Academia.eduAcademia.edu

ALIMENTA 1 2021

2021, ALIMENTA N. 1

N. 1 / 2021 rivista ALIMENTA, fascicolo completo con i seguenti contenuti: Editoriale ALIMENTA, trent'anni dopo di Vito Rubino, Fausto Capelli e Paolo Borghi ​ clicca qui PARTE I SAGGI E APPROFONDIMENTI Diritto La trasparenza nell’analisi del rischio all’interno della filiera alimentare come principio di democrazia Di Fausto Capelli e Giovanni Giangiobbe clicca qui --- ​L’etichettatura nutrizionale front-pack: la «nutrinform battery» italiana e la «nutri-score» francese di Valeria Pullini Biologia Autocontrollo e HACCP: stato dell’arte della semplificazione nell’ambito delle attività di ristorazione commerciale di piccole e medie dimensioni di Maria Ausilia Grassi Chimica Dalla terra alla tavola con i microelementi: la tracciabilità analitica del tartufo bianco » di Maurizio Aceto PARTE II NOTE E COMMENTI Suprema Corte di Cassazione, SS.UU. n. 1914/2021 I. s.p.a. c. V.D. Quale giudice per il biologico: note alla sentenza 1914/2021 resa dalla corte di cassazione, sezioni unite sulla relativa questione di giurisdizione. Prime luci sul nuovo orizzonte della giustiziabilità delle misure esecutive disposte dagli organismi di controllo designati al controllo e certificazione del biologico di Daniele Pisanello Corte di giustizia UE, sentenza del 17 dicembre 2020, causa C-490/19, Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier c. Société Fromagère du Livradois SAS Riprodurre la forma di una DOP: un caso di evocazione o prassi idonea a indurre in errore il consumatore? di M. Terenzi​ PARTE III​ DOCUMENTAZIONE Osservatorio di giurisprudenza alimentare 1/21 a cura di Valeria Amenta, Giovanni Stangoni Nota del Ministero della Salute «Indicazioni per l’esecuzione delle attività di campionamento e analisi di matrici afferenti agli ambiti di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 27 del 2 febbraio 2021 nell’ambito dei controlli ufficiali di cui al regolamento (UE) 2017/625, in relazione alle disposizioni previste dal Decreto legge 22 marzo 2021 n. 42 “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare” pubblicato sulla Serie Generale n.72 della GU del 24 marzo 2021» Nota del Ministero della Salute «Misure straordinarie per la rideterminazione della shelf-life dei prodotti alimentari e congelamento carne fresca» Corsi e convegni Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare, Università del Piemonte Orientale, XII edizione. Libri; Notizie sugli autori

1 2021 ALIMENTA RIVISTA DI DIRITTO E SCIENZE DELL’AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE E AMBIENTE N. 1 - nuovo ciclo Anno I - Maggio 2021 ISSN 2284-3574 fondata da ANTONIO NERI† Diretta da: VITO RUBINO. Condirettori: FAUSTO CAPELLI – PAOLO BORGHI Modalità di pagamento versamento ccp 10543809 intestato a Editoriale Scientifica s.r.l. via San Biagio dei Librai 39, 80138 Napoli oppure bonifico bancario presso Monte dei Paschi di Siena IBAN IT86J 01030 03405 0000 64025962 Registrazione presso il Tribunale di Novara Vg. n. 1191/21 cron. n. 2062/21 R.O.C. n. 1749 Pubblicità inferiore al 45% Rivista trimestrale CONDIZIONI DI ABBONAMENTO 2021 Abbonamento annuo (quattro numeri) per l’Italia: euro 130,00 Abbonamento annuo per l’estero: euro 300,00 Copia singola: euro 35,00 per l’Italia - euro 75,00 per l’estero Singolo articolo online: euro 4,50 Abbonamento online: euro 120,00 ALIMENTA Amministrazione Editoriale Scientifica s.r.l. Via San Biagio dei Librai 39 80138 Napoli Tel. (39) 081.5800459 [email protected] www.editorialescientifica.com Editoriale di Vito Rubino, Fausto Capelli e Paolo Borghi PARTE I SAGGI E APPROFONDIMENTI Riprodurre la forma di una DOP: un caso di evocazione o prassi idonea a indurre in errore il consumatore? di M. Terenzi PARTE III DOCUMENTAZIONE Diritto La trasparenza nell’analisi del rischio all’interno della filiera alimentare come principio di democrazia di Fausto Capelli e Giovanni Giangiobbe L’etichettatura nutrizionale front-pack: la «nutrinform battery» italiana e la «nutri-score» francese di Valeria Pullini Biologia Autocontrollo e HACCP: stato dell’arte della semplificazione nell’ambito delle attività di ristorazione commerciale di piccole e medie dimensioni di Maria Ausilia Grassi Chimica Dalla terra alla tavola con i microelementi: la tracciabilità analitica del tartufo bianco di Maurizio Aceto Osservatorio di giurisprudenza alimentare 1/21 a cura di Valeria Amenta, Giovanni Stangoni Nota del Ministero della Salute «Indicazioni per l’esecuzione delle attività di campionamento e analisi di matrici afferenti agli ambiti di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 27 del 2 febbraio 2021 nell’ambito dei controlli ufficiali di cui al regolamento (UE) 2017/625, in relazione alle disposizioni previste dal Decreto legge 22 marzo 2021 n. 42 “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare” pubblicato sulla Serie Generale n. 72 della GU del 24 marzo 2021» Nota del Ministero della Salute «Misure straordinarie per la rideterminazione della shelf-life dei prodotti alimentari e congelamento carne fresca» Corsi e convegni Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare, Università del Piemonte Orientale, XII edizione PARTE II NOTE E COMMENTI Quale giudice per il biologico: note alla sentenza 1914/2021 resa dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite sulla relativa questione di giurisdizione. Prime luci sul nuovo orizzonte della giustiziabilità delle misure esecutive disposte dagli organismi di controllo designati al controllo e certificazione del biologico di Daniele Pisanello Libri Notizie sugli autori EDITORIALE SCIENTIFICA INDICE Editoriale di Vito Rubino, Fausto Capelli e Paolo Borghi V PARTE I SAGGI E APPROFONDIMENTI Diritto La trasparenza nell’analisi del rischio all’interno della filiera alimentare come principio di democrazia di Fausto Capelli e Giovanni Giangiobbe 1 L’etichettatura nutrizionale front-pack: la «nutrinform battery» italiana e la «nutri-score» francese di Valeria Pullini 33 Biologia Autocontrollo e HACCP: stato dell’arte della semplificazione nell’ambito delle attività di ristorazione commerciale di piccole e medie dimensioni di Maria Ausilia Grassi 51 Chimica Dalla terra alla tavola con i microelementi: la tracciabilità analitica del tartufo bianco di Maurizio Aceto 73 II INDICE PARTE II NOTE E COMMENTI Quale giudice per il biologico: note alla sentenza 1914/2021 resa dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite sulla relativa questione di giurisdizione. Prime luci sul nuovo orizzonte della giustiziabilità delle misure esecutive disposte dagli organismi di controllo designati al controllo e certificazione del biologico 109 di Daniele Pisanello Riprodurre la forma di una DOP: un caso di evocazione o prassi idonea a indurre in errore il consumatore? 147 di Martina Terenzi PARTE III DOCUMENTAZIONE Osservatorio di giurisprudenza alimentare 1/21 a cura di Valeria Amenta, Giovanni Stangoni 163 Nota del Ministero della Salute «Indicazioni per l’esecuzione delle attività di campionamento e analisi di matrici afferenti agli ambiti di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 27 del 2 febbraio 2021 nell’ambito dei controlli ufficiali di cui al regolamento (UE) 2017/625, in relazione alle disposizioni previste dal Decreto legge 22 marzo 2021 n. 42 “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare” pubblicato sulla Serie Generale n. 72 della GU del 24 marzo 2021» 183 Nota del Ministero della Salute «Misure straordinarie per la rideterminazione della shelf-life dei prodotti alimentari e congelamento carne fresca» 187 INDICE III Corsi e convegni Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare, Università del Piemonte Orientale, XII edizione 189 Libri 191 Notizie sugli autori 193 EDITORIALE ALIMENTA, TRENT’ANNI DOPO Nel Maggio del 1993 Antonio Neri firmava il primo di una lunga serie di “editoriali” della neonata rivista ALIMENTA. Presentandola ai lettori, con la chiarezza che lo contraddistingueva, indicò immediatamente e in poche parole, il senso di quella iniziativa: «costituire un tramite ideale di collegamento fra gli addetti ai lavori, cioè fra tutti coloro che, nell’ambito delle diverse discipline, si applicano al controllo della produzione alimentare». Iniziava, così, un’avventura editoriale durata quasi trent’anni, che ha accompagnato la formazione e l’aggiornamento di più di una generazione di studiosi e operatori del settore, animando dibattiti, sollevando questioni di metodo e di merito di grandissima importanza teorica e pratica nonché documentando alcune delle più significative trasformazioni del diritto alimentare nazionale ed europeo degli ultimi decenni. Quando, nel 2018, Antonio Neri ha preso commiato dai propri lettori, la Comunità Scientifica imprenditoriale e professionale della materia ha subito avvertito il “vuoto” lasciato da uno strumento così prezioso e versatile come ALIMENTA. La Rivista rappresentava, infatti, un unicum nel panorama scientifico-editoriale italiano, essendo capace di coniugare, al contempo, le esigenze di sintesi legate a un aggiornamento professionale veloce a quelle di riflessione e approfondimento proprie del dibattito accademico, nonché di tenere assieme approcci apparentemente così diversi come quelli delle scienze giuridiche alimentari e quelli delle altre “scienze” riferite all’alimentazione (biologiche, chimiche, farmaceutiche etc.). È così che, su sollecitazione di alcuni imprenditori e diversi amici di Antonio, abbiamo pensato di raccoglierne il testimone e continuare la sua “opera” al fianco di quanti sono impegnati quotidianamente sui diversi “fronti” dell’agroalimentare. Cinque atenei italiani e un considerevole gruppo di accademici, professionisti, funzionari pubblici e stakeholders privati hanno dato vita a un Centro Studi (CeDiSA – Centro Studi sul Diritto e le VI ALIMENTA Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente) che supporterà la rivista ispirandosi proprio a quel “dialogo fra le scienze” che il suo fondatore aveva così efficacemente perseguito. La nuova Rivista ALIMENTA avrà, nel suo secondo ciclo di vita, una impostazione simile a quella datale da Antonio Neri, con qualche “novità”. Sarà, infatti, come per il passato, divisa in tre “parti”, rispettivamente dedicate a saggi e studi approfonditi (parte I), note a sentenza e commenti brevi (parte II), nonché “documentazione” (parte III, ove, fra l’altro, troverà spazio un osservatorio di giurisprudenza e prassi agroalimentare). Il nuovo campo d’azione sarà però più ampio: partiremo, infatti, dall’agricoltura, perché crediamo che l’intera struttura della filiera alimentare derivi e dipenda dal prodotto agricolo che si colloca alla sua base. Includeremo, poi, anche l’ambiente, perché siamo convinti che il futuro della nostra materia dovrà contemplare un approccio sempre più integrato di queste dimensioni, a partire dalla grande sfida della sostenibilità che ci attende. L’attendibilità dei contenuti che pubblicheremo sarà garantita da un sistema di referaggio cieco di tutti i contributi destinati alle diverse sezioni, cosicché ALIMENTA potrà continuare ad essere intesa come un punto di riferimento per un’analisi approfondita dei problemi giuridici e tecnici nelle materie alimentari. Speriamo, in tal modo, di rendere un buon servizio a chi ci legge e contribuire anche per il futuro all’edificazione di quel sapere comune fatto di esperienza pratica ed elaborazione teorica che Antonio Neri, da “antesignano”, così efficacemente era riuscito con successo a realizzare nella sua opera. Siamo grati a chi ci ha infuso coraggio nell’affrontare questa non semplice sfida, ed ha assicurato il proprio sostegno per garantire alla nuova Rivista buone prospettive di sviluppo. Come Antonio nel 1993, anche noi oggi, dunque, «confidiamo nei nostri amici e colleghi, gli “addetti ai lavori”, appunto» per dare alla rivista ricchezza di contenuti, adeguato apprezzamento e ancora lunga vita futura! Vito Rubino, Fausto Capelli, Paolo Borghi PARTE I SAGGI E APPROFONDIMENTI       ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO ALL’INTERNO DELLA FILIERA ALIMENTARE COME PRINCIPIO DI DEMOCRAZIA Sommario: 1. Considerazioni introduttive – 1.1. Osservazioni preliminari – 1.2. Indicazioni iniziali – 2. La trasparenza come diritto dei cittadini dell’Unione europea – 3. La trasparenza nella legislazione alimentare dell’Unione europea: dalla Direttiva 93/43/CEE al Regolamento (UE) 2019/1381 – 3.1. La trasparenza nella struttura e nelle attività delle imprese alimentari – 3.2. La trasparenza nella comunicazione ai consumatori e al mercato – 3.3. La trasparenza come canone sistemico della Food Safety: il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare – 3.4. La trasparenza come forma di governo della Food Safety: il Regolamento (CE) n. 178/2002 – 3.5. La trasparenza dell’informazione al consumatore di alimenti: il Regolamento (UE) n. 1169/2011 – 3.6. La trasparenza dei controlli ufficiali: il Regolamento (UE) 2017/625 – 3.7. La vicenda del glifosato: la riflessione sull’analisi del rischio – 3.8. La trasparenza e la sostenibilità dell’analisi del rischio nella filiera alimentare: il Regolamento (UE) 2019/1381 – 4. Le riforme istituzionali e procedurali introdotte dal Regolamento (UE) 2019/1381 – 4.1. Efficacia e trasparenza della comunicazione del rischio: sviluppare nuove strategie di comunicazione del rischio – 4.2. Sostenibilità e governance dell’EFSA: rafforzare le competenze e la politica di indipendenza dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) – 4.3. La trasparenza nella valutazione del rischio: la priorità alla partecipazione del pubblico e delle parti interessate al processo di valutazione del rischio – 4.4. Tutela del consumatore di alimenti e degli interessi commerciali de-gli operatori economici a confronto – 4.5. Gli studi scientifici supplementari di verifica e l’implementazione di esperti scientifici indipendenti. – 5. Valutazioni finali e conclusive. 1. Considerazioni introduttive. 1.1. Osservazioni preliminari. Pochi si sono finora resi conto, pur tra gli esperti del settore, 2 ALIMENTA dello straordinario impatto esercitato dalla normativa europea in materia alimentare sull’evoluzione delle disposizioni che hanno attinenza con i principi fondamentali e con le norme che regolano il sistema democratico vigente nei Paesi membri dell’Unione Europea. Sulla base del Regolamento (CE) n. 178/20021, che ha assoggettato per la prima volta l’intero settore alimentare ad una disciplina uniforme applicabile in tutti i predetti Paesi, l’Unione Europea ha in seguito introdotto nuove regole comuni, in sostituzione di quelle in vigore nei singoli Paesi membri, che hanno avuto un’incidenza determinante sui meccanismi posti a tutela degli interessi e dei diritti dei consumatori e, quindi, della generalità dei cittadini. Soltanto gli effetti prodotti dalla normativa sulla tutela dell’ambiente, sempre di origine europea, potrebbero essere comparati a quelli procurati, alla collettività, dalla legislazione alimentare adottata dall’Unione Europea. Per avere un’idea della rilevanza delle modifiche introdotte dalla normativa alimentare europea, è sufficiente far riferimento ai cambiamenti disposti in materia di controlli per garantire la sicurezza alimentare il cui sistema, basato su criteri del tutto nuovi, aveva consentito di realizzare risultati veramente straordinari, soprattutto in Italia, Paese nel quale il sistema precedentemente praticato, risalente agli anni ‘80 del secolo scorso, aveva invece fornito pessimi risultati con conseguenze commerciali disastrose. Nel 1986, come è noto, a seguito del famigerato caso del metanolo nel vino2, il settore alimentare italiano è stato gravemente danneggiato e, in particolare, è stato rovinosamente colpito il 1 Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, in GUUE, L 31 del 01 febbraio 2002. 2 Si è trattato dell’immissione fraudolenta di metanolo nel vino per aumentarne la gradazione alcolica. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 3 commercio di esportazione di tutti i nostri prodotti alimentari, perché gli acquirenti esteri rifiutavano i prodotti italiani avendo perso fiducia nell’efficacia dei sistemi di controllo praticati in Italia3. Come tutti hanno potuto constatare, la situazione si è completamente ribaltata, agli inizi degli anni Novanta, grazie all’applicazione della normativa europea che ha introdotto nel settore alimentare un sistema di controlli totalmente diverso da quello in precedenza praticato. La soluzione adottata, che ha reso possibile il successo del sistema di controllo europeo, è stata quella di abbinare ai controlli interni (HACCP), imposti obbligatoriamente per legge ad ogni impresa di produzione, di distribuzione e di somministrazione dei prodotti alimentari, i controlli esterni affidati all’autorità pubblica incaricata di eseguire i controlli ufficiali per la tutela della sicurezza alimentare. Il segreto del successo di questo sistema di controlli è stato rivelato subito dal fatto che il controllore interno, come dipendente dell’impresa assoggettata ai controlli e personalmente responsabile sotto il profilo civile, penale ed amministrativo di fronte alla legge, si sentiva in dovere di effettuare con accuratezza i controlli prescritti per non incorrere in violazioni e sanzioni4. A sua volta, il controllore esterno, funzionario dell’autorità pubblica di controllo incaricato di eseguire i controlli ufficiali, si sentiva in dovere di controllare innanzitutto l’attività svolta dal controllore interno, verificandone l’operato, prima di eseguire le normali ispezioni di controllo alle quali era obbligatoriamente tenuto. Tale sistema ha fornito risultati che possiamo definire eccezionali perché, oltre a garantire la sicurezza dei prodotti alimentari sotto il profilo sanitario, è stato anche in grado di garantirne la qualità, consentendo ai prodotti alimentari italiani di raggiungere i 3 I sistemi di controllo precedentemente in vigore erano basati soltanto sul sistema di campionamento praticato dall’autorità pubblica. 4 Sussisteva quindi un’assunzione diretta e consapevole di responsabilità. 4 ALIMENTA livelli qualitativi di eccellenza che i consumatori di tutto il mondo ora apprezzano. Nel corso del tempo, come già accennato, è stato possibile illustrare questi risultati in numerosi scritti5 discutendoli in seminari dedicati a tecnici e specialisti del settore6. La convinzione circa la notevole efficacia del sistema europeo dei controlli basato sull’abbinamento predetto, tra controlli interni ed esterni, che nell’Unione Europea viene anche applicato nel settore della tutela dell’ambiente e in quello della tutela del lavoratore sul luogo di lavoro, ha consentito di riflettere sui vantaggi che tale sistema di controllo avrebbe potuto procurare se fosse stato applicato all’impiego del pubblico denaro anche nel settore degli appalti pubblici e nell’attività amministrativa degli enti pubblici (Comu5 Sui prodotti agroalimentari di qualità si vedano F. CAPELLI, La protezione giuridica dei prodotti agro-alimentari di qualità e tipici in Italia e nell’Unione europea, DCSCI, 2001, p. 177; IDEM, La Corte di giustizia, in via interpretativa, attribuisce all’Unione Europea una competenza esclusiva in materia di riconoscimento delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette, riferite ai prodotti agroalimentari, mediante la sentenza Bud II motivata in modo affrettato, contraddittorio e per nulla convincente, ibidem, 2010, p. 401; IDEM, La giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di qualità dei prodotti alimentari, ibidem, 2010, p. 339; IDEM, Tutela della qualità dei prodotti agroalimentari sotto il profilo giuridico: riflessioni sulla riforma della disciplina dell’Unione Europea, ibidem, 2011, p. 789; IDEM, Indicazioni aggiuntive sulle caratteristiche dei prodotti agroalimentari di qualità e tutela dei consumatori secondo la normativa europea e alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, ibidem, 2012, p. 197; IDEM, Il Regolamento (UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agro-alimentari: luci ed ombre, in DCSCI, 2013, p. 515. V., inoltre, F. CAPELLI, Valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità e loro tutela contro le pratiche commerciali scorrette e pregiudizievoli, in Alimenta, 2017, n. 9, p. 185 nonché IDEM, La tutela dei prodotti agroalimentari di qualità in Italia e in Europa Un’evoluzione giuridica di successo, Raccolta di scritti in materia di diritto alimentare, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018. 6 Numerosi ed interessanti seminari, come già ricordato, sono stati organizzati a partire dal 1994 dall’IFNE, Istituto di Formazione del Nord-Est, che si è avvalso della collaborazione di specialisti e tecnici del settore alimentare. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 5 ni, Province, Regioni) nonché nella stessa attività della Pubblica Amministrazione. Vista però la difficoltà di applicare questo sistema di controlli nel settore dell’amministrazione pubblica, si era da tempo pensato di proporre, per questo settore, l’affidamento dei controlli interni a controllori provenienti dalla società civile (Terzo Settore)7. Si trattava ovviamente di una proposta assai innovativa e molto difficile da far accogliere8. 7 Cfr. F. CAPELLI, Un percorso tra etica e trasparenza per riformare la democrazia in Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2020, pp. 66-68 e 94-95. Tra questi controllori, i cui nomi potrebbero essere inseriti in una rosa selezionata di esperti, potrebbero essere scelti, anche per estrazione a sorte, quelli ai quali affidare, di volta in volta, l’incarico di eseguire i controlli. 8 A nostro avviso, questa tecnica di controllo sull’impiego del pubblico denaro esercitata da controllori indipendenti, nominati dalla Società civile, in rappresentanza degli interessi della generalità dei cittadini, la cui funzione avrebbe dovuto essere resa nota in modo ufficiale e pubblicizzata con tutti i mezzi di diffusione possibili, avrebbe avuto l’effetto, da un lato, di rendere coscienti i controllori dell’enorme importanza della funzione da essi svolta per il bene del Paese e, dall’altro lato, di mettere tutti coloro tenuti ad osservare le regole imposte dalle procedure (appaltatori privati, funzionari pubblici, controllori interni, controllori esterni etc.), in condizione di effettuare il proprio lavoro in modo ineccepibile, dovendo operare in piena trasparenza sotto il controllo dell’opinione pubblica. L’accoglimento di una proposta siffatta poteva lanciare un segnale decisivo di un nuovo indirizzo veramente democratico intrapreso dal nostro Paese nel senso che il popolo poteva veramente partecipare, direttamente ed efficacemente, al controllo su importanti attività del proprio Stato perché, tramite i suoi rappresentanti da esso direttamente designati, era in grado di vigilare in modo preciso sull’impiego del denaro dei contribuenti. Sarebbe stata, in effetti, la prima volta che in modo diretto i rappresentanti del popolo (Società civile) arrivavano a svolgere una funzione di tale rilevanza. Si sarebbe trattato di una forma di esercizio effettivo della sovranità popolare che in Italia non è mai stata riconosciuta se non a parole. In sostanza, questa forma di controllo avrebbe trasformato il sistema democratico rappresentativo in una sorta di “democrazia certificata”, vale a dire una democrazia controllata dai rappresentanti della generalità dei cittadini quali legittimi titolari, in senso effettivo, della sovranità popolare. Cfr. CAPELLI, op. ult. cit., pp. 342-343. 6 ALIMENTA Ma il diritto alimentare europeo ha riservato una notevole sorpresa anche a questo riguardo. Infatti, l’ulteriore decisivo apporto migliorativo dei meccanismi applicabili nel settore alimentare, che viene ora fornito dal nuovo Regolamento (UE) 2019/13819, appena entrato in vigore in tutti i Paesi dell’Unione Europea, costituisce la prova più evidente dell’indirizzo seguito dall’Unione Europea per rendere possibile il coinvolgimento della società civile (Terzo Settore) nell’attività pubblica, nonché il perfezionamento e il potenziamento dell’ordinamento giuridico sul quale si fonda il sistema democratico europeo. Come verrà in prosieguo diffusamente descritto e commentato, il nuovo Regolamento (UE) 2019/1381 pone la trasparenza e il diritto del consumatore alla trasparenza, come principio fondamentale alla base di ogni attività di comunicazione sia pubblica, sia privata, con lo scopo di rendere pienamente edotti i consumatori e, quindi, la generalità dei cittadini, di tutto quello che li riguarda sotto il profilo alimentare. Orbene, partendo nuovamente da un principio che deriva dalla normativa alimentare europea, l’applicazione sistematica del diritto alla trasparenza finirà per costituire un potente incentivo per migliorare i meccanismi di funzionamento del nostro sistema democratico a vantaggio della collettività anche in altri settori di rilevante interesse generale. 1.2. Indicazioni iniziali. Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 6 settembre 2019 è stato pubblicato il Regolamento (UE) 2019/1381 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla trasparenza e alla sostenibilità dell’analisi del rischio nella legislazione dell’Unione Europea con riferimento alla filiera alimentare. 9 Regolamento (UE) 2019/1381 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativo alla trasparenza e alla sostenibilità dell’analisi del rischio dell’Unione nella filiera alimentare, in GUUE, L 231 del 06/09/2019, pp. 1 ss. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 7 Esso introduce importanti novità sui principi e sulle procedure della legislazione alimentare con l’obiettivo di implementare e meglio definire le norme in materia di trasparenza, rafforzare le competenze e la politica di indipendenza dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e sviluppare nuove strategie di comunicazione del rischio. La necessità di intervenire su quello che, a ragione, possiamo considerare la colonna portante del diritto agroalimentare europeo, ossia il Regolamento (CE) n. 178/2002, è nata da quel processo di revisione, il REFIT Evaluation (Regulatory Fitness and Perfomance Programme)10, della politica alimentare dell’Unione Europea, che ha messo a nudo la scarsa efficacia di alcuni meccanismi su cui si basa il modello dell’analisi del rischio. Le differenze nell’attuazione del Regolamento (CE) n. 178/2002 a livello degli Stati membri e le conseguenti condizioni di disparità generate a carico delle imprese, la percezione da parte dei cittadini dell’Unione di una mancata trasparenza nel processo di analisi del rischio, la consapevolezza di una scarsa efficacia della comunicazione del rischio e il rilievo di alcune criticità in seno alla governance dell’EFSA hanno imposto la necessità di introdurre modifiche al quadro giuridico in vigore. Le complesse e articolate vicende che hanno accompagnato le procedure di autorizzazione relative agli OGM11 e al glifosato hanno infatti generato nell’opinione pubblica la sensazione diffusa di 10 https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2017/595906/EPRS_ IDA(2017)595906_EN.pdf, (ultimo accesso il 23/04/2021). 11 F. CAPELLI, B. KLAUS, B. e V. SILANO, Nuova Disciplina del Settore Alimentare e Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 243251. Sotto il profilo scientifico, gli OGM possono essere definiti come «organismi e microrganismi il cui materiale genetico (DNA) è stato trasformato senza moltiplicazione o ricombinazione naturale e quindi in maniera diversa da quanto si verifica in natura». La categoria degli alimenti geneticamente modificati comprende «gli OGM destinati all’alimentazione umana, gli alimenti che contengono o sono costituiti da OGM, gli alimenti che sono prodotti a partire da OGM o che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM». 8 ALIMENTA un’informazione (in materia di rischi alimentari) non sempre trasparente, sia da parte delle autorità pubbliche che delle imprese, e di una mancanza di neutralità dei responsabili della valutazione del rischio, mettendo quindi a dura prova la fiducia dei cittadini e dei portatori di interessi nella validità dell’approccio dell’Unione Europea alla Food Safety 12 e, in particolare, nella correttezza dell’analisi del rischio posta a suo fondamento. Rafforzare la trasparenza dell’analisi del rischio avrebbe pertanto accresciuto la fiducia nei metodi di analisi del rischio alimentare da parte dei consumatori e degli operatori della filiera agroalimentare, garantendo, in tal modo, anche la stabilità del mercato. 2. La trasparenza come diritto dei cittadini dell’Unione Europea. Il diritto alla trasparenza, inteso come diritto dei cittadini dell’Unione Europea a partecipare al processo decisionale, viene sancito nel Trattato sull’Unione Europea, il cui articolo 1 auspica che “le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”13 e diviene dunque fattore propulsivo di questa nuova forma di regolazione in materia di sicurezza alimentare. La trasparenza nel diritto agroalimentare europeo assume distinte declinazioni che investono contemporaneamente soggetti 12 F. CAPELLI, La Sicurezza Alimentare nell’Unione Europea e in Italia, in F.CAPELLI, La Tutela dei Prodotti Agroalimentari di Qualità in Italia e in Europa, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, pp. 412-413. Nel diritto europeo, l’espressione “sicurezza alimentare” rimanda a due diversi concetti: quello di Food Safety e quello di Food Security. Il primo fa riferimento alla sicurezza degli alimenti da un punto di vista igienico-sanitario, intesa quale assenza di fattori esogeni all’alimento suscettibili di comportare un pericolo fisico o biologico. Il secondo si riferisce invece alla «certezza degli approvvigionamenti alimentari, intesa come regolarità, continuità, adeguatezza e stabilità dei medesimi». 13 F. CAPELLI, B. KLAUS, V. SILANO, Nuova Disciplina del Settore Alimentare e Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, cit., p. 128. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 9 pubblici e privati e sono finalizzate a rispondere ad una sempre crescente domanda di conoscenza da parte dei cittadini dell’Unione. In queste distinte, ma comunque sempre convergenti declinazioni, la trasparenza diventa pertanto principio ispiratore della regolazione, della governance e delle attività operative delle istituzioni. Trasparente deve essere in effetti l’attività delle imprese alimentari e trasparenza ci deve essere nella comunicazione e nell’informazione al consumatore, nel mercato e nelle relazioni commerciali. 3. La trasparenza nella legislazione alimentare dell’Unione Europea: dalla Direttiva 93/43/CEE al Regolamento (UE) 2019/1381. Il Regolamento (UE) 2019/1381 rappresenta il perfezionamento di un lungo percorso legislativo all’interno del quale la condivisione della conoscenza è stata più volte chiamata in causa quale garanzia della politica di sicurezza alimentare dell’Unione. 3.1. La trasparenza nella struttura e nelle attività delle imprese alimentari. Già a partire dal 1993, la Direttiva 93/43/CEE14 relativa al sistema HACCP15 (Hazard Analysis Critical Control Point) sull’igiene 14 Direttiva 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, sull’igiene dei prodotti alimentari”, in GUUE, L 175 del 19/07/1993, p. 1. 15 L. COSTATO, P. BORGHI, S. RIZZIOLI, V. PAGANIZZA e L. SALVI, Compendio di Diritto Alimentare, Padova, CEDAM, 2019, pp. 132-135. Il sistema HACCP costituisce uno dei metodi più efficaci per limitare i fenomeni di intossicazione di origine alimentare. La realizzazione di questo sistema si basa sostanzialmente sul principio di precauzione. A differenza del controllo di qualità, dove le ispezioni sui prodotti finali sono eseguite a campione, e quindi in maniera non sistematica, il metodo HACCP 10 ALIMENTA dei prodotti alimentari, chiama i produttori di alimenti ad essere trasparenti nell’ambito delle loro attività16. La Direttiva, introducendo il principio dell’analisi e del controllo sui punti critici, ha conferito rilevanza giuridica al controllo interno sulle imprese alimentari, responsabilizzando l’impresa non solo in relazione ai possibili danni, ma anche per quanto concerne gli aspetti organizzativi e sottolineando l’importanza di una comunicazione interna ed esterna all’impresa alimentare espressa e consapevole come oggetto di garanzia. «Analizzate ciò che fate, dichiarate e documentate» è il motto che sintetizza l’introduzione dell’innovativo sistema HACCP e che evoca chiaramente la trasparenza nell’attività degli operatori alimentari. In questo caso, tuttavia, il paradigma della trasparenza non investe ancora la comunicazione e l’informazione del consumatore, bensì si pone solo come condizione per legittimare la fiducia dei consumatori nei confronti dell’impresa alimentare. 3.2. La trasparenza nella comunicazione ai consumatori e al mercato. Solo più tardi, con la crisi dell’Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE), la trasparenza, nelle sue varie declinazioni, entra a pieno titolo nel diritto agroalimentare europeo quando, con il Regolamento (CE) n. 820/97, relativo all’istituzione di un sistema di identificazione e di registrazione dei bovini e all’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di esse, la trasparenza assume la duplice veste di trasparenza interna alla catena alimentare e di trasparenza esterna rivolta ai consumatori e al mercato17. studia il prodotto e il suo processo di produzione, ne analizza i punti critici e stabilisce le procedure di monitoraggio e controllo lungo tutta la filiera produttiva. 16 F. ALBISINNI, Trasparenza e scienze della vita nella codificazione europea, in Riv. dir. al., 3, 2019, pp. 32-53. 17 Regolamento (CE) n. 820/97 del Consiglio del 21 aprile 1997 che istituisce un si- LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 11 Il considerando 1 afferma infatti: «considerando che il mercato delle carni bovine e dei prodotti a base di carni è stato destabilizzato dalla crisi dell’encefalopatia spongiforme bovina; che è pertanto necessario ripristinare la stabilità del mercato; che questo obiettivo può essere realizzato nel modo più efficace migliorando la trasparenza delle condizioni di produzione e di commercializzazione dei prodotti in questione, in particolare per quanto attiene alla rintracciabilità»18. Un più efficace sistema di identificazione e di registrazione dei bovini nella fase di produzione ed uno specifico sistema comunitario di etichettatura della carne diventano dunque presupposti necessari per una maggiore fiducia dei consumatori nella qualità e nella sicurezza delle carni bovine. Per merito delle garanzie fornite da tale miglioramento, saranno soddisfatte esigenze di interesse generale, quali la tutela della sanità pubblica e della salute degli animali e, di conseguenza, i consumatori saranno incoraggiati ad aver maggior fiducia nella qualità delle carni bovine. 3.3. La trasparenza come canone sistemico della Food Safety: il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare. Nel Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, la Commissione conferma che «una maggiore trasparenza a tutti i livelli della politica di sicurezza alimentare è il filo conduttore dell’intero Libro Bianco e contribuirà in modo fondamentale ad accrescere la fiducia dei consumatori nella politica di sicurezza alimentare dell’UE»19 e, in relazione all’operato della futura Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), avverte la necessità di un’apertura al pubblico dei risultati e dei processi messi in atto per stema di identificazione e di registrazione dei bovini e relativo all’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, in GUUE, L 117 del 07/05/1997. 18 Cfr. considerando n. 1, Regolamento (CE) n. 820/97. 19 Commissione Europea, Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, Bruxelles, 12/01/2000, p. 43. 12 ALIMENTA raggiungerli, a garanzia di quel diritto fondamentale di accesso dei cittadini alle informazioni. La trasparenza come strumento finalizzato a dare una risposta alla sfiducia dei cittadini conseguente alla crisi della BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy) diventa quindi, con il Libro Bianco, canone di orientamento della disciplina in materia di Food Safety. L’Unione Europea è così chiamata, in risposta all’allarme dei cittadini sulla sicurezza alimentare, a ristabilire, per il tramite di un’informazione trasparente, la fiducia del pubblico nei suoi approvvigionamenti alimentari, nella sua scienza degli alimenti, nella sua normativa e nei suoi controlli degli alimenti20. 3.4. La trasparenza come forma di governo della Food Safety: il Regolamento (CE) n. 178/2002. Quanto affermato nel Libro Bianco si concretizza più tardi con il Regolamento (CE) n. 178/2002 che, già nell’introduzione, afferma il principio secondo cui la fiducia del pubblico rappresenta il filo conduttore delle scelte normative adottate. È necessario pertanto impostare la politica legislativa in materia di Food Safety in termini di risposta all’opinione pubblica, sempre più esigente per quanto concerne l’informazione trasparente. Infatti, nel considerando 9 del Regolamento (CE) n. 178/2002 viene riconosciuta la necessità di garantire la trasparenza nel settore alimentare affinché i consumatori, ma anche gli altri soggetti interessati e le controparti commerciali “abbiano fiducia nei processi decisionali alla base della legislazione alimentare, nel suo fondamento scientifico e nella struttura e nell’indipendenza delle istituzioni che tutelano la salute e altri interessi”21. La trasparenza diviene quindi funzionale alla fiducia degli utenti dei prodotti alimentari immessi sul mercato e la stessa risulta 20 I. CANFORA, Sicurezza alimentare e nuovi assetti delle responsabilità di filiera, Riv. dir. al., 4, 2019, pp. 1-7. 21 Cfr. considerando n. 9, Regolamento (CE) n. 178/2002. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 13 ulteriormente rafforzata da un adeguato fondamento scientifico delle scelte normative e dall’indipendenza delle istituzioni che le adottano. Nell’art. 9 dello stesso Regolamento, viene infatti stabilito che la Commissione, prima di formulare una nuova proposta legislativa, deve consultare in maniera aperta e trasparente i cittadini e i portatori di interessi, siano essi comitati di esperti del settore, esperti privati, o amministrazioni pubbliche22. A seguire, nell’art. 10, si esplicita che «fatte salve le pertinenti disposizioni comunitarie e degli Stati membri sull’accesso ai documenti, nel caso in cui vi siano ragionevoli motivi per sospettare che un alimento o mangime possa comportare un rischio per la salute umana o animale, in funzione della natura, della gravità e dell’entità del rischio, le autorità pubbliche adottano provvedimenti opportuni per informare i cittadini della natura del rischio per la salute, identificando nel modo più esauriente l’alimento o mangime o il tipo di alimento o di mangime, il rischio che può comportare e le misure adottate o in procinto di essere adottate per prevenire, contenere o eliminare tale rischio»23. Nel Regolamento (CE) n. 178/2002 la trasparenza è declinata anche negli articoli relativi ai compiti dell’EFSA. Ai sensi dell’art. 38, infatti «l’Autorità si impegna a svolgere le proprie attività con un livello elevato di trasparenza” e ancora “il Consiglio di Amministrazione tiene le proprie riunioni in pubblico, salvo che, su proposta del direttore esecutivo, decida altrimenti per punti amministrativi specifici del suo ordine del giorno, e può autorizzare rappresentanti dei consumatori o altre parti interessate a presenziare come osservatori allo svolgimento di alcune delle attività dell’Autorità»24. Anche il piano generale di gestione delle crisi che determina «le procedure pratiche necessarie per la gestione di una crisi, compresi 22 Cfr. art. 9, Regolamento (CE) n. 178/2002. Cfr. art. 10, Regolamento (CE) n. 178/2002. 24 Cfr. art. 38, par. 2, Regolamento (CE) n. 178/2002. 23 14 ALIMENTA i principi di trasparenza da applicare ed una strategia di comunicazione»25 deve essere trasparente, così come deve essere trasparente anche la presentazione dei prodotti alimentari, tale che «il modo in cui gli alimenti o mangimi sono disposti, il contesto in cui sono esposti e le informazioni rese disponibili su di essi attraverso qualsiasi mezzo non devono trarre in inganno i consumatori»26. Trasparenza ci deve essere inoltre anche in relazione alle competenze e alla responsabilità delle istituzioni, nonché agli obblighi da rispettare nell’organizzazione interna delle imprese e ai rapporti esterni con le istituzioni, le altre imprese e i consumatori. Appare dunque chiaro che, con il Regolamento (CE) n. 178/2002, la trasparenza assume la forma di “governo” di un settore, quale quello della Food Safety, che investe necessariamente soggetti pubblici e privati27. Ai fini della tenuta dell’intero sistema, assumono un ruolo “politico” essenziale l’informazione dei cittadini e la trasparenza dei processi proprio a fronte dell’esigenza, più volte esplicitata nelle premesse del Regolamento, di accrescere la fiducia dei cittadini. Il canone della trasparenza pervade quindi l’intero assetto del Regolamento (CE) n. 178/2002, a monte e a valle dell’adozione delle norme di diritto agroalimentare (a monte nella definizione delle norme e a valle nell’applicazione degli strumenti regolativi) e caratterizza da un lato la consultazione dei cittadini nel corso dell’elaborazione, della valutazione e della revisione della legislazione alimentare28 e, dall’altro, l’informazione al pubblico sul rischio e sulla sua natura, qualora vi sia un sospetto che un prodotto già in commercio comporti rischi per la salute umana29. Anche il Regolamento (CE) n. 1367/200630 sull’applicazione della 25 Cfr. art. 55, par. 2, Regolamento (CE) n. 178/2002. Cfr. art. 16, Regolamento (CE) n. 178/2002. 27 F. ALBISINNI, op. ul. cit., pp. 32-54. 28 Cfr. art. 9, Regolamento (CE) n. 178/2002. 29 Cfr. art. 10, Regolamento (CE) n. 178/2002. 30 Regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 15 Convenzione UNECE (United Nations Economic Commission for Europe) di Aarhus, in materia di partecipazione ai processi decisionali e di condivisione delle informazioni relative all’ambiente, aveva previsto una serie di misure atte ad accrescere la trasparenza del processo decisionale relativamente ad una nozione di diritto ambientale intesa a tutelare «lo stato di salute, compresa la contaminazione della catena alimentare»31. 3.5. La trasparenza dell’informazione al consumatore di alimenti: il Regolamento (UE) n. 1169/2011. Il Regolamento (UE) n. 1169/201132 sull’informazione al consumatore di prodotti alimentari riprende le indicazioni degli artt. 9 e 10 del Regolamento (CE) n. 178/2002. Il considerando 3 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 prevede infatti che «per ottenere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori e assicurare il loro diritto all’informazione, è opportuno garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano»33. Il considerando 10 dello stesso Regolamento precisa poi che «la conoscenza dei principi base della nutrizione e un’adeguata informazione nutrizionale sugli alimenti contribuirebbero significativamente a consentire al consumatore di effettuare scelte consapevoli. Le campagne di educazione e informazione sono un meccanismo importante per migliorare la comprensione delle informazioni alimentari da parte dei consumatori»34. 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, in GUUE, L 264 del 25 settembre 2006, p. 13. 31 Cfr. art. 2.1, d, Regolamento (CE) n. 1367/2006. 32 Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, in GUUE, L 304 del 22 novembre 2011, p. 18. 33 Cfr. considerando n. 3, Regolamento (UE) n. 1169/2011. 34 Cfr. considerando n. 10, Regolamento (UE) n. 1169/2011. 16 ALIMENTA In aggiunta, con questo Regolamento, che opera un riassetto complessivo della normativa previgente, la disciplina delle dichiarazioni nutrizionali diviene parte necessaria della disciplina in tema di etichettatura, configurandosi come strumento di rilievo attraverso cui effettuare scelte consapevoli sul mercato agroalimentare. Lo stesso inoltre si rivolge a tutti gli operatori del settore alimentare e si applica ad ogni alimento destinato al consumatore finale, compresi quelli forniti dalle collettività e a quelli destinati alla fornitura della collettività e ai servizi di ristorazione. 3.6. La trasparenza dei controlli ufficiali: il Regolamento (UE) 2017/625. A sua volta, il Regolamento (UE) 2017/62535 si basa ripetutamente sulla trasparenza sia nelle premesse che nell’articolato, in relazione agli audit che devono essere svolti sull’attività delle autorità di controllo36. Fondamentali, sotto questo profilo, risultano essere anche i sistemi di rating utilizzati per «accrescere la trasparenza nella filiera agroalimentare»37 e la previsione secondo cui i controlli ufficiali siano effettuati «con un livello elevato di trasparenza». È inoltre necessario che, almeno una volta l’anno, le informazioni pertinenti siano messe a disposizione del pubblico38. L’approccio basato sul rapporto tra rischio e probabilità di comportamenti non conformi da parte dell’OSA (Operatore del 35 Regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari (Regolamento sui controlli ufficiali), in GUUE, L 95 del 07/04/2017, p. 1. 36 Cfr. art. 6 e considerando n. 29, Regolamento (UE) n. 2017/625. 37 Cfr. considerando n. 39, Regolamento (UE) n. 2017/625. 38 Cfr. art. 11, Regolamento (UE) n. 2017/625. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 17 Settore Alimentare) dovrà tenere quindi in debita considerazione la probabilità che il consumatore sia indotto in errore relativamente alle informazioni di base sul prodotto o sulla filiera. 3.7. La vicenda del glifosato: la riflessione sull’analisi del rischio. Più tardi, la vicenda del glifosato, con l’avvio di un’iniziativa dei cittadini rivolta a promuovere interventi legislativi finalizzati a ridurre nell’Unione Europea il ricorso ai pesticidi, ripropone il problema della fiducia dei cittadini e conduce ad una più ampia riflessione sul metodo dell’analisi del rischio. Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, più volte chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, nella sentenza del 1° ottobre 2019 relativa alla procedura di immissione sul mercato del glifosato39, vertente sulla validità del Regolamento (CE) n. 1107/200940, pur affermando la mancanza di elementi tali da invalidare il Regolamento, ritiene che una maggiore trasparenza di tali procedure possa essere funzionale ad una migliore valutazione dei rischi per la salute umana41. 3.8. La trasparenza e la sostenibilità dell’analisi del rischio nella filiera alimentare: il Regolamento (UE) 2019/1381. Il Regolamento (UE) 2019/1381 perfeziona la consapevolezza che il successo della politica in materia di Food Safety non possa prescindere da un processo di analisi del rischio trasparente. 39 Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), Sentenza del 10 ottobre 2019, in causa C-616/17, Procedimento penale a carico di Mathieu Blaise e a., ECLI:EU:C:2019:800. 40 Regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, in GUUE, L 309 del 24/11/2009, p. 1. 41 Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sentenza del 10 ottobre 2019, in causa C-616/17, Procedimento penale a carico di Mathieu Blaise e a., cit., par. 102. 18 ALIMENTA Risulta dunque necessario assicurare una più ampia condivisione di conoscenze a tutela degli interessi, non necessariamente confliggenti, di tutti gli attori della filiera agroalimentare, sia pur con sfumature diverse. Implementare e chiarire le norme in materia di trasparenza, in particolare quelle relative agli studi scientifici posti alla base della valutazione del rischio alimentare, aumentare le garanzie di affidabilità, obiettività, trasparenza e indipendenza di siffatti studi, migliorare la governance dell’EFSA, rafforzare la cooperazione scientifica e il coinvolgimento degli Stati membri nel processo valutativo e sviluppare una comunicazione del rischio (al pubblico) più efficace e trasparente diventano quindi i principali obiettivi riformatori del nuovo Regolamento42. In questo rinnovato governo della sicurezza non solo alimentare, bensì esteso a comprendere l’intero ciclo della vita e l’ambiente, la trasparenza, nelle sue declinazioni distinte, viene elevata a principio ispiratore di una nuova forma di regolazione che trova la sua ragion d’essere in una crescente domanda di conoscenza e partecipazione attiva dei cittadini nelle procedure di analisi del rischio. La trasparenza dei processi conoscitivi e decisionali, basati interamente su una scienza dichiarata, conosciuta e conoscibile, viene pertanto posta alla base della legittimazione all’esercizio del potere. 4. Le riforme istituzionali e procedurali introdotte dal Regolamento (UE) 2019/1381. 4.1. Efficacia e trasparenza della comunicazione del rischio: sviluppare nuove strategie di comunicazione del rischio. Le modifiche apportate al Regolamento (CE) n. 178/2002 ini- 42 M. SILANO, e V. SILANO, Ensuring Food Safety in the European Union, Abingdon, Taylor & Francis Ltd, 2020, pp. 185-187. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 19 ziano con l’inserimento, nella sezione 1 relativa ai principi generali della Food Safety Law, di una specifica sezione 1 bis dedicata al potenziamento della trasparenza e della qualità della comunicazione del rischio, ovvero di «quello scambio interattivo tra le parti interessate, delle informazioni, delle opinioni e delle indicazioni sulla valutazione del rischio e delle decisioni in materia di gestione del rischio»43, parte essenziale del processo di analisi del rischio, ma sinora «considerata complessivamente di scarsa efficacia»44. Queste informazioni intervengono in tutte le fasi dell’analisi del rischio e coinvolgono anche i destinatari delle decisioni adottate. Accrescere la conoscenza e la comprensione delle questioni in esame durante tutto il processo di analisi del rischio, assicurare la coerenza, la trasparenza e la chiarezza nella formulazione delle raccomandazioni e delle decisioni per la gestione del rischio, assicurare la partecipazione di tutti gli attori della filiera alimentare, combattere la diffusione di false informazioni ed informare i cittadini in modo chiaro e trasparente sulle strategie messe in atto per la prevenzione dei rischi si configurano infatti come gli obiettivi da perseguire. 4.2. Sostenibilità e governance dell’EFSA: rafforzare le competenze e la politica di indipendenza dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA). Il Regolamento (UE) 2019/1381 prosegue intervenendo anche sull’impianto istituzionale dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), allineandolo al modello intergovernativo delle altre agenzie europee quali, ad esempio, l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) e l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), in conformità all’orientamento comune interistituzionale sulle agenzie decentrate dell’Unione. 43 L. GONZÁLEZ VAQUÈ, La comunicazione del rischio alimentare nell’Unione Europea e negli stati membri: efficacia, trasparenza e sicurezza, Riv. dir. al., 3, 2016, pp. 33-45. 44 Cfr. considerando n. 9, Regolamento (UE) 2019/1381. 20 ALIMENTA Vengono garantiti in tal modo un’efficiente supervisione del funzionamento delle agenzie e punti di vista coordinati tra il livello nazionale e quello dell’Unione. Con la sostituzione del paragrafo 1 dell’art. 2545, il Regolamento (UE) 2019/1381 modifica quindi la composizione del Consiglio di Amministrazione dell’EFSA, prevedendo che ogni Stato membro debba designare, quali suoi rappresentanti, un membro titolare e un membro supplente. Il maggiore coinvolgimento degli Stati membri nel designare i membri dei gruppi di esperti scientifici è certamente funzionale all’esigenza dell’Autorità di poter disporre di un numero sufficientemente elevato di esperti indipendenti nei diversi settori di sua competenza, tale da incidere positivamente sulla sostenibilità del sistema di valutazione del rischio46. Inoltre, il paragrafo 1 bis47 aggiunto all’art. 25, appena citato, disciplina dettagliatamente la partecipazione al Consiglio di Amministrazione: «Oltre ai membri titolari e supplenti di cui al paragrafo 1, il Consiglio di Amministrazione è composto da: a) due membri titolari e due membri supplenti nominati dalla Commissione come suoi rappresentanti, con diritto di voto; b) due membri titolari nominati dal Parlamento Europeo, con diritto di voto; c) quattro membri titolari e quattro membri supplenti con diritto di voto come rappresentanti della società civile e degli interessi della filiera alimentare, vale a dire un membro titolare e un membro supplente per le organizzazioni dei consumatori, un membro titolare e un membro supplente per le organizzazioni ambientaliste non governative, un membro titolare e un membro supplente per le organizzazioni degli agricoltori e un membro titolare e un membro supplente per le organizzazioni dell’industria». 45 Cfr. art. 25, par. 1, Regolamento (CE) n. 178/2002, come sostituito dall’art. 1, par. 4, lett. a), del Regolamento (UE) 2019/1381. 46 M. SILANO, e V. SILANO, Ensuring cit., pp. 189 ss. 47 Cfr. art. 25, par. 1 bis, Regolamento (CE) n. 178/2002, aggiunto dall’art. 1, par. 4, lett. b, del Regolamento (UE) 2019/1381. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 21 L’inclusione nel Consiglio di Amministrazione dei rappresentanti di tutti gli Stati membri, della Commissione, del Parlamento Europeo, della società civile e delle associazioni di categoria risponde chiaramente all’esigenza di coinvolgere la responsabilità di tutti i cittadini dell’Unione nell’operato dell’EFSA. Nella misura in cui ciascuno Stato membro è chiamato a designare un componente del Consiglio di Amministrazione, viene dichiarata anche una responsabilità politica e, nella misura in cui entrano a far parte del Consiglio rappresentanti delle organizzazioni ambientaliste non governative e delle organizzazioni degli agricoltori, appare chiaro l’intento del riconoscimento di una rappresentanza di interessi, quali quello ambientale ed agricolo, in precedenza mai neppure nominati48. Il nuovo Regolamento assegna quindi all’EFSA una composizione non solo tecnica, ma anche politica in coerenza con quel titolo di Autorità che, nel disegno originario del 2002, era limitato ad un organismo di sola consulenza scientifica49. Appare dunque chiaro che, in un momento di sfide strutturali per l’integrità, la validità e l’affidabilità della scienza, è necessario chiedersi, come riflessione per il futuro, non sono quali problemi giuridici verranno risolti con questa riforma, ma anche quali nuove questioni saranno portate in primo piano. 4.3. La trasparenza nella valutazione del rischio: la priorità alla partecipazione del pubblico e delle parti interessate al processo di valutazione del rischio. Nel considerando 12 del Regolamento (UE) 2019/1381 si afferma che «la trasparenza del processo di valutazione del rischio contribuisce a che l’Autorità acquisisca maggiore legittimità agli occhi dei consumatori e del pubblico nel compimento della sua 48 49 F. ALBISINNI, Trasparenza cit., pp. 32-53. F. ALBISINNI, ibidem. 22 ALIMENTA missione, accresce la fiducia nel lavoro da essa svolto e garantisce democraticamente una maggiore responsabilità dell’Autorità nei confronti dei cittadini dell’Unione. (…)»50. Pertanto, al fine di rafforzare la credibilità scientifica degli studi posti alla base della valutazione del rischio, è necessario che alla massima trasparenza si ispirino sia l’operato dell’EFSA, sia la documentazione scientifica utilizzata a tale scopo. Per un’informazione il più possibile equilibrata, è indispensabile mettere a confronto l’interesse pubblico ad un elevato livello di tutela della salute con gli interessi commerciali in gioco e l’efficace funzionamento del mercato interno. Per raggiungere questo obiettivo, l’articolo 3851, nella sua nuova stesura, declina infatti il rispetto della trasparenza con specifico riferimento a tutte le strutture dell’EFSA, a tutte le relazioni riguardanti la sua attività e all’intera produzione scientifica sulla base della quale viene effettuata la valutazione del rischio. La divulgazione al pubblico di queste informazioni non dovrà, tuttavia, come precisato nel paragrafo 1 bis dell’art. 3852, pregiudicare i diritti di proprietà intellettuale e dovrà coordinarsi con le disposizioni poste a tutela degli investimenti effettuati dagli innovatori in sede di raccolta delle informazioni e dei dati posti a sostegno delle pertinenti domande di autorizzazione. In relazione al delicato tema della riservatezza, strettamente legato all’esigenza di non violare la concorrenza tra le imprese, l’art. 39 (da 39 a 39 quinquies)53, nella sua nuova stesura, disciplina in- 50 Cfr. considerando n. 12, Regolamento (UE) 2019/1381. Cfr. art. 38, Regolamento (CE) n. 178/2002, come modificato dall’art. 1, par. 7, del Regolamento (UE) 2019/1381. 52 Cfr. art. 38, par. 1 bis, Regolamento (CE) n. 178/2002, aggiunto dall’art. 1, par. 7, lett. b), del Regolamento (UE) 2019/1381. 53 Cfr. art. 39 Regolamento (CE) n. 178/2002, come sostituito dall’art. 1, par. 8 del Regolamento (UE) 2019/1381 nonché artt. 39 bis, ter, quater, quinquies, Regolamento (CE) n. 178/2002 introdotti dall’art. 1, par. 9, del Regolamento (UE) 2019/1381. 51 LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 23 fatti la richiesta di riservatezza, specificando le informazioni la cui divulgazione può danneggiare gli interessi del produttore, nonché il procedimento di valutazione messo in atto dall’Autorità sulla richiesta di riservatezza del richiedente. Il Regolamento deve garantire quindi, nelle opportune circostanze, la riservatezza, stabilendo il tipo di informazioni la cui divulgazione, come dimostrato dal richiedente o dal notificante, può essere considerata dannosa per gli interessi commerciali e che, pertanto, non possono essere divulgate54. Si conferma inoltre la tutela dei diritti di proprietà intellettuale relativi a documenti o al loro contenuto, come tutelata è la normativa che premia gli investimenti (la cosiddetta normativa sull’esclusività dei dati) stabilita nella legislazione settoriale dell’Unione sulla filiera agroalimentare. Nella revisione normativa attuata dal Regolamento (UE) 2019/1381, la trasparenza e la partecipazione dei cittadini (rimaste fino a questo momento latenti sotto il profilo applicativo) diventano dunque componenti centrali nelle procedure di valutazione del rischio che precedono l’adozione dell’atto normativo. Infatti l’originaria versione dell’art. 39 del Regolamento (CE) n. 178/2002 stabiliva che, in deroga alle regole della trasparenza, «l’Autorità non rivela a terzi le informazioni riservate da essa ricevute in ordine alle quali è stato richiesto e giustificato un trattamento riservato, ad eccezione delle informazioni che devono essere rese pubbliche, se le circostanze lo richiedono, per proteggere la salute pubblica»55. La modifica all’art. 39, introdotta dal Regolamento (UE) 2019/1381, definisce invece quali siano le sole informazioni per le quali il richiedente può domandare un trattamento riservato, a condizione che egli dimostri che tali informazioni danneggiano i suoi interessi in maniera significativa e fermo restando che «qualo- 54 55 M. SILANO, V. SILANO, op. ult. cit., pp. 193-194. Cfr. la versione originaria dell’art. 39, Regolamento (CE) n. 178/2002. 24 ALIMENTA ra sia essenziale agire urgentemente per tutelare la salute umana, animale o l’ambiente, l’Autorità può comunque divulgare tali informazioni»56. In precedenza, anche l’articolo 23 del Regolamento (UE) 2015/2283 57 , in relazione ai Novel Foods 58 , evidenziava, rispetto all’originario testo dell’art. 39 del Regolamento (CE) n. 178/2002, una maggiore apertura al principio della trasparenza nel momento in cui stabiliva le condizioni per le quali «i richiedenti possono domandare che alcune informazioni siano oggetto di trattamento riservato, nel caso in cui la divulgazione possa nuocere alla loro posizione concorrenziale» e affermava che la Commissione, gli Stati membri e l’Autorità avrebbero dovuto adottare le misure necessarie per garantire la riservatezza, fatta eccezione per le informazioni per cui è previsto l’obbligo di divulgazione pubblica per tutelare la salute umana59. L’esistenza di un catalogo motivato di dati riservati aveva quindi permesso che una pluralità di soggetti fosse venuta a trovarsi nella condizione di intervenire a tutela degli interessi dell’uomo, degli animali e dell’ambiente, potenziando, in tal modo, la propria partecipazione alla fase della valutazione del rischio. In linea con questo approccio, il Regolamento (UE) 2019/1381 compie un ulteriore passo in avanti nel momento in cui stabilisce che la regola generale della trasparenza deve permeare ogni fase dell’analisi del rischio (la cui comunicazione viene effettuata al pubblico su apposita sezione del sito web dell’Autorità), definendo ora con chiarezza le sole informazioni per le quali le imprese sono autorizzate a chiedere la riservatezza e stabilendo che tale richiesta debba essere accompagnata da una giustificazione verificabile, ovvero che dimostri in che modo la divulgazione danneggia significativamente gli interessi delle imprese. 56 I. CANFORA, Sicurezza alimentare cit., pp. 1-7. Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativo ai nuovi alimenti in GUUE, L 327 del 11/12/2015, p. 1. 58 F. CAPELLI, B. KLAUS, e V. SILANO, Nuova Disciplina cit., pp. 238-239. 59 Cfr. art. 23, Regolamento (UE) n. 2015/2283. 57 LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 25 In ogni caso, come precisa il considerando n. 28 del Regolamento (UE) 2019/1381, la divulgazione di dati non deve rappresentare «un’autorizzazione a ulteriori usi o utilizzazioni, preservando il carattere proattivo della divulgazione al pubblico» 60 e l’Unione non è responsabile dell’utilizzo di dati (resi pubblici) da parte dei terzi. Spetterà quindi alle imprese richiedenti, curando la richiesta di riservatezza con adeguata giustificazione, scongiurare il rischio di abuso delle informazioni da parte delle imprese concorrenti61. 4.4. Tutela del consumatore di alimenti e degli interessi commerciali degli operatori economici a confronto. Possiamo affermare senza ombra di dubbio che la tutela dei consumatori, in nome della trasparenza, risulta rafforzata da questo Regolamento. La ricerca della trasparenza, infatti, rassicura in primis i consumatori, sempre più esigenti in termini di domanda di informazioni. Questa tutela viene garantita dalla diffusione al pubblico di tutte le informazioni scientifiche presentate dagli operatori del settore al momento di una notifica o di una domanda. A questo punto, sorge spontaneo il dubbio che tale diffusione di informazioni possa entrare in conflitto con gli interessi commerciali degli operatori economici. Fermo restando che la tutela della salute del consumatore è il principio ispiratore della legislazione alimentare dell’Unione, è importante sottolineare che la nuova regolazione tutela anche gli interessi commerciali degli operatori del settore nel momento in cui specifica le informazioni la cui divulgazione può danneggiare questi interessi e disciplina il procedimento di valutazione messo in at- 60 61 Cfr. considerando n. 28, Regolamento (UE) 2019/1381. I. CANFORA, op. ult. cit., pp. 1-7. 26 ALIMENTA to dall’Autorità sulla richiesta di riservatezza del richiedente in risposta all’esigenza di non violare la concorrenza tra le imprese. Dal momento poi che la diffusione al pubblico della documentazione su cui si basa la valutazione del rischio potrebbe compromettere la competitività e la capacità di innovazione delle imprese a causa della possibilità che aziende concorrenti facciano proprie le idee di prodotto e le realizzino mentre il processo di autorizzazione è ancora in corso, questa consultazione, sempre nel rispetto della trasparenza, dovrà (come già specificato) avvenire solo dopo la pubblicazione degli studi presentati dalle imprese medesime. La trasparenza dell’informazione, tuttavia, rappresenta nel Regolamento (UE) 2019/1381 la regola generale e le eccezioni a questo principio devono essere interpretate sempre in senso restrittivo con l’obiettivo di garantire, in ogni caso, la prevalenza dell’interesse pubblico alla divulgazione e un elevato livello di tutela della salute dell’uomo, degli animali e delle piante. A tal fine, le imprese potrebbero essere stimolate ad adeguare la propria attività alla sempre più crescente domanda di tutela ambientale e di sicurezza attraverso la promozione e la divulgazione delle proprie finalità di ricerca, volte a garantire, nell’ottica di una rinnovata attenzione per la trasparenza e l’analisi del rischio, la sostenibilità ambientale e la sicurezza dei cittadini già nel processo interno della definizione di nuovi prodotti da immettere sul mercato62. La trasparenza delle informazioni, prevista come parte integrante del processo di analisi del rischio, può dunque rappresentare (per le imprese che fanno innovazione) un’opportunità per mettere in evidenza le caratteristiche di sostenibilità seguite nella fase preliminare delle attività di ricerca, anche in vista dei nuovi obiettivi del Green New Deal Europeo, definiti nei documenti programmatori del maggio 2020, che nei prossimi anni orienteranno la legislazione alimentare (e conseguentemente le attività di tutti gli ope- 62 I. CANFORA, op. ult. cit., pp. 1-7. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 27 ratori coinvolti) verso un rafforzamento degli obiettivi di sostenibilità ambientale63. 4.5. Gli studi scientifici supplementari di l’implementazione di esperti scientifici indipendenti. verifica e Tra gli elementi fortemente innovatori del Regolamento, oltre l’estensione del diritto di accesso dei cittadini alle informazioni scientifiche, vanno ricordati anche la possibilità di richiedere, in caso di situazioni controverse, studi scientifici supplementari di verifica e la possibilità che l’EFSA svolga ricerche nella letteratura scientifica al fine di prendere in considerazione altri dati e studi esistenti sull’oggetto sottoposto a valutazione su cui le Istituzioni europee possono fare affidamento nell’elaborazione delle misure normative e la necessità che «gli Stati membri e i datori di lavoro dei membri del comitato scientifico e dei gruppi di esperti scientifici si astengono dall’impartire a tali membri, o agli esperti esterni che partecipano ai gruppi di lavoro del comitato scientifico e dei gruppi di esperti scientifici, istruzioni incompatibili con i compiti individuali di detti membri ed esperti o con i compiti, le responsabilità e l’indipendenza dell’Autorità»64. Il Regolamento specifica infatti l’obbligo di soggetti pubblici e privati (Stati membri e datori di lavoro degli esperti) di astenersi dall’impartire indicazioni relativamente ai pareri che gli esperti sono chiamati a svolgere nell’interesse generale e nello svolgimento di una funzione pubblica. Vengono definiti in tal modo i ruoli diversificati che i soggetti politici e gli esperti scientifici devono ricoprire nella ricerca delle 63 Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Una Strategia dal “produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente, Bruxelles, 20/05/2020. 64 Cfr. art. 28, par. 5 quinquies, del Regolamento (CE) n. 178/2002, aggiunto dall’art. 1, par. 5, lett. b) del Regolamento (UE) 2019/1381. 28 ALIMENTA soluzioni normative più idonee a fronteggiare le situazioni di rischio. A rendere effettivamente più efficace il sistema di valutazione del rischio sono poi anche la previsione di orientamenti sulle norme applicabili e sul contenuto delle domande, nonché l’elaborazione di modelli standard, utili proprio alle piccole e medie imprese che intendano presentare domande o notifiche soggette alla valutazione dell’Autorità, le quali vengono pertanto facilitate in tutte queste operazioni. Queste due disposizioni hanno la finalità di coinvolgere, in una logica partecipativa, tutti gli attori economici, con l’obiettivo di coniugare innovazione e sicurezza delle produzioni alimentari65. In tal senso, non è irrilevante che il Regolamento (UE) 2019/1381 prenda in considerazione la partecipazione delle piccole e medie imprese al processo di innovazione tecnologica. L’indipendenza dei ricercatori, la disponibilità di esperti scientifici e la trasparenza dei processi di valutazione del rischio con la più ampia inclusione degli esponenti della società civile e dei portatori di interessi collettivi ed una trasparente e inclusiva comunicazione del rischio diventano quindi, con il nuovo Regolamento, condizioni necessarie per garantire la sostenibilità delle scelte normative66. 5. Valutazioni finali e conclusive. Ancora non è dato sapere se gli interventi di natura procedimentale previsti dal Regolamento (UE) 2019/1381, finalizzati ad aprire l’intero processo di analisi del rischio ad un trasparente scambio delle informazioni opportune in modo interattivo e tempestivo con tutte le parti interessate, siano sufficienti ad eliminare alcuni dei limiti di natura endogena ed esogena che inevitabilmente accompagnano questo complesso processo. 65 66 M. SILANO, V. SILANO, op. ult. cit. pp. 199-200. I. CANFORA, op. ult. cit. pp. 1-7. LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 29 Possiamo tuttavia affermare che questo Regolamento non si risolve nelle sole, sia pur innovative, disposizioni procedimentali. È infatti un Regolamento di regole e di principi che valorizza le responsabilità della politica e ricerca risposte, sul piano istituzionale e teorico, alle sfide proposte al diritto agroalimentare dall’innovazione tecnologica e di mercato, collocandosi all’interno di un modello di ricerca dell’unità europea, attraverso processi di codificazione unificante e sistematica che valorizzano l’utilizzo dello strumento giuridico in nome della trasparenza e del rispetto per le scienze della vita nella loro interezza67. La diffusione efficace e trasparente delle informazioni permetterà, a sua volta, di migliorare sul piano dell’effettività la consapevole condivisione delle scelte politiche adottate, nel rispetto dei principi che in una società democratica devono sempre presiedere, in termini di costi e benefici, scelte di indubbio rilievo collettivo e potenzialmente capaci di incidere sul futuro68. Notevole impegno viene pertanto richiesto all’EFSA e alle altre Istituzioni europee in termini di abilitazione di nuove procedure idonee affinché l’analisi del rischio alimentare si adatti ad un contesto sempre più digitale e globale. Tra di queste, la digitalizzazione giocherà indubbiamente un ruolo fondamentale nella strategia from Farm to Fork, sostenendo il passaggio dell’Unione Europea ad un sistema alimentare sostenibile. La strategia from Farm to Fork (dai campi alla tavola) riconosce infatti che la sostenibilità dei sistemi alimentari è una questione globale e che gli stessi dovranno sapersi adattare alle crisi che si troveranno a dover fronteggiare nel futuro. In aggiunta, l’attuale crisi pandemica legata al COVID-19 ha dimostrato l’importanza di avere un sistema alimentare robusto e resiliente, che funzioni in tutte le circostanze e sia in grado di garantire l’accesso ad una fornitura sufficiente di cibo a prezzi accessibili per tutti i cittadini. 67 F. ALBISINNI, Trasparenza… cit., pp. 32-54. A. JANNARELLI, Trasparenza e sostenibilità nel sistema europeo della Food Law dopo il reg. 1381 del 2019, Riv. dir. al., 3, 2019, pp. 12-31. 68 30 ALIMENTA A questo proposito, Frans Timmermans, Vicepresidente Esecutivo della Commissione Europea, così scrive: «la crisi del coronavirus ha dimostrato la vulnerabilità di tutti noi e l’importanza di ripristinare l’equilibrio tra l’attività umana e la natura. La strategia sulla biodiversità e la strategia “Dal produttore al consumatore” sono il fulcro dell’iniziativa Green Deal e puntano a un nuovo e migliore equilibrio fra natura, sistemi alimentari e biodiversità: proteggere la salute e il benessere delle persone e, al tempo stesso, rafforzare la competitività e la resilienza dell’UE. Queste strategie sono una parte fondamentale della grande transizione che stiamo intraprendendo»69. Il COVID-19 ha avuto l’unico merito di costringerci a guardare in modo approfondito alla provenienza del nostro cibo e alla resilienza della Supply Chain (catena di approvvigionamento). Tutti desideriamo maggiore trasparenza nella filiera per comprendere meglio ciò che mangiamo e quanto sia sostenibile la sua produzione. Allo stesso tempo, l’ecosistema agricolo è sottoposto a un’enorme pressione per nutrire una popolazione globale in continua espansione. Una filiera alimentare trasparente, agile e connessa digitalmente e una produzione tecnologicamente avanzata saranno dunque fondamentali per la sostenibilità di un settore in cui far convivere le esigenze dei consumatori con quelle del pianeta. Fausto Capelli - Giovanni Giangiobbe 69 https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal/ actions-being-taken-eu/farm-fork_it, (ultimo accesso il 14/04/2021). LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO 31 ABSTRACT: Questo articolo analizza l’impatto del regolamento europeo 2019/1381 con particolare riferimento alla trasparenza nella valutazione del rischio alimentare e, più in generale, nella sicurezza alimentare. Gli A. dedicano particolare attenzione all’analisi delle riforme procedurali e istituzionali introdotte dal regolamento, nonché ai suoi probabili effetti futuri: lo sviluppo di nuove strategie nella comunicazione del rischio; una nuova governance dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) la cui indipendenza dovrebbe risultarne rafforzata; la partecipazione del pubblico e dei portatori di interesse nel processo di analisi del rischio. EN: This article analyses the impact of the new European Regulation No. 2019/1381 on the transparency and sustainability of the EU risk assessment in the food chain. Particular attention is paid by the Authors to the institutional and procedural reforms introduced by the Regulation and their probable future effects: a development of new strategies in risk communication; a new governance for EFSA (the European Agency for Food Safety, that is supposed to strengthen its independence) and the direct participation of public and stakeholders to risk assessment procedures. PAROLE CHIAVE: Analisi del rischio – trasparenza – indipendenza – sostenibilità – EFSA – sicurezza alimentare – comunicazione del rischio – partecipazione. Risk analysis – transparency – independence – sustainability – EFSA – food security – risk communication – participation. ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK: LA «NUTRINFORM BATTERY» ITALIANA E IL «NUTRI-SCORE» FRANCESE Sommario: 1. Premessa – 2. Le ripetizioni ai sensi dell’articolo 30, paragrafo 3 del regolamento n. 1169/2011/UE – 2.1. Qualche esempio in tema di ripetizioni – 3. Forme di espressione e presentazione supplementari (articoli 35 e 35, regolamento n. 1169/2011/UE) – 3.1. La proposta italiana: la «NutrInform Battery» – 3.2. Manuale d’uso della «NutrInform Battery» italiana – 4. Altre espressioni in altri Paesi dell’Unione: il «Nutri-Score» francese – 4.1. Questioni giuridiche relative al sistema «Nutri-Score» – 5. Conclusione. 1. Premessa. Quando, il 7 dicembre scorso, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale italiana il decreto MiSE-Min.Sal.-Mipaaf del 19.11.20201 (il cd. decreto sulla NutrInform Battery), recante la forma di presentazione e le condizioni di utilizzo del logo nutrizionale facoltativo, complementare alla dichiarazione nutrizionale, in applicazione dell’art. 35 del regolamento n. 1169/2011/UE2, da più parti è per1 Cfr. il decreto 19 novembre 2020 del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero della salute e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali recante Forma di presentazione e condizioni di utilizzo del logo nutrizionale facoltativo complementare alla dichiarazione nutrizionale in applicazione dell’articolo 35 del regolamento (UE) 1169/2011, in, GU Serie Generale, n. 304 del 07 dicembre 2020. 2 Cfr. il Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, in GUUE, L 304 del 22 novembre 2011, pp. 18 ss. L’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE disciplina le c.d. «forme di espressione e presentazione supplementari», stabilendo che «(…) il valore energetico e le quantità di sostanze nutritive di cui all’articolo 30, paragrafi da 1 a 5, possono essere indicati mediante altre forme di espressione e/o presentati usando forme o simboli grafici oltre a parole o numeri, purché siano rispettati i seguenti requisiti: a) si basano su 34 ALIMENTA venuta la stessa domanda, relativa a quale fosse il periodo di tempo a disposizione per lo «smaltimento» delle scorte delle etichette recanti la dichiarazione nutrizionale, da eliminare e sostituire con la dichiarazione nutrizionale front-pack secondo il nuovo sistema a batteria italiano. La domanda tradisce una notevole confusione ingenerata dall’introduzione di tale nuova norma, sicché si ritiene opportuno riepilogare alcune regole in tema di etichettatura nutrizionale degli alimenti, partendo da un primo, inossidabile punto fermo: l’etichettatura nutrizionale, anche conosciuta come tabella nutrizionale, è – e resta – un’informazione obbligatoria al consumatore, contemplata nell’elenco delle indicazioni obbligatorie di cui all’art. 9 del regolamento n. 1169/2011/UE e disciplinata, in ordine alle modalità espressive e di presentazione, alla Sezione 3, dagli artt. 30 e seguenti, nonché dagli allegati da XIII a XV del medesimo regolamento. ricerche accurate e scientificamente fondate condotte presso i consumatori e non inducono in errore il consumatore come previsto all’articolo 7; b) il loro sviluppo deriva dalla consultazione di un’ampia gamma di gruppi di soggetti interessati; c) sono volti a facilitare la comprensione, da parte del consumatore, del contributo o dell’importanza dell’alimento ai fini dell’apporto energetico e nutritivo di una dieta; d) sono sostenuti da elementi scientificamente fondati che dimostrano che il consumatore medio comprende tali forme di espressione o presentazione; e) nel caso di altre forme di espressione, esse si basano sulle assunzioni di riferimento armonizzate di cui all’allegato XIII oppure, in mancanza di tali valori, su pareri scientifici generalmente accettati riguardanti l’assunzione di elementi energetici o nutritivi; f) sono obiettivi e non discriminatori; e g) la loro applicazione non crea ostacoli alla libera circolazione delle merci». Da notare che la norma attribuisce agli Stati membri la facoltà di «raccomandare agli operatori del settore alimentare l’uso di una o più forme di espressione o presentazione supplementari della dichiarazione nutrizionale che ritengono soddisfare meglio i requisiti di cui al paragrafo 1, lettere da a) a g)». Alla Commissione è attribuito il compito (invero entro il 13 dicembre 2017, termine da tempo scaduto) di presentare una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’uso di forme di espressione e presentazione supplementari, sul loro effetto sul mercato interno e sull’opportunità di armonizzare ulteriormente tali forme di espressione e presentazione. L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK 35 Trattandosi di materia uniformata a livello UE e disciplinata da un regolamento, la tabella nutrizionale è caratterizzata, per espressa previsione normativa, da un formato standard insostituibile per tutti gli Stati membri, cosicché le relative modalità espressive e di presentazione siano - e debbano continuare ad essere - le stesse per tutti gli stakeholders sul mercato interno. L’etichettatura nutrizionale front-pack – che in Italia è stata recentemente introdotta con il summenzionato decreto interministeriale – costituisce, invece, un’indicazione di carattere facoltativo e supplementare, la cui introduzione nella normativa di uno Stato UE e le cui modalità di espressione e presentazione sono demandate – in virtù del predetto articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE, di cui si parlerà a breve – alla decisione di ciascuno Stato membro. Perciò essa, oltre ad essere facoltativa, può anche essere diversa da Stato a Stato all’interno del territorio dell’Unione, diversamente da ciò che accade, come detto, con riferimento all’etichettatura nutrizionale obbligatoria. Operate tali prime, fondamentali distinzioni tra i due tipi di informazioni di carattere nutrizionale, si ritiene utile procedere, ora, ad una breve disamina riepilogativa di alcune disposizioni in materia di dichiarazione nutrizionale, nella specie le «ripetizioni» – queste sì, facoltative – che presentano le maggiori connessioni con le forme di espressione supplementari di cui all’articolo 35 suddetto, in particolare con il cd. sistema italiano a batteria. Si esamineranno, poi, i predetti due sistemi facoltativi di etichettatura nutrizionale front-pack: la «NutrInform Battery» e il «Nutri-Score», ponendoli a raffronto ed evidenziandone le caratteristiche oltre che, per il «Nutri-Score», le criticità. 2. Le ripetizioni ai sensi dell’articolo 30, paragrafo. 3 del regolamento n. 1169/2011/UE. Ferma restando l’obbligatorietà della tabella nutrizionale (salvi 36 ALIMENTA i casi di esenzione espressamente previsti nello stesso regolamento n. 1169/2011/UE, in particolare all’Allegato V), alcune indicazioni nutrizionali obbligatorie possono essere ripetute sull’imballaggio, nel campo visivo principale (in genere denominato «parte anteriore dell’imballaggio»), utilizzando uno dei seguenti formati: 1) il valore energetico (cd. ripetizione corta), o 2) il valore energetico e la quantità di grassi, di acidi grassi saturi, di zuccheri e di sale (cd. ripetizione lunga). È importante ricordare che, in caso di ripetizione, la dichiarazione nutrizionale (tabella nutrizionale) rimane un elenco con un contenuto definito e limitato. Sempre in caso di ripetizione, sono sufficienti indicazioni espresse per porzione o unità di consumo (a condizione che la porzione o l’unità utilizzata sia quantificata immediatamente accanto alla dichiarazione e che il numero di porzioni o di unità contenute sia indicato sull’imballaggio). Tuttavia, il valore energetico va espresso anche per 100g o per 100ml. Non è possibile fornire nel campo visivo principale informazioni nutrizionali relative a nutrienti diversi da quelli sopra menzionati. È tuttavia possibile indicare le ripetizioni sulla parte anteriore, sotto forma di percentuale delle assunzioni di riferimento (AR3) oltre ai valori assoluti - anche se questa forma di espressione non è utilizzata nella dichiarazione nutrizionale obbligatoria. 2.1. Qualche esempio in tema di ripetizioni. Alcuni esempi consentono di chiarire meglio quanto sopra enunciato. Una prima opzione riguarda l’ipotesi in cui sia ripetuto solo il 3 Si veda il regolamento n. 1169/2011/UE, Allegato XIII, parte B: consumi di riferimento di elementi energetici e di determinati elementi nutritivi diversi dalle vitamine e dai Sali minerali (adulti). L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK 37 valore energetico (o energia). In questo caso il valore assoluto deve venire espresso per 100 g o per 100 ml. In aggiunta all’espressione per 100 g o per 100 ml, il valore energetico può venire espresso anche per porzione, mentre non è ammesso esprimere il valore energetico solo per porzione. In aggiunta all’espressione per 100 g o per 100 ml, il valore energetico può anche venire espresso in percentuale delle AR sia per 100 g/ml sia per porzione. Una seconda opzione consente di ripetere il valore energetico accompagnandolo con l’indicazione della quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale. In questo caso le quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale possono venire espresse per 100 g o per 100 ml oppure possono essere fornite solo per porzione. Se l’informazione delle 4 sostanze nutritive è fornita solo per porzione, il valore dell’energia deve essere fornito in valore assoluto simultaneamente per porzione e per 100 g o per 100 ml. In aggiunta, le quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale possono essere espressi in percentuale delle AR solo per porzione. Se l’informazione delle 4 sostanze nutritive è fornita in percentuale delle AR solo per porzione, il valore dell’energia deve venire espresso in valore assoluto simultaneamente per porzione e per 100 g o 100 ml. In particolare, la sezione relativa alle ripetizioni sulla parte frontale dell’imballaggio è rilevante in funzione della scelta, operata dai Ministeri, delle modalità espressive supplementari utilizzate per la «NutrInform Battery» italiana, poiché risponde fedelmente alle regole di espressione ivi previste, come a breve si vedrà. 3. Forme di espressione e presentazione supplementari (articoli 35 e 36, regolamento n. 1169/2011/UE). L’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE prevede che, oltre alla tabella nutrizionale obbligatoria, il valore energetico e le 38 ALIMENTA quantità di sostanze nutritive di cui all’articolo 30, paragrafi da 1 a 5, possano essere indicati mediante altre forme di espressione e/o presentati usando forme o simboli grafici oltre a parole o numeri, purché siano rispettati determinati requisiti, tra cui: - facilitare la comprensione, da parte del consumatore, del contributo o dell’importanza dell’alimento ai fini dell’apporto energetico e nutritivo di una dieta; - basarsi sulle assunzioni di riferimento armonizzate di cui all’allegato XIII oppure, in mancanza di tali valori, su pareri scientifici generalmente accettati riguardanti l’assunzione di elementi energetici o nutritivi; - essere obiettivi e non discriminatori e - non creare ostacoli alla libera circolazione delle merci. Quindi, ai sensi della norma richiamata, è possibile aggiungere, su base volontaria, altre forme di espressione e presentazione ai fini della ripetizione delle informazioni fornite nella dichiarazione nutrizionale, ai sensi dell’articolo 30, paragrafo 3 o dell’articolo 35 (ad esempio con simboli). Trattandosi, peraltro, di indicazione facoltativa, andranno rispettate anche le condizioni di impiego delle informazioni volontarie in conformità al disposto dell’articolo 36, paragrafo 2, tra le quali si annovera il divieto di induzione in errore del consumatore, come prescritto all’articolo 7 (pratiche leali d’informazione) dello stesso regolamento, nonché l’obbligo che tali indicazioni non siano ambigue né confuse per il consumatore. Alla luce di ciò, in sede di notifica alla Commissione dell’allora schema di decreto italiano4, l’Italia, oltre a sottolineare che le forme supplementari di espressione non si sostituiscono alla dichiarazione nutrizionale, ne ha anche rappresentato la finalità in conformità con quanto disposto dall’articolo 35, che ne costituisce, per4 Cfr. la notifica alla Commissione europea effettuata il 27/01/2020, consultabile on line all’indirizzo internet del portale “Tris” della Commissione europea https://ec.europa.eu/growth/toolsdatabases/tris/it/search/?trisaction=search.detail&year=2020&num=31 L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK 39 tanto, la diretta fonte normativa europea di riferimento: agevolare l’informazione sui livelli di assunzione dei nutrienti ivi indicati, senza combinare la diversa composizione degli stessi per formulare una graduatoria degli alimenti (ciò che, invece, pare essere stato compiuto attraverso il «Nutri-Score» francese, di cui infra). Il tutto, tenuto conto del fatto che il regolamento n. 1169/2011/UE non armonizza l’etichettatura nutrizionale facoltativa front-pack; il che significa che non esiste, ad oggi, uno schema accettato comune in tutta l’Unione. 3.1. La proposta italiana: la «NutrInform Battery». A fine gennaio 2020 l’Italia ha notificato alla Commissione uno schema di decreto interministeriale (elaborato, come detto, di concerto tra Ministero della salute, Ministero dello sviluppo economico e Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), approdato, poi, nella pubblicazione del summenzionato decreto 19.11.2020, recante la forma di presentazione e le condizioni di utilizzo del logo nutrizionale facoltativo complementare alla dichiarazione nutrizionale, in applicazione dell’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE. «Nutrinform Battery» è un logo raffigurante una batteria elettrica e costituisce una forma di espressione visiva del valore energetico e di alcuni nutrienti, aggiuntiva e volontaria, da apporre sul fronte del packaging5. Il logo è strutturato come segue. Nella prima parte viene riportata la porzione alla quale corrispondono i valori indicati più sotto. Nella seconda parte viene riportata l’indicazione quantitativa di: - Energia (espressa in «kJ» e «kcal»); - Grassi, grassi saturi, zuccheri e sale (in «g»). 5 Per visionare il formato grafico adottato dal decreto interministeriale in oggetto si veda su internet la pagina https://www.nutrinformbattery.it. 40 ALIMENTA Parallelamente, sotto ognuno di questi parametri, viene indicata la percentuale di questi valori apportati da ogni singola porzione consumata rispetto alle quantità giornaliere di riferimento, espresse a mezzo della quantità delle assunzioni di riferimento (AR) di un adulto medio (2.000 kcal/8.400 kJ)6. Questo, attraverso l’immagine di una batteria che si completa a mano a mano che ci si avvicina al totale del nutriente o dell’energia da assumere quotidianamente. La parte carica della batteria rappresenta graficamente la percentuale di energia e nutrienti contenuta nella singola porzione, permettendo di quantificarla anche visivamente. Per una dieta quotidiana equilibrata, la somma di ciò che si assume durante il giorno non deve superare il 100% della quantità di assunzione giornaliera raccomandata. Le quantità di assunzione giornaliera (AR) raccomandate per un adulto medio sono le seguenti: -­‐ energia: 8400 kJ/2000 kcal; -­‐ grassi: 70 g; -­‐ acidi grassi saturi: 20 g; -­‐ zuccheri: 90 g; -­‐ sale: 6 g. In questo modo, viene garantita un’immediata quantificazione visiva dell’apporto di questi nutrienti di un determinato alimento rispetto al totale da assumere nella giornata. I parametri e le percentuali fanno riferimento ai valori europei fissati nella tabella di cui all’allegato XIII, parte B, del regolamento n. 1169/2011/UE. I nutrienti da inserire nel logo corrispondono perfettamente ai nutrienti individuati nella summenzionata «ripetizione lunga» di cui all’articolo 30, paragrafo 3, lettera b) del regolamento e la quantità di energia è anche riportata in valore assoluto con riferimento a 100 g di prodotto, nel rispetto delle regole di ripetizione, 6 Sul punto, si veda il regolamento n. 1169/2011/UE, Allegato XIII, Parte B, cit. L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK 41 nonché dell’articolo 35 nella parte in cui, permettendo l’inserimento front-pack di forme di espressione supplementari, fa espresso riferimento al valore energetico e alle quantità di sostanze nutritive di cui all’articolo 30, paragrafi da 1 a 5. Il decreto prevede alcune esclusioni per quanto riguarda il possibile utilizzo del logo sui prodotti. Il suo campo di applicazione, infatti, esclude: - gli alimenti confezionati in imballaggi la cui superficie maggiore misura meno di 25 cm2, - i prodotti di cui al regolamento n. 1151/2012/UE sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (DOP, IGP, STG), al fine di evitare che il consumatore non comprenda o non riconosca il marchio di qualità a causa dell’apposizione di un ulteriore logo. 3.2. Manuale d’uso della «NutrInform Battery» italiana. Il 19 gennaio 2021 è stato pubblicato il manuale d’uso della «NutrInform Battery»7. Anzitutto, ivi è chiarito che il logo «NutrInform Battery» è un marchio registrato, depositato presso l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale – EUIPO. Titolare del marchio è il Ministero dello sviluppo economico, che lo amministra. L’utilizzo del marchio da parte degli operatori è volontario e a titolo gratuito, non ne comporta il trasferimento di proprietà ed è riservato alle persone fisiche o giuridiche, produttori e distributori di prodotti alimentari commercializzati in Italia e nel mercato unico europeo, mentre le pubbliche amministrazioni possono utilizzare il marchio per le loro campagne informative. 7 Cfr. il Manuale d’uso del marchio nutrizionale «nutrinform battery» consultabile nel sito del Ministero dello sviluppo economico al seguente indirizzo https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Manuale_uso_NutrInform_B attery.pdf. 42 ALIMENTA Il diritto all’utilizzo del marchio viene concesso gratuitamente a tutti gli operatori che ne comunichino la volontà, registrandosi in apposita sezione del sito web del Ministero della salute. Tale registrazione non conferisce agli operatori un uso esclusivo di utilizzazione del marchio. L’utilizzo è personale e non può essere trasferito. Inoltre, il marchio non può essere modificato rispetto alle indicazioni grafiche e di contenuto indicate nel decreto e nel regolamento d’uso. Pertanto, l’O.S.A. è tenuto a riprodurre il marchio così come rappresentato nel decreto, impegnandosi a: - non riprodurre solo una parte del marchio stesso; - non modificare le caratteristiche grafiche del marchio, sia per quanto riguarda la forma che il colore, la posizione degli elementi figurativi e la relativa forma tipografica; - non aggiungere al marchio un testo o qualsiasi altra indicazione che non ne faccia parte. L’O.S.A. non può, altresì, depositare né sviluppare e/o utilizzare, in alcun territorio, marchi o loghi identici o simili che possano danneggiare o essere confusi con il marchio «NutrInform Battery». È fatto, inoltre, divieto di depositare marchi che incorporino, in tutto o in parte, il marchio stesso, nonché registrare domini, che con qualsiasi estensione potrebbero confliggere con esso e/o danneggiarlo. 4. Altre espressioni in altri Paesi dell’Unione: il «Nutri-Score» francese. Il Nutri-Score è stato ideato da un gruppo di ricercatori francesi ed attualmente è utilizzato non solo in Francia, ma anche in altri Stati UE, quali il Belgio e la Germania. Consiste in un logo raffigurante cinque colori (dal verde al rosso, con gradazioni cromatiche intermedie) e cinque lettere (dalla A L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK 43 alla E) combinati tra loro in base alla presenza di elementi considerati positivi (vitamine, minerali, fibre…) e negativi (zuccheri, sale, grassi saturi…)8 L’immagine risulta, quindi, concettualmente assimilabile a una sorta di semaforo che, ove rechi la lettera A e il colore verde scuro, indicherebbe via libera verso quell’alimento, considerato valido sotto il profilo nutrizionale mentre, ove riporti una diversa lettera e un colore tendente al rosso, avvertirebbe della scarsa appetibilità a livello di valori nutrizionali per l’eccessiva presenza, ad esempio, di zuccheri e/o di grassi. A differenza del sistema a batteria italiano, il «Nutri-Score» non rientra (o non dovrebbe rientrare) nell’ambito di applicazione dell’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE (si vedano osservazioni infra), perché non riporta il valore energetico e le quantità di sostanze nutritive con altre e diverse forme espressive, né estrapola, ripetendole, alcune informazioni della dichiarazione nutrizionale, bensì fornisce informazioni sulla qualità nutrizionale complessiva dell’alimento (in tal caso, con lettere e colori). Il sistema «Nutri-Score» è basato sul profilo dei nutrienti, in particolare su algoritmi complessi mediante i quali si calcolano dei punteggi complessivi, che riassumono il valore nutrizionale globale di un alimento. Anche il «Nutri-Score» è un marchio registrato9, la cui titolarità è dell’Agenzia francese per la Sanità Pubblica10, un ente pubblico francese sotto il controllo del Ministero per la salute che lo amministra, concedendolo alle imprese che ne facciano domanda impe8 Per visualizzare la grafica del c.d. “nutriscore” alla francese è possibile consultare il sito web https://www.santepubliquefrance.fr/determinants-desante/nutrition-et-activite-physique/articles/nutri-score. 9 La registrazione è stata effettuata a livello europeo nell’anno 2017, sia come marchio denominativo («Nutri-Score») che figurativo («Nutri-Score ABCDE»). 10 Come si evince dal sito dell’Ufficio per la tutela della Proprietà Intellettuale dell’Unione Europea: https://euipo.europa.eu/eSearch/#basic/1+1+1+1/100+ 100+100+100/nutri-score. 44 ALIMENTA gnandosi a rispettare una serie di regole di utilizzo del marchio, oltre che di calcolo dei valori da esporre sull’etichetta, sulla base delle tabelle nutrizionali imposte dal regolamento d’uso. 4.1. Questioni giuridiche relative al sistema «Nutri-Score». Il sistema «Nutri-Score» francese è stato codificato in una norma nazionale notificata alla Commissione, nell’anno 201711. Il punto è: in base a quale norma europea? Attraverso il riferimento a due articoli del “Code de la santé publique”, il rimando parrebbe essere proprio all’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE12. Il che potrebbe prestarsi a critiche in punto di legittimità del decreto francese, così come del marchio in esso codificato in quanto, pur teoricamente sussistendone i requisiti [annoverati all’articolo 35, paragrafo 1, lettere da a) a g)], ne mancherebbero i presupposti, dato che tale forma di espressione – come sopra detto - non richiama il valore energetico e la quantità delle sostanze nutritive, come previsto e stabilito dall’articolo 3513, ma fornisce in- 11 Cfr. la notifica alla Commissione europea datata 24 aprile 2017, reperibile nel database “Tris” della Commissione europea on line all’indirizzo https://ec.europa.eu/growth/toolsdatabases/tris/en/search/?trisaction=search.detail&year=2017&num=159. 12 Cfr. l’Arrêté du 31 octobre 2017 fixant la forme de présentation complémentaire à la déclaration nutritionnelle recommandée par l’Etat en application des articles L. 3232-8 et R. 3232-7 du code de la santé publique, in https:// www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000035944131, nonché gli articoli 14 della L3232-8 - Création LOI n. 2016-41 du 26 janvier 2016, on line all’indirizzo https://www.legifrance.gouv.fr/codes/article_lc/LEGIARTI000031917917 e 1 del Décret n. 2016-980 du 19 juillet 2016 on line all’indirizzo https://www.legifrance.gouv.fr/codes/article_lc/LEGIARTI000032919106. 13 Cfr. l’articolo 35, paragrafo 1, regolamento n. 1169/2011/UE, a norma del quale «(...) il valore energetico e le quantità di sostanze nutritive di cui all’articolo 30, paragrafi da 1 a 5, possono essere indicati mediante altre forme di espressione e/o presentati usando forme o simboli grafici oltre a parole o numeri (...)». L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK 45 formazioni sulla qualità nutrizionale complessiva dell’alimento (in tal caso, con lettere e colori). Inoltre, il sistema «Nutri-Score», così come strutturato, potrebbe imbattersi in una sovrapposizione giuridica con le norme del regolamento n. 1924/2006/CE (cd. regolamento claims)14. Infatti, tutte le volte in cui questo schema fornisca un’informazione positiva sulla qualità nutrizionale complessiva dell’alimento (ad esempio, con colori verdi e corrispondenti lettere), ricadrebbe sotto la definizione legale di «indicazione nutrizionale» ai sensi del regolamento 1924/2006/CE15. Al che conseguirebbe anche una questione di conformità al disposto dell’articolo 1, paragrafo 3, del regolamento da ultimo citato, il quale stabilisce che: «un marchio, denominazione commerciale o denominazione di fantasia riportato sull’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di un prodotto alimentare che può essere interpretato come indicazione nutrizionale o sulla salute può essere utilizzato senza essere soggetto alle procedure di autorizzazione previste dal presente regolamento a condizione che l’etichettatura, presentazione o pubblicità rechino anche una corrispondente indicazione nutrizionale o sulla salute conforme alle disposizioni del presente regolamento»16. Si tratterebbe di un sistema claudicante, quindi, perché ogni qualvolta, a mezzo del «Nutri-Score», si trasmettessero messaggi complessivamente positivi sulla composizione nutrizionale dell’alimento, il logo/marchio – da intendersi quale indicazione nu- 14 Cfr. il Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006, in GUUE, L 404 del 30.12.2006, pp. 9 ss. relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari. 15 Cfr. R. MOLTENI, Decisioni impegnative per l’etichettatura nutrizionale frontepacco (FP), in DGAAA, www.rivistadga.it. Sul punto si vedano anche le considerazioni di L. GONZALEZ VAQUÉ, Quando la legislazione può essere un ostacolo alla libera circolazione di prodotti alimentari. Il caso del “Semaforo nutrizionale”, in questa stessa Rivista, n. 5/2016, pp. 100 ss. 16 Ricordiamo, al riguardo, che il «Nutri-Score» è un marchio registrato. 46 ALIMENTA trizionale generica – da solo non basterebbe, dovendo essere integrato, di volta in volta, da un corrispondente claim nutrizionale previsto nell’elenco positivo di cui all’Allegato del regolamento in esame. 5. Conclusione. Al di là delle preferenze, chiamiamole, estetiche dell’uno o dell’altro sistema di etichettatura nutrizionale supplementare, ciò che rileva è, come sempre accade, la relativa sostanza e, in particolare, lo scopo per il quale tali sistemi sono stati pensati dal legislatore europeo. Un fine che, per essere conseguito, deve rispettare i presupposti per i quali esso è stato preordinato. Condivisibili sono, sul punto, le osservazioni formulate dal nostro Ministero dello sviluppo economico, all’alba della notifica dell’allora proposta italiana relativa al sistema di etichettatura nutrizionale front-pack17. Il sistema italiano a batteria mira, infatti, a superare gli effetti penalizzanti derivanti dal sistema «Nutri-Score», che utilizza i colori del semaforo per esprimere un giudizio sui prodotti agroalimentari, attraverso un algoritmo di misurazione che, basato su 100 g, li classifica dalla A alla E, in contrapposizione ai principi di una dieta varia ed equilibrata (quale quella mediterranea non si può certo dire non sia), che si basa su un consumo bilanciato di tutti gli alimenti. Con il sistema italiano di etichettatura nutrizionale il Governo, in conformità al dettato normativo di fonte europea, si pone l’obiettivo primario di fornire al consumatore una informazione chiara e sintetica sulla presenza di alcuni nutrienti negli alimenti, utile a collocarli all’interno di una dieta bilanciata. 17 Cfr. il comunicato stampa «Made in Italy: notificato alla Commissione Ue il sistema di etichettatura ‘NutrInform Battery’» del 27 gennaio 2020, reperibile on line sul sito web http://www.mise.gov.it. L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK 47 Ad ogni modo, l’uso nel tempo di tali forme volontarie supplementari di etichettatura nutrizionale front-pack sarà oggetto di monitoraggio da parte della Commissione, attraverso le informazioni inviate dagli Stati membri. Ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 5, del regolamento n. 1169/2011/UE, alla luce dell’esperienza acquisita, la Commissione presenterà una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’uso di tali forme, sul loro effetto nel mercato interno e sull’opportunità di armonizzarle ulteriormente. La Commissione europea è già orientata a proporre, in ogni caso, un sistema di etichettatura nutrizionale front-pack armonizzato a livello UE, che dovrebbe essere adottato entro la fine dell’anno 2022. Valeria Pullini ABSTRACT: Che vi fosse o meno bisogno di un sistema di etichettatura nutrizionale per gli alimenti, ulteriore rispetto alla dichiarazione nutrizionale obbligatoria, non è argomento trattato nel presente elaborato, il quale non contiene, perciò, commenti sul punto, ma si sofferma, invece, sulla relativa strutturazione e sui presupposti giuridico-normativi che ne costituiscono il fondamento. L’etichettatura nutrizionale front-pack è un’indicazione di carattere facoltativo e supplementare, le cui previsione e modalità di espressione e presentazione sono demandate alla decisione di ciascuno Stato membro dell’UE, in virtù di una specifica norma contemplata dal regolamento n. 1169/2011/UE: l’art. 35. Per questo motivo, oltre ad essere facoltativa, tale forma di espressione e presentazione supplementare può anche essere diver- 48 ALIMENTA sa da Stato a Stato all’interno del territorio dell’Unione, diversamente da ciò che accade per l’etichettatura nutrizionale obbligatoria. L’Italia ha adottato nel mese di novembre 2020, a mezzo di apposito decreto interministeriale, la cosiddetta «NutrInform Battery», ossia un logo raffigurante una batteria elettrica, che costituisce una forma di espressione visiva del valore energetico e di alcuni nutrienti, aggiuntiva e volontaria, da apporre sul fronte del packaging. La Francia, invece, già dall’anno 2017, ha proposto e adottato il noto «Nutri-Score», che consiste in un logo raffigurante cinque colori (dal verde al rosso, con gradazioni cromatiche intermedie) e cinque lettere (dalla A alla E) combinati tra loro in base alla presenza di elementi considerati positivi (ad esempio vitamine, minerali, fibre) e negativi (ad esempio zuccheri, sale, grassi saturi). Nell’elaborato vengono posti a confronto i predetti due sistemi supplementari di etichettatura nutrizionale front-pack e, mentre il sistema italiano a batteria sembra rispettare fedelmente il dato normativo europeo di riferimento, quello francese, proprio sotto tale profilo, presenta alcune criticità, che nel presente scritto si è inteso rappresentare. EN: It is not the task of this paper to determine whether or not an additional nutritional labeling system for foods was needed. The present paper focuses on the structure and on the juridical-normative presuppositions, as the foundation of such an optional expression system. Front-pack nutrition labeling is an optional and supplementary indication, whose provisions and methods of expression and presentation are left to the decision of each EU Member State, by virtue of art. 35 of regulation no. 1169/2011/EU. For this reason, besides being optional, this form of additional L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK 49 expression and presentation may also be different from State to State within the territory of the European Union, unlike what happens for mandatory nutrition labeling. In November 2020, Italy adopted, by means of a specific interministerial decree, the so-called “NutrInform Battery”, that is a logo depicting an electric battery to be placed on the front of the packaging. It constitutes an additional and voluntary form of visual expression of the energy value and of some nutrients. France, on the other hand, since 2017, has proposed and adopted the well-known “Nutri-Score”. It consists of a logo depicting five colors (from green to red, with intermediate chromatic gradations) and five letters (from A to E) combined with each other and based on the presence of elements considered positive (for example vitamins, minerals, fibers) and negative (for example sugars, salt, saturated fats). In this report the aforementioned two supplementary frontpack nutritional labeling systems are compared and, while the Italian battery system seems to faithfully respect the European regulatory data of reference, the French one, from this point of view, presents some criticalities, which are here briefly described. PAROLE CHIAVE: Nutrinform Battery – Nutriscore – etichettatura degli alimenti – claims nutrizionali – informazioni sugli alimenti ai consumatori – tabella nutrizionale. Nutrinform Battery – Nutriscore – food labelling – Nutritional claims – Information to consumer – nutrition facts. ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 AUTOCONTROLLO E HACCP: STATO DELL’ARTE DELLA SEMPLIFICAZIONE NELL’AMBITO DELLE ATTIVITÀ DI RISTORAZIONE COMMERCIALE DI PICCOLE E MEDIE DIMENSIONI Sommario: 1. Introduzione – 2. Stato dell’arte – 3. Indagine sul campo – 4. Risultati – 5. Valutazioni conclusive. 1. Introduzione. Il regolamento (CE) n. 852/2004 sull’igiene degli alimenti1 auspica una certa flessibilità relativamente ai requisiti del sistema HACCP in modo tale che possa essere possibile l’applicazione in qualsiasi tipologia di realtà produttiva, comprese le piccole imprese. Quanto previsto dal sistema HACCP risulta, infatti, un’efficace modalità di gestione dei pericoli presenti all’interno di un processo produttivo. Al contempo, però, richiede un impegno da parte dell’O.S.A. e dei suoi addetti. In questa direzione il documento della DG SANCO n. 1995/2005 2 , poi in gran parte inglobato nella Comunicazione 2016/C 278/013, fornisce linee di indirizzo che meglio spiegano la 1 Cfr. il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, in GUUE, L 139 del 30.4.2004, pp. 1 ss. 2 Cfr. il documento Implementation of procedures based on the HACCP principles, and facilitation of the implementation of the HACCP principles in certain food businesses, disponibile on line al seguente indirizzo https://www.fsai.ie/uploadedFiles/EU_Guidance_HACCP.pdf. 3 Cfr. la Comunicazione della Commissione relativa all’attuazione dei sistemi di gestione per la sicurezza alimentare riguardanti i programmi di prerequisiti (PRP) e le procedure basate sui principi del sistema HACCP, compresa l’agevolazione/la flessibilità in materia di attuazione in determinate imprese alimentari, 2016/C 278/01, pubblicata in GUUE, C 278 del 30 luglio 2016, pp. 1 ss. 52 ALIMENTA flessibilità applicativa, già delineata all’interno del Pacchetto Igiene, e forniscono una linea di indirizzo più precisa circa l’applicazione delle procedure basate sui principi del sistema HACCP. L’allegato II del documento del 2005, divenuto all. III del documento del 2016, definisce come può essere operata la semplificazione nella pratica quotidiana delle imprese di piccole dimensioni in riferimento agli obblighi definiti dal Pacchetto Igiene ritenuti maggiormente stringenti per talune realtà. Pare quindi interessante valutare come e se le procedure di semplificazione abbiano rappresentato per l’O.S.A. delle piccole imprese uno stimolo e quindi valutare il livello di applicazione e di conformità all’interno delle realtà di ristorazione commerciale. 2. Stato dell’arte. Conformemente a quanto previsto dal regolamento (CE) n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, gli operatori (O.S.A.) di tutte le attività alimentari devono rispettare i requisiti generali di igiene (Good Hygiene Practices, GHP) previsti negli allegati I (produzione primaria e operazioni associate) o II (altri O.S.A.) del Regolamento. Inoltre, l’O.S.A., deve mettere in atto, implementare e mantenere una o più procedure permanenti basate sui principi dei punti del sistema HACCP (controllo dei punti critici) (articolo 5). In particolare, ogni O.S.A. deve essere in grado di integrare, in modo ottimale, i principi del sistema HACCP con i programmi prerequisiti (PRP) soprattutto GHP, GMP e le disposizioni sulla tracciabilità. Il regolamento tuttavia sottolinea la necessità di flessibilità in riferimento alle piccole imprese: in alcune aziende, infatti, non è possibile identificare i CCP e, in alcune situazioni le GHP e, in generale i PRP, possono sostituire le attività di monitoraggio dei CCP (cfr. il considerandum 11 regolamento (CE) n.852/2004). AUTOCONTROLLO E HACCP 53 Nel 2005 viene emesso, ad opera del Direttorato Generale per la salute e Protezione del Consumatore dell’Unione Europea (SANCO/1955/2005), il documento “Guida all’applicazione delle procedure basate sui principi del sistema HACCP e alla semplificazione dell’attuazione dei principi del sistema HACCP in talune imprese alimentari”: pur non essendo stato adottato e formalmente approvato dalla Commissione Europea – se non in forma modificata nel 2016, come anticipato in precedenza – esso fornisce una guida per l’implementazione, nelle aziende, delle procedure per l’HACCP e per la semplificazione applicativa dell’HACCP in alcune imprese alimentari. Lo scopo di questo documento era fornire chiarimenti sulla flessibilità in merito all’attuazione delle procedure basate sui principi del sistema HACCP. All’allegato II, infatti, viene definito come può essere operata la semplificazione nella pratica quotidiana delle imprese di piccole dimensioni, in riferimento agli obblighi definiti dal Pacchetto Igiene ritenuti maggiormente incombenti per talune realtà. Riassumendo: - la possibilità di semplificare poggia sulla considerazione che, se l’obiettivo di individuare e controllare i pericoli, che risulta raggiungibile mediante l’applicazione del sistema HACCP, viene conseguito con l’ausilio di strumenti più semplici da adottare ma ugualmente efficaci, può ritenersi soddisfatto quanto prescritto dal Pacchetto Igiene; - l’applicazione dei programmi prerequisito è antecedente all’applicazione dei principi basati sul sistema HACCP, tanto da risultare la base sulla quale quest’ultimi poggiano. Nel caso in cui tali prerequisiti risultino sufficienti ad un efficace controllo dei pericoli, non appare più necessaria la predisposizione ed applicazione del sistema HACCP. Tale condizione potrebbe evidenziarsi in realtà produttive all’interno delle quali non insistono preparazioni o, se presenti, richiedono una manipolazione degli alimenti molto ridotta; 54 ALIMENTA - i manuali di corretta prassi operativa sono individuati quale strumento semplice ed efficace per rispondere agli obblighi normativi, in materia di applicazione del sistema HACCP, in imprese alimentari di dimensionamento ridotto. La loro utilità è misurabile sia in veste di strumento di controllo che in qualità di attestazione di conformità alla normativa. Essi devono essere strutturati in modo tale da considerare tutti i pericoli presenti all’interno dell’attività e definire, per ciascuno di questi, misure di controllo ed azioni correttive, senza però approfondire la natura di tali pericoli e procedere all’individuazione dei CCP. La mancata individuazione è possibile in considerazione del fatto che, in realtà di dimensioni ridotte e caratterizzate da preparazioni semplici, i CCP risultano spesso assenti o facilmente gestibili con l’adozione di GMP. Per riassumere, questi manuali rappresentano la coniugazione di buone pratiche igieniche e di alcuni elementi basati sui principi del sistema HACCP; - rispetto a quanto definito dal principio 1 del sistema HACCP, ovvero provvedere ad una accurata analisi dei pericoli presenti all’interno del processo produttivo, per aziende di piccolemedie dimensioni potrebbe non essere necessario procedere a tale analisi, se i programmi prerequisito si dimostrassero sufficienti al controllo generalizzato dei vari pericoli che potrebbero delinearsi. Diversamente, potrebbe risultare necessario analizzare i pericoli, salvo poi considerare l’adozione di programmi prerequisito un mezzo sufficiente al loro controllo; - rispetto a quanto definito dal principio 4, ovvero la necessità di stabilire un sistema di monitoraggio, la DG SANCO ribadisce la possibilità di stabilire procedure di controllo di facile applicazione. In taluni casi, in cui il controllo risulta già operato dall’attrezzatura in cui avviene la fase da verificare (es. cottura in apparecchiatura in grado di calibrare opportunamente il rapporto tempo/temperatura), risulta possibile omettere un ulteriore controllo esterno da parte dell’operatore, purché la funzionalità dell’apparecchiatura venga periodicamente valutata; AUTOCONTROLLO E HACCP 55 - infine, l’obbligo di registrazione, definito dal settimo ed ultimo principio, è da intendersi parzialmente applicabile in realtà di dimensionamento ridotto. Per queste realtà le registrazioni devono essere limitate al minimo indispensabile, nell’ottica di rispondere esclusivamente all’unico obiettivo da perseguire, ovvero quello della sicurezza alimentare. Si considera valutabile la possibilità di procedere alla registrazione solo nel caso in cui l’operazione di monitoraggio abbia evidenziato una non conformità; tali registrazioni devono necessariamente includere le misure correttive adottate in seguito. La DG SANCO consiglia come strumento adottabile finalizzato a tale scopo un diario o una check-list. Le registrazioni devono essere conservate, a disposizione dell’autorità competente, per un periodo di tempo «ragionevole» non più precisamente specificato. Pertanto l’O.S.A. che sceglie, in virtù del dimensionamento e della tipologia della propria attività, di adottare una procedura semplificata deve garantire che questa sia in grado di controllare i pericoli che caratterizzano il processo produttivo di cui si fa garante. La semplificazione delineata dalla DG SANCO ha senz’altro facilitato molto la capacità di rispondere alle richieste normative da parte delle microimprese nelle quali, per definizione, rientrano le aziende con un numero inferiore ai 10 dipendenti ma, nonostante ciò, permangono in queste realtà produttive alcune criticità. Quest’ultime emergono chiaramente dal confronto con l’Autorità di Controllo che, ancora oggi, in fase di ispezione si trova a sanzionare l’O.S.A. per le mancanze imputabili ad una scorretta o parziale applicazione delle procedure di autocontrollo semplificate. Ma come si pone l’O.S.A. nei confronti di questa flessibilità? È in grado di cogliere il supporto rappresentato dalla possibilità di applicare, all’interno della propria realtà delle procedure semplificate ma che garantiscano un elevato il livello di sicurezza alimentare? 56 ALIMENTA 3. Indagine sul campo. Al fine di valutare il livello di adesione di alcune realtà di ristorazione commerciale, presenti sul territorio della regione Piemonte (ASL TO1, TO3, TO4, TO5), alle procedure flessibili individuate dalla DG SANCO, sono state condotte due indagini. Tutte le realtà rientravano nella definizione di piccole imprese ed usufruivano della procedura semplificata che avrebbe dovuto essere applicata correttamente al fine di garantire i potenziali pericoli insiti nella loro attività. La prima indagine ha riguardato 19 attività rientranti nelle tipologie individuate dal D.P.G.R. n. 2/R del 3 marzo 20084 (Tipologia 1- 4) ed ha approfondito, in particolare, due procedure: il controllo e monitoraggio delle temperature e la gestione della rintracciabilità e tracciabilità. La seconda indagine invece, condotta successivamente a quella descritta in precedenza, ha voluto indagare in merito ad altre procedure e, più precisamente, la procedura di gestione dei materiali e oggetti a contatto alimenti (M.O.C.A.) e la procedura di manutenzione impianti: l’indagine ha riguardato 20 realtà (Tabella 1). 4 Cfr. il decreto del Presidente della Giunta regionale 3 marzo 2008, n. 2, Regolamento regionale recante Nuove norme per la disciplina della preparazione e somministrazione di alimenti e bevande, relativamente all’attività di bar, piccola ristorazione e ristorazione tradizionale. Abrogazione dei regolamenti regionali 21 luglio 2003, n. 9/R, 20 ottobre 2003, n. 12/R, 5 luglio 2004, n. 3/R, 21 dicembre 2004, n. 16/R, 28 dicembre 2005 n. 8/R, in GU, 3a Serie Speciale – Regioni, n.18 del 03 maggio 2008. 57 AUTOCONTROLLO E HACCP Tabella 1. Descrizione delle tipologie di ristorazione oggetto di monitoraggio in entrambe le indagini e territorio ASL di competenza. Tipologia ASL di competenza Totale (tipologia) Prima indagi- TO1 TO3 TO4 TO5 1 0/0 0/0 0/0 1/0 1 2 2/2 0/2 0/3 0/2 11 3 1/4 1/1 1/0 0/2 10 4 8/1 4/1 1/1 0/1 17 18 9 6 6 39 ne/seconda indagine TOTALE REALTÀ Le procedure sono state individuate considerando sia l’elevato numero di criticità riscontrate nella loro applicazione, sia per la loro importanza nel garantire la sicurezza dei prodotti per il consumatore finale. Le informazioni sono state ottenute mediante l’utilizzo di una check-list e di un questionario5. La check-list ha scomposte le procedure in fasi elementari delle quali è stata valutata la corretta/scorretta o mancata applicazione. Il questionario, somministrato al termine del sopralluogo, ha permesso di: • sondare il livello di consapevolezza dell’OSA rispetto alle proprie criticità; • sondare il livello di priorità che egli attribuisce al rispetto delle procedure di autocontrollo; • sondare l’impegno con cui ritiene di rispondere a tali adempimenti; • indagare le motivazioni alle quali l’OSA imputa le proprie carenze o la scarsa attribuzione di importanza alla tematica; 5 La check-list è disponibile on line sul sito di questa Rivista all’indirizzo https://www.rivistalimenta.com/grassi-1-21. 58 ALIMENTA • comprendere il rapporto che l’OSA ha instaurato con l’Autorità Competente; • comprendere il livello di sicurezza con il quale egli si sentirebbe di conferire con lo stesso per evidenziare se venga percepito come uno strumento di cui avvalersi o un’istituzione dalla quale nascondersi; • raccogliere i suggerimenti dell’OSA per agevolarne la corretta applicazione delle procedure. 4. Risultati. I dati raccolti attraverso la check-list sono stati interpretati assegnando un punteggio basato sul livello di aderenza alle procedure semplificate, oggettivamente riscontrato durante il sopralluogo, che ha rispettato i seguenti parametri: - in caso di scorretta o mancata applicazione è stato assegnato il valore 0 (zero); - in caso di applicazione parziale il valore 0,5; - in caso di applicazione corretta il valore 1. In merito al livello di aderenza da parte dell’OSA a tutte le procedure semplificate, oggetto dell’indagine, possiamo affermare come i risultati evidenzino una situazione non del tutto rassicurante, inducendo peraltro alla considerazione che la finalità della semplificazione sia stata del tutto disattesa. Il questionario è stato formulato per integrare i risultati delle check-list con i dati raccolti mediante l’indagine dei seguenti aspetti: 1. Livello di priorità che l’O.S.A. attribuisce all’esecuzione delle procedure di autocontrollo all’interno della propria attività. Il questionario ha evidenziato, da parte dell’O.S.A., una priorità essenzialmente legata ad eventuali perdite economiche: si provvede, ad esempio, alla regolare manutenzione delle apparecchiature utilizzate per la conservazione e preparazione degli alimenti e, in AUTOCONTROLLO E HACCP 59 virtù della costanza con cui vengono effettuati questi interventi di verifica e, eventualmente, di ripristino della funzionalità, gli O.S.A. ritengono possibile trascurare, per alcune fasi il rilevamento costante delle temperature. Altrettanto onerose vengono considerate dall’O.S.A. le richieste in merito alla gestione allergeni (regolamento UE n.1169/20116), procedura ritenuta, peraltro, scarsamente utile: consumatori con problematiche di allergie e/o intolleranze, provvedono spontaneamente ad informarne l’O.S.A. od a richiedere informazioni in merito all’eventuale presenza. È, inoltre, emerso un divario tra esecuzione pratica della procedura e redazione ed aggiornamento della parte documentale ad essa correlata: gli O.S.A. hanno univocamente attribuito un elevato livello di priorità al rispetto delle procedure di autocontrollo dal punto di vista operativo, manifestando un forte dissenso alla necessità di aderire alle procedure per quanto concerne la parte di registrazioni e conservazione di attestazioni documentali. Proprio in virtù dello scarso livello di priorità attribuito, la parte documentale è quella in cui sono state evidenziate maggiori carenze. Nonostante la semplificazione operata per questo tipo di imprese, gli O.S.A. dichiarano di non essere in grado di rispondere in modo esaustivo alle richieste avanzate in questo ambito. Il loro margine di azione si limita alla possibilità di operare nel miglior modo possibile in ambito pratico, ma non gli consente di assolvere adeguatamente agli obblighi dal punto di vista documen- 6 Cfr. il Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione, in GUUE, L 304 del 25. 10. 2011, pp. 1863. 60 ALIMENTA tale. Attraverso le risposte del questionario è stato possibile ricondurre tale carenza, per tutti gli OSA intervistati, ad un’unica causa: la mancanza di tempo. 2. Livello di consapevolezza dell’O.S.A. rispetto alle carenze evidenziabili all’interno della sua attività. La domanda relativa a tale punto era diretta e chiedeva, all’OSA, se era consapevole della presenza, nella sua attività, di carenze relative alle procedure definite dal proprio piano di autocontrollo. Il 75% degli O.S.A. (14 nella prima indagine e 15 nella seconda) hanno risposto affermativamente, dimostrando inoltre di riconoscerle e saperle illustrare. Il 25% (5 sia nella prima che nella seconda indagine) invece ritiene che, all’interno della propria attività, non vi sono carenze relative all’applicazione delle procedure definite dal manuale di autocontrollo: è interessante riportare che tra questi una sola realtà, in effetti, presentava un risultato soddisfacente in termini di aderenza alla procedura. Il quesito è stato posto con la finalità di indagare la capacità degli O.S.A. nell’individuare eventuali problematiche e fattori di pericolo, a prescindere dall’abilità e/o possibilità di provvedere alla loro eliminazione o riduzione. Tale capacità rappresenta il punto di partenza per comprendere se l’adozione di semplificazioni a livello operativo e documentale, funzionali per l’O.S.A. alla corretta applicazione delle procedure, si rivela sufficiente alla risoluzione delle criticità evidenziate. Un’incapacità nell’individuare i fattori di pericolo vanifica, infatti, l’impatto positivo che tali soluzioni semplificative possono sortire. 3. Rapporto con l’Autorità Competente. Le risposte fornite attraverso il questionario hanno evidenziato una certa insofferenza da parte dell’O.S.A. nei confronti dell’Autorità di controllo. Tale atteggiamento, a detta loro, non deriva dall’obbligo di essere conformi a quanto previsto dalla normativa ma, soprattutto, dalla difficoltà nel comprendere come districarsi tra le differenti richieste dell’Autorità di Controllo. AUTOCONTROLLO E HACCP 61 Tali richieste vengono percepite come discordanti tra loro e gli O.S.A. non si ritengono in grado di identificare ed adottare modalità d’azione che assicurino una conformità normativa. Alla complessità lamentata dagli O.S.A. influisce anche l’esistenza di differenti autorità preposte al controllo che valutano, con approcci diversificati, le medesime attività. I risultati ottenuti dall’indagine, tuttavia, suggeriscono che la condizione di scarsa chiarezza imputata all’Autorità di controllo, possa costituire una scusante al mancato rispetto della normativa. Si è ritenuto quindi necessario approfondire la questione, verificando le modalità di sopralluogo, le non conformità rilevate ed i provvedimenti conseguentemente applicati. Nell’ambito della seconda indagine sono stati selezionati 60 verbali (15 per ogni tipologia) che garantissero una rappresentatività sia del territorio, sia degli ispettori che operano all’interno del Dipartimento di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (SIAN) dell’ASL TO 3. L’analisi dei verbali, ha permesso di evidenziare come le richieste e i controlli effettuati dall’Autorità competente, nei confronti dell’O.S.A., siano omogenei: è quindi possibile definire infondato quanto lamentato dagli OSA nella prima indagine 5. Valutazioni conclusive. Analizzando i risultati ottenuti da entrambe le indagini, il quadro generale è poco rassicurante. - Controllo e monitoraggio delle temperature. In base al risultato delle check-list le realtà che garantiscono un’aderenza sufficiente alla procedura sono meno della metà. L’analisi dei risultati ottenuti con il questionario hanno permesso di approfondire le cause di tali criticità: omissione del procedimento di taratura degli strumenti utilizzati per il rilevamento della temperatura per dimenticanza o non conoscenza della presenza di tale procedura nel manuale. 62 ALIMENTA La mancanza di tempo invece sembra essere la motivazione più accreditata per il mancato controllo delle temperature della merce in fase di ricevimento. La verifica inoltre non viene eseguita nemmeno quando è l’OSA stesso a procurare e trasportare le materie prime, evidenziando una scarsa consapevolezza dei pericoli ad essa correlati. In alcune realtà la procedura prevista dal manuale viene omessa in quanto sprovviste di termometro a sonda. - Gestione delle non conformità. Una sola, su 19 realtà indagate nella prima indagine, ha dimostrato di rispettare in toto la procedura, provvedendo anche alla registrazione della non conformità. La maggioranza degli operatori interpellati a tal proposito, infatti, ritengono superflua la registrazione. Anche i risultati ottenuti nella seconda indagine non sono migliori: il 65% delle attività visionate non procede con la registrazione delle non conformità pur essendo presente, nel manuale di autocontrollo, una procedura che prevede la data rilevazione non conformità, l’impianto nel quale si è rilevata la non conformità, che tipo di non conformità si è rilevata e la misura correttiva adottata. La pressoché totalità degli O.S.A. afferma che, nonostante la semplificazione data dalla normativa, non sono in grado di adempiere in modo corretto alle prescrizioni imposte. - Rintracciabilità e tracciabilità. I risultati ottenuti sono più rassicuranti rispetto al parametro temperatura: 11 attività su 19 rivelano la capacità di aderire, con risultati soddisfacenti, alla procedura; 7 attività, per le quali sono state evidenziate maggiori criticità, si attestano quasi tutte su risultati prossimi alla sufficienza; solamente 2, tra le 19 attività indagate, presentano difficoltà significative nel rispettare tutte le fasi della procedura e rispondere, quindi, agli obblighi normativi in materia. La conservazione delle etichette, unitamente all’identificazione dei prodotti lavorati e semilavorati, è una delle fasi per la quale si riscontra il maggiore numero di difficoltà legate ad una carenza di tempo. AUTOCONTROLLO E HACCP 63 Particolarmente frequente il riscontro di prodotti lavorati e semilavorati privi di tracciabilità interna. Anche in questo caso la mancanza di tempo viene indicata come il fattore più condizionante, associata alla scarsa utilità che l’O.S.A. gli attribuisce. I risultati relativi alla seconda indagine individuano, in assoluto, questa la procedura per cui gli O.S.A. riscontrano maggiore difficoltà ritenuta, infatti, dal 40% degli operatori la più complessa da gestire. In sede di sopralluogo è stato possibile osservare come nella maggioranza delle attività siano presenti, all’interno dei frigoriferi, prodotti privi di diciture ed etichette eludendo completamente sia la rintracciabilità del prodotto, sia la tracciabilità interna. Particolare criticità si rileva sulla rintracciabilità del lotto della materia prima che compone il prodotto lavorato o semilavorato. In particolare emerge che gli O.S.A. attribuiscono un elevato livello di priorità al rispetto delle procedure di autocontrollo dal punto di vista operativo; ciò che ha suscitato maggior dissenso è la necessità di aderire alle procedure per quanto concerne la parte di registrazioni e conservazione di attestazioni documentali. Nonostante la semplificazione operata per questo tipo di imprese, gli O.S.A. dichiarano di non essere in grado di rispondere in modo esaustivo alle richieste avanzate in questo ambito. Il questionario indagava inoltre sulla formazione del personale. La registrazione dell’intervento formativo che l’O.S.A. effettua ai suoi addetti viene visto come obbligo puramente formale perché la formazione, secondo quanto affermato dagli operatori, avviene costantemente nel corso dello svolgimento dell’attività. Pertanto, la programmazione di un incontro formativo interno, come riportato all’interno del manuale, risulta fine a sé stesso e non rispondente alla realtà dei fatti. La formazione del personale risulta, in entrambe le indagini, avere un livello di priorità differibile. Per alcune attività la soluzione consiste, quindi, 64 ALIMENTA nell’eliminazione degli obblighi documentali, considerandone la scarsa utilità ai fini della tutela del consumatore. Alcuni O.S.A., invece, riconoscono alla produzione documentale una finalità nel tutelare l’azienda in fase di controllo ufficiale. Per questo motivo da alcuni questionari sono emersi diversi suggerimenti da parte degli operatori per preservare la parte documentale, ma individuando modalità di compliance differenti da quelle attualmente in uso. - Gestione dei M.O.C.A. Solo il 50 % degli O.S.A. mantiene la rintracciabilità dei M.O.C.A., mentre il 30% non mantiene la rintracciabilità in quanto non consapevoli che, pur se in possesso del manuale, anche per questi prodotti deve essere mantenuta la rintracciabilità o poiché la ritengono di importanza minore rispetto alla rintracciabilità degli alimenti. Particolarmente critico il dato relativo ad una percentuale pari al 20 %, sprovvisto del manuale e per il quale quindi si ha la mancata applicazione della procedura in esame. Anche in tale situazione viene lamentata da parte dell’O.S.A. una carenza di tempo ma, secondo quanto osservato, la causa è imputabile alla formazione dell’operatore: verosimilmente in fase formativa non è stato attribuito il giusto peso o non viene espressa, in modo esaustivo, la procedura di rintracciabilità di questi prodotti. Ne è evidenza che, in fase di colloquio finale, ponendo le domande sui M.O.C.A., l’O.S.A. non riusciva a capire a cosa si volesse fare riferimento. Anche in merito alle dichiarazioni di conformità dei M.O.C.A., i risultati non sono rassicuranti: il 60 % degli O.S.A. non risulta essere in possesso della dichiarazione di conformità nonostante sia in possesso del manuale di autocontrollo, mentre il 20 % è sprovvisto sia di dichiarazione di conformità che di manuale di autocontrollo. Per quanto riguarda il 20 % che applica correttamente la fase elementare, gli O.S.A. riferiscono di avere difficoltà nel richiedere ai fornitori la dichiarazione di conformità poiché talvolta non sanno cosa sia o che vi sia necessità di questa. AUTOCONTROLLO E HACCP 65 - Procedura manutenzione impianti. Alla luce dei dati ottenuti si rileva che il 75% degli O.S.A. non rispetta le periodicità previste dal manuale. L’O.S.A. effettua interventi manutentivi in base alle convenienze del momento e, nella maggior parte dei casi, gli interventi sono mirati a tamponare alcune situazioni piuttosto che a risolvere in modo permanente le reali problematiche. Gran parte degli operatori del settore alimentare non rispettano la periodicità poiché ritengono che l’esperienza maturata nel settore sia sufficiente ad individuare le non conformità delle attrezzature, senza la necessità di un controllo periodico stabilito. Il mancato rispetto della periodicità definita dal manuale è inoltre imputabile ad una scarsa conoscenza di quanto definito all’interno della procedura, evidenziando così le lacune conoscitive dell’O.S.A. In realtà secondo i dati ottenuti viene smentito in toto quanto dichiarato dall’O.S.A. in sede di confronto, poiché il 70% delle attività al suo interno ha strumenti non adeguatamente manutenuti. Molte delle non conformità, peraltro, sono state rilevate sulle apparecchiature frigorifere: guarnizioni, termometri, pulizia interna ecc. Come riportato in precedenza, il 65% delle attività indagate non procede con la registrazione delle non conformità, evidenziando quindi questa procedura come una delle più omesse. Il questionario prevedeva anche di verificare se l’O.S.A. fosse consapevole delle carenze relative alla propria attività: il 75 % degli O.S.A. intervistati, in entrambe le indagini, ne è consapevole, ed il 25% dichiara che all’interno della propria attività non vi sono carenze relative all’applicazione delle procedure definite dal manuale di autocontrollo. L’applicazione di procedure semplificate è stata prevista al fine di permettere a realtà produttive di piccole dimensioni, di operare in conformità a quanto previsto dalla normativa in merito alla sicurezza alimentare in maniera congrua sia al personale operante, sia alla produttività della struttura. 66 ALIMENTA Sarebbe pertanto auspicabile che abbia rappresentato per l’O.S.A. una notevole agevolazione e la possibilità di operare in modo ottimale, garantendo ai consumatori uno standard di sicurezza ineccepibile. I risultati ottenuti dalle due indagini rilevano tuttavia un quadro non del tutto rassicurante, caratterizzato da molteplici ambiti in cui l’O.S.A. risulta inadempiente in modo totale o parziale. Tali carenze sono riconducibile a «fattori predisponenti» quali: - mancanza di tempo che impedisce all’O.S.A. di effettuare totalmente o parzialmente quanto richiesto dalla procedura; - l’attribuzione di scarsa rilevanza ad alcuni adempimenti, ritenuti di minor impatto nell’ottica di fornire al consumatore un alimento incapace di provocargli un danno alla salute; - la dimenticanza di quanto previsto dalle procedure; - la scarsa consapevolezza dei rischi manifestata da alcuni O.S.A. nel corso delle visite, fattore che sicuramente influenza i precedenti in varia misura; - la confusione degli O.S.A. relativamente agli obblighi normativi, che genera il pretesto per eventuali inadempimenti. L’analisi dei dati ottenuti evidenzia tuttavia un fattore che può essere considerato come «di base» per gli altri precedentemente riportati: la scarsa formazione dell’O.S.A. La formazione di base viene fornita all’operatore precedentemente all’apertura dell’attività: coloro che vogliono aprire un’attività di commercio al dettaglio relativamente al settore merceologico alimentare e di somministrazione di alimenti, devono essere in possesso di uno dei requisiti professionali definiti dal Decreto Legislativo 26 marzo 2010, n.597: 1. avere frequentato con esito positivo un corso professionale per il commercio, la preparazione o la somministrazione degli alimenti; 7 Cfr. il Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, in GURI n. 94 del 23 aprile 2010 - Suppl. Ordinario n. 75. AUTOCONTROLLO E HACCP 67 2. avere prestato la propria opera, per almeno due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, presso imprese esercenti l’attività nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all’amministrazione o alla preparazione degli alimenti, o in qualità di socio lavoratore o, se trattasi di coniuge, parente o affine, entro il terzo grado, dell’imprenditore in qualità di coadiutore familiare; 3. essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennale, o di altra scuola ad indirizzo professionale, almeno triennale, purché nel corso di studi siano previste materie attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti. In virtù di quanto sopra espresso e dalle lacune formative evidenziate, la domanda che ci si pone è: «gli enti di formazione accreditati presso la Regione Piemonte, allo svolgimento dei suddetti corsi, adempiono esattamente a quanto espresso dai punti obbligatori Previsti dalla Deliberazione della Giunta Regionale 31 luglio 2015, n. 24-1951, che disciplina i corsi di formazione professionale per l’esercizio di un’attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare e di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande?». Altro quesito che emerge dallo studio svolto è se, dal punto di vista formativo, gli operatori che vengono abilitati, in virtù del punto due del già cit. d.lgs. 59/2010, abbiano le conoscenze necessarie per tutelare il consumatore. Necessiterebbe quindi rivedere il metodo di rilascio del requisito e la conformità dei corsi SAB forniti da enti di formazioni privati, rispetto a quanto richiesto dalla Deliberazione della Giunta Regionale 31 luglio 2015, n. 24-1958. 8 Cfr. la Deliberazione della Giunta Regionale 31 luglio 2015, n. 24-1951, Disciplina del corso di formazione professionale per l’esercizio di un’attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare e di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande. Revoca D.G.R. n. 13-2089 del 68 ALIMENTA Una formazione efficace deve essere in grado di far percepire all’O.S.A. che la corretta applicazione del manuale di autocontrollo non significa l’applicazione di una sola procedura, ma un impegno costante e commisurato in tutte le procedure, in modo da arrivare ad un livello soddisfacente di aderenza a tutto il manuale. Si impone quindi la necessità di instaurare un processo formativo rinnovato, che partendo dalle sue conoscenze pregresse, sensibilizzi il personale sulle normative in modo da condurlo ad acquisire consapevolezza sui rischi aziendali e sulle modalità con cui rimodulare le misure di prevenzione. L’obbiettivo di questo nuovo processo formativo non deve essere quello di dare all’O.S.A. nozioni a cui non è interessato ma piuttosto poche ed essenziali nozioni di base, fondamentali per una corretta gestione dei rischi e tutela della salute dei consumatori. Maria Ausilia Grassi 24/05/2011, in BURP, n. 31 del 06 agosto 2015. AUTOCONTROLLO E HACCP 69 Allegati: Grafico 1. Risultati ottenuti dalla valutazione delle check-list relativi alla procedura per il controllo ed il monitoraggio delle temperature. Grafico 2. Risultati ottenuti dalla valutazione delle check-list relativi alla procedura inerente la Tracciabilità e la rintracciabilità. 70 ALIMENTA Grafico 3. Risultati ottenuti dalla valutazione delle check-list relativi alla procedura inerente la gestione dei M.O.C.A. Grafico 4. Risultati ottenuti dalla valutazione delle check-list relativi alla procedura inerente la manutenzione degli Impianti. AUTOCONTROLLO E HACCP 71 ABSTRACT A seguito della semplificazione dell’impianto normativo in materia alimentare, gli Operatori del Settore Alimentare (OSA), beneficiano di una certa flessibilità nell’applicazione del sistema, permettendogli quindi di garantire la sicurezza delle loro produzioni. Attraverso la compilazione di questionari da parte dell’OSA e di check-list in fase di sopralluogo, si è voluto indagare il livello di adesione alle procedure semplificate, di alcune microimprese operanti nel settore della ristorazione collettiva. L’indagine ha evidenziato, per la quasi totalità delle realtà analizzate, una situazione non soddisfacente, imputabile soprattutto a gravi carenze formative degli OSA interessati. EN: By simplifyng the food regulatory system, the Food Business Operators (FBO) benefit from a certain flexibility in the application of the system, thus allowing them to guarantee the safety of their productions. Through the completion of questionnaires by the FBO and check-lists during the inspection phase, we wanted to investigate the level of adherence to the simplified procedures of some microenterprises operating in the collective catering sector. The survey highlighted, for most of the realities analyzed, an unsatisfactory situation, attributable above all to serious training deficiencies of the FBOs concerned. PAROLE CHIAVE HACCP – igiene degli alimenti – autocontrollo – semplificazione - imprese artigiane. HACCP – Food hygene – self-control – semplification – food production – craft industries. ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI: LA TRACCIABILITÀ ANALITICA DEL TARTUFO BIANCO Sommario: 1. Introduzione – 2. I microelementi nelle piante e negli alimenti di origine vegetale – 3. Autenticazione, tracciabilità e il Tuber magnatum Pico – 4. Valutazioni conclusive. 1. Introduzione. Il Tuber magnatum Pico o tartufo bianco è uno degli alimenti più noti e pregiati al mondo, oltre che tra i più costosi1. Nonostante questa specie sia diffusa in varie regioni italiane, oltre che nei Balcani, in Francia sudorientale, in Svizzera e in Ungheria, è universalmente noto che il tartufo bianco d'Alba, raccolto nel Monferrato, nelle Langhe e nel basso Piemonte, è considerato in assoluto il migliore: la quotazione per il 2020, benché annata non tra le migliori, variava comunque tra 275 e 300 euro/hg2. Questi prezzi, e il valore aggiunto che il marchio riversa sul territorio, sono attrattive formidabili per chi vuole frodare i clienti e infatti il tartufo bianco d'Alba è anche da annoverare tra gli alimenti più contraffatti al mondo, per quanto non ci siano prove concrete di ciò perché, molto semplicemente, non sono previsti test diagnostici per la verifica della sua provenienza geografica. Eppure, non sarebbe difficile: il tartufo, come e più degli altri prodotti ortofrutticoli, ha tutte le caratteristiche per essere sottoposto con successo a verifiche analitiche dell’origine, come verrà dettagliato meglio in seguito. Attualmente non ci sono strumenti tecnici previsti da normative cogenti per combattere la contraffazione in questo campo. 1 https://quifinanza.it/varie/foto/i-10-cibi-piu-costosi-al-mondo-due-di-questi-sonoitaliani/3124/attachment/il-tartufo-bianco-di-alba/ 2 https://www.tuber.it/borsino-del-tartufo 74 ALIMENTA D’altronde potrebbe sembrare anomalo ricorrere ad analisi con sofisticati strumenti in un mondo in cui la maggior parte delle transazioni economiche si regolano con una stretta di mano. Nondimeno, la ricerca scientifica negli ultimi anni ha messo a disposizione potenti mezzi diagnostici da usare per combattere la contraffazione: il naso elettronico che riconosce la distribuzione degli aromi3, l’analisi del DNA che permette di identificare le eventuali aggiunte di materiale di altre specie mediante l’identificazione dei genomi presenti4, alcune tecniche spettroscopiche quali la spettrofotometria nel vicino infrarosso5, l’analisi degli isotopi stabili che sfrutta la marcatura isotopica di carbonio, idrogeno e ossigeno6, la determinazione di specifiche classi di composti chimici quali gli aromi7 e gli steroli8. 3 G. PENNAZZA - C. FANALI - M. SANTONICO - L. DUGO - L. CUCCHIARINI - M. DACHA - A. D'AMICO - R. COSTA - P. DUGO - L. MONDELLO, Electronic nose and GC-MS analysis of volatile compounds in Tuber magnatum Pico: Evaluation of different storage conditions, in Food Chem., 2013, 136, 668-674, DOI: 10.1016/j.foodchem.2012.08.086. 4 R. RIZZELLO - E. ZAMPIERI - A. VIZZINI - A. AUTINO - M. CRESTI - P. BONFANTE - A. MELLO, Authentication of prized white and black truffles in processed products using quantitative real-time PCR, in Food Res. Int., 2012, 48, pp. 792797, DOI: 10.1016/j.foodres.2012.06.019; S. SCHELM - M. SIEMT - J. PFEIFFER C. LANG - H. V. TICHY - M. FISCHER, Food Authentication: Identification and Quantitation of Different Tuber Species via Capillary Gel Electrophoresis and Real-Time PCR, in Foods, 2020, 9, 501, DOI: 10.3390/foods9040501. 5 T. SEGELKE - S. SCHELM - C. AHLERS - M. FISCHER, Food Authentication: Truffle (Tuber spp.) Species Differentiation by FT-NIR and Chemometrics, in Foods, 2020, 9, 922, DOI: 10.3390/foods9070922. 6 S. KRAUSS - W. VETTER, Geographical and Species Differentiation of Truffles (Tuber spp.) by Means of Stable Isotope Ratio Analysis of Light Elements (H, C, and N), in J. Agric. Food Chem., 2020, 68, 14386-14392, DOI: 10.1021/acs.jafc.0c01051. 7 D. SCIARRONE - A. SCHEPIS - M. ZOCCALI - P. DONATO - F. VITA - D. CRETI - A. ALPI - L. MONDELLO, Multidimensional Gas Chromatography Coupled to Combustion-Isotope Ratio Mass Spectrometry/Quadrupole MS with a Low-Bleed Ionic Liquid Secondary Column for the Authentication of Truffles and Products DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 75 Prospettive promettenti emergono anche dall’analisi elementare e in particolare dall’uso dei microelementi come descrittori chimici per cercare il legame tra il tartufo e il territorio di provenienza. Tale approccio è stato proposto in alcuni recenti studi scientifici9. Perché i microelementi dovrebbero aiutare a riconoscere la provenienza geografica del tartufo? Per capirne di più è necessario considerare l’interazione tra il terreno e gli organismi che svolgono il loro metabolismo su di esso e più in generale tra il terreno e gli alimenti che ivi si originano, come sarà descritto nel paragrafo seguente. 2. I microelementi nelle piante e negli alimenti di origine vegetale Ogni alimento di origine vegetale deve la sua produzione Containing Truffle, in Anal. Chem., 2018, 90, 6610-6617, DOI: 10.1021/acs.analchem.8b00386. 8 K. SOMMER - S. KRAUSS - W. VETTER, Differentiation of European and Chinese Truffle (Tuber sp.) Species by Means of Sterol Fingerprints, in J. Agric. Food Chem., 2020, 68, 14393-14401, DOI: 10.1021/acs.jafc.0c06011. 9 J. POPOVIC-DJORDJEVIC - Z. S. MARJANOVIC - N. GRSIC - T. ADZIC - B. POPOVIC - J. BOGOSAVLJEVIC - I. BRCESKI, Essential Elements as a Distinguishing Factor between Mycorrhizal Potentials of Two Cohabiting Truffle Species in Riparian Forest Habitat in Serbia, in Chem. Biodivers., 2019, 16, e1800693, DOI: 10.1002/cbdv.201800693; M. ROSSBACH - C. STIEGHORST - H. POLKOWSKAMOTRENKO - E. CHAJDUK - Z. SAMCZYNSKI - M. PYSZYNSKA - I. ZUBA - D. HONSTRASS - S. SCHMIDT, Elemental analysis of summer truffles Tuber aestivum from Germany, in J. Radioanal. Nucl. Chem., 2019, 320, 475-483, DOI: 10.1007/s10967-019-06485-x; T. SEGELKE - K. VON WUTHENAU - G. NEITZKE M. S. MULLER - M. FISCHER, Food Authentication: Species and Origin Determination of Truffles (Tuber spp.) by Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometry and Chemometrics, in J. Agric. Food Chem., 2020, 68, 14374-14385, DOI: 10.1021/acs.jafc.0c02334; L. BONTEMPO - F. CAMIN - M. PERINI - L. ZILLER - R. LARCHER, Isotopic and elemental characterisation of Italian white truffle: A first exploratory study, in Food Chem. Toxicol., 2021, 145, 111627, DOI: 10.1016/j.fct.2020.111627. 76 ALIMENTA all’interazione che le piante di origine hanno con il terreno di crescita. Le piante, infatti, traggono le sostanze minerali indispensabili per il loro metabolismo dalla terra su cui crescono, trasportate dall’acqua. Esse hanno bisogno di un ampio corredo di elementi chimici, quali ferro, manganese, rame, ecc. che svolgono varie funzioni importanti quando presenti in concentrazioni opportune. Al tempo stesso, molte di esse sono in grado di evitare che elementi chimici quali i metalli pesanti piombo, mercurio e cadmio, possano creare danni al loro metabolismo, per quanto esistano specie vegetali capaci di accumulare questi metalli, utilizzate per i processi di bonifica mediati dalle piante (fitorisanamento). Il primo gruppo è quello degli elementi essenziali o nutrienti: essi sono assorbiti attivamente dalle piante. Il secondo gruppo è quello degli elementi indesiderati o tossiconocivi: essi, al contrario dei primi, sono esclusi o fortemente limitati dall’assorbimento. Tra questi due estremi ci sono altri elementi chimici, il cui ruolo nella fisiologia delle piante è poco chiaro o ignoto, i quali sono assorbiti in maniera passiva, ovvero in maniera proporzionale alla disponibilità presente nel terreno. Oltre al ruolo nel metabolismo delle piante, gli elementi chimici si possono distinguere in base all’abbondanza. Si definiscono elementi maggiori quelli presenti sopra 1% in peso, minori quelli presenti tra 0.1 e 1%, tracce ed ultra-tracce quelli presenti al di sotto di 0.1%. Gli elementi in tracce ed ultra-tracce, detti anche microelementi, sono di particolare interesse in ambito geochimico in quanto possono fungere da marcatori del territorio, fornendo informazioni sull'origine delle rocce e di ciò che da esse può derivare. Questo per alcuni motivi: - le variazioni delle concentrazioni dei microelementi molto più ampie di quelle degli elementi maggiori o minori; DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 77 - in ogni sistema naturale ci sono molti più microelementi che elementi maggiori o minori, il che significa un maggior numero di variabili a disposizione; - i microelementi sono collettivamente sensibili a processi a cui non sono sensibili gli elementi maggiori o minori. Grazie a queste caratteristiche, oltre che in ambito geochimico i microelementi sono sfruttati anche in ambito agroalimentare10. Gli studi scientifici che li impiegano sono di due tipi. Da un lato si cercano descrittori chimici per differenziare produzioni alimentari dello stesso tipo ma di differente provenienza geografica, o di differente specie biologica, o ancora ottenuti con differenti procedimenti tecnologici: questi sono chiamati studi di autenticazione11. Dall’altro, i microelementi sono impiegati per trovare il legame tra un territorio e i prodotti agricoli che da esso derivano, passando attraverso le loro filiere: questi sono chiamati studi di tracciabilità12. 10 M. ACETO, Food forensics, in Y. PICÓ (a cura di), Advanced mass spectrometry for food safety and quality, vol 68, Comprehensive Analytical Chemistry, Amsterdam, Elsevier, 2015, pp. 441-514; M. ACETO, The use of ICP-MS in food traceability, in M. ESPIÑEIRA - F.J. SANTACLARA (a cura di), Advances in food traceability techniques and technologies: improving quality throughout the food chain, Woodhead Publishing Series in Food Science, Technology and Nutrition, Sawston (UK), Woodhead Publishing, 2016, pp. 137-164. 11 È opportuno precisare che gli studi di autenticazione in ambito agroalimentare vanno ben al di là dell’utilizzo dei microelementi, potendo sfruttare un amplissimo set di descrittori chimici e biologici; si veda al proposito, solo per citare testi recenti di riferimento, C. A. GEORGIOU - G. P. DANEZIS (a cura di), Food Authentication: Management, Analysis and Regulation, New York, John Wiley & Sons Ltd., 2017; C. GALANAKIS (a cura di), Food Authentication and Traceability, Cambridge, Massachusetts, Academic Press, 2020. 12 Si noti che il concetto di tracciabilità non è qui inteso in senso merceologico, ovvero come monitoraggio dei flussi materiali, bensì in senso strettamente analitico, ovvero nella determinazione di parametri chimici utili a seguire la filiera di un alimento dal terreno alla tavola. 78 ALIMENTA Sia l’autenticazione che la tracciabilità sono strumenti utili per verificare la corrispondenza tra quanto dichiarato in etichetta e quanto effettivamente presente in un prodotto agroalimentare. A questo scopo sono particolarmente utili i lantanidi, un gruppo di 14 elementi chimici che vanno dal lantanio (simbolo chimico La, numero atomico 57) al lutezio (simbolo chimico Lu, numero atomico 71)13. I lantanidi più gli elementi scandio e ittrio, a loro molto affini dal punto di vista chimico, costituiscono il gruppo delle terre rare. La caratteristica principale dei lantanidi è la forte omogeneità nel comportamento chimico, che fa sì che la loro distribuzione14 nei sistemi naturali si mantenga quasi sempre inalterata. Tale caratteristica è spesso sfruttata dai geochimici, che usano i lantanidi come markers dell’origine delle rocce. Per lo stesso motivo essa è di interesse anche per chi si occupa di autenticazione e tracciabilità degli alimenti: numerosi studi testimoniano infatti come la distribuzione dei lantanidi in un terreno costituisca una vera e propria impronta digitale, un fingerprint che si riflette nelle piante che su quel terreno crescono15, e, potenzialmente, negli alimenti che si originano da quelle piante16. 13 Il gruppo dei lantanidi in realtà comprende un quindicesimo elemento, il promezio (simbolo chimico Pm, numero atomico 61), lantanide di originale artificiale e pertanto solitamente non preso in considerazione. 14 Per distribuzione si intende l’insieme delle concentrazioni di un gruppo di elementi chimici e i loro rapporti relativi. 15 P. H. BROWN - A. H. RATHJEN - R. D. GRAHAM - D. E. TRIBE, Rare earth elements in biological systems, in K. A. GSCHNEIDER - L. EYRING (a cura di), Handbook on the physics and chemistry of rare earths, vol. 13, Amsterdam, Elsevier, 1990, pp. 423-450; G. TYLER, Rare earth elements in soil and plant systems - A review, in Plant Soil, 2004, 267, 191-206, DOI: 10.1007/s11104-005-4888-2; T. LIANG - S. DING - W. SONG - Z. CHONG - C. ZHANG - H. LI, A review of fractionations of rare earth elements in plants, in J. Rare Earths, 2008, 26, pp. 7−15, DOI: 10.1016/S1002-0721(08)60027-7. 16 M. BETTINELLI - S. SPEZIA - C. BAFFI - G. M. BEONE - R. ROCCHETTA - A. NASSISI, ICP−MS determination of REEs in tomato plants and related products: a DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 79 L’esempio riportato nelle figure in allegato chiarirà meglio il concetto. Nella Figura 1 sono mostrate le distribuzioni dei lantanidi in un terreno e in una pianta ivi derivante. L’andamento delle distribuzioni segue la legge di OddoHarkins17, come è prassi per tutti i sistemi naturali. Queste distribuzioni sono tuttavia poco confrontabili perché le concentrazioni assolute degli elementi sono fino a tre ordini di grandezza più alte nel terreno che nella pianta. Si effettua perciò la normalizzazione al cerio, ovvero si divide ogni concentrazione di ogni elemento per la concentrazione del lantanide cerio (simbolo chimico Ce, numero atomico 58) secondo la formula seguente: [elemento nel terreno]Ce-norm = [elemento nel terreno]/[Ce nel terreno] [elemento nella pianta]Ce-norm = [elemento nella pianta]/[Ce nella pianta] In questo modo le due distribuzioni diventano confrontabili (Figura 2). Tuttavia, la parte destra del grafico, che riporta i lantanidi più new analytical tool to verify traceability, in Atom. Spectrosc., 2005, 26, 41−50, DOI: 10.46770/AS.2005.02.001. 17 Cfr. G. ODDO, Die Molekularstruktur der radioaktiven Atome, in Z. Anorg. Allg. Chem., 1914, 87, 253-268; W. D. HARKINS, The evolution of the elements and the stability of complex atoms. I. A new periodic system which shows a relation between the abundance of the elements and the structure of the nuclei of atoms, in J. Am. Chem. Soc., 1917, 39, 856-879. Secondo la legge di ODDOHARKINS, gli elementi chimici a numero atomico pari sono più abbondanti di quelli a numero atomico dispari immediatamente precedente e immediatamente successivo; ciò genera un tipico andamento a dente di sega. Nella Figura 1 in allegato, per meglio apprezzare il mantenimento di tale andamento, si è scelto di inserire sull’asse orizzontale, tra il neodimio (simbolo chimico Nd, numero atomico 60) e il samario (simbolo chimico Sm, numero atomico 62), anche il già citato promezio (simbolo chimico Pm, numero atomico 61). 80 ALIMENTA pesanti, risulta schiacciata a causa delle concentrazioni più elevate18 dei lantanidi più leggeri. Perciò, per migliorare ancora il confronto, si sceglie di mostrare le concentrazioni su una scala logaritmica anziché lineare, e in questo modo il confronto è più agevole su tutta la distribuzione (Figura 3). Una volta posti i dati nelle migliori condizioni per un confronto fruttuoso, si può notare come le due distribuzioni siano sovrapponibili, ovvero come il fingerprint del terreno si sia trasmesso alla pianta. Con questo presupposto grafico, si può verificare se il fingerprint del terreno si ritrova anche negli alimenti di origine vegetale. Se così fosse, esso costituirebbe un legame tra l’alimento e il territorio di provenienza, e sarebbe pertanto un mezzo utile per certificarne la provenienza geografica. In tale direzione vanno recenti studi sulla nocciola19, sull’olio di oliva extravergine20 e sui funghi21, nei quali si è riscontrata la permanenza del fingerprint del terreno negli alimenti. In altri casi si è verificata la permanenza fino ad un certo punto della filiera: nel caso del vino si è notato come il legame terrenoalimento si mantenga inalterato fino al mosto per poi perdersi a seguito dei processi coinvolti nella filiera22, che provocano fraziona18 Si noti che dopo la normalizzazione al cerio le concentrazioni degli elementi sono relative e non assolute. 19 M. ODDONE - M. ACETO - M. BALDIZZONE - D. MUSSO - D. OSELLA, Authentication and traceability study of hazelnuts from Piedmont, Italy, in J. Agric. Food Chem., 2009, 57, 3404–3408, DOI: 10.1021/jf900312p. 20 M. ACETO - E. CALÀ - D. MUSSO - N. REGALLI - M. ODDONE, A preliminary study on the authentication and traceability of extra virgin olive oil made from Taggiasca olives, in Food Chem., 2019, 298, 125047, DOI: 10.1016/j.foodchem.2019.125047. 21 M. SCAIOLA, Studio di tracciabilità di funghi provenienti dal Piemonte e dalla Liguria mediante tecniche ICP, tesi di laurea magistrale in Scienze Chimiche, Università degli Studi del Piemonte Orientale, Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica, anno accademico 2016-2017. 22 M. ACETO - E. ROBOTTI - M. ODDONE - M. BALDIZZONE - G. BONIFACINO - G. BEZZO - R. DI STEFANO - F. GOSETTI - E. MAZZUCCO - M. MANFREDI - E. MA- DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 81 mento, ovvero una differenziazione nel comportamento all’interno del gruppo dei lantanidi che causa la perdita dell’impronta digitale e quindi l’impossibilità di tracciare la provenienza geografica. Analogo fenomeno si è riscontrato nella filiera del latte23, dove l’impronta digitale del terreno si ritrova nelle erbe destinate a produrre foraggio ma non nel latte crudo, in quanto il passaggio del foraggio negli stomaci delle mucche causa frazionamento; successivamente, la nuova distribuzione dei lantanidi nel latte crudo si mantiene inalterata nei prodotti da esso derivati, come latte imbottigliato e panna. Attualmente sono in corso studi su altri alimenti di origine vegetale, quali la mandorla di Avola, la fragolina profumata di Tortona, la pesca di Volpedo e il miele. Gli studi di autenticazione e tracciabilità sono particolarmente utili per gli alimenti di pregio sottoposti a frode. Le possibilità di sviluppare protocolli di analisi efficienti sono molto buone nel caso di alimenti a filiera corta o cortissima, quali i prodotti ortofrutticoli. Per gli alimenti a filiera complessa (es. insaccati, prodotti caseari, conserve) la tracciabilità diventa difficile o impossibile. In tali casi, tuttavia, è quasi sempre possibile trovare descrittori chimici utili per l’autenticazione, cioè per la differenziazione su base geografica, specifica24 o tecnologica. RENGO, A traceability study on the Moscato wine chain, in Food Chem., 2013, 138, 1914-1922, DOI: 10.1016/j.foodchem.2012.11.019; M. ACETO - F. BONELLO - D. MUSSO - C. TSOLAKIS - C. CASSINO - D. OSELLA, Wine traceability with Rare Earth Elements, in Beverages, 2018, 4, 23, DOI: 10.3390/beverages4010023; M. ACETO - F. GULINO - E. CALÀ - E. ROBOTTI - M. PETROZZIELLO - C. TSOLAKIS C. CASSINO, Authentication and traceability study on Barbera d'Asti and Nizza DOCG wines: the role of trace- and ultratrace elements, in Beverages, 2020, 6, 63; DOI: 10.3390/beverages6040063. 23 M. ACETO - D. MUSSO - E. CALÀ - F. ARIERI - M. ODDONE, Role of lanthanides in the traceability of the milk production chain, in J. Agric. Food Chem., 2017, 65, 4200-4208, DOI: 10.1021/acs.jafc.7b00916. 24 Si noti che il termine “specifica”, qui come nel seguito, si riferisce alla differenza tra specie biologiche differenti. 82 ALIMENTA 3. Autenticazione, tracciabilità e il T. magnatum Il tartufo è un alimento naturale per eccellenza. Per quanto esso non sia un vegetale ma appartenga al regno dei funghi25, è ragionevole pensare, sulla base di recenti studi scientifici26, che le considerazioni fatte in precedenza sull’interazione tra terreno e specie vegetali per quanto riguarda i microelementi siano estensibili anche all’interazione tra terreno e funghi e tra terreno e tartufi. Si tratta senza dubbio di uno degli alimenti più idonei agli studi di autenticazione e tracciabilità, e questo per vari motivi: - come detto in precedenza, è uno degli alimenti più costosi al mondo, quindi tra i più soggetti a contraffazione, sia specifica (Tuber borchii Vittadini venduto al posto di T. magnatum) sia geografica (T. magnatum di provenienza forestiera venduto come tartufo bianco d’Alba); - la sua filiera è cortissima: nel suo passaggio dal terreno alla tavola non ci sono manipolazioni che possano alterarne le caratteristiche chimico-fisiche e pertanto la composizione del prodotto in termini di microelementi rispecchia esclusivamente le caratteristiche del terreno e della specie; - si tratta di un alimento con una composizione abbastanza complessa in termini di abbondanza di composti chimici, ma que25 R. H. WHITTAKER, New Concepts of Kingdoms of Organisms, in Science, 1969, 163, 150-160, DOI: 10.1126/science.163.3863.150. 26 Il già citato lavoro di tesi del Dott. M. SCAIOLA, Studio di tracciabilità di funghi provenienti dal Piemonte e dalla Liguria mediante tecniche ICP, 2017; A. L. ZOCHER - D. KRAEMER - G. MERSCHEL - M. BAU, Distribution of major and trace elements in the bolete mushroom Suillus luteus and the bioavailability of rare earth elements, in Chem. Geol., 2018, 483, 491-500, DOI: 10.1016/j.chemgeo.2018.03.019; G. KOUTROTSIOS - G. P. DANEZIS - C. A. GEORGIOU - G. I. ZERVAKIS, Rare earth elements concentration in mushroom cultivation substrates affects the production process and fruit-bodies content of Pleurotus ostreatus and Cyclocybe cylindracea, in J. Sci. Food Agric., 2018, 98, 5418-5427, DOI: 10.1002/jsfa.9085. DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 83 sto è un vantaggio per la ricchezza di variabili da sfruttare a scopo di autenticazione; - nei tartufi il contenuto medio di microelementi - e di lantanidi in particolare - è alto in quanto questi organismi, come i funghi, agiscono da bio-accumulatori di ioni metallici dal terreno, ovvero tendono ad arricchirsene, e quindi è possibile determinare un numero elevato di microelementi, a vantaggio, nuovamente, della ricchezza di descrittori chimici utili per autenticazione e tracciabilità. Recentemente, questi presupposti sono stati sviluppati all’interno di una tesi di laurea magistrale in Scienze Chimiche presso il Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale27. In tale ricerca sperimentale, si è impiegata l’analisi elementare mediante tecniche ICP-OES28 e ICP-MS29 per determinare elementi maggiori, minori e microelementi in una serie di campioni di T. magnatum forniti da cavatori della provincia di Alessandria30, insieme a campioni di terreno prelevati nel sito di cavatura. L’analisi di questi campioni aveva lo scopo di verificare la tracciabilità del sistema terreno/tartufo, ovvero verificare se il fingerprint del terreno, descritto dai suoi microelementi, si ritrova inalterato nel tartufo ivi cavato. Inoltre, sono stati analizzati campioni di T. borchii dalla provincia di Alessandria, di Tuber melanosporum 27 F. FRACCHETTA, Studio preliminare di tracciabilità del tuber magnatum mediante analisi ICP e trattamento multivariato dei dati, tesi di laurea magistrale in Scienze Chimiche, Università degli Studi del Piemonte Orientale, Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica, anno accademico 2019-2020. 28 ICP-OES: Inductively Coupled Plasma – Optical Emission Spectroscopy. Si tratta di una tecnica di analisi strumentale in grado di determinare elementi in concentrazioni fino a µg/L. 29 ICP-MS: Inductively Coupled Plasma – Mass Spectrometry. Si tratta di una tecnica di analisi strumentale in grado di determinare elementi in concentrazioni fino a ng/L. 30 Si ringrazia l'Associazione Tartufai del Monferrato e i cavatori della zona di Alice Bel Colle, con particolare riferimento al Sig. Francesco Novelli, per aver fornito i campioni di T. magnatum e i corrispondenti terreni. 84 ALIMENTA dalla provincia di Biella, di T. melanosporum dalla Svizzera e infine di T. magnatum reperiti su Internet e venduti come tartufi bianchi piemontesi; l’analisi di questo secondo gruppo di campioni aveva lo scopo di verificare la possibilità di autenticare i campioni di T. magnatum di provenienza certa, identificando descrittori chimici in grado di differenziare i due gruppi. L’analisi elementare dei campioni di tartufo è di tipo invasivo (richiede un’aliquota di campione) e distruttivo (il campione è completamente consumato). Nel caso presente, è stato necessario circa 1 g di campione, prima sottoposto ad essiccazione in stufa a 70°C, poi a digestione acida con HNO3 concentrato. La soluzione ottenuta è stata analizzata con ICP-OES per la determinazione degli elementi maggiori e minori, ICP-MS per i microelementi. L’analisi elementare dei campioni di terreno ha richiesto il trattamento di 0.5 g di campione con acqua regia (miscela HNO3/HCl 1:3) e H2O2 in contenitore chiuso. La soluzione ottenuta è stata analizzata in maniera analoga alla precedente. In base ai dati dell’analisi ICP, è possibile fare considerazioni interessanti sulla possibilità di (1) tracciare e (2) autenticare il T. magnatum di provenienza piemontese. Nella Figura 4 sono mostrate le distribuzioni dei lantanidi in un terreno e in un campione di tartufo bianco ivi cavato. Come si può notare, la corrispondenza tra le due distribuzioni è notevole, e indica che il fingerprint di quel terreno si rispecchia senza dubbio nel tartufo ivi cresciuto. Tale comportamento è stato riscontrato in tutte le coppie terreno/tartufo analizzate. Con questi presupposti, si può ipotizzare che tartufi provenienti da terreni con impronte digitali differenti presentino a loro volta distribuzioni differenti di lantanidi. Quindi dovrebbe essere possibile sia la tracciabilità che l’autenticazione su base geografica. Per apprezzare la particolare ed esclusiva efficacia dei lantanidi nella tracciabilità, si noti nella Figura 5 in allegato la differenza tra la distribuzione dei lantanidi (evidenziata nel riquadro) e degli altri microelementi nella coppia terreno/tartufo. DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 85 Nella figura, i dati dopo normalizzazione al cerio evidenziano le anomalie dei microelementi che hanno comportamenti differenti dai lantanidi. Gli elementi nutrienti come Mg, K, Ca, Mn, Fe, Zn e Cu si ritrovano nel tartufo in quantità maggiore che nel terreno, rispetto ai lantanidi, perché vengono assorbiti attivamente dal vegetale (mentre i lantanidi sono assorbiti passivamente). Perciò gli elementi nutrienti sono utili al vegetale ma non per determinarne la tracciabilità, in quanto la loro distribuzione nel vegetale non riflette quella del terreno, al contrario dei lantanidi. Si può notare invece come l’ittrio (simbolo chimico Y, numero atomico 39) segua perfettamente l’andamento dei lantanidi, essendo a loro chimicamente molto affine: si tratta infatti, insieme allo scandio e a tutto il gruppo dei lantanidi, di una terra rara. Dopo la verifica del legame terreno/tartufo, e quindi della possibilità di tracciare la sua origine geografica, si passa a verificare la possibilità di sfruttare questa caratteristica ai fini dell’autenticazione del tartufo. Le vie da perseguire sono due: - autenticazione su base specifica, ovvero distinguere il T. magnatum da specie meno pregiate o comunque differenti; - autenticazione su base geografica, ovvero distinguere il T. magnatum del Piemonte da quello proveniente da altre aree geografiche. Alcuni recenti studi di autenticazione del tartufo, pubblicati su riviste scientifiche31, hanno già impiegato i microelementi allo sco31 J. POPOVIC-DJORDJEVIC - Z. S. MARJANOVIC - N. GRSIC - T. ADZIC - B. POPO- J. BOGOSAVLJEVIC - I. BRCESKI, Essential Elements as a Distinguishing Factor between Mycorrhizal Potentials of Two Cohabiting Truffle Species in Riparian Forest Habitat in Serbia, in Chem. Biodivers., 2019, 16, e1800693, DOI: 10.1002/cbdv.201800693; M. ROSSBACH - C. STIEGHORST - H. POLKOWSKAMOTRENKO - E. CHAJDUK - Z. SAMCZYNSKI - M. PYSZYNSKA - I. ZUBA - D. HONSTRASS - S. SCHMIDT, Elemental analysis of summer truffles Tuber aestivum from Germany, in J. Radioanal. Nucl. Chem., 2019, 320, 475-483, DOI: 10.1007/s10967-019-06485-x; T. SEGELKE - K. VON WUTHENAU - G. NEITZKE M. S. MULLER - M. FISCHER, Food Authentication: Species and Origin DetermiVIC 86 ALIMENTA po. Nel caso presente si cita lo studio riportato nella tesi di laurea magistrale in Scienze Chimiche del Dott. Fracchetta, che ha mostrato risultati promettenti utilizzando le concentrazioni dei lantanidi normalizzate al cerio. I dati dell’analisi ICP dei campioni citati in precedenza sono stati sottoposti all’analisi delle componenti principali (PCA)32, un metodo matematico di analisi multivariata che permette di ottenere una riduzione di dimensionalità, ovvero di visualizzare in maniera semplice l’informazione contenuta in un dataset complesso; si consideri che nel caso presente il dataset è composto da 49 campioni x 14 variabili (le concentrazioni dei lantanidi normalizzate al cerio) per un totale di 686 dati. La Figura 6 riporta il grafico PC1 vs. PC2 in cui i campioni di T. melanosporum provenienti dalla Svizzera (rappresentati con pallini bianchi) sono distinguibili dal gruppo di tartufi piemontesi (rappresentati con pallini neri) costituito dai campioni di T. magnatum della provincia di Alessandria, T. borchii della provincia di Alessandria, T. melanosporum della provincia di Biella e T. magna- nation of Truffles (Tuber spp.) by Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometry and Chemometrics, in J. Agric. Food Chem., 2020, 68, 14374-14385, DOI: 10.1021/acs.jafc.0c02334; L. BONTEMPO - F. CAMIN - M. PERINI - L. ZILLER - R. LARCHER, Isotopic and elemental characterisation of Italian white truffle: A first exploratory study, in Food Chem. Toxicol., 2021, 145, 111627, DOI: 10.1016/j.fct.2020.111627. 32 L’analisi delle componenti principali o PCA, così come altri metodi di analisi matematica multivariata, consente di visualizzare in maniera semplice l'informazione contenuta in un ampio dataset, che normalmente risulta di difficile lettura qualora i dati stessi siano in formato tabellare. Nella PCA, le variabili originarie (in questo caso le concentrazioni dei lantanidi nei campioni di tartufi) sono trasformate in nuove variabili o PC (Principal Components), che risultano essere combinazioni lineari delle variabili originarie; così facendo l'informazione presente nel dataset, normalmente dispersa tra tutte le variabili, viene compressa nelle prime PC calcolate, e un semplice grafico bivariato PC1 vs. PC2 permette solitamente di visualizzare in modo semplice una grande quantità della variabilità (ovvero dell'informazione) presente nel dataset. DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 87 tum reperiti su Internet e venduti come tartufi bianchi piemontesi. Oltre alla buona separazione tra tartufi svizzeri e piemontesi, si nota come due campioni di T. magnatum reperiti su Internet, evidenziati dal cerchio, siano notevolmente differenti dal gruppo dei tartufi piemontesi e perciò. con ogni probabilità, contraffatti. Il grafico PC1 vs. PC2 contiene una percentuale pari a 88.84% della varianza totale, quindi dell’informazione, contenuta nel dataset. Perciò è un’immagine più che buona di come i campioni analizzati si raggruppano secondo i descrittori chimici scelti (i lantanidi). In sostanza, il risultato mostrato in figura suggerisce che, in base a questi descrittori, le caratteristiche del territorio sono più importanti di quelle della specie. Oltre ai lantanidi, anche gli altri microelementi possono essere utili per l’autenticazione. Se infatti la distribuzione dei lantanidi permette di verificare in maniera specifica e selettiva la tracciabilità del tartufo (e più in generale degli alimenti di origine vegetale), allargando il range dei descrittori si possono avere schemi di autenticazione più efficaci, su base sia specifica, sia geografica. Selezionando i microelementi litio, manganese, rame, arsenico, bario, nonché le terre rare ittrio, cerio ed europio, e applicando l’analisi multivariata con il metodo PCA, si ottiene un nuovo schema di classificazione il cui risultato è mostrato nella Figura 7. Si può notare come, in base ai descrittori scelti, il gruppo dei soli campioni di T. magnatum della provincia di Alessandria (pallini neri) sia distinguibile dal resto dei campioni considerati in questo studio (pallini bianchi), differenti dai primi sia per origine geografica (Svizzera, provincia di Biella), sia per origine specifica (T. melanosporum, T. borchii). Si noti anche che in questo secondo caso sono stati eliminati due tra i campioni di T. magnatum reperiti su Internet e venduti come tartufi bianchi piemontesi, in quanto già considerati come contraffatti in base al primo trattamento PCA. Lo studio sviluppato nella tesi di laurea magistrale del Dott. Fracchetta è naturalmente un primo approccio al problema e an- 88 ALIMENTA drà implementato con analisi su un numero molto maggiore di campioni. 4. Valutazioni conclusive Da quanto detto sopra, sembrerebbe all’ordine del giorno lo sviluppo di protocolli analitici per determinare la genuinità del T. magnatum del Piemonte, basati su metodi di autenticazione e di tracciabilità. Qui subentrano però considerazioni di ordine economico. Va considerato in primo luogo che le analisi citate (ICP-OES e ICP-MS) sono sempre distruttive in quanto richiedono almeno 1 g di campione che viene consumato. Le strumentazioni impiegate sono alla portata di laboratori di analisi medio-grandi, avendo un costo iniziale di 70.000-100.000 €. Inoltre, affinché questi metodi possano essere affidabili, è necessario analizzare un numero statisticamente significativo di campioni di tartufo, comprendendo in ciò sia i campioni da autenticare, ovvero quelli di T. magnatum del Piemonte, sia quelli di provenienza forestiera33 nei confronti dei quali si vuole verificare la differenza del T. magnatum del Piemonte. Considerazioni statistiche di base indicano in 30 + 20 i campioni necessari allo sviluppo di un protocollo analitico affidabile. Va poi considerata la variabilità stagionale: è necessario ripetere lo studio per almeno 3 annualità, per tenere conto delle fluttuazioni climatiche. Tuttavia, è difficile pensare che il costo delle analisi sia un deterrente sufficiente a impedire lo sviluppo di un serio metodo analitico. 33 Il termine forestiero può essere inteso con varie declinazioni, laddove si voglia differenziare il T. magnatum del Piemonte da quello proveniente da altre regioni italiane, oppure da quello di provenienza extra-italiana, o ancora da altre specie di tartufo. DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 89 La domanda da porre è se il mercato del tartufo sia realmente intenzionato a incentivare la ricerca scientifica in questa direzione, viste le potenzialità nel rilevare le frodi. La speranza è che a promuovere questi studi siano piccole realtà locali che vedano in essi un’opportunità per promuovere i loro territori. Maurizio Aceto 90 ALIMENTA Allegati: Figura 1 - distribuzioni dei lantanidi in un terreno e in una pianta ivi derivante. Figura 2 - Distribuzione dei lantanidi dopo normalizzazione al cerio DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 91 Figura 3 - Distribuzione dei lantanidi con scala logaritmica delle abbondanze Figura 4 - Distribuzione dei lantanidi in un terreno della provincia di Alessandria e in un T. magnatum ivi cavato 92 ALIMENTA Figura 5 - Distribuzione dei microelementi in un terreno della provincia di Alessandria e in un T. magnatum ivi cavato Figura 6 - Grafico PC1 vs. PC2 ottenuto con i dati dei lantanidi. Pallini bianchi: tartufi svizzeri; pallini neri: tartufi piemontesi di specie differenti DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI 93 Figura 7 - Grafico PC1 vs. PC2 ottenuto con i dati dei microelementi Li, As, Y, Ce, ed Eu. Pallini neri: T. magnatum della provincia di Alessandria; pallini bianchi: T. borchii della provincia di Alessandria, T. melanosporum della provincia di Biella e T. melanosporum della Svizzera 94 ALIMENTA ABSTRACT Il Tuber magnatum Pico o tartufo bianco è uno degli alimenti più noti, pregiati e costosi al mondo. In particolare, quello raccolto nel Monferrato, nelle Langhe e nel basso Piemonte, è considerato in assoluto il migliore, e per questo motivo è un facile bersaglio per la contraffazione di tipo specifico o di tipo geografico. Negli ultimi anni la ricerca scientifica in campo chimico ha messo a disposizione alcuni metodi che puntano a rivelare queste frodi. In questo articolo si descrive il ruolo della determinazione dei microelementi come mezzo per salvaguardare la qualità del prodotto piemontese, attraverso l’identificazione dell’impronta digitale che dal terreno si trasmette al tartufo. EN: The Tuber magnatum Pico or white truffle is one of the best known, most valuable and expensive foods in the world. In particular, the one collected in Monferrato, Langhe and lower Piemonte, is considered the best by far, and for this reason it is an easy target for specific or geographical counterfeiting. In recent years, scientific research in the chemical field has made available some methods that aim to reveal these frauds. This article describes the role of the determination of microelements as a way to safeguard the quality of the piemontese product, through the identification of the fingerprint that is transmitted from the soil to the truffle. PAROLE CHIAVE ICP-MS, lantanidi, Piemonte, tartufo bianco del Monferrato, terreno, tracciabilità. ICP-MS, lanthanides, Piemonte, Monferrato white truffle soil, traceability. PARTE II NOTE E COMMENTI ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 Giurisprudenza annotata SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza Num. 1914 Anno 2021 Presidente: Manna Antonio Relatore: Napolitano Lucio Data pubblicazione: 28/01/2021 I. SpA, in persona del Presidente pro tempore c. F.V. con l’intervento di Regione Basilicata avverso la sentenza n. 4114/2019 del Consiglio di Stato, depositata il 18/06/2019. Prodotti biologici – Organismi di certificazione – provvedimenti sanzionatori – natura della funzione svolta – carattere autoritativo – giurisdizione – funzione della marcatura “bio” – circolazione delle informazioni al consumatore – posizione dell’O.S.A. soggetto ai controlli – diritto soggettivo – giurisdizione civile ordinaria. Massima (a cura della rivista): le certificazioni si configurano come strumenti di circolazione di “informazioni” destinate in particolare ai consumatori, quali attestazioni di conformità del prodotto agli standards di legge e di “garanzia” dell’affidabilità al riguardo dell’impresa e dei suoi prodotti. Pertanto la posizione del soggetto sottoposto ai provvedimenti dell’organismo di certificazione delegato dal Ministero non può essere inquadrata nell’ambito del c.d. “interesse legittimo” e deve ritenersi, diversamente da quanto affermato dal Consiglio di Stato, di dirit- 98 ALIMENTA to soggettivo, dovendo escludersi che l’organismo autorizzato assuma la veste di pubblica amministrazione ex art. 7, comma 2, cod. proc. amm., ovvero eserciti, nell’ambito dell’esecuzione del contratto di certificazione, funzioni pubbliche. Ne consegue che la giurisdizione nei procedimenti di impugnazione dei provvedimenti sanzionatori da questi emessi spetta al giudice civile ordinario e non al giudice amministrativo. FATTI DI CAUSA L’Azienda agricola V. F. svolge attività di produzione di albicocche con il metodo della produzione biologica sui terreni, compiutamente descritti in atti, dell’azienda medesima (…). Nel 2014 stipulò, con l’organismo di controllo Istituto di Certificazione fisica e ambientale (di seguito I. o Istituto), autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole e forestali, un contratto in virtù del quale si assoggettava al controllo dell’ente anzidetto, in ordine alla verifica del rispetto della normativa regolante l’esercizio di attività di agricoltura biologica. Nel vigore di detto contratto l’Azienda agricola fu destinataria di due provvedimenti, n. 63 e n. 64, resi nei suoi confronti, in data 24 maggio 2016, non impugnati, con i quali l’I. disponeva rispettivamente la sospensione temporanea dell’efficacia del certificato di conformità biologica e la soppressione dell’indicazione biologica su tutto il raccolto di albicocche per l’anno 2016, avendo riscontrato, a seguito dell’esperimento delle analisi presso laboratorio indicato dal Ministero sul campione prelevato da tecnico dell’istituto nel corso di visita ispettiva, la presenza di anticrittogamici ed insetticida in misura eccedente i limiti consentiti nell’esercizio dell’agricoltura biologica. Successivamente, nel corso dell’ispezione annuale, eseguita in data 6 giugno 2018 da tecnico dell’I. presso lo stesso albicoccheto, erano prelevati nuovi campioni di frutti e foglie di albicocco e sottoposti ad analisi, che evidenziavano, su una delle aliquote contrassegnate, nuovamente la presenza di anticrittogamico in misura eccedente il limite consentito. In conseguenza di ciò, il Responsabile del Comitato di Certificazione dell’I. ha emanato tre provvedimenti. Il primo dei quali, n. 130 del 24 luglio 2018, disponeva il divieto di GIURISPRUDENZA ANNOTATA 99 commercializzazione per il periodo di giorni 180 per l’azienda delle albicocche con indicazioni riferite al metodo della produzione biologica. Il secondo, n. 132, reso in pari data, disponeva il divieto, per la predetta azienda agricola, di riportare nelle etichette delle albicocche le indicazioni inerenti al metodo della produzione biologica. Il terzo, n. 138, emanato il 3 agosto 2018, comunicava all’azienda agricola la risoluzione di diritto dei rapporti tra le parti e l’avvio della procedura di cancellazione dell’azienda dall’elenco degli operatori biologici. Il successivo ricorso dell’azienda in sede amministrativa avverso i summenzionati provvedimenti era quindi respinto dal Comitato Ricorsi dell’I. con decisione del 30 agosto 2018. Tutti i sopra menzionati provvedimenti amministrativi erano impugnati dall’azienda dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Basilicata sulla base della prospettazione di plurimi vizi di legittimità, con conseguente domanda di annullamento dei provvedimenti medesimi. Nel costituirsi l’I., oltre a sostenere l’infondatezza dell’avverso ricorso, eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito. Il TAR Basilicata pronunciava sentenza n. 772/2018, pubblicata il 22 novembre 2018, con la quale, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’I., dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, ritenendo la stessa essere devoluta al giudice ordinario. La sentenza del giudice amministrativo di primo grado era oggetto di ricorso in appello da parte dell’azienda agricola dinanzi al Consiglio di Stato, che, con sentenza della Sezione terza, n. 4119/2019, pubblicata il 18 giugno 2019, non notificata, accolse l’appello, annullando la pronuncia impugnata con rinvio dinanzi al TAR Basilicata, ritenendo che la controversia appartenesse alla giurisdizione del giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato, pur ribadendo la natura dell’I. quale soggetto di diritto privato, precisamente quale consorzio con attività esterna secondo la disciplina degli artt. 2612 e ss. cod. civ., come risultante dalle disposizioni dello Statuto depositato in atti, ritenne che lo stesso svolgesse attività avente carattere pubblicistico, operando per effetto di delega del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di modo 100 ALIMENTA che, trattandosi dell’esercizio di una funzione pubblica per effetto di delega, la posizione giuridica del privato di fronte all’esercizio di un tale potere autoritativo, avesse consistenza di interesse legittimo. La sentenza del Consiglio di Stato in questa sede impugnata ha altresì testualmente statuito nel senso che «la disciplina sopravvenuta, recata dal d. lgs. n. 20/2018, relativa alla natura di lodo arbitrale dei pronunciamenti dell’organo collegiale dei ricorsi, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, esula dal presente giudizio di appello, atteso che la questione relativa all’inapplicabilità al caso di specie di tale disciplina è coperta da giudicato interno: la questione, infatti, è stata sollevata anche in primo grado ed il TAR ha formalmente dichiarato l’inapplicabilità di tale normativa al caso di specie (anche in senso meramente interpretativo) e tale statuizione non è stata investita da impugnazione». Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’I. in base ad un unico motivo di ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con l’unico motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia l’erroneità della sentenza impugnata per motivi di giurisdizione, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., e 110 del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cod. proc. amm.), deducendo che il Consiglio di Stato ha erroneamente affermato nella controversia in esame, vertente tra organismo di controllo ed operatore del settore dell’agricoltura biologica, avente ad oggetto le misure previste dall’art. 5 del d. lgs. 23 febbraio 2018, n. 20 e dal d.m. 20 dicembre 2013, adottate da parte dell’organismo di controllo in caso di riscontrate non conformità da parte dell’operatore sottoposto a verifica; ciò sia per avere la decisione impugnata omesso di considerare come per un sistema, quale quello delle Società Organismi di Attestazione (SOA), analogo a quello del biologico, la giurisprudenza sia invece concorde nell’affermare la giurisdizione del giudice ordinario nell’ambito dei rapporti tra SOA ed imprese di costruzione, sia per avere omesso di considerare come il d.lgs. n. 20/2018, nel prevedere l’assoggettamento ad arbitrato di tali controversie, aventi base contrattuale, presupponga necessariamente che le stesse vertano su diritti soggettivi. GIURISPRUDENZA ANNOTATA 101 1.1. Segnatamente, in relazione a tale ultimo profilo, nell’ambito dell’unico motivo col quale viene denunciato il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., parte ricorrente rileva comunque come «del tutto errata», la decisione impugnata quanto alla ritenuta formazione del giudicato interno sull’inapplicabilità al caso di specie della disposizione di cui all’allegato 2, lett. C, comma 8, lett. b), del d. lgs. n. 20/2018, nella parte in cui prevede che i pronunciamenti dell’organo collegiale dell’organismo di controllo deputato all’esame dei ricorsi «hanno natura di lodo arbitrale, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, ai sensi del titolo VIII del libro quarto del Codice di procedura civile». 1.2. Il ricorrente deduce in proposito come non abbia mai invocato l’applicazione diretta di tale disposizione nella controversia in esame, essendo ben consapevole del fatto che nel contratto stipulato tra le parti, sottoscritto, come innanzi detto, nel 2014, non era stata sottoscritta dal F. alcuna clausola compromissoria, e di avere richiamato l’anzidetta disposizione unicamente al fine di trarne un ulteriore elemento, in via interpretativa, utile a qualificare come di diritto soggettivo la posizione giuridica soggettiva dell’azienda destinataria delle misure emesse a seguito dell’attività di controllo da parte dell’organismo prescelto, in adempimento delle obbligazioni assunte con il contratto di certificazione. 2. Appare opportuno dar conto, in via preliminare, nell’esame del motivo, quantunque sinteticamente, dell’evoluzione della disciplina di fonte sovranazionale succedutasi in tema di metodo biologico di produzione di prodotti agricoli, originariamente introdotta dal Regolamento CEE del Consiglio 24 giugno 1991, n. 2092 e dal Regolamento attuativo della Commissione europea 6 agosto 1991, n. 2416. 2.1. Detta disciplina è stata più volte modificata, dapprima dal Regolamento CEE del Consiglio 19 luglio 1999, n. 1804 e dal Regolamento (CE) 28 giugno 2007, n. 834, cui è seguita l’approvazione dei regolamenti attuativi della Commissione 5 settembre 2008, n. 889 e 8 dicembre 2008, n. 1235, ed ancora dal Regolamento (CE) del Consiglio 29 settembre 2008, n. 967, di cui è stata disposta l’attuazione con Regolamento della Commissione del 15 dicembre 2008. 2.2. Quale elemento cardine della disciplina di settore si è posta, sin dall’inizio, la previsione secondo la quale gli operatori dediti alla 102 ALIMENTA produzione biologica dei prodotti agricoli, affinché fosse verificato il rispetto dei requisiti minimi in materia, tale da consentire l’indicazione sull’etichetta di “Agricoltura Biologica - Regime di controllo CE”, potessero rivolgersi ad organismo privato, al quale affidare il controllo e competente a rilasciare la relativa certificazione, sulla base di un provvedimento autorizzatorio dell’Autorità competente dello Stato membro, in Italia individuato, a partire dal d.lgs. 17 marzo 1995 n. 220, nell’allora Ministero delle risorse agricole ed alimentari (oggi Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali), cui compete, insieme alle Regioni, ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, per i rispettivi ambiti territoriali di competenza, la vigilanza sugli organismi di certificazione. 2.3. La succitata evoluzione della disciplina di settore in ambito europeo ha determinato la necessità dell’adeguamento del diritto interno alle nuove disposizioni regolamentari, le cui tappe salienti, successivamente all’adozione del succitato d.lgs. n. 220/1995, possono essere individuate nel d.m. 20 dicembre 2013, in tema di adozione di un elenco di “non conformità”, riguardanti la qualificazione biologica dei prodotti e le corrispondenti misure che gli Organismi di controllo devono applicare agli operatori, ai sensi del Reg. (CE) n. 889/2008, modificato dal Regolamento di esecuzione (UE) n. 392/2013 della Commissione del 29 aprile 2013 e nel d.lgs. 23 febbraio 2018, n. 20, che ha abrogato il precedente d.lgs. n. 220/1995. 3. Appare utile premettere che il d.lgs. n. 20/2018 è entrato in vigore il 22 marzo 2018 e quindi, sul piano procedimentale, salvo quanto di seguito precisato (si veda infra par. 4.6), è certamente applicabile alla controversia in oggetto riguardante, come si è detto, impugnazione di provvedimenti resi dall’organismo di controllo nei confronti dell’azienda agricola nel periodo luglio - agosto 2018. 3.1. Le ipotesi di “non conformità” sono modulate, da ultimo, secondo il disposto dell’art. 5 del citato d.lgs. n. 20/2018, secondo un ordine decrescente di gravità, indicate rispettivamente quali “infrazioni”, “irregolarità” ed “inosservanze”, secondo la definizione rispettivamente fattane dall’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 20/2018, dal comma 6 e dal comma 8 del citato art. 5 del suddetto decreto. 3.2. In particolare il comma 7 del citato art. 5 del d.lgs. n. 20/2018 prevede che «L’accertamento di una o più irregolarità comporta GIURISPRUDENZA ANNOTATA 103 l’applicazione, da parte dell’organismo di controllo al quale è assoggettato l’operatore, previa diffida in caso di irregolarità sanabili, della soppressione delle indicazioni biologiche, in proporzione all’importanza del requisito violato e alla natura e alle circostanze particolari delle attività irregolari. La soppressione comporta il divieto per l’operatore di riportare le indicazioni relative al metodo di produzione biologica, nell’etichettatura e nella pubblicità dell’intera partita o dell’intero ciclo di produzione in cui è stata riscontrata irregolarità». 3.3. L’art. 6, comma 1, lett. d), del citato decreto prevede che «Nell’esercizio dell’attività di controllo, fermo restando quanto previsto dall’articolo 4, comma 6, l’organismo di controllo, ha l’obbligo di adottare, in caso di irregolarità o infrazioni, le misure corrispondenti a carico degli operatori, anche se receduti o esclusi dal sistema, per fatti antecedenti al recesso o all’esclusione». L’art. 4, comma 6, richiamato nella disposizione precedente citata, disciplina i requisiti necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione, che debbono essere assicurati, senza soluzione di continuità, per l’intera durata dell’autorizzazione medesima. 4. Ciò premesso, il motivo e quindi il ricorso su di esso basato debbono ritenersi fondati, dovendo trovare ulteriore conferma le considerazioni già espresse dalle Sezioni Unite di questa Corte, in sede di decisione su istanza di regolamento di giurisdizione, con l’ordinanza 5 aprile 2019, n. 9678. 4.1. In quella sede, nell’analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, si evidenziava come la Corte di Lussemburgo avesse affermato, nella vigenza dell’originario Regolamento (CE) n. 2092/91, di seguito abrogato dal succitato Regolamento (CE) n. 834/07, che gli organismi privati «mettono in atto, conformemente all’art. 9, n. 3 del regolamento n. 2092/91, le misure di controllo e le misure precauzionali elencate all’allegato III dello stesso», e, «ai sensi dell’art. 9, n. 9, lett. a) e b), del regolamento n. 2091/91 [...] possono, sulla scorta dei controlli effettuati, permettere o meno agli operatori controllati di utilizzare indicazioni relative al metodo di produzione biologico per i prodotti messi in commercio e, qualora accertino un’infrazione manifesta o avente effetti prolungati, ritirare al singolo operatore il diritto di commercializzare prodotti recanti indicazioni siffatte per un periodo da convenirsi con l’autorità pub- 104 ALIMENTA blica competente, dovendo «in forza dell’art. 9, nn. 6, lett. c) e 8, lett. a) e b) sempre del regolamento n. 2092/91 [...] rendere conto della loro attività all’autorità incaricata del riconoscimento e della sorveglianza, rispettivamente, informandola delle irregolarità e delle infrazioni constate nonché delle sanzioni inflitte, fornendole tutte le informazioni richieste e trasmettendole ogni anno un elenco degli operatori da essi controllati ed un rapporto di attività (cfr. Corte Giust., 29 novembre 2007, C-393/05; Corte Giust., 29 novembre 2007, C-404/05). Se, dunque, come rilevato dalla stessa Corte di Giustizia nella succitate decisioni, l’attività degli organismi di controllo non è limitata alla mera organizzazione dei controlli di conformità dei prodotti dell’agricoltura biologica, ma si estende all’applicazione delle misure connesse all’esito dei controlli espletati, l’assoggettamento alla sorveglianza dell’autorità pubblica competente risulta tale da garantire l’obiettività ed accertare l’efficienza dei controlli effettuati dagli organismi privati. 4.2. Da tale argomentazione le citate decisioni hanno tratto la duplice conclusione che «il ruolo ausiliario e preparatorio attribuito agli organismi privati di tale regolamento nei confronti dell’autorità di sorveglianza non può essere considerato una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri», atteso che «l’attività degli organismi privati quale definita dal regolamento n. 2092/91 non costituisce di per sé una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri, tale che ogni ulteriore attività che partecipi ai pubblici ne sia necessariamente separabile». 4.3. Sebbene la Corte di Giustizia non abbia negato la possibilità per gli Stati membri di attribuire ai certificati natura pubblica, il sistema, quale ridisegnato da ultimo dal legislatore nazionale ai fini dell’armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di agricoltura biologica, alla stregua del Regolamento (CE) n. 834/07, quale modificato dal Regolamento (CE) n. 967/08, non sembra giustificare le diverse conclusioni alle quali è pervenuto il Consiglio di Stato nell’impugnata decisione, il cui nucleo essenziale sta, secondo quanto sopra indicato, nell’affermazione secondo cui «L’attività dell’I. oggetto del presente giudizio, può [...] qualificarsi come esercizio privato di una funzione pubblica [...]. Trattandosi dell’esercizio di una funzione pubblica per effetto di delega, la posi- GIURISPRUDENZA ANNOTATA 105 zione giuridica del privato di fronte all’esercizio di tale potere autoritativo ha consistenza di interesse legittimo». 4.4. In effetti l’art. 3, comma 2, del citato d.lgs. n. 20/2018, prevede che «Il Ministero delega i compiti di controllo, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 4, lettera b) del regolamento» per tale dovendo intendersi, per effetto dell’art. 2, il Regolamento (CE) del Consiglio n. 834/2007, «ad uno o più degli organismi di controllo che, a tal fine, presentano istanza di autorizzazione ai sensi dell’articolo 4, comma 1». 4.5. Ritiene tuttavia la Corte che non possa offrirsi una lettura del succitato termine “delega” se non nell’ambito del sistema complessivamente delineato che, non diversamente da quanto nella normativa sovranazionale previgente quale interpretata dalla corte di Giustizia, presuppone in realtà l’esercizio di un potere di autorizzazione dell’autorità pubblica di vigilanza subordinato al rispetto della sussistenza di requisiti tassativi previsti dalla legge in capo agli organismi di controllo, di modo che risulti garantita l’obiettività ed assicurata l’efficienza dei controlli effettuati dagli organismi privati, che segnatamente nell’ambito dell’attività di certificazione, legata a parametri tecnici, operano secondo il diritto privato in adempimento di obbligazioni aventi fonte contrattuale con il produttore biologico, che si assoggetta alla relativa certificazione di conformità. 4.6. Sul piano procedimentale va peraltro opportunamente precisato che, sebbene il contratto stipulato inter partes sia stato sottoscritto in data 26 marzo 2014, cioè anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 20/2018, le relative disposizioni sulla natura delle rilevate “non conformità” trovavano già disciplina nel citato d.m. 20 dicembre 2013, così come la relativa disciplina concernente le misure da adottare secondo la gravità delle accertate “non conformità”, senza che alcuna discrezionalità amministrativa potesse configurarsi in capo all’organo deputato a comminare le misure previste, così come la previsione della facoltà di chiedere il riesame dei provvedimenti emanati allo stesso organismo di controllo, che, nel caso dell’I., ne aveva disciplinato l’esercizio secondo le disposizioni del proprio regolamento interno depositato in atti; sicché l’unica disposizione effettivamente inapplicabile nel giudizio in esame, pacificamente non essendo stata prevista nel contratto intercorso tra le parti alcuna clausola compromissoria, è quella di cui al richiamato allegato 2, lett. C, comma 8, lett. b), del d. lgs. n. 20/2018, nella parte in cui prevede che i 106 ALIMENTA pronunciamenti dell’organo collegiale dell’organismo di controllo deputato all’esame dei ricorsi «hanno natura di lodo arbitrale, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, ai sensi del titolo VIII del libro quarto del Codice di procedura civile». 4.7. Ciò, in effetti, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata nel passaggio testualmente sopra trascritto nella parte inerente l’esposizione dei fatti di causa, era stato rilevato come mero obiter dictum dal TAR Basilicata, che, dopo aver già dichiarato «l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del ricorso» dinanzi ad esso proposto dall’azienda agricola, riteneva di aggiungervi «la precisazione che non può tenersi conto delle disposizioni dettate dal punto 8, lett. b) dell’Allegato 2 al D. Lg.vo n 20/2018, in quanto nel contratto, stipulato il 26.3.2014, tra l’azienda agricola V. F. e l’I., non vi è la clausola compromissoria», applicabilità diretta peraltro non invocata nella controversia dinanzi al TAR dall’Istituto nella propria comparsa di costituzione, essendone stato fatto riferimento unicamente per trarne, in via argomentativa, ulteriore elemento a sostegno della tesi esposta della devoluzione della controversia al giudice ordinario. 4.8. Al riguardo va ribadito come competa alla Corte di cassazione, nell’ambito dell’esame di ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione avverso sentenza del Consiglio di Stato «non soltanto il giudizio vertente sull’interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull’applicazione delle disposizioni non meramente processuali, che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione, nonché di quelle correlate attinenti al sistema delle impugnazioni» (cfr. Cass. SU 23 novembre 2011, n. 20727). 5. Deve, pertanto, ribadirsi l’affermazione della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, secondo quanto già affermato dalla citata Cass. SU, ord. n. 9678/2019. 5.1. Né a ciò osta il diverso petitum di annullamento dei provvedimenti impugnati, oggetto della domanda originariamente proposta dall’azienda agricola V. F. dinanzi al TAR Basilicata, rispetto alla domanda risarcitoria nei confronti dell’organismo privato autorizzato che aveva - secondo il produttore di limoni nel giudizio nel corso del quale era stata avanzata l’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione definito dalla succitata ordinanza di questa Corte - “ingiustamente e GIURISPRUDENZA ANNOTATA 107 negligentemente” disposto, in esecuzione del contratto di certificazione “bio” il divieto di commercializzazione del prodotto come biologico sulla base del prelevamento di un solo campione dello stesso. 5.2. Dovendo infatti, farsi riferimento, ai fini della decisione sulla giurisdizione, al c.d. petitum sostanziale, la domanda va correlata alla posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, che, alla stregua delle considerazioni sopra esposte, deve ritenersi, diversamente da quanto affermato dal Consiglio di Stato, di diritto soggettivo, dovendo escludersi che l’organismo autorizzato assuma la veste di pubblica amministrazione ex art. 7, comma 2, cod. proc. amm., ovvero eserciti, nell’ambito dell’esecuzione del contratto di certificazione, funzioni pubbliche. 5.3. Come già affermato da questa Corte con la citata Cass. SU ord. n. 9678/19, le certificazioni si configurano, infatti, come «strumenti di circolazione di “informazioni” destinate in particolare ai consumatori, quali attestazioni di conformità del prodotto agli standards di legge e di “garanzia” dell’affidabilità al riguardo dell’impresa e dei suoi prodotti». Ciò risponde all’esigenza, esplicitata nel considerando 22 del citato Reg. (CE) n. 834/07, che afferma che «È importante preservare la fiducia del consumatore nei prodotti biologici. Le eccezioni ai requisiti della produzione biologica dovrebbero pertanto essere strettamente limitate ai casi in cui sia ritenuta giustificata l’applicazione di norme meno restrittive». 6. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata cassata, con conseguente dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale vanno rimesse le parti anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, davanti al quale rimette le parti anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili il 15 settembre 2020 Il Consigliere estensore Il Presidente ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO: NOTE ALLA SENTENZA 1914/2021 RESA DALLA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE SULLA RELATIVA QUESTIONE DI GIURISDIZIONE. PRIME LUCI SUL NUOVO ORIZZONTE DELLA GIUSTIZIABILITÀ DELLE MISURE ESECUTIVE DISPOSTE DAGLI ORGANISMI DI CONTROLLO DESIGNATI AL CONTROLLO E CERTIFICAZIONE DEL BIOLOGICO Sommario: 1. Sunto della Sentenza – 2. Ma prima: contratto di certificazione e attività di controllo nel biologico – 3. Caso, decisione e prime luci sul nuovo paesaggio. 1. Sunto della Sentenza. Sarà che Bio vuol dire vita (che è a tutti cara) ma non stupisce che la disciplina giuridica dell’agricoltura biologica e degli alimenti biologici sia al centro di vicende giurisprudenziali anche nazionali - oltre che novelle legislative recenti e venture - che, specie in questa Rivista, non possono essere tralasciate. Chi abbia un minimo di dimestichezza con il contezioso tra operatori soggetti al sistema di controllo del biologico e i rispettivi organismi di controllo autorizzati dal Ministero competente (MiPAAF)1 secondo il Regolamento n. 834/2007/CE,2 è avvertito che negli anni in 1 Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF) ai sensi del Decreto legislativo 23-2-2018 n. 20, Disposizioni di armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di produzione agricola e agroalimentare biologica, predisposto ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lett. g), della legge 28 luglio 2016, n. 154, e ai sensi dell’articolo 2 della legge 12 agosto 2016, n. 170, d’ora in avanti, anche “testo unico sui controlli del biologico” o solo Testo Unico (TU-Bio). 2 Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91, in GUUE, L 189, 20.7.2007, pp. 1 ss. Questo regolamento sarà superato, dal 1° gennaio 2022 (vista la proroga imposta dall’emergenza sanitaria Covid) dal Regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, in GUUE, L 150, 110 ALIMENTA Italia si è innestato per via pretoria un sistema misto e binario quanto alla giurisdizione nei predetti conteziosi. Da un lato, l’orientamento assolutamente maggioritario della giurisprudenza amministrativa3, avvallato in ultimo dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4119/2019 oggetto del ricorso innanzi alle Sezioni Unite qui commentato, secondo cui i ricorsi presentati ai sensi del Codice del processo amministrativo rientravano nella giurisdizione del Giudice Amministrativo4. Dall’altro, un parallelo insieme di ricorsi cautelari o azioni di risarcimento danni incardinati innanzi al Giudice civile per anni maturato in coesistenza con l’alternativa giurisdizionale di natura amministrativa5. La decisione del 28 gennaio 2021 delle Sezioni Unite civili, qui in rassegna, nel cassare la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4119/2019, afferma la giurisdizione del giudice civile, e stabilisce, implicitamente, che il “doppio binario” non sarà più prospettabile in futuro. 14.6.2018, p.1. A quella data dunque saranno inoltre pienamente operativi gli altri regolamenti della Commissione legati al - perché previsti dal - Capo V (certificazione) e VI (Controlli ufficiali e altre attività ufficiali) del nuovo regolamento quadro in materia Bio (Reg. n. 2018/848/UE) che dialoga in modo sistematico con il Regolamento n. 2017/625/UE sui controlli ufficiali e le altre attività ufficiali nelle catene agroalimentari. La materia continua a essere necessariamente magmatica. 3 Nel senso della sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo, da ultimo, T.A.R. Puglia – Bari, n. 825/2020, cui adde: T.A.R. Sicilia, ordinanza 22.05.2019, n. 646; T.A.R. Emilia-Romagna, ordinanza 24.01.2019, n. 13;; T.A.R. Calabria, 26.04.2018, n. 967; T.A.R. Piemonte, 18.04.2018, n. 459; T.A.R. Toscana, 28.03.2018, n. 455; T.A.R. Piemonte, 24.01.2018, n. 105; T.A.R. Calabria, 19.01.2018, n. 157; T.A.R. Piemonte, 07.12.2017, n.1316; T.A.R. Puglia, 14.07.2017, n. 813; T.A.R. Piemonte, Ordinanza 13.04.2017, n. 157; T.A.R. di Catania, sent. 19.02.2008, n. 282. 4 Le tre ordinanze del Consiglio di Stato che, prima della citata sentenza n. 4119/2019, hanno ribadito la giurisdizione del giudice amministrativo nel contenzioso tra operatore e organismo di controllo incaricato sono: sez. III, ordinanza, 21.12.2018, n. 6355, Sez. III ordinanza, 10.01.2019, n. 12, Sez. III ordinanza 20.03.2019, n. 1402. 5 Anche per più puntuali riferimenti sulla giustizia di merito al 2018 vedasi D. PISANELLO, Natura giuridica degli organismi di controllo del biologico e riflessi applicativi sui mezzi di tutela dell’impresa alimentare certificata, in A. NATALINI (a cura di), Frodi agroalimentari: profili giuridici e prospettive di tutela, Milano, Giuffré Francis Lefebvre, 2018. QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 111 Tramonta, dunque, il rito amministrativo a favore di un giudizio impostato sulle regole del codice di rito civile, con adattamenti tutti da pensare e con il (non scontato) rischio di perdere la nutrita casistica giurisprudenziale formatasi in più di un decennio innanzi ai TAR di mezz’Italia. Un travaso non irrisorio (per essere eufemistici) che giunge all’esito di una riflessione anche giurisprudenziale, che trova nella ordinanza delle Sezioni Unite civili del 5 aprile 2019, n. 9678, espressamente richiamata dalla sentenza qui in commento, il primo momento di rottura del sistema precedente6. Si tratta di una decisione importante sotto diversi profili e piani, alcuni ancora da mettere a fuoco, che in questa l’Autore ha l’onore e l’onere di annotare nel primo numero della rediviva Alimenta. 2. Considerazioni preliminari sul contratto di certificazione e attività di controllo nel biologico. Ai fini di un corretto inquadramento della materia in cui la sentenza in rassegna è destinata a produrre effetti di non poco momento, è il caso di accennare, sia pur sinteticamente, ai caratteri generali delle attività di controllo e certificazione del biologico7. 6 L’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, SS.UU., n. 9678/2019 è stata resa sul un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione avanzato nel 2017 da una azienda agricola siciliana, nell’ambito di un procedimento civile per il risarcimento del danno ex art. 1218 o, in subordine, art. 2043 c.c.. Si trattò del primo ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione nel settore della certificazione del biologico che la Suprema Corte di cassazione decise, affermando che «essendo l’oggetto del promosso giudizio di merito costituito da una domanda di risarcimento di danni lamentati in conseguenza – secondo la prospettazione attorea – dell’ingiustamente e negligentemente adottato provvedimento di divieto di commercializzazione all’esito di mere valutazioni tecniche senza alcun esercizio di attività iure imperii, alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto va pertanto nel caso dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario». La vicenda è meglio descritta in D. PISANELLO, La disciplina dei prodotti biologici: evoluzioni normative e spunti per una riflessione, in F. CAPELLI – V. RUBINO (a cura di), L’Alimentazione e l’Agricoltura del futuro (studi in memoria di Antonio Neri), Napoli, Editoriale Scientifica, 2021. 7 Sul punto sia consentito rinviare, anche per ulteriori considerazioni, al mio scritto Natura giuridica, cit. con la relativa bibliografia che qui si riporta. 112 ALIMENTA Per «certificazione» si è soliti far riferimento a una dichiarazione scritta attestante la conformità di un bene, servizio o attività a requisiti specificati, mediante una attività valutativa e dichiarativa elaborata da un soggetto solitamente terzo rispetto all’ente beneficiario del certificato. Esiste un sostanziale accordo tra la giurisprudenza nazionale e la c.d. Dottrina nel ritenere che nei contratti di certificazione viene dedotta in obbligazione una «prestazione di servizi tecnici in campo industriale (…) effettuata in favore della committente»8, consistente nella valutazione e attestazione scritta che un prodotto o un processo produttivo è conforme ai requisiti specificati da determinati standard9. Più precisamente, la prestazione cui l’ente certificatore si obbliga consisterebbe in due attività distinte anche se logicamente e strutturalmente connesse: 1) il soggetto certificatore è chiamato, dietro corrispettivo, a porre in essere i controlli e le verifiche idonee a valutare la conformità dell’oggetto di indagine alle regole tecniche di riferimento; 2) l’ente certificativo (talvolta anche «control body») a rilasciare o meno, in base ai risultati dell’indagine svolta, l’attestato di conformità. I requisiti di riferimento (standard) possono essere frutto di mere dinamiche di mercato e dunque espressione esclusiva e piena della autonomia privata (certificazione volontaria) ovvero essere oggetto di regolazione legislativa; in tal ultimo caso, il legislatore (o il regolatore del mercato) conforma in tutto o in parte gli standard di riferimento, determina le procedure di accreditamento degli enti di certificazione e le altre condizioni di accesso al mercato e ogni altro aspetto opportuno (certificazione regolamentata)10. 8 Cosi Trib. Monza, 4 febbraio 2004, in I Contratti, n. 8-9, 2004, pp. 809 e ss., secondo cui il contratto avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività di ispezione o certificazione» sarebbe «atipico o innominato». 9 Così già Trib. Piacenza, 3 maggio 2012, n. 297, in Danno resp., 5, 2013, 513 e ss. 10 Un’altra distinzione che può tratteggiarsi è relativa all’oggetto della certificazione: quando l’attività valutativa e il contenuto della certificazione riguardano la rispondenza del prodotto a requisiti applicabili di un bene tangibile o intangibile (servizio), inteso come risultato di un processo, si tratterà di una certificazione «di prodotto»; diversamente, quando la valutazione e la successiva ed eventuale attestazione verterà sulla capacità di un’organizzazione (produttrice di beni o fornitrice di servizi) di gestire i processi in modo da riconoscere e soddisfare determinati bisogni dei clienti, la certificazione sarà «di sistema». QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 113 In tale prospettiva la certificazione di parte terza11 dei sistemi di gestione per la qualità (regolata dalla norma ISO 9001), ambientale (ISO 14001), per la salute e sicurezza sul lavoro (OHSAS 18001), per la sicurezza delle informazioni (ISO 27001) e per la sicurezza alimentare (ISO 22000), a tacer di quelle sull’Artificial Intelligence in agricolture, ricadono nel novero degli schemi volontari12. 11 Nel caso di certificazione con c.d. approccio di parte terza, determinate caratteristiche aventi a oggetto l’organizzazione di un’azienda e/o dei suoi prodotti sono attestate al mercato, mediante l’intervento valutativo e certificativo di un soggetto terzo e operante nel rispetto di talune garanzie di indipendenza, imparzialità e trasparenza. Per queste precisazioni vedasi Accredia, Glossario minimo della qualità, pubblicato all’indirizzo https://www.databio.it/context.jsp?ID_LINK=31&area=13. 12 Le norme ISO sono standard adottati dall’International Organization for Standardization il cui acronimo ISO è, non a caso, consonante con il termine greco isos (uguale). Si tratta di una associazione privata, istituita nel 1946 e cui aderiscono oltre 160 organismi nazionali (national standards bodies): la finalità dell’associazione è l’unificazione e la pubblicazione di norme tecniche invalse nella prassi produttiva e commerciale a livello internazionale. Sul sito dell’organizzazione si prende atto che «[t]hrough its members, it brings together experts to share knowledge and develop voluntary, consensus-based, market relevant International Standards that support innovation and provide solutions to global challenges». Dal 2001 ISO è membro del World Standards Cooperation insieme a IEC (International Electrotechnical Commission) e ITU (International Telecommunication Union). Può essere interessante osservare che nell’ambito degli accordi istitutivi dell’Organizzazione Mondaile del Commercio (WTO), l’Accordo sulle barriere tecniche al commercio (Agreement on Technical Barriers to Trade, TBT) recepisce le definizioni di cui al documento «ISO/IEC Guide 2:1991, General terms and their definitions concerning standardization and related activities» (cfr. Annex I, TBT Agreement); a parte questo rinvio, l’accordo TBT pur interessandosi di «international and regional standardizing bodies and conformity assessment systems» non compie mai un riferimento puntuale ad alcuna organizzazione (body); in ciò una differenza non secondaria rispetto all’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (Agreement on the Application of Sanitary and Phytosanitary Measures, SPS) che, invece, menziona il Codex Alimentarius Commission, l’International Office of Epizootics e il Secretariat of the International Plant Protection Convention quali organizzazioni internazionali i cui standards assicurano la presunzione di conformità alle regole internazionali dell’accordo SPS a favore delle misure sanitarie o fitosanitarie adottate da una parte contraente. Sul punto per una prima introduzione nella prospettiva della food regulation: A. ALEMANNO, Trade in Food, Regulatory and Judicial Approaches in the EC and the WTO, London, Cameron and May, 2007. Nel periodo prebellico, in Gran Bretagna si costituiva l’Engineering Standards Committee (1901) cui seguì nel 1919 il British Standards Institution (BSI). Coeva 114 ALIMENTA Uguale carattere volontario ha la certificazione di conformità agli standard del British Retail Consortium (BRC Global Standards)13 o del IFS Food14. Affini a queste ultime l’insieme delle certificazioni, rilasciate da un soggetto terzo, relative a definiti requisiti del prodotto o del processo alimentare: attestazioni che, dall’assenza di talune sostanze («senza glutine»15, «senza OGM» et cetera)16, alla presenza di talaltre qualità, varia- (1917) la costituzione, regnante Guglielmo II di Prussia e Germania, del Deutsches Institut für Normung (DIN) quale associazione non profit registrata, status ancora oggi invalso. In Francia l’Association Française de Normalisation (AFNOR), costituita nel 1926, era successivamente qualificata “d’utilité publique” e posta sotto vigilanza ministeriale. Cfr. A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze” private. Poteri pubblici e certificazioni di mercato, Milano, 2010, 92. Quanto all’Italia, il Regio Decreto n. 1107/1931 aveva istituito l’UNI, Ente Italiano per l’unificazione dell’Industria (UNI) poi soppresso con l. n. 1078/1954 e successivamente riorganizzato come associazione privata senza scopo di lucro dal D.P.R. 10 marzo 1959. Per l’inquadramento corrente di UNI si veda l. 21 giugno 1986, n. 317, recante Procedura d’informazione nel settore delle norme e regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione in attuazione della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 luglio 1998. A tal proposito si osservi che UNI è indicato, insieme al CEI (Comitato elettrotecnico italiano), come organismo di normazione nazionale nell’allegato II della direttiva 98/48, allegato successivamente sostituito dall’allegato della direttiva 2006/96/CE e da ultimo soppresso dall’articolo 26 del regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 sulla normazione europea. Sul funzionamento e ruolo delle norme tecniche armonizzate in ambito europeo, l’ampio studio di A. ZEI, Tecnica e diritto tra pubblico e privato, Milano, Giuffré, 2008, cui adde - con riferimento alle ricadute sul piano della responsabilità civile - E. AL MUREDEN, La sicurezza dei prodotti e la responsabilità del produttore. Casi e materiali, Torino, Giappichelli, 2017. 13 British Retail Consortium (BRC) Global Standards è un’organizzazione costituita da operatori per lo più della distribuzione, operante mediante certificazione rilasciata attraverso una rete globale di organismi di certificazione accreditati. 14 In tal caso la certificazione è rilasciata con riferimento allo standard IFS Food, riconosciuto nell’ambito del Global Food Safety Initiative (GFSI) per gli audit e il referenziamento delle industrie alimentari. L’obiettivo è la sicurezza alimentare e qualità dei processi e dei prodotti. Riguarda i processi alimentari delle industrie produttive e industrie che confezionano alimenti sfusi. 15 Sorprendente annotare che nel 1847 si registrava il lancio della «pasta glutinata», opera dell’intraprendenza di Govanni Buitoni. Nella seconda metà del secolo XIX la «pasta QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 115 mente si pongono in rapporto più o meno significativo17, più o meno comprensibile18 dal consumatore finale, più o meno corretto e conforme ai sensi della disciplina generale sulla protezione del consumatore19. al glutine», «poliglutinata» o «iperglutinata» era presentata come «il miglior alimento per bambini, ammalati e convalescenti, prodotto di regime per obesi, gottosi, uricemici e diabetici». Negli ultimi cinque anni si è assistito a una consistente aumento di alimenti gluten-free collegato a circa una ventina di brevetti depositati nel solo 2012. Per questi rilievi, D. BRESSANINI – B. MAUTINO, Contro natura, Milano, 2015, 13. 16 Sul tema dell’indicazione volontaria «senza» nella comunicazione del prodotto alimentare I. CARREÑO – P. VERGANO, Uses and Potential Abuses of Negative Claims” in the EU: The Urgent Need for Better Regulation, in Eur. Jour. of Risk Reg., 4, 2014, pp. 469 e ss. 17 Ai sensi della disciplina quadro europea sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, le informazioni sugli alimenti devono essere «leali» cioè non ingannevoli secondo i canoni generali di cui al primo paragrafo dell’art. 7, Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, su cui, senza pretesa di completezza, si vedano D. PISANELLO, Le responsabilità per la conformità della fornitura di informazioni sugli alimenti: ovvero ancora à la recherche de l’anneau, in DCSCI, 1-2, 2015, pp. 203 e ss.; L. GONZÁLEZ VAQUÉ, The new European Regulation on Food Label-ling: are we ready for the “D” day on 13 December 2014?, in EFFLR, 2013, 158 e ss.; P. BORGHI, Diritto d’informazione nel recente regolamento sull’etichettatura, in C. RICCI (a cura di), La tutela multilivello del diritto alla sicurezza e qualità degli alimenti, Milano, Giuffré 2012, 271-290; A. JANNARELLI, La fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori nel nuovo reg. n. 1169/2011 tra l’onnicomprensività dell’approccio e l’articolazione delle tecniche performative, in Riv. dir. agr., 2012, I, p. 38 ss.; L. RUSSO, Deleghe normative e atti di esecuzione nel reg. (UE) n. 1169/2011, in Riv. dir. agr., 2012, I, p. 47 ss.; V. MAGLIO, Il nuovo regolamento sull’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari, in Contr. Impr./Eur., 2011, 743 e ss.; S. MASINI, Diritto all’informazione ed evoluzione in senso «personalista» del consumatore (Osservazioni a margine del nuovo regolamento sull’etichettatura di alimenti), in Riv. dir. agr., 2011, I, 576 e ss.; L. COSTATO, Le etichette alimentari nel nuovo regolamento (UE) n. 1169/2011, in Riv. dir. agr., 2011, I, 658 e ss.; F. CAPELLI, Responsabilità degli operatori del settore alimentare, in DCSCI, 2006, 391 e ss. 18 Ai sensi della summenzionata disciplina quadro europea sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, le informazioni sugli alimenti oltre che leali, devono essere «precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore» (art. 7.2, Reg. (UE) n. 1169/2011 cit.). 19 Il riferimento è, tra gli altri, al provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), n. 9745 del 2001, COOP-CARNI BOVINE, nel quale 116 ALIMENTA Appartengono al modello di certificazione regolamentata, invece, le attività di valutazione e certificazione svolte nell’ambito di un quadro giuridico specifico posto da norme legislative europee e/o nazionali: è il caso, in primo luogo, delle ipotesi di marcatura CE previste da direttive e da regolamenti adottati nel tempo dal legislatore comunitario nell’ambito della normativa comunitaria di armonizzazione c.d. nuovo approccio 20. Con riferimento al mercato alimentare, sicuramente le certificazioni di marchio biologico è un caso di certificazione regolamentata, così come stabilito dal Decreto Ministeriale (MiPAAF) 16 febbraio 2012, Sistema nazionale di vigilanza sulle strutture autorizzate al controllo delle produzioni agroalimentari regolamentate 21 a mente del quale si intendono per «produzioni di qualità regolamentata» le produzioni soggette a sistemi di controllo ad hoc e precisamente: le «produzioni ottenute da agricoltura biologica», le «carni bovine con etichettatura facoltativa», «carni di pollame con etichettatura volontaria», «prodotti con denominazione di origine protetta (D.O.P.) inclusi i prodotti vitivinicoli», Prodotti ad indicazione geografica protetta (I.G.P.) inclusi i prodotti vitivinicoli» e le «Specialità tradizionali garantite (S.T.G.)». l’Autorità ha valuto come ingannevole l’affermazione, rivolta al consumatore attraverso il quotidiano Il Corriere della Sera del 20 dicembre 2000 - in piena crisi sanitaria (e mediatica) BSE - secondo cui le carni bovine vendute con il marchio COOP sarebbero state «assolutamente prive di ogni rischio»: la comunicazione, sorretta da disciplinare trasmesso e approvato dall’allora Ministero delle Politiche Agricole e collegato con il sistema di qualità COOP Italia dichiarato conforme alla norma ISO 9001, è stata dichiarata ingannevole nella misura in cui fermo il concetto cui vi sono «rischi (…) non totalmente eliminabili con l’assunzione di prodotti di origine animale» è «impropria e inadeguata e come tale fuorviante la garanzia di assoluta sicurezza della carne bovina offerta dall’operatore pubblicitario» atteso che «le numerose procedure di controllo che COOP ha adottato al fine di offrire il massimo grado di qualità e sicurezza della carne posta in vendita presso i propri centri commerciali non possono in ogni caso costituire un fondamento valido alla prospettazione pubblicitaria di assoluta sicurezza e totale assenza di rischio della carne COOP». 20 Sul nuovo approccio si veda per tutti A. ZEI, Tecnica e diritto tra pubblico e privato, Milano, Giuffré, 2008 cui adde M. GIGANTE, Effetti giuridici nel rapporto tra tecnica e diritto: il caso delle norme armonizzate, in Riv. it. dir. pubb. com., 1997, 364 e ss. 21 Pubblicato in GURI, 1 marzo 2012, n. 51. QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 117 Tanto con riferimento alla certificazione del biologico22 quanto con riferimento alla marcatura CE23 si può ritenere che, sotteso a queste attività economiche di certificazione, sussista un interesse pubblico consistente nell’offrire uno mezzo di «presunzione di conformità dei prodotti ai requisiti di legge», realizzando così una forma di tutela preventiva dei consumatori, ovvero disciplinando l’accesso a determinati settori, come ad esempio per la partecipazione a gare di appalto per l’esecuzione di lavori pubblici: «se pur tra loro eterogenee e finalizzate a soddisfare una pluralità di esigenze diverse, le certificazioni svolgono nell’insieme la comune funzione di fornire ai terzi una “garanzia” circa l’affidabilità di un’impresa e dei suoi prodotti e, pertanto, costituiscono un efficace strumento di riduzione delle asimmetrie informative tra coloro che operano sul mercato come fornitori o come clienti»24. Vi è chi ha chiaramente parlato di «crisi della legge»25 al riguardo del sempre più frequente ricorso alle norme tecniche26 e del crescente coinvolgimento di soggetti privati anche in attività considerate tradizionalmente appannaggio dell’autorità pubblica, si pensi ai soggetti delegati nell’ambito dei controlli ufficiali degli alimenti, rende ancor 22 Cioè l’attività di controllo e certificazione svolta nell’ambito del campo di applicazione del Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, del 28 giugno 2007, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91. 23 Per «marcatura CE» si intende «una marcatura mediante cui il fabbricante indica che il prodotto è conforme ai requisiti applicabili stabiliti nella normativa comunitaria di armonizzazione che ne prevede l’apposizione» come stabilito dall’art. 2(20), Regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93. Il sistema della marcatura CE sarà presto applicabile anche ai prodotti fertilizzanti in forza del Regolamento (UE) 2019/1009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 che stabilisce norme relative alla messa a disposizione sul mercato di prodotti fertilizzanti dell’UE. 24 Per tutti A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze private”, cit., p. 271, Milano, 2010, 271. Sul punto anche E. BELLISARIO, La responsabilità degli organismi di certificazione della qualità, in Danno resp., 11, 2011. 25 Cfr. A. ZEI, op. ult. cit., p. 15. 26 Vedi ancora A. ZEI, op. ult. cit., p. 21 118 ALIMENTA più evanescente il confine tra pubblico e privato, limes «frantumato e relativizzato»27. Comprensibile quindi un effetto di intorbidimento della natura degli organismi di controllo operanti nelle filiere alimentari biologiche. Da ciò la delicatezza della questione della giurisdizione nei casi in cui sia da adirsi per quelle azioni esecutive adottate dall’organismo di controllo incaricato, pensiamo al declassamento del prodotto in certificazione, l’imposizione di controlli rafforzati (a carico dell’impresa certificanda), fino alla sospensione esclusione dalla certificazione, senza tralasciare, lo strascico del rischio da responsabilità civile. Venendo alla disciplina del biologico vigente sino al 31 dicembre 2021, l’art. 23 del citato Reg. (CE) n. 834/2007 vieta l’uso di termini riferiti alla produzione biologica nell’etichettatura e nella pubblicità di prodotti che non soddisfano le prescrizioni previste dal regolamento o siano stabilite in virtù del medesimo. Più nel dettaglio l’utilizzo della denominazione «biologico», o anche l’uso del solo termine «bio»28, sulle produzioni agricole e alimentari è riservata a quelle a quelle produzioni agricole o alimentari assoggettate, per il tramite di contratto, appunto, di certificazione, al controllo e alla certificazione di un con uno dei diversi «organismi di controllo» autorizzati dall’ordinamento nazionale a tale fine. La principale tra le condizioni per l’impiego del termine biologico è che «[p]rima di immettere prodotti sul mercato come biologici o in conversione al biologico, gli operatori (omissis): a) notificano la loro attività alle autorità competenti dello Stato membro in cui l’attività stessa è esercitata; b) assoggettano la loro impresa al sistema di controllo di cui all’articolo 27». Quest’ultimo articolo prevede, al primo paragrafo, che «[g]li Stati 27 Così Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2015, n. 2660, con riferimento alla nozione di ente pubblico. 28 Per Cass. Civ. 13 marzo 2009, n. 6234, costituisce illecito in quanto idoneo ad indurre in errore il consumatore sull’origine biologica dei prodotti l’uso del termine bio nell’ambito del marchio registrato «BIO-ENE» apposto su un prodotto convenzionale. Per un commento alla sentenza, D. PISANELLO, Disciplina della produzione biologica: verso un vero inasprimento della repressione delle condotte illecite?, in DCSCI, 4, 2010, pp. 747 ss. QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 119 membri istituiscono un sistema di controllo e designano una o più autorità competenti responsabili dei controlli relativi agli obblighi sanciti dal presente regolamento in conformità del regolamento (CE) n. 882/2004». Sempre in base all’articolo 27 citato alle autorità di controllo nazionali è assegnata la facoltà di «delegare compiti di controllo a uno o più organismi di controllo» alle condizioni fissate dallo stesso articolo.29 Vale sottolineare che anche il primo regolamento sul biologico, adottato nel 1992,30 concedeva agli Stati membri analoga facoltà di organizzare sul proprio territorio il sistema di controllo mediante «un sistema di controllo gestito da una o più autorità di controllo designate e/o da organismi privati riconosciuti»,31 e ciò – si osservi – ben prima della radicale riforma legislativa del settore alimentare e mangimistico, inaugurata con il fondamentale Regolamento (CE) n. 178/200232, proseguita con i rego29 A mente dell’art. 27.5 del Reg. (CE) n. 834/2007 «[l]’autorità competente può delegare compiti di controllo ad un particolare organismo di controllo soltanto se sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 882/2004, in particolare se: a) vi è una descrizione accurata dei compiti che l’organismo di controllo può espletare e delle condizioni alle quali può svolgerli; b) è comprovato che l’organismo di controllo: i) possiede l’esperienza, le attrezzature e le infrastrutture necessarie per espletare i compiti che gli sono stati delegati; ii) dispone di un numero sufficiente di personale adeguatamente qualificato ed esperto; iii) è imparziale e libero da qualsiasi conflitto di interessi per quanto riguarda l’espletamento dei compiti che gli sono stati delegati; c) l’organismo di controllo è accreditato secondo la versione più recente pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, serie C, della norma europea EN 45011 o della guida ISO 65 «Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di certificazione dei prodotti» ed è autorizzato dalle autorità competenti; d) l’organismo di controllo comunica i risultati dei controlli effettuati all’autorità competente, in modo regolare e ogniqualvolta quest’ultima ne faccia richiesta. Se i risultati dei controlli rivelano una non conformità o sollevano il sospetto della stessa, l’organismo di controllo ne informa immediatamente l’autorità competente; e) vi è un coordinamento efficace fra l’autorità competente delegante e l’organismo di controllo». 30 Regolamento (CEE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, in GUUE, L 198, 22.7.1991, pp. 1–15. 31 Cfr. art. 9, Reg. (CEE) n. 2092/91 cit. 32 Regolamento (CE) n. 178 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 120 ALIMENTA lamenti sull’igiene e sui controlli ufficiali (2004),33 la riforma (liberalizzatrice) delle indicazioni nutrizionali e sulla salute (2006)34, il riordino in 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. Per una prima introduzione al tema e senza pretesa di completezza: S. MASINI, Corso di diritto alimentare, Milano, Giuffré, 2015, A. ALEMANNO – S. GABBI, Foundations of EU Food Law and Policy, New York, Routledge, 2016, L. FOFFANI, – A. DOVAL PAIS – D. CASTRONUOVO (a cura di), La sicurezza agro-alimentare nella prospettiva europea. Precauzione, prevenzione e repressione, Milano, Giuffré, 2014, D. PISANELLO (a cura di), Guida alla Legislazione Alimentare, Roma, EPC, 2010, O’ROURKE, European Food Law, London, Sweet & Maxwell 2005; V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, profili civili, penali e amministrativi, Padova, CEDAM, 2003, AA.VV. (a cura dell’Istituto di diritto agrario internazionale e comparato IDAIC), La Sicurezza Alimentare nell’Unione Europea, in Nuove leggi civ. comm., 1-2, 2003. 33 Relativamente al profilo dell’igiene delle produzioni alimentari, la disciplina applicabile dal 1° gennaio 2006 è contenuta in un insieme di regolamenti e alcune direttive, conosciuto anche come «pacchetto igiene». Più precisamente le principali fonti comunitarie sull’igiene alimentare sono le seguenti: il regolamento (CE) n. 852/2004, sull’igiene dei prodotti alimentari, il Regolamento (CE) n. 853/2004, che stabilisce norme specifiche in materia d’igiene per gli alimenti di origine animale e il Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali, quest’ultimo abrogato dal Regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari (regolamento sui controlli ufficiali). Sul punto, V. RUBINO, The impact of EU public organizational rules and private standards on official food controls, in Riv. dir. al., Ottobre-Dicembre 2016, online; L. GONZÁLEZ VAQUÉ, The European Commission Proposal to Simplify, Rationalise and Standardise Food Controls. Towards a New Concept of “Food Law” in the EU?, in EFFLR, 2013, 5, pp. 308 e ss.; C. BIGLIA, Il Controllo Ufficiale, in D. PISANELLO (a cura di), Guida alla legislazione alimentare, cit., 163 e ss.; F. AVERSANO – V. PACILEO, Prodotti alimentari e legislazione, Bologna, Il Mulino, 2006. 34 Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, in GUUE, L 404 del 30 dicembre 2006. A ciò si aggiunga Regolamento (UE) n. 432/2012 della Commissione, del 16 maggio 2012, relativo alla compilazione di un elenco di indicazioni sulla salute consentite sui prodotti alimentari, diverse da quelle facenti riferimento alla riduzione dei rischi di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini, in GUUE, L 136 del 25 maggio 2012. Sul quadro sanzionatorio per le vio- QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 121 materia di additivi, aromi e enzimi (2008)35 e i M.O.C.A. (2004-2011)36, per approdare nel 2011 alla riforma della disciplina della etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti37 e al cambio di marcia relativamente ai «nuovi alimenti» (2015)38. lazioni di questo regolamento Decreto legislativo 7 febbraio 2017, n. 27, recante Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, in GURI, Serie Generale n. 64 del 17 marzo 2017, su cui si veda V. RUBINO, Gli “health claims” e l’etichettatura degli alimenti, in Riv. dir. al., 1, 2014, 22 e ss., online. 35 Con «Food Improvements Agents Package» si intendono i seguenti atti legislativi: Regolamento (CE) n. 1331/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, che istituisce una procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi, gli enzimi e gli aromi alimentari; Regolamento (UE) n. 1332/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 relativo agli enzimi alimentari; Regolamento (UE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, relativo agli additivi alimentari; Regolamento (UE) n. 1334/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre, relativo agli aromi e ad alcuni ingredienti alimentari con proprietà aromatizzanti destinati a essere utilizzati negli e sugli alimenti, tutti pubblicati in GUUE, L 354 del 31 dicembre 2008, pp. 1 ss. 36 Materiali e Oggetti a Contatto con gli Alimenti (MOCA): Regolamento (CE) n. 1935/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che abroga le direttive 80/590/CEE e 89/109/CEE, in GUUE, L 338 del 13 novembre 2004, pp. 4 ss.; Regolamento (CE) n. 2023/2006 della Commissione del 22 dicembre 2006 sulle buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con prodotti alimentari, in GUUE, L 384, 29 dicembre 2006, pp. 75– 78; Regolamento (CE) n. 450/2009 della Commissione del 29 maggio 2009 concernente i materiali attivi e intelligenti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, in GUUE, L 135, del 30 settembre 2009, pp. 3 ss.; Regolamento (UE) n. 10/2011 della Commissione del 14 gennaio 2011 riguardante i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, in GUUE, L 12 del 15 gennaio 2011, pp. 11 ss. Per il quadro sanzionatorio applicabile alle violazioni di questi regolamenti vedi Decreto legislativo 10 febbraio 2017, n. 29, recante Disciplina sanzionatoria per la violazione di disposizioni di cui ai regolamenti (CE) n. 1935/2004, n. 1895/2005, n. 2023/2006, n. 282/2008, n. 450/2009 e n. 10/2011, in materia di materiali e oggetti destinati a venire a contatto con prodotti alimentari e alimenti, in GURI Serie Generale n.65 del 18 marzo 2017. 37 Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, cit. 38 Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n. 122 ALIMENTA L’adeguamento dell’ordinamento italiano alla disciplina europea sul biologico è stato assicurato con il Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220, recante Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento n. 2092/91/CEE in materia di produzione agricola ed agro-alimentare con metodo biologico. Con tale decreto il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, oggi il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF), era - ed è tutt’ora - individuato quale «autorità preposta al controllo ed al coordinamento delle attività amministrative e tecnico-scientifiche inerenti l’applicazione della regolamentazione comunitaria in materia di agricoltura biologica, di cui al regolamento CEE del Consiglio n. 2092/91 del 24 giugno 1991, e successive modifiche ed integrazioni»39. Si osservi che nel passaggio dal primo regolamento all’oggi vigente Reg. (CE) n. 834/2007, nessuna modifica legislativa è intervenuta su tale decreto. Il decreto ora in parola reca, in particolare, la disciplina nazionale di riferimento per l’autorizzazione degli enti che intendono esercitare l’attività di controllo in ambito biologico; questi soggetti devono presentare apposita istanza sulla quale il MiPAAF si pronuncia entro novanta giorni e, in caso di accoglimento, mediante decreto di autorizzazione, abilita l’organismo di controllo ad «esercitare la propria attività su tutto il territorio nazionale», potendo così svolgere «i controlli previsti dalle norme comunitarie secondo un piano-tipo, predisposto annualmente» dall’organismo stesso,40 e potendo questo «rilascia[re] la certificazione, a seguito delle ispezioni di esito favorevole, ai sensi dell’allegato IV»41. Gli organismi di controllo così autorizzati sono poi sottoposti alla 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione. 39 Cfr. art. 1, D.lgs. n. 220/1995 cit. 40 Il piano è trasmesso entro il trenta novembre di ciascun anno per l’attività relativa all’anno successivo, alle regioni e alle provincie autonome interessate ed al MiPAAF che, d’intesa con le regioni e le provincie autonome interessate, può formulare rilievi ed osservazioni entro trenta giorni dal ricevimento. L’organismo di controllo è tenuto a svolgere la propria attività secondo il piano predisposto, tenendo conto delle modifiche eventualmente apportate su richiesta del Ministero. 41 Art. 5, co. 2°, d.lgs. n. 220/1995. QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 123 «vigilanza» del Ministero e delle «regioni e provincie autonome, per le strutture ricadenti nel territorio di propria competenza» 42 . L’autorizzazione può essere revocata, sempre con decreto ministeriale, «qualora sia emerso che l’organismo non risulta più in possesso dei requisiti sulla base dei quali l’autorizzazione è stata concessa», ovvero nei casi previsti dalla disciplina europea e in ultima analisi riconducibili a ipotesi espressamente contemplate nel regolamento di base43. Questa rapida rassegna preliminare dei principali elementi della disciplina delle persone giuridiche private che, in ragione della descritta autorizzazione ex art. 3 d.lgs. n. 220/1995, possono svolgere sul mercato italiano le attività di valutazione (controllo) e certificazione del biologico, deve per lo meno menzionare il Decreto del MiPAAF del 20 dicembre 2013, recante Disposizioni per l’adozione di un elenco di «non conformità» riguardanti la qualificazione biologica dei prodotti e le corrispondenti misure che gli Organismi di Controllo devono applicare agli operatori, ai sensi del Reg. (CE) n. 889/2008, modificato da ultimo dal Regolamento di esecuzione (UE) n. 392/2013 della Commissione del 29 aprile 201344. Con questo decreto ministeriale sono stati definiti principi generali e requisiti specifici per l’adozione, da parte degli organismi di controllo autorizzati, di “provvedimenti” conseguenti all’accertamento di non conformità alle regole tecnico-regolatorie poste a livello comunitario e nazionale. Nonostante la terminologia impiegata, come si vedrà, sussiste una estesa area di incertezza in merito alla natura (e agli effetti) di queste misure. 42 Art. 4, d.lgs. n. 220/1995. L’art. 27.9 (d), Reg. (CE) n. 834/2007 prevede che la revoca dell’autorizzazione sia disposta quando l’organismo non soddisfa i requisiti di obbiettività, indipendenza ed efficacia dei controlli, ovvero non rispetta i criteri che sono presupposto per l’autorizzazione (e codificati ai paragrafi 5 e 6) o, ancora, nel caso di mancata collaborazione e assistenza con l’autorità competente (art. 27.11), mancata adozione delle «misure precauzionali e le misure di controllo» previste dal regolamento a carico degli operatori soggetti al loro controllo (art. 27.12) e, infine, nel caso di omesso invio dell’elenco degli operatori controllati entro il termine posto (art. 27.14). 44 Pubblicato nella GURI del 10 febbraio 2014, n. 33. 43 124 ALIMENTA 3. Caso, decisione e prime luci sul nuovo paesaggio. Premesso ciò, il caso è presto detto: una azienda agricola, attiva nella produzione di frutta (albicocche) con il metodo della produzione biologica ricorreva innanzi al TAR di Potenza avverso i «provvedimenti» adottati nei suoi confronti dal proprio organismo di controllo (OdC),45 con il quale aveva stipulato un articolato accordo per l’esecuzione di una serie di attività, alcune delle quali rientranti nelle attività di controllo e certificazione ai sensi del Reg. CE 834/2007 (e domani, il Reg. 2018/848/UE).46 Più precisamente l’operatore in biologico era destinatario di due provvedimenti47 coi quali l’Organismo di 45 In diritto italiano, la base giuridica per l’adozione di questi «provvedimenti» o, nella terminologia del Reg. 2028/848/UE e Reg- 2017/625/UE, «azioni esecutive», è data dal Decreto ministeriale 20 dicembre 2013, Disposizioni per l’adozione di un elenco di «non conformità» riguardanti la qualificazione biologica dei prodotti e le corrispondenti misure che gli Organismi di Controllo devono applicare agli operatori, ai sensi del Reg. (CE) n. 889/2008. Questo decreto, noto impropriamente come “decreto sanzioni” da correggere per lo meno in “Decreto NC”, costituisce la cornice amministrativa di riferimento per la gestione delle non conformità alla disciplina di settore che siano state rilevate dagli organismi di controllo autorizzati dal Ministero. Il DM NC è diretta attuazione all’art. 30 del Reg. (CE) 834/2007 dedicato alle misure in caso di irregolarità e infrazioni che, in estrema sintesi, esige che i provvedimenti (misure) nel caso di non conformità siano proporzionali. Si è segnalato al riguardo che il DM NC «predilige una “logica da check-list” per la quale è sufficiente, per l’organismo delegato dal Ministero, incasellare il caso concreto (non conformità) nella tabella allegata» (cfr. D. PISANELLO, L’agricoltura… cit. p. 87). 46 È un dato da non tralasciare: molte delle attività oggetto di contratto di certificazione sono oggetto di disposizioni legislative e regolamentari sulle quali sussiste la vigilanza del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF) ai sensi del citato TU sui controlli in biologico nonché per la restante normativa UE richiamata nel testo. 47 I provvedimenti emessi secondo il predetto DM Non Conformità erano tre. Il primo dei quali, n. 130 del 24 luglio 2018, disponeva il divieto di commercializzazione per il periodo di giorni 180 per l’azienda delle albicocche con indicazioni riferite al metodo della produzione biologica. Il secondo, n. 132, reso in pari data, disponeva il divieto, per la predetta azienda agricola, di riportare nelle etichette delle albicocche le indicazioni inerenti al metodo della produzione biologica. Il terzo, n. 138, emanato il 3 agosto 2018, comunicava all’azienda agricola la risoluzione di diritto dei rapporti tra le parti e l’avvio della procedura di cancellazione dell’azienda dall’elenco degli operatori biologici. QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 125 controllo incaricato aveva prima sospeso il certificato e poi declassato tutto il raccolto di albicocche dell’anno 2016. L’operatore proponeva un ricorso interno avverso i summenzionati provvedimenti innanzi al Comitato Ricorsi, il quale lo respingeva.48 L’operatore impugnava i predetti provvedimenti dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Basilicata sulla base della prospettazione di plurimi vizi di legittimità (e con conseguente domanda di annullamento dei provvedimenti medesimi). Il TAR Basilicata pronunciava sentenza n. 772/2018, pubblicata il 22 novembre 2018, con la quale, in accoglimento dell’eccezione di carenza di giurisdizione, sollevata dall’Organismo di controllo, dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, ritenendo la stessa essere devoluta al giudice ordinario. La sentenza del giudice amministrativo di primo grado era quindi oggetto di ricorso in appello da parte dell’azienda agricola dinanzi al Consiglio di Stato, che, con sentenza della Sezione terza, n. 4119/2019, pubblicata il 18 giugno 2019, non notificata, accoglieva l’appello, annullando la pronuncia impugnata con rinvio dinanzi al TAR Basilicata, ritenendo che la controversia appartenesse alla giurisdizione del giudice amministrativo. In quella occasione, il Consiglio di Stato, pur ribadendo la natura dell’OdC quale soggetto di diritto privato, aveva ritenuto che lo stesso svolgesse attività avente carattere pubblicistico, operando per effetto di delega del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di modo che, trattandosi dell’esercizio di una funzione pubblica per effetto di delega, la posizione giuridica del privato di fronte all’esercizio di un tale potere autoritativo, avesse consistenza di interesse legittimo. La sentenza n. 4119/2019 veniva impugnata innanzi alla Corte di Cassazione, sezioni unite, per ragioni di giurisdizione. La Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso, cassa la sen- 48 Sul Comitato ricorsi vedasi pure il Decreto legislativo n. 20/2018 sia pur non applicabile ratione temporis. In particolare del Comitato Ricorsi, quale organo cui è demandata la decisione sul ricorso “amministrativo”, si occupa la parte C dell’allegato 2. Questo allegato è dedicato alle prescrizioni volte a rafforzare i profili di idoneità, indipendenza, imparzialità e assenza di conflitto di interesse in capo all’organismo delegato al controllo e certificazione in biologico. 126 ALIMENTA tenza impugnata, ribadendo quanto già professato nella precedente e già citata ordinanza SS.UU. n. 9678/2019, e afferma la (sola) giurisdizione del giudice ordinario.49 Sostiene la sentenza in rassegna, in uno dei punti nevralgici, che «… non possa offrirsi una lettura del succitato termine “delega” se non nell’ambito del sistema complessivamente delineato che, non diversamente da quanto nella normativa sovranazionale previgente quale interpretata dalla corte di Giustizia, presuppone in realtà l’esercizio di un potere di autorizzazione dell’autorità pubblica di vigilanza subordinato al rispetto della sussistenza di requisiti tassativi previsti dalla legge in capo agli organismi di controllo, di modo che risulti garantita l’obiettività ed assicurata l’efficienza dei controlli effettuati dagli organismi privati, che segnatamente nell’ambito dell’attività di certificazione, legata a parametri tecnici, operano secondo il diritto privato in adempimento di obbligazioni aventi fonte contrattuale con il produttore biologico, che si assoggetta alla relativa certificazione di conformità»50. Per la Suprema Corte continua ad avere unico rilievo il giudizio sulla «discrezionalità amministrativa», secondo il sentiero già tracciato nella precedente Ordinanza n. 9678/2019. Se non c’è - come continua a affermare la Corte di cassazione non ci può essere giurisdizione amministrativa e a nulla vale la diversità di petitum51 o altre considerazioni e letture prospettabili. 49 Non sembra che nella decisione della Suprema Corte sia ripreso l’argomento, prospettato da una delle parti, del parallelismo con le società di Attestazione (SOA). 50 Cfr. punto 4.5, Sentenza n. 1914/2021. 51 La Sentenza n. 1914/2021 scarta l’argomento della diversità di petitum che, in fase processuale, era stata formalmente sollevato. In proposito, il punto 5.1 della Sentenza del 28 gennaio 2021, che recita «né a ciò osta il diverso petitum di annullamento dei provvedimenti impugnati, oggetto della domanda originariamente proposta dall’azienda agricola F.V. dinanzi al TAR Basilicata, rispetto alla domanda risarcitoria nei confronti dell’organismo privato autorizzato che aveva - secondo il produttore di limoni nel giudizio nel corso del quale era stata avanzata l’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione definito dalla succitata ordinanza di questa Corte - “ingiustamente e negligentemente” disposto, in esecuzione del contratto di certificazione “bio” il divieto di commercializzazione del prodotto come biologico sulla base del prelevamento di un solo campione dello stesso.». La Corte riafferma (5.2.) «Dovendo infatti, farsi riferimento, ai fini della decisione sulla giurisdizione, al c.d. petitum sostanziale, la domanda va correlata alla posizione giuridica soggettiva dedotta in giudi- QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 127 La questione della giurisdizione relativamente al contenzioso tra operatori e organismi di controllo, postasi a partire dall’ordinanza SS.UU. n. 9678/2019 e la già citata sentenza del TAR in Potenza, si conclude. Il Consiglio di Stato, intesa la musica52, non ha tardato ad adeguarsi nelle prime due occasioni utili, rigettando due ricorsi contenti analoghi rilievi sulla giurisdizione del TAR avverso misure (di «non conformità») adottate dall’organismo di controllo incaricato.53 La lettura avanzata dal TAR Basilicata, poi supportata da altri precedenti del TAR Emilia-Romagna54 e TAR Veneto55, rintuzzata dal zio, che, alla stregua delle considerazioni sopra esposte, deve ritenersi, diversamente da quanto affermato dal Consiglio di Stato, di diritto soggettivo, dovendo escludersi che l’organismo autorizzato assuma la veste di pubblica amministrazione ex art. 7, comma 2, cod. proc. amm., ovvero eserciti, nell’ambito dell’esecuzione del contratto di certificazione, funzioni pubbliche». Vedi pure punto (5.3). 52 Non sembra solo una coincidenza il punto 4.8 redatto come segue: «4.8. Al riguardo va ribadito come competa alla Corte di Cassazione, nell’ambito dell’esame di ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione avverso sentenza del Consiglio di Stato “non soltanto il giudizio vertente sull’interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull’applicazione delle disposizioni non meramente processuali, che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione, nonché di quelle correlate attinenti al sistema delle impugnazioni” (cfr. Cass. SS.UU. 23 novembre 2011, n. 20727)». 53 Vedi sentenze Consiglio di Stato tra il febbraio e il marzo 2021. 54 Cfr. la sentenza del TAR Emilia-Romagna n. 567/2020, ove si legge che: «[i]n particolare, con la sentenza n. 9678 del 5 aprile 2019, le Sezioni Unite della Cassazione, risolvendo il contrasto giurisprudenziale sul punto, hanno chiarito che le controversie tra aziende operanti nel settore del “biologico” e i soggetti deputati al rilascio delle necessarie certificazioni ed alle relative attività di controllo ricadono nell’ambito della giurisdizione del Giudice Ordinario, e non di quello Amministrativo (così superando il precedente orientamento della giurisprudenza amministrativa, vedi Consiglio di Stato, sentenza n. 4114/2019), in quanto gli O.d.C. non assumono la veste di pubblica amministrazione, né partecipano all’esercizio di un pubblico potere, svolgendo essi un’attività ausiliaria, valutativa e certificativa (prelievi e analisi), sotto la sorveglianza dell’autorità pubblica, che si sostanzia in apprezzamenti ed indagini da compiersi sulla base di criteri esclusivamente tecnici e scientifici, costituente espressione di una discrezionalità meramente tecnica, in relazione alla quale sorgono in capo ai soggetti privati destinatari del controllo posizioni di diritto soggettivo la cui tutela rientra nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria». 55 Poi seguite da TAR Veneto, sentenza n. 571/2020. Contra sentenza del TAR Puglia n. 825/2020. 128 ALIMENTA Consiglio di Stato con le ordinanze del 2018 e poi con la citata sentenza 4119/2019 (quasi un epitaffio)56 ha infine prevalso con la “spallata” decisiva di cui alla sentenza delle sezioni unite civile qui in rassegna. D’ora in avanti si ragiona in termini di «discrezionalità amministrativa». Per la Corte di cassazione nel caso delle misure provvedimentali (o «azioni esecutive» secondo il gergo impiegato dal Regolamento UE n. 2017/625) adottate nell’ambito del controllo del biologico non vi è esercizio di potere pubblico. Occorrerà farsene una ragione o, al massimo, domandarsi se tale giudizio interno resterà fermo ove la Corte di giustizia UE dovesse nuovamente pronunciarsi sulla disciplina UE di settore. Dal tenore della sentenza, la cui analisi parte (e si ferma) alle sentenze del 2007 rese dalla Corte in Lussemburgo sul primo regolamento del biologico, induce a ritenere di no.57 La sentenza schiude e valorizza d’ora in avanti il dato contrattuale, chiamando in causa regole e principi che dovranno coniugarsi necessariamente con gli obblighi legislativi e normativi degli organismi di controllo e, più in generale col diritto europeo dell’alimentazione. Un campo esteso ed estremamente diramato. 56 Cui, ad onor del vero, deve aggiungere TAR Puglia – Bari, sentenza n. 825/2020 che aveva affermato che «è altrettanto indubitabile che [l’OdC] svolga attività non solo regolata dalla legge, ma avente carattere pubblicistico», richiamando l’art. 27 del Reg. CE 834/2007 e il decreto legislativo n. 20/2018. Pertanto giungeva alla conclusione che «le potestà certificatorie e sanzionatorie svolte da ICEA sono, infatti, anche alla luce di quanto meglio esposto in premessa, non solo atti esecutivi di un rapporto contrattuale, ma anche e soprattutto esplicazione di poteri che la legge riserva a determinati soggetti a determinate condizioni” e «che oggi l’amministrazione pubblica, intesa alla stregua di complesso di organi e uffici deputati alla cura di interessi pubblici tende sempre più ad avvalersi dell’ausilio di soggetti privati per lo svolgimento di compiti pubblicistici, tanto che la giurisprudenza ha qualificato i privati incaricati dello svolgimento di funzioni pubbliche come organi indiretti della pubblica amministrazione». Coerentemente il T.A.R. Puglia ha concluso riconoscendo la sussistenza di un «interesse legittimo a che l’organismo di Controllo, nell’esercizio della delegata potestà pubblicistica sanzionatoria faccia buon uso del suo potere di garantire il perseguimento del pubblico interesse alla genuinità del prodotto biologico immesso in commercio, nel rispetto dei limiti interni ed esterni della discrezionalità amministrativa». 57 Rispetto alla sentenza in commento, il richiamo e rimando alla giurisprudenza (anche ventura) della Corte di Giustizia sembra comunque non precludere un cambio alla luce di nuovi approdi del Giudice dell’UE. QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 129 In ogni caso i chiarimenti offerti dalla sentenza delle sezioni unite sono comunque una buona notizia per il sistema del biologico, che aiuteranno a mettere a fuoco alcuni tasselli del TU controlli del biologico relativi alle non conformità (articolo 5)58, obblighi dell’organismo incaricato (articolo 6)59 e autorizzazione ministeriale (articolo 4)60.61 Alla luce di quanto sopra, spiace il silenzio osservato dalla Sentenza in rassegna sulle pur fondamentali e nutrite disposizioni del Reg. 2017/625/UE e n. 2018/848/UE. Una decisione che guarda completamente al passato e non si chiede cosa cambierà a partire dal 1° gennaio 2022. E cambierà. In summa, è legittima impressione che sulla questione toccherà tornarci, presto o tardi. 58 Vedi in particolare il punto 3.1 della Sentenza in rassegna: «3.1. Le ipotesi di “non conformità” sono modulate, da ultimo, secondo il disposto del citato D.Lgs. n. 20 del 2018, art. 5, secondo un ordine decrescente di gravità, indicate rispettivamente quali “infrazioni”, “irregolarità” ed “inosservanze”, secondo la definizione rispettivamente fattane dal D.Lgs. n. 20 del 2018, art. 5, comma 4, del citato art. 5, comma 6 e dal comma 8 del suddetto Decreto». 59 Ad esempio, e a mero titolo di esempio, il punto 3.3.della sentenza recita: «L’art. 6, comma 1, lett. d), del citato Decreto prevede che “Nell’esercizio dell’attività di controllo, fermo restando quanto previsto dall’art. 4, comma 6, l’organismo di controllo, ha l’obbligo di: adottare, in caso di irregolarità o infrazioni, le misure corrispondenti a carico degli operatori, anche se receduti o esclusi dal sistema, per fatti antecedenti al recesso o all’esclusione”». 60 Vedi punto 3.2. della Sentenza in rassegna ove si ricorda il D.Lgs. n. 20 del 2018, art. 5, comma 7, il quale prevede che «L’accertamento di una o più irregolarità comporta l’applicazione, da parte dell’organismo di controllo al quale è assoggettato l’operatore, previa diffida in caso di irregolarità sanabili, della soppressione delle indicazioni biologiche, in proporzione all’importanza del requisito violato e alla natura e alle circostanze particolari delle attività irregolari. La soppressione comporta il divieto per l’operatore di riportare le indicazioni relative al metodo di produzione biologica, nell’etichettatura e nella pubblicità dell’intera partita o dell’intero ciclo di produzione in cui è stata riscontrata irregolarità». L’art. 4, comma 6, richiamato nella disposizione precedente citata, disciplina i requisiti necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione, che debbono essere assicurati, senza soluzione di continuità, per l’intera durata dell’autorizzazione medesima. 61 Vedi soprattutto l’art. 3, comma 2 voe recita «Il Ministero delega i compiti di controllo, ai sensi dell’art. 27, paragrafo 4, lettera b) del regolamento” per tale dovendo intendersi, per effetto dell’art. 2, il Regolamento (CE) del Consiglio n. 834/2007, «ad uno o più degli organismi di controllo che, a tal fine, presentano istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 4, comma 1». In Sentenza vedi punto 2.2. 130 ALIMENTA La stessa sentenza in rassegna presenta degli aspetti che devono essere ricomposti: è in qualche modo sorprendente che, pur nel quadro di una impostazione rigidamente civilista e nel quadro di un contezioso secondo il rito civile, la sentenza utilizza termini «provvedimenti» per indicare le decisioni dell’organismo delegatocontrattualizzato. A ciò si accompagna, è lecito supporre, il richiamo espresso del canone della giustificazione (punto 5.3 della sentenza in rassegna) di misure meno restrittive62. È Proprio il punto 5.3 che sembra rimarcare il dato che per la Suprema Corte merita di essere riconfermato della ordinanza del 2019: «come già affermato da questa Corte con la citata Cass. SS.UU., ord. n. 9678/19, le certificazioni si configurano, infatti, come “strumenti di circolazione di “informazioni” destinate in particolare ai consumatori, quali attestazioni di conformità del prodotto agli standards di legge e di “garanzia” dell’affidabilità al riguardo dell’impresa e dei suoi prodotti”. Ciò risponde all’esigenza, esplicitata nel considerando 22 del citato Reg. (CE) n. 834/07, che afferma che “è importante preservare la fiducia del consumatore nei prodotti biologici. Le eccezioni ai requisiti della produzione biologica dovrebbero pertanto essere strettamente limitate ai casi in cui sia ritenuta giustificata l’applicazione di norme meno restrittive»63. Questo passaggio rappresenta l’adesione alla ricostruzione fornita dalla più attenta manualistica64 che proprio nel ricorso introduttivo del caso Ardizzone che porto alla citata ordinanza del 2019. Guardando al futuro, il quadro della normativa complessivamente applicabile all’organismo designato in ambito biologico, in rapido sommovimento, porta a vedere nuovi interessi e multiple finalità assegnate o richiamate dal nuovo apparato normativo di cui al Regola- 62 Le non conformità si inquadrano nelle “azioni esecutive disposte dall’organismo designato”. Sul punto della ragionevolezza si segnala la già citata sentenza del TAR Puglia 825/2020 quale pronunciamento da non dimenticare abbandonare nel dimenticatoio. 63 Punto 5.3 della Sentenza. 64 Cfr. A. BENEDETTI, Certezza pubblica…cit. QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO 131 mento n. 2017/625/UE e dal Regolamento n. 2018/848/UE, e i rispettivi regolamenti di implementazione (delegati o di esecuzione) connessi a due atti legislativi dell’UE65. Sembrano quindi sussistere aspetti che, in un futuro non troppo lontano, torneranno certamente al calamaio del giudice italiano, sia esso civile o, per altra via, amministrativo, tali e tanti sono i profili che gli organismi di controllo delegati sono tenuti ad osservare e contemperare nello svolgimento dei compiti oggetto di autorizzazione ministeriale nell’ambito del controllo e certificazione del biologico66: obblighi di organizzazione, riservatezza, normative doganali, flussi di informazione connessi ad attività certificativa o provvedimentale, nella costante vigilanza – visti i tempi – in termini di cyber-sicurezza e gestione del documento informatico. Big Data, dunque. Alla prima B di “Bio” ne segue una seconda, quella di “Big Data”. C’è da sperare e da operare affinché ne segua una terza: la B di “Buono”! Daniele Pisanello 65 Non si approfondirà qui, limitandosi a osservare che il Regolamento UE n. 2017/625 predispone una disciplina ancor più articolata e dettagliata con riferimento ai controlli ufficiali nel settore dell’agricoltura biologica, segno inequivocabile dell’attrazione, per lo meno ad alcuni fini, nella sfera pubblica, in linea con lo sviluppo economico del fenomeno “bio”. Quest’ultimo regolamento contempla espressamente gli organismi delegati al controllo del biologico nel quadro della disciplina sui controlli ufficiali e le altre attività ufficiali: è sufficiente prendere atto, ad esempio, degli artt. 5, 12.4, 13.4, 15.2, del Regolamento UE 2017/625. Inoltre, tra gli attestati ufficiali disciplinati dal citato regolamento sui controlli ufficiali vi rientrano pacificamente le certificazioni del sistema del biologico. In questo organico ordito legislativo lo «organismo delegato» è espressamente definito come «una persona giuridica distinta alla quale le autorità competenti hanno delegato determinati compiti riguardanti i controlli ufficiali o determinati compiti riguardanti altre attività ufficiali» (art. 3(5), Reg. n. 2017/625 cit.). In questo organico ordito legislativo lo «organismo delegato» è espressamente definito come «una persona giuridica distinta alla quale le autorità competenti hanno delegato determinati compiti riguardanti i controlli ufficiali o determinati compiti riguardanti altre attività ufficiali» (art. 3(5), Reg. n. 2017/625 cit.). 66 In merito più diffusamente D. PISANELLO, Guida…cit., p. 220. 132 ALIMENTA ABSTRACT Con sentenza n. 1914 del 28 gennaio 2021 la Corte di cassazione, sezioni unite civili, ha stabilito che, in Italia, il giudice competente per le azioni proposte da un operatore, iscritto al Sistema di controllo del biologico (ex Reg. 834/2007/CE), è il giudice civile e non, come invece sostenuto dal di Stato, il giudice amministrativo. La sentenza conferma le acquisizioni già raggiunte con propria ordinanza n. 9678/2019, resa in occasione del regolamento preventivo di giurisdizione nell’ambito delle attività di controllo e certificazione del biologico. With its judgment no. 1914 of 28 January 2021, the Italian Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, established that, in Italy, the judicial review of the decisions taken by the control body for organic production belongs to the civil judge and not, as instead claimed by the Consiglio di Stato, the administrative judge. The ruling confirms the acquisition already addressed by the Italian Higher Court on 2019 (ordinanza no 9678) on the occasion of the first preventive jurisdictional regulation in the context of organic control and certification activities. PAROLE CHIAVE Agricoltura biologica - controllo e certificazione del biologico prodotti biologici - non conformità - controllo ufficiale filiere agroalimentari -controllo giurisdizionale – giurisdizione - misure esecutive produzioni agroalimentari regolamentate - organismi di controllo. Organic farming – control and certification of organic products – organic products – non-compliance – official control of agri-food chain – jurisdiction – implementing acts – regulated food products control bodies. ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 Corte di giustizia dell’Unione europea Sentenza del 17 dicembre 2020, causa C-490/19 Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier c. Société Fromagère du Livradois SAS, Raccolta digitale dicembre 2020, EU:C:2020:1043. «Rinvio pregiudiziale – Agricoltura – Protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari – Regolamento (CE) n. 510/2006 – Regolamento (UE) n. 1151/2012 – Articolo 13, paragrafo 1, lettera d) – Prassi che può indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti – Riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto la cui denominazione è protetta – Denominazione d’origine protetta (DOP) “Morbier”» Massima (a cura della rivista): l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, deve essere interpretato nel senso che non vieta solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata, ma anche la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Il giudice nazionale deve valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie. 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2006, L 93, pag. 12), e 134 ALIMENTA dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2012, L 343, pag. 1). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier (associazione per la tutela del formaggio Morbier; in prosieguo: il «Syndicat») e la Société Fromagère du Livradois SAS, in merito a una violazione della denominazione d’origine protetta (DOP) «Morbier» e ad atti di concorrenza sleale e parassitaria contestati a quest’ultima. Contesto normativo omissis Procedimento principale e questione pregiudiziale. 13 Conformemente al decreto del 22 dicembre 2000, la Société Fromagère du Livradois, che produceva formaggio morbier dal 1979, è stata autorizzata a utilizzare la denominazione «Morbier», senza la menzione DOC, fino all’11 luglio 2007, data a partire dalla quale essa ha sostituito la denominazione con «Montboissié du Haut Livradois». La Société Fromagère du Livradois ha inoltre depositato, il 5 ottobre 2001, negli Stati Uniti, il marchio americano «Morbier du Haut Livradois», che ha rinnovato nel 2008 per dieci anni e, il 5 novembre 2004, il marchio francese «Montboissier». 14 Contestando alla Société Fromagère du Livradois il fatto di arrecare danno alla denominazione protetta e di commettere atti di concorrenza sleale e parassitaria, producendo e commercializzando un formaggio che riprende l’aspetto visivo del prodotto protetto dalla DOP «Morbier», al fine di creare confusione con quest’ultimo e di sfruttare la notorietà dell’immagine ad esso associata, senza doversi conformare al disciplinare della denominazione d’origine, il Syndicat l’ha citata in giudizio, il 22 agosto 2013, dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia), affin- CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA 135 ché fosse condannata a cessare qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto della denominazione della DOP «Morbier» per prodotti da essa non protetti, ogni usurpazione, imitazione o evocazione della DOP «Morbier», ogni altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto con qualunque mezzo che possa indurre in errore sull’origine del prodotto, ogni altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, e in particolare un qualsiasi uso di una striscia nera che separi due parti del formaggio, e a risarcire il danno subito. 15 Tali domande sono state respinte con sentenza del 14 aprile 2016, confermata dalla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) con sentenza del 16 giugno 2017. Quest’ultima ha dichiarato che non costituiva un illecito la commercializzazione di un formaggio che presentava una o più caratteristiche contenute nel disciplinare del formaggio Morbier e che si avvicinava quindi a quest’ultimo. 16 In tale sentenza, dopo aver dichiarato che la normativa sulla DOP è diretta a tutelare non l’aspetto di un prodotto o le sue caratteristiche descritte nel suo disciplinare, ma la sua denominazione, di modo che essa non vieta la fabbricazione di un prodotto mediante le stesse tecniche definite nelle norme applicabili all’indicazione geografica, e dopo aver considerato che, in mancanza di un diritto esclusivo, la riproduzione dell’aspetto di un prodotto si inserisce nella sfera della libertà di commercio e d’industria, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha dichiarato che le caratteristiche evocate dal Syndicat, in particolare la striscia blu orizzontale, rientrano in una tradizione storica, in una tecnica antichissima presente in formaggi diversi dal Morbier, applicate dalla Société Fromagère du Livradois ancor prima del riconoscimento della DOP «Morbier» e non basate su investimenti che il Syndicat o i suoi membri avrebbero effettuato. Essa ha ritenuto che, se è vero che il diritto di utilizzare il carbone vegetale è conferito al solo formaggio protetto da tale DOP, è anche vero che la Société Fromagère du Livradois, per conformarsi alla legislazione statunitense, ha dovuto sostituirlo con polifenoli d’uva, cosicché i 136 ALIMENTA due formaggi non possono essere assimilati a causa di tale caratteristica. Rilevando che la Société Fromagère du Livradois aveva fatto valere altre differenze tra il formaggio Montboissié e il formaggio Morbier relativamente, in particolare, all’utilizzo di latte pastorizzato per il primo e di latte crudo per il secondo, essa ha considerato che i due formaggi erano distinti e che il Syndicat tentava di estendere la protezione della DOP «Morbier» in base a un interesse commerciale illegittimo e in contrasto con il principio di libera concorrenza. 17 Il Syndicat ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) dinanzi al giudice del rinvio, la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia). A sostegno del suo ricorso, esso afferma, anzitutto, che una denominazione d’origine è protetta contro qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto e che, statuendo, invece, che è vietato il solo utilizzo della denominazione della DOP, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) avrebbe violato i rispettivi articoli 13 dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012. Il Syndicat afferma poi che limitandosi a rilevare, da un lato, che le caratteristiche da esso evocate rientravano in una tradizione storica e non si basavano su investimenti effettuati dal medesimo e dai suoi membri e, dall’altro, che il formaggio Montboissié, commercializzato dal 2007 dalla Société Fromagère du Livradois, presentava differenze rispetto al formaggio Morbier, senza esaminare, come le era stato chiesto, se le prassi della Société Fromagère du Livradois, in particolare la copia della «striscia centrale» caratteristica del formaggio Morbier, potessero indurre o meno in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, la cour d’appel (Corte d’appello) ha privato la sua decisione di fondamento normativo con riferimento agli stessi testi di legge. 18 Dal canto suo, la Société Fromagère du Livradois sostiene che la DOP tutelerebbe i prodotti provenienti da un territorio delimitato, che sarebbero gli unici a potersi avvalere della denominazione protetta, ma non vieterebbe ad altri produttori di fabbricare e di commercializzare prodotti simili, a condizione che non inducano a ritenere che essi beneficino della denominazione di cui trattasi. Dal diritto na- CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA 137 zionale si evincerebbe che è vietato qualsiasi uso del segno che costituisce la DOP per designare prodotti simili che non vi abbiano diritto, vuoi che essi non provengano dalla zona delimitata, vuoi che provengano da quest’ultima senza presentare le proprietà richieste, ma che non sarebbe vietato commercializzare prodotti simili, purché tale commercializzazione non sia accompagnata da alcuna prassi idonea a ingenerare confusione, in particolare mediante l’usurpazione o l’evocazione di detta DOP. Essa sostiene inoltre che una «prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti», ai sensi dei rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, dovrebbe necessariamente riguardare l’«origine» del prodotto e che dovrebbe quindi trattarsi di una prassi che induca il consumatore a ritenere di trovarsi in presenza di un prodotto che benefici della DOP di cui trattasi. Essa ritiene che tale «prassi» non possa derivare dal semplice aspetto del prodotto in quanto tale, al di fuori di ogni indicazione sul suo imballaggio che faccia riferimento alla provenienza protetta. 19 Il giudice del rinvio afferma che il ricorso per cassazione di cui è investito pone la questione, inedita dinanzi ad esso, se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata o se debbano essere interpretati nel senso che essi vietano anche la presentazione di un prodotto che possa indurre in errore il consumatore sulla sua vera origine, anche qualora la denominazione registrata non venga utilizzata da un terzo. Rilevando in particolare che la Corte non si è mai pronunciata su tale questione, esso ritiene che sussista un dubbio sull’interpretazione dell’espressione «altra prassi» contenuta in tali articoli, che costituisce una forma particolare di pregiudizio a una denominazione protetta qualora possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. 20 Secondo il giudice del rinvio, si pone dunque la questione se la riproduzione delle caratteristiche fisiche di un prodotto protetto da una DOP sia idonea a costituire una prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, vietata dai rispettivi ar- 138 ALIMENTA ticoli 13, paragrafo 1, di tali regolamenti. Detta questione equivarrebbe a stabilire se la presentazione di un prodotto protetto da una denominazione d’origine, in particolare la riproduzione della forma o dell’aspetto che lo caratterizza, possa costituire un danno per tale denominazione, nonostante la mancata riproduzione della stessa. 21 In tale contesto, la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata o se debbano essere interpretati nel senso che essi vietano la presentazione di un prodotto protetto da una denominazione d’origine, in particolare la riproduzione della forma o dell’aspetto che lo caratterizzano, che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, anche se la denominazione registrata non viene utilizzata». Sulla questione pregiudiziale Sulla prima parte della questione. 22 Con la prima parte della sua questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata. 23 Dalla formulazione di tali disposizioni risulta che le denominazioni registrate sono tutelate contro diversi comportamenti, vale a dire, in primo luogo, l’impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata, in secondo luogo, l’usurpazione, l’imitazione o l’evocazione, in terzo luogo, l’indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA 139 pubblicità o sui documenti relativi al prodotto considerato nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sull’origine del prodotto e, in quarto luogo, qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. 24 Dette disposizioni contengono dunque un elenco graduato di comportamenti vietati (v., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2019, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego, C‑614/17, EU:C:2019:344, punto 27). Mentre i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 vietano l’impiego diretto o indiretto di una denominazione registrata per i prodotti che non sono oggetto di registrazione, in una forma che sia identica o fortemente simile dal punto di vista fonetico e/o visivo (v., per analogia, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 29, 31 e 39), i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettere da b) a d), di tali regolamenti vietano altri comportamenti contro i quali le denominazioni registrate sono tutelate e che non utilizzino né direttamente né indirettamente le denominazioni stesse. 25 Pertanto, l’ambito di applicazione dei rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 deve necessariamente distinguersi da quello relativo alle altre norme sulla protezione delle denominazioni registrate di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettere da b) a d), di tali regolamenti. In particolare, i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 vietano comportamenti che, a differenza di quelli di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), di tali regolamenti, non utilizzino né direttamente né indirettamente la denominazione protetta stessa, ma la suggeriscano in modo tale che il consumatore sia indotto a stabilire un sufficiente nesso di prossimità con detta denominazione [v., per analogia, per quanto riguarda l’articolo 16 del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamen- 140 ALIMENTA to (CEE) n. 1576/89 del Consiglio (GU 2008, L 39, pag. 16), sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punto 33]. 26 Per quanto riguarda, più nello specifico, la nozione di «evocazione», il criterio determinante è quello di accertare se il consumatore, in presenza di una denominazione controversa, sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, la merce protetta dalla DOP, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare tenendo conto, se del caso, dell’incorporazione parziale di una DOP nella denominazione controversa, di una similarità fonetica e/o visiva di tale denominazione con tale DOP, o ancora di una somiglianza concettuale tra detta denominazione e detta DOP (v., per analogia, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punto 51). 27 Inoltre, nella sua sentenza del 2 maggio 2019, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego (C‑614/17, EU:C:2019:344), la Corte ha dichiarato che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006 deve essere interpretato nel senso che l’evocazione di una denominazione registrata può derivare dall’uso di segni figurativi. Per pronunciarsi in tal senso, la Corte ha in particolare considerato, al punto 18 di tale sentenza, che la formulazione di tale disposizione può essere intesa come riferita non solo ai termini con cui una denominazione registrata può essere evocata, ma anche a qualsiasi segno figurativo che possa richiamare nella mente del consumatore i prodotti che beneficiano di tale denominazione. Al punto 22 di detta sentenza, essa ha rilevato che, in linea di principio, non si può escludere che segni figurativi siano in grado di richiamare direttamente nella mente del consumatore, come immagine di riferimento, i prodotti che beneficiano di una denominazione registrata, a motivo della loro vicinanza concettuale con siffatta denominazione. 28 Per quanto riguarda i comportamenti di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera c), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, occorre rilevare che tali disposizioni estendono, rispetto alle lettere a) CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA 141 e b) di tali articoli, il perimetro protetto, incorporandovi in particolare «qualsiasi altra indicazione», vale a dire le informazioni fornite ai consumatori usate sulla confezione o sull’imballaggio del prodotto considerato, nella pubblicità o sui documenti relativi a tale prodotto, che, pur non evocando l’indicazione geografica protetta, siano qualificabili come false o ingannevoli in considerazione dei collegamenti del prodotto con quest’ultima. L’espressione «qualsiasi altra indicazione» si estende a informazioni che possono apparire in qualsivoglia forma sulla confezione o sull’imballaggio del prodotto considerato, nella pubblicità o sui documenti relativi a tale prodotto, in particolare sotto forma di un testo, di un’immagine o di un contenitore idoneo a fornire informazioni in merito alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto (v., per analogia, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 65 e 66). 29 Per quanto riguarda i comportamenti di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, dall’espressione «qualsiasi altra prassi» utilizzata in tali disposizioni risulta che queste ultime sono dirette a includere qualsiasi comportamento che non rientri già nell’ambito di applicazione delle altre disposizioni dei medesimi articoli e, pertanto, a completare il regime di protezione delle denominazioni registrate. 30 Pertanto, dalle considerazioni che precedono deriva che i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non si limitano a vietare l’uso della denominazione registrata in quanto tale, essendo il loro ambito di applicazione più ampio. 31 Di conseguenza, occorre rispondere alla prima parte della questione sollevata dichiarando che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 devono essere interpretati nel senso che essi non vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata. 142 ALIMENTA Sulla seconda parte della questione. 32 Con la seconda parte della sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. 33 Prevedendo che le denominazioni registrate sono tutelate contro «qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti», i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non precisano i comportamenti vietati da tali disposizioni, ma riguardano in via estensiva tutti i comportamenti, diversi da quelli vietati dai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettere da a) a c), di tali regolamenti, che possano avere come risultato quello di indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi. 34 I rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 rispondono agli obiettivi enunciati ai considerando 4 e 6 del regolamento n. 510/2006 nonché ai considerando 18 e 29 e all’articolo 4 del regolamento n. 1151/2012, dai quali risulta che il regime di protezione delle DOP e delle indicazioni geografiche protette (IGP) mira in particolare a fornire ai consumatori informazioni chiare sull’origine e sulle proprietà dei prodotti, in modo da consentire loro di compiere scelte di acquisto più consapevoli, nonché di evitare le prassi che possano indurre in errore i consumatori. 35 Più in generale, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il regime di protezione delle DOP e delle IGP mira essenzialmente a garantire ai consumatori che i prodotti agricoli che beneficiano di una denominazione registrata presentino, a causa della loro provenienza da una determinata zona geografica, talune caratteristiche particolari e, pertanto, offrano una garanzia di qualità dovuta alla loro prove- CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA 143 nienza geografica, allo scopo di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi e di impedire che terzi si avvantaggino abusivamente della reputazione discendente dalla qualità di tali prodotti (v., per analogia, sentenze del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto, C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punto 82; del 20 dicembre 2017, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, C‑393/16, EU:C:2017:991, punto 38, nonché del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 38 e 69). 36 Per quanto riguarda la questione se la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata possa costituire una prassi vietata dai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, occorre osservare che, certamente, come sostenuto dalla Société Fromagère du Livradois e dalla Commissione europea, la tutela prevista da tali disposizioni ha ad oggetto, secondo i termini stessi di queste ultime, la denominazione registrata e non il prodotto che essa ha ad oggetto. Ne consegue che tale tutela non ha lo scopo di vietare, in particolare, l’utilizzo delle tecniche di fabbricazione o la riproduzione di una o più caratteristiche contemplate nel disciplinare di un prodotto protetto da una denominazione registrata, per il motivo che esse figurano in tale disciplinare, per realizzare un altro prodotto che non è oggetto della registrazione. 37 Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 27 delle sue conclusioni, una DOP è, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 1151/2012, che riprende in sostanza la formulazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 510/2006, una denominazione che identifica un prodotto originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati le cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani. Le DOP sono dunque tutelate in quanto designano un prodotto che presenta determinate qualità o determinate caratteristiche. Di conseguenza, la DOP e il prodotto da essa protetto sono strettamente collegati. 144 ALIMENTA 38 Pertanto, tenuto conto del carattere non limitativo dell’espressione «qualsiasi altra prassi» di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, non si può escludere che la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione di dette disposizioni. Ciò si verifica quando tale riproduzione può indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi. 39 Al fine di valutare se ciò si verifichi, occorre, come indicato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 55 e da 57 a 59 delle sue conclusioni, da un lato, fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (v., per analogia, sentenze del 21 gennaio 2016, Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 25 e 28, nonché del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punto 47) e, dall’altro, tener conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, ivi comprese le modalità di presentazione al pubblico e di commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, nonché del contesto fattuale (v., in tal senso, sentenza del 4 dicembre 2019, Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, C‑432/18, EU:C:2019:1045, punto 25). 40 In particolare, per quanto riguarda, come nel procedimento principale, un elemento dell’aspetto del prodotto oggetto della denominazione registrata, occorre soprattutto valutare se tale elemento costituisca una caratteristica di riferimento e particolarmente distintiva di tale prodotto affinché la sua riproduzione possa, unitamente a tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, indurre il consumatore a credere che il prodotto contenente detta riproduzione sia un prodotto oggetto di tale denominazione registrata. 41 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla seconda parte della questione sollevata dichiarando che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA 145 devono essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Occorre valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie. Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, devono essere interpretati nel senso che essi non vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata. L’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 devono essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Occorre valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie. Firme ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP: UN CASO DI EVOCAZIONE O PRASSI IDONEA A INDURRE IN ERRORE IL CONSUMATORE? Sommario: 1. La questione – 2. Il fatto – 3. Quadro normativo e giurisprudenziale – 4. La decisione. – 5. Conclusioni. 1. La questione. La sentenza in analisi risulta di particolare interesse in quanto, per la prima volta, la Corte di giustizia dell’Unione europea è stata chiamata ad accertare se la riproduzione della forma, delle caratteristiche distintive e/o dell’aspetto tipico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata, in assenza dell’utilizzo della denominazione, sia idonea a costituire una «prassi in grado di indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto»; prassi vietata dagli artt. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 510/2006, nonché del regolamento n. 1151/2012. Negli ultimi anni la Corte di giustizia è stata più volte chiamata a risolvere questioni inerenti alla portata della tutela da accordare a DOP e IGP, precisando che può ricadere nel divieto sancito dall’art. 13, par. 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non soltanto l’impiego diretto da parte del segno controverso della denominazione registrata in modo identico o simile da un punto di vista fonetico e/o visivo ma anche quelle prassi consistenti nell’uso indiretto della denominazione protetta, in modo tale che il consumatore sia indotto a stabilire un sufficiente nesso di prossimità tra il segno e la denominazione registrata quanto all’origine del prodotto. Gli orientamenti della Corte di giustizia aventi ad oggetto l’art. 13, par. 1 dei citati regolamenti hanno istituito un sistema di protezione delle denominazioni d’origine in continua evoluzione, individuando una gamma di pregiudizi che possono essere arrecati alle stesse sempre più ampia. Ciò al fine di garantire la massima protezione del collegamento con il territorio in quanto elemento in grado di differenziare qualitativamente un prodotto contraddistinto da una denominazione d’origine 148 ALIMENTA dall’insieme dell’offerta sul mercato, perseguendo al tempo stesso obiettivi di varia natura quali la tutela degli interessi economici dei produttori e la garanzia per gli stessi di condizioni di concorrenza leale1 sul mercato, la tutela degli interessi e delle aspettative dei consumatori e la realizzazione degli obiettivi della politica di sviluppo rurale del settore agricolo2. La pronuncia della Corte di giustizia qui esaminata segna un ulteriore passo avanti nel sistema di tutela dei regimi di qualità in quanto ricomprende la riproduzione della forma caratteristica di una denominazione d’origine nell’alveo di quelle pratiche idonee a determinare a un rischio di induzione in errore del consumatore circa la provenienza geografica o la produzione d’origine del prodotto ai sensi dell’art. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 1151/2012. 2. Il fatto. Il «Morbier» è un formaggio prodotto nel massiccio del Giura (Francia) che beneficia di una denominazione d’origine controllata (DOC) a partire da un decreto del 22 dicembre 2000. Esso è caratterizzato dalla presenza di una striscia nera che divide il formaggio in due parti in senso orizzontale, esplicitamente menzionata nella descrizione del prodotto contenuta nel disciplinare del prodotto. L’art. 8 del decreto del 22 dicembre 2000 prevedeva un periodo transitorio per le imprese situate fuori dalla zona geografica di riferimento che commercializzavano formaggi con la denominazione «Morbier», affinché potessero utilizzare la denominazione senza la menzione «DOC» fino alla scadenza di un termine di cinque anni dalla pubblicazione della registrazione della denominazione, a titolo di DOP, da parte della Commissione europea in conformità al regolamento n. 2081/1992. 1 Sulle modalità di esercizio dello ius excludendi e dello ius includendi da parte dei produttori legittimati ad utilizzare i segni DOP e IGP si rinvia ad A. GERMANÒ, Sulla titolarità dei segni DOP e IGP, in Riv. dir. alim., n. 2, 2017, pp. 289 ss. 2 Con riferimento agli obiettivi specifici della protezione delle DOP e delle IGP si v. il considerando 18 del regolamento n. 1151/2012 e l’art. 4 di quest’ultimo. RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP 149 La Société Fromagère du Livradois SAS, produttrice di formaggio Morbier dal 1979, non essendo situata nell’area geografica a cui è riservata la denominazione «Morbier» è stata autorizzata ad utilizzare la denominazione sino all’11 luglio 2007, conformemente all’art. 8 del decreto del 2000. Scaduto il periodo transitorio, la Société Fromagère du Livradois utilizza dall’anno 2007 la denominazione «Montboissié du Haut Livradois» per il suo formaggio. Nel 2013, il Syndicat ha citato in giudizio la Société Fromagère du Livradois dinanzi al Tribunale di primo grado di Parigi. Secondo il Syndicat, la Société Fromagère du Livradois recherebbe danno alla DOP e commetterebbe atti di concorrenza sleale e parassitaria, producendo e commercializzando un formaggio che riprende l’aspetto visivo di quello protetto dalla DOP «Morbier», in particolare, la striscia nera posizionata al centro del formaggio. Con sentenza del 14 aprile 2016 il Tribunale di primo grado di Parigi ha respinto integralmente le domande del consorzio. Con una sentenza pronunciata nel 2017, la Corte d’appello di Parigi ha confermato detto rigetto. Secondo tale giudice, la DOP sarebbe diretta a tutelare non l’aspetto di un prodotto o le sue caratteristiche, mala sua denominazione, escludendo così il divieto di fabbricazione di un prodotto mediante le stesse tecniche. Il Syndicat, convinto che la commercializzazione di un formaggio che presentava talune caratteristiche contenute del disciplinare del Morbier, si sostanziasse in un pregiudizio alla denominazione protetta, oltre che nella commissione di atti di concorrenza sleale, ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio. In tali circostanze, la Corte di cassazione ha sospeso il procedimento ed ha interrogato la Corte sull’interpretazione dell’articolo 13, par. 1, del regolamento n. 510/2006 e dell’art. 13, par. 1, del regolamento n. 1151/2012, che sono diretti a tutelare le denominazioni registrate. Più nello specifico, si pone la questione se la riproduzione delle caratteristiche fisiche di un prodotto protetto da una DOP, senza l’utilizzo della denominazione registrata, sia idonea a costituire una prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, vietata dagli artt. 13, par. 1, lett. d, di tali due regolamenti. 150 ALIMENTA La Corte è così chiamata, per la prima volta, ad interpretare l’art. 13, par. 1, lett. d dei regolamenti in discorso. 3. Quadro normativo e giurisprudenziale. Ai fini di una disamina completa della causa principale e della decisione della Corte di giustizia, pare opportuno mettere brevemente in luce il quadro normativo rilevante, rappresentato dal regolamento n. 1151/2012 e dal precedente regolamento n. 510/2006, nonché quello giurisprudenziale. Il regolamento n. 1151/2012, avente ad oggetto la disciplina dei regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, è entrato in vigore il 3 gennaio 2013 e ha sostituito il regolamento n. 510/2006, che ha, a sua volta, sostituito il precedente regolamento n. 2081/92. La disposizione di maggior interesse in relazione al caso esaminato, anche alla luce dei rilievi fatti nella sentenza dalla Corte di giustizia, è indubbiamente l’art. 13, par. 1, del regolamento n. 1151/2012, rubricato «Protezione». L’art. 13 del detto regolamento, al par. 1, lett. da a a d, prevede una «serie graduata di comportamenti vietati»3. Tale articolo accorda una protezione ad ampio raggio che riguarda, da un lato, l’utilizzazione, l’usurpazione e l’evocazione della denominazione protetta e, più in generale, ogni prassi parassitaria volta a sfruttare la rinomanza della denominazione mediante un’associazione ad essa, e, dall’altro, ogni condotta in grado di determinare un rischio di confusione tra prodotti che fruiscono di tale denominazione e prodotti convenzionali. Mentre l’art. 13, par. 1, lett. a vieta l’impiego diretto o indiretto di una denominazione registrata per i prodotti che non sono oggetto di registrazione in una forma identica 3 Conclusioni dell’Avvocato Generale, Giovanni Pitruzzella, 17 settembre 2020, par. 48 (v. in questo senso, la sentenza della Corte di giustizia, 2 maggio 2019, in causa C614/17, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego c. Industrial Quesera Cuquerella SL, Juan Ramón Cuquerella Montagud, in Raccolta digitale, maggio 2019, EU:C:2019:344). È opportuno precisare che la serie graduata verte sulla natura dei comportamenti vietati e non sugli elementi che devono essere presi in considerazione per determinare l’esistenza di tali comportamenti. RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP 151 o fortemente simile dal punto di vista fonetico e/o visivo4, l’art. 13, par. 1, lett. da b a d vieta altri comportamenti contro i quali le denominazioni registrate sono tutelate che non utilizzano né direttamente né indirettamente le denominazioni stesse. In particolare, il regime di tutela dell’art. 13 vieta: a) l’utilizzo del nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione, laddove siano comparabili a quello oggetto di tutela; b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione anche attraverso l’uso di un nome che è semplicemente una traduzione del nome protetto o di espressioni come «tipo», «genere» o simili; c) l’uso di indicazioni che possono trarre in inganno sull’origine, la natura, o la qualità essenziale del prodotto; d) qualsiasi prassi che, in generale, possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. L’ampiezza di tale protezione è giustificata dall’esigenza di soddisfare l’attesa dei consumatori in materia di prodotti di qualità e di un’origine geografica certa, nonché di facilitare il conseguimento da parte dei produttori, in condizioni di concorrenza uguali, di migliori redditi in contropartita di uno sforzo qualitativo reale per la produzione di prodotti di qualità5. In diverse occasioni, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi in modo significativo con riferimento alle pratiche di evocazione di cui all’art. 13 par. 1, lett. b, consistenti nell’impego di termini ed espressioni in relazione ad un prodotto in grado di ingannare il consumatore o, quantomeno, in grado di suscitare nel consumatore l’idea che quel prodotto abbia le stesse caratteristiche e qualità del prodotto a denominazione registrata o che sia esso stesso prodotto a denominazione registrata. La Corte di giustizia nel caso «Cambonzola»6 ha stabilito che l’uso 4 Si veda sul punto la sentenza della Corte di giustizia del 7 giugno 2018, in causa C44/17, Scotch Whisky Association c. Michael Klotz, in Raccolta digitale, giugno 2018, EU:C:2018:415, punti nn. 29, 31 e 39. 5 Sul ruolo centrale della comunicazione, complementare a quello della concorrenza, integrativo dell’informazione e a garanzia di una tutela preventiva del consumatore, v. N. LUCIFERO, La comunicazione simbolica nel mercato alimentare: marchi e segni del territorio, in Trattato di diritto agrario, diretto da L. COSTATO, A. GERMANÒ ed E. ROOK BASILE, III, Torino, 2011, p. 323. 6 Si veda sul punto la sentenza della Corte di giustizia del 4 marzo 1998, in causa C87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola c. Kaserei Champignon Hof- 152 ALIMENTA di una denominazione come «Cambonzola» per un prodotto simile, dal punto di vista materiale ed estetico, al formaggio Gorgonzola DOP è evocativa di tale denominazione, dovendosi registrare un’evocazione ogni qualvolta «il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta, di modo che il consumatore […] sia indotto ad avere in mente, come immagine di riferimento il prodotto che fruisce della denominazione». La Corte ha inoltre chiarito mediante ulteriori pronunce7 che sussiste evocazione8 in presenza di analogie fonetiche, ottiche e, se del caso, concettuali tra le denominazioni in conflitto, in un contesto in cui i prodotti di cui è causa sono simili nel loro aspetto esterno, ossia di apparenza analoga, chiarendo altresì che può esservi evocazione anche se la vera origine del prodotto è indicata, poiché (ai fini dell’evocazione) il rischio di confusione tra i prodotti è irrilevante9. Nel 2019 la Corte di giustizia nella causa C-614/17 - che vedeva convolti la Fondazione Queso Manchego, incaricata della gestione della protezione della DOP «Queso manchego», e la Industrial Quesera Cuquerella SL (IQC) - ha esteso i confini della nozione di evocazione meister GmbH & Co. KG, Eduard Bracharz GmbH, in Raccolta, 1999, I, p. 1301, EU:C:1999:115. 7 Si veda sul punto la sentenza della Corte di giustizia del 26 febbraio 2008, in causa C- 132/05, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania, in Raccolta 2008, I, p. 00957, EU:C:2008:117; sentenza della Corte di giustizia del 14 luglio 2011 in causa C-4/10 e C-27/10, Bureau national interprofessionnel du Cognac c. Gust. Ranin Oy, in Raccolta 2011, I, p. 06131, EU:C:2011:484; 8 Cfr. A. GERMANÒ, “Evocazione”: l’approfittamento della fama altrui nel commercio dei prodotti agricoli, in Riv. dir. agr., 2016, II, p. 177 ss. e di F. PRETE, Evocazione di indicazione geografica di bevande spiritose: la nozione eurocomunitaria di consumatore e il ruolo della Corte di giustizia nel processo di uniformazione dei principi del settore alimentare, in Riv. dir. agr., 2016, II, p. 180 ss., inoltre, N. LUCIFERO, La nullità di un marchio e il carattere di ingannevolezza del segno per l’indicazione di una origine del prodotto diversa da quella della sua materia prima, in Giur. it., n. 7, 2006, p. 1413. 9 Per una ricognizione della giurisprudenza intervenuta su tali profili, ex multis, F. GUALTIERI, S. VACCARI, B. CATIZZONE, La protezione delle indicazioni geografiche: La nozione di evocazione, in Riv. dir. alim, n. 2, 2017, p. 15 ss. V. RUBINO, From Cambozola to Toscoro: The difficult distinction between “evocation” of a protected geographical indication, “product affinity” and misleading commercial practices, in EFFLR, Vol. 12, No. 4 (2017), pp. 326-334. RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP 153 al di là delle sole ipotesi di parassitarie «denominazioni» dei prodotti protetti dalle indicazioni geografiche, facendo rientrare nel perimetro dell’art. 13, par. 1, lett. b del regolamento n. 510/2006 una protezione contro qualsiasi altra evocazione, che può derivare anche dall’utilizzo di segni figurativi. Quanto all’art. 13, par. 1, lett. d, del regolamento n. 1151/2012, tale disposizione si sostanzia in una formula onnicomprensiva che fa riferimento a «qualsiasi altra prassi», ossia a qualunque comportamento che non rientri già nell’ambito di applicazione delle altre disposizioni dello stesso articolo. Le «altre pratiche» a cui fa riferimento tale articolo si differenziano quindi dalle ipotesi di evocazione, in quanto queste ultime prescindono dall’esistenza di un rischio di confusione per il consumatore. Ne consegue che qualsiasi prassi potenzialmente idonea ad indurre in errore il consumatore sull’origine del prodotto può ricadere nell’ambito di applicazione della protezione ai sensi dell’art. 13, par. 1, lett. c del regolamento, ivi compresa, in linea di principio, la riproduzione dell’aspetto tipico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata o di una caratteristica particolare di riferimento della denominazione. Risulta, così, elaborato un sistema evolutivo di tutela dell’origine del prodotto alimentare da intendersi quale strumento di concorrenza e insieme di sicurezza alimentare10. 4. La decisione. La questione pregiudiziale proposta dalla Corte nazionale può essere suddivisa in due parti. Con la prima parte di tale questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte di giustizia se l’articolo 13, par. 1, del regolamento n. 1151/2012 debba essere interpretato nel senso che esso vieta solo l’uso, da parte di un terzo non autorizzato, di una denominazione registrata. La seconda parte della questione pregiudiziale, che presuppone 10 F. ALBISINNI, Luoghi e regole del diritto alimentare: il territorio tra competizione e sicurezza, in Dir. giur. agr. amb., 2004, p. 204. 154 ALIMENTA una risposta negativa alla prima parte, è volta a stabilire se sia altresì vietato, in mancanza di uso della denominazione protetta, la sola riproduzione della forma del prodotto tutelato dalla denominazione registrata, qualora essa possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto che riproduce tale forma o tale aspetto. Con la sentenza in esame, la Corte di giustizia ha dichiarato che l’art. 13, par. 1, del regolamento n. 1151/2012 non si limita a vietare l’uso della denominazione registrata in quanto tale. Dalla formulazione di tale disposizione emerge infatti che le denominazioni registrate sono tutelate contro diverse tipologie di comportamenti. Come rilevato anche dall’Avvocato Generale Pitruzzella al par. 49 delle sue conclusioni, i comportamenti di cui all’art. 13, par. 1, lett. d del regolamento includono qualunque contegno che non rientri già nell’ambito di applicazione delle altre disposizioni dei medesimi articoli. Tale norma prevede quindi un regime catch-all di tutela estensiva delle denominazioni registrate. Per ciò che concerne la questione se la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata sia idonea a costituire una prassi che possa indurre in errore il consumatore circa la reale origine dei prodotti, vietata dall’art. 13, par. 1, lett. d, si riportano di seguito le principali argomentazioni, fatte proprie dalla Corte al fine di avvalorare la propria decisione. La decisione della Corte di giustizia, in forza della quale l’art. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 1151/2012 vieterebbe la riproduzione dell’aspetto di una DOP qualora tale riproduzione possa, a seconda del singolo caso di specie, indurre in errore il consumatore informato e ragionevolmente avveduto, poggia su un percorso argomentativo che individua quale punto di partenza la rispondenza dell’art. 13, par. 1, lett. d, agli obiettivi enunciati ai considerando nn. 18 e 29 e all’art. 4 del detto regolamento. In particolare, tale riproduzione sarebbe vietata in quanto costituisca una prassi idonea ad impedire ai produttori o agli agricoltori, i cui prodotti sono tutelati da tale denominazione, di «comunicare agli acquirenti e ai consumatori le caratteristiche dei propri prodotti in condizioni di concorrenza leale»11, impedendo che i prodotti possano 11 Si vedano i considerando nn. 3 e 5 del regolamento n. 1151/2012; la sentenza della Cor- RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP 155 essere identificati correttamente sul mercato, e cioè, in quanto interferisca con il conseguimento degli obiettivi specifici della protezione delle DOP e delle IGP. La Corte ha osservato che la tutela prevista dai regolamenti n. 510/2006 e 1151/2012 riguarda la denominazione registrata e non il prodotto che quest’ultima ha ad oggetto. Lo scopo della protezione riconosciuta alle denominazioni d’origine non è dunque quello di vietare l’utilizzo delle tecniche di fabbricazione o di produzione in sé, né la riproduzione di una o più caratteristiche previste dal disciplinare di un prodotto protetto da una denominazione. Difatti, anche se le denominazioni geografiche registrate conferiscono un diritto esclusivo, tale diritto non ha natura individuale. Ogni produttore della zona geografica interessata è perciò legittimato ad utilizzare la relativa denominazione a patto che sia rispettato il corrispondente disciplinare di produzione. Conseguentemente, risulta prevalente l’interesse pubblico a che le denominazioni d’origine siano liberamente acquisibili da parte di ogni produttore in possesso dei requisiti richiesti. Tuttavia, le DOP e i prodotti da esse protetti sono inscindibilmente connessi tra loro. Difatti, le DOP sono tutelate in quanto designano un prodotto che presenta determinate qualità e/o caratteristiche. A parere della Corte, non si può dunque escludere che la riproduzione della forma di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione degli artt. 13, par.1, lett. d. Ciò si verifica quando tale riproduzione induce in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. te di giustizia del 14 luglio 2011 in causa C-4/10 e C-27/10, Bureau national interprofessionnel du Cognac c. Gust. Ranin Oy, in Raccolta 2011, I, p. 06131, EU:C:2011:484, punto 47; la sentenza della Corte di giustizia del 21 gennaio 2016, in causa C-75/15, Viiniverla Oy c. Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto, in Raccolta digitale, gennaio 2016, EU:C:2016:35, punto 24), nonché la sentenza della Corte di giustizia del 7 giugno 2018, in causa C-44/17 Scotch Whisky Association c. Michael Klotz, in Raccolta digitale, giugno 2018, EU:C:2018:415, punto 36, e la sentenza della Corte di giustizia, 2 maggio 2019, in causa C614/17, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego c. Industrial Quesera Cuquerella SL, Juan Ramón Cuquerella Montagud, in Raccolta digitale, maggio 2019, EU:C:2019:344, punto 29. 156 ALIMENTA Al fine di stabilire se ricorra un tale rischio di induzione in errore per il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto12, occorre effettuare una valutazione caso per caso alla luce di ogni elemento rilevante, comprendendo altresì le modalità di presentazione al pubblico dei prodotti13. Nel caso della prassi contestata nell’ambito del procedimento principale, la valutazione del rischio di confusione non può prescindere dalla particolarità ed esclusività dell’aspetto caratteristico del formaggio Morbier, costituita dalla striscia nera che divide il formaggio in due parti in senso orizzontale, oltre che dalla valutazione complessiva dell’aspetto del prodotto. Tale ultimo elemento deve necessariamente essere tenuto in considerazione in quanto la riproduzione di una caratteristica tipica, seppur esclusiva della forma di una denominazione registrata, potrebbe non indurre in errore il consumatore qualora l’aspetto del prodotto convenzionale risulti complessivamente divergente da quello designato dalla denominazione. 5. Conclusioni. La sentenza in esame testimonia il rilievo attribuito dalla Corte di giustizia, per la prima volta, alla tutela delle denominazioni registrate contro «qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti» di cui all’art. 13, par. 1 lett. d del regolamento n. 1151/2012. La prassi contestata nel caso di specie, avente ad oggetto la riproduzione della striscia di carbone vegetale, caratteristica tipica e «firma» del formaggio Morbier, su un prodotto convenzionale lattierocaseario complessivamente simile al prodotto protetto dalla denomi12 Si vedano, per analogia, la sentenza della Corte di giustizia del 21 gennaio 2016, in causa C-75/15, Viiniverla Oy c. Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto, in Raccolta digitale, gennaio 2016, EU:C:2016:35, punti 25 e 28, nonché la sentenza della Corte di giustizia del 7 giugno 2018, in causa C-44/17, Scotch Whisky Association c. Michael Klotz, in Raccolta digitale, giugno 2018, EU:C:2018:415, punto 47. 13 Si veda in tal senso, la sentenza della Corte di giustizia del 4 dicembre 2019, in causa C-432/18, Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena c. Balema GmbH, in Raccolta digitale, dicembre 2019, EU:C:2019:1045, punto 25. RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP 157 nazione, ricade nell’ambito di applicazione della lett. d dell’art. 13, par. 1, del regolamento, ossia tra quelle «altre prassi» pregiudizievoli per la denominazione d’origine che non rientrino già tra quelle disciplinate dalle lettere da a a c dello stesso articolo. Comportamenti analoghi a quello controverso rientrano solo eccezionalmente nel dominio dell’evocazione di cui all’art. 13, par. 1, lett. b del regolamento n. 1151/2012. Ciò in quanto tale norma, volta a vietare, in particolare, comportamenti parassitari14, prescinde dall’esistenza di un rischio di confusione per il consumatore15. Evitare che il consumatore sia indotto in errore sull’origine del prodotto rappresenta la sola condizione di applicazione dell’articolo 13, par. 1, lett. d dei regolamenti 510/2006 e 1151/2012 il quale non elenca in maniera puntuale i comportamenti vietati ma si limita a qualificarli in base al risultato e agli obiettivi avuti di mira dagli stessi. In conclusione, la riproduzione della forma o dell’aspetto caratteristico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata idonea a determinare un rischio (provato) di induzione in errore del consumatore circa la provenienza geografica o la produzione d’origine del prodotto si presta ad essere ricompresa nell’ambito applicativo dell’art. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 1151/2012. Martina Terenzi 14 Nella sentenza della Corte di giustizia del 21 gennaio 2016, in causa C-75/15, Viiniverla Oy c. Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto, in Raccolta digitale, gennaio 2016, EU:C:2016:35, la Corte di giustizia ha statuito che può esservi evocazione anche in mancanza di un qualunque rischio di confusione tra i prodotti di cui è causa poiché ciò che conta è, in particolare, che non si crei nel pubblico un’associazione di idee quanto all’origine del prodotto, né che un operatore sfrutti indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica protetta. 15 Nella la sentenza della Corte di giustizia del 4 marzo 1998, in causa C-87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola c. Kaserei Champignon Hofmeister GmbH & Co. KG, Eduard Bracharz GmbH, in Raccolta, 1999, I, p. 1301, EU:C:1999:115 la Corte di giustizia ha chiarito che può esservi evocazione di una denominazione protetta in mancanza di qualunque rischio di confusione tra i prodotti anche quando nessuna tutela comunitaria si applica agli elementi della denominazione di riferimento ripresi dalla terminologia controversa. 158 ALIMENTA ABSTRACT Nella sentenza del 17 dicembre 2020, in causa C-490/19, per la prima volta, la Corte di giustizia dell’Unione europea è stata chiamata ad accertare se la riproduzione della forma, delle caratteristiche distintive e/o dell’aspetto tipico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata, in assenza dell’utilizzo della denominazione, sia idonea a costituire una «prassi in grado di indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto»; prassi vietata dagli artt. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 510/2006, nonché del regolamento n. 1151/2012. La vicenda controversa riguarda il formaggio francese «Morbier» che beneficia di una denominazione d’origine controllata (DOC) a partire da un decreto del 22 dicembre 2000 e che si caratterizza per la presenza di una striscia nera di carbone vegetale che divide il formaggio in due parti in senso orizzontale, esplicitamente menzionata nella descrizione del prodotto contenuta nel disciplinare dello stesso. Secondo il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier la produzione e la commercializzazione da parte della Société Fromagère du Livradois di un formaggio che riprende l’aspetto visivo di quello protetto dalla DOP «Morbier», in particolare, la striscia nera posizionata al centro del formaggio recherebbe danno alla DOP e si sostanzierebbe in un atto di concorrenza sleale e parassitaria. La pronuncia della Corte di giustizia qui esaminata segna un importante passo avanti nel sistema di tutela dei regimi di qualità in quanto ricomprende la riproduzione della forma caratteristica di una denominazione d’origine nel regime di tutela estensivo delineato dall’art. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 1151/2012 sulla base della sussistenza di una sola condizione consistente nella semplice idoneità di tali atti a determinare un rischio (provato) di induzione in errore del consumatore circa la provenienza geografica o la produzione d’origine del prodotto. La tutela accordata alle denominazioni d’origine dai regolamenti riguarda la denominazione registrata e non il prodotto che quest’ultima ha a oggetto. Conseguentemente, tale protezione non ha lo scopo di vietare l’utilizzo dei metodi di fabbricazione o la riproduzione di una o più caratteristiche contemplate nel disciplinare di un prodotto protetto da una siffatta denominazione. La RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP 159 Corte di giustizia ha quindi chiarito che al fine di stabilire se ricorra un rischio di induzione in errore per il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, occorre effettuare una valutazione caso per caso alla luce di ogni elemento rilevante, comprendendo altresì le modalità di presentazione al pubblico dei prodotti. In altri termini, occorre verificare se l’aspetto e/o la forma del prodotto oggetto della denominazione registrata sia una caratteristica talmente distintiva del prodotto la cui riproduzione potrebbe “confondere” il consumatore tanto da fargli credere che il prodotto contenente detta riproduzione sia oggetto della denominazione registrata. EN: In its judgment of 17 December 2020 in Case C-490/19, the Court of Justice of the European Union was asked for the first time to determine whether the reproduction of the shape, distinctive characteristics and/or typical appearance of a product protected by a registered name, in the absence of the use of the name, is capable of constituting a ‘practice liable to mislead the consumer as to the true origin of the product’, a practice prohibited by Article 13(1)(d) of Regulation 510/2006 and Regulation 1151/2012. The case at issue concerns the ‘Morbier’ French cheese, which has been granted a registered designation of origin according to a decree of 22 December 2000 and is characterised by the presence of a black strip of charcoal dividing the cheese horizontally into two parts, which is explicitly mentioned in the product specification description. According to the Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier, the production and marketing by Société Fromagère du Livradois of a cheese which has the same visual appearance as the cheese protected by the ‘Morbier’ PDO, namely, the black stripe in the middle of the cheese, is detrimental to the PDO and constitutes an act of unfair competition and parasitism. The judgment of the Court of Justice under consideration marks an important step forward in the system of quality schemes protection since it includes the reproduction of the characteristic form of a designation of origin in the extensive system of protection set out in Article 13(1)(d) of Regulation No 1151/2012 on the basis of the existence 160 ALIMENTA of a single condition consisting in the mere fact that such acts are liable to give rise to a (proven) risk of misleading the consumer as to the geographical origin or production of the product. The protection granted to designations of origin by the regulations concerns the registered name and not the product to which it relates. Consequently, the purpose of that protection is not to prohibit the use of manufacturing methods or the reproduction of one or more characteristics set out in the specification of a product protected by such a designation. The Court of Justice has therefore clarified that in order to determine whether there is a risk of misleading the reasonably well-informed and reasonably observant and circumspect European consumer, a case-bycase assessment must be made in the light of all relevant factors, including the manner in which the products are presented to the public. In other words, it must be ascertained whether the appearance and/or shape of the product covered by the registered name is such a distinctive characteristic of the product that its reproduction could “confuse” the consumer to the extent that he would believe that the product containing that reproduction is the subject of the registered name. PAROLE CHIAVE Indicazioni Geografiche Protette – I.G.P. – Denominazioni di Origine Protetta – D.O.P. – evocazione – pratiche commerciali sleali – forma o aspetto che caratterizzano un prodotto a denominazione registrata – consumatore medio – prodotti agricoli e alimentari – regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. Protected Geographical Indications – P.G.I. - Protected Denominations of Origin P.D.O. – evocation – misleading practices - shape or appearance characterising a product covered by a registered name – average consumer – agricultural products and foodstuffs – quality schemes for agricultural products and foodstuffs. PARTE III DOCUMENTAZIONE ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE Le sentenze citate sono segnalate nella newsletter mensile CeDiSA (www.cedisa.info) e pubblicate nella versione integrale in formato pdf sulla pagina del gruppo Facebook CAFLA – Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare all’indirizzo internet https://www.facebook.com/ groups/481069885867217. Giurisprudenza dell’Unione europea Tutela dei consumatori. La Corte si pronuncia sulla formazione dei contratti e sulla nozione di “fornitura non richiesta”. Sentenza della Corte di giustizia (UE) 3 febbraio 2021 nella causa C‑922/19, Stichting Waternet c. MG, ECLI:EU:C:2021:91. Tutela dei Consumatori – Pratiche commerciali sleali - Nozione di “fornitura non richiesta” – Consenso espresso – Necessità – Distribuzione di acqua potabile. L’articolo 9 della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza e l’articolo 27 della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, sui diritti dei consumatori, in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 5, e con il punto 29 dell’allegato I della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, non disciplinano la formazione dei contratti, sicché spetta al giudice del rinvio valutare, conformemente alla normativa nazionale, se un contratto possa essere considerato concluso tra una società di distribuzione di acqua e un consumatore in mancanza di un consenso espresso di quest’ultimo. La nozione di «fornitura non richiesta», ai sensi del punto 29 dell’allegato I della direttiva 2005/29, deve essere interpretata nel senso che, fatte salve le verifiche che il giudice del rinvio deve effettuare, essa non comprende una pratica commerciale di una società di distribuzione di acqua potabile consistente nel mantenere l’allaccio alla rete pubblica di distribuzione di acqua in caso di 164 ALIMENTA trasferimento di un consumatore in un’abitazione precedentemente occupata, allorché tale consumatore non ha la possibilità di scegliere il fornitore di tale servizio, quest’ultimo fattura tariffe a copertura dei costi, trasparenti e non discriminatorie, in funzione del consumo di acqua e detto consumatore è a conoscenza del fatto che l’abitazione di cui trattasi è allacciata alla rete pubblica di distribuzione di acqua e che la fornitura di acqua è a pagamento. ◌֗ ◌֗ ◌֗ Etichettatura dei prodotti cosmetici. Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 17 dicembre 2020, in causa C667/19, A.M. / E.M., ECLI:EU:C:2020:1039. Prodotti cosmetici – Regolamento (CE) n. 1223/2009 – Articolo 19 – Informazione dei consumatori – Etichettatura – Indicazioni che devono figurare sul recipiente e sull’imballaggio dei prodotti – Etichettatura in lingua straniera – «Funzione del prodotto cosmetico» – Nozione – Imballaggi di prodotti cosmetici recanti un riferimento a un catalogo dettagliato di prodotti redatto nella lingua del consumatore. La Corte chiarisce i diritti del consumatore alla informazione trasparente in ambito cosmetico e i relativi obblighi degli operatori economici. L’articolo 19, paragrafo 1, lettera f), del regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici, deve essere interpretato nel senso che l’indicazione della «funzione del prodotto cosmetico» che deve figurare, in forza di tale disposizione, sul recipiente e sull’imballaggio del prodotto deve essere idonea a informare chiaramente il consumatore sull’uso e sulle modalità di impiego del prodotto al fine di garantire che quest’ultimo possa essere utilizzato in modo sicuro dai consumatori senza nuocere alla loro salute, e non può quindi limitarsi a menzionare soltanto gli scopi perseguiti con l’impiego del prodotto, quali previsti all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento. Spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce delle caratteristiche e delle proprietà del prodotto nonché dell’aspettativa del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, la natura e la portata dell’informazione che deve figurare a tale titolo sul recipiente e sull’imballaggio del prodotto affinché se ne possa fare un uso esente da pericoli per la salute umana. Le indicazioni di cui all’articolo 19, paragrafo 1, lettere d), f) e g), di tale regolamento, vale a dire rispettivamente quelle relative alle precauzioni partico- OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 165 lari per l’impiego del prodotto cosmetico, alla funzione di tale prodotto e ai suoi ingredienti, non possono figurare in un catalogo aziendale al quale faccia riferimento il simbolo previsto all’allegato VII, punto 1, di detto regolamento apposto sull’imballaggio o sul recipiente di detto prodotto. Prodotti tipici – denominazioni geografiche. Sentenza del Tribunale (Decima Sezione) del 14 aprile 2021, in causa T201/20, Berebene Srl contro Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, ECLI:EU:T:2021:192. Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio dell’Unione europea figurativo GHISU – Marchio collettivo nazionale figurativo anteriore CHIANTI CLASSICO – Impedimento alla registrazione relativo – Articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (UE) 2017/1001] – Vantaggio tratto indebitamente dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore. Il Tribunale Ue ribadisce i criteri di valutazione comparativa fra segni in conflitto. Il confronto fra marchi deve fondarsi sulla somiglianza visiva, fonetica e concettuale dei segni in conflitto, nonché sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. Non è contraddittorio concludere, nell’ambito della comparazione dei segni in sede di applicazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, nel senso dell’esistenza di una somiglianza globale tra i segni in conflitto senza prendere una posizione definitiva su tale somiglianza sul piano fonetico, a condizione che la somiglianza globale sia sufficiente affinché il pubblico interessato connetta mentalmente detti marchi, vale a dire stabilisca un nesso tra gli stessi. Pertanto, un grado di somiglianza, ancorché tenue, e anche su un solo piano, non consente, di per sé, di escludere l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009. Il confronto tra i segni in conflitto, dei quali uno compone un marchio collettivo e l’altro compone un marchio individuale, è fondato sugli stessi criteri applicabili al confronto tra i segni che compongono due marchi individuali. Di conseguenza, nulla impedisce di concludere che il segno che compone un marchio individuale e quello che compone un marchio collettivo veicolano lo stesso concetto o, come nel caso di specie, un concetto simile. 166 ALIMENTA Il fatto che il marchio richiesto evochi il marchio anteriore nella mente del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, equivale all’esistenza di un nesso fra gli stessi. L’esistenza del nesso menzionato, così come l’esistenza di un rischio di confusione, devono essere oggetto di valutazione globale, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie. Tra detti fattori figurano il grado di somiglianza tra i marchi in esame, la natura dei prodotti o dei servizi contraddistinti da tali marchi, compreso il grado di prossimità o di dissomiglianza di tali prodotti o servizi, nonché il pubblico interessato, il livello di notorietà del marchio anteriore e il grado di carattere distintivo, intrinseco o acquisito in seguito all’uso, del marchio anteriore. Domanda di modifica del disciplinare di un prodotto IGP. Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 15 aprile 2021.Causa C-53/20, ECLI:EU:C:2021:279. Rinvio pregiudiziale – Protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari – Regolamento (UE) n. 1151/2012 – Articolo 49, paragrafo 3, primo comma e paragrafo 4, secondo comma – Articolo 53, paragrafo 2, primo comma – Modifica del disciplinare di un prodotto – Cetriolini della Foresta della Sprea (Germania) “Spreewälder Gurken (IGP)” – Modifiche non minori – Opposizione – Dichiarazione di opposizione alla domanda di modifica – Ricorso contro la decisione che accoglie tale domanda – Nozione di “interesse legittimo”. La Corte adotta una interpretazione estensiva della nozione di “interesse legittimo” al fine di consentire al più ampio novero di soggetti possibile la legittimazione a presentare una opposizione alla domanda di modifica di un disciplinare di produzione di una DOP – IGP, onde soddisfare al meglio le finalità della norma. L’articolo 49, paragrafo 3, primo comma, e paragrafo 4, secondo comma, del regolamento (UE) n. 1151/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, in combinato disposto con l’articolo 53, paragrafo 2, primo comma, di quest’ultimo, deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito della procedura applicabile alle domande di modifica non minore del disciplinare di un prodotto che beneficia di un’indicazione geografica protetta, ogni persona fisica o giuridica che subisca un pregiudizio economico, reale o potenziale, però non del tutto inverosimile, dalle modifiche richieste può vantare l’«interesse legittimo» OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 167 richiesto per dichiarare un’opposizione alla domanda di modifica presentata o per proporre ricorso contro la decisione che accoglie detta domanda, qualora il rischio di pregiudizio agli interessi di tale persona non sia puramente improbabile o ipotetico, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Ambiente: diritto di accesso alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche. Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 15 aprile 2021. Causa C470/19, Friends of the Irish Environment Ltd c. Commissioner for Environmental Information, ECLI:EU:C:2021:271. Rinvio pregiudiziale – Convenzione di Aarhus – Direttiva 2003/4/CE – Diritto di accesso alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche – Articolo 2, punto – Nozione di “autorità pubblica” – Organi o istituzioni che agiscono nell’esercizio del potere giudiziario – Informazioni contenute nel fascicolo di un procedimento giurisdizionale chiuso. La Corte chiarisce la nozione di “autorità pubbliche” con riferimento all’accesso ad informazioni contenute in fascicoli giudiziari o in documenti detenuti da autorità poste sotto il controllo dell’Autorità giudiziaria. L’articolo 2, punto 2, della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che esso non disciplina l’accesso alle informazioni ambientali contenute nei fascicoli giudiziari, nei limiti in cui gli organi giurisdizionali o le istituzioni poste sotto il loro controllo, e che presentano quindi stretti legami con questi ultimi, non costituiscono «autorità pubbliche» ai sensi di tale disposizione e non rientrano dunque nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Infatti, emerge tanto dalla convenzione di Aarhus stessa quanto dalla direttiva 2003/4, avente l’obiettivo di attuare tale convenzione nel diritto dell’Unione, che, riferendosi alle «autorità pubbliche», i loro estensori hanno inteso designare non già le autorità giudiziarie, in particolare gli organi giurisdizionali, bensì, come già dichiarato dalla Corte, le autorità amministrative poiché, all’interno degli Stati, sono queste che abitualmente si trovano a detenere, nell’esercizio delle loro funzioni, informazioni ambientali. Gli organi giurisdizionali non fanno parte del governo né di altre amministrazione pubbliche ai sensi dell’articolo 2, punto 2, primo comma, lettera a), 168 ALIMENTA della direttiva 2003/4. Essi non possono neppure essere assimilati alle persone fisiche o giuridiche che esercitano «funzioni amministrative pubbliche, ivi compresi compiti, attività o servizi specifici aventi attinenza con l’ambiente» di cui all’articolo 2, punto 2, primo comma, lettera b), di tale direttiva, il quale designa gli organismi o le istituzioni che, pur non essendo parte del governo o delle altre amministrazione pubbliche di cui a tale prima disposizione, esercitano funzioni rientranti nel potere esecutivo o che concorrono all’esercizio di quest’ultimo e che hanno un rapporto con l’ambiente. Se è vero che l’attuazione dell’obiettivo della partecipazione pubblica ai processi decisionali in materia ambientale implica che le autorità amministrative diano accesso al pubblico alle informazioni ambientali in loro possesso, al fine di rendere conto delle decisioni che esse adottano in tale materia e di associare i cittadini alla loro adozione, ciò non vale per le memorie e gli altri documenti versati ai fascicoli di procedimenti giurisdizionali in materia ambientale, in quanto il legislatore dell’Unione non ha inteso favorire l’informazione del pubblico in materia giudiziaria e la partecipazione di quest’ultimo al processo decisionale in tale materia. Commercio Fitosanitari. La Corte conferma l’identità di trattamento normativo del titolare dei permessi di commercializzazione dei prodotti fitosanitari e dei titolari di licenze di importazioni parallele. Solo i primi possono accedere alle seconde. Sentenza del 4 marzo 2021 nella causa C – 912/19, Agrimotion S.A. c. ADAMA Deutschland GmbH, ECLI:EU:C:2021:173. Immissione in commercio dei prodotti fitosanitari – Regolamento (CE) n.1107/2009 – Articolo 52, paragrafo 1 – Permesso di commercio parallelo – Carattere personale di tale permesso. L’articolo 52, paragrafo 1, del regolamento (CE) n.1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari deve essere interpretato nel senso che solo il titolare di un permesso di commercio parallelo può immettere un prodotto fitosanitario nel mercato dello Stato membro che ha concesso tale permesso. Infatti l’applicazione del regime del commercio parallelo di cui all’articolo 52 del regolamento n. 1107/2009 dipende dall’applicazione del regime di autorizzazione previsto segnatamente all’articolo 33 di tale regolamento, dato che, in forza OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 169 della prima disposizione, il permesso di commercio parallelo può essere concesso solo per un prodotto fitosanitario la cui composizione sia identica a quella di un prodotto fitosanitario già autorizzato nel territorio dello Stato membro d’introduzione. Se si dovesse ritenere che il permesso di commercio parallelo non abbia un carattere personale, ne risulterebbe un pregiudizio alla coerenza del suddetto regolamento, in quanto una persona non titolare di un simile permesso potrebbe immettere sul mercato di uno Stato membro un prodotto fitosanitario, mentre solo il titolare dell’autorizzazione relativa al prodotto di riferimento per lo stesso mercato ha il diritto di immettere tale prodotto su detto mercato. L’interpretazione, d’altra parte, è coerente con la ratio della norma chiarita nei considerando introduttivi, laddove è chiaramente affermato che il regolamento n. 1107/2009 ha lo scopo di garantire un elevato livello di protezione della salute umana e animale e dell’ambiente e, al contempo, di preservare la competitività dell’agricoltura dell’Unione europea, nonché di aumentare la libera circolazione dei prodotti fitosanitari e la loro disponibilità negli Stati membri sopprimendo la disparità dei livelli di protezione negli Stati membri e armonizzando in particolare le norme relative al riconoscimento reciproco delle autorizzazioni e il commercio parallelo di tali prodotti. ◌֗ ◌֗ ◌֗ Informazioni relative ai medicinali veterinari. Sentenza del 17 marzo 2021 nella causa C – 64/20, UH c. An tAire Talmhaíochta, Bia agus Mara, Éire, An tArd-Aighne, ECLI:EU:C:2021:207. Direttiva 2001/82/CE – Codice comunitario relativo ai medicinali veterinari – Articoli 58, 59 e 61 – Informazioni che devono figurare sui confezionamenti esterni, sui confezionamenti primari e sui foglietti illustrativi dei medicinali veterinari – Obbligo di redigere le informazioni in tutte le lingue ufficiali dello Stato membro di immissione in commercio – Normativa nazionale che prevede la redazione delle informazioni soltanto in una delle due lingue ufficiali dello Stato membro. La Corte chiarisce i limiti di autonomia del giudice nazionale nel determinare se, in caso di non corretta trasposizione di una direttiva da parte di una norma nazionale, in un ambito soggetto comunque a cambiamento per effetto dell’ormai imminente entrata in vigore di una nuova norma europea, sia possibile non dare luogo ai provvedimenti previsti dall’ordinamento nazionale per le ipotesi di inadempimento alle norme Ue (c.d. stand still “a contrariis)”. 170 ALIMENTA Il diritto irlandese consente ai singoli di ottenere una dichiarazione giurisdizionale secondo la quale l’Irlanda non ha correttamente recepito una direttiva dell’Unione ed è tenuta a procedere al suo recepimento, ma lascia ai giudici nazionali la possibilità di rifiutare di effettuare una siffatta dichiarazione, per i motivi stabiliti da tale diritto. Il giudice del rinvio ha constatato il recepimento non corretto della direttiva 2001/82. La circostanza che la normativa irlandese risulti già ad oggi compatibile con il regolamento 2019/6, che si applicherà a decorrere dal 28 gennaio 2022, non può mettere in discussione l’accertamento dell’incompatibilità di tale normativa con il diritto dell’Unione fino a tale data né può, a fortiori, giustificare una siffatta incompatibilità. Infatti, soltanto la Corte può, eccezionalmente e per considerazioni imperative di certezza del diritto, concedere una sospensione provvisoria degli effetti di una norma di diritto dell’Unione rispetto al diritto nazionale con essa in contrasto. Ne consegue che l’articolo 288 TFUE osta a che un giudice nazionale possa prescindere dall’obbligo imposto allo Stato membro al quale appartiene di recepire una direttiva a causa del presunto carattere sproporzionato di tale recepimento in quanto quest’ultimo potrebbe rivelarsi costoso o inutile a fronte della futura abrogazione di tale direttiva. Spetta quindi al giudice del rinvio prendere ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare che il risultato previsto da detta direttiva sia raggiunto e adottare, di conseguenza, la dichiarazione richiesta. Giurisprudenza italiana Prodotti della filiera “corta” Corte Costituzionale Corte Costituzionale 9 marzo 2021, n. 31, - Coraggio, pres.; Amato, est. – Presidente del Consiglio dei ministri c. Regione Toscana. Agricoltura foreste- norme della regione Toscana – nozione di chilometro zero – discriminazione. Una norma regionale che favorisca i prodotti regionali senza tener conto della prossimità fisica dei luoghi di produzione siti anche in regioni contigue viola gli artt. 117, co. 2, lett. a) e 120 della Costituzione. OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 171 Sono costituzionalmente illegittime le disposizioni di cui agli artt. 2, 3, e 4 della legge della Regione Toscana 10 dicembre 2019, n. 75 (Norme per incentivare l’introduzione dei prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta nelle mense scolastiche) per violazione dell’art. 117, secondo comma lett. e) in materia di “tutela della concorrenza” e dell’art. 120 Cost. in quanto, per quanto l’art. 3 della legge non disciplini direttamente un criterio premiale, i caratteri che i progetti pilota promuovono hanno un impatto negativo sulla concorrenza e sulla circolazione dei prodotti alimentari, privilegiando quelli che provengano dalla regione. Nel caso di specie, il criterio usato per la definizione del chilometro zero implica un collegamento - produzione e trasformazione del prodotto all’interno della regione - con il territorio della regione stessa, che prescinde dall’eventualità che la consumazione e l’utilizzo di prodotti provenienti da aree prossime, site in territorio extra-regionale, coinvolgano una distanza tra produzione e consumo addirittura minore. Anche con riferimento alla filiera corta, poi, l’art. 3 della suddetta legge regionale, nel richiedere il coinvolgimento di un unico intermediario, esclude a priori che due intermediari siano in grado di ricoprire una distanza minore di quella dell’unico intermediario ammesso dalla legge. La medesima disposizione produce il medesimo effetto nel momento in cui prescrive che i progetti pilota debbano garantire la preparazione dei pasti con almeno il cinquanta per cento di prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta ed anche in questo caso la definizione di chilometro zero non prescinde dal collegamento con il territorio regionale. Non sono, pertanto, ravvisabili quelle esigenze di tutela dell’ambiente e della salute che legittimano, ai sensi dell’art. 95, comma 13, del codice dei contratti pubblici, il conferimento di punteggi premiali nel contesto delle procedure di affidamento di appalti pubblici a beneficio di coloro che impieghino prodotti a chilometri zero e da filiera corta. Il legislatore toscano, in definitiva, attribuisce un trattamento deteriore a coloro che utilizzino prodotti differenti da quelli che provengano dal territorio regionale. Giurisprudenza amministrativa Agricoltura: fertirrigazione e impatto ambientale T.A.R. Umbria, Sezione Prima, sentenza del18 gennaio 2021, n. 22 - Potenza, pres.; Mattei, est. - Nulli (avv. De Matteis) c. Comune di Marsciano, A.R.P.A. Umbria (n.c.). 172 ALIMENTA Ambiente - Azienda agricola - Ordinaria attività di utilizzo dei reflui zootecnici (che rifiuti non sono) nell’ambito dell’attività agricola ed ai fini della pratica, diffusa e legittima, della fertirrigazione - Ordinanze contingibili e urgenti e poteri sostitutivi - Ordinanza sindacale che impone la predisposizione di una relazione tecnica con descrizione delle tecniche di distribuzione dei reflui zootecnici - Illegittimità dell’ordinanza. L’utilizzo della fertirrigazione nel contesto di una situazione emergenziale può legittimare l’inosservanza dei termini e degli adempimenti sanciti dalle disposizioni ordinarie. L’utilizzo della fertirrigazione per far fronte ad una situazione di pericolo imminente di tracimazione e ruscellamento per ostruzione delle tubazioni mobili tra la fossa di rilascio e la laguna di stoccaggio comporta l’obbligo per l’amministrazione comunale di valutare la situazione di fatto prima di contestare al privato di aver fatto ricorso a detta tecnica senza aver notificato l’operazione nelle 48 ore precedenti lo spandimento e di non aver osservato il termine di 30 giorni dalla trasmissione della comunicazione di cui all’art. 14 DGR Umbria 1492/2006. Prodotti biologici: ancora sulla giurisdizione in tema di provvedimenti sanzionatori comminati dagli OdC. Consiglio di Stato, Sezione terza, sentenza 3 marzo 2021, n. 1829. Agricoltura e foreste – agricoltura biologica – Commercializzazione di partite di frumento tenero “bio” – Uso di prodotti non ammessi o non registrati – Soppressione cautelativa delle indicazioni biologiche – Divieto di riportare in etichetta la dicitura di “biologico” relativamente alla vendita dei prodotti aziendali durante il periodo di sospensione – Difetto di giurisdizione. Soppressione cautelativa delle indicazioni biologiche riferite a partite di frumento tenero: affermata la giurisdizione del giudice ordinario. I provvedimenti di ICEA, recanti “Soppressione delle indicazioni BIO” ed “Esclusione dell’operatore” irrogati per non aver osservato la sospensione non costituiscono esercizio di un potere autoritativo, bensì di un’attività dichiarativa volta a constatare la conformità o meno del prodotto alle condizioni normative OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 173 fondamentale al fine di tutelare la fiducia del consumatore verso il prodotto biologico. La corrispondente posizione giuridica soggettiva facente capo al privato pertanto afferisce alla giurisdizione del giudice ordinario. Consiglio di Stato, Sezione terza, sentenza 26 marzo 2021, n. 2576 – Lipari, Pres.; Santoleri, est. – Azienda Agricola Giol S.S. Società Agricola (Avv. Pisanello) c. ICEA – Istituto di certificazione etica ed ambientale (Avv. Ti Ruffolo, Loccisano) ed a. Agricoltura e foreste – Prodotti biologici (settore della produzione e vinificazione di uve) – Verifica del rispetto della normativa regolante l’esercizio di attività di agricoltura biologica – ICEA – giurisdizione del giudice ordinario – confine tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria. I provvedimenti degli OdC aventi carattere tecnico capaci di pregiudicare le posizioni giuridiche soggettive dei soggetti sottoposti a controllo sono soggetti ad impugnazione avanti al giudice ordinario. In materia di certificazione biologica da prodotti agricoli sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sui provvedimenti assunti dagli Organismi di Controllo (OdC) dal momento che gli organismi privati, tra i quali l’ICEA – Istituto di Certificazione Etica e Ambientale - autorizzati dal Ministero delle Politiche agricole e forestali svolgono un’attività dichiarativa e valutativa, espressione di una discrezionalità meramente tecnica, su supervisione della pubblica autorità. Le posizioni giuridiche soggettive corrispondenti dei privati pertanto afferiscono alla sfera di cognizione del giudice ordinario. ◌֗ ◌֗ ◌֗ Prodotti DOP – IGP: deroghe ai disciplinari di produzione. T.A.R. Lazio - Roma, Sezione Seconda, sentenza del 31 marzo 2021, n. 3883 – c. Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed a. (Avv. gen. Stato) ed a. Produzione, commercio e consumo - Prodotti alimentari. Elaborazione e imbottigliamento del vino Prosecco DOP – aree esterne allo Stato della DOP – deroghe – non ammesse. 174 ALIMENTA È precluso il rilascio dell’autorizzazione DOP in base all’art. 5, commi 2 e 3, del Disciplinare ad imprese aventi sede al di fuori del territorio dello Stato membro richiesto. Le aziende aventi sede all’estero non possono invocare l’art. 5, comma 2 e 3, del Disciplinare per ottenere l’autorizzazione per “l’imbottigliamento o l’elaborazione delle tipologie di “spumante” o “frizzante”” in quanto l’efficacia territoriale è circoscritta ai confini nazionali. È lo Stato membro il soggetto tenuto ad avanzare la proposta e la concessione dell’autorizzazione, pertanto, non può che risentire dei limiti territoriali della sua sovranità. L’efficacia territoriale dell’autorizzazione è ulteriormente ristretta, poi, all’ambito oggettivo delineato dai produttori, autori della richiesta. Ne consegue che la sola osservanza dei requisiti di cultura per un tempo ultraquinquennale nel periodo precedente l’entrata in vigore del decreto non è sufficiente a consentire il rilascio della stessa. Né ai fini della concessione della summenzionata autorizzazione sussistono ragionevoli presupposti per supporre l’incompatibilità di tale disciplina con i principi della libera circolazione delle merci o di non discriminazione delle aziende in ragione della propria appartenenza nazionale o di tutela della concorrenza, costituendo proprio l’esigenza di preservare la qualità del prodotto il presupposto logico necessario della tutela del mercato e dell’affidamento del consumatore sul rispettivo marchio. Corte di Cassazione Prodotti biologici: ancora sulla giurisdizione in materia di provvedimenti sanzionatori comminati dagli OdC. Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza n. 1914 del 28.01.2021. Alimenti biologici - sanzioni O.D.C., giurisdizione - produzioni biologiche – certificazioni – provvedimenti sanzionatori – Organismo di controllo incaricato dal MPAAF – valenza – giurisdizione amministrativa – non sussiste. Gli Organismi di Controllo incaricati dal MPAAF non assumono il ruolo della pubblica amministrazione né esercitano funzioni pubbliche. I loro provvedimenti sanzionatori sono, pertanto, soggetti alla giurisdizione ordinaria. Dal momento che ai fini della giurisdizione, deve aversi riguardo alla situa- OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 175 zione sostanziale dedotta in giudizio, deve escludersi che nelle cause aventi ad oggetto la legittimità dei provvedimenti - concernenti il divieto di commercializzazione del prodotto con il metodo della produzione biologica, il divieto di inserire nelle etichette il riferimento al metodo della produzione biologica e la cancellazione dell’azienda dall’elenco degli operatori biologici - sussista la giurisdizione del giudice amministrativo. Gli organismi privati autorizzati, infatti, non assumono né il ruolo della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 7, comma 2, cod. proc. Amm., né tantomeno esercitano funzioni pubbliche. Le certificazioni sono, piuttosto, documenti informativi con il compito di veicolare il messaggio al pubblico dei consumatori della certificata conformità del prodotto agli “standards di legge e di garanzia dell’affidabilità al riguardo dell’impresa e dei suoi prodotti” (Cass. SU ord. N. 9678/2019) al fine di tutelare la loro fiducia nei confronti dei prodotti biologici, ai sensi del considerando 22 del Regolamento (CE) n. 834/07. (Su questa sentenza si veda nella Parte II di questa stessa Rivista la nota di D. PISANELLO, Quale giudice per il biologico: note alla sentenza 1914/2021 resa dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite sulla relativa questione di giurisdizione). ◌֗ ◌֗ ◌֗ Sanzioni amministrative Cassazione Civile, Sezione 6, ordinanza n. 5562 del 01.03.2021. Annullamento – nuovo provvedimento sanzionatorio – bis in idem – non sussiste - attività di somministrazione di alimenti e bevande in mancanza di autorizzazione amministrativa. Non viola il principio del “ne bis in idem” un provvedimento che irroghi una sanzione amministrativa dopo l’annullamento di altra sanzione relativa agli stessi fatti per mero vizio procedurale. L’annullamento del provvedimento sanzionatorio, di intimazione della cessazione dell’attività di somministrazione di bevande ed alimenti, fondato sul relativo illegittimo esercizio, da parte del giudice amministrativo con sentenza definitiva per vizio meramente procedurale ad opera del Comune non impedisce l’irrogazione di un ulteriore provvedimento basato sulla sussistenza del medesimo fatto illecito già previamente contestato. Il nuovo provvedimento è dunque opponibile dinanzi al giudice ordinario, alla cui cognizione può essere devoluto il merito dell’opposizione all’ordinanza - ingiunzione. 176 ALIMENTA ◌֗ ◌֗ ◌֗ Igiene degli alimenti Cassazione Penale, Sezione Terza, Sentenza n. 9349 del 09.03.2021. Igiene degli alimenti- Covid - detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione - sequestro penale dell’attività – art. 5 legge 283/1962 – mera detenzione presso esercizio di somministrazione al pubblico (ristorante) – crisi Covid – chiusure prolungate – contravvenzioni – sussiste. È legittimo il sequestro preventivo di un locale di ristorazione nel periodo di pandemia ancorché con attività chiusa al pubblico per detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione. Perché possa considerarsi integrato il reato di cui all’articolo 5, legge 283/1962, non è necessario che venga fornita la prova dell’impiego materiale del prodotto alimentare ai fini della vendita ai consumatori, essendo invece sufficiente la presenza di un alimento in cattivo stato di conservazione in possesso del venditore in attesa della sua futura destinazione ai consumatori. Sono pertanto da considerare in detenzione in cattivo stato di conservazione quegli alimenti che siano collocati all’interno di un veicolo, il cui sistema di refrigerazione sia inattivo, qualora il veicolo sia parcheggiato nelle vicinanze del magazzino di generi alimentari, il cui proprietario coincida con l’imputato. ◌֗ ◌֗ ◌֗ Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 9910 del 12.03.2021. Igiene degli alimenti – esposizione alimenti nella pubblica via – alimenti in cattivo stato di conservazione – art- 5 lett. b) legge 283/1962 – reato di pericolo – ordine alimentare – esposizione agli agenti atmosferici L’esposizione degli alimenti agli agenti atmosferici implica reato in sé, a prescindere dalla sussistenza di una contaminazione o ammaloramento degli stessi. Per l’integrazione del reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, di cui all’art. 5, lettera b), del d.lgs. n. 283, del 1962, non è necessario che verifichi un danno concreto. È invece sufficiente, nel caso concreto, la probabilità di un danno derivante dall’idoneità della modalità di conservazione degli alimenti a cagionare un pericolo per la salute dei consumatori dell’alimento. La fattispecie, infatti, mira a proteggere il cd. OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 177 Ordine alimentare, consistente nell’insieme delle prescrizioni volte a preservare l’igiene dell’alimento. In ogni singola fattispecie, è pertanto necessario, ai fini della configurazione del reato, accertare che la modalità di conservazione dell’alimento sia tale da esporre l’alimento al pericolo di un danno o di deterioramento. ◌֗ ◌֗ ◌֗ Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 14235 – depositata il 16.04.2021 Cattivo stato di conservazione degli alimenti – igiene degli alimenti – sicurezza – campionabilità della merce in fase di produzione e lavorazione Il reato di cui all’art. 5 lett. d della l. 283/62 è configurabile anche quando la merce è ancora nella materiale disponibilità del produttore. Il reato di cui all’art. 5, lett. d), legge n. 283 del 1962 concernente il cattivo stato di conservazione degli alimenti si configura anche qualora la merce analizzata sia stata sottoposta a campionamento ed analisi sebbene si trovi ancora nella disponibilità del produttore. Né può ipotizzarsi che una disposizione nazionale di tale tenore collida con il regolamento 2073/2005 UE, dal momento che la stessa normativa consente agli Stati membri di proteggere l’igiene degli alimenti e la loro sicurezza anche mediante l’adozione di misure di tutela da attuare nella fase di fabbricazione e lavorazione dell’alimento “(Sez. 3, n. 6621 del 04/12/2013, dep. 2014, Rv. 258927 - 01)”. Su queste basi, la legge 283 del 1962 costituisce, pertanto, una misura di prevenzione legittima. Trattamenti enologici non autorizzati Cassazione Civile, Sezione Seconda, Ordinanza n. 6896 del 11.03.2021. Trattamento enologico – sterilizzazione – autorizzazione – attività meramente esecutiva svolta da un terzo – onere di diligenza – responsabilità – non sussiste. La mancanza di una autorizzazione al trattamento enologico in una cantina non è rimproverabile al soggetto meramente incaricato delle operazioni, ancorché consapevole del problema. Colui che svolge l’attività meramente esecutiva di un trattamento enologico, 178 ALIMENTA quand’anche abbia dichiarato di essere a conoscenza della circostanza per cui i titolari delle cantine debbano chiedere l’autorizzazione ovvero del fatto che non l’abbiano chiesta, non può vedersi imputata la violazione dell’art. 3, par. 1 e 2 ed allegato TA del Reg. CE n. 606 del 10.7.2009 e dell’art. 120-quater del Reg. CE n. 1234 del 22.10.2007, dal momento che l’onere di diligenza consistente nel procurarsi la relativa autorizzazione grava esclusivamente sui titolari delle cantine che, in quanto “soggetti professionali”, si assumono “il rischio di una illecita detenzione allo scopo di commercio di vini sottoposti a preventivo trattamento”. ◌֗ ◌֗ ◌֗ Agricoltura: coltivazione di cannabis sativa. Cassazione Penale, Sezione Quarta, sentenza n. 10012 del 15.03.2021 Coltivazione di cannabis sativa – THC – soglie di presenza – irrilevanza – reato di cui all’art. 73, co. 5, del D.P.R. 309/1990 – qualità della sostanza – deroghe al divieto di coltivazione – tassatività Sequestro di prodotti (segnatamente di confezioni contenenti inflorescenze di canapa sativa) derivanti dalla coltivazione della cannabis presso gli esercizi commerciali di cui sono titolari i ricorrenti. La commercializzazione di cannabis sativa L. o di prodotti che da essa provengono, non indicati nella legge del 2016, configura il reato di cui all’art. 73 co. 5 del D.P.R. 309/1990, quand’anche il contenuto del THC si collochi al di sotto delle soglie indicate nell’art. 4, commi 5 e 7 della legge del 2016 e sia quindi ricompresa tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento, ovvero sia superiore a tale limite massimo. Ciò che delimita l’area del penalmente rilevante non è il limite quantitativo del THC ma la qualità della sostanza commercializzata. Le sette categorie di prodotti contemplate nell’art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016, infatti, hanno natura tassativa, in quanto eccezioni al generale divieto di coltivazione della cannabis. È quindi solo la sussumibilità del prodotto commercializzato entro l’elenco di cui sopra che esclude l’integrazione della fattispecie del reato sopramenzionato. A conferma di ciò, le Sezioni Unite richiamano lo scopo dell’attività di coltivazione, come individuato dall’art 26, comma 2, D.P.R. 309/90, che deve consistere “esclusivamente” in un’attività volta alla “produzione di fibre o alla realizzazione di usi industriali, “diversi” da quelli relativi alla produzione di sostanze stupefacenti”. Le disposizioni che danno rilievo al THC, pertanto, hanno come unica finalità la tutela del coltivatore, che, OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 179 nel corso del ciclo produttivo, veda incrementare il valore della sostanza medesima oltre la soglia tollerata. ◌֗ ◌֗ ◌֗ Campionamenti e garanzie difensive. Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 10211 del 17.03.2021 Campionamento di prodotto ittico – sicurezza alimentare – campionamento per l’analisi – garanzie difensive – accertamento tecnico irripetibile – avviso di prelievo del campione Senza avviso di prelevamento del campione, i risultati dell’analisi irripetibile non sono utilizzabili nei confronti dell’indagato per violazione delle garanzie difensive. Non si può considerare implicita nell’avviso di prelievo di un campione la comunicazione dello svolgimento dell’accertamento tecnico non ripetibile con riguardo a campioni deteriorabili, quali sono i prodotti alimentari. Ciò in quanto è insita nella stessa natura del campione l’impossibilità di reiterare l’esame e dunque il pericolo di pregiudizio del diritto dell’imputato a controllare l’esecuzione delle operazioni nella persona del proprio consulente tecnico. È invece giustificata la mancata comunicazione dell’effettuazione delle prime analisi con riferimento a campioni non deteriorabili, in ragione della facoltà di eseguire il riesame degli stessi (Sez. 3, n. 2360 del 19/11/2009, dep. 2010, Prevedini, Rv. 245910). Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 14235 – depositata il 16.04.2021. Campionamento per l’analisi – nervetti bovini conditi – campionamento microbiologico (verifica presenza di salmonelle) – articolo 5 lett. c) legge 283/62 – Regolamento 2073/2005 (criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari). Le norme sul prelevamento e il campionamento degli alimenti non hanno carattere perentorio: esse non costituiscono una condizione di procedibilità dell’azione penale. 180 ALIMENTA Le norme che disciplinano il prelevamento ed il campionamento delle merci non hanno carattere perentorio. Esse, dunque, non costituiscono una condizione di procedibilità dell’azione penale. Ne consegue che la relativa inosservanza non determina nullità, ferma restando tuttavia la necessità che l’utilizzo degli esiti del campionamento condotto in violazione di dette disposizioni sia corredato da adeguata motivazione (Sez. 3, n 21652 del 02/04/2009, Rivoira, Rv. 243726; Sez. 3, n. 29737 del 11/05/2006, Sciolette, Rv. 234984; cfr. altresì Sez. U, n. 9 del 04/05/1968, Panebianco, Rv. 108761). Criteri microbiologici. Omissione dell’obbligo di avvertire l’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia. Termine per l’eccezione. Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 15309 del 2021. Impiego, per la preparazione, la produzione e la vendita di prodotti alimentari, di ghiaccio autoprodotto con cariche microbiologiche superiori ai limiti di legge (coliformi fecali e enterococchi, Art. 5 lett. c) legge n. 283 del 1962 - d.lgs 3 marzo 1993 n. 123 - Articoli 223 e 114 disp. att. codice procedura penale in combinato disposto con gli artt. 356 e 354 cod. proc. pen. Accertamenti tecnici irripetibili. Sanzioni procedurali per l’inosservanza delle disposizioni in materia di partecipazione dell’operatore del settore alimentare all’esecuzione delle analisi del campione: nullità e non inutilizzabilità. Secondo l’opinione giurisprudenziale prevalente, l’inosservanza delle disposizioni concernenti la partecipazione del produttore dell’alimento sottoposto a campionamento, non dà luogo ad inutilizzabilità ma integra “una nullità a regime intermedio” che, in base all’art. 180 c.p.p., va dedotta anticipatamente rispetto alla sentenza di primo grado. Più specificamente, ai sensi dell’art 182 c.p.p. deve essere eccepita prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non sia possibile, in corrispondenza del primo atto del procedimento in costanza del cui compimento sia consentito proporre l’eccezione “(Sez. 3, n. 41063 del 19/03/2015, Greco, Rv. 265089)”. Di conseguenza, la violazione da parte della polizia giudiziaria dell’obbligo di avvertire l’indagato della possibilità di farsi assistere dal difensore ai sensi dell’art. 114 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale deve essere rilevata in sede di produzione dell’atto di OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE 181 opposizione al decreto penale qualora il giudizio ordinario sia stato instaurato successivamente ad opposizione a decreto penale di condanna. La deduzione ad opera del difensore in sede di conclusioni, pertanto, non può considerarsi tempestiva. ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 Documentazione: MINISTERO DELLA SALUTE Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione Uff. 2 DGISAN Viale Giorgio Ribotta, 5 – 00144 Roma Agli Assessorati alla sanità Regioni e Province autonome UVAC-PCF Al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II. ZZ. SS) Istituto Superiore di Sanità (ISS) A Comando Carabinieri per la Tutela della Salute (NAS) Alle Associazioni di categoria LORO SEDI OGGETTO: Indicazioni per l’esecuzione delle attività di campionamento e analisi di matrici afferenti agli ambiti di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 27 del 2 febbraio 2021 nell’ambito dei controlli ufficiali di cui al regolamento (UE) 2017/625, in relazione alle disposizioni previste dal Decreto legge 22 marzo 2021 n. 42 “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare” pubblicato sulla Serie Generale n.72 della GU del 24 marzo 2021. In riferimento alle richieste pervenute da codesti Assessorati, in attesa di quanto sarà previsto nella legge di conversione del Decreto legge 22 marzo 2021 n. 42 riguardo l’oggetto, si rappresenta quanto segue. Il citato Decreto legge recante “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare”, pubblicato sulla GU del 24 marzo 2021 ha ripristinato alcuni articoli della legge 30 aprile 1962, n. 283, nonché le relative disposizioni esecutive del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1980, n. 327, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, che erano stati abrogati ad opera del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 27, entrato in vigore il 26 marzo 2021. Si evidenzia che la reintroduzione di alcuni articoli della legge 283/62 determina una antinomia rispetto ai contenuti degli articoli 7 e 8 e degli allegati 1 e 2 del decreto legislativo 27/2021. 184 ALIMENTA Al fine di evitare contenziosi tra le autorità competenti e gli operatori economici del settore alimentare dovuti alla differente garanzia del diritto alla difesa espressa nel regolamento (UE) 2017/625, esplicitata negli articoli 7 e 8 del decreto legislativo n. 27/2021, rispetto alla normativa nazionale in materia penale, per l’attività di campionamento si applicano le disposizioni previste dal DPR 327/1980. Qualora non venga assicurata la riproducibilità dell’esito analitico, in considerazione della prevalenza e della distribuzione del pericolo nelle merci, della deperibilità dei campioni o delle merci, come nel caso delle analisi microbiologiche finalizzate alla verifica dei criteri di sicurezza alimentare, l’autorità competente procederà ad effettuare un campione in unica aliquota specificando nel verbale di campionamento i relativi motivi che escludono la opportunità, la pertinenza o la fattibilità tecnica per la ripetizione dell’analisi o della prova. A questi campioni si applicano le disposizioni previste nel comma 1 dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 271 del 1989. A prescindere dalla modalità di campionamento adottata la valutazione del risultato analitico compete all’autorità competente che ha effettuato il campionamento. L’Autorità competente deve comunicare il più tempestivamente possibile l’esito alle parti interessate. Qualora l’esito sia sfavorevole gli operatori possono richiedere la controperizia documentale come previsto dai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 7 del decreto legislativo 27/2021. Anche nel caso di controversia con ripetizione di analisi da parte dell’ISS, si applicano le procedure previste nel comma 2 dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 271/1989. Solo dopo l’esito finale della controversia da parte dell’ISS l’autorità competente può dare seguito all’applicazione dell’articolo 5 della Legge 283/1962. L’esame documentale della controperizia e della controversia di cui agli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 27/2021, si riferisce nello specifico alle registrazioni inerenti le attività condotte dal momento del campionamento sino all’emissione del rapporto di prova, escludendo la documentazione relativa all’accreditamento da parte di ACCREDIA. Si specificano di seguito le modalità di campionamento che l’autorità competente di cui articolo 2, comma 1 del decreto legislativo 27/2021 deve applicare in assenza di specifiche disposizioni europee e/o nazionali: - 1 aliquota unica senza convocazione della parte in caso di indagini per la valutazione dei criteri di igiene di processo o comunque ove non ci sono limiti di legge sia chimici che microbiologici; - 1 aliquota unica nei casi previsti dall’art. 7, comma 2, con convocazione DOCUMENTAZIONE 185 della parte ai sensi dell’art. 223 del decreto legislativo 271/89; (analisi unica irripetibile presso il primo laboratorio ufficiale con convocazione della parte ai sensi dell’art. 223 del decreto legislativo 271/1989); - 4/5 aliquote per i campionamenti per la determinazione analitica dei pericoli chimici ove sono previsti limiti di legge: 1. aliquota per analisi presso il primo laboratorio ufficiale; 2. aliquota per OSA presso cui è stato eseguito il campione che la fa analizzare presso laboratorio privato; (Controperizia) 3. aliquota per OSA produttore in caso di preconfezionati; (Controperizia) 4. aliquota per analisi di revisione presso l’ISS con convocazione della parte; (Controversia) 5. aliquota a disposizione per eventuale perizia disposta dall’autorità giudiziaria presso il primo laboratorio. Per quanto riguarda i campioni destinati al controllo ufficiale dei mangimi, si continuano ad applicare le modalità previste dal regolamento (CE) 152/2009 e successive modifiche e integrazioni, come dettagliate nel piano nazionale di controllo ufficiale sull’alimentazione degli animali (PNAA), così come richiamate nell’allegato 1 sezione 2 del decreto legislativo 27/2021. Relativamente ai controlli sulle merci provenienti da Paesi terzi o da Paesi dell’UE, tenuto conto di quanto previsto dal Decreto legge recante “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare”, richiamato in premessa, continuano ad applicarsi le modalità di campionamento indicate nella nota DGSAN n. 0015199-P del 10/05/2011. Tuttavia, l’aliquota che nella sopra citata nota era destinata ad essere conservata presso l’IZS per l’eventuale contenzioso internazionale non dovrà essere più prelevata, in considerazione di quanto già chiarito con nota DGSAF n. 0007765-26/03/2021 in merito alla definizione di operatore che nell’ambito degli scambi intraUE deve intendersi come il produttore/speditore della merce che si può avvalere per esercitare il diritto alla controperizia, di cui all’articolo 35 del Regolamento 2017/625, dell’operatore nazionale detentore della partita sottoposta a campionamento. Resta fermo, anche per le attività di campionamento negli scambi intraUE e nelle importazioni da Paesi terzi, quanto indicato nella presente nota in relazione alle situazioni nelle quali è necessario procedere al prelievo di un campione in aliquota unica. IL DIRETTORE GENERALE Dott. Pierdavide Lecchini IL DIRETTORE GENERALE Dott. Massimo Casciello ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 MINISTERO DELLA SALUTE Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione Uff. 2 DGISAN Viale Giorgio Ribotta, 5 – 00144 Roma Agli Assessorati alla sanità Regioni e Province autonome UVAC-PCF Al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II. ZZ. SS) Istituto Superiore di Sanità (ISS) A Comando Carabinieri per la Tutela della Salute (NAS) Alle Associazioni di categoria LORO SEDI Id. n. 0040033-13/11/2020-DGISAN-MDS-P OGGETTO: Misure straordinarie per la rideterminazione della shelf-life dei prodotti alimentari. In considerazione delle richieste pervenute delle Associazioni di categoria relativamente alla possibilità di rideterminare la durabilità dei prodotti alimentari compresi i prodotti congelati e surgelati, alla modalità di etichettatura dei suddetti prodotti e alla possibilità di congelare la carne fresca invenduta destinata alla ristorazione si rappresenta quanto segue. Fatti salvi i casi degli alimenti la cui durabilità è stabilità da norme specifiche (per esempio uova fresche, latte pastorizzato, ecc), la durabilità è determinata in modo autonomo dall’OSA sulla base dei dati in suo possesso. L’OSA può quindi stabilire un prolungamento della durabilità di un alimento laddove disponga di dati adeguati a supporto della shelf-life che tengano conto della natura dell’alimento stesso, delle modalità di conservazione previste e delle modalità di consumo. La rideterminazione della shelf-life di un prodotto alimentare deve essere effettuata prima della data di scadenza/TMC ed è applicabile agli alimenti con esclusione di quelli detenuti per la vendita al dettaglio. Nel rispetto di quanto stabilito dal regolamento 1169/2011, la nuova data di scadenza /TMC deve essere riportata 188 ALIMENTA sull’etichetta del prodotto, o in assenza di questa, sui documenti commerciali come specificato dal decreto legislativo 231/2017, nei casi da questo previsti. Resta inteso che deve sussistere coerenza tra la data riportata sul documento commerciale e quella dell’eventuale etichetta applicata al prodotto, al suo confezionamento o imballaggio. Il congelamento delle carni fresche, incluse le preparazioni e le carni macinate, come di recente ribadito dalla commissione con nota Ares (2019) 2456574 del 8/4/2019 deve essere condotto senza indebito ritardo. In deroga a quanto suddetto le carni fresche, introdotte e/o prodotte entro il 16 novembre 2020 e rimaste invendute a causa del rallentamento del mercato a seguito dell’evoluzione dell’emergenza COVID-19, possono essere congelate entro la data di scadenza con indicazione della destinazione al consumo previa completa cottura e commercializzate esclusivamente sul mercato nazionale. Si precisa che tale deroga è riferita anche a carni che, a seguito di ordinativi/contratti antecedenti il 16 novembre, sono già state spedite da Paesi terzi verso l’Italia e sono ancora in viaggio. Il congelamento delle carni e degli altri prodotti alimentari può essere condotto presso: 1. lo stabilimento che li ha prodotti; 2. uno stabilimento che ha proceduto al loro riconfezionamento; 3. uno stabilimento che procede alla loro trasformazione ai fini della immissione sul mercato (ivi compresi gli esercizi operanti a livello del dettaglio e gli esercizi di ristorazione). Al momento del congelamento gli alimenti devono essere in perfetto stato di conservazione e il congelamento deve avvenire con modalità che ne preservino le caratteristiche e che non impattino sulla loro sicurezza. Le eccedenze alimentari come definite all’articolo 2, punto 1, lettera c, della Legge 19 agosto 2016 n.166, possono comunque, nel rispetto di quanto definito dalla medesima Legge, essere oggetto di donazione ai fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi alimentari. PER IL DIRETTORE GENERALE * f.to Dott. Pietro NOÈ ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 CORSI E CONVEGNI: Università del Piemonte Orientale – Dipartimento di Studi per l’Economia e l’Impresa (DISEI) Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare, XII edizione Novembre 2021 – Marzo 2022 Moduli di base: 1) Fonti e istituzioni del diritto alimentare; 2) La sicurezza alimentare; 3) La comunicazione commerciale e la disciplina delle informazioni sugli alimenti ai consumatori; 4) Tutela della qualità dei prodotti alimentari. Moduli di specializzazione: 5) L’innovazione tecnologica, la nutraceutica e la formulazione degli alimenti; 6) La legislazione veterinaria; 7) I prodotti biologici; 8) La riforma delle sanzioni penali e di quelle amministrative nel settore alimentare; 9) Additivi, enzimi, aromi. Informazioni dettagliate, costi e modulo di adesione on line sul sito web http://cafla.uniupo.it. ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 Libri Le regole del mercato agroalimentare tra sicurezza e concorrenza. Diritti nazionali, regole europee e convenzioni internazionali su agricoltura, alimentazione, ambiente. A cura di NICOLA LUCIFERO – SONIA CARMIGNANI. Editoriale Scientifica, Napoli, 2020. Il volume dal titolo “Le regole del mercato agroalimentare tra sicurezza e concorrenza. Diritti nazionali, regole europee e convenzioni internazionali su agricoltura, alimentazione, ambiente”, edito da Editoriale Scientifica nel dicembre 2020, raccoglie gli Atti del Convegno tenutosi a Palazzo Incontri a Firenze il 21 e 22 novembre 2019 che i curatori hanno voluto dedicare alla loro Maestra, la prof.ssa Eva Rook Basile. Gli Atti ripercorrono in modo coerente lo svolgimento dei lavori del Convegno e riproducono attraverso un approccio sistematico le oltre 40 relazioni e i diversi interventi tenuti da autorevoli studiosi che si sono incontrati per trattare i temi più attuali relativi al mercato agroalimentare e, in particolare, alla disciplina della sicurezza alimentare e alla concorrenza. Un sistema complesso quello del mercato agroalimentare segnato da regole che uniformano la disciplina di settore e che si articola, tra regulation e antitrust, quali binari paralleli di un sistema complesso e unitario, destinato a garantire il suo buon funzionamento. La peculiarità del mercato agroalimentare, dettato in primo luogo dalle regole del TFUE e dal complesso delle norme multilivello che lo caratterizza, porta lo studioso di diritto agrario a cimentarsi a soppesare interessi diversi e obbiettivi non sempre convergenti. Sicurezza e concorrenza, che rappresentano la sfida che è in atto sul mercato, mettono in luce una moltitudine di profili giuridici che richiedono di essere affrontati in modo unitario e non settoriale, anche confrontandosi con sistemi normativi talvolta molto lontani da quelli del diritto interno ove si consideri il tema degli scambi di prodotti agroalimentari sicuri su scala globale. Attraverso i diversi contributi degli Autori, questi Atti rappresentano una profonda riflessione analitica sulla necessità di costruire quegli elementi caratterizzanti la regolazione del diritto agroalimentare. Una riflessione svolta attraverso diversi contributi susseguitisi nella sessione plenaria della prima giornata e, poi, nelle diverse sessioni parallele del secondo giorno, che hanno affrontato i profili di maggiore rilievo che interessano la nostra disciplina – 192 ALIMENTA quali i temi delle relazioni di filiera, della qualità dei prodotti, dell’innovazione tecnologica e del rapporto tra agricoltura e ambiente – e che hanno preceduto la tavola rotonda svoltasi prima della conclusione dei lavori congressuali. I curatori ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574 Notizie sugli autori Fausto Capelli, direttore della rivista Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali; Collegio europeo, Parma; [email protected]; Giovanni Giacobbe, Dottore in Giurisprudenza con specializzazione in Studi Europei - Collegio europeo di Parma; Valeria Pullini, avvocato del foro di Treviso, Studio legale Avv. Valeria Pullini - [email protected]; [email protected]; Maria Auxilia Grassi, Professore Associato di ispezione degli alimenti di origine animale, Università di Torino, [email protected]; Maurizio Aceto, Professore Associato di chimica analitica, Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica, Università del Piemonte Orientale, [email protected]. Daniele Pisanello, avvocato consulente in Legislazione Alimentare, Lex Alimentaria Studio legale, [email protected]; Martina Terenzi, LL. M, Junior associate presso LCA Studio Legale, [email protected]; Valeria Amenta, borsista di diritto dell’Unione europea, Università del Piemonte Orientale, [email protected]. Giovanni Stangoni, esperto di legislazione alimentare, co-amministratore del gruppo FB CAFLA – Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare, [email protected]. ALIMENTA Rivista di Diritto e Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente. Trimestrale. Fondata nel 1993 da Antonio Neri. A cura del CeDiSA, Centro Studi sul Diritto e le Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente. Direttore responsabile: Avv. Prof. Vito Rubino. Condirettori: Avv. Prof. Fausto Capelli, Avv. Prof. Paolo Borghi. Comitato scientifico (per aree scientifico-disciplinari, in ordine alfabetico, per cognome): Area 03 (CHIM): Prof. Maurizio Aceto, Università del Piemonte Orientale; Prof. Stefano Alcaro, Università Magna Grecia Catanzaro; Prof. Marco Arlorio, Università del Piemonte Orientale; Area 05 (BIO): Prof. Francesca Boccafoschi, Università del Piemonte Orientale; Prof. Maria Cavaletto, Università del Piemonte Orientale; Prof. Guido Lingua, Università del Piemonte Orientale; AREA 06 (AGR-VET): Prof. Luigi Bonizzi, Università di Milano; Prof. Carlo D’Ascenzi, Università di Pisa; Prof. Auxilia Grassi, Università di Torino; Prof. Alfonso Zecconi, Università di Milano; AREA 12 (JUS): Prof. Davide Achille, Università del Piemonte Orientale; Prof. Amedeo Arena, Università di Napoli Federico II; Prof. Roberto Cavallo Perin, Università di Torino; Prof. Massimo Cavino, Università di Torino; Prof. José Manuel Cortés Martin, Universidad Pablo de Olavide, (Sevilla, SP); Prof. Bianca Gardella Tedeschi, Università del Piemonte Orientale; Prof. Monika Haczkowska, Politechnika Opolska (Opole, PL); Prof. Elena Fregonara, Università del Piemonte Orientale; Prof. Maria Antonietta Ligios, Università del Piemonte Orientale; Prof. Roberta Lombardi, Università del Piemonte Orientale; Prof. Nicola Lucifero, Università di Firenze; Prof. Maura Mattalia, Università di Torino; Prof. Ilaria Riva, Università di Torino; Prof. Francesco Rossi Dal Pozzo, Università di Milano; Prof. Roberto Saija, Università Mediterranea Reggio Calabria; Prof. Stefano Saluzzo, Università del Piemonte Orientale; Prof. Andrea Santini, Università Cattolica del S. Cuore; Prof. Fabrizia Santini, Università del Piemonte Orientale; Prof. Eleonora Sirsi, Università di Pisa; Prof. Bernd Van Der Meulen, IFRO - University of Copenhagen (Copenhagen, DK); Prof. Fabrizio Vismara, Università dell’Insubria; AREA 13 (SECS-P): Prof. Carmen Aina, Università del Piemonte Orientale; Prof. Eliana Baici, Università del Piemonte Orientale; Prof. Vincenzo Capizzi, Università del Piemonte Orientale; Prof. Lorenzo Gelmini, Università del Piemonte Orientale; Prof. Paola Vola, Università del Piemonte Orientale. Redazione: presso Università del Piemonte Orientale, Campus E. Perrone, Uff. T-25, Via Ettore Perrone 18, 28100 Novara. All’indirizzo sopra riportato potranno essere inviate le riviste in scambio e i volumi da recensire. La rivista ALIMENTA è stata fondata nel 1993 da Antonio Neri ed è stata pubblicata fino al 2018. Nel 2021 le Università del Piemonte Orientale, Torino, Milano Statale, Ferrara, Firenze e Pisa hanno dato vita al Centro Studi sul Diritto e le Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente (CeDiSA – www.cedisa.info) nell’intento – fra le altre cose – di riprenderne le pubblicazioni, considerato che la rivista è sempre stata considerata da tutti un prezioso strumento di promozione del dialogo interdisciplinare e intersettoriale fra le scienze che si occupano di tutte le produzioni agroalimentari. Gli articoli e le note a commento contenuti nelle parti I e II sono sottoposti a referaggio cieco da parte di referee facenti parte dell’apposito comitato. I direttori si riservano di autorizzare la pubblicazione senza referaggio di articoli o note di Autori di chiara fama. Gli articoli, le note a sentenza e gli altri contributi che gli autori intendessero sottoporre a valutazione per la pubblicazione devono essere originali, in formato Word editabile, con carattere Times New Roman 12, e devono seguire i criteri editoriali della rivista. Il file deve essere inviato via mail all’indirizzo: [email protected], corredato di un abstract in Italiano e uno in Inglese di max 500 parole ciascuno, nonché 10 parole chiave che descrivano il contenuto del contributo. L’autore si impegna a non inviare il contributo in oggetto ad altre riviste fino ad esito del referaggio. L’invio del contributo implica rinuncia ad ogni compenso per i diritti d’autore, che non saranno riconosciuti. I criteri di editing e il codice etico della Rivista sono disponibili on line all’indirizzo www. rivistalimenta.com Il CeDiSA, Centro Studi sul Diritto e le Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente, nasce dall’aggregazione di accademici, professionisti, imprese ed enti pubblici che operano nel settore agricolo, alimentare e ambientale. Si propone di costituire un forum di discussione aperto, libero, inclusivo e scientifico per esplorare i temi di maggiore interesse e attualità negli ambiti richiamati. Nasce dall’iniziativa di 5 atenei italiani, decisi a creare uno strumento di dialogo costante fra le scienze e il diritto dell’agricoltura, alimentazione, ambiente: - Università del Piemonte Orientale (capofila); - Università di Torino; - Università di Milano Statale; - Università di Ferrara; - Università di Firenze; - Università di Pisa. Assieme agli accademici il Centro riunisce i professionisti del settore alimentare: avvocati, consulenti d’impresa, biologi, medici, farmacisti, chimici. Del Centro Studi fanno parte anche imprese alimentari ed enti pubblici. Per visionare i contenuti delle attività del Centro, ricevere la nostra newsletter mensile o aderire al CeDiSA è possibile visitare il nostro sito web all’indirizzo www.cedisa.info.