra il terrazzo, e intese una voce: — «In
nome di Dio, entrate.» —
CAPITOLO VII.
Crediti:
Navi 60 talenti
Merci nei magazzeni 110 »
Carichi di transito 35 »
Cammelli, cavalli, ecc. 20 »
Magazzini 10 »
Cambiali 54 »
Contanti 254 »
——
Totale 553 talenti
CAPITOLO VIII.
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