Runner: Matilde Gioli come Tom Cruise? Intervista al regista del film Nicola Barnaba
Unico film italiano in concorso al Noir in Festival 2023, Runner è un adrenalinico thriller con protagonisti Matilde Gioli e Francesco Montanari che arriverà prossimamente nelle nostre sale. Abbiamo intervistato in regista Nicola Barnaba.
Come accade in un thriller hitchcockiano, e probabilmente anche nella vita, ci sono personaggi (o persone) che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato, e a quel punto si giocano il tutto per tutto per dimostrare che non hanno fatto niente e per sfuggire o alla giustizia o al vero colpevole o alle autorità. È un escamotage narrativo che funziona quasi sempre e crea immediatamente nello spettatore un legame con l'innocente ritenuto colpevole e una curiosità, o meglio una necessità di seguire le sue disavventure per scoprire se riuscirà a cavarsela oppure no. Succede nel film di Nicola Barnaba Runner, che è stato presentato in anteprima al Noir in Festival 2023 ed è l'unico italiano della sezione Concorso Internazionale.
Runner è prodotto da Camaleo, distribuito da Plaion Pictures e interpretato da due attori molto amati sia dal pubblico televisivo che da quello cinematografico. Parliamo di Matilde Gioli, che per noi è Giulia Giordano di DOC - Nelle tue mani, e Francesco Montanari, alias Il Libanese di Romanzo Criminale - La Serie. Di loro ci ha parlato il regista, a cui abbiamo chiesto innanzitutto il perché della scelta di rispettare le tre unità aristoteliche (tempo, luogo e azione). La vicenda si svolge infatti in tempo reale in un albergo isolato e ruota intorno al tentativo di una giovane donna che fa la runner sul set di un film di dimostrare che non è stata lei ad accoltellare l'attrice protagonista: "Credo che ormai la narrazione, qualunque essa sia, vada sostanzialmente per archetipi" - risponde Nicola Barnaba - "quindi hai delle cose a cui ti riferisci che sono già state raccontate. Una delle mie storie preferite appartiene al cinema di John Carpenter, in cui molto spesso il personaggio principale si trova in una situazione più grande di lui e deve riuscire a inventarsi qualcosa per tirarsi fuori dai guai. La mia base di partenza è più o meno questa e ovviamente è un po’ 'antica', e quindi, visto che siamo ormai in tempi di social e io stesso, quando vado su TikTok e YouTube, se non vengo catturato da quello che sto guardando entro 10 secondi passo avanti, ho pensato di modernizzare un po’ il ritmo e di cercare di dare un vestito nuovo a una situazione che nuova non è. Però il cinema è così, ormai le storie sono state narrate tutte, e tutto dipende da come le narri".
A rendere mosso il ritmo del racconto è anche un montaggio incalzante che non lascia nulla al caso…
Grazie del complimento. Vede, io nasco montatore, e quindi già in fase di scrittura immagino cosa devo girare per quello che mi serve montare, quindi mi organizzo mentalmente. Cerco di evitare di avere troppe certezze, perché le certezze sono il nemico più temibile che si possa avere sul set, perché quando arrivi c'è sempre qualcosa che non quadra: una finestra non è al posto giusto, hanno cambiato la location all'ultimo momento, gli scenografi non hanno finito il lavoro, eccetera. Insomma ci si trova costantemente di fronte a piccoli imprevisti che costringono a trovare una soluzione sul momento, e chiaramente uno, mentre gira e cerca le soluzioni, si appoggia anche all'idea di montaggio che verrà dopo. Questo film non volevo montarlo io, così ho chiamato un montatore per mantenere il giusto distacco da quello che stavo facendo, dal momento che si trattava di un film abbastanza impegnativo".
In un piano sequenza abbastanza all'inizio del film, un attore insiste per portare fuori un'attrice, dei ragazzi sgranano gli occhi davanti a due modelle che passano e si voltano per guardarle da dietro e l'addetto alla sicurezza chiede scherzosamente al personaggio di Matilde Gioli di uscire con lui. È una scena in cui gli uomini sono molto insistenti, e quindi ti chiedo: l'hai scritta perché pensi che il nostro non sia un paese per donne?
Il film casualmente capita in un momento in cui questa tematica è molto hot. Se l'ho affrontata è stato perché mi interessava estremizzare certi comportamenti maschili. Però non sono d'accordo con chi dice che il nostro non è un paese per donne. Credo che la vita sia un combattimento e mi piacciono le donne che, come fanno le mie attrici, non soccombono a un'insensata violenza e a una follia distruttiva. La vita è lotta, io sono sempre stato affascinato dalle guerriere: adoro le prime eroine di James Cameron, le varie Ripley e compagnia bella. Mi piacciono le donne combattive.
Come mai hai scelto di ambientare l’intero film in un albergo?
La location si presta molto a una situazione di tensione. D'altronde ci sono grandi maestri che hanno fatto negli alberghi film ben più seri del mio. Poi l'albergo è stato scelto perché mi piaceva molto, però siamo dovuti scendere a parecchi compromessi, perché, anche se la posizione era giusta, il fatto che l'hotel fosse fatto in quel modo ha creato un po’ di problemi, perché sembra un albergo molto grande ma in realtà gli spazi erano davvero piccoli, e questo chiaramente ha aiutato il senso di claustrofobia che andavo cercando per la nostra protagonista, però girare e far entrare in un corridoio largo appena un metro l'attore, l'attrice, la macchina da presa la troupe diventava una missione impossibile. C’era un po' di traffico, diciamo, e il direttore della fotografia ha avuto una grande intuizione: cancellare a modo suo i muri bianchi tipici di un hotel facendo un film quasi pop, molto colorato e molto moderno.
Matilde Gioli è una straordinaria eroina d'azione nel film. La vediamo addirittura fare un salto molto simile a quello per cui Tom Cruise si è rotto la caviglia girando uno dei Mission: Impossible…
Una battuta che girava sul set dopo qualche giorno era che la stunt girl chiamata per fare il suo doppio era venuta in vacanza, perché Matilde ha fatto il 99% delle cose spericolate da sola, compresi un tuffo di notte nella piscina con l'acqua che era quasi a zero gradi e il salto dal terrazzo legata all'idrante in omaggio al buon John McClane di Die Hard. Matilde è un soldato. Parlavo delle donne combattive, ebbene Matilde veramente è una di loro, è un pezzo di ferro. Mi sono trovato molto bene con lei, come persona e come attrice, poi con gli attori e la troupe è nata una piccola famiglia.
E com'è andata con Francesco Montanari? Il suo cattivo è un super cattivo, che però è capace di fare dell'ironia…
È successa una cosa strana, perché il personaggio era ben delineato in sceneggiatura, c'era la sua ironia e c'erano anche altre caratteristiche che sono rimaste tali nel film. Francesco è un attore che segue molto il personaggio e cerca di essere naturale, però Runner non è un thriller classico, per cui abbiamo parlato molto. C'erano delle cose che non gli tornavano e io l’ho lasciato fare. Ho pensato: è un bravissimo attore, per cui mi darà lui qualche idea su come far funzionare il personaggio. A quel punto, improvvisamente, è venuta fuori la sua cattiveria, cosa che prima non era emersa, mentre poi è diventata imprescindibile, Per com'era scritto all’inizio, il personaggio somigliava troppo a un villain hollywoodiano, però poi, proprio grazie a Francesco, è diventato originale e carismatico, un uomo che a volte fa simpatia e nello stesso tempo è un vero bastardo.
Secondo te il cinema amplifica la paura?
Io credo che la scrittura sia molto più forte, nel senso che se io e te leggiamo lo stesso libro, probabilmente io vedo una cosa e tu ne vedi un'altra, e se dobbiamo vedere una cosa che fa paura, ognuno vede la cosa che lo spaventa di più. Quando invece un regista mette in scena una situazione che secondo lui fa paura, probabilmente per noi non è poi così spaventosa. Il problema della maggior parte dei film dell'orrore e dei thriller è che esprimono la visione di una terza persona, che è il regista, e la visione del regista non corrisponde per forza alla tua.
Parlami delle tue paure, reali e cinematografiche…
Da piccolo avevo, come tutti i bambini, un po’ di timore del buio, però il mio mondo era sempre fantastico, ed erano i film a spaventarmi. Ricordo un film intitolato Baby Killer che raccontava la storia di questa specie di 'mostrillo', un bambino nato deforme che faceva cose terribili. Poi ho vissuto a horror per tanto tempo, e mi sono anche un po’ anestetizzato. Devo dire che negli ultimi anni non ho mai visto cose che mi hanno veramente messo paura. Per me il cinema deve dare emozioni, e la gente che va al cinema a vedere un horror vuole essere spaventata e io ci provo, però è diventato difficile. L’ultimo film che mi ha fatto veramente saltare sulla sedia è stato Rec. Andando indietro nel tempo, per me uno dei must assoluti è La cosa di John Carpenter. Sono andato a vederlo al cinema quando è uscito e sono impazzito, tanto che l'ho rivisto quattro volte.
Quando è nata in te la voglia di diventare regista?
Da ragazzino desideravo tantissimo fare cinema, credo dall'età di 6 o 7 anni. Dopo aver visto un Frankenstein alla televisione, alzandomi di notte e andando ad accendere la tv mentre i miei genitori dormivano, è nata la mia passione per il cinema e per il fantastico. La voglia di fare regia, però, mi è venuta dopo aver visto 2 film: Ballata di un soldato e Punto Zero. Mi hanno regalato emozioni talmente forti che è nata in me la necessità di provare a replicarle e magari a trasmetterle ad altri.