100% found this document useful (1 vote)
6 views36 pages

Solution Manual For Statistics, Data Analysis, and Decision Modeling, 5/E 5th Edition James R. Evans

Solutions Manual

Uploaded by

leyladrss
Copyright
© © All Rights Reserved
We take content rights seriously. If you suspect this is your content, claim it here.
Available Formats
Download as PDF, TXT or read online on Scribd
100% found this document useful (1 vote)
6 views36 pages

Solution Manual For Statistics, Data Analysis, and Decision Modeling, 5/E 5th Edition James R. Evans

Solutions Manual

Uploaded by

leyladrss
Copyright
© © All Rights Reserved
We take content rights seriously. If you suspect this is your content, claim it here.
Available Formats
Download as PDF, TXT or read online on Scribd
You are on page 1/ 36

Get Full Test Bank Downloads on testbankbell.

com

Solution Manual for Statistics, Data Analysis, and


Decision Modeling, 5/E 5th Edition James R. Evans

http://testbankbell.com/product/solution-manual-for-
statistics-data-analysis-and-decision-modeling-5-e-5th-
edition-james-r-evans/

OR CLICK BUTTON

DOWLOAD EBOOK

Download more test bank from https://testbankbell.com


More products digital (pdf, epub, mobi) instant
download maybe you interests ...

Solution Manual for Business Analytics James R. Evans

https://testbankbell.com/product/solution-manual-for-business-
analytics-james-r-evans/

Business Analytics Data Analysis and Decision Making


Albright 5th Edition Solutions Manual

https://testbankbell.com/product/business-analytics-data-
analysis-and-decision-making-albright-5th-edition-solutions-
manual/

Solution Manual for Business Analytics: Data Analysis


and Decision Making 7th Edition Albright

https://testbankbell.com/product/solution-manual-for-business-
analytics-data-analysis-and-decision-making-7th-edition-albright/

Data Analysis and Decision Making Albright 4th Edition


Solutions Manual

https://testbankbell.com/product/data-analysis-and-decision-
making-albright-4th-edition-solutions-manual/
Introduction to Statistics and Data Analysis 5th
Edition Peck Test Bank

https://testbankbell.com/product/introduction-to-statistics-and-
data-analysis-5th-edition-peck-test-bank/

Solution Manual for Introduction to Statistics and Data


Analysis 6th by Peck

https://testbankbell.com/product/solution-manual-for-
introduction-to-statistics-and-data-analysis-6th-by-peck/

Solutions Manual to accompany Statistics and Data


Analysis 9780137444267

https://testbankbell.com/product/solutions-manual-to-accompany-
statistics-and-data-analysis-9780137444267/

Solution Manual for Business Analytics: Data Analysis &


Decision Making 6th Edition Albright

https://testbankbell.com/product/solution-manual-for-business-
analytics-data-analysis-decision-making-6th-edition-albright/

Solution Manual for Operations and Supply Chain


Management, 2nd Edition David Alan Collier James R.
Evans

https://testbankbell.com/product/solution-manual-for-operations-
and-supply-chain-management-2nd-edition-david-alan-collier-james-
r-evans/
Solution Manual for Statistics, Data Analysis, and Decision
Modeling, 5/E 5th Edition James R. Evans
Download full chapter at: https://testbankbell.com/product/solution-manual-for-
statistics-data-analysis-and-decision-modeling-5-e-5th-edition-james-r-evans/
Description
Statistics, Data Analysis & Decision Modeling focuses on the practical
understanding of its topics, allowing readers to develop conceptual insight on
fundamental techniques and theories. Evans’ dedication to present material in a
simple and straightforward fashion is ideal for comprehension.

Product details
 ASIN : B007HDPTWC
 Publisher : Pearson; 5th edition (February 9, 2012)
 Publication date : February 9, 2012
 Language : English
 File size : 20146 KB
 Simultaneous device usage : Up to 2 simultaneous devices, per publisher
limits
 Text-to-Speech : Not enabled
 Enhanced typesetting : Not Enabled
 X-Ray : Not Enabled
 Word Wise : Not Enabled
 Sticky notes : Not Enabled
 Print length : 552 pages
 Best Sellers Rank: #1,161,273 in Kindle Store
Another random document with
no related content on Scribd:
Cav. (scuotendosi, fremente). I nostri, Clara, i nostri! Così va bene,
per Dio! A noi! Tornerò, sai. (Via rapidamente).

SCENA DICIOTTESIMA.
Clara, poi Don Rolando, Alban, Andrea.

Clara (si slancia come per seguire il cavaliere, si ferma, va per


affacciarsi al terrazzino, indietreggia inorridita al pensiero di ciò che
dovrebbe vedere. Percorre la scena agitatissima, porgendo l’orecchio
ai rumori che si vanno allontanando).
Don Rolando e Alban (si presentano reggendo Andrea pallido e
disfatto).
Clara (raccapricciando come davanti a un’apparizione). Reviglio!
Voi?... Vivo?
Rolando (ad Andrea) Eccoci, ancora un passo; coraggio!
Alban. Coraggio, sor Andrea (a Clara). È lui che ha voluto venir su...
Andrea (alla presenza di Clara cerca di reggersi, di riprendere le
forze).
Clara (avanzando rapidamente una poltrona). Qui, presto, adagiatelo
qui.
Alban e Don Rolando vi adagiano Andrea.
Andrea (vi si abbandona, chiudendo gli occhi).
Clara (spaventata). Muore! Muore!
Rolando. No, no: la volontà lo tien vivo, ma per un miracolo. Non
l’abbiamo salvato che dall’ultimo colpo, dal colpo di grazia. Son io
che ho avvertito i contadini, che li ho guidati...
Alban. Si battono al ponte.
Clara. Silenzio!
Andrea (ha riaperto gli occhi, languidamente. Vede Clara, si agita,
vorrebbe rialzarsi).
Clara. No, Andrea, vi prego. State tranquillo, state calmo...
Andrea (la guarda fissamente, come per esprimere un pensiero, un
desiderio ardentissimo).
Clara (indovinando ad un tratto). Laggiù si battono, avete detto? Don
Rolando, laggiù pure occorre l’opera vostra. Qui basto io.
Rolando (s’inchina e parte, seguìto da Alban).
Clara (facendosi anche più vicina ad Andrea). Sono qui con voi.
Siamo soli...
Andrea (vorrebbe parlare, fa vani sforzi per articolare le sillabe).
Clara. Mio povero Andrea... (accostando l’orecchio per afferrare le
parole). Sì, sì, v’intendo, sapete. Ho capito. Non ci separeremo più, è
questo che volete? Guarirete, e poi sempre qui, sempre con noi,
sempre con me. Siete contento?
Andrea (scuote il capo con un sorriso tristissimo, si lascia ricadere
all’indietro).
Clara. Sempre con me, Andrea... Guardatemi... Coraggio, coraggio,
ancora una parola! (Chinandosi e cogliendo un mormorio appena
intelligibile). Ah! la memoria? Oh sì, nel cuore di tutti la vostra
memoria. Come un fratello, per lui che avete salvato, e per me un
amico, un grande, un dolcissimo amico. Ricorderò tutto, Andrea,
tutto, ve lo prometto. (Con la mano al petto). Ho tutto qui,
nell’anima, per sempre, per sempre, per sempre!
Andrea (si protende a lei col volto sereno, con gli occhi sfavillanti di
gioia, stendendo avidamente le mani).
Clara (gli porge la destra).
Andrea (la prende, la stringe fra le sue con passione; abbassa
lentamente il capo come per posarvi le labbra e rimane immobile).

(Un silenzio).
Clara (ad un tratto si scuote, getta un grido e si ritrae rapidissima.
Dopo un momento, ricomponendosi, si riaccosta in atto d’infinita
pietà).

Cala la tela.
MADONNA ORETTA
COMMEDIA.
PERSONAGGI.

Madonna Oretta.
Messer Bernabò.
Un Monaco dell’ordine di San Benedetto
Giannucolo, Gabriotto, Masetto, contadini.
Minghina, Pinuccia, contadine.
Ginevra, Costanza, damigelle di Oretta.
Macheruffo., scudiere di Bernabò.

Cacciatori e famigli, contadini e contadine.

Le falde d’un poggio coronato di mura merlate, sopra cui


si mostrano comignoli, rocche di camini, alte torri
imbertescate. Al basso il terreno è incolto, ineguale,
sparso d’alberi, d’arbusti e di pruni, indizio di bosco vicino.
È un mattino sul finire di maggio; apparisce l’aurora, e lo
splendore cresce al crescere del giorno.

(Giannucolo è sdraiato sull’erba a sinistra: ha la testa


nuda, un farsetto rappezzato, calze intere allacciate al
farsetto e fornite di suole sotto le piante dei piedi. —
Entrano Masetto e Gabriotto dalla destra: portano cappelli
gualciti, camiciotti biancastri e brache strette: tutti e due
sono muniti di falci fienaie. Vengono dietro Pinuccia e
Minghina con le cottardite alzate e fermate ai fianchi: l’una
ha un rastrello, l’altra un forchetto).

Masetto (indicando Giannucolo). Oh guarda chi vedo!


Gabriotto. Domine fallo tristo: dormire a quest’ora! In tempo di
fienagione!
Minghina. Ohimè! Egli ha passato la notte a ciel sereno.
Pinuccia. È un gran dorminterra! Un gran dorminterra!
Masetto. E quando non dorme, va poltroneggiando ch’è una
vergogna.
Minghina. La colpa non è sua, se è divenuto balordo: l’hanno
stregato.
Masetto. Aspetta, aspetta, ch’io gli fo lo scongiuro. (Fa un fischio
acutissimo).
Giannucolo. (si leva a sedere e li guarda di traverso).
Masetto. Leva su, dormiglione: che il fien di maggio è maturo.
Giannucolo. Va alla malora tu e il tuo fieno! (Si rimette a giacere).

(Suoni confusi in lontananza).

Gabriotto. Giannucolo, hai da sapere che il signore è già in caccia.


Non senti i corni? Se ti coglie, stai fresco.
Pinuccia. Guai a chi non lavora!
Minghina. Deh, sventurato, non ti conosci tu? Non consideri che sei
lavoratore dei campi? E vai vagabondando come trasognato, che i
fanciulli ti verranno oggi mai dietro co’ sassi!
Giannucolo. (non risponde e fa una spallacciata).
Masetto (prende una manciata di terra e gliela butta come va, va).
Su, ghiro!
Gabriotto (gli getta un ramoscello secco). Su ghiro, tasso, marmotta!
Pinuccia. (con voce strillente). Su su su!
Giannucolo. (si leva in piè). Che male vi ho fatto? Non vi ho fatto
niente. Come potete divertirvi a noiare uno che non vi ha fatto
niente? Lasciatemi stare, che sarà meglio per voi.
Gabriotto, Masetto e Pinuccia. (continuano a sghignazzare e a fare atti
di spregio). Su su su!
Giannucolo. (stringendo le pugna) Io non so a che mi tengo...
Minghina. Zitti!... Zitti, vi dico: ecco un benedettino.

(Un monaco bianco appare nel fondo, e si avanza


lentamente esaminando certe erbe che poi mette in una
sporta. I contadini e le contadine gli fanno riverenza).

Monaco. Pace, pace, fratelli miei. Nega la pace a sè, chi la nega
altrui. È nemico di sè medesimo, chi vuole per nemico il prossimo
suo. Perchè altercate?
Gabriotto. (indicando Giannucolo.). Perchè costui non vuol venire al
lavoro.
Masetto. E il maggese è maturo.
Gabriotto. Una scossa d’acqua può mandarcelo a male.
Giannucolo. (se ne sta in silenzio con la testa bassa).
Monaco (con severità pacata). Che non rispondi, figliuol mio? Che
non di’ qualche cosa? Sei tu divenuto mutolo vedendomi?
Giannucolo. (confuso). Non so...
Monaco. Parla liberamente.
Giannucolo. Non posso più attendere a nessuna cosa, chè mi par
d’avere tutto il mondo addosso.
Gabriotto. (sogghignando). Sonno mena sonno.
Masetto. Un sonno tira l’altro.
Pinuccia. Un uomo ozioso è il capezzale del diavolo.
Minghina. Padre riverito, io com’io dico che qualcuno gliel’ha fatta.
Monaco. Parla chiaro.
Minghina. Qualcuno, cioè una strega o uno stregone. Basta una
parola, un gesto, un’occhiata per legare un uomo che non sia più
libero nè della mente nè del corpo. Voi le sapete queste cose?
Monaco (crollando il capo). Di presente non pare vi siano maliarde in
questo paese.
Pinuccia. Vengono di fuori via.
Minghina. Vengono di fuori via. Ier sera, al tramonto, ero nell’orto.
Che è che non è, cala giù una vecchiaccia bruna e magra e pelosa,
fruga nella salvia, ghermisce un rospo e frr, risale su pei nuvoli!
Masetto. Ier notte, entrando nella stalla per abbeverare la vacca, ho
visto un folletto rannicchiato nella greppia: uno di quei folletti che
amano il caldo e temono il freddo.
Gabriotto. Venerdì mattina, un caprone forestiero s’è cacciato tra il
mio gregge, nabissando e cozzando alla maledetta. E mi ha
stroppiata uno pecora.
Pinuccia. E quante galline nere non son nate quest’anno!
Monaco (infastidito). E chetatevi un po’!... Domani verrò al borgo col
nostro esorcista, e qualcosa si farà. Orsù, andate a falciare, andate a
falciare.
Gabriotto. Andiamo, che si fa tardi.
Monaco (a Giannucolo). Rimanti con me.

(I contadini e le contadine se ne vanno, discorrendo


animatamente).

Giannucolo. (sta immobile, in atto di chi aspetta).


Monaco (avvicinandosi). Io sono medico in cirugia, abbi fiducia in
me. (Lo guarda fissamente, tenendolo per il braccio in quella parte
dove i medici cercano il polso). Tu non mi sembri infermo. Però
questa impossibilità d’attendere alle solite occupazioni può essere
principio d’infermità. (Pensando). Anche l’anima s’inferma, quando
per vizio o per colpa perde fermezza e si mette sul pendio del male.
Hai tu fatto bene l’esame della tua coscienza? Quanto tempo è che
non ti sei confessato?
Giannucolo. La mia usanza era di confessarmi ogni mese almeno una
volta...
Monaco. Intendo: era ma non è più. Or mi di’, figliuol mio, hai tu
detto male d’altrui?
Giannucolo. Padre mio, mai.
Monaco. Tolte dell’altrui cose?
Giannucolo. Mai.
Monaco. Fatta testimonianza falsa richiesto o non richiesto?... Sei tu
stato bestemmiatore di Dio semplicemente o ereticalmente?...
Bevitore, giocatore, mettitore di malvagi dadi?
Giannucolo. Padre mio, no.
Monaco. Nel peccato della gola hai tu dispiaciuto a Dio?
Giannucolo. Vivo di pane e di acqua.
Monaco. Hai tu offeso i tuoi genitori con l’opere o con le parole?
Giannucolo. Son solo al mondo.
Monaco. Dimmi, in avarizia hai tu peccato? Tenuto quello che tu tener
non dovevi? Desiderato più che il convenevole?
Giannucolo (sotto voce, quasi senza volerlo). — Ecco il mio male! Un
desiderio...
Monaco. Un desiderio folle, occulto, focoso? Vi sono desideri che
struggono i giovani come il fuoco strugge la cera. Tu sei ammalato
nell’anima. Perchè non ti raccomandi a Dio?
Giannucolo. Che mi guarisca? Ma io non voglio guarire. Il mio male è
la più cara cosa ch’io abbia al mondo. Non posso, per il tormento
che mi dà, nè mangiare, nè dormire; spesso sono come fuori di me;
e pure non vorrei tornare quel di prima. Vorrei solamente imbattermi
in qualcuno che mi soccorresse di consigli. Io non so niente di
niente, sono un povero idiota, ma assetato di sapere. Chi mi può
dire come si compongono i beveraggi, i filtri di cui ho sentito
parlare? Dove si trovano i talismani che arrestano gli effetti ordinari
delle cose, o cambiano la condizione degli uomini? È egli vero che
per via d’incantesimi uno può diventar bello come messer lo
arcangelo, o ricco, nobile, potente come un reale di Francia? Che
occorre per ottenere tali effetti? Un patto segreto? Un sacrifizio di
sangue? Rinunziare a dieci, a venti anni di vita? Alla salute
dell’anima?
Monaco (si mette ancor più attento). Di’ sicuramente, che, il ver
dicendo, nè in confessione nè fuor di confessione si peccò giammai.
Giannucolo. Sabato, su la mezzanotte, vincendo ogni pauroso
pensiero, sono salito fino al gran castagno di Ripalta. Il lume della
luna rischiarava torno torno il terreno, riarso dalle ridde, dai bagordi,
dagli accoppiamenti infernali...
Monaco (ansioso) E che cosa hai veduto? Di’ liberamente... Sotto
sigillo di confessione. Che ti è accaduto?
Giannucolo (ristringendosi nelle spalle). Nulla.
Monaco. Il tuo Creatore ti ha aiutato, ti ha risparmiato la vista della
mala cosa.
Giannucolo. Ma io ero pronto a tutto...
Monaco. Chetati, sciagurato! Tu sei ammalato nell’anima, cioè
posseduto nell’anima da uno spirito malefico. Or bene a tre capi si
riduce ogni sorta di maleficio: a maleficio ostile, sonnifero e
amatorio. (Piantandogli in faccia due occhi scrutatori). Il più terribile
è il maleficio amatorio, per cui il demonio eccita verso alcuno una
passione, un travaglio amoroso così violento che è veramente un
furore.
Giannucolo. Non è un furore, padre mio, è piuttosto un languore.
Monaco. Languor possente d’amore che rende languente la vita.
Giannucolo. Non so che mi fare nè che dire...
Monaco. Guardiamo come si rimedia. Ma il rimedio non s’ha dalle mie
ampolle.
Giannucolo (tentennando mollemente il capo). Il rimedio vince il
male, e io...
Monaco. Taci. Io ti condurrò al monastero, dinanzi al nostro abate, il
quale è monaco antico, di santissima vita, gran maestro in iscrittura,
di molto più sottile intendimento che tutti noi. Tu esporrai ogni cosa.
Egli ti parlerà per religione, per fisica, per filosofia; farà sì che
l’eccesso del tuo umore non trapassi in insania. Dopo t’inchinerai alla
testa di san Clemente, la reliquia insigne che venne d’oltremare.
Dopo ancora tu visiterai la nostra dimora, aperta a quanti hanno
sperimentato i pericoli del mondo; fidato rifugio dei pentiti, dei
tribolati, dei perseguitati. Fuori è come un palagio, dentro le celle
sono anguste e disadorne. Il nostro monastero ha possanza e
ricchezze al pari di un piccolo stato; ha poderi in monte e terre in
piano, giurisdizioni, dominii e signorie; riceve largizioni e doni solenni
d’oro, d’argento e di gemme... Noi monaci passiamo la vita tra le
orazioni, i digiuni, le battiture, i cilizi; ci obblighiamo con voto a
vivere poveri; le parole «questo è mio» non si pronunziano mai:
sicchè pochi giorni or sono fu negata la santa sepoltura a un
confratello, morto con due monete nascoste sotto le ascelle...
Ognuno di noi, oltre ai suoi doveri, ha il suo ufficio: chi studia le
antiche memorie, chi minia pergamene, chi riscuote i tributi, chi
provvede al refettorio, chi accoglie i pellegrini... Tutti c’inebriamo di
sacrifizio: e da quest’ebrezza, congiunta alla concordia degli animi,
alla pace degli atti, scaturisce la forza della nostra comunità. Uomini
in altissimo stato ambiscono d’esser chiamati nostri fratelli; vicini a
morte prendono l’abito, supplicano d’esser sepolti nella nostra chiesa
perchè la preghiera vegli sulle ceneri loro in sempiterno. Vieni meco,
e vedrai...(S’interrompe). Oh, guarda come scordavo il mio ufficio!
Sono medico, io: e bisogna che colga l’atropo medicinale e l’erba
morella mentre la rugiada bagna ancora la terra. Non t’incresca
d’aspettare un poco: ripasserò per questo sentiero. (Si allontana
lentamente).

(Giannucolo si aggira qualche tempo tutto agitato, poi si


avvia a sinistra. — Il luogo sta vuoto un momento. —
Madonna Oretta entra dalla destra: porta una leggera
ghirlanda di rose selvatiche sul capo biondissimo: è vestita
d’uno sciamito rosato strettissimo dalla cintola in su e da
indi in giù largo, e lungo fino ai piedi: ha una leggiadra
cinturetta d’argento con una bella borsa: la mano destra
nuda, la sinistra coperta con un guanto da falco. Le fanno
compagnia Ginevra e Costanza, tutte e due in guarnacca
succinta, con velo in capo).

Oretta (piena di corruccio). Ma dove, dove si sarà cacciato quel


falco? Io non comprendo. Lo lascio andare sur una lodola, così per
provare, e la prende. Lo lascio andare sur un’altra, e vola in alto, in
alto, e tanto lontano che lo perdo di vista!
Ginevra. Io l’ho veduto fin qui...
Costanza. Soleva esser tanto maniero!
Oretta (battendo i piedi in terra). E invano l’ho chiamato al pugno!
Ginevra. L’ho veduto fin qui. Non è che uno smeriglio, ma moveva
l’ali come un falcon pellegrino...
Oretta (con moti d’impazienza). Ha tutti i segni d’un pellegrin
naturale: gli occhi, il becco, gli artigli, le penne maestre, le piume...
Tutto, meno la nobiltà! Se lo ritrovo, lo tratto come un falcon villano.
Giuro che lo piglio per i geti, lo percuoto a un albero, e lo butto a un
can da pagliaio!
Costanza. Madonna, siete troppo crucciosa!
Oretta (fra’ denti). Dio faccia che lo ritrovi!
Ginevra. Lo ritroveremo. Non può andar perduto. Non ha gli scudetti
ai piedi, e i sonagli d’argento smaltati con l’arme del signore?
Costanza. Zitta! che mi par di sentirli i sonagli. (Sta in orecchi).
Oretta. Non è suon di sonagli.
Costanza. È suono argentino, madonna, è suono argentino! Torniamo
addietro, che siamo venute troppo oltre. Chi sa! forse si è ravveduto,
il cattivo; e, mentre noi cerchiamo di lui, egli cerca di noi.
(Ginevra e Costanza tornano dalla parte per la quale sono
venute. — Oretta continua a guardare in su, aguzzando la
vista e facendosi schermo della mano. — Giannucolo
rientra dalla sinistra, la vede e rimane come estatico).

Oretta (voltandosi a lui). Vieni dal bosco? Hai tu visto il mio falco,
posato in vetta a qualche albero? È uno smeriglio piccino e leggero...
Di’ tosto, di’ tosto. Perchè mi guati come un tralunato?
Giannucolo (si scuote, accenna di no).
Oretta (si rivolge indietro per partire).
Giannucolo (sopraffatto da un sentimento irresistibile). Madonna!
Oretta (fermandosi). Che vuoi tu?
Giannucolo. Se posso fare alcuna cosa che vi levi dalla noia che
avete, ditemelo e lo farò volentieri. Volete che vi cerchi un altro
falchetto? Io so trovare nidi e nidiaci. A tre miglia di qui, dove nasce
il nostro fiume, vi sono dirupi che par che vadano in abisso. Là
nascono falchi piccoletti e di piumaggio gentile, ma onorati, superbi
e di grande ardimento; hanno voglie guerriere e fanno preda
piombando dall’alto. Io li credo dei migliori del mondo. Comandate.
Oretta (lo guarda in faccia e dà in una risata). Che occhi mi fai! Gli
occhi d’un barbagianni al sole.
Giannucolo. Madonna, sì: io sono un barbagianni e voi siete il sole.
Oretta (gaiamente). Oh! oh! tu parli come un uom di corte!
Giannucolo (facendosi ardito). I barbagianni s’inchiodano sugli usci a
scongiuro di danno e pericolo. Fatemi inchiodare sull’uscio della
vostra camera e beato me!
Oretta. Tu parli come un cavaliere di scudo!
Giannucolo. Dico quel che mi detta il cuore.

(Suoni di corno e voci non troppo lontane).


Oretta (attenta a udire). Messer Bernabò caccia un lupo con la muta
dei bracchi. Senti: harlaù, harlaù, harlaù... (bruscamente). E ora
dove si saranno riposte le mie damigelle, che non tornano più? (si
incammina a destra).
Giannucolo (seguendola a mani giunte). Deh, io ve ne prego,
servitevi di me. Ogni cosa che a grado vi sia, io m’ingegnerò di fare.
Sarò sempre vostro fedele, ubbidiente ai vostri comandamenti, per la
vita e per la morte...
Oretta. E che vuoi ch’io faccia di te?
Giannucolo (guardandola con un’aria di aspettazione supplichevole).
Fatemi quel bene che potete.
Oretta (con derisione). Vuoi che ti elegga mio maggiordomo o mio
gran siniscalco?
Giannucolo (ferito). Madonna!
Oretta. Per alcun caso, avresti tu già servito alla tavola d’un signore,
o governato cavalli, o custodito cani, o addestrato e conciato uccelli
di rapina?
Giannucolo (scuote la testa).
Oretta. Adunque non puoi fare il servitore, nè il palafreniere, nè il
canattiere, nè lo strozziere. (Dopo una breve pausa) Quando sono i
freddi grandissimi e ogni cosa è piena di ghiaccio e di neve, nel
castello occorrono canti, suoni, spettacoli per alleviare la noia... Sai
tu per avventura motteggiare, dialogare, novellare in latino o in
volgare? Sei tu costumato e ben parlante?
Giannucolo. Madonna, io son uom materiale.
Oretta (crudamente). Hai tu appreso a sonare di viola, a trovare e
cantare imprese d’armi e d’amori?... Potresti tu giocar coi coltelli,
ingoiare le spade, spiccar salti oltremaravigliosi?
Giannucolo. Non ho mai esercitato arti da sollazzo, signora.
Oretta. Non puoi esser menestrello, non puoi essere giullare. Se tu
fossi mutolo, nano, gobbo o almen contraffatto, potresti vestir di
vergato, e sostituire Felisotto buffone, che invecchia e comincia a
pigliar malinconia: ma tu hai buon aspetto, il tuo fare non è
buffonesco, nè tale da muovere a riso.
Giannucolo (prontissimamente). Ma io son folle, madonna; non ve ne
siete avveduta?
Oretta (lo squadra ben bene). Tu non mi sembri svanito di senno.
Giannucolo. Ho levato alto il viso, e ho guatato tanto in cielo, che ho
perduto la terra.
Oretta. Come dire che ti perdi in vani pensieri?
Giannucolo. Ho posto tutto il mio animo e tutto il ben mio in una
stella, la quale passa di bellezza millanta altre che si vedon lassù.
Oretta (ridendo). Oh! oh! questo è molto bel cominciamento.
Giannucolo. A niun’altra cosa posso pensare se non al mio altissimo
amore.
Oretta. Per certo che non sei in buon senno. Che dunque fai?
Giannucolo. Io temo forte che non vi sia noia s’io dico altro.
Oretta. Di’ tosto, ch’io ho vaghezza di nuove cose.
Giannucolo. Appena è notte, comincio per la campagna a vagare,
fissando il cielo, e dicendo a tutta voce: — Madama stella, madama
stella, usa in me la tua crudeltà e fammi morire. Ma sappi che se
appresso la morte s’ama, non mi rimarrò d’amarti.
Oretta. Ma ella niente di queste cose, nè di te si cura?
Giannucolo. Pare a me che da quella una soavità si muova, e
discenda; la quale mi riempie d’un piacere mai da me non provato.
Oretta. Ma la tua infima condizione umana non ti lascia pigliare niuna
speranza di lieto fine.
Giannucolo. La fortuna assai sovente gli oscuri ad alto leva, a basso
lasciando i chiarissimi.
Oretta. E in che speri? Forse in qualche occulta operazion
negromantica?
Giannucolo. Sommamente desideravo di vederla più da vicino; e l’ho
veduta!
Oretta (dando in uno scoppio di risa). Che è ciò che tu di’? Come hai
tu fatto?
Giannucolo. Ho veduto colei che per me è più che una stella.
(Pigliando fervore). L’ho veduta e la vedo, e sento tanto piacere
nell’animo che appena so dove io mi sia.
Oretta (con sembiante altero, con uno sguardo che ammonisce).
Guarda quel che tu parli.
Giannucolo. Ancor mezza parola...
Oretta. Non intendo il tuo coperto parlare.
Giannucolo. Parlerò aperto...
Oretta. Non più, che ora mi è fastidio a udire. (Dà addietro e gli
butta una moneta). To’ questo, mentecatto, e va via.
Giannucolo (mettendo il piede sulla moneta). Madonna, la giovinezza
è sottoposta alle forze e alle leggi d’amore; le quali sono di maggior
potenza che tutte le altre.
Oretta (tutta nel viso cambiata). Conosco quanto possono, e so pure
che non una volta ma molte hanno condotto i pazzi temerari ad
asprissimo gastigo!
Giannucolo. E così sia. Usate in me la vostra crudeltà, fatemi
martoriare, fatemi morire...
Oretta. Poni una statua di cera della tua grandezza dinanzi alla figura
di messer santo Nicola, per i meriti del quale io ti faccio grazia. E fa
ch’io non ti rivegga più in questi luoghi.
Giannucolo (con dolorosa voce). Mercè per Dio e per pietà! Voi mi
date d’un coltello al cuore...
Oretta (fieramente adirata). Levatimi dinanzi, can fastidioso che tu
se’! (Volta le spalle e si avvia a sinistra).
Giannucolo (con gli occhi lampeggianti e come uscito di sé).
Maledetto sia il giorno che vi ho veduta, madonna! Ma, perso per
perso, vi voglio baciare. (L’insegue, la raggiunge e tenendola forte, le
preme le labbra sul collo).
Oretta (manda un altissimo strido).
Giannucolo (la lascia e fugge a destra).
Oretta (volgendosi attorno attorno con altre grida). Aiuto! aiuto!...
Oh il ribaldo! il ribaldo! il ribaldo! (Vede venire messer Bernabò, si
ferma e si ricompone).

(Entra messer Bernabò dalla sinistra, porta un cappuccio


di color verde scuro, una giubba di zendado verde chiaro
con tanti bottoni di pietre preziose, calze intere, scarpe da
caccia senza il becchetto, spada dorata, corno d’avorio
cerchiato d’oro: ha in mano uno spiedo).

Oretta. Signor mio, voi siate il molto ben venuto.


Bernabò (con tranquillità abituale d’animo e di maniere). Ho
riconosciuto la voce tua. Perchè hai gridato accorr’uomo? Che
diavolo vuol dir questo?
Oretta (ancor tutta fremente). Fui villanamente oltraggiata.
Bernabò. Come andò?
Oretta. Stavo cercando il mio falco smarrito, quando...
Bernabò. Chi fu colui?
Oretta. Un giovane di cattiva vita, di biasimevole stato, di vilissima
condizione.
Bernabò. E che ti ha fatto?
Oretta. Mi è corso addosso, mi ha messo le mani addosso...
Bernabò. E non ti sei difesa?
Oretta. Mi ha presa a tradimento.
Bernabò. Ti ha fatto forza?
Oretta. Mi ha baciata.
Bernabò. Ti ha baciato le gole? la bocca?
Oretta. Il collo. Ci sento tuttavia come il bruciar dell’ortica.
Bernabò. E dove s’è nascosto?
Oretta. Si è dileguato.
Bernabò (dopo una pausa pensosa). Donna, qui si convien tacere.
Tacendo, niuna vergogna ti può tornare; parlando n’avresti vitupero
appresso tutti.
Oretta. Marito mio, signor mio dolce, io mi starò ben cheta; ma non
se ne starà cheto il mio offensore. Quel che tre sanno, tutti sanno. Io
speravo in una pronta e intera vendetta.
Bernabò. Pronta, intera, ma astuta. Lascia far me. I secondi pensieri
sono i migliori.

(Ginevra e Costanza entrano dalla destra).

Ginevra. Ohimè, madonna, il vostro buon smeriglio è perduto!


Costanza. Con poca speranza, o nessuna, di riaverlo.
Bernabò. Chetatevi. Voi non sapete quel che vi dite. (Si pone a bocca
il corno e lo suona).
Ginevra. Uno smeriglio cotanto tenuto caro!
Costanza. Il migliore che mai volasse!
Ginevra. Di bellezza e di bontà passava tutti che nel castello fossero
mai!

(Dalla sinistra entrano Macheruffo, e parecchi cacciatori e


famigli che accorrono alla chiamata: gli uni sono in
zazzera, altri in cuffia, tutti hanno gonnelle corte, qualche
poco ornate al collo, alle maniche e al fondo: e sono
armati di spiedi, coltelli, e altro da caccia).

Bernabò. Venite qua, brigata. Dove avete lasciato Rinuccio, Crivello e


Scannadio?
Macheruffo. Messere, si sono incamminati per il bosco di san
Giuliano, chè i cani hanno trovato la passata d’un altro lupo. Ma
contro il vento lavorano male...
Bernabò. Deh, vadano tutti al nome del diavolo! che ora bisogna
cambiar caccia. Un villano, un paltoniere ha involato il falco alla
vostra signora. Correte e ricorrete questi luoghi intorno, cercate
dietro le siepi, tra le macchie, nei fossati. Trovato il ladro, mettetegli
un bavaglio sì che non possa proferir parola, e menatelo qui.
Macheruffo. Dategli la mala ventura, messere!
Alcuni cacciatori (a una voce). Fatelo di mala morte morire!
Bernabò. Or via, andate e traetelo qui.

(Macheruffo e gli altri partono correndo. Bernabò


passeggia in su e in giù. Oretta sta da parte con le sue
damigelle. Gabriotto, Masetto, Pinuccia, Minghina e altri
contadini d’ogni età e di ogni sesso arrivano alla
spicciolata, tra curiosi e paurosi, e si aggruppano nel
fondo. Riappare il monaco bianco, interroga
sommessamente Masetto, poi viene avanti e saluta).

Bernabò. Buon dì, messer lo monaco.


Monaco. Dio vi salvi, mio signore. Torno dalla cerca dell’erbe che
sanano il corpo; ma ho facoltà di sanare anche l’anima, con lo
svellerne tutti i peccati. So che avete sentenziato un giovinetto...
Bernabò (alzando le spalle). Poh! egli non è il sire di Castiglione, nè il
Dusnam di Baviera, e non mette conto che voi stiate qui in disagio.
Monaco. Ma è un cristiano di Dio!
Bernabò. Dico ch’egli è un giovane di perduta speranza, infamato di
ladronecci e d’altre vilissime cose.
Monaco. E che vi ha rubato?
Bernabò. Un mirabile falcone.
Monaco. Messere, la pena dev’essere adeguata al delitto.
Bernabò. In buona fè, che voi siete un piacevol uomo! Non sapete
che il falcone è l’insegna stessa della nobiltà e della cavalleria?
Monaco. La legge antica dice che chi ruba un falcone, se può, paga
dieci soldi d’argento, che valgono il quarto d’un soldo d’oro; se non
può, soffre che il rapace gli becchi sei once di carne viva nel petto.
Bernabò. Monsignore lo re Filippo di Valois avendo smarrito uno
sparviero, fece andare per tutto il reame una grida, che chi pigliasse
il detto sparviero e lo presentasse, avrebbe da lui dugento franchi, e
chi non lo presentasse, andrebbe al gibetto.
Oretta (mossa da un pentimento istantaneo, a cui si aggiunge un
lontano e confuso spavento, si stacca dalle damigelle e si accosta al
monaco). Padre mio buono, io vi rivelerò cosa tanto secreta, che
niuno deve sapere all’infuori di noi e di voi. (Sottovoce). Quel
giovane m’ha fatta molta villania e onta tale, che non la posso
sofferire.
Monaco. Dunque fu ingiuria, non rubamento? Dunque è vendetta,
non punizione?
Oretta. Non sa quanto dolce cosa sia la vendetta, se non chi riceve
l’offesa.
Bernabò. E ancor dico io che l’ho sentenziato!
Monaco. Sentenza sommaria senza vero giudizio.
Bernabò. Messer lo monaco non v’impacciate, lasciate fare a me ciò
che quel malvagio ha meritato.
Oretta. Colui m’ha fatto onta troppo più che io non possa sopportare.
Monaco. Non potete sopportare?... E perchè? Guai a chi non può
sopportare! Egli dovrà soffrir poi. Chi sopporta è sulla via della pace,
della pace cristiana, della pace vittoriosa. Già da tempo si
combatteva con odio contro l’odio, con offese contro le offese, con
male contro il male. Ma il Salvatore, venendo in terra, ha portato una
nuova maniera di guerreggiare, che è vincer l’odio con l’affetto,
l’offesa col perdono, il male col bene. (Con un tono come di placida
ispirazione). Udite, a questo proposito, un avvenimento di
maraviglia. Berta, moglie di Bertranno da Montemale, con pompa
d’arnesi, di cavalli e di famigli, andava in pellegrinaggio alla badia di
San Michele della Chiusa. Avvenne che Bruno da Oulx, il quale con
una grossa brigata di masnadieri tormentava quel paese, sentì la sua
venuta, si mise in agguato, uccise i famigli, tolse i cavalli e gli arnesi;
e, sia per capriccio, sia per raffinamento di crudeltà, lasciò in
abbandono la gentile donna, spogliata e scalza e senza alcuna cosa
in capo. Ella, tutta piena di lagrime e d’amaritudine, diè volta
addietro; e non senza gran fatica, sì come colei che d’andare a piè
non era usa, tornò al Castello di Montemale. Bertranno, udendo ciò
che le era intervenuto, giurò solennemente di non tagliarsi più nè
unghie, nè capelli prima che gli fosse riuscito di vendicarsi...
Bernabò. In fè di Dio, cotesta fu buona ira!
Monaco. E più mesi egli perseverò in quello stato, divenendo come
un bestion da bosco; finchè, dato compimento all’apparecchio di
guerra, montò a cavallo, e cavalcò con sua compagnia verso il luogo
destinato per la vendetta. Provocati i masnadieri alla battaglia, li
sconfisse e dissipò; Bruno prese e trascinò a corda a Montemale,
disposto di farlo vituperosamente morire. I terrazzani concorsero a
vedere il prigioniero: e chi voleva fosse arso a lentissimo fuoco: chi
sotterrato vivo a capo all’ingiù; chi legato a un palo in alcun alto
luogo del castello, nè quindi mai levato, infino a tanto che, disfatto
dal sole e dall’intemperie, per sè medesimo non cadesse.
Bernabò. Alla croce di Dio! che questa fu bella pensata. E che fece
Bertranno?
Monaco. Quello che io sono per raccontarvi. Le porte erano serrate e
i ponti alzati, e ciò non ostante eccoti comparire un molto venerabile
uomo, il quale tutto rivolto a Bertranno e a Berta, cominciò a
ragionare. E la materia del suo ragionamento fu la necessità di
perdonare le ingiurie, benchè gravissime. Diceva: «Dio non pretende
che voi non sentiate l’affronto, pretende che non trascorriate alla
vendetta come una fiera. E veramente l’ira è una fiera che traversa
l’animo anche del savio, ma non vi scava però la sua tana. La sua
tana scava nell’animo dello stolto. Ira in sinu stulti requiescit. Essa
col tempo passa: tardate a sfogarla, senza però permettere che
traligni in odio. Ricordatevi che tutti, o più presto o più tardi,
abbiamo a morire. Non mettiamoci a rischio di morire da bestie
arrabbiate. Alzate gli occhi lassù a quel bel soggiorno di pace, alla
nostra patria celeste. Siamo in cammino per giungervi, non ci
adiriamo per la via. Ne irascamini in via...

(Si sente, a una certa distanza, un forte grido incomposto


di trionfo. Tutti si voltano a guardare da quella parte).

Gabriotto. L’hanno pigliato!


Masetto. L’hanno pigliato a furore!
Gabriotto. Era nel canneto.
Pinuccia. No, che il canneto è a mancina.
Minghina. Domine aiutalo!
Bernabò (si scosta da Oretta e dal monaco e guarda anche lui).
Monaco (a Oretta, riprendendo il discorso). Perchè mi distendo io in
tante parole? Udite il prodigio. Bertranno e Berta, fatti mansueti
dall’ammonizione dell’uom di Dio, perdonarono a Bruno da Oulx; e
quasi ciò fosse poco, poichè Bruno ancora era giovane e piacevole
nel viso, lo presero per figliuolo e lo costituirono loro erede. O
altezza della fede cristiana che tanto ottiene! O forza grande della
grazia divina! Che Dio vi converta, madonna!
(Si sente un suono confuso e vicino di grida imperiose: —
Cammina, ladrone! Alla morte, alla morte!)

Monaco (si tira da una parte e sta a vedere che cosa succede).
Oretta (rimane nel mezzo, accigliata e fissa in gran pensiero).
Bernabò (ai contadini). Fate luogo! fate luogo! o vi faccio frustare
come cani.

(Macheruffo, i cacciatori, i famigli entrano dalla destra


conducendo a forza Giannucolo tutto rabbuffato, pallido il
viso, la bocca strettamente coperta con un panno).

Macheruffo. Largo! largo!


I cacciatori e i famigli. Alla morte! alla morte!
Bernabò. Orsù, legategli le mani dietro le reni.
Un cacciatore. Manca la corda.
Bernabò. Pigliate una cintura.
Gabriotto (togliendosi la correggia che gli cinge la vita). Ecco la mia.
Bernabò. Addoppiate un guinzaglio, e fate nel capo un nodo
scorritoio; glielo metterete alla gola e lo impiccherete a un albero.
Macheruffo (indicando). A quel bel ramo sodo.
Un cacciatore. Manca la scala.
Bernabò (a Masetto). Va per una scala alla casa più vicina; e va di
galoppo.
Masetto (via a tutta corsa).
Monaco (venendo avanti). Io farò l’assoluzione in articulo mortis: e
raccomanderò a Dio l’anima di costui, che forse muore senza colpa.
(Rivolgendosi a Macheruffo). Ma, dimmi, dove s’era nascosto? Dove
l’avete trovato?
Macheruffo. Lungo disteso nel campo dei dodici solchi.
Monaco. E s’è dato alla fuga?
Macheruffo. No.
Monaco. È stato forte contro alla forza?
Macheruffo. No.
Monaco. E che ha fatto?
Macheruffo. Nulla.
Monaco. Siete certi di non averlo colto in iscambio?
Macheruffo. Aveva il volto turbato, ed era tutto graffiato dalle frasche
e dai pruni.
Bernabò. Messer lo monaco, o pregare o partire.
Monaco (leva destramente il bavaglio a Giannucolo e lo spinge
dinanzi a Oretta). Madonna, per Dio, aiutatemi che costui non sia
morto contro ragione. Guardate: raffigurate l’uomo quale da voi fu
già conosciuto, direttamente o per alcun indizio?
Oretta (sta immobile, muta, fredda come un marmo).
Monaco. Non tenete la fierezza in conto di gloria. Provvedetevi di
carità. La carità si stende agli offensori, agli avversari, ai nemici, e li
ama sin nella necessità del combatterli. Madonna, Dio è carità.
Oretta (rimane ancora un momento come sospesa, poi fa forza a sè
stessa e volge gli occhi verso Giannucolo).
Monaco (ansiosamente) Or via, guardatelo ben fiso: lo riconoscete?
Oretta (risoluta, a voce alta e ferma). No.
Giannucolo (s’inginocchia ai piedi di Oretta e le bacia il lembo della
veste).
Monaco (alza gli occhi e le mani al cielo).

(Mormorio, esclamazioni, movimenti diversi. I contadini si


avanzano goffamente. A un cenno di Bernabò, i cacciatori
e i famigli si buttano loro addosso e li respingono con
l’aste degli spiedi e con le fruste).
LA PAROLA
DRAMMA IN TRE ATTI.
PERSONAGGI

Il Maggiore Conte Vittorio Bermond della Motta.


Il Cavaliere Amedeo Bermond della Motta.
Il Capitano Conte Carlo D’Aldengo.
La Contessa Sabina D’Aldengo.
La Contessa Ortensia Datis.
La Baronessa Sofia Milliet.
Il Marchese Del Cerreto.
Di Pranero, La Torretta, ufficiali.
San Vito, quartiermastro.
Un chirurgo militare.
Il suo garzone.
Gaudenzio.
Michele.
Un sergente.
Un soldato.
Altri soldati.

Atto 1º — Al campo piemontese sul Piccolo San Bernardo.


Atto 2º — A Torino; nel palazzo D’Aldengo.
Atto 3º — A Torino; in casa dei fratelli Bermond.
L’inverno del 1793 — L’inverno del 1794.
ATTO PRIMO.

L’interno d’un meschino tugurio. Porta in fondo che


aprendosi lascia vedere il terreno coperto di neve.
Focolare con rozza panca davanti; in un angolo alcuni
bastoni ferrati, una brocca per l’acqua, un pane di
munizione; a destra una tavola con carte, libri, un
cannocchiale, oggetti diversi. È notte, ma si fa giorno a
poco a poco.

SCENA PRIMA.
Vittorio Bermond, Carlo D’Aldengo, Di Pranero, La Torretta.

(Di Pranero e La Torretta, avvolti nei loro mantelli,


dormono su due sacconi. Carlo seduto sul suo è assorto in
profondo pensiero. Vittorio mette in ordine la tavola, al
lume d’una candela piantata in una bottiglia. S’ode un
rullo di tamburo affievolito, lontano).

Vitt. (senza voltarsi) La diana, signori.


Di Pran. (si scuote, si alza).
La Tor. (si muove, sbadiglia, guarda intorno mezzo assonnato).
Di Pran. (va ad aprir l’uscio, guarda fuori).
La Tor. Oh! chiudi, chiudi, da bravo!... Cos’abbiamo? Tormento
sempre?
Di Pran. (richiudendo). Nebbia.
La Tor. Meno male che i lupi ci hanno lasciato dormire.
Di Pran. Giù, i Tricolori si avanzano e i lupi scappano. Ci stanno
addosso oramai.
La Tor. Cospetto! s’è visto ieri... (si alza). Facciam colazione? (va a
prendere il pane e la brocca e li porta vicino al fuoco).
Di Pran. Ci sarà ancora del formaggio? Spero.
La Tor. Neanche una briciola.
Di Pran. E chi l’ha finito?
La Tor. S’è finito da sè. (Mettendosi a cavalcioni sulla panca e
cominciando ad affettare il pane). Bermond?...
Vitt. Grazie, più tardi.
La Tor. D’Aldengo?...
Carlo. (Rifiuta col gesto).
La Tor. (mangiando di voglia). Pranero, pensa un po’: due belle tazze
di cioccolatte caldo, spumante... alcune fette di prosciutto...
Di Pran. Non seccare, non seccare.
La Tor. Bella campagna, eh! Nessuno certo ha mai osato attendare
un esercito in luoghi come questi, e mantenervelo per tutta
l’invernata.
Di Pran. No, non si trovano esempi, neanche nelle storie più antiche.
La Tor. Doveva toccare a noi, ecco!
Di Pran. Per star appena bene, ci vorrebbero muraglie, invetriate,
stufe, tutto in regola.
La Tor. E vino, vino, vino...
Di Pran. Vino, caffè, liquori...
La Tor. E invece manca anche il necessario.
Vitt. (che sta prendendo misure sur una carta topografica, notandole
poi sopra un taccuino). I soldati stanno peggio di noi.
Di Pran. (tra’ denti). I soldati sono soldati.
Vitt. Dormono entro baracche sconnesse, sotto tenda stracciate, in
cui penetrano la nebbia e la neve; sempre in lotta col vento che
spegne i loro fuochi; col gelo che spella le mani; mal nutriti, mal
vestiti...
La Tor. Mal guidati.
Vitt. (severo). Non l’ho detto.
La Tor. (piano). Lo dico io.
Vitt. Soffrono, si battono, e non si lagnano mai.
Di Pran. (brontolando). Se almeno ci lasciassero tentar qualche
cosa... Ma no! Allo stato generale si discutono i piani, e l’esercito
aspetta.
La Tor. Quei signori sono al caldo, vedi, stanno bene; cosa vuoi che
lor importi di noi?... (riporta a posto il pane e la brocca).
Vitt. (imponendo quasi il silenzio). Basta! Tacere e ubbidire. Contro
mala fortuna, cuor fermo.
La Tor. Intanto noi siamo di pattuglia (cingendo la spada). Siam di
pattuglia, mio caro Pranero!
Vitt. Pattuglia di scoperta: ordine d’avanzare fin oltre la linea dei
piccoli posti. Potete partir anche più tardi.
La Tor. Bene (disponendosi a uscire). Faccio un giro pel campo e vi
porto le nuove.
Di Pran. T’aspetto qui, io.
La Tor. Bravo. E prepara quel che occorre. (Via).
Carlo (si alza e va a seder davanti al fuoco).
Di Pran. (cerca intorno e sulla tavola).
Vitt. (a Di Pranero). Che vuoi?
Di Pran. Scusa... La borraccia?

You might also like