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2021
ALIMENTA
RIVISTA DI DIRITTO E SCIENZE DELL’AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE E AMBIENTE
N. 1 - nuovo ciclo
Anno I - Maggio 2021
ISSN 2284-3574
fondata da
ANTONIO NERI†
Diretta da: VITO RUBINO. Condirettori: FAUSTO CAPELLI – PAOLO BORGHI
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ALIMENTA
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Editoriale
di Vito Rubino, Fausto Capelli e Paolo Borghi
PARTE I
SAGGI E APPROFONDIMENTI
Riprodurre la forma di una DOP: un caso di evocazione o prassi idonea a indurre in errore il consumatore?
di M. Terenzi
PARTE III
DOCUMENTAZIONE
Diritto
La trasparenza nell’analisi del rischio all’interno della
filiera alimentare come principio di democrazia
di Fausto Capelli e Giovanni Giangiobbe
L’etichettatura nutrizionale front-pack: la «nutrinform
battery» italiana e la «nutri-score» francese
di Valeria Pullini
Biologia
Autocontrollo e HACCP: stato dell’arte della semplificazione nell’ambito delle attività di ristorazione commerciale di piccole e medie dimensioni
di Maria Ausilia Grassi
Chimica
Dalla terra alla tavola con i microelementi: la tracciabilità analitica del tartufo bianco
di Maurizio Aceto
Osservatorio di giurisprudenza alimentare 1/21
a cura di Valeria Amenta, Giovanni Stangoni
Nota del Ministero della Salute «Indicazioni per l’esecuzione delle attività di campionamento e analisi di
matrici afferenti agli ambiti di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 27 del 2 febbraio 2021
nell’ambito dei controlli ufficiali di cui al regolamento
(UE) 2017/625, in relazione alle disposizioni previste
dal Decreto legge 22 marzo 2021 n. 42 “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza
alimentare” pubblicato sulla Serie Generale n. 72 della
GU del 24 marzo 2021»
Nota del Ministero della Salute «Misure straordinarie
per la rideterminazione della shelf-life dei prodotti alimentari e congelamento carne fresca»
Corsi e convegni
Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare,
Università del Piemonte Orientale, XII edizione
PARTE II
NOTE E COMMENTI
Quale giudice per il biologico: note alla sentenza
1914/2021 resa dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite sulla relativa questione di giurisdizione. Prime luci
sul nuovo orizzonte della giustiziabilità delle misure
esecutive disposte dagli organismi di controllo designati al controllo e certificazione del biologico
di Daniele Pisanello
Libri
Notizie sugli autori
EDITORIALE SCIENTIFICA
INDICE
Editoriale
di Vito Rubino, Fausto Capelli e Paolo Borghi
V
PARTE I
SAGGI E APPROFONDIMENTI
Diritto
La trasparenza nell’analisi del rischio all’interno della filiera alimentare come principio di democrazia
di Fausto Capelli e Giovanni Giangiobbe
1
L’etichettatura nutrizionale front-pack: la «nutrinform battery» italiana e la «nutri-score» francese
di Valeria Pullini
33
Biologia
Autocontrollo e HACCP: stato dell’arte della semplificazione
nell’ambito delle attività di ristorazione commerciale di piccole
e medie dimensioni
di Maria Ausilia Grassi
51
Chimica
Dalla terra alla tavola con i microelementi: la tracciabilità analitica
del tartufo bianco
di Maurizio Aceto
73
II
INDICE
PARTE II
NOTE E COMMENTI
Quale giudice per il biologico: note alla sentenza 1914/2021 resa
dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite sulla relativa questione
di giurisdizione. Prime luci sul nuovo orizzonte della giustiziabilità delle misure esecutive disposte dagli organismi di controllo designati al controllo e certificazione del biologico
109
di Daniele Pisanello
Riprodurre la forma di una DOP: un caso di evocazione o prassi
idonea a indurre in errore il consumatore?
147
di Martina Terenzi
PARTE III
DOCUMENTAZIONE
Osservatorio di giurisprudenza alimentare 1/21
a cura di Valeria Amenta, Giovanni Stangoni
163
Nota del Ministero della Salute «Indicazioni per l’esecuzione delle
attività di campionamento e analisi di matrici afferenti agli ambiti di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 27
del 2 febbraio 2021 nell’ambito dei controlli ufficiali di cui al
regolamento (UE) 2017/625, in relazione alle disposizioni previste dal Decreto legge 22 marzo 2021 n. 42 “Misure urgenti
sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare” pubblicato sulla Serie Generale n. 72 della GU del 24 marzo 2021»
183
Nota del Ministero della Salute «Misure straordinarie per la rideterminazione della shelf-life dei prodotti alimentari e congelamento carne fresca»
187
INDICE
III
Corsi e convegni
Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare, Università
del Piemonte Orientale, XII edizione
189
Libri
191
Notizie sugli autori
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EDITORIALE
ALIMENTA, TRENT’ANNI DOPO
Nel Maggio del 1993 Antonio Neri firmava il primo di una
lunga serie di “editoriali” della neonata rivista ALIMENTA.
Presentandola ai lettori, con la chiarezza che lo contraddistingueva, indicò immediatamente e in poche parole, il senso di quella
iniziativa: «costituire un tramite ideale di collegamento fra gli addetti ai lavori, cioè fra tutti coloro che, nell’ambito delle diverse discipline, si applicano al controllo della produzione alimentare».
Iniziava, così, un’avventura editoriale durata quasi trent’anni,
che ha accompagnato la formazione e l’aggiornamento di più di
una generazione di studiosi e operatori del settore, animando dibattiti, sollevando questioni di metodo e di merito di grandissima
importanza teorica e pratica nonché documentando alcune delle
più significative trasformazioni del diritto alimentare nazionale ed
europeo degli ultimi decenni.
Quando, nel 2018, Antonio Neri ha preso commiato dai propri
lettori, la Comunità Scientifica imprenditoriale e professionale della materia ha subito avvertito il “vuoto” lasciato da uno strumento
così prezioso e versatile come ALIMENTA.
La Rivista rappresentava, infatti, un unicum nel panorama
scientifico-editoriale italiano, essendo capace di coniugare, al contempo, le esigenze di sintesi legate a un aggiornamento professionale veloce a quelle di riflessione e approfondimento proprie del
dibattito accademico, nonché di tenere assieme approcci apparentemente così diversi come quelli delle scienze giuridiche alimentari
e quelli delle altre “scienze” riferite all’alimentazione (biologiche,
chimiche, farmaceutiche etc.).
È così che, su sollecitazione di alcuni imprenditori e diversi
amici di Antonio, abbiamo pensato di raccoglierne il testimone e
continuare la sua “opera” al fianco di quanti sono impegnati quotidianamente sui diversi “fronti” dell’agroalimentare.
Cinque atenei italiani e un considerevole gruppo di accademici,
professionisti, funzionari pubblici e stakeholders privati hanno dato vita a un Centro Studi (CeDiSA – Centro Studi sul Diritto e le
VI
ALIMENTA
Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente) che supporterà
la rivista ispirandosi proprio a quel “dialogo fra le scienze” che il
suo fondatore aveva così efficacemente perseguito.
La nuova Rivista ALIMENTA avrà, nel suo secondo ciclo di vita, una impostazione simile a quella datale da Antonio Neri, con
qualche “novità”.
Sarà, infatti, come per il passato, divisa in tre “parti”, rispettivamente dedicate a saggi e studi approfonditi (parte I), note a sentenza e commenti brevi (parte II), nonché “documentazione” (parte III, ove, fra l’altro, troverà spazio un osservatorio di giurisprudenza e prassi agroalimentare).
Il nuovo campo d’azione sarà però più ampio: partiremo, infatti, dall’agricoltura, perché crediamo che l’intera struttura della filiera alimentare derivi e dipenda dal prodotto agricolo che si colloca alla sua base. Includeremo, poi, anche l’ambiente, perché siamo
convinti che il futuro della nostra materia dovrà contemplare un
approccio sempre più integrato di queste dimensioni, a partire dalla grande sfida della sostenibilità che ci attende.
L’attendibilità dei contenuti che pubblicheremo sarà garantita
da un sistema di referaggio cieco di tutti i contributi destinati alle
diverse sezioni, cosicché ALIMENTA potrà continuare ad essere
intesa come un punto di riferimento per un’analisi approfondita
dei problemi giuridici e tecnici nelle materie alimentari.
Speriamo, in tal modo, di rendere un buon servizio a chi ci legge e contribuire anche per il futuro all’edificazione di quel sapere
comune fatto di esperienza pratica ed elaborazione teorica che Antonio Neri, da “antesignano”, così efficacemente era riuscito con
successo a realizzare nella sua opera.
Siamo grati a chi ci ha infuso coraggio nell’affrontare questa
non semplice sfida, ed ha assicurato il proprio sostegno per garantire alla nuova Rivista buone prospettive di sviluppo.
Come Antonio nel 1993, anche noi oggi, dunque, «confidiamo
nei nostri amici e colleghi, gli “addetti ai lavori”, appunto» per dare alla rivista ricchezza di contenuti, adeguato apprezzamento e
ancora lunga vita futura!
Vito Rubino, Fausto Capelli, Paolo Borghi
PARTE I
SAGGI E APPROFONDIMENTI
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
ALL’INTERNO DELLA FILIERA ALIMENTARE
COME PRINCIPIO DI DEMOCRAZIA
Sommario: 1. Considerazioni introduttive – 1.1. Osservazioni preliminari – 1.2.
Indicazioni iniziali – 2. La trasparenza come diritto dei cittadini dell’Unione
europea – 3. La trasparenza nella legislazione alimentare dell’Unione europea:
dalla Direttiva 93/43/CEE al Regolamento (UE) 2019/1381 – 3.1. La trasparenza nella struttura e nelle attività delle imprese alimentari – 3.2. La trasparenza nella comunicazione ai consumatori e al mercato – 3.3. La trasparenza
come canone sistemico della Food Safety: il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare – 3.4. La trasparenza come forma di governo della Food Safety: il Regolamento (CE) n. 178/2002 – 3.5. La trasparenza dell’informazione al consumatore di alimenti: il Regolamento (UE) n. 1169/2011 – 3.6. La trasparenza
dei controlli ufficiali: il Regolamento (UE) 2017/625 – 3.7. La vicenda del glifosato: la riflessione sull’analisi del rischio – 3.8. La trasparenza e la sostenibilità dell’analisi del rischio nella filiera alimentare: il Regolamento (UE)
2019/1381 – 4. Le riforme istituzionali e procedurali introdotte dal Regolamento (UE) 2019/1381 – 4.1. Efficacia e trasparenza della comunicazione del
rischio: sviluppare nuove strategie di comunicazione del rischio – 4.2. Sostenibilità e governance dell’EFSA: rafforzare le competenze e la politica di indipendenza dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) – 4.3. La
trasparenza nella valutazione del rischio: la priorità alla partecipazione del
pubblico e delle parti interessate al processo di valutazione del rischio – 4.4.
Tutela del consumatore di alimenti e degli interessi commerciali de-gli operatori economici a confronto – 4.5. Gli studi scientifici supplementari di verifica e
l’implementazione di esperti scientifici indipendenti. – 5. Valutazioni finali e
conclusive.
1. Considerazioni introduttive.
1.1. Osservazioni preliminari.
Pochi si sono finora resi conto, pur tra gli esperti del settore,
2
ALIMENTA
dello straordinario impatto esercitato dalla normativa europea in
materia alimentare sull’evoluzione delle disposizioni che hanno attinenza con i principi fondamentali e con le norme che regolano il
sistema democratico vigente nei Paesi membri dell’Unione Europea.
Sulla base del Regolamento (CE) n. 178/20021, che ha assoggettato per la prima volta l’intero settore alimentare ad una disciplina uniforme applicabile in tutti i predetti Paesi, l’Unione Europea ha in seguito introdotto nuove regole comuni, in sostituzione
di quelle in vigore nei singoli Paesi membri, che hanno avuto
un’incidenza determinante sui meccanismi posti a tutela degli interessi e dei diritti dei consumatori e, quindi, della generalità dei cittadini.
Soltanto gli effetti prodotti dalla normativa sulla tutela
dell’ambiente, sempre di origine europea, potrebbero essere comparati a quelli procurati, alla collettività, dalla legislazione alimentare adottata dall’Unione Europea.
Per avere un’idea della rilevanza delle modifiche introdotte dalla normativa alimentare europea, è sufficiente far riferimento ai
cambiamenti disposti in materia di controlli per garantire la sicurezza alimentare il cui sistema, basato su criteri del tutto nuovi,
aveva consentito di realizzare risultati veramente straordinari, soprattutto in Italia, Paese nel quale il sistema precedentemente praticato, risalente agli anni ‘80 del secolo scorso, aveva invece fornito
pessimi risultati con conseguenze commerciali disastrose.
Nel 1986, come è noto, a seguito del famigerato caso del metanolo nel vino2, il settore alimentare italiano è stato gravemente
danneggiato e, in particolare, è stato rovinosamente colpito il
1
Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28
gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, in GUUE, L 31 del 01 febbraio 2002.
2
Si è trattato dell’immissione fraudolenta di metanolo nel vino per aumentarne la
gradazione alcolica.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
3
commercio di esportazione di tutti i nostri prodotti alimentari,
perché gli acquirenti esteri rifiutavano i prodotti italiani avendo
perso fiducia nell’efficacia dei sistemi di controllo praticati in Italia3.
Come tutti hanno potuto constatare, la situazione si è completamente ribaltata, agli inizi degli anni Novanta, grazie all’applicazione della normativa europea che ha introdotto nel settore
alimentare un sistema di controlli totalmente diverso da quello in
precedenza praticato.
La soluzione adottata, che ha reso possibile il successo del sistema di controllo europeo, è stata quella di abbinare ai controlli
interni (HACCP), imposti obbligatoriamente per legge ad ogni
impresa di produzione, di distribuzione e di somministrazione dei
prodotti alimentari, i controlli esterni affidati all’autorità pubblica
incaricata di eseguire i controlli ufficiali per la tutela della sicurezza
alimentare.
Il segreto del successo di questo sistema di controlli è stato rivelato subito dal fatto che il controllore interno, come dipendente
dell’impresa assoggettata ai controlli e personalmente responsabile
sotto il profilo civile, penale ed amministrativo di fronte alla legge,
si sentiva in dovere di effettuare con accuratezza i controlli prescritti per non incorrere in violazioni e sanzioni4.
A sua volta, il controllore esterno, funzionario dell’autorità pubblica di controllo incaricato di eseguire i controlli ufficiali, si sentiva in
dovere di controllare innanzitutto l’attività svolta dal controllore interno, verificandone l’operato, prima di eseguire le normali ispezioni
di controllo alle quali era obbligatoriamente tenuto.
Tale sistema ha fornito risultati che possiamo definire eccezionali perché, oltre a garantire la sicurezza dei prodotti alimentari
sotto il profilo sanitario, è stato anche in grado di garantirne la
qualità, consentendo ai prodotti alimentari italiani di raggiungere i
3
I sistemi di controllo precedentemente in vigore erano basati soltanto sul sistema di campionamento praticato dall’autorità pubblica.
4
Sussisteva quindi un’assunzione diretta e consapevole di responsabilità.
4
ALIMENTA
livelli qualitativi di eccellenza che i consumatori di tutto il mondo
ora apprezzano.
Nel corso del tempo, come già accennato, è stato possibile illustrare questi risultati in numerosi scritti5 discutendoli in seminari
dedicati a tecnici e specialisti del settore6.
La convinzione circa la notevole efficacia del sistema europeo
dei controlli basato sull’abbinamento predetto, tra controlli interni
ed esterni, che nell’Unione Europea viene anche applicato nel settore della tutela dell’ambiente e in quello della tutela del lavoratore
sul luogo di lavoro, ha consentito di riflettere sui vantaggi che tale
sistema di controllo avrebbe potuto procurare se fosse stato applicato all’impiego del pubblico denaro anche nel settore degli appalti pubblici e nell’attività amministrativa degli enti pubblici (Comu5
Sui prodotti agroalimentari di qualità si vedano F. CAPELLI, La protezione giuridica dei prodotti agro-alimentari di qualità e tipici in Italia e nell’Unione europea, DCSCI, 2001, p. 177; IDEM, La Corte di giustizia, in via interpretativa, attribuisce all’Unione Europea una competenza esclusiva in materia di riconoscimento delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette, riferite
ai prodotti agroalimentari, mediante la sentenza Bud II motivata in modo affrettato, contraddittorio e per nulla convincente, ibidem, 2010, p. 401; IDEM, La giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di qualità dei prodotti alimentari,
ibidem, 2010, p. 339; IDEM, Tutela della qualità dei prodotti agroalimentari sotto
il profilo giuridico: riflessioni sulla riforma della disciplina dell’Unione Europea,
ibidem, 2011, p. 789; IDEM, Indicazioni aggiuntive sulle caratteristiche dei prodotti agroalimentari di qualità e tutela dei consumatori secondo la normativa europea e alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, ibidem, 2012, p.
197; IDEM, Il Regolamento (UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti
agro-alimentari: luci ed ombre, in DCSCI, 2013, p. 515. V., inoltre, F. CAPELLI,
Valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità e loro tutela contro le pratiche commerciali scorrette e pregiudizievoli, in Alimenta, 2017, n. 9, p. 185 nonché IDEM, La tutela dei prodotti agroalimentari di qualità in Italia e in Europa Un’evoluzione giuridica di successo, Raccolta di scritti in materia di diritto alimentare, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018.
6
Numerosi ed interessanti seminari, come già ricordato, sono stati organizzati a
partire dal 1994 dall’IFNE, Istituto di Formazione del Nord-Est, che si è avvalso
della collaborazione di specialisti e tecnici del settore alimentare.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
5
ni, Province, Regioni) nonché nella stessa attività della Pubblica
Amministrazione.
Vista però la difficoltà di applicare questo sistema di controlli
nel settore dell’amministrazione pubblica, si era da tempo pensato
di proporre, per questo settore, l’affidamento dei controlli interni a
controllori provenienti dalla società civile (Terzo Settore)7.
Si trattava ovviamente di una proposta assai innovativa e molto
difficile da far accogliere8.
7
Cfr. F. CAPELLI, Un percorso tra etica e trasparenza per riformare la democrazia
in Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2020, pp. 66-68 e 94-95. Tra questi controllori, i cui nomi potrebbero essere inseriti in una rosa selezionata di esperti,
potrebbero essere scelti, anche per estrazione a sorte, quelli ai quali affidare, di
volta in volta, l’incarico di eseguire i controlli.
8
A nostro avviso, questa tecnica di controllo sull’impiego del pubblico denaro
esercitata da controllori indipendenti, nominati dalla Società civile, in rappresentanza degli interessi della generalità dei cittadini, la cui funzione avrebbe dovuto
essere resa nota in modo ufficiale e pubblicizzata con tutti i mezzi di diffusione
possibili, avrebbe avuto l’effetto, da un lato, di rendere coscienti i controllori
dell’enorme importanza della funzione da essi svolta per il bene del Paese e,
dall’altro lato, di mettere tutti coloro tenuti ad osservare le regole imposte dalle
procedure (appaltatori privati, funzionari pubblici, controllori interni, controllori
esterni etc.), in condizione di effettuare il proprio lavoro in modo ineccepibile,
dovendo operare in piena trasparenza sotto il controllo dell’opinione pubblica.
L’accoglimento di una proposta siffatta poteva lanciare un segnale decisivo di un
nuovo indirizzo veramente democratico intrapreso dal nostro Paese nel senso che
il popolo poteva veramente partecipare, direttamente ed efficacemente, al controllo su importanti attività del proprio Stato perché, tramite i suoi rappresentanti da esso direttamente designati, era in grado di vigilare in modo preciso sull’impiego del denaro dei contribuenti. Sarebbe stata, in effetti, la prima volta che in
modo diretto i rappresentanti del popolo (Società civile) arrivavano a svolgere
una funzione di tale rilevanza. Si sarebbe trattato di una forma di esercizio effettivo della sovranità popolare che in Italia non è mai stata riconosciuta se non a
parole. In sostanza, questa forma di controllo avrebbe trasformato il sistema democratico rappresentativo in una sorta di “democrazia certificata”, vale a dire una
democrazia controllata dai rappresentanti della generalità dei cittadini quali legittimi titolari, in senso effettivo, della sovranità popolare. Cfr. CAPELLI, op. ult.
cit., pp. 342-343.
6
ALIMENTA
Ma il diritto alimentare europeo ha riservato una notevole sorpresa anche a questo riguardo.
Infatti, l’ulteriore decisivo apporto migliorativo dei meccanismi
applicabili nel settore alimentare, che viene ora fornito dal nuovo Regolamento (UE) 2019/13819, appena entrato in vigore in tutti i Paesi
dell’Unione Europea, costituisce la prova più evidente dell’indirizzo
seguito dall’Unione Europea per rendere possibile il coinvolgimento
della società civile (Terzo Settore) nell’attività pubblica, nonché il perfezionamento e il potenziamento dell’ordinamento giuridico sul quale
si fonda il sistema democratico europeo.
Come verrà in prosieguo diffusamente descritto e commentato,
il nuovo Regolamento (UE) 2019/1381 pone la trasparenza e il diritto del consumatore alla trasparenza, come principio fondamentale
alla base di ogni attività di comunicazione sia pubblica, sia privata,
con lo scopo di rendere pienamente edotti i consumatori e, quindi,
la generalità dei cittadini, di tutto quello che li riguarda sotto il
profilo alimentare.
Orbene, partendo nuovamente da un principio che deriva dalla
normativa alimentare europea, l’applicazione sistematica del diritto
alla trasparenza finirà per costituire un potente incentivo per migliorare i meccanismi di funzionamento del nostro sistema democratico a vantaggio della collettività anche in altri settori di rilevante interesse generale.
1.2. Indicazioni iniziali.
Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 6 settembre
2019 è stato pubblicato il Regolamento (UE) 2019/1381 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla trasparenza e alla sostenibilità dell’analisi del rischio nella legislazione dell’Unione Europea con riferimento alla filiera alimentare.
9
Regolamento (UE) 2019/1381 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20
giugno 2019 relativo alla trasparenza e alla sostenibilità dell’analisi del rischio
dell’Unione nella filiera alimentare, in GUUE, L 231 del 06/09/2019, pp. 1 ss.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
7
Esso introduce importanti novità sui principi e sulle procedure
della legislazione alimentare con l’obiettivo di implementare e meglio definire le norme in materia di trasparenza, rafforzare le competenze e la politica di indipendenza dell’Autorità Europea per la
Sicurezza Alimentare (EFSA) e sviluppare nuove strategie di comunicazione del rischio.
La necessità di intervenire su quello che, a ragione, possiamo
considerare la colonna portante del diritto agroalimentare europeo, ossia il Regolamento (CE) n. 178/2002, è nata da quel processo di revisione, il REFIT Evaluation (Regulatory Fitness and Perfomance Programme)10, della politica alimentare dell’Unione Europea, che ha messo a nudo la scarsa efficacia di alcuni meccanismi
su cui si basa il modello dell’analisi del rischio.
Le differenze nell’attuazione del Regolamento (CE) n.
178/2002 a livello degli Stati membri e le conseguenti condizioni di
disparità generate a carico delle imprese, la percezione da parte dei
cittadini dell’Unione di una mancata trasparenza nel processo di
analisi del rischio, la consapevolezza di una scarsa efficacia della
comunicazione del rischio e il rilievo di alcune criticità in seno alla
governance dell’EFSA hanno imposto la necessità di introdurre
modifiche al quadro giuridico in vigore.
Le complesse e articolate vicende che hanno accompagnato le
procedure di autorizzazione relative agli OGM11 e al glifosato hanno infatti generato nell’opinione pubblica la sensazione diffusa di
10
https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2017/595906/EPRS_
IDA(2017)595906_EN.pdf, (ultimo accesso il 23/04/2021).
11
F. CAPELLI, B. KLAUS, B. e V. SILANO, Nuova Disciplina del Settore Alimentare
e Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 243251. Sotto il profilo scientifico, gli OGM possono essere definiti come «organismi e microrganismi il cui materiale genetico (DNA) è stato trasformato senza
moltiplicazione o ricombinazione naturale e quindi in maniera diversa da quanto
si verifica in natura». La categoria degli alimenti geneticamente modificati comprende «gli OGM destinati all’alimentazione umana, gli alimenti che contengono
o sono costituiti da OGM, gli alimenti che sono prodotti a partire da OGM o
che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM».
8
ALIMENTA
un’informazione (in materia di rischi alimentari) non sempre trasparente, sia da parte delle autorità pubbliche che delle imprese, e
di una mancanza di neutralità dei responsabili della valutazione del
rischio, mettendo quindi a dura prova la fiducia dei cittadini e dei
portatori di interessi nella validità dell’approccio dell’Unione Europea alla Food Safety 12 e, in particolare, nella correttezza
dell’analisi del rischio posta a suo fondamento.
Rafforzare la trasparenza dell’analisi del rischio avrebbe pertanto accresciuto la fiducia nei metodi di analisi del rischio alimentare
da parte dei consumatori e degli operatori della filiera agroalimentare, garantendo, in tal modo, anche la stabilità del mercato.
2. La trasparenza come diritto dei cittadini dell’Unione Europea.
Il diritto alla trasparenza, inteso come diritto dei cittadini
dell’Unione Europea a partecipare al processo decisionale, viene
sancito nel Trattato sull’Unione Europea, il cui articolo 1 auspica
che “le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il
più vicino possibile ai cittadini”13 e diviene dunque fattore propulsivo di questa nuova forma di regolazione in materia di sicurezza
alimentare.
La trasparenza nel diritto agroalimentare europeo assume distinte declinazioni che investono contemporaneamente soggetti
12
F. CAPELLI, La Sicurezza Alimentare nell’Unione Europea e in Italia, in
F.CAPELLI, La Tutela dei Prodotti Agroalimentari di Qualità in Italia e in Europa,
Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, pp. 412-413. Nel diritto europeo,
l’espressione “sicurezza alimentare” rimanda a due diversi concetti: quello di
Food Safety e quello di Food Security. Il primo fa riferimento alla sicurezza degli
alimenti da un punto di vista igienico-sanitario, intesa quale assenza di fattori
esogeni all’alimento suscettibili di comportare un pericolo fisico o biologico. Il
secondo si riferisce invece alla «certezza degli approvvigionamenti alimentari,
intesa come regolarità, continuità, adeguatezza e stabilità dei medesimi».
13
F. CAPELLI, B. KLAUS, V. SILANO, Nuova Disciplina del Settore Alimentare e
Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, cit., p. 128.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
9
pubblici e privati e sono finalizzate a rispondere ad una sempre
crescente domanda di conoscenza da parte dei cittadini
dell’Unione.
In queste distinte, ma comunque sempre convergenti declinazioni, la trasparenza diventa pertanto principio ispiratore della regolazione, della governance e delle attività operative delle istituzioni.
Trasparente deve essere in effetti l’attività delle imprese alimentari e trasparenza ci deve essere nella comunicazione e
nell’informazione al consumatore, nel mercato e nelle relazioni
commerciali.
3. La trasparenza nella legislazione alimentare dell’Unione Europea: dalla Direttiva 93/43/CEE al Regolamento (UE) 2019/1381.
Il Regolamento (UE) 2019/1381 rappresenta il perfezionamento di un lungo percorso legislativo all’interno del quale la condivisione della conoscenza è stata più volte chiamata in causa quale garanzia della politica di sicurezza alimentare dell’Unione.
3.1. La trasparenza nella struttura e nelle attività delle imprese
alimentari.
Già a partire dal 1993, la Direttiva 93/43/CEE14 relativa al sistema HACCP15 (Hazard Analysis Critical Control Point) sull’igiene
14
Direttiva 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, sull’igiene dei prodotti
alimentari”, in GUUE, L 175 del 19/07/1993, p. 1.
15
L. COSTATO, P. BORGHI, S. RIZZIOLI, V. PAGANIZZA e L. SALVI, Compendio di Diritto Alimentare, Padova, CEDAM, 2019, pp. 132-135. Il sistema HACCP costituisce
uno dei metodi più efficaci per limitare i fenomeni di intossicazione di origine alimentare. La realizzazione di questo sistema si basa sostanzialmente sul principio di precauzione. A differenza del controllo di qualità, dove le ispezioni sui prodotti finali
sono eseguite a campione, e quindi in maniera non sistematica, il metodo HACCP
10
ALIMENTA
dei prodotti alimentari, chiama i produttori di alimenti ad essere
trasparenti nell’ambito delle loro attività16.
La Direttiva, introducendo il principio dell’analisi e del controllo sui punti critici, ha conferito rilevanza giuridica al controllo
interno sulle imprese alimentari, responsabilizzando l’impresa non
solo in relazione ai possibili danni, ma anche per quanto concerne
gli aspetti organizzativi e sottolineando l’importanza di una comunicazione interna ed esterna all’impresa alimentare espressa e consapevole come oggetto di garanzia.
«Analizzate ciò che fate, dichiarate e documentate» è il motto
che sintetizza l’introduzione dell’innovativo sistema HACCP e che
evoca chiaramente la trasparenza nell’attività degli operatori alimentari.
In questo caso, tuttavia, il paradigma della trasparenza non investe ancora la comunicazione e l’informazione del consumatore,
bensì si pone solo come condizione per legittimare la fiducia dei
consumatori nei confronti dell’impresa alimentare.
3.2. La trasparenza nella comunicazione ai consumatori e al
mercato.
Solo più tardi, con la crisi dell’Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE), la trasparenza, nelle sue varie declinazioni, entra a pieno titolo nel diritto agroalimentare europeo quando, con il Regolamento (CE) n. 820/97, relativo all’istituzione di un sistema di
identificazione e di registrazione dei bovini e all’etichettatura delle
carni bovine e dei prodotti a base di esse, la trasparenza assume la
duplice veste di trasparenza interna alla catena alimentare e di trasparenza esterna rivolta ai consumatori e al mercato17.
studia il prodotto e il suo processo di produzione, ne analizza i punti critici e stabilisce le procedure di monitoraggio e controllo lungo tutta la filiera produttiva.
16
F. ALBISINNI, Trasparenza e scienze della vita nella codificazione europea, in
Riv. dir. al., 3, 2019, pp. 32-53.
17
Regolamento (CE) n. 820/97 del Consiglio del 21 aprile 1997 che istituisce un si-
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
11
Il considerando 1 afferma infatti: «considerando che il mercato
delle carni bovine e dei prodotti a base di carni è stato destabilizzato
dalla crisi dell’encefalopatia spongiforme bovina; che è pertanto necessario ripristinare la stabilità del mercato; che questo obiettivo può
essere realizzato nel modo più efficace migliorando la trasparenza delle condizioni di produzione e di commercializzazione dei prodotti in
questione, in particolare per quanto attiene alla rintracciabilità»18.
Un più efficace sistema di identificazione e di registrazione dei
bovini nella fase di produzione ed uno specifico sistema comunitario di etichettatura della carne diventano dunque presupposti necessari per una maggiore fiducia dei consumatori nella qualità e
nella sicurezza delle carni bovine.
Per merito delle garanzie fornite da tale miglioramento, saranno soddisfatte esigenze di interesse generale, quali la tutela della
sanità pubblica e della salute degli animali e, di conseguenza, i
consumatori saranno incoraggiati ad aver maggior fiducia nella
qualità delle carni bovine.
3.3. La trasparenza come canone sistemico della Food Safety:
il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare.
Nel Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, la Commissione
conferma che «una maggiore trasparenza a tutti i livelli della politica di sicurezza alimentare è il filo conduttore dell’intero Libro
Bianco e contribuirà in modo fondamentale ad accrescere la fiducia dei consumatori nella politica di sicurezza alimentare
dell’UE»19 e, in relazione all’operato della futura Autorità Europea
per la Sicurezza Alimentare (EFSA), avverte la necessità di
un’apertura al pubblico dei risultati e dei processi messi in atto per
stema di identificazione e di registrazione dei bovini e relativo all’etichettatura delle
carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, in GUUE, L 117 del 07/05/1997.
18
Cfr. considerando n. 1, Regolamento (CE) n. 820/97.
19
Commissione Europea, Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, Bruxelles,
12/01/2000, p. 43.
12
ALIMENTA
raggiungerli, a garanzia di quel diritto fondamentale di accesso dei
cittadini alle informazioni.
La trasparenza come strumento finalizzato a dare una risposta
alla sfiducia dei cittadini conseguente alla crisi della BSE (Bovine
Spongiform Encephalopathy) diventa quindi, con il Libro Bianco,
canone di orientamento della disciplina in materia di Food Safety.
L’Unione Europea è così chiamata, in risposta all’allarme dei
cittadini sulla sicurezza alimentare, a ristabilire, per il tramite di
un’informazione trasparente, la fiducia del pubblico nei suoi approvvigionamenti alimentari, nella sua scienza degli alimenti, nella
sua normativa e nei suoi controlli degli alimenti20.
3.4. La trasparenza come forma di governo della Food Safety:
il Regolamento (CE) n. 178/2002.
Quanto affermato nel Libro Bianco si concretizza più tardi con
il Regolamento (CE) n. 178/2002 che, già nell’introduzione, afferma il principio secondo cui la fiducia del pubblico rappresenta il
filo conduttore delle scelte normative adottate.
È necessario pertanto impostare la politica legislativa in materia
di Food Safety in termini di risposta all’opinione pubblica, sempre
più esigente per quanto concerne l’informazione trasparente.
Infatti, nel considerando 9 del Regolamento (CE) n. 178/2002
viene riconosciuta la necessità di garantire la trasparenza nel settore alimentare affinché i consumatori, ma anche gli altri soggetti interessati e le controparti commerciali “abbiano fiducia nei processi
decisionali alla base della legislazione alimentare, nel suo fondamento scientifico e nella struttura e nell’indipendenza delle istituzioni
che tutelano la salute e altri interessi”21.
La trasparenza diviene quindi funzionale alla fiducia degli
utenti dei prodotti alimentari immessi sul mercato e la stessa risulta
20
I. CANFORA, Sicurezza alimentare e nuovi assetti delle responsabilità di filiera,
Riv. dir. al., 4, 2019, pp. 1-7.
21
Cfr. considerando n. 9, Regolamento (CE) n. 178/2002.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
13
ulteriormente rafforzata da un adeguato fondamento scientifico
delle scelte normative e dall’indipendenza delle istituzioni che le
adottano.
Nell’art. 9 dello stesso Regolamento, viene infatti stabilito che
la Commissione, prima di formulare una nuova proposta legislativa, deve consultare in maniera aperta e trasparente i cittadini e i
portatori di interessi, siano essi comitati di esperti del settore,
esperti privati, o amministrazioni pubbliche22.
A seguire, nell’art. 10, si esplicita che «fatte salve le pertinenti
disposizioni comunitarie e degli Stati membri sull’accesso ai documenti, nel caso in cui vi siano ragionevoli motivi per sospettare
che un alimento o mangime possa comportare un rischio per la salute umana o animale, in funzione della natura, della gravità e
dell’entità del rischio, le autorità pubbliche adottano provvedimenti opportuni per informare i cittadini della natura del rischio per la
salute, identificando nel modo più esauriente l’alimento o mangime o il tipo di alimento o di mangime, il rischio che può comportare e le misure adottate o in procinto di essere adottate per prevenire, contenere o eliminare tale rischio»23.
Nel Regolamento (CE) n. 178/2002 la trasparenza è declinata
anche negli articoli relativi ai compiti dell’EFSA.
Ai sensi dell’art. 38, infatti «l’Autorità si impegna a svolgere le
proprie attività con un livello elevato di trasparenza” e ancora “il
Consiglio di Amministrazione tiene le proprie riunioni in pubblico,
salvo che, su proposta del direttore esecutivo, decida altrimenti per
punti amministrativi specifici del suo ordine del giorno, e può autorizzare rappresentanti dei consumatori o altre parti interessate a
presenziare come osservatori allo svolgimento di alcune delle attività dell’Autorità»24.
Anche il piano generale di gestione delle crisi che determina «le
procedure pratiche necessarie per la gestione di una crisi, compresi
22
Cfr. art. 9, Regolamento (CE) n. 178/2002.
Cfr. art. 10, Regolamento (CE) n. 178/2002.
24
Cfr. art. 38, par. 2, Regolamento (CE) n. 178/2002.
23
14
ALIMENTA
i principi di trasparenza da applicare ed una strategia di comunicazione»25 deve essere trasparente, così come deve essere trasparente
anche la presentazione dei prodotti alimentari, tale che «il modo in
cui gli alimenti o mangimi sono disposti, il contesto in cui sono
esposti e le informazioni rese disponibili su di essi attraverso qualsiasi mezzo non devono trarre in inganno i consumatori»26.
Trasparenza ci deve essere inoltre anche in relazione alle competenze e alla responsabilità delle istituzioni, nonché agli obblighi
da rispettare nell’organizzazione interna delle imprese e ai rapporti
esterni con le istituzioni, le altre imprese e i consumatori.
Appare dunque chiaro che, con il Regolamento (CE) n.
178/2002, la trasparenza assume la forma di “governo” di un settore, quale quello della Food Safety, che investe necessariamente soggetti pubblici e privati27.
Ai fini della tenuta dell’intero sistema, assumono un ruolo “politico” essenziale l’informazione dei cittadini e la trasparenza dei
processi proprio a fronte dell’esigenza, più volte esplicitata nelle
premesse del Regolamento, di accrescere la fiducia dei cittadini.
Il canone della trasparenza pervade quindi l’intero assetto del
Regolamento (CE) n. 178/2002, a monte e a valle dell’adozione
delle norme di diritto agroalimentare (a monte nella definizione
delle norme e a valle nell’applicazione degli strumenti regolativi) e
caratterizza da un lato la consultazione dei cittadini nel corso
dell’elaborazione, della valutazione e della revisione della legislazione alimentare28 e, dall’altro, l’informazione al pubblico sul rischio e sulla sua natura, qualora vi sia un sospetto che un prodotto
già in commercio comporti rischi per la salute umana29.
Anche il Regolamento (CE) n. 1367/200630 sull’applicazione della
25
Cfr. art. 55, par. 2, Regolamento (CE) n. 178/2002.
Cfr. art. 16, Regolamento (CE) n. 178/2002.
27
F. ALBISINNI, op. ul. cit., pp. 32-54.
28
Cfr. art. 9, Regolamento (CE) n. 178/2002.
29
Cfr. art. 10, Regolamento (CE) n. 178/2002.
30
Regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
15
Convenzione UNECE (United Nations Economic Commission for Europe) di Aarhus, in materia di partecipazione ai processi decisionali e di
condivisione delle informazioni relative all’ambiente, aveva previsto una
serie di misure atte ad accrescere la trasparenza del processo decisionale
relativamente ad una nozione di diritto ambientale intesa a tutelare «lo
stato di salute, compresa la contaminazione della catena alimentare»31.
3.5. La trasparenza dell’informazione al consumatore di alimenti: il Regolamento (UE) n. 1169/2011.
Il Regolamento (UE) n. 1169/201132 sull’informazione al consumatore di prodotti alimentari riprende le indicazioni degli artt. 9
e 10 del Regolamento (CE) n. 178/2002.
Il considerando 3 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 prevede
infatti che «per ottenere un elevato livello di tutela della salute dei
consumatori e assicurare il loro diritto all’informazione, è opportuno garantire che i consumatori siano adeguatamente informati
sugli alimenti che consumano»33.
Il considerando 10 dello stesso Regolamento precisa poi che
«la conoscenza dei principi base della nutrizione e un’adeguata informazione nutrizionale sugli alimenti contribuirebbero significativamente a consentire al consumatore di effettuare scelte consapevoli. Le campagne di educazione e informazione sono un meccanismo importante per migliorare la comprensione delle informazioni
alimentari da parte dei consumatori»34.
6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle
disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia
ambientale, in GUUE, L 264 del 25 settembre 2006, p. 13.
31
Cfr. art. 2.1, d, Regolamento (CE) n. 1367/2006.
32
Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, in GUUE, L 304 del 22 novembre 2011, p. 18.
33
Cfr. considerando n. 3, Regolamento (UE) n. 1169/2011.
34
Cfr. considerando n. 10, Regolamento (UE) n. 1169/2011.
16
ALIMENTA
In aggiunta, con questo Regolamento, che opera un riassetto
complessivo della normativa previgente, la disciplina delle dichiarazioni nutrizionali diviene parte necessaria della disciplina in tema
di etichettatura, configurandosi come strumento di rilievo attraverso cui effettuare scelte consapevoli sul mercato agroalimentare.
Lo stesso inoltre si rivolge a tutti gli operatori del settore alimentare e si applica ad ogni alimento destinato al consumatore finale, compresi quelli forniti dalle collettività e a quelli destinati alla
fornitura della collettività e ai servizi di ristorazione.
3.6. La trasparenza dei controlli ufficiali: il Regolamento (UE)
2017/625.
A sua volta, il Regolamento (UE) 2017/62535 si basa ripetutamente sulla trasparenza sia nelle premesse che nell’articolato, in relazione agli audit che devono essere svolti sull’attività delle autorità
di controllo36.
Fondamentali, sotto questo profilo, risultano essere anche i sistemi di rating utilizzati per «accrescere la trasparenza nella filiera
agroalimentare»37 e la previsione secondo cui i controlli ufficiali
siano effettuati «con un livello elevato di trasparenza».
È inoltre necessario che, almeno una volta l’anno, le informazioni pertinenti siano messe a disposizione del pubblico38.
L’approccio basato sul rapporto tra rischio e probabilità di
comportamenti non conformi da parte dell’OSA (Operatore del
35
Regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15
marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per
garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui
prodotti fitosanitari (Regolamento sui controlli ufficiali), in GUUE, L 95 del
07/04/2017, p. 1.
36
Cfr. art. 6 e considerando n. 29, Regolamento (UE) n. 2017/625.
37
Cfr. considerando n. 39, Regolamento (UE) n. 2017/625.
38
Cfr. art. 11, Regolamento (UE) n. 2017/625.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
17
Settore Alimentare) dovrà tenere quindi in debita considerazione
la probabilità che il consumatore sia indotto in errore relativamente alle informazioni di base sul prodotto o sulla filiera.
3.7. La vicenda del glifosato: la riflessione sull’analisi del rischio.
Più tardi, la vicenda del glifosato, con l’avvio di un’iniziativa
dei cittadini rivolta a promuovere interventi legislativi finalizzati a
ridurre nell’Unione Europea il ricorso ai pesticidi, ripropone il
problema della fiducia dei cittadini e conduce ad una più ampia
riflessione sul metodo dell’analisi del rischio.
Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, più volte chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, nella sentenza del 1° ottobre 2019
relativa alla procedura di immissione sul mercato del glifosato39, vertente sulla validità del Regolamento (CE) n. 1107/200940, pur affermando la mancanza di elementi tali da invalidare il Regolamento, ritiene che una maggiore trasparenza di tali procedure possa essere funzionale ad una migliore valutazione dei rischi per la salute umana41.
3.8. La trasparenza e la sostenibilità dell’analisi del rischio nella filiera alimentare: il Regolamento (UE) 2019/1381.
Il Regolamento (UE) 2019/1381 perfeziona la consapevolezza
che il successo della politica in materia di Food Safety non possa
prescindere da un processo di analisi del rischio trasparente.
39
Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), Sentenza del 10 ottobre 2019, in causa C-616/17, Procedimento penale a carico di Mathieu Blaise e
a., ECLI:EU:C:2019:800.
40
Regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, in
GUUE, L 309 del 24/11/2009, p. 1.
41
Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sentenza del 10 ottobre 2019, in causa
C-616/17, Procedimento penale a carico di Mathieu Blaise e a., cit., par. 102.
18
ALIMENTA
Risulta dunque necessario assicurare una più ampia condivisione di conoscenze a tutela degli interessi, non necessariamente confliggenti, di tutti gli attori della filiera agroalimentare, sia pur con
sfumature diverse.
Implementare e chiarire le norme in materia di trasparenza, in
particolare quelle relative agli studi scientifici posti alla base della
valutazione del rischio alimentare, aumentare le garanzie di affidabilità, obiettività, trasparenza e indipendenza di siffatti studi, migliorare la governance dell’EFSA, rafforzare la cooperazione scientifica e il coinvolgimento degli Stati membri nel processo valutativo
e sviluppare una comunicazione del rischio (al pubblico) più efficace e trasparente diventano quindi i principali obiettivi riformatori del nuovo Regolamento42.
In questo rinnovato governo della sicurezza non solo alimentare, bensì esteso a comprendere l’intero ciclo della vita e l’ambiente,
la trasparenza, nelle sue declinazioni distinte, viene elevata a principio ispiratore di una nuova forma di regolazione che trova la sua
ragion d’essere in una crescente domanda di conoscenza e partecipazione attiva dei cittadini nelle procedure di analisi del rischio.
La trasparenza dei processi conoscitivi e decisionali, basati interamente su una scienza dichiarata, conosciuta e conoscibile, viene
pertanto posta alla base della legittimazione all’esercizio del potere.
4. Le riforme istituzionali e procedurali introdotte dal Regolamento (UE) 2019/1381.
4.1. Efficacia e trasparenza della comunicazione del rischio:
sviluppare nuove strategie di comunicazione del rischio.
Le modifiche apportate al Regolamento (CE) n. 178/2002 ini-
42
M. SILANO, e V. SILANO, Ensuring Food Safety in the European Union, Abingdon, Taylor & Francis Ltd, 2020, pp. 185-187.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
19
ziano con l’inserimento, nella sezione 1 relativa ai principi generali
della Food Safety Law, di una specifica sezione 1 bis dedicata al potenziamento della trasparenza e della qualità della comunicazione
del rischio, ovvero di «quello scambio interattivo tra le parti interessate, delle informazioni, delle opinioni e delle indicazioni sulla
valutazione del rischio e delle decisioni in materia di gestione del
rischio»43, parte essenziale del processo di analisi del rischio, ma
sinora «considerata complessivamente di scarsa efficacia»44.
Queste informazioni intervengono in tutte le fasi dell’analisi del
rischio e coinvolgono anche i destinatari delle decisioni adottate.
Accrescere la conoscenza e la comprensione delle questioni in
esame durante tutto il processo di analisi del rischio, assicurare la
coerenza, la trasparenza e la chiarezza nella formulazione delle raccomandazioni e delle decisioni per la gestione del rischio, assicurare
la partecipazione di tutti gli attori della filiera alimentare, combattere la diffusione di false informazioni ed informare i cittadini in modo
chiaro e trasparente sulle strategie messe in atto per la prevenzione
dei rischi si configurano infatti come gli obiettivi da perseguire.
4.2. Sostenibilità e governance dell’EFSA: rafforzare le competenze e la politica di indipendenza dell’Autorità Europea per la
Sicurezza Alimentare (EFSA).
Il Regolamento (UE) 2019/1381 prosegue intervenendo anche
sull’impianto istituzionale dell’Autorità Europea per la Sicurezza
Alimentare (EFSA), allineandolo al modello intergovernativo delle
altre agenzie europee quali, ad esempio, l’Agenzia Europea per le
Sostanze Chimiche (ECHA) e l’Agenzia Europea per i Medicinali
(EMA), in conformità all’orientamento comune interistituzionale
sulle agenzie decentrate dell’Unione.
43
L. GONZÁLEZ VAQUÈ, La comunicazione del rischio alimentare nell’Unione
Europea e negli stati membri: efficacia, trasparenza e sicurezza, Riv. dir. al., 3,
2016, pp. 33-45.
44
Cfr. considerando n. 9, Regolamento (UE) 2019/1381.
20
ALIMENTA
Vengono garantiti in tal modo un’efficiente supervisione del
funzionamento delle agenzie e punti di vista coordinati tra il livello
nazionale e quello dell’Unione.
Con la sostituzione del paragrafo 1 dell’art. 2545, il Regolamento (UE) 2019/1381 modifica quindi la composizione del Consiglio
di Amministrazione dell’EFSA, prevedendo che ogni Stato membro debba designare, quali suoi rappresentanti, un membro titolare e un membro supplente.
Il maggiore coinvolgimento degli Stati membri nel designare i
membri dei gruppi di esperti scientifici è certamente funzionale
all’esigenza dell’Autorità di poter disporre di un numero sufficientemente elevato di esperti indipendenti nei diversi settori di sua
competenza, tale da incidere positivamente sulla sostenibilità del
sistema di valutazione del rischio46.
Inoltre, il paragrafo 1 bis47 aggiunto all’art. 25, appena citato,
disciplina dettagliatamente la partecipazione al Consiglio di Amministrazione: «Oltre ai membri titolari e supplenti di cui al paragrafo 1, il Consiglio di Amministrazione è composto da: a) due
membri titolari e due membri supplenti nominati dalla Commissione come suoi rappresentanti, con diritto di voto; b) due membri
titolari nominati dal Parlamento Europeo, con diritto di voto; c)
quattro membri titolari e quattro membri supplenti con diritto di
voto come rappresentanti della società civile e degli interessi della
filiera alimentare, vale a dire un membro titolare e un membro
supplente per le organizzazioni dei consumatori, un membro titolare e un membro supplente per le organizzazioni ambientaliste
non governative, un membro titolare e un membro supplente per
le organizzazioni degli agricoltori e un membro titolare e un membro supplente per le organizzazioni dell’industria».
45
Cfr. art. 25, par. 1, Regolamento (CE) n. 178/2002, come sostituito dall’art. 1,
par. 4, lett. a), del Regolamento (UE) 2019/1381.
46
M. SILANO, e V. SILANO, Ensuring cit., pp. 189 ss.
47
Cfr. art. 25, par. 1 bis, Regolamento (CE) n. 178/2002, aggiunto dall’art. 1, par.
4, lett. b, del Regolamento (UE) 2019/1381.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
21
L’inclusione nel Consiglio di Amministrazione dei rappresentanti di tutti gli Stati membri, della Commissione, del Parlamento
Europeo, della società civile e delle associazioni di categoria risponde chiaramente all’esigenza di coinvolgere la responsabilità di
tutti i cittadini dell’Unione nell’operato dell’EFSA.
Nella misura in cui ciascuno Stato membro è chiamato a designare un componente del Consiglio di Amministrazione, viene dichiarata anche una responsabilità politica e, nella misura in cui entrano a far parte del Consiglio rappresentanti delle organizzazioni
ambientaliste non governative e delle organizzazioni degli agricoltori, appare chiaro l’intento del riconoscimento di una rappresentanza di interessi, quali quello ambientale ed agricolo, in precedenza mai neppure nominati48.
Il nuovo Regolamento assegna quindi all’EFSA una composizione non solo tecnica, ma anche politica in coerenza con quel titolo di Autorità che, nel disegno originario del 2002, era limitato ad
un organismo di sola consulenza scientifica49.
Appare dunque chiaro che, in un momento di sfide strutturali
per l’integrità, la validità e l’affidabilità della scienza, è necessario
chiedersi, come riflessione per il futuro, non sono quali problemi
giuridici verranno risolti con questa riforma, ma anche quali nuove
questioni saranno portate in primo piano.
4.3. La trasparenza nella valutazione del rischio: la priorità alla
partecipazione del pubblico e delle parti interessate al processo di
valutazione del rischio.
Nel considerando 12 del Regolamento (UE) 2019/1381 si afferma che «la trasparenza del processo di valutazione del rischio
contribuisce a che l’Autorità acquisisca maggiore legittimità agli
occhi dei consumatori e del pubblico nel compimento della sua
48
49
F. ALBISINNI, Trasparenza cit., pp. 32-53.
F. ALBISINNI, ibidem.
22
ALIMENTA
missione, accresce la fiducia nel lavoro da essa svolto e garantisce
democraticamente una maggiore responsabilità dell’Autorità nei
confronti dei cittadini dell’Unione. (…)»50.
Pertanto, al fine di rafforzare la credibilità scientifica degli studi posti alla base della valutazione del rischio, è necessario che alla
massima trasparenza si ispirino sia l’operato dell’EFSA, sia la documentazione scientifica utilizzata a tale scopo.
Per un’informazione il più possibile equilibrata, è indispensabile mettere a confronto l’interesse pubblico ad un elevato livello di
tutela della salute con gli interessi commerciali in gioco e l’efficace
funzionamento del mercato interno.
Per raggiungere questo obiettivo, l’articolo 3851, nella sua nuova stesura, declina infatti il rispetto della trasparenza con specifico
riferimento a tutte le strutture dell’EFSA, a tutte le relazioni riguardanti la sua attività e all’intera produzione scientifica sulla base della quale viene effettuata la valutazione del rischio.
La divulgazione al pubblico di queste informazioni non dovrà,
tuttavia, come precisato nel paragrafo 1 bis dell’art. 3852, pregiudicare i diritti di proprietà intellettuale e dovrà coordinarsi con le disposizioni poste a tutela degli investimenti effettuati dagli innovatori in sede di raccolta delle informazioni e dei dati posti a sostegno delle pertinenti domande di autorizzazione.
In relazione al delicato tema della riservatezza, strettamente legato all’esigenza di non violare la concorrenza tra le imprese, l’art.
39 (da 39 a 39 quinquies)53, nella sua nuova stesura, disciplina in-
50
Cfr. considerando n. 12, Regolamento (UE) 2019/1381.
Cfr. art. 38, Regolamento (CE) n. 178/2002, come modificato dall’art. 1, par. 7,
del Regolamento (UE) 2019/1381.
52
Cfr. art. 38, par. 1 bis, Regolamento (CE) n. 178/2002, aggiunto dall’art. 1, par.
7, lett. b), del Regolamento (UE) 2019/1381.
53
Cfr. art. 39 Regolamento (CE) n. 178/2002, come sostituito dall’art. 1, par. 8
del Regolamento (UE) 2019/1381 nonché artt. 39 bis, ter, quater, quinquies, Regolamento (CE) n. 178/2002 introdotti dall’art. 1, par. 9, del Regolamento (UE)
2019/1381.
51
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
23
fatti la richiesta di riservatezza, specificando le informazioni la cui
divulgazione può danneggiare gli interessi del produttore, nonché
il procedimento di valutazione messo in atto dall’Autorità sulla richiesta di riservatezza del richiedente.
Il Regolamento deve garantire quindi, nelle opportune circostanze, la riservatezza, stabilendo il tipo di informazioni la cui divulgazione, come dimostrato dal richiedente o dal notificante, può
essere considerata dannosa per gli interessi commerciali e che, pertanto, non possono essere divulgate54.
Si conferma inoltre la tutela dei diritti di proprietà intellettuale
relativi a documenti o al loro contenuto, come tutelata è la normativa che premia gli investimenti (la cosiddetta normativa
sull’esclusività dei dati) stabilita nella legislazione settoriale
dell’Unione sulla filiera agroalimentare.
Nella revisione normativa attuata dal Regolamento (UE)
2019/1381, la trasparenza e la partecipazione dei cittadini (rimaste
fino a questo momento latenti sotto il profilo applicativo) diventano dunque componenti centrali nelle procedure di valutazione del
rischio che precedono l’adozione dell’atto normativo.
Infatti l’originaria versione dell’art. 39 del Regolamento (CE) n.
178/2002 stabiliva che, in deroga alle regole della trasparenza,
«l’Autorità non rivela a terzi le informazioni riservate da essa ricevute in ordine alle quali è stato richiesto e giustificato un trattamento riservato, ad eccezione delle informazioni che devono essere
rese pubbliche, se le circostanze lo richiedono, per proteggere la
salute pubblica»55.
La modifica all’art. 39, introdotta dal Regolamento (UE)
2019/1381, definisce invece quali siano le sole informazioni per le
quali il richiedente può domandare un trattamento riservato, a
condizione che egli dimostri che tali informazioni danneggiano i
suoi interessi in maniera significativa e fermo restando che «qualo-
54
55
M. SILANO, V. SILANO, op. ult. cit., pp. 193-194.
Cfr. la versione originaria dell’art. 39, Regolamento (CE) n. 178/2002.
24
ALIMENTA
ra sia essenziale agire urgentemente per tutelare la salute umana,
animale o l’ambiente, l’Autorità può comunque divulgare tali informazioni»56.
In precedenza, anche l’articolo 23 del Regolamento (UE)
2015/2283 57 , in relazione ai Novel Foods 58 , evidenziava, rispetto
all’originario testo dell’art. 39 del Regolamento (CE) n. 178/2002, una
maggiore apertura al principio della trasparenza nel momento in cui
stabiliva le condizioni per le quali «i richiedenti possono domandare
che alcune informazioni siano oggetto di trattamento riservato, nel caso in cui la divulgazione possa nuocere alla loro posizione concorrenziale» e affermava che la Commissione, gli Stati membri e l’Autorità
avrebbero dovuto adottare le misure necessarie per garantire la riservatezza, fatta eccezione per le informazioni per cui è previsto
l’obbligo di divulgazione pubblica per tutelare la salute umana59.
L’esistenza di un catalogo motivato di dati riservati aveva quindi permesso che una pluralità di soggetti fosse venuta a trovarsi
nella condizione di intervenire a tutela degli interessi dell’uomo,
degli animali e dell’ambiente, potenziando, in tal modo, la propria
partecipazione alla fase della valutazione del rischio.
In linea con questo approccio, il Regolamento (UE) 2019/1381
compie un ulteriore passo in avanti nel momento in cui stabilisce
che la regola generale della trasparenza deve permeare ogni fase
dell’analisi del rischio (la cui comunicazione viene effettuata al
pubblico su apposita sezione del sito web dell’Autorità), definendo
ora con chiarezza le sole informazioni per le quali le imprese sono
autorizzate a chiedere la riservatezza e stabilendo che tale richiesta
debba essere accompagnata da una giustificazione verificabile, ovvero che dimostri in che modo la divulgazione danneggia significativamente gli interessi delle imprese.
56
I. CANFORA, Sicurezza alimentare cit., pp. 1-7.
Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25
novembre 2015 relativo ai nuovi alimenti in GUUE, L 327 del 11/12/2015, p. 1.
58
F. CAPELLI, B. KLAUS, e V. SILANO, Nuova Disciplina cit., pp. 238-239.
59
Cfr. art. 23, Regolamento (UE) n. 2015/2283.
57
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
25
In ogni caso, come precisa il considerando n. 28 del Regolamento (UE) 2019/1381, la divulgazione di dati non deve rappresentare «un’autorizzazione a ulteriori usi o utilizzazioni, preservando il carattere proattivo della divulgazione al pubblico» 60 e
l’Unione non è responsabile dell’utilizzo di dati (resi pubblici) da
parte dei terzi.
Spetterà quindi alle imprese richiedenti, curando la richiesta di
riservatezza con adeguata giustificazione, scongiurare il rischio di
abuso delle informazioni da parte delle imprese concorrenti61.
4.4. Tutela del consumatore di alimenti e degli interessi commerciali degli operatori economici a confronto.
Possiamo affermare senza ombra di dubbio che la tutela dei
consumatori, in nome della trasparenza, risulta rafforzata da questo Regolamento.
La ricerca della trasparenza, infatti, rassicura in primis i consumatori, sempre più esigenti in termini di domanda di informazioni.
Questa tutela viene garantita dalla diffusione al pubblico di tutte le informazioni scientifiche presentate dagli operatori del settore
al momento di una notifica o di una domanda.
A questo punto, sorge spontaneo il dubbio che tale diffusione
di informazioni possa entrare in conflitto con gli interessi commerciali degli operatori economici.
Fermo restando che la tutela della salute del consumatore è il
principio ispiratore della legislazione alimentare dell’Unione, è importante sottolineare che la nuova regolazione tutela anche gli interessi commerciali degli operatori del settore nel momento in cui
specifica le informazioni la cui divulgazione può danneggiare questi interessi e disciplina il procedimento di valutazione messo in at-
60
61
Cfr. considerando n. 28, Regolamento (UE) 2019/1381.
I. CANFORA, op. ult. cit., pp. 1-7.
26
ALIMENTA
to dall’Autorità sulla richiesta di riservatezza del richiedente in risposta all’esigenza di non violare la concorrenza tra le imprese.
Dal momento poi che la diffusione al pubblico della documentazione su cui si basa la valutazione del rischio potrebbe compromettere la competitività e la capacità di innovazione delle imprese
a causa della possibilità che aziende concorrenti facciano proprie le
idee di prodotto e le realizzino mentre il processo di autorizzazione
è ancora in corso, questa consultazione, sempre nel rispetto della
trasparenza, dovrà (come già specificato) avvenire solo dopo la
pubblicazione degli studi presentati dalle imprese medesime.
La trasparenza dell’informazione, tuttavia, rappresenta nel Regolamento (UE) 2019/1381 la regola generale e le eccezioni a questo principio devono essere interpretate sempre in senso restrittivo
con l’obiettivo di garantire, in ogni caso, la prevalenza
dell’interesse pubblico alla divulgazione e un elevato livello di tutela della salute dell’uomo, degli animali e delle piante.
A tal fine, le imprese potrebbero essere stimolate ad adeguare
la propria attività alla sempre più crescente domanda di tutela ambientale e di sicurezza attraverso la promozione e la divulgazione
delle proprie finalità di ricerca, volte a garantire, nell’ottica di una
rinnovata attenzione per la trasparenza e l’analisi del rischio, la sostenibilità ambientale e la sicurezza dei cittadini già nel processo
interno della definizione di nuovi prodotti da immettere sul mercato62.
La trasparenza delle informazioni, prevista come parte integrante del processo di analisi del rischio, può dunque rappresentare (per le imprese che fanno innovazione) un’opportunità per mettere in evidenza le caratteristiche di sostenibilità seguite nella fase
preliminare delle attività di ricerca, anche in vista dei nuovi obiettivi del Green New Deal Europeo, definiti nei documenti programmatori del maggio 2020, che nei prossimi anni orienteranno la legislazione alimentare (e conseguentemente le attività di tutti gli ope-
62
I. CANFORA, op. ult. cit., pp. 1-7.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
27
ratori coinvolti) verso un rafforzamento degli obiettivi di sostenibilità ambientale63.
4.5. Gli studi scientifici supplementari di
l’implementazione di esperti scientifici indipendenti.
verifica
e
Tra gli elementi fortemente innovatori del Regolamento, oltre
l’estensione del diritto di accesso dei cittadini alle informazioni
scientifiche, vanno ricordati anche la possibilità di richiedere, in
caso di situazioni controverse, studi scientifici supplementari di verifica e la possibilità che l’EFSA svolga ricerche nella letteratura
scientifica al fine di prendere in considerazione altri dati e studi
esistenti sull’oggetto sottoposto a valutazione su cui le Istituzioni
europee possono fare affidamento nell’elaborazione delle misure
normative e la necessità che «gli Stati membri e i datori di lavoro
dei membri del comitato scientifico e dei gruppi di esperti scientifici si astengono dall’impartire a tali membri, o agli esperti esterni
che partecipano ai gruppi di lavoro del comitato scientifico e dei
gruppi di esperti scientifici, istruzioni incompatibili con i compiti
individuali di detti membri ed esperti o con i compiti, le responsabilità e l’indipendenza dell’Autorità»64.
Il Regolamento specifica infatti l’obbligo di soggetti pubblici e
privati (Stati membri e datori di lavoro degli esperti) di astenersi
dall’impartire indicazioni relativamente ai pareri che gli esperti sono chiamati a svolgere nell’interesse generale e nello svolgimento
di una funzione pubblica.
Vengono definiti in tal modo i ruoli diversificati che i soggetti
politici e gli esperti scientifici devono ricoprire nella ricerca delle
63
Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e Sociale europeo e al Comitato delle
Regioni, Una Strategia dal “produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente, Bruxelles, 20/05/2020.
64
Cfr. art. 28, par. 5 quinquies, del Regolamento (CE) n. 178/2002, aggiunto
dall’art. 1, par. 5, lett. b) del Regolamento (UE) 2019/1381.
28
ALIMENTA
soluzioni normative più idonee a fronteggiare le situazioni di rischio. A rendere effettivamente più efficace il sistema di valutazione del rischio sono poi anche la previsione di orientamenti sulle
norme applicabili e sul contenuto delle domande, nonché
l’elaborazione di modelli standard, utili proprio alle piccole e medie imprese che intendano presentare domande o notifiche soggette alla valutazione dell’Autorità, le quali vengono pertanto facilitate
in tutte queste operazioni.
Queste due disposizioni hanno la finalità di coinvolgere, in una
logica partecipativa, tutti gli attori economici, con l’obiettivo di
coniugare innovazione e sicurezza delle produzioni alimentari65.
In tal senso, non è irrilevante che il Regolamento (UE)
2019/1381 prenda in considerazione la partecipazione delle piccole e medie imprese al processo di innovazione tecnologica.
L’indipendenza dei ricercatori, la disponibilità di esperti scientifici
e la trasparenza dei processi di valutazione del rischio con la più ampia inclusione degli esponenti della società civile e dei portatori di interessi collettivi ed una trasparente e inclusiva comunicazione del rischio diventano quindi, con il nuovo Regolamento, condizioni necessarie per garantire la sostenibilità delle scelte normative66.
5. Valutazioni finali e conclusive.
Ancora non è dato sapere se gli interventi di natura procedimentale previsti dal Regolamento (UE) 2019/1381, finalizzati ad
aprire l’intero processo di analisi del rischio ad un trasparente
scambio delle informazioni opportune in modo interattivo e tempestivo con tutte le parti interessate, siano sufficienti ad eliminare
alcuni dei limiti di natura endogena ed esogena che inevitabilmente
accompagnano questo complesso processo.
65
66
M. SILANO, V. SILANO, op. ult. cit. pp. 199-200.
I. CANFORA, op. ult. cit. pp. 1-7.
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
29
Possiamo tuttavia affermare che questo Regolamento non si risolve nelle sole, sia pur innovative, disposizioni procedimentali.
È infatti un Regolamento di regole e di principi che valorizza le
responsabilità della politica e ricerca risposte, sul piano istituzionale e teorico, alle sfide proposte al diritto agroalimentare
dall’innovazione tecnologica e di mercato, collocandosi all’interno
di un modello di ricerca dell’unità europea, attraverso processi di
codificazione unificante e sistematica che valorizzano l’utilizzo dello strumento giuridico in nome della trasparenza e del rispetto per
le scienze della vita nella loro interezza67.
La diffusione efficace e trasparente delle informazioni permetterà, a sua volta, di migliorare sul piano dell’effettività la consapevole condivisione delle scelte politiche adottate, nel rispetto dei
principi che in una società democratica devono sempre presiedere,
in termini di costi e benefici, scelte di indubbio rilievo collettivo e
potenzialmente capaci di incidere sul futuro68. Notevole impegno
viene pertanto richiesto all’EFSA e alle altre Istituzioni europee in
termini di abilitazione di nuove procedure idonee affinché l’analisi
del rischio alimentare si adatti ad un contesto sempre più digitale e
globale.
Tra di queste, la digitalizzazione giocherà indubbiamente un
ruolo fondamentale nella strategia from Farm to Fork, sostenendo il
passaggio dell’Unione Europea ad un sistema alimentare sostenibile.
La strategia from Farm to Fork (dai campi alla tavola) riconosce
infatti che la sostenibilità dei sistemi alimentari è una questione
globale e che gli stessi dovranno sapersi adattare alle crisi che si
troveranno a dover fronteggiare nel futuro. In aggiunta, l’attuale
crisi pandemica legata al COVID-19 ha dimostrato l’importanza di
avere un sistema alimentare robusto e resiliente, che funzioni in
tutte le circostanze e sia in grado di garantire l’accesso ad una fornitura sufficiente di cibo a prezzi accessibili per tutti i cittadini.
67
F. ALBISINNI, Trasparenza… cit., pp. 32-54.
A. JANNARELLI, Trasparenza e sostenibilità nel sistema europeo della Food Law
dopo il reg. 1381 del 2019, Riv. dir. al., 3, 2019, pp. 12-31.
68
30
ALIMENTA
A questo proposito, Frans Timmermans, Vicepresidente Esecutivo della Commissione Europea, così scrive: «la crisi del coronavirus ha dimostrato la vulnerabilità di tutti noi e l’importanza di ripristinare l’equilibrio tra l’attività umana e la natura. La strategia
sulla biodiversità e la strategia “Dal produttore al consumatore”
sono il fulcro dell’iniziativa Green Deal e puntano a un nuovo e
migliore equilibrio fra natura, sistemi alimentari e biodiversità:
proteggere la salute e il benessere delle persone e, al tempo stesso,
rafforzare la competitività e la resilienza dell’UE. Queste strategie
sono una parte fondamentale della grande transizione che stiamo
intraprendendo»69.
Il COVID-19 ha avuto l’unico merito di costringerci a guardare
in modo approfondito alla provenienza del nostro cibo e alla resilienza della Supply Chain (catena di approvvigionamento).
Tutti desideriamo maggiore trasparenza nella filiera per comprendere meglio ciò che mangiamo e quanto sia sostenibile la sua
produzione.
Allo stesso tempo, l’ecosistema agricolo è sottoposto a
un’enorme pressione per nutrire una popolazione globale in continua espansione.
Una filiera alimentare trasparente, agile e connessa digitalmente e una produzione tecnologicamente avanzata saranno dunque
fondamentali per la sostenibilità di un settore in cui far convivere
le esigenze dei consumatori con quelle del pianeta.
Fausto Capelli - Giovanni Giangiobbe
69
https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal/
actions-being-taken-eu/farm-fork_it, (ultimo accesso il 14/04/2021).
LA TRASPARENZA NELL’ANALISI DEL RISCHIO
31
ABSTRACT:
Questo articolo analizza l’impatto del regolamento europeo
2019/1381 con particolare riferimento alla trasparenza nella valutazione del rischio alimentare e, più in generale, nella sicurezza
alimentare.
Gli A. dedicano particolare attenzione all’analisi delle riforme
procedurali e istituzionali introdotte dal regolamento, nonché ai
suoi probabili effetti futuri: lo sviluppo di nuove strategie nella
comunicazione del rischio; una nuova governance dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) la cui indipendenza dovrebbe risultarne rafforzata; la partecipazione del pubblico e dei
portatori di interesse nel processo di analisi del rischio.
EN:
This article analyses the impact of the new European Regulation No. 2019/1381 on the transparency and sustainability of the
EU risk assessment in the food chain.
Particular attention is paid by the Authors to the institutional
and procedural reforms introduced by the Regulation and their
probable future effects: a development of new strategies in risk
communication; a new governance for EFSA (the European Agency for Food Safety, that is supposed to strengthen its independence) and the direct participation of public and stakeholders to
risk assessment procedures.
PAROLE CHIAVE:
Analisi del rischio – trasparenza – indipendenza – sostenibilità
– EFSA – sicurezza alimentare – comunicazione del rischio – partecipazione.
Risk analysis – transparency – independence – sustainability –
EFSA – food security – risk communication – participation.
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK:
LA «NUTRINFORM BATTERY» ITALIANA
E IL «NUTRI-SCORE» FRANCESE
Sommario: 1. Premessa – 2. Le ripetizioni ai sensi dell’articolo 30, paragrafo 3 del
regolamento n. 1169/2011/UE – 2.1. Qualche esempio in tema di ripetizioni –
3. Forme di espressione e presentazione supplementari (articoli 35 e 35, regolamento n. 1169/2011/UE) – 3.1. La proposta italiana: la «NutrInform Battery» – 3.2. Manuale d’uso della «NutrInform Battery» italiana – 4. Altre espressioni in altri Paesi dell’Unione: il «Nutri-Score» francese – 4.1. Questioni giuridiche relative al sistema «Nutri-Score» – 5. Conclusione.
1. Premessa.
Quando, il 7 dicembre scorso, è stato pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale italiana il decreto MiSE-Min.Sal.-Mipaaf del 19.11.20201
(il cd. decreto sulla NutrInform Battery), recante la forma di presentazione e le condizioni di utilizzo del logo nutrizionale facoltativo,
complementare alla dichiarazione nutrizionale, in applicazione
dell’art. 35 del regolamento n. 1169/2011/UE2, da più parti è per1
Cfr. il decreto 19 novembre 2020 del Ministero dello sviluppo economico, del
Ministero della salute e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali recante Forma di presentazione e condizioni di utilizzo del logo nutrizionale facoltativo complementare alla dichiarazione nutrizionale in applicazione dell’articolo
35 del regolamento (UE) 1169/2011, in, GU Serie Generale, n. 304 del 07 dicembre 2020.
2
Cfr. il Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio
del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, in GUUE, L 304 del 22 novembre 2011, pp. 18 ss. L’articolo 35 del
regolamento n. 1169/2011/UE disciplina le c.d. «forme di espressione e presentazione supplementari», stabilendo che «(…) il valore energetico e le quantità di
sostanze nutritive di cui all’articolo 30, paragrafi da 1 a 5, possono essere indicati
mediante altre forme di espressione e/o presentati usando forme o simboli grafici
oltre a parole o numeri, purché siano rispettati i seguenti requisiti: a) si basano su
34
ALIMENTA
venuta la stessa domanda, relativa a quale fosse il periodo di tempo
a disposizione per lo «smaltimento» delle scorte delle etichette recanti la dichiarazione nutrizionale, da eliminare e sostituire con la
dichiarazione nutrizionale front-pack secondo il nuovo sistema a
batteria italiano.
La domanda tradisce una notevole confusione ingenerata
dall’introduzione di tale nuova norma, sicché si ritiene opportuno
riepilogare alcune regole in tema di etichettatura nutrizionale degli
alimenti, partendo da un primo, inossidabile punto fermo:
l’etichettatura nutrizionale, anche conosciuta come tabella nutrizionale, è – e resta – un’informazione obbligatoria al consumatore,
contemplata nell’elenco delle indicazioni obbligatorie di cui all’art.
9 del regolamento n. 1169/2011/UE e disciplinata, in ordine alle
modalità espressive e di presentazione, alla Sezione 3, dagli artt. 30
e seguenti, nonché dagli allegati da XIII a XV del medesimo regolamento.
ricerche accurate e scientificamente fondate condotte presso i consumatori e non
inducono in errore il consumatore come previsto all’articolo 7; b) il loro sviluppo
deriva dalla consultazione di un’ampia gamma di gruppi di soggetti interessati; c)
sono volti a facilitare la comprensione, da parte del consumatore, del contributo
o dell’importanza dell’alimento ai fini dell’apporto energetico e nutritivo di una
dieta; d) sono sostenuti da elementi scientificamente fondati che dimostrano che
il consumatore medio comprende tali forme di espressione o presentazione; e)
nel caso di altre forme di espressione, esse si basano sulle assunzioni di riferimento armonizzate di cui all’allegato XIII oppure, in mancanza di tali valori, su pareri scientifici generalmente accettati riguardanti l’assunzione di elementi energetici
o nutritivi; f) sono obiettivi e non discriminatori; e g) la loro applicazione non
crea ostacoli alla libera circolazione delle merci». Da notare che la norma attribuisce agli Stati membri la facoltà di «raccomandare agli operatori del settore
alimentare l’uso di una o più forme di espressione o presentazione supplementari
della dichiarazione nutrizionale che ritengono soddisfare meglio i requisiti di cui
al paragrafo 1, lettere da a) a g)». Alla Commissione è attribuito il compito (invero entro il 13 dicembre 2017, termine da tempo scaduto) di presentare una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’uso di forme di espressione e presentazione supplementari, sul loro effetto sul mercato interno e sull’opportunità
di armonizzare ulteriormente tali forme di espressione e presentazione.
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK
35
Trattandosi di materia uniformata a livello UE e disciplinata da
un regolamento, la tabella nutrizionale è caratterizzata, per espressa previsione normativa, da un formato standard insostituibile per
tutti gli Stati membri, cosicché le relative modalità espressive e di
presentazione siano - e debbano continuare ad essere - le stesse per
tutti gli stakeholders sul mercato interno.
L’etichettatura nutrizionale front-pack – che in Italia è stata recentemente introdotta con il summenzionato decreto interministeriale –
costituisce, invece, un’indicazione di carattere facoltativo e supplementare, la cui introduzione nella normativa di uno Stato UE e le cui
modalità di espressione e presentazione sono demandate – in virtù del
predetto articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE, di cui si parlerà a breve – alla decisione di ciascuno Stato membro.
Perciò essa, oltre ad essere facoltativa, può anche essere diversa
da Stato a Stato all’interno del territorio dell’Unione, diversamente
da ciò che accade, come detto, con riferimento all’etichettatura nutrizionale obbligatoria.
Operate tali prime, fondamentali distinzioni tra i due tipi di informazioni di carattere nutrizionale, si ritiene utile procedere, ora,
ad una breve disamina riepilogativa di alcune disposizioni in materia di dichiarazione nutrizionale, nella specie le «ripetizioni» – queste sì, facoltative – che presentano le maggiori connessioni con le
forme di espressione supplementari di cui all’articolo 35 suddetto,
in particolare con il cd. sistema italiano a batteria.
Si esamineranno, poi, i predetti due sistemi facoltativi di etichettatura nutrizionale front-pack: la «NutrInform Battery» e il
«Nutri-Score», ponendoli a raffronto ed evidenziandone le caratteristiche oltre che, per il «Nutri-Score», le criticità.
2. Le ripetizioni ai sensi dell’articolo 30, paragrafo. 3 del regolamento n. 1169/2011/UE.
Ferma restando l’obbligatorietà della tabella nutrizionale (salvi
36
ALIMENTA
i casi di esenzione espressamente previsti nello stesso regolamento
n. 1169/2011/UE, in particolare all’Allegato V), alcune indicazioni
nutrizionali obbligatorie possono essere ripetute sull’imballaggio,
nel campo visivo principale (in genere denominato «parte anteriore dell’imballaggio»), utilizzando uno dei seguenti formati:
1) il valore energetico (cd. ripetizione corta), o
2) il valore energetico e la quantità di grassi, di acidi grassi saturi, di zuccheri e di sale (cd. ripetizione lunga).
È importante ricordare che, in caso di ripetizione, la dichiarazione nutrizionale (tabella nutrizionale) rimane un elenco con un
contenuto definito e limitato.
Sempre in caso di ripetizione, sono sufficienti indicazioni
espresse per porzione o unità di consumo (a condizione che la porzione o l’unità utilizzata sia quantificata immediatamente accanto
alla dichiarazione e che il numero di porzioni o di unità contenute
sia indicato sull’imballaggio).
Tuttavia, il valore energetico va espresso anche per 100g o per
100ml.
Non è possibile fornire nel campo visivo principale informazioni nutrizionali relative a nutrienti diversi da quelli sopra menzionati.
È tuttavia possibile indicare le ripetizioni sulla parte anteriore,
sotto forma di percentuale delle assunzioni di riferimento (AR3) oltre ai valori assoluti - anche se questa forma di espressione non è
utilizzata nella dichiarazione nutrizionale obbligatoria.
2.1. Qualche esempio in tema di ripetizioni.
Alcuni esempi consentono di chiarire meglio quanto sopra
enunciato.
Una prima opzione riguarda l’ipotesi in cui sia ripetuto solo il
3
Si veda il regolamento n. 1169/2011/UE, Allegato XIII, parte B: consumi di
riferimento di elementi energetici e di determinati elementi nutritivi diversi dalle
vitamine e dai Sali minerali (adulti).
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK
37
valore energetico (o energia). In questo caso il valore assoluto deve
venire espresso per 100 g o per 100 ml.
In aggiunta all’espressione per 100 g o per 100 ml, il valore
energetico può venire espresso anche per porzione, mentre non è
ammesso esprimere il valore energetico solo per porzione.
In aggiunta all’espressione per 100 g o per 100 ml, il valore
energetico può anche venire espresso in percentuale delle AR sia
per 100 g/ml sia per porzione.
Una seconda opzione consente di ripetere il valore energetico
accompagnandolo con l’indicazione della quantità di grassi, acidi
grassi saturi, zuccheri e sale.
In questo caso le quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri
e sale possono venire espresse per 100 g o per 100 ml oppure possono essere fornite solo per porzione.
Se l’informazione delle 4 sostanze nutritive è fornita solo per
porzione, il valore dell’energia deve essere fornito in valore assoluto simultaneamente per porzione e per 100 g o per 100 ml.
In aggiunta, le quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale
possono essere espressi in percentuale delle AR solo per porzione.
Se l’informazione delle 4 sostanze nutritive è fornita in percentuale
delle AR solo per porzione, il valore dell’energia deve venire espresso in
valore assoluto simultaneamente per porzione e per 100 g o 100 ml.
In particolare, la sezione relativa alle ripetizioni sulla parte
frontale dell’imballaggio è rilevante in funzione della scelta, operata dai Ministeri, delle modalità espressive supplementari utilizzate
per la «NutrInform Battery» italiana, poiché risponde fedelmente
alle regole di espressione ivi previste, come a breve si vedrà.
3. Forme di espressione e presentazione supplementari (articoli
35 e 36, regolamento n. 1169/2011/UE).
L’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE prevede che,
oltre alla tabella nutrizionale obbligatoria, il valore energetico e le
38
ALIMENTA
quantità di sostanze nutritive di cui all’articolo 30, paragrafi da 1 a
5, possano essere indicati mediante altre forme di espressione e/o
presentati usando forme o simboli grafici oltre a parole o numeri,
purché siano rispettati determinati requisiti, tra cui:
- facilitare la comprensione, da parte del consumatore, del contributo o dell’importanza dell’alimento ai fini dell’apporto energetico e nutritivo di una dieta;
- basarsi sulle assunzioni di riferimento armonizzate di cui
all’allegato XIII oppure, in mancanza di tali valori, su pareri scientifici generalmente accettati riguardanti l’assunzione di elementi
energetici o nutritivi;
- essere obiettivi e non discriminatori e
- non creare ostacoli alla libera circolazione delle merci.
Quindi, ai sensi della norma richiamata, è possibile aggiungere,
su base volontaria, altre forme di espressione e presentazione ai fini
della ripetizione delle informazioni fornite nella dichiarazione nutrizionale, ai sensi dell’articolo 30, paragrafo 3 o dell’articolo 35
(ad esempio con simboli).
Trattandosi, peraltro, di indicazione facoltativa, andranno rispettate anche le condizioni di impiego delle informazioni volontarie in conformità al disposto dell’articolo 36, paragrafo 2, tra le
quali si annovera il divieto di induzione in errore del consumatore,
come prescritto all’articolo 7 (pratiche leali d’informazione) dello
stesso regolamento, nonché l’obbligo che tali indicazioni non siano
ambigue né confuse per il consumatore.
Alla luce di ciò, in sede di notifica alla Commissione dell’allora
schema di decreto italiano4, l’Italia, oltre a sottolineare che le forme supplementari di espressione non si sostituiscono alla dichiarazione nutrizionale, ne ha anche rappresentato la finalità in conformità con quanto disposto dall’articolo 35, che ne costituisce, per4
Cfr. la notifica alla Commissione europea effettuata il 27/01/2020, consultabile
on line all’indirizzo internet del portale “Tris” della Commissione europea
https://ec.europa.eu/growth/toolsdatabases/tris/it/search/?trisaction=search.detail&year=2020&num=31
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK
39
tanto, la diretta fonte normativa europea di riferimento: agevolare
l’informazione sui livelli di assunzione dei nutrienti ivi indicati,
senza combinare la diversa composizione degli stessi per formulare
una graduatoria degli alimenti (ciò che, invece, pare essere stato
compiuto attraverso il «Nutri-Score» francese, di cui infra).
Il tutto, tenuto conto del fatto che il regolamento n.
1169/2011/UE non armonizza l’etichettatura nutrizionale facoltativa front-pack; il che significa che non esiste, ad oggi, uno schema
accettato comune in tutta l’Unione.
3.1. La proposta italiana: la «NutrInform Battery».
A fine gennaio 2020 l’Italia ha notificato alla Commissione uno
schema di decreto interministeriale (elaborato, come detto, di concerto tra Ministero della salute, Ministero dello sviluppo economico e Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), approdato, poi, nella pubblicazione del summenzionato decreto
19.11.2020, recante la forma di presentazione e le condizioni di
utilizzo del logo nutrizionale facoltativo complementare alla dichiarazione nutrizionale, in applicazione dell’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE.
«Nutrinform Battery» è un logo raffigurante una batteria elettrica e costituisce una forma di espressione visiva del valore energetico e di alcuni nutrienti, aggiuntiva e volontaria, da apporre sul
fronte del packaging5.
Il logo è strutturato come segue.
Nella prima parte viene riportata la porzione alla quale corrispondono i valori indicati più sotto.
Nella seconda parte viene riportata l’indicazione quantitativa di:
- Energia (espressa in «kJ» e «kcal»);
- Grassi, grassi saturi, zuccheri e sale (in «g»).
5
Per visionare il formato grafico adottato dal decreto interministeriale in oggetto
si veda su internet la pagina https://www.nutrinformbattery.it.
40
ALIMENTA
Parallelamente, sotto ognuno di questi parametri, viene indicata la percentuale di questi valori apportati da ogni singola porzione
consumata rispetto alle quantità giornaliere di riferimento, espresse
a mezzo della quantità delle assunzioni di riferimento (AR) di un
adulto medio (2.000 kcal/8.400 kJ)6.
Questo, attraverso l’immagine di una batteria che si completa a
mano a mano che ci si avvicina al totale del nutriente o dell’energia
da assumere quotidianamente.
La parte carica della batteria rappresenta graficamente la percentuale di energia e nutrienti contenuta nella singola porzione,
permettendo di quantificarla anche visivamente.
Per una dieta quotidiana equilibrata, la somma di ciò che si assume durante il giorno non deve superare il 100% della quantità di
assunzione giornaliera raccomandata.
Le quantità di assunzione giornaliera (AR) raccomandate per
un adulto medio sono le seguenti:
-‐ energia: 8400 kJ/2000 kcal;
-‐ grassi: 70 g;
-‐ acidi grassi saturi: 20 g;
-‐ zuccheri: 90 g;
-‐ sale: 6 g.
In questo modo, viene garantita un’immediata quantificazione
visiva dell’apporto di questi nutrienti di un determinato alimento
rispetto al totale da assumere nella giornata.
I parametri e le percentuali fanno riferimento ai valori europei
fissati nella tabella di cui all’allegato XIII, parte B, del regolamento
n. 1169/2011/UE.
I nutrienti da inserire nel logo corrispondono perfettamente ai
nutrienti individuati nella summenzionata «ripetizione lunga» di
cui all’articolo 30, paragrafo 3, lettera b) del regolamento e la
quantità di energia è anche riportata in valore assoluto con riferimento a 100 g di prodotto, nel rispetto delle regole di ripetizione,
6
Sul punto, si veda il regolamento n. 1169/2011/UE, Allegato XIII, Parte B, cit.
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK
41
nonché dell’articolo 35 nella parte in cui, permettendo
l’inserimento front-pack di forme di espressione supplementari, fa
espresso riferimento al valore energetico e alle quantità di sostanze
nutritive di cui all’articolo 30, paragrafi da 1 a 5.
Il decreto prevede alcune esclusioni per quanto riguarda il possibile utilizzo del logo sui prodotti.
Il suo campo di applicazione, infatti, esclude:
- gli alimenti confezionati in imballaggi la cui superficie
maggiore misura meno di 25 cm2,
- i prodotti di cui al regolamento n. 1151/2012/UE sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (DOP, IGP, STG),
al fine di evitare che il consumatore non comprenda o non riconosca il marchio di qualità a causa dell’apposizione di un ulteriore logo.
3.2. Manuale d’uso della «NutrInform Battery» italiana.
Il 19 gennaio 2021 è stato pubblicato il manuale d’uso della
«NutrInform Battery»7. Anzitutto, ivi è chiarito che il logo «NutrInform Battery» è un marchio registrato, depositato presso
l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale – EUIPO.
Titolare del marchio è il Ministero dello sviluppo economico,
che lo amministra.
L’utilizzo del marchio da parte degli operatori è volontario e a
titolo gratuito, non ne comporta il trasferimento di proprietà ed è
riservato alle persone fisiche o giuridiche, produttori e distributori
di prodotti alimentari commercializzati in Italia e nel mercato unico europeo, mentre le pubbliche amministrazioni possono utilizzare il marchio per le loro campagne informative.
7
Cfr. il Manuale d’uso del marchio nutrizionale «nutrinform battery» consultabile nel sito del Ministero dello sviluppo economico al seguente indirizzo
https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Manuale_uso_NutrInform_B
attery.pdf.
42
ALIMENTA
Il diritto all’utilizzo del marchio viene concesso gratuitamente a
tutti gli operatori che ne comunichino la volontà, registrandosi in
apposita sezione del sito web del Ministero della salute.
Tale registrazione non conferisce agli operatori un uso esclusivo di utilizzazione del marchio.
L’utilizzo è personale e non può essere trasferito.
Inoltre, il marchio non può essere modificato rispetto alle indicazioni grafiche e di contenuto indicate nel decreto e nel regolamento d’uso.
Pertanto, l’O.S.A. è tenuto a riprodurre il marchio così come
rappresentato nel decreto, impegnandosi a:
- non riprodurre solo una parte del marchio stesso;
- non modificare le caratteristiche grafiche del marchio, sia per
quanto riguarda la forma che il colore, la posizione degli elementi
figurativi e la relativa forma tipografica;
- non aggiungere al marchio un testo o qualsiasi altra indicazione che non ne faccia parte.
L’O.S.A. non può, altresì, depositare né sviluppare e/o utilizzare, in alcun territorio, marchi o loghi identici o simili che possano
danneggiare o essere confusi con il marchio «NutrInform Battery».
È fatto, inoltre, divieto di depositare marchi che incorporino,
in tutto o in parte, il marchio stesso, nonché registrare domini, che
con qualsiasi estensione potrebbero confliggere con esso e/o danneggiarlo.
4. Altre espressioni in altri Paesi dell’Unione: il «Nutri-Score»
francese.
Il Nutri-Score è stato ideato da un gruppo di ricercatori francesi
ed attualmente è utilizzato non solo in Francia, ma anche in altri
Stati UE, quali il Belgio e la Germania.
Consiste in un logo raffigurante cinque colori (dal verde al rosso, con gradazioni cromatiche intermedie) e cinque lettere (dalla A
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK
43
alla E) combinati tra loro in base alla presenza di elementi considerati positivi (vitamine, minerali, fibre…) e negativi (zuccheri, sale,
grassi saturi…)8
L’immagine risulta, quindi, concettualmente assimilabile a una
sorta di semaforo che, ove rechi la lettera A e il colore verde scuro,
indicherebbe via libera verso quell’alimento, considerato valido
sotto il profilo nutrizionale mentre, ove riporti una diversa lettera e
un colore tendente al rosso, avvertirebbe della scarsa appetibilità a
livello di valori nutrizionali per l’eccessiva presenza, ad esempio, di
zuccheri e/o di grassi.
A differenza del sistema a batteria italiano, il «Nutri-Score» non
rientra (o non dovrebbe rientrare) nell’ambito di applicazione
dell’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE (si vedano osservazioni infra), perché non riporta il valore energetico e le quantità di sostanze nutritive con altre e diverse forme espressive, né
estrapola, ripetendole, alcune informazioni della dichiarazione nutrizionale, bensì fornisce informazioni sulla qualità nutrizionale
complessiva dell’alimento (in tal caso, con lettere e colori).
Il sistema «Nutri-Score» è basato sul profilo dei nutrienti, in
particolare su algoritmi complessi mediante i quali si calcolano dei
punteggi complessivi, che riassumono il valore nutrizionale globale
di un alimento.
Anche il «Nutri-Score» è un marchio registrato9, la cui titolarità
è dell’Agenzia francese per la Sanità Pubblica10, un ente pubblico
francese sotto il controllo del Ministero per la salute che lo amministra, concedendolo alle imprese che ne facciano domanda impe8
Per visualizzare la grafica del c.d. “nutriscore” alla francese è possibile consultare
il
sito
web
https://www.santepubliquefrance.fr/determinants-desante/nutrition-et-activite-physique/articles/nutri-score.
9
La registrazione è stata effettuata a livello europeo nell’anno 2017, sia come
marchio denominativo («Nutri-Score») che figurativo («Nutri-Score ABCDE»).
10
Come si evince dal sito dell’Ufficio per la tutela della Proprietà Intellettuale
dell’Unione Europea: https://euipo.europa.eu/eSearch/#basic/1+1+1+1/100+
100+100+100/nutri-score.
44
ALIMENTA
gnandosi a rispettare una serie di regole di utilizzo del marchio, oltre che di calcolo dei valori da esporre sull’etichetta, sulla base delle tabelle nutrizionali imposte dal regolamento d’uso.
4.1. Questioni giuridiche relative al sistema «Nutri-Score».
Il sistema «Nutri-Score» francese è stato codificato in una
norma nazionale notificata alla Commissione, nell’anno 201711.
Il punto è: in base a quale norma europea?
Attraverso il riferimento a due articoli del “Code de la santé publique”, il rimando parrebbe essere proprio all’articolo 35 del regolamento n. 1169/2011/UE12.
Il che potrebbe prestarsi a critiche in punto di legittimità del
decreto francese, così come del marchio in esso codificato in quanto, pur teoricamente sussistendone i requisiti [annoverati
all’articolo 35, paragrafo 1, lettere da a) a g)], ne mancherebbero i
presupposti, dato che tale forma di espressione – come sopra detto
- non richiama il valore energetico e la quantità delle sostanze nutritive, come previsto e stabilito dall’articolo 3513, ma fornisce in-
11
Cfr. la notifica alla Commissione europea datata 24 aprile 2017, reperibile nel
database “Tris” della Commissione europea on line all’indirizzo
https://ec.europa.eu/growth/toolsdatabases/tris/en/search/?trisaction=search.detail&year=2017&num=159.
12
Cfr. l’Arrêté du 31 octobre 2017 fixant la forme de présentation complémentaire
à la déclaration nutritionnelle recommandée par l’Etat en application des articles L.
3232-8 et R. 3232-7 du code de la santé publique, in https://
www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000035944131, nonché gli articoli 14
della L3232-8 - Création LOI n. 2016-41 du 26 janvier 2016, on line all’indirizzo
https://www.legifrance.gouv.fr/codes/article_lc/LEGIARTI000031917917 e 1
del Décret n. 2016-980 du 19 juillet 2016 on line all’indirizzo
https://www.legifrance.gouv.fr/codes/article_lc/LEGIARTI000032919106.
13
Cfr. l’articolo 35, paragrafo 1, regolamento n. 1169/2011/UE, a norma del quale «(...) il valore energetico e le quantità di sostanze nutritive di cui all’articolo 30,
paragrafi da 1 a 5, possono essere indicati mediante altre forme di espressione
e/o presentati usando forme o simboli grafici oltre a parole o numeri (...)».
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK
45
formazioni sulla qualità nutrizionale complessiva dell’alimento (in
tal caso, con lettere e colori).
Inoltre, il sistema «Nutri-Score», così come strutturato, potrebbe imbattersi in una sovrapposizione giuridica con le norme del
regolamento n. 1924/2006/CE (cd. regolamento claims)14.
Infatti, tutte le volte in cui questo schema fornisca
un’informazione positiva sulla qualità nutrizionale complessiva
dell’alimento (ad esempio, con colori verdi e corrispondenti lettere), ricadrebbe sotto la definizione legale di «indicazione nutrizionale» ai sensi del regolamento 1924/2006/CE15.
Al che conseguirebbe anche una questione di conformità al disposto dell’articolo 1, paragrafo 3, del regolamento da ultimo citato, il quale stabilisce che: «un marchio, denominazione commerciale o denominazione di fantasia riportato sull’etichettatura, nella
presentazione o nella pubblicità di un prodotto alimentare che può
essere interpretato come indicazione nutrizionale o sulla salute può
essere utilizzato senza essere soggetto alle procedure di autorizzazione previste dal presente regolamento a condizione che
l’etichettatura, presentazione o pubblicità rechino anche una corrispondente indicazione nutrizionale o sulla salute conforme alle disposizioni del presente regolamento»16.
Si tratterebbe di un sistema claudicante, quindi, perché ogni
qualvolta, a mezzo del «Nutri-Score», si trasmettessero messaggi
complessivamente positivi sulla composizione nutrizionale
dell’alimento, il logo/marchio – da intendersi quale indicazione nu-
14
Cfr. il Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio
del 20 dicembre 2006, in GUUE, L 404 del 30.12.2006, pp. 9 ss. relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.
15
Cfr. R. MOLTENI, Decisioni impegnative per l’etichettatura nutrizionale frontepacco (FP), in DGAAA, www.rivistadga.it. Sul punto si vedano anche le considerazioni di L. GONZALEZ VAQUÉ, Quando la legislazione può essere un ostacolo
alla libera circolazione di prodotti alimentari. Il caso del “Semaforo nutrizionale”, in questa stessa Rivista, n. 5/2016, pp. 100 ss.
16
Ricordiamo, al riguardo, che il «Nutri-Score» è un marchio registrato.
46
ALIMENTA
trizionale generica – da solo non basterebbe, dovendo essere integrato, di volta in volta, da un corrispondente claim nutrizionale
previsto nell’elenco positivo di cui all’Allegato del regolamento in
esame.
5. Conclusione.
Al di là delle preferenze, chiamiamole, estetiche dell’uno o
dell’altro sistema di etichettatura nutrizionale supplementare, ciò
che rileva è, come sempre accade, la relativa sostanza e, in particolare, lo scopo per il quale tali sistemi sono stati pensati dal legislatore europeo.
Un fine che, per essere conseguito, deve rispettare i presupposti per i quali esso è stato preordinato.
Condivisibili sono, sul punto, le osservazioni formulate dal nostro Ministero dello sviluppo economico, all’alba della notifica
dell’allora proposta italiana relativa al sistema di etichettatura nutrizionale front-pack17.
Il sistema italiano a batteria mira, infatti, a superare gli effetti
penalizzanti derivanti dal sistema «Nutri-Score», che utilizza i colori
del semaforo per esprimere un giudizio sui prodotti agroalimentari,
attraverso un algoritmo di misurazione che, basato su 100 g, li classifica dalla A alla E, in contrapposizione ai principi di una dieta varia
ed equilibrata (quale quella mediterranea non si può certo dire non
sia), che si basa su un consumo bilanciato di tutti gli alimenti.
Con il sistema italiano di etichettatura nutrizionale il Governo,
in conformità al dettato normativo di fonte europea, si pone
l’obiettivo primario di fornire al consumatore una informazione
chiara e sintetica sulla presenza di alcuni nutrienti negli alimenti,
utile a collocarli all’interno di una dieta bilanciata.
17
Cfr. il comunicato stampa «Made in Italy: notificato alla Commissione Ue il
sistema di etichettatura ‘NutrInform Battery’» del 27 gennaio 2020, reperibile on
line sul sito web http://www.mise.gov.it.
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK
47
Ad ogni modo, l’uso nel tempo di tali forme volontarie supplementari di etichettatura nutrizionale front-pack sarà oggetto di
monitoraggio da parte della Commissione, attraverso le informazioni inviate dagli Stati membri.
Ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 5, del regolamento n.
1169/2011/UE, alla luce dell’esperienza acquisita, la Commissione
presenterà una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio
sull’uso di tali forme, sul loro effetto nel mercato interno e
sull’opportunità di armonizzarle ulteriormente.
La Commissione europea è già orientata a proporre, in ogni caso, un sistema di etichettatura nutrizionale front-pack armonizzato
a livello UE, che dovrebbe essere adottato entro la fine dell’anno
2022.
Valeria Pullini
ABSTRACT:
Che vi fosse o meno bisogno di un sistema di etichettatura nutrizionale per gli alimenti, ulteriore rispetto alla dichiarazione nutrizionale obbligatoria, non è argomento trattato nel presente elaborato, il quale non contiene, perciò, commenti sul punto, ma si
sofferma, invece, sulla relativa strutturazione e sui presupposti giuridico-normativi che ne costituiscono il fondamento.
L’etichettatura nutrizionale front-pack è un’indicazione di carattere facoltativo e supplementare, le cui previsione e modalità di
espressione e presentazione sono demandate alla decisione di ciascuno Stato membro dell’UE, in virtù di una specifica norma contemplata dal regolamento n. 1169/2011/UE: l’art. 35.
Per questo motivo, oltre ad essere facoltativa, tale forma di
espressione e presentazione supplementare può anche essere diver-
48
ALIMENTA
sa da Stato a Stato all’interno del territorio dell’Unione, diversamente da ciò che accade per l’etichettatura nutrizionale obbligatoria.
L’Italia ha adottato nel mese di novembre 2020, a mezzo di apposito decreto interministeriale, la cosiddetta «NutrInform Battery», ossia un logo raffigurante una batteria elettrica, che costituisce
una forma di espressione visiva del valore energetico e di alcuni
nutrienti, aggiuntiva e volontaria, da apporre sul fronte del packaging.
La Francia, invece, già dall’anno 2017, ha proposto e adottato
il noto «Nutri-Score», che consiste in un logo raffigurante cinque
colori (dal verde al rosso, con gradazioni cromatiche intermedie) e
cinque lettere (dalla A alla E) combinati tra loro in base alla presenza di elementi considerati positivi (ad esempio vitamine, minerali, fibre) e negativi (ad esempio zuccheri, sale, grassi saturi).
Nell’elaborato vengono posti a confronto i predetti due sistemi
supplementari di etichettatura nutrizionale front-pack e, mentre il
sistema italiano a batteria sembra rispettare fedelmente il dato
normativo europeo di riferimento, quello francese, proprio sotto
tale profilo, presenta alcune criticità, che nel presente scritto si è
inteso rappresentare.
EN:
It is not the task of this paper to determine whether or not an
additional nutritional labeling system for foods was needed.
The present paper focuses on the structure and on the juridical-normative presuppositions, as the foundation of such an optional expression system.
Front-pack nutrition labeling is an optional and supplementary
indication, whose provisions and methods of expression and
presentation are left to the decision of each EU Member State, by
virtue of art. 35 of regulation no. 1169/2011/EU.
For this reason, besides being optional, this form of additional
L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE FRONT-PACK
49
expression and presentation may also be different from State to
State within the territory of the European Union, unlike what happens for mandatory nutrition labeling.
In November 2020, Italy adopted, by means of a specific interministerial decree, the so-called “NutrInform Battery”, that is a
logo depicting an electric battery to be placed on the front of the
packaging.
It constitutes an additional and voluntary form of visual expression of the energy value and of some nutrients.
France, on the other hand, since 2017, has proposed and
adopted the well-known “Nutri-Score”.
It consists of a logo depicting five colors (from green to red,
with intermediate chromatic gradations) and five letters (from A to
E) combined with each other and based on the presence of elements considered positive (for example vitamins, minerals, fibers)
and negative (for example sugars, salt, saturated fats).
In this report the aforementioned two supplementary frontpack nutritional labeling systems are compared and, while the Italian battery system seems to faithfully respect the European regulatory data of reference, the French one, from this point of view,
presents some criticalities, which are here briefly described.
PAROLE CHIAVE:
Nutrinform Battery – Nutriscore – etichettatura degli alimenti
– claims nutrizionali – informazioni sugli alimenti ai consumatori –
tabella nutrizionale.
Nutrinform Battery – Nutriscore – food labelling – Nutritional
claims – Information to consumer – nutrition facts.
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
AUTOCONTROLLO E HACCP: STATO DELL’ARTE
DELLA SEMPLIFICAZIONE NELL’AMBITO
DELLE ATTIVITÀ DI RISTORAZIONE COMMERCIALE
DI PICCOLE E MEDIE DIMENSIONI
Sommario: 1. Introduzione – 2. Stato dell’arte – 3. Indagine sul campo – 4. Risultati – 5. Valutazioni conclusive.
1. Introduzione.
Il regolamento (CE) n. 852/2004 sull’igiene degli alimenti1 auspica una certa flessibilità relativamente ai requisiti del sistema
HACCP in modo tale che possa essere possibile l’applicazione in
qualsiasi tipologia di realtà produttiva, comprese le piccole imprese.
Quanto previsto dal sistema HACCP risulta, infatti, un’efficace
modalità di gestione dei pericoli presenti all’interno di un processo
produttivo. Al contempo, però, richiede un impegno da parte
dell’O.S.A. e dei suoi addetti.
In questa direzione il documento della DG SANCO n.
1995/2005 2 , poi in gran parte inglobato nella Comunicazione
2016/C 278/013, fornisce linee di indirizzo che meglio spiegano la
1
Cfr. il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile
2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, in GUUE, L 139 del 30.4.2004, pp. 1 ss.
2
Cfr. il documento Implementation of procedures based on the HACCP principles, and facilitation of the implementation of the HACCP principles in certain
food
businesses,
disponibile
on
line
al
seguente
indirizzo
https://www.fsai.ie/uploadedFiles/EU_Guidance_HACCP.pdf.
3
Cfr. la Comunicazione della Commissione relativa all’attuazione dei sistemi di
gestione per la sicurezza alimentare riguardanti i programmi di prerequisiti
(PRP) e le procedure basate sui principi del sistema HACCP, compresa
l’agevolazione/la flessibilità in materia di attuazione in determinate imprese alimentari, 2016/C 278/01, pubblicata in GUUE, C 278 del 30 luglio 2016, pp. 1 ss.
52
ALIMENTA
flessibilità applicativa, già delineata all’interno del Pacchetto Igiene, e forniscono una linea di indirizzo più precisa circa
l’applicazione delle procedure basate sui principi del sistema
HACCP.
L’allegato II del documento del 2005, divenuto all. III del documento del 2016, definisce come può essere operata la semplificazione nella pratica quotidiana delle imprese di piccole dimensioni in riferimento agli obblighi definiti dal Pacchetto Igiene ritenuti
maggiormente stringenti per talune realtà.
Pare quindi interessante valutare come e se le procedure di
semplificazione abbiano rappresentato per l’O.S.A. delle piccole
imprese uno stimolo e quindi valutare il livello di applicazione e di
conformità all’interno delle realtà di ristorazione commerciale.
2. Stato dell’arte.
Conformemente a quanto previsto dal regolamento (CE) n.
852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, gli operatori (O.S.A.) di
tutte le attività alimentari devono rispettare i requisiti generali di igiene
(Good Hygiene Practices, GHP) previsti negli allegati I (produzione
primaria e operazioni associate) o II (altri O.S.A.) del Regolamento.
Inoltre, l’O.S.A., deve mettere in atto, implementare e mantenere una o più procedure permanenti basate sui principi dei punti
del sistema HACCP (controllo dei punti critici) (articolo 5).
In particolare, ogni O.S.A. deve essere in grado di integrare, in
modo ottimale, i principi del sistema HACCP con i programmi
prerequisiti (PRP) soprattutto GHP, GMP e le disposizioni sulla
tracciabilità.
Il regolamento tuttavia sottolinea la necessità di flessibilità in riferimento alle piccole imprese: in alcune aziende, infatti, non è
possibile identificare i CCP e, in alcune situazioni le GHP e, in generale i PRP, possono sostituire le attività di monitoraggio dei
CCP (cfr. il considerandum 11 regolamento (CE) n.852/2004).
AUTOCONTROLLO E HACCP
53
Nel 2005 viene emesso, ad opera del Direttorato Generale per
la salute e Protezione del Consumatore dell’Unione Europea
(SANCO/1955/2005), il documento “Guida all’applicazione delle
procedure basate sui principi del sistema HACCP e alla semplificazione dell’attuazione dei principi del sistema HACCP in talune
imprese alimentari”: pur non essendo stato adottato e formalmente
approvato dalla Commissione Europea – se non in forma modificata nel 2016, come anticipato in precedenza – esso fornisce una
guida per l’implementazione, nelle aziende, delle procedure per
l’HACCP e per la semplificazione applicativa dell’HACCP in alcune imprese alimentari.
Lo scopo di questo documento era fornire chiarimenti sulla
flessibilità in merito all’attuazione delle procedure basate sui principi del sistema HACCP.
All’allegato II, infatti, viene definito come può essere operata la
semplificazione nella pratica quotidiana delle imprese di piccole
dimensioni, in riferimento agli obblighi definiti dal Pacchetto Igiene ritenuti maggiormente incombenti per talune realtà.
Riassumendo:
- la possibilità di semplificare poggia sulla considerazione
che, se l’obiettivo di individuare e controllare i pericoli, che risulta
raggiungibile mediante l’applicazione del sistema HACCP, viene
conseguito con l’ausilio di strumenti più semplici da adottare ma
ugualmente efficaci, può ritenersi soddisfatto quanto prescritto dal
Pacchetto Igiene;
- l’applicazione dei programmi prerequisito è antecedente
all’applicazione dei principi basati sul sistema HACCP, tanto da
risultare la base sulla quale quest’ultimi poggiano. Nel caso in cui
tali prerequisiti risultino sufficienti ad un efficace controllo dei pericoli, non appare più necessaria la predisposizione ed applicazione
del sistema HACCP. Tale condizione potrebbe evidenziarsi in realtà produttive all’interno delle quali non insistono preparazioni o,
se presenti, richiedono una manipolazione degli alimenti molto ridotta;
54
ALIMENTA
- i manuali di corretta prassi operativa sono individuati quale
strumento semplice ed efficace per rispondere agli obblighi normativi, in materia di applicazione del sistema HACCP, in imprese
alimentari di dimensionamento ridotto. La loro utilità è misurabile
sia in veste di strumento di controllo che in qualità di attestazione
di conformità alla normativa. Essi devono essere strutturati in modo tale da considerare tutti i pericoli presenti all’interno
dell’attività e definire, per ciascuno di questi, misure di controllo
ed azioni correttive, senza però approfondire la natura di tali pericoli e procedere all’individuazione dei CCP. La mancata individuazione è possibile in considerazione del fatto che, in realtà di
dimensioni ridotte e caratterizzate da preparazioni semplici, i CCP
risultano spesso assenti o facilmente gestibili con l’adozione di
GMP. Per riassumere, questi manuali rappresentano la coniugazione di buone pratiche igieniche e di alcuni elementi basati sui
principi del sistema HACCP;
- rispetto a quanto definito dal principio 1 del sistema
HACCP, ovvero provvedere ad una accurata analisi dei pericoli
presenti all’interno del processo produttivo, per aziende di piccolemedie dimensioni potrebbe non essere necessario procedere a tale
analisi, se i programmi prerequisito si dimostrassero sufficienti al
controllo generalizzato dei vari pericoli che potrebbero delinearsi.
Diversamente, potrebbe risultare necessario analizzare i pericoli, salvo poi considerare l’adozione di programmi prerequisito
un mezzo sufficiente al loro controllo;
- rispetto a quanto definito dal principio 4, ovvero la necessità di stabilire un sistema di monitoraggio, la DG SANCO ribadisce
la possibilità di stabilire procedure di controllo di facile applicazione. In taluni casi, in cui il controllo risulta già operato
dall’attrezzatura in cui avviene la fase da verificare (es. cottura in
apparecchiatura in grado di calibrare opportunamente il rapporto
tempo/temperatura), risulta possibile omettere un ulteriore controllo esterno da parte dell’operatore, purché la funzionalità
dell’apparecchiatura venga periodicamente valutata;
AUTOCONTROLLO E HACCP
55
- infine, l’obbligo di registrazione, definito dal settimo ed ultimo principio, è da intendersi parzialmente applicabile in realtà di
dimensionamento ridotto. Per queste realtà le registrazioni devono
essere limitate al minimo indispensabile, nell’ottica di rispondere
esclusivamente all’unico obiettivo da perseguire, ovvero quello della sicurezza alimentare. Si considera valutabile la possibilità di procedere alla registrazione solo nel caso in cui l’operazione di monitoraggio abbia evidenziato una non conformità; tali registrazioni
devono necessariamente includere le misure correttive adottate in
seguito.
La DG SANCO consiglia come strumento adottabile finalizzato a tale scopo un diario o una check-list.
Le registrazioni devono essere conservate, a disposizione
dell’autorità competente, per un periodo di tempo «ragionevole»
non più precisamente specificato.
Pertanto l’O.S.A. che sceglie, in virtù del dimensionamento e
della tipologia della propria attività, di adottare una procedura
semplificata deve garantire che questa sia in grado di controllare i
pericoli che caratterizzano il processo produttivo di cui si fa garante.
La semplificazione delineata dalla DG SANCO ha senz’altro
facilitato molto la capacità di rispondere alle richieste normative da
parte delle microimprese nelle quali, per definizione, rientrano le
aziende con un numero inferiore ai 10 dipendenti ma, nonostante
ciò, permangono in queste realtà produttive alcune criticità.
Quest’ultime emergono chiaramente dal confronto con l’Autorità
di Controllo che, ancora oggi, in fase di ispezione si trova a sanzionare l’O.S.A. per le mancanze imputabili ad una scorretta o parziale applicazione delle procedure di autocontrollo semplificate.
Ma come si pone l’O.S.A. nei confronti di questa flessibilità?
È in grado di cogliere il supporto rappresentato dalla possibilità di applicare, all’interno della propria realtà delle procedure
semplificate ma che garantiscano un elevato il livello di sicurezza
alimentare?
56
ALIMENTA
3. Indagine sul campo.
Al fine di valutare il livello di adesione di alcune realtà di ristorazione commerciale, presenti sul territorio della regione
Piemonte (ASL TO1, TO3, TO4, TO5), alle procedure flessibili
individuate dalla DG SANCO, sono state condotte due indagini.
Tutte le realtà rientravano nella definizione di piccole imprese
ed usufruivano della procedura semplificata che avrebbe dovuto
essere applicata correttamente al fine di garantire i potenziali pericoli insiti nella loro attività.
La prima indagine ha riguardato 19 attività rientranti nelle tipologie individuate dal D.P.G.R. n. 2/R del 3 marzo 20084 (Tipologia 1- 4) ed ha approfondito, in particolare, due procedure: il
controllo e monitoraggio delle temperature e la gestione della rintracciabilità e tracciabilità.
La seconda indagine invece, condotta successivamente a
quella descritta in precedenza, ha voluto indagare in merito ad
altre procedure e, più precisamente, la procedura di gestione dei
materiali e oggetti a contatto alimenti (M.O.C.A.) e la procedura
di manutenzione impianti: l’indagine ha riguardato 20 realtà
(Tabella 1).
4
Cfr. il decreto del Presidente della Giunta regionale 3 marzo 2008, n. 2, Regolamento regionale recante Nuove norme per la disciplina della preparazione e
somministrazione di alimenti e bevande, relativamente all’attività di bar, piccola
ristorazione e ristorazione tradizionale. Abrogazione dei regolamenti regionali 21
luglio 2003, n. 9/R, 20 ottobre 2003, n. 12/R, 5 luglio 2004, n. 3/R, 21 dicembre
2004, n. 16/R, 28 dicembre 2005 n. 8/R, in GU, 3a Serie Speciale – Regioni, n.18
del 03 maggio 2008.
57
AUTOCONTROLLO E HACCP
Tabella 1. Descrizione delle tipologie di ristorazione oggetto di
monitoraggio in entrambe le indagini e territorio ASL di competenza.
Tipologia
ASL di competenza
Totale
(tipologia)
Prima
indagi-
TO1
TO3
TO4
TO5
1
0/0
0/0
0/0
1/0
1
2
2/2
0/2
0/3
0/2
11
3
1/4
1/1
1/0
0/2
10
4
8/1
4/1
1/1
0/1
17
18
9
6
6
39
ne/seconda indagine
TOTALE REALTÀ
Le procedure sono state individuate considerando sia l’elevato
numero di criticità riscontrate nella loro applicazione, sia per la loro importanza nel garantire la sicurezza dei prodotti per il consumatore finale.
Le informazioni sono state ottenute mediante l’utilizzo di una
check-list e di un questionario5.
La check-list ha scomposte le procedure in fasi elementari delle quali è stata valutata la corretta/scorretta o mancata applicazione. Il questionario, somministrato al termine del sopralluogo, ha permesso di:
• sondare il livello di consapevolezza dell’OSA rispetto alle
proprie criticità;
• sondare il livello di priorità che egli attribuisce al rispetto
delle procedure di autocontrollo;
• sondare l’impegno con cui ritiene di rispondere a tali
adempimenti;
• indagare le motivazioni alle quali l’OSA imputa le proprie
carenze o la scarsa attribuzione di importanza alla tematica;
5
La check-list è disponibile on line sul sito di questa Rivista all’indirizzo
https://www.rivistalimenta.com/grassi-1-21.
58
ALIMENTA
• comprendere il rapporto che l’OSA ha instaurato con
l’Autorità Competente;
• comprendere il livello di sicurezza con il quale egli si sentirebbe di conferire con lo stesso per evidenziare se venga percepito
come uno strumento di cui avvalersi o un’istituzione dalla quale
nascondersi;
• raccogliere i suggerimenti dell’OSA per agevolarne la corretta applicazione delle procedure.
4. Risultati.
I dati raccolti attraverso la check-list sono stati interpretati assegnando un punteggio basato sul livello di aderenza alle procedure semplificate, oggettivamente riscontrato durante il sopralluogo,
che ha rispettato i seguenti parametri:
- in caso di scorretta o mancata applicazione è stato assegnato il valore 0 (zero);
- in caso di applicazione parziale il valore 0,5;
- in caso di applicazione corretta il valore 1.
In merito al livello di aderenza da parte dell’OSA a tutte le
procedure semplificate, oggetto dell’indagine, possiamo affermare
come i risultati evidenzino una situazione non del tutto rassicurante, inducendo peraltro alla considerazione che la finalità della semplificazione sia stata del tutto disattesa.
Il questionario è stato formulato per integrare i risultati delle
check-list con i dati raccolti mediante l’indagine dei seguenti aspetti:
1. Livello di priorità che l’O.S.A. attribuisce all’esecuzione delle
procedure di autocontrollo all’interno della propria attività.
Il questionario ha evidenziato, da parte dell’O.S.A., una priorità essenzialmente legata ad eventuali perdite economiche: si provvede, ad esempio, alla regolare manutenzione delle apparecchiature utilizzate per la conservazione e preparazione degli alimenti e, in
AUTOCONTROLLO E HACCP
59
virtù della costanza con cui vengono effettuati questi interventi di
verifica e, eventualmente, di ripristino della funzionalità, gli O.S.A.
ritengono possibile trascurare, per alcune fasi il rilevamento costante delle temperature. Altrettanto onerose vengono considerate
dall’O.S.A. le richieste in merito alla gestione allergeni (regolamento UE n.1169/20116), procedura ritenuta, peraltro, scarsamente
utile: consumatori con problematiche di allergie e/o intolleranze,
provvedono spontaneamente ad informarne l’O.S.A. od a richiedere informazioni in merito all’eventuale presenza.
È, inoltre, emerso un divario tra esecuzione pratica della procedura e redazione ed aggiornamento della parte documentale ad
essa correlata: gli O.S.A. hanno univocamente attribuito un elevato
livello di priorità al rispetto delle procedure di autocontrollo dal
punto di vista operativo, manifestando un forte dissenso alla necessità di aderire alle procedure per quanto concerne la parte di registrazioni e conservazione di attestazioni documentali.
Proprio in virtù dello scarso livello di priorità attribuito, la parte documentale è quella in cui sono state evidenziate maggiori carenze.
Nonostante la semplificazione operata per questo tipo di imprese, gli O.S.A. dichiarano di non essere in grado di rispondere in
modo esaustivo alle richieste avanzate in questo ambito.
Il loro margine di azione si limita alla possibilità di operare nel
miglior modo possibile in ambito pratico, ma non gli consente di
assolvere adeguatamente agli obblighi dal punto di vista documen-
6
Cfr. il Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio
del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del
Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della
Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE
della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento
(CE) n. 608/2004 della Commissione, in GUUE, L 304 del 25. 10. 2011, pp. 1863.
60
ALIMENTA
tale. Attraverso le risposte del questionario è stato possibile ricondurre tale carenza, per tutti gli OSA intervistati, ad un’unica causa:
la mancanza di tempo.
2. Livello di consapevolezza dell’O.S.A. rispetto alle carenze
evidenziabili all’interno della sua attività.
La domanda relativa a tale punto era diretta e chiedeva, all’OSA,
se era consapevole della presenza, nella sua attività, di carenze relative
alle procedure definite dal proprio piano di autocontrollo.
Il 75% degli O.S.A. (14 nella prima indagine e 15 nella seconda) hanno risposto affermativamente, dimostrando inoltre di riconoscerle e saperle illustrare. Il 25% (5 sia nella prima che nella seconda indagine) invece ritiene che, all’interno della propria attività,
non vi sono carenze relative all’applicazione delle procedure definite dal manuale di autocontrollo: è interessante riportare che tra
questi una sola realtà, in effetti, presentava un risultato soddisfacente in termini di aderenza alla procedura.
Il quesito è stato posto con la finalità di indagare la capacità
degli O.S.A. nell’individuare eventuali problematiche e fattori di
pericolo, a prescindere dall’abilità e/o possibilità di provvedere alla
loro eliminazione o riduzione. Tale capacità rappresenta il punto
di partenza per comprendere se l’adozione di semplificazioni a livello operativo e documentale, funzionali per l’O.S.A. alla corretta
applicazione delle procedure, si rivela sufficiente alla risoluzione
delle criticità evidenziate. Un’incapacità nell’individuare i fattori di
pericolo vanifica, infatti, l’impatto positivo che tali soluzioni semplificative possono sortire.
3. Rapporto con l’Autorità Competente.
Le risposte fornite attraverso il questionario hanno evidenziato
una certa insofferenza da parte dell’O.S.A. nei confronti
dell’Autorità di controllo.
Tale atteggiamento, a detta loro, non deriva dall’obbligo di essere conformi a quanto previsto dalla normativa ma, soprattutto,
dalla difficoltà nel comprendere come districarsi tra le differenti
richieste dell’Autorità di Controllo.
AUTOCONTROLLO E HACCP
61
Tali richieste vengono percepite come discordanti tra loro e gli
O.S.A. non si ritengono in grado di identificare ed adottare modalità d’azione che assicurino una conformità normativa.
Alla complessità lamentata dagli O.S.A. influisce anche
l’esistenza di differenti autorità preposte al controllo che valutano,
con approcci diversificati, le medesime attività.
I risultati ottenuti dall’indagine, tuttavia, suggeriscono che la
condizione di scarsa chiarezza imputata all’Autorità di controllo,
possa costituire una scusante al mancato rispetto della normativa.
Si è ritenuto quindi necessario approfondire la questione, verificando le modalità di sopralluogo, le non conformità rilevate ed i
provvedimenti conseguentemente applicati.
Nell’ambito della seconda indagine sono stati selezionati 60 verbali (15 per ogni tipologia) che garantissero una rappresentatività sia del
territorio, sia degli ispettori che operano all’interno del Dipartimento
di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (SIAN) dell’ASL TO 3.
L’analisi dei verbali, ha permesso di evidenziare come le richieste e i controlli effettuati dall’Autorità competente, nei confronti
dell’O.S.A., siano omogenei: è quindi possibile definire infondato
quanto lamentato dagli OSA nella prima indagine
5. Valutazioni conclusive.
Analizzando i risultati ottenuti da entrambe le indagini, il quadro generale è poco rassicurante.
- Controllo e monitoraggio delle temperature. In base al risultato delle check-list le realtà che garantiscono un’aderenza sufficiente alla procedura sono meno della metà.
L’analisi dei risultati ottenuti con il questionario hanno permesso di approfondire le cause di tali criticità: omissione del procedimento di taratura degli strumenti utilizzati per il rilevamento
della temperatura per dimenticanza o non conoscenza della presenza di tale procedura nel manuale.
62
ALIMENTA
La mancanza di tempo invece sembra essere la motivazione più
accreditata per il mancato controllo delle temperature della merce
in fase di ricevimento.
La verifica inoltre non viene eseguita nemmeno quando è
l’OSA stesso a procurare e trasportare le materie prime, evidenziando una scarsa consapevolezza dei pericoli ad essa correlati. In
alcune realtà la procedura prevista dal manuale viene omessa in
quanto sprovviste di termometro a sonda.
- Gestione delle non conformità.
Una sola, su 19 realtà indagate nella prima indagine, ha dimostrato di rispettare in toto la procedura, provvedendo anche alla
registrazione della non conformità.
La maggioranza degli operatori interpellati a tal proposito, infatti, ritengono superflua la registrazione.
Anche i risultati ottenuti nella seconda indagine non sono migliori: il 65% delle attività visionate non procede con la registrazione delle non conformità pur essendo presente, nel manuale di
autocontrollo, una procedura che prevede la data rilevazione non
conformità, l’impianto nel quale si è rilevata la non conformità, che
tipo di non conformità si è rilevata e la misura correttiva adottata.
La pressoché totalità degli O.S.A. afferma che, nonostante la
semplificazione data dalla normativa, non sono in grado di adempiere in modo corretto alle prescrizioni imposte.
- Rintracciabilità e tracciabilità. I risultati ottenuti sono più rassicuranti rispetto al parametro temperatura: 11 attività su 19 rivelano la capacità di aderire, con risultati soddisfacenti, alla procedura; 7 attività, per le quali sono state evidenziate maggiori criticità, si
attestano quasi tutte su risultati prossimi alla sufficienza; solamente
2, tra le 19 attività indagate, presentano difficoltà significative nel
rispettare tutte le fasi della procedura e rispondere, quindi, agli
obblighi normativi in materia.
La conservazione delle etichette, unitamente all’identificazione dei
prodotti lavorati e semilavorati, è una delle fasi per la quale si riscontra il maggiore numero di difficoltà legate ad una carenza di tempo.
AUTOCONTROLLO E HACCP
63
Particolarmente frequente il riscontro di prodotti lavorati e semilavorati privi di tracciabilità interna.
Anche in questo caso la mancanza di tempo viene indicata come il fattore più condizionante, associata alla scarsa utilità che
l’O.S.A. gli attribuisce.
I risultati relativi alla seconda indagine individuano, in assoluto, questa la procedura per cui gli O.S.A. riscontrano maggiore difficoltà ritenuta, infatti, dal 40% degli operatori la più complessa da
gestire.
In sede di sopralluogo è stato possibile osservare come nella
maggioranza delle attività siano presenti, all’interno dei frigoriferi,
prodotti privi di diciture ed etichette eludendo completamente sia
la rintracciabilità del prodotto, sia la tracciabilità interna.
Particolare criticità si rileva sulla rintracciabilità del lotto della
materia prima che compone il prodotto lavorato o semilavorato.
In particolare emerge che gli O.S.A. attribuiscono un elevato
livello di priorità al rispetto delle procedure di autocontrollo dal
punto di vista operativo; ciò che ha suscitato maggior dissenso è la
necessità di aderire alle procedure per quanto concerne la parte di
registrazioni e conservazione di attestazioni documentali. Nonostante la semplificazione operata per questo tipo di imprese, gli
O.S.A. dichiarano di non essere in grado di rispondere in modo
esaustivo alle richieste avanzate in questo ambito.
Il questionario indagava inoltre sulla formazione del personale.
La registrazione dell’intervento formativo che l’O.S.A. effettua
ai suoi addetti viene visto come obbligo puramente formale perché
la formazione, secondo quanto affermato dagli operatori, avviene
costantemente nel corso dello svolgimento dell’attività.
Pertanto, la programmazione di un incontro formativo interno,
come riportato all’interno del manuale, risulta fine a sé stesso e
non rispondente alla realtà dei fatti.
La formazione del personale risulta, in entrambe le indagini,
avere un livello di priorità differibile.
Per alcune attività la soluzione consiste, quindi,
64
ALIMENTA
nell’eliminazione degli obblighi documentali, considerandone la
scarsa utilità ai fini della tutela del consumatore.
Alcuni O.S.A., invece, riconoscono alla produzione documentale una finalità nel tutelare l’azienda in fase di controllo ufficiale.
Per questo motivo da alcuni questionari sono emersi diversi
suggerimenti da parte degli operatori per preservare la parte documentale, ma individuando modalità di compliance differenti da
quelle attualmente in uso.
- Gestione dei M.O.C.A. Solo il 50 % degli O.S.A. mantiene la
rintracciabilità dei M.O.C.A., mentre il 30% non mantiene la rintracciabilità in quanto non consapevoli che, pur se in possesso del
manuale, anche per questi prodotti deve essere mantenuta la rintracciabilità o poiché la ritengono di importanza minore rispetto
alla rintracciabilità degli alimenti.
Particolarmente critico il dato relativo ad una percentuale pari
al 20 %, sprovvisto del manuale e per il quale quindi si ha la mancata applicazione della procedura in esame.
Anche in tale situazione viene lamentata da parte dell’O.S.A.
una carenza di tempo ma, secondo quanto osservato, la causa è
imputabile alla formazione dell’operatore: verosimilmente in fase
formativa non è stato attribuito il giusto peso o non viene espressa,
in modo esaustivo, la procedura di rintracciabilità di questi prodotti. Ne è evidenza che, in fase di colloquio finale, ponendo le
domande sui M.O.C.A., l’O.S.A. non riusciva a capire a cosa si volesse fare riferimento.
Anche in merito alle dichiarazioni di conformità dei M.O.C.A.,
i risultati non sono rassicuranti: il 60 % degli O.S.A. non risulta
essere in possesso della dichiarazione di conformità nonostante sia
in possesso del manuale di autocontrollo, mentre il 20 % è sprovvisto sia di dichiarazione di conformità che di manuale di autocontrollo. Per quanto riguarda il 20 % che applica correttamente la
fase elementare, gli O.S.A. riferiscono di avere difficoltà nel richiedere ai fornitori la dichiarazione di conformità poiché talvolta non
sanno cosa sia o che vi sia necessità di questa.
AUTOCONTROLLO E HACCP
65
- Procedura manutenzione impianti.
Alla luce dei dati ottenuti si rileva che il 75% degli O.S.A. non
rispetta le periodicità previste dal manuale. L’O.S.A. effettua interventi manutentivi in base alle convenienze del momento e, nella
maggior parte dei casi, gli interventi sono mirati a tamponare alcune situazioni piuttosto che a risolvere in modo permanente le reali
problematiche.
Gran parte degli operatori del settore alimentare non rispettano la periodicità poiché ritengono che l’esperienza maturata nel
settore sia sufficiente ad individuare le non conformità delle attrezzature, senza la necessità di un controllo periodico stabilito.
Il mancato rispetto della periodicità definita dal manuale è
inoltre imputabile ad una scarsa conoscenza di quanto definito
all’interno della procedura, evidenziando così le lacune conoscitive
dell’O.S.A.
In realtà secondo i dati ottenuti viene smentito in toto quanto
dichiarato dall’O.S.A. in sede di confronto, poiché il 70% delle attività al suo interno ha strumenti non adeguatamente manutenuti.
Molte delle non conformità, peraltro, sono state rilevate sulle apparecchiature frigorifere: guarnizioni, termometri, pulizia interna ecc.
Come riportato in precedenza, il 65% delle attività indagate
non procede con la registrazione delle non conformità, evidenziando quindi questa procedura come una delle più omesse.
Il questionario prevedeva anche di verificare se l’O.S.A. fosse
consapevole delle carenze relative alla propria attività: il 75 % degli O.S.A. intervistati, in entrambe le indagini, ne è consapevole, ed
il 25% dichiara che all’interno della propria attività non vi sono
carenze relative all’applicazione delle procedure definite dal manuale di autocontrollo.
L’applicazione di procedure semplificate è stata prevista al fine
di permettere a realtà produttive di piccole dimensioni, di operare
in conformità a quanto previsto dalla normativa in merito alla sicurezza alimentare in maniera congrua sia al personale operante, sia
alla produttività della struttura.
66
ALIMENTA
Sarebbe pertanto auspicabile che abbia rappresentato per
l’O.S.A. una notevole agevolazione e la possibilità di operare in
modo ottimale, garantendo ai consumatori uno standard di sicurezza ineccepibile.
I risultati ottenuti dalle due indagini rilevano tuttavia un quadro non del tutto rassicurante, caratterizzato da molteplici ambiti
in cui l’O.S.A. risulta inadempiente in modo totale o parziale. Tali
carenze sono riconducibile a «fattori predisponenti» quali:
- mancanza di tempo che impedisce all’O.S.A. di effettuare
totalmente o parzialmente quanto richiesto dalla procedura;
- l’attribuzione di scarsa rilevanza ad alcuni adempimenti, ritenuti di minor impatto nell’ottica di fornire al consumatore un
alimento incapace di provocargli un danno alla salute;
- la dimenticanza di quanto previsto dalle procedure;
- la scarsa consapevolezza dei rischi manifestata da alcuni
O.S.A. nel corso delle visite, fattore che sicuramente influenza i
precedenti in varia misura;
- la confusione degli O.S.A. relativamente agli obblighi normativi, che genera il pretesto per eventuali inadempimenti.
L’analisi dei dati ottenuti evidenzia tuttavia un fattore che può
essere considerato come «di base» per gli altri precedentemente
riportati: la scarsa formazione dell’O.S.A.
La formazione di base viene fornita all’operatore precedentemente all’apertura dell’attività: coloro che vogliono aprire
un’attività di commercio al dettaglio relativamente al settore merceologico alimentare e di somministrazione di alimenti, devono essere in possesso di uno dei requisiti professionali definiti dal Decreto Legislativo 26 marzo 2010, n.597:
1. avere frequentato con esito positivo un corso professionale
per il commercio, la preparazione o la somministrazione degli alimenti;
7
Cfr. il Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, Attuazione della direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, in GURI n. 94 del 23 aprile
2010 - Suppl. Ordinario n. 75.
AUTOCONTROLLO E HACCP
67
2. avere prestato la propria opera, per almeno due anni, anche
non continuativi, nel quinquennio precedente, presso imprese
esercenti l’attività nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all’amministrazione o alla preparazione
degli alimenti, o in qualità di socio lavoratore o, se trattasi di coniuge, parente o affine, entro il terzo grado, dell’imprenditore in
qualità di coadiutore familiare;
3. essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennale, o di altra scuola ad indirizzo professionale, almeno triennale, purché nel corso di studi siano previste materie attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti.
In virtù di quanto sopra espresso e dalle lacune formative evidenziate, la domanda che ci si pone è: «gli enti di formazione accreditati presso la Regione Piemonte, allo svolgimento dei suddetti
corsi, adempiono esattamente a quanto espresso dai punti obbligatori Previsti dalla Deliberazione della Giunta Regionale 31 luglio
2015, n. 24-1951, che disciplina i corsi di formazione professionale
per l’esercizio di un’attività di commercio al dettaglio relativa al
settore merceologico alimentare e di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande?».
Altro quesito che emerge dallo studio svolto è se, dal punto di
vista formativo, gli operatori che vengono abilitati, in virtù del
punto due del già cit. d.lgs. 59/2010, abbiano le conoscenze necessarie per tutelare il consumatore.
Necessiterebbe quindi rivedere il metodo di rilascio del requisito e la conformità dei corsi SAB forniti da enti di formazioni privati, rispetto a quanto richiesto dalla Deliberazione della Giunta Regionale 31 luglio 2015, n. 24-1958.
8
Cfr. la Deliberazione della Giunta Regionale 31 luglio 2015, n. 24-1951, Disciplina del corso di formazione professionale per l’esercizio di un’attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare e di un’attività di
somministrazione di alimenti e bevande. Revoca D.G.R. n. 13-2089 del
68
ALIMENTA
Una formazione efficace deve essere in grado di far percepire
all’O.S.A. che la corretta applicazione del manuale di autocontrollo non significa l’applicazione di una sola procedura, ma un impegno costante e commisurato in tutte le procedure, in modo da arrivare ad un livello soddisfacente di aderenza a tutto il manuale.
Si impone quindi la necessità di instaurare un processo formativo rinnovato, che partendo dalle sue conoscenze pregresse, sensibilizzi il personale sulle normative in modo da condurlo ad acquisire consapevolezza sui rischi aziendali e sulle modalità con cui
rimodulare le misure di prevenzione. L’obbiettivo di questo nuovo
processo formativo non deve essere quello di dare all’O.S.A. nozioni a cui non è interessato ma piuttosto poche ed essenziali nozioni di base, fondamentali per una corretta gestione dei rischi e
tutela della salute dei consumatori.
Maria Ausilia Grassi
24/05/2011, in BURP, n. 31 del 06 agosto 2015.
AUTOCONTROLLO E HACCP
69
Allegati:
Grafico 1. Risultati ottenuti dalla valutazione delle check-list relativi alla procedura per il controllo ed il monitoraggio delle temperature.
Grafico 2. Risultati ottenuti dalla valutazione delle check-list relativi alla procedura inerente la Tracciabilità e la rintracciabilità.
70
ALIMENTA
Grafico 3. Risultati ottenuti dalla valutazione delle check-list relativi alla procedura inerente la gestione dei M.O.C.A.
Grafico 4. Risultati ottenuti dalla valutazione delle check-list relativi alla procedura inerente la manutenzione degli Impianti.
AUTOCONTROLLO E HACCP
71
ABSTRACT
A seguito della semplificazione dell’impianto normativo in materia alimentare, gli Operatori del Settore Alimentare (OSA), beneficiano di una certa flessibilità nell’applicazione del sistema, permettendogli quindi di garantire la sicurezza delle loro produzioni.
Attraverso la compilazione di questionari da parte dell’OSA e
di check-list in fase di sopralluogo, si è voluto indagare il livello di
adesione alle procedure semplificate, di alcune microimprese operanti nel settore della ristorazione collettiva.
L’indagine ha evidenziato, per la quasi totalità delle realtà analizzate, una situazione non soddisfacente, imputabile soprattutto a
gravi carenze formative degli OSA interessati.
EN:
By simplifyng the food regulatory system, the Food Business Operators (FBO) benefit from a certain flexibility in the application of the
system, thus allowing them to guarantee the safety of their productions.
Through the completion of questionnaires by the FBO and
check-lists during the inspection phase, we wanted to investigate
the level of adherence to the simplified procedures of some microenterprises operating in the collective catering sector.
The survey highlighted, for most of the realities analyzed, an
unsatisfactory situation, attributable above all to serious training
deficiencies of the FBOs concerned.
PAROLE CHIAVE
HACCP – igiene degli alimenti – autocontrollo – semplificazione - imprese artigiane.
HACCP – Food hygene – self-control – semplification – food
production – craft industries.
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI:
LA TRACCIABILITÀ ANALITICA DEL TARTUFO BIANCO
Sommario: 1. Introduzione – 2. I microelementi nelle piante e negli alimenti di
origine vegetale – 3. Autenticazione, tracciabilità e il Tuber magnatum Pico –
4. Valutazioni conclusive.
1. Introduzione.
Il Tuber magnatum Pico o tartufo bianco è uno degli alimenti
più noti e pregiati al mondo, oltre che tra i più costosi1.
Nonostante questa specie sia diffusa in varie regioni italiane, oltre che nei Balcani, in Francia sudorientale, in Svizzera e in Ungheria, è universalmente noto che il tartufo bianco d'Alba, raccolto nel
Monferrato, nelle Langhe e nel basso Piemonte, è considerato in
assoluto il migliore: la quotazione per il 2020, benché annata non
tra le migliori, variava comunque tra 275 e 300 euro/hg2.
Questi prezzi, e il valore aggiunto che il marchio riversa sul territorio, sono attrattive formidabili per chi vuole frodare i clienti e
infatti il tartufo bianco d'Alba è anche da annoverare tra gli alimenti più contraffatti al mondo, per quanto non ci siano prove
concrete di ciò perché, molto semplicemente, non sono previsti
test diagnostici per la verifica della sua provenienza geografica.
Eppure, non sarebbe difficile: il tartufo, come e più degli altri
prodotti ortofrutticoli, ha tutte le caratteristiche per essere sottoposto con successo a verifiche analitiche dell’origine, come verrà
dettagliato meglio in seguito.
Attualmente non ci sono strumenti tecnici previsti da normative cogenti per combattere la contraffazione in questo campo.
1
https://quifinanza.it/varie/foto/i-10-cibi-piu-costosi-al-mondo-due-di-questi-sonoitaliani/3124/attachment/il-tartufo-bianco-di-alba/
2
https://www.tuber.it/borsino-del-tartufo
74
ALIMENTA
D’altronde potrebbe sembrare anomalo ricorrere ad analisi con
sofisticati strumenti in un mondo in cui la maggior parte delle transazioni economiche si regolano con una stretta di mano.
Nondimeno, la ricerca scientifica negli ultimi anni ha messo a
disposizione potenti mezzi diagnostici da usare per combattere la
contraffazione: il naso elettronico che riconosce la distribuzione
degli aromi3, l’analisi del DNA che permette di identificare le eventuali aggiunte di materiale di altre specie mediante l’identificazione
dei genomi presenti4, alcune tecniche spettroscopiche quali la spettrofotometria nel vicino infrarosso5, l’analisi degli isotopi stabili
che sfrutta la marcatura isotopica di carbonio, idrogeno e ossigeno6, la determinazione di specifiche classi di composti chimici quali
gli aromi7 e gli steroli8.
3
G. PENNAZZA - C. FANALI - M. SANTONICO - L. DUGO - L. CUCCHIARINI - M.
DACHA - A. D'AMICO - R. COSTA - P. DUGO - L. MONDELLO, Electronic nose and
GC-MS analysis of volatile compounds in Tuber magnatum Pico: Evaluation of
different storage conditions, in Food Chem., 2013, 136, 668-674, DOI:
10.1016/j.foodchem.2012.08.086.
4
R. RIZZELLO - E. ZAMPIERI - A. VIZZINI - A. AUTINO - M. CRESTI - P. BONFANTE
- A. MELLO, Authentication of prized white and black truffles in processed
products using quantitative real-time PCR, in Food Res. Int., 2012, 48, pp. 792797, DOI: 10.1016/j.foodres.2012.06.019; S. SCHELM - M. SIEMT - J. PFEIFFER C. LANG - H. V. TICHY - M. FISCHER, Food Authentication: Identification and
Quantitation of Different Tuber Species via Capillary Gel Electrophoresis and
Real-Time PCR, in Foods, 2020, 9, 501, DOI: 10.3390/foods9040501.
5
T. SEGELKE - S. SCHELM - C. AHLERS - M. FISCHER, Food Authentication: Truffle (Tuber spp.) Species Differentiation by FT-NIR and Chemometrics, in Foods,
2020, 9, 922, DOI: 10.3390/foods9070922.
6
S. KRAUSS - W. VETTER, Geographical and Species Differentiation of Truffles
(Tuber spp.) by Means of Stable Isotope Ratio Analysis of Light Elements (H, C,
and N), in J. Agric. Food Chem., 2020, 68, 14386-14392, DOI:
10.1021/acs.jafc.0c01051.
7
D. SCIARRONE - A. SCHEPIS - M. ZOCCALI - P. DONATO - F. VITA - D. CRETI - A.
ALPI - L. MONDELLO, Multidimensional Gas Chromatography Coupled to Combustion-Isotope Ratio Mass Spectrometry/Quadrupole MS with a Low-Bleed
Ionic Liquid Secondary Column for the Authentication of Truffles and Products
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
75
Prospettive promettenti emergono anche dall’analisi elementare
e in particolare dall’uso dei microelementi come descrittori chimici
per cercare il legame tra il tartufo e il territorio di provenienza.
Tale approccio è stato proposto in alcuni recenti studi scientifici9.
Perché i microelementi dovrebbero aiutare a riconoscere la
provenienza geografica del tartufo?
Per capirne di più è necessario considerare l’interazione tra il
terreno e gli organismi che svolgono il loro metabolismo su di esso
e più in generale tra il terreno e gli alimenti che ivi si originano,
come sarà descritto nel paragrafo seguente.
2. I microelementi nelle piante e negli alimenti di origine vegetale
Ogni alimento di origine vegetale deve la sua produzione
Containing Truffle, in Anal. Chem., 2018, 90, 6610-6617, DOI:
10.1021/acs.analchem.8b00386.
8
K. SOMMER - S. KRAUSS - W. VETTER, Differentiation of European and Chinese
Truffle (Tuber sp.) Species by Means of Sterol Fingerprints, in J. Agric. Food
Chem., 2020, 68, 14393-14401, DOI: 10.1021/acs.jafc.0c06011.
9
J. POPOVIC-DJORDJEVIC - Z. S. MARJANOVIC - N. GRSIC - T. ADZIC - B. POPOVIC
- J. BOGOSAVLJEVIC - I. BRCESKI, Essential Elements as a Distinguishing Factor
between Mycorrhizal Potentials of Two Cohabiting Truffle Species in Riparian
Forest Habitat in Serbia, in Chem. Biodivers., 2019, 16, e1800693, DOI:
10.1002/cbdv.201800693; M. ROSSBACH - C. STIEGHORST - H. POLKOWSKAMOTRENKO - E. CHAJDUK - Z. SAMCZYNSKI - M. PYSZYNSKA - I. ZUBA - D.
HONSTRASS - S. SCHMIDT, Elemental analysis of summer truffles Tuber aestivum
from Germany, in J. Radioanal. Nucl. Chem., 2019, 320, 475-483, DOI:
10.1007/s10967-019-06485-x; T. SEGELKE - K. VON WUTHENAU - G. NEITZKE M. S. MULLER - M. FISCHER, Food Authentication: Species and Origin Determination of Truffles (Tuber spp.) by Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometry and Chemometrics, in J. Agric. Food Chem., 2020, 68, 14374-14385, DOI:
10.1021/acs.jafc.0c02334; L. BONTEMPO - F. CAMIN - M. PERINI - L. ZILLER - R.
LARCHER, Isotopic and elemental characterisation of Italian white truffle: A first
exploratory study, in Food Chem. Toxicol., 2021, 145, 111627, DOI:
10.1016/j.fct.2020.111627.
76
ALIMENTA
all’interazione che le piante di origine hanno con il terreno di crescita.
Le piante, infatti, traggono le sostanze minerali indispensabili
per il loro metabolismo dalla terra su cui crescono, trasportate
dall’acqua.
Esse hanno bisogno di un ampio corredo di elementi chimici,
quali ferro, manganese, rame, ecc. che svolgono varie funzioni importanti quando presenti in concentrazioni opportune.
Al tempo stesso, molte di esse sono in grado di evitare che elementi chimici quali i metalli pesanti piombo, mercurio e cadmio,
possano creare danni al loro metabolismo, per quanto esistano
specie vegetali capaci di accumulare questi metalli, utilizzate per i
processi di bonifica mediati dalle piante (fitorisanamento).
Il primo gruppo è quello degli elementi essenziali o nutrienti:
essi sono assorbiti attivamente dalle piante.
Il secondo gruppo è quello degli elementi indesiderati o tossiconocivi: essi, al contrario dei primi, sono esclusi o fortemente limitati dall’assorbimento.
Tra questi due estremi ci sono altri elementi chimici, il cui ruolo nella fisiologia delle piante è poco chiaro o ignoto, i quali sono
assorbiti in maniera passiva, ovvero in maniera proporzionale alla
disponibilità presente nel terreno.
Oltre al ruolo nel metabolismo delle piante, gli elementi chimici si possono distinguere in base all’abbondanza.
Si definiscono elementi maggiori quelli presenti sopra 1% in
peso, minori quelli presenti tra 0.1 e 1%, tracce ed ultra-tracce quelli presenti al di sotto di 0.1%.
Gli elementi in tracce ed ultra-tracce, detti anche microelementi, sono di particolare interesse in ambito geochimico in quanto
possono fungere da marcatori del territorio, fornendo informazioni
sull'origine delle rocce e di ciò che da esse può derivare.
Questo per alcuni motivi:
- le variazioni delle concentrazioni dei microelementi molto
più ampie di quelle degli elementi maggiori o minori;
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
77
- in ogni sistema naturale ci sono molti più microelementi
che elementi maggiori o minori, il che significa un maggior numero
di variabili a disposizione;
- i microelementi sono collettivamente sensibili a processi a
cui non sono sensibili gli elementi maggiori o minori.
Grazie a queste caratteristiche, oltre che in ambito geochimico i
microelementi sono sfruttati anche in ambito agroalimentare10.
Gli studi scientifici che li impiegano sono di due tipi.
Da un lato si cercano descrittori chimici per differenziare produzioni alimentari dello stesso tipo ma di differente provenienza
geografica, o di differente specie biologica, o ancora ottenuti con
differenti procedimenti tecnologici: questi sono chiamati studi di
autenticazione11.
Dall’altro, i microelementi sono impiegati per trovare il legame
tra un territorio e i prodotti agricoli che da esso derivano, passando attraverso le loro filiere: questi sono chiamati studi di tracciabilità12.
10
M. ACETO, Food forensics, in Y. PICÓ (a cura di), Advanced mass spectrometry
for food safety and quality, vol 68, Comprehensive Analytical Chemistry, Amsterdam, Elsevier, 2015, pp. 441-514; M. ACETO, The use of ICP-MS in food traceability, in M. ESPIÑEIRA - F.J. SANTACLARA (a cura di), Advances in food traceability
techniques and technologies: improving quality throughout the food chain, Woodhead Publishing Series in Food Science, Technology and Nutrition, Sawston (UK),
Woodhead Publishing, 2016, pp. 137-164.
11
È opportuno precisare che gli studi di autenticazione in ambito agroalimentare
vanno ben al di là dell’utilizzo dei microelementi, potendo sfruttare un amplissimo set di descrittori chimici e biologici; si veda al proposito, solo per citare testi
recenti di riferimento, C. A. GEORGIOU - G. P. DANEZIS (a cura di), Food Authentication: Management, Analysis and Regulation, New York, John Wiley &
Sons Ltd., 2017; C. GALANAKIS (a cura di), Food Authentication and Traceability,
Cambridge, Massachusetts, Academic Press, 2020.
12
Si noti che il concetto di tracciabilità non è qui inteso in senso merceologico,
ovvero come monitoraggio dei flussi materiali, bensì in senso strettamente analitico, ovvero nella determinazione di parametri chimici utili a seguire la filiera di
un alimento dal terreno alla tavola.
78
ALIMENTA
Sia l’autenticazione che la tracciabilità sono strumenti utili per
verificare la corrispondenza tra quanto dichiarato in etichetta e
quanto effettivamente presente in un prodotto agroalimentare.
A questo scopo sono particolarmente utili i lantanidi, un gruppo di 14 elementi chimici che vanno dal lantanio (simbolo chimico
La, numero atomico 57) al lutezio (simbolo chimico Lu, numero
atomico 71)13.
I lantanidi più gli elementi scandio e ittrio, a loro molto affini
dal punto di vista chimico, costituiscono il gruppo delle terre rare.
La caratteristica principale dei lantanidi è la forte omogeneità
nel comportamento chimico, che fa sì che la loro distribuzione14
nei sistemi naturali si mantenga quasi sempre inalterata.
Tale caratteristica è spesso sfruttata dai geochimici, che usano i
lantanidi come markers dell’origine delle rocce.
Per lo stesso motivo essa è di interesse anche per chi si occupa
di autenticazione e tracciabilità degli alimenti: numerosi studi testimoniano infatti come la distribuzione dei lantanidi in un terreno
costituisca una vera e propria impronta digitale, un fingerprint che
si riflette nelle piante che su quel terreno crescono15, e, potenzialmente, negli alimenti che si originano da quelle piante16.
13
Il gruppo dei lantanidi in realtà comprende un quindicesimo elemento, il promezio (simbolo chimico Pm, numero atomico 61), lantanide di originale artificiale e pertanto solitamente non preso in considerazione.
14
Per distribuzione si intende l’insieme delle concentrazioni di un gruppo di elementi chimici e i loro rapporti relativi.
15
P. H. BROWN - A. H. RATHJEN - R. D. GRAHAM - D. E. TRIBE, Rare earth elements in biological systems, in K. A. GSCHNEIDER - L. EYRING (a cura di), Handbook on the physics and chemistry of rare earths, vol. 13, Amsterdam, Elsevier,
1990, pp. 423-450; G. TYLER, Rare earth elements in soil and plant systems - A
review, in Plant Soil, 2004, 267, 191-206, DOI: 10.1007/s11104-005-4888-2; T.
LIANG - S. DING - W. SONG - Z. CHONG - C. ZHANG - H. LI, A review of fractionations of rare earth elements in plants, in J. Rare Earths, 2008, 26, pp. 7−15,
DOI: 10.1016/S1002-0721(08)60027-7.
16
M. BETTINELLI - S. SPEZIA - C. BAFFI - G. M. BEONE - R. ROCCHETTA - A. NASSISI, ICP−MS determination of REEs in tomato plants and related products: a
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
79
L’esempio riportato nelle figure in allegato chiarirà meglio il
concetto. Nella Figura 1 sono mostrate le distribuzioni dei lantanidi in un terreno e in una pianta ivi derivante.
L’andamento delle distribuzioni segue la legge di OddoHarkins17, come è prassi per tutti i sistemi naturali.
Queste distribuzioni sono tuttavia poco confrontabili perché le
concentrazioni assolute degli elementi sono fino a tre ordini di
grandezza più alte nel terreno che nella pianta.
Si effettua perciò la normalizzazione al cerio, ovvero si divide
ogni concentrazione di ogni elemento per la concentrazione del
lantanide cerio (simbolo chimico Ce, numero atomico 58) secondo
la formula seguente:
[elemento nel terreno]Ce-norm = [elemento nel terreno]/[Ce nel
terreno]
[elemento nella pianta]Ce-norm = [elemento nella pianta]/[Ce nella pianta]
In questo modo le due distribuzioni diventano confrontabili
(Figura 2).
Tuttavia, la parte destra del grafico, che riporta i lantanidi più
new analytical tool to verify traceability, in Atom. Spectrosc., 2005, 26, 41−50,
DOI: 10.46770/AS.2005.02.001.
17
Cfr. G. ODDO, Die Molekularstruktur der radioaktiven Atome, in Z. Anorg.
Allg. Chem., 1914, 87, 253-268; W. D. HARKINS, The evolution of the elements
and the stability of complex atoms. I. A new periodic system which shows a relation between the abundance of the elements and the structure of the nuclei of
atoms, in J. Am. Chem. Soc., 1917, 39, 856-879. Secondo la legge di ODDOHARKINS, gli elementi chimici a numero atomico pari sono più abbondanti di
quelli a numero atomico dispari immediatamente precedente e immediatamente
successivo; ciò genera un tipico andamento a dente di sega. Nella Figura 1 in allegato, per meglio apprezzare il mantenimento di tale andamento, si è scelto di inserire sull’asse orizzontale, tra il neodimio (simbolo chimico Nd, numero atomico
60) e il samario (simbolo chimico Sm, numero atomico 62), anche il già citato
promezio (simbolo chimico Pm, numero atomico 61).
80
ALIMENTA
pesanti, risulta schiacciata a causa delle concentrazioni più elevate18 dei lantanidi più leggeri. Perciò, per migliorare ancora il confronto, si sceglie di mostrare le concentrazioni su una scala logaritmica anziché lineare, e in questo modo il confronto è più agevole
su tutta la distribuzione (Figura 3).
Una volta posti i dati nelle migliori condizioni per un confronto
fruttuoso, si può notare come le due distribuzioni siano sovrapponibili, ovvero come il fingerprint del terreno si sia trasmesso alla pianta.
Con questo presupposto grafico, si può verificare se il fingerprint del terreno si ritrova anche negli alimenti di origine vegetale.
Se così fosse, esso costituirebbe un legame tra l’alimento e il
territorio di provenienza, e sarebbe pertanto un mezzo utile per
certificarne la provenienza geografica.
In tale direzione vanno recenti studi sulla nocciola19, sull’olio di
oliva extravergine20 e sui funghi21, nei quali si è riscontrata la permanenza del fingerprint del terreno negli alimenti.
In altri casi si è verificata la permanenza fino ad un certo punto
della filiera: nel caso del vino si è notato come il legame terrenoalimento si mantenga inalterato fino al mosto per poi perdersi a seguito dei processi coinvolti nella filiera22, che provocano fraziona18
Si noti che dopo la normalizzazione al cerio le concentrazioni degli elementi
sono relative e non assolute.
19
M. ODDONE - M. ACETO - M. BALDIZZONE - D. MUSSO - D. OSELLA, Authentication and traceability study of hazelnuts from Piedmont, Italy, in J. Agric. Food
Chem., 2009, 57, 3404–3408, DOI: 10.1021/jf900312p.
20
M. ACETO - E. CALÀ - D. MUSSO - N. REGALLI - M. ODDONE, A preliminary
study on the authentication and traceability of extra virgin olive oil made from
Taggiasca olives, in Food Chem., 2019, 298, 125047, DOI:
10.1016/j.foodchem.2019.125047.
21
M. SCAIOLA, Studio di tracciabilità di funghi provenienti dal Piemonte e dalla
Liguria mediante tecniche ICP, tesi di laurea magistrale in Scienze Chimiche, Università degli Studi del Piemonte Orientale, Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica, anno accademico 2016-2017.
22
M. ACETO - E. ROBOTTI - M. ODDONE - M. BALDIZZONE - G. BONIFACINO - G.
BEZZO - R. DI STEFANO - F. GOSETTI - E. MAZZUCCO - M. MANFREDI - E. MA-
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
81
mento, ovvero una differenziazione nel comportamento all’interno
del gruppo dei lantanidi che causa la perdita dell’impronta digitale
e quindi l’impossibilità di tracciare la provenienza geografica.
Analogo fenomeno si è riscontrato nella filiera del latte23, dove
l’impronta digitale del terreno si ritrova nelle erbe destinate a produrre foraggio ma non nel latte crudo, in quanto il passaggio del
foraggio negli stomaci delle mucche causa frazionamento; successivamente, la nuova distribuzione dei lantanidi nel latte crudo si
mantiene inalterata nei prodotti da esso derivati, come latte imbottigliato e panna. Attualmente sono in corso studi su altri alimenti
di origine vegetale, quali la mandorla di Avola, la fragolina profumata di Tortona, la pesca di Volpedo e il miele.
Gli studi di autenticazione e tracciabilità sono particolarmente
utili per gli alimenti di pregio sottoposti a frode. Le possibilità di
sviluppare protocolli di analisi efficienti sono molto buone nel caso
di alimenti a filiera corta o cortissima, quali i prodotti ortofrutticoli. Per gli alimenti a filiera complessa (es. insaccati, prodotti caseari, conserve) la tracciabilità diventa difficile o impossibile. In tali
casi, tuttavia, è quasi sempre possibile trovare descrittori chimici
utili per l’autenticazione, cioè per la differenziazione su base geografica, specifica24 o tecnologica.
RENGO, A traceability study on the Moscato wine chain, in Food Chem., 2013,
138, 1914-1922, DOI: 10.1016/j.foodchem.2012.11.019; M. ACETO - F. BONELLO
- D. MUSSO - C. TSOLAKIS - C. CASSINO - D. OSELLA, Wine traceability with Rare
Earth Elements, in Beverages, 2018, 4, 23, DOI: 10.3390/beverages4010023; M.
ACETO - F. GULINO - E. CALÀ - E. ROBOTTI - M. PETROZZIELLO - C. TSOLAKIS C. CASSINO, Authentication and traceability study on Barbera d'Asti and Nizza
DOCG wines: the role of trace- and ultratrace elements, in Beverages, 2020, 6,
63; DOI: 10.3390/beverages6040063.
23
M. ACETO - D. MUSSO - E. CALÀ - F. ARIERI - M. ODDONE, Role of lanthanides
in the traceability of the milk production chain, in J. Agric. Food Chem., 2017, 65,
4200-4208, DOI: 10.1021/acs.jafc.7b00916.
24
Si noti che il termine “specifica”, qui come nel seguito, si riferisce alla differenza tra specie biologiche differenti.
82
ALIMENTA
3. Autenticazione, tracciabilità e il T. magnatum
Il tartufo è un alimento naturale per eccellenza.
Per quanto esso non sia un vegetale ma appartenga al regno dei
funghi25, è ragionevole pensare, sulla base di recenti studi scientifici26, che le considerazioni fatte in precedenza sull’interazione tra
terreno e specie vegetali per quanto riguarda i microelementi siano
estensibili anche all’interazione tra terreno e funghi e tra terreno e
tartufi.
Si tratta senza dubbio di uno degli alimenti più idonei agli studi
di autenticazione e tracciabilità, e questo per vari motivi:
- come detto in precedenza, è uno degli alimenti più costosi
al mondo, quindi tra i più soggetti a contraffazione, sia specifica
(Tuber borchii Vittadini venduto al posto di T. magnatum) sia geografica (T. magnatum di provenienza forestiera venduto come tartufo bianco d’Alba);
- la sua filiera è cortissima: nel suo passaggio dal terreno alla
tavola non ci sono manipolazioni che possano alterarne le caratteristiche chimico-fisiche e pertanto la composizione del prodotto in
termini di microelementi rispecchia esclusivamente le caratteristiche del terreno e della specie;
- si tratta di un alimento con una composizione abbastanza
complessa in termini di abbondanza di composti chimici, ma que25
R. H. WHITTAKER, New Concepts of Kingdoms of Organisms, in Science, 1969,
163, 150-160, DOI: 10.1126/science.163.3863.150.
26
Il già citato lavoro di tesi del Dott. M. SCAIOLA, Studio di tracciabilità di funghi
provenienti dal Piemonte e dalla Liguria mediante tecniche ICP, 2017; A. L. ZOCHER - D. KRAEMER - G. MERSCHEL - M. BAU, Distribution of major and trace
elements in the bolete mushroom Suillus luteus and the bioavailability of rare
earth
elements, in
Chem. Geol., 2018, 483, 491-500, DOI:
10.1016/j.chemgeo.2018.03.019; G. KOUTROTSIOS - G. P. DANEZIS - C. A.
GEORGIOU - G. I. ZERVAKIS, Rare earth elements concentration in mushroom
cultivation substrates affects the production process and fruit-bodies content of
Pleurotus ostreatus and Cyclocybe cylindracea, in J. Sci. Food Agric., 2018, 98,
5418-5427, DOI: 10.1002/jsfa.9085.
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
83
sto è un vantaggio per la ricchezza di variabili da sfruttare a scopo
di autenticazione;
- nei tartufi il contenuto medio di microelementi - e di lantanidi in particolare - è alto in quanto questi organismi, come i funghi,
agiscono da bio-accumulatori di ioni metallici dal terreno, ovvero
tendono ad arricchirsene, e quindi è possibile determinare un numero elevato di microelementi, a vantaggio, nuovamente, della ricchezza di descrittori chimici utili per autenticazione e tracciabilità.
Recentemente, questi presupposti sono stati sviluppati
all’interno di una tesi di laurea magistrale in Scienze Chimiche
presso il Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica
dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale27.
In tale ricerca sperimentale, si è impiegata l’analisi elementare
mediante tecniche ICP-OES28 e ICP-MS29 per determinare elementi maggiori, minori e microelementi in una serie di campioni di T.
magnatum forniti da cavatori della provincia di Alessandria30, insieme a campioni di terreno prelevati nel sito di cavatura.
L’analisi di questi campioni aveva lo scopo di verificare la tracciabilità del sistema terreno/tartufo, ovvero verificare se il fingerprint del terreno, descritto dai suoi microelementi, si ritrova inalterato nel tartufo ivi cavato. Inoltre, sono stati analizzati campioni di
T. borchii dalla provincia di Alessandria, di Tuber melanosporum
27
F. FRACCHETTA, Studio preliminare di tracciabilità del tuber magnatum mediante analisi ICP e trattamento multivariato dei dati, tesi di laurea magistrale in
Scienze Chimiche, Università degli Studi del Piemonte Orientale, Dipartimento
di Scienze e Innovazione Tecnologica, anno accademico 2019-2020.
28
ICP-OES: Inductively Coupled Plasma – Optical Emission Spectroscopy. Si tratta
di una tecnica di analisi strumentale in grado di determinare elementi in concentrazioni fino a µg/L.
29
ICP-MS: Inductively Coupled Plasma – Mass Spectrometry. Si tratta di una tecnica di analisi strumentale in grado di determinare elementi in concentrazioni
fino a ng/L.
30
Si ringrazia l'Associazione Tartufai del Monferrato e i cavatori della zona di
Alice Bel Colle, con particolare riferimento al Sig. Francesco Novelli, per aver
fornito i campioni di T. magnatum e i corrispondenti terreni.
84
ALIMENTA
dalla provincia di Biella, di T. melanosporum dalla Svizzera e infine
di T. magnatum reperiti su Internet e venduti come tartufi bianchi
piemontesi; l’analisi di questo secondo gruppo di campioni aveva
lo scopo di verificare la possibilità di autenticare i campioni di T.
magnatum di provenienza certa, identificando descrittori chimici in
grado di differenziare i due gruppi.
L’analisi elementare dei campioni di tartufo è di tipo invasivo
(richiede un’aliquota di campione) e distruttivo (il campione è
completamente consumato). Nel caso presente, è stato necessario
circa 1 g di campione, prima sottoposto ad essiccazione in stufa a
70°C, poi a digestione acida con HNO3 concentrato. La soluzione
ottenuta è stata analizzata con ICP-OES per la determinazione degli elementi maggiori e minori, ICP-MS per i microelementi.
L’analisi elementare dei campioni di terreno ha richiesto il trattamento di 0.5 g di campione con acqua regia (miscela HNO3/HCl
1:3) e H2O2 in contenitore chiuso. La soluzione ottenuta è stata
analizzata in maniera analoga alla precedente.
In base ai dati dell’analisi ICP, è possibile fare considerazioni
interessanti sulla possibilità di (1) tracciare e (2) autenticare il T.
magnatum di provenienza piemontese. Nella Figura 4 sono mostrate le distribuzioni dei lantanidi in un terreno e in un campione di
tartufo bianco ivi cavato.
Come si può notare, la corrispondenza tra le due distribuzioni
è notevole, e indica che il fingerprint di quel terreno si rispecchia
senza dubbio nel tartufo ivi cresciuto. Tale comportamento è stato
riscontrato in tutte le coppie terreno/tartufo analizzate. Con questi
presupposti, si può ipotizzare che tartufi provenienti da terreni con
impronte digitali differenti presentino a loro volta distribuzioni differenti di lantanidi. Quindi dovrebbe essere possibile sia la tracciabilità che l’autenticazione su base geografica.
Per apprezzare la particolare ed esclusiva efficacia dei lantanidi
nella tracciabilità, si noti nella Figura 5 in allegato la differenza tra
la distribuzione dei lantanidi (evidenziata nel riquadro) e degli altri
microelementi nella coppia terreno/tartufo.
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
85
Nella figura, i dati dopo normalizzazione al cerio evidenziano le
anomalie dei microelementi che hanno comportamenti differenti
dai lantanidi.
Gli elementi nutrienti come Mg, K, Ca, Mn, Fe, Zn e Cu si ritrovano nel tartufo in quantità maggiore che nel terreno, rispetto ai
lantanidi, perché vengono assorbiti attivamente dal vegetale (mentre i lantanidi sono assorbiti passivamente). Perciò gli elementi nutrienti sono utili al vegetale ma non per determinarne la tracciabilità, in quanto la loro distribuzione nel vegetale non riflette quella
del terreno, al contrario dei lantanidi. Si può notare invece come
l’ittrio (simbolo chimico Y, numero atomico 39) segua perfettamente l’andamento dei lantanidi, essendo a loro chimicamente
molto affine: si tratta infatti, insieme allo scandio e a tutto il gruppo dei lantanidi, di una terra rara.
Dopo la verifica del legame terreno/tartufo, e quindi della possibilità di tracciare la sua origine geografica, si passa a verificare la
possibilità
di
sfruttare
questa
caratteristica
ai
fini
dell’autenticazione del tartufo. Le vie da perseguire sono due:
- autenticazione su base specifica, ovvero distinguere il T.
magnatum da specie meno pregiate o comunque differenti;
- autenticazione su base geografica, ovvero distinguere il T.
magnatum del Piemonte da quello proveniente da altre aree geografiche.
Alcuni recenti studi di autenticazione del tartufo, pubblicati su
riviste scientifiche31, hanno già impiegato i microelementi allo sco31
J. POPOVIC-DJORDJEVIC - Z. S. MARJANOVIC - N. GRSIC - T. ADZIC - B. POPO- J. BOGOSAVLJEVIC - I. BRCESKI, Essential Elements as a Distinguishing Factor between Mycorrhizal Potentials of Two Cohabiting Truffle Species in Riparian Forest Habitat in Serbia, in Chem. Biodivers., 2019, 16, e1800693, DOI:
10.1002/cbdv.201800693; M. ROSSBACH - C. STIEGHORST - H. POLKOWSKAMOTRENKO - E. CHAJDUK - Z. SAMCZYNSKI - M. PYSZYNSKA - I. ZUBA - D.
HONSTRASS - S. SCHMIDT, Elemental analysis of summer truffles Tuber aestivum
from Germany, in J. Radioanal. Nucl. Chem., 2019, 320, 475-483, DOI:
10.1007/s10967-019-06485-x; T. SEGELKE - K. VON WUTHENAU - G. NEITZKE M. S. MULLER - M. FISCHER, Food Authentication: Species and Origin DetermiVIC
86
ALIMENTA
po. Nel caso presente si cita lo studio riportato nella tesi di laurea
magistrale in Scienze Chimiche del Dott. Fracchetta, che ha mostrato risultati promettenti utilizzando le concentrazioni dei lantanidi normalizzate al cerio.
I dati dell’analisi ICP dei campioni citati in precedenza sono
stati sottoposti all’analisi delle componenti principali (PCA)32, un
metodo matematico di analisi multivariata che permette di ottenere
una riduzione di dimensionalità, ovvero di visualizzare in maniera
semplice l’informazione contenuta in un dataset complesso; si consideri che nel caso presente il dataset è composto da 49 campioni x
14 variabili (le concentrazioni dei lantanidi normalizzate al cerio)
per un totale di 686 dati.
La Figura 6 riporta il grafico PC1 vs. PC2 in cui i campioni di
T. melanosporum provenienti dalla Svizzera (rappresentati con pallini bianchi) sono distinguibili dal gruppo di tartufi piemontesi
(rappresentati con pallini neri) costituito dai campioni di T. magnatum della provincia di Alessandria, T. borchii della provincia di
Alessandria, T. melanosporum della provincia di Biella e T. magna-
nation of Truffles (Tuber spp.) by Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometry and Chemometrics, in J. Agric. Food Chem., 2020, 68, 14374-14385, DOI:
10.1021/acs.jafc.0c02334; L. BONTEMPO - F. CAMIN - M. PERINI - L. ZILLER - R.
LARCHER, Isotopic and elemental characterisation of Italian white truffle: A first
exploratory study, in Food Chem. Toxicol., 2021, 145, 111627, DOI:
10.1016/j.fct.2020.111627.
32
L’analisi delle componenti principali o PCA, così come altri metodi di analisi
matematica multivariata, consente di visualizzare in maniera semplice l'informazione contenuta in un ampio dataset, che normalmente risulta di difficile lettura
qualora i dati stessi siano in formato tabellare. Nella PCA, le variabili originarie
(in questo caso le concentrazioni dei lantanidi nei campioni di tartufi) sono trasformate in nuove variabili o PC (Principal Components), che risultano essere
combinazioni lineari delle variabili originarie; così facendo l'informazione presente nel dataset, normalmente dispersa tra tutte le variabili, viene compressa nelle prime PC calcolate, e un semplice grafico bivariato PC1 vs. PC2 permette solitamente di visualizzare in modo semplice una grande quantità della variabilità
(ovvero dell'informazione) presente nel dataset.
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
87
tum reperiti su Internet e venduti come tartufi bianchi piemontesi.
Oltre alla buona separazione tra tartufi svizzeri e piemontesi, si nota come due campioni di T. magnatum reperiti su Internet, evidenziati dal cerchio, siano notevolmente differenti dal gruppo dei tartufi piemontesi e perciò. con ogni probabilità, contraffatti.
Il grafico PC1 vs. PC2 contiene una percentuale pari a 88.84%
della varianza totale, quindi dell’informazione, contenuta nel dataset. Perciò è un’immagine più che buona di come i campioni analizzati si raggruppano secondo i descrittori chimici scelti (i lantanidi). In sostanza, il risultato mostrato in figura suggerisce che, in base a questi descrittori, le caratteristiche del territorio sono più importanti di quelle della specie.
Oltre ai lantanidi, anche gli altri microelementi possono essere
utili per l’autenticazione. Se infatti la distribuzione dei lantanidi
permette di verificare in maniera specifica e selettiva la tracciabilità
del tartufo (e più in generale degli alimenti di origine vegetale), allargando il range dei descrittori si possono avere schemi di autenticazione più efficaci, su base sia specifica, sia geografica. Selezionando i microelementi litio, manganese, rame, arsenico, bario,
nonché le terre rare ittrio, cerio ed europio, e applicando l’analisi
multivariata con il metodo PCA, si ottiene un nuovo schema di
classificazione il cui risultato è mostrato nella Figura 7. Si può notare come, in base ai descrittori scelti, il gruppo dei soli campioni
di T. magnatum della provincia di Alessandria (pallini neri) sia distinguibile dal resto dei campioni considerati in questo studio (pallini bianchi), differenti dai primi sia per origine geografica (Svizzera, provincia di Biella), sia per origine specifica (T. melanosporum,
T. borchii).
Si noti anche che in questo secondo caso sono stati eliminati
due tra i campioni di T. magnatum reperiti su Internet e venduti
come tartufi bianchi piemontesi, in quanto già considerati come
contraffatti in base al primo trattamento PCA.
Lo studio sviluppato nella tesi di laurea magistrale del Dott.
Fracchetta è naturalmente un primo approccio al problema e an-
88
ALIMENTA
drà implementato con analisi su un numero molto maggiore di
campioni.
4. Valutazioni conclusive
Da quanto detto sopra, sembrerebbe all’ordine del giorno lo
sviluppo di protocolli analitici per determinare la genuinità del T.
magnatum del Piemonte, basati su metodi di autenticazione e di
tracciabilità.
Qui subentrano però considerazioni di ordine economico.
Va considerato in primo luogo che le analisi citate (ICP-OES e
ICP-MS) sono sempre distruttive in quanto richiedono almeno 1 g
di campione che viene consumato.
Le strumentazioni impiegate sono alla portata di laboratori di
analisi medio-grandi, avendo un costo iniziale di 70.000-100.000 €.
Inoltre, affinché questi metodi possano essere affidabili, è necessario analizzare un numero statisticamente significativo di campioni di tartufo, comprendendo in ciò sia i campioni da autenticare, ovvero quelli di T. magnatum del Piemonte, sia quelli di provenienza forestiera33 nei confronti dei quali si vuole verificare la differenza del T. magnatum del Piemonte.
Considerazioni statistiche di base indicano in 30 + 20 i campioni necessari allo sviluppo di un protocollo analitico affidabile.
Va poi considerata la variabilità stagionale: è necessario ripetere lo studio per almeno 3 annualità, per tenere conto delle fluttuazioni climatiche.
Tuttavia, è difficile pensare che il costo delle analisi sia un deterrente sufficiente a impedire lo sviluppo di un serio metodo analitico.
33
Il termine forestiero può essere inteso con varie declinazioni, laddove si voglia
differenziare il T. magnatum del Piemonte da quello proveniente da altre regioni
italiane, oppure da quello di provenienza extra-italiana, o ancora da altre specie
di tartufo.
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
89
La domanda da porre è se il mercato del tartufo sia realmente
intenzionato a incentivare la ricerca scientifica in questa direzione,
viste le potenzialità nel rilevare le frodi.
La speranza è che a promuovere questi studi siano piccole realtà locali che vedano in essi un’opportunità per promuovere i loro
territori.
Maurizio Aceto
90
ALIMENTA
Allegati:
Figura 1 - distribuzioni dei lantanidi in un terreno e in una
pianta ivi derivante.
Figura 2 - Distribuzione dei lantanidi dopo normalizzazione al
cerio
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
91
Figura 3 - Distribuzione dei lantanidi con scala logaritmica delle abbondanze
Figura 4 - Distribuzione dei lantanidi in un terreno della provincia di Alessandria e in un T. magnatum ivi cavato
92
ALIMENTA
Figura 5 - Distribuzione dei microelementi in un terreno della
provincia di Alessandria e in un T. magnatum ivi cavato
Figura 6 - Grafico PC1 vs. PC2 ottenuto con i dati dei lantanidi. Pallini bianchi: tartufi svizzeri; pallini neri: tartufi piemontesi di
specie differenti
DALLA TERRA ALLA TAVOLA CON I MICROELEMENTI
93
Figura 7 - Grafico PC1 vs. PC2 ottenuto con i dati dei microelementi Li, As, Y, Ce, ed Eu. Pallini neri: T. magnatum della provincia di Alessandria; pallini bianchi: T. borchii della provincia di
Alessandria, T. melanosporum della provincia di Biella e T. melanosporum della Svizzera
94
ALIMENTA
ABSTRACT
Il Tuber magnatum Pico o tartufo bianco è uno degli alimenti
più noti, pregiati e costosi al mondo. In particolare, quello raccolto
nel Monferrato, nelle Langhe e nel basso Piemonte, è considerato
in assoluto il migliore, e per questo motivo è un facile bersaglio per
la contraffazione di tipo specifico o di tipo geografico. Negli ultimi
anni la ricerca scientifica in campo chimico ha messo a disposizione alcuni metodi che puntano a rivelare queste frodi. In questo articolo si descrive il ruolo della determinazione dei microelementi
come mezzo per salvaguardare la qualità del prodotto piemontese,
attraverso l’identificazione dell’impronta digitale che dal terreno si
trasmette al tartufo.
EN:
The Tuber magnatum Pico or white truffle is one of the best
known, most valuable and expensive foods in the world. In particular, the one collected in Monferrato, Langhe and lower Piemonte,
is considered the best by far, and for this reason it is an easy target
for specific or geographical counterfeiting. In recent years, scientific research in the chemical field has made available some methods that aim to reveal these frauds. This article describes the role
of the determination of microelements as a way to safeguard the
quality of the piemontese product, through the identification of the
fingerprint that is transmitted from the soil to the truffle.
PAROLE CHIAVE
ICP-MS, lantanidi, Piemonte, tartufo bianco del Monferrato,
terreno, tracciabilità.
ICP-MS, lanthanides, Piemonte, Monferrato white truffle soil,
traceability.
PARTE II
NOTE E COMMENTI
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
Giurisprudenza annotata
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza
Num. 1914 Anno 2021
Presidente: Manna Antonio
Relatore: Napolitano Lucio
Data pubblicazione: 28/01/2021
I. SpA, in persona del Presidente pro tempore
c.
F.V.
con l’intervento di
Regione Basilicata
avverso la sentenza n. 4114/2019 del Consiglio di Stato, depositata
il 18/06/2019.
Prodotti biologici – Organismi di certificazione – provvedimenti
sanzionatori – natura della funzione svolta – carattere autoritativo –
giurisdizione – funzione della marcatura “bio” – circolazione delle informazioni al consumatore – posizione dell’O.S.A. soggetto ai controlli – diritto soggettivo – giurisdizione civile ordinaria.
Massima (a cura della rivista): le certificazioni si configurano come
strumenti di circolazione di “informazioni” destinate in particolare ai
consumatori, quali attestazioni di conformità del prodotto agli standards
di legge e di “garanzia” dell’affidabilità al riguardo dell’impresa e dei
suoi prodotti. Pertanto la posizione del soggetto sottoposto ai provvedimenti dell’organismo di certificazione delegato dal Ministero non può
essere inquadrata nell’ambito del c.d. “interesse legittimo” e deve ritenersi, diversamente da quanto affermato dal Consiglio di Stato, di dirit-
98
ALIMENTA
to soggettivo, dovendo escludersi che l’organismo autorizzato assuma la
veste di pubblica amministrazione ex art. 7, comma 2, cod. proc. amm.,
ovvero eserciti, nell’ambito dell’esecuzione del contratto di certificazione, funzioni pubbliche. Ne consegue che la giurisdizione nei procedimenti di impugnazione dei provvedimenti sanzionatori da questi emessi
spetta al giudice civile ordinario e non al giudice amministrativo.
FATTI DI CAUSA
L’Azienda agricola V. F. svolge attività di produzione di albicocche con il metodo della produzione biologica sui terreni, compiutamente descritti in atti, dell’azienda medesima (…).
Nel 2014 stipulò, con l’organismo di controllo Istituto di Certificazione fisica e ambientale (di seguito I. o Istituto), autorizzato dal
Ministero delle Politiche agricole e forestali, un contratto in virtù del
quale si assoggettava al controllo dell’ente anzidetto, in ordine alla verifica del rispetto della normativa regolante l’esercizio di attività di
agricoltura biologica.
Nel vigore di detto contratto l’Azienda agricola fu destinataria di
due provvedimenti, n. 63 e n. 64, resi nei suoi confronti, in data 24
maggio 2016, non impugnati, con i quali l’I. disponeva rispettivamente la sospensione temporanea dell’efficacia del certificato di conformità biologica e la soppressione dell’indicazione biologica su tutto il raccolto di albicocche per l’anno 2016, avendo riscontrato, a seguito
dell’esperimento delle analisi presso laboratorio indicato dal Ministero sul campione prelevato da tecnico dell’istituto nel corso di visita
ispettiva, la presenza di anticrittogamici ed insetticida in misura eccedente i limiti consentiti nell’esercizio dell’agricoltura biologica.
Successivamente, nel corso dell’ispezione annuale, eseguita in data
6 giugno 2018 da tecnico dell’I. presso lo stesso albicoccheto, erano
prelevati nuovi campioni di frutti e foglie di albicocco e sottoposti ad
analisi, che evidenziavano, su una delle aliquote contrassegnate, nuovamente la presenza di anticrittogamico in misura eccedente il limite
consentito.
In conseguenza di ciò, il Responsabile del Comitato di Certificazione dell’I. ha emanato tre provvedimenti.
Il primo dei quali, n. 130 del 24 luglio 2018, disponeva il divieto di
GIURISPRUDENZA ANNOTATA
99
commercializzazione per il periodo di giorni 180 per l’azienda delle albicocche con indicazioni riferite al metodo della produzione biologica.
Il secondo, n. 132, reso in pari data, disponeva il divieto, per la
predetta azienda agricola, di riportare nelle etichette delle albicocche
le indicazioni inerenti al metodo della produzione biologica.
Il terzo, n. 138, emanato il 3 agosto 2018, comunicava all’azienda
agricola la risoluzione di diritto dei rapporti tra le parti e l’avvio della
procedura di cancellazione dell’azienda dall’elenco degli operatori
biologici.
Il successivo ricorso dell’azienda in sede amministrativa avverso i
summenzionati provvedimenti era quindi respinto dal Comitato Ricorsi dell’I. con decisione del 30 agosto 2018.
Tutti i sopra menzionati provvedimenti amministrativi erano impugnati dall’azienda dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale
(TAR) della Basilicata sulla base della prospettazione di plurimi vizi di
legittimità, con conseguente domanda di annullamento dei provvedimenti medesimi.
Nel costituirsi l’I., oltre a sostenere l’infondatezza dell’avverso ricorso, eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo adito.
Il TAR Basilicata pronunciava sentenza n. 772/2018, pubblicata il
22 novembre 2018, con la quale, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’I., dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, ritenendo la stessa essere devoluta al giudice ordinario.
La sentenza del giudice amministrativo di primo grado era oggetto
di ricorso in appello da parte dell’azienda agricola dinanzi al Consiglio di Stato, che, con sentenza della Sezione terza, n. 4119/2019,
pubblicata il 18 giugno 2019, non notificata, accolse l’appello, annullando la pronuncia impugnata con rinvio dinanzi al TAR Basilicata,
ritenendo che la controversia appartenesse alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Il Consiglio di Stato, pur ribadendo la natura dell’I. quale soggetto di diritto privato, precisamente quale consorzio con attività esterna
secondo la disciplina degli artt. 2612 e ss. cod. civ., come risultante
dalle disposizioni dello Statuto depositato in atti, ritenne che lo stesso
svolgesse attività avente carattere pubblicistico, operando per effetto
di delega del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di modo
100
ALIMENTA
che, trattandosi dell’esercizio di una funzione pubblica per effetto di
delega, la posizione giuridica del privato di fronte all’esercizio di un
tale potere autoritativo, avesse consistenza di interesse legittimo.
La sentenza del Consiglio di Stato in questa sede impugnata ha altresì
testualmente statuito nel senso che «la disciplina sopravvenuta, recata dal
d. lgs. n. 20/2018, relativa alla natura di lodo arbitrale dei pronunciamenti dell’organo collegiale dei ricorsi, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, esula
dal presente giudizio di appello, atteso che la questione relativa
all’inapplicabilità al caso di specie di tale disciplina è coperta da giudicato
interno: la questione, infatti, è stata sollevata anche in primo grado ed il
TAR ha formalmente dichiarato l’inapplicabilità di tale normativa al caso
di specie (anche in senso meramente interpretativo) e tale statuizione non
è stata investita da impugnazione».
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’I. in base ad un
unico motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia
l’erroneità della sentenza impugnata per motivi di giurisdizione, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., e 110 del d.
lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cod. proc. amm.), deducendo che il Consiglio di Stato ha erroneamente affermato nella controversia in esame,
vertente tra organismo di controllo ed operatore del settore
dell’agricoltura biologica, avente ad oggetto le misure previste dall’art.
5 del d. lgs. 23 febbraio 2018, n. 20 e dal d.m. 20 dicembre 2013,
adottate da parte dell’organismo di controllo in caso di riscontrate
non conformità da parte dell’operatore sottoposto a verifica; ciò sia
per avere la decisione impugnata omesso di considerare come per un
sistema, quale quello delle Società Organismi di Attestazione (SOA),
analogo a quello del biologico, la giurisprudenza sia invece concorde
nell’affermare la giurisdizione del giudice ordinario nell’ambito dei
rapporti tra SOA ed imprese di costruzione, sia per avere omesso di
considerare come il d.lgs. n. 20/2018, nel prevedere l’assoggettamento
ad arbitrato di tali controversie, aventi base contrattuale, presupponga necessariamente che le stesse vertano su diritti soggettivi.
GIURISPRUDENZA ANNOTATA
101
1.1. Segnatamente, in relazione a tale ultimo profilo, nell’ambito
dell’unico motivo col quale viene denunciato il vizio di cui all’art. 360,
primo comma, n. 1, cod. proc. civ., parte ricorrente rileva comunque
come «del tutto errata», la decisione impugnata quanto alla ritenuta formazione del giudicato interno sull’inapplicabilità al caso di specie della
disposizione di cui all’allegato 2, lett. C, comma 8, lett. b), del d. lgs. n.
20/2018, nella parte in cui prevede che i pronunciamenti dell’organo collegiale dell’organismo di controllo deputato all’esame dei ricorsi «hanno
natura di lodo arbitrale, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, ai sensi del titolo
VIII del libro quarto del Codice di procedura civile».
1.2. Il ricorrente deduce in proposito come non abbia mai invocato l’applicazione diretta di tale disposizione nella controversia in esame, essendo ben consapevole del fatto che nel contratto stipulato tra
le parti, sottoscritto, come innanzi detto, nel 2014, non era stata sottoscritta dal F. alcuna clausola compromissoria, e di avere richiamato
l’anzidetta disposizione unicamente al fine di trarne un ulteriore elemento, in via interpretativa, utile a qualificare come di diritto soggettivo la posizione giuridica soggettiva dell’azienda destinataria delle
misure emesse a seguito dell’attività di controllo da parte
dell’organismo prescelto, in adempimento delle obbligazioni assunte
con il contratto di certificazione.
2. Appare opportuno dar conto, in via preliminare, nell’esame del
motivo, quantunque sinteticamente, dell’evoluzione della disciplina di
fonte sovranazionale succedutasi in tema di metodo biologico di produzione di prodotti agricoli, originariamente introdotta dal Regolamento CEE del Consiglio 24 giugno 1991, n. 2092 e dal Regolamento
attuativo della Commissione europea 6 agosto 1991, n. 2416.
2.1. Detta disciplina è stata più volte modificata, dapprima dal
Regolamento CEE del Consiglio 19 luglio 1999, n. 1804 e dal Regolamento (CE) 28 giugno 2007, n. 834, cui è seguita l’approvazione dei
regolamenti attuativi della Commissione 5 settembre 2008, n. 889 e 8
dicembre 2008, n. 1235, ed ancora dal Regolamento (CE) del Consiglio 29 settembre 2008, n. 967, di cui è stata disposta l’attuazione con
Regolamento della Commissione del 15 dicembre 2008.
2.2. Quale elemento cardine della disciplina di settore si è posta,
sin dall’inizio, la previsione secondo la quale gli operatori dediti alla
102
ALIMENTA
produzione biologica dei prodotti agricoli, affinché fosse verificato il
rispetto dei requisiti minimi in materia, tale da consentire
l’indicazione sull’etichetta di “Agricoltura Biologica - Regime di controllo CE”, potessero rivolgersi ad organismo privato, al quale affidare
il controllo e competente a rilasciare la relativa certificazione, sulla base di un provvedimento autorizzatorio dell’Autorità competente dello
Stato membro, in Italia individuato, a partire dal d.lgs. 17 marzo 1995
n. 220, nell’allora Ministero delle risorse agricole ed alimentari (oggi
Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali), cui compete,
insieme alle Regioni, ed alle Province autonome di Trento e Bolzano,
per i rispettivi ambiti territoriali di competenza, la vigilanza sugli organismi di certificazione.
2.3. La succitata evoluzione della disciplina di settore in ambito
europeo ha determinato la necessità dell’adeguamento del diritto interno alle nuove disposizioni regolamentari, le cui tappe salienti, successivamente all’adozione del succitato d.lgs. n. 220/1995, possono
essere individuate nel d.m. 20 dicembre 2013, in tema di adozione di
un elenco di “non conformità”, riguardanti la qualificazione biologica
dei prodotti e le corrispondenti misure che gli Organismi di controllo
devono applicare agli operatori, ai sensi del Reg. (CE) n. 889/2008,
modificato dal Regolamento di esecuzione (UE) n. 392/2013 della
Commissione del 29 aprile 2013 e nel d.lgs. 23 febbraio 2018, n. 20,
che ha abrogato il precedente d.lgs. n. 220/1995.
3. Appare utile premettere che il d.lgs. n. 20/2018 è entrato in vigore il 22 marzo 2018 e quindi, sul piano procedimentale, salvo quanto di seguito precisato (si veda infra par. 4.6), è certamente applicabile
alla controversia in oggetto riguardante, come si è detto, impugnazione di provvedimenti resi dall’organismo di controllo nei confronti
dell’azienda agricola nel periodo luglio - agosto 2018.
3.1. Le ipotesi di “non conformità” sono modulate, da ultimo, secondo il disposto dell’art. 5 del citato d.lgs. n. 20/2018, secondo un
ordine decrescente di gravità, indicate rispettivamente quali “infrazioni”, “irregolarità” ed “inosservanze”, secondo la definizione rispettivamente fattane dall’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 20/2018, dal
comma 6 e dal comma 8 del citato art. 5 del suddetto decreto.
3.2. In particolare il comma 7 del citato art. 5 del d.lgs. n. 20/2018
prevede che «L’accertamento di una o più irregolarità comporta
GIURISPRUDENZA ANNOTATA
103
l’applicazione, da parte dell’organismo di controllo al quale è assoggettato l’operatore, previa diffida in caso di irregolarità sanabili, della
soppressione delle indicazioni biologiche, in proporzione
all’importanza del requisito violato e alla natura e alle circostanze particolari delle attività irregolari. La soppressione comporta il divieto
per l’operatore di riportare le indicazioni relative al metodo di produzione biologica, nell’etichettatura e nella pubblicità dell’intera partita
o dell’intero ciclo di produzione in cui è stata riscontrata irregolarità».
3.3. L’art. 6, comma 1, lett. d), del citato decreto prevede che
«Nell’esercizio dell’attività di controllo, fermo restando quanto previsto dall’articolo 4, comma 6, l’organismo di controllo, ha l’obbligo di
adottare, in caso di irregolarità o infrazioni, le misure corrispondenti a
carico degli operatori, anche se receduti o esclusi dal sistema, per fatti
antecedenti al recesso o all’esclusione».
L’art. 4, comma 6, richiamato nella disposizione precedente citata,
disciplina i requisiti necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione,
che debbono essere assicurati, senza soluzione di continuità, per
l’intera durata dell’autorizzazione medesima.
4. Ciò premesso, il motivo e quindi il ricorso su di esso basato
debbono ritenersi fondati, dovendo trovare ulteriore conferma le considerazioni già espresse dalle Sezioni Unite di questa Corte, in sede di
decisione su istanza di regolamento di giurisdizione, con l’ordinanza 5
aprile 2019, n. 9678.
4.1. In quella sede, nell’analisi della giurisprudenza della Corte
di giustizia in materia, si evidenziava come la Corte di Lussemburgo
avesse affermato, nella vigenza dell’originario Regolamento (CE) n.
2092/91, di seguito abrogato dal succitato Regolamento (CE) n.
834/07, che gli organismi privati «mettono in atto, conformemente
all’art. 9, n. 3 del regolamento n. 2092/91, le misure di controllo e le
misure precauzionali elencate all’allegato III dello stesso», e, «ai sensi dell’art. 9, n. 9, lett. a) e b), del regolamento n. 2091/91 [...] possono, sulla scorta dei controlli effettuati, permettere o meno agli
operatori controllati di utilizzare indicazioni relative al metodo di
produzione biologico per i prodotti messi in commercio e, qualora
accertino un’infrazione manifesta o avente effetti prolungati, ritirare
al singolo operatore il diritto di commercializzare prodotti recanti
indicazioni siffatte per un periodo da convenirsi con l’autorità pub-
104
ALIMENTA
blica competente, dovendo «in forza dell’art. 9, nn. 6, lett. c) e 8,
lett. a) e b) sempre del regolamento n. 2092/91 [...] rendere conto
della loro attività all’autorità incaricata del riconoscimento e della
sorveglianza, rispettivamente, informandola delle irregolarità e delle
infrazioni constate nonché delle sanzioni inflitte, fornendole tutte le
informazioni richieste e trasmettendole ogni anno un elenco degli
operatori da essi controllati ed un rapporto di attività (cfr. Corte
Giust., 29 novembre 2007, C-393/05; Corte Giust., 29 novembre
2007, C-404/05).
Se, dunque, come rilevato dalla stessa Corte di Giustizia nella succitate decisioni, l’attività degli organismi di controllo non è limitata alla mera
organizzazione dei controlli di conformità dei prodotti dell’agricoltura
biologica, ma si estende all’applicazione delle misure connesse all’esito
dei controlli espletati, l’assoggettamento alla sorveglianza dell’autorità
pubblica competente risulta tale da garantire l’obiettività ed accertare
l’efficienza dei controlli effettuati dagli organismi privati.
4.2. Da tale argomentazione le citate decisioni hanno tratto la duplice conclusione che «il ruolo ausiliario e preparatorio attribuito agli
organismi privati di tale regolamento nei confronti dell’autorità di
sorveglianza non può essere considerato una partecipazione diretta e
specifica all’esercizio dei pubblici poteri», atteso che «l’attività degli
organismi privati quale definita dal regolamento n. 2092/91 non costituisce di per sé una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei
pubblici poteri, tale che ogni ulteriore attività che partecipi ai pubblici ne sia necessariamente separabile».
4.3. Sebbene la Corte di Giustizia non abbia negato la possibilità
per gli Stati membri di attribuire ai certificati natura pubblica, il sistema, quale ridisegnato da ultimo dal legislatore nazionale ai fini
dell’armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli
in materia di agricoltura biologica, alla stregua del Regolamento (CE)
n. 834/07, quale modificato dal Regolamento (CE) n. 967/08, non
sembra giustificare le diverse conclusioni alle quali è pervenuto il
Consiglio di Stato nell’impugnata decisione, il cui nucleo essenziale
sta, secondo quanto sopra indicato, nell’affermazione secondo cui
«L’attività dell’I. oggetto del presente giudizio, può [...] qualificarsi
come esercizio privato di una funzione pubblica [...]. Trattandosi
dell’esercizio di una funzione pubblica per effetto di delega, la posi-
GIURISPRUDENZA ANNOTATA
105
zione giuridica del privato di fronte all’esercizio di tale potere autoritativo ha consistenza di interesse legittimo».
4.4. In effetti l’art. 3, comma 2, del citato d.lgs. n. 20/2018, prevede che «Il Ministero delega i compiti di controllo, ai sensi dell’articolo
27, paragrafo 4, lettera b) del regolamento» per tale dovendo intendersi, per effetto dell’art. 2, il Regolamento (CE) del Consiglio n.
834/2007, «ad uno o più degli organismi di controllo che, a tal fine,
presentano istanza di autorizzazione ai sensi dell’articolo 4, comma 1».
4.5. Ritiene tuttavia la Corte che non possa offrirsi una lettura del
succitato termine “delega” se non nell’ambito del sistema complessivamente delineato che, non diversamente da quanto nella normativa
sovranazionale previgente quale interpretata dalla corte di Giustizia,
presuppone in realtà l’esercizio di un potere di autorizzazione
dell’autorità pubblica di vigilanza subordinato al rispetto della sussistenza di requisiti tassativi previsti dalla legge in capo agli organismi
di controllo, di modo che risulti garantita l’obiettività ed assicurata
l’efficienza dei controlli effettuati dagli organismi privati, che segnatamente nell’ambito dell’attività di certificazione, legata a parametri
tecnici, operano secondo il diritto privato in adempimento di obbligazioni aventi fonte contrattuale con il produttore biologico, che si assoggetta alla relativa certificazione di conformità.
4.6. Sul piano procedimentale va peraltro opportunamente precisato
che, sebbene il contratto stipulato inter partes sia stato sottoscritto in data
26 marzo 2014, cioè anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n.
20/2018, le relative disposizioni sulla natura delle rilevate “non conformità” trovavano già disciplina nel citato d.m. 20 dicembre 2013, così come
la relativa disciplina concernente le misure da adottare secondo la gravità
delle accertate “non conformità”, senza che alcuna discrezionalità amministrativa potesse configurarsi in capo all’organo deputato a comminare
le misure previste, così come la previsione della facoltà di chiedere il riesame dei provvedimenti emanati allo stesso organismo di controllo, che,
nel caso dell’I., ne aveva disciplinato l’esercizio secondo le disposizioni
del proprio regolamento interno depositato in atti; sicché l’unica disposizione effettivamente inapplicabile nel giudizio in esame, pacificamente
non essendo stata prevista nel contratto intercorso tra le parti alcuna
clausola compromissoria, è quella di cui al richiamato allegato 2, lett. C,
comma 8, lett. b), del d. lgs. n. 20/2018, nella parte in cui prevede che i
106
ALIMENTA
pronunciamenti dell’organo collegiale dell’organismo di controllo deputato all’esame dei ricorsi «hanno natura di lodo arbitrale, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, ai sensi del titolo VIII del libro quarto del Codice di procedura civile».
4.7. Ciò, in effetti, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza
impugnata nel passaggio testualmente sopra trascritto nella parte inerente l’esposizione dei fatti di causa, era stato rilevato come mero obiter dictum dal TAR Basilicata, che, dopo aver già dichiarato
«l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del ricorso» dinanzi ad
esso proposto dall’azienda agricola, riteneva di aggiungervi «la precisazione che non può tenersi conto delle disposizioni dettate dal punto
8, lett. b) dell’Allegato 2 al D. Lg.vo n 20/2018, in quanto nel contratto, stipulato il 26.3.2014, tra l’azienda agricola V. F. e l’I., non vi è la
clausola compromissoria», applicabilità diretta peraltro non invocata
nella controversia dinanzi al TAR dall’Istituto nella propria comparsa
di costituzione, essendone stato fatto riferimento unicamente per
trarne, in via argomentativa, ulteriore elemento a sostegno della tesi
esposta della devoluzione della controversia al giudice ordinario.
4.8. Al riguardo va ribadito come competa alla Corte di cassazione, nell’ambito dell’esame di ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione avverso sentenza del Consiglio di Stato «non soltanto il giudizio
vertente sull’interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull’applicazione delle disposizioni non meramente processuali, che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione, nonché di quelle correlate attinenti al sistema delle impugnazioni»
(cfr. Cass. SU 23 novembre 2011, n. 20727).
5. Deve, pertanto, ribadirsi l’affermazione della sussistenza della
giurisdizione del giudice ordinario, secondo quanto già affermato dalla citata Cass. SU, ord. n. 9678/2019.
5.1. Né a ciò osta il diverso petitum di annullamento dei provvedimenti impugnati, oggetto della domanda originariamente proposta
dall’azienda agricola V. F. dinanzi al TAR Basilicata, rispetto alla domanda risarcitoria nei confronti dell’organismo privato autorizzato che
aveva - secondo il produttore di limoni nel giudizio nel corso del quale
era stata avanzata l’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione
definito dalla succitata ordinanza di questa Corte - “ingiustamente e
GIURISPRUDENZA ANNOTATA
107
negligentemente” disposto, in esecuzione del contratto di certificazione
“bio” il divieto di commercializzazione del prodotto come biologico
sulla base del prelevamento di un solo campione dello stesso.
5.2. Dovendo infatti, farsi riferimento, ai fini della decisione sulla giurisdizione, al c.d. petitum sostanziale, la domanda va correlata alla posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, che, alla stregua delle considerazioni sopra esposte, deve ritenersi, diversamente da quanto affermato dal Consiglio di Stato, di diritto soggettivo, dovendo escludersi che
l’organismo autorizzato assuma la veste di pubblica amministrazione ex
art. 7, comma 2, cod. proc. amm., ovvero eserciti, nell’ambito
dell’esecuzione del contratto di certificazione, funzioni pubbliche.
5.3. Come già affermato da questa Corte con la citata Cass. SU
ord. n. 9678/19, le certificazioni si configurano, infatti, come «strumenti di circolazione di “informazioni” destinate in particolare ai
consumatori, quali attestazioni di conformità del prodotto agli standards di legge e di “garanzia” dell’affidabilità al riguardo dell’impresa
e dei suoi prodotti». Ciò risponde all’esigenza, esplicitata nel considerando 22 del citato Reg. (CE) n. 834/07, che afferma che «È importante preservare la fiducia del consumatore nei prodotti biologici. Le
eccezioni ai requisiti della produzione biologica dovrebbero pertanto
essere strettamente limitate ai casi in cui sia ritenuta giustificata
l’applicazione di norme meno restrittive».
6. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata cassata,
con conseguente dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale vanno rimesse le parti anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, davanti al quale rimette le parti anche
per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite
civili il 15 settembre 2020
Il Consigliere estensore
Il Presidente
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO: NOTE
ALLA SENTENZA 1914/2021 RESA DALLA CORTE
DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE SULLA RELATIVA
QUESTIONE DI GIURISDIZIONE. PRIME LUCI SUL NUOVO
ORIZZONTE DELLA GIUSTIZIABILITÀ DELLE MISURE
ESECUTIVE DISPOSTE DAGLI ORGANISMI
DI CONTROLLO DESIGNATI AL CONTROLLO
E CERTIFICAZIONE DEL BIOLOGICO
Sommario: 1. Sunto della Sentenza – 2. Ma prima: contratto di certificazione e attività
di controllo nel biologico – 3. Caso, decisione e prime luci sul nuovo paesaggio.
1. Sunto della Sentenza.
Sarà che Bio vuol dire vita (che è a tutti cara) ma non stupisce che
la disciplina giuridica dell’agricoltura biologica e degli alimenti biologici sia al centro di vicende giurisprudenziali anche nazionali - oltre
che novelle legislative recenti e venture - che, specie in questa Rivista,
non possono essere tralasciate.
Chi abbia un minimo di dimestichezza con il contezioso tra operatori soggetti al sistema di controllo del biologico e i rispettivi organismi di controllo autorizzati dal Ministero competente (MiPAAF)1 secondo il Regolamento n. 834/2007/CE,2 è avvertito che negli anni in
1
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF) ai sensi del Decreto legislativo 23-2-2018 n. 20, Disposizioni di armonizzazione e razionalizzazione
della normativa sui controlli in materia di produzione agricola e agroalimentare biologica, predisposto ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lett. g), della legge 28 luglio
2016, n. 154, e ai sensi dell’articolo 2 della legge 12 agosto 2016, n. 170, d’ora in avanti, anche “testo unico sui controlli del biologico” o solo Testo Unico (TU-Bio).
2
Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento
(CEE) n. 2092/91, in GUUE, L 189, 20.7.2007, pp. 1 ss. Questo regolamento sarà
superato, dal 1° gennaio 2022 (vista la proroga imposta dall’emergenza sanitaria Covid) dal Regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30
maggio 2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, in GUUE, L 150,
110
ALIMENTA
Italia si è innestato per via pretoria un sistema misto e binario quanto
alla giurisdizione nei predetti conteziosi.
Da un lato, l’orientamento assolutamente maggioritario della giurisprudenza amministrativa3, avvallato in ultimo dal Consiglio di Stato
con la sentenza n. 4119/2019 oggetto del ricorso innanzi alle Sezioni
Unite qui commentato, secondo cui i ricorsi presentati ai sensi del
Codice del processo amministrativo rientravano nella giurisdizione del
Giudice Amministrativo4.
Dall’altro, un parallelo insieme di ricorsi cautelari o azioni di risarcimento danni incardinati innanzi al Giudice civile per anni maturato in coesistenza con l’alternativa giurisdizionale di natura amministrativa5.
La decisione del 28 gennaio 2021 delle Sezioni Unite civili, qui in rassegna, nel cassare la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4119/2019,
afferma la giurisdizione del giudice civile, e stabilisce, implicitamente, che
il “doppio binario” non sarà più prospettabile in futuro.
14.6.2018, p.1. A quella data dunque saranno inoltre pienamente operativi gli altri
regolamenti della Commissione legati al - perché previsti dal - Capo V (certificazione)
e VI (Controlli ufficiali e altre attività ufficiali) del nuovo regolamento quadro in materia Bio (Reg. n. 2018/848/UE) che dialoga in modo sistematico con il Regolamento
n. 2017/625/UE sui controlli ufficiali e le altre attività ufficiali nelle catene agroalimentari. La materia continua a essere necessariamente magmatica.
3
Nel senso della sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo, da ultimo, T.A.R. Puglia – Bari, n. 825/2020, cui adde: T.A.R. Sicilia, ordinanza 22.05.2019,
n. 646; T.A.R. Emilia-Romagna, ordinanza 24.01.2019, n. 13;; T.A.R. Calabria,
26.04.2018, n. 967; T.A.R. Piemonte, 18.04.2018, n. 459; T.A.R. Toscana, 28.03.2018,
n. 455; T.A.R. Piemonte, 24.01.2018, n. 105; T.A.R. Calabria, 19.01.2018, n. 157;
T.A.R. Piemonte, 07.12.2017, n.1316; T.A.R. Puglia, 14.07.2017, n. 813; T.A.R. Piemonte, Ordinanza 13.04.2017, n. 157; T.A.R. di Catania, sent. 19.02.2008, n. 282.
4
Le tre ordinanze del Consiglio di Stato che, prima della citata sentenza n.
4119/2019, hanno ribadito la giurisdizione del giudice amministrativo nel contenzioso
tra operatore e organismo di controllo incaricato sono: sez. III, ordinanza,
21.12.2018, n. 6355, Sez. III ordinanza, 10.01.2019, n. 12, Sez. III ordinanza
20.03.2019, n. 1402.
5
Anche per più puntuali riferimenti sulla giustizia di merito al 2018 vedasi D. PISANELLO, Natura giuridica degli organismi di controllo del biologico e riflessi applicativi sui mezzi di tutela dell’impresa alimentare certificata, in A. NATALINI (a cura di),
Frodi agroalimentari: profili giuridici e prospettive di tutela, Milano, Giuffré Francis
Lefebvre, 2018.
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
111
Tramonta, dunque, il rito amministrativo a favore di un giudizio impostato sulle regole del codice di rito civile, con adattamenti tutti da pensare e
con il (non scontato) rischio di perdere la nutrita casistica giurisprudenziale
formatasi in più di un decennio innanzi ai TAR di mezz’Italia.
Un travaso non irrisorio (per essere eufemistici) che giunge
all’esito di una riflessione anche giurisprudenziale, che trova nella ordinanza delle Sezioni Unite civili del 5 aprile 2019, n. 9678, espressamente richiamata dalla sentenza qui in commento, il primo momento
di rottura del sistema precedente6.
Si tratta di una decisione importante sotto diversi profili e piani,
alcuni ancora da mettere a fuoco, che in questa l’Autore ha l’onore e
l’onere di annotare nel primo numero della rediviva Alimenta.
2. Considerazioni preliminari sul contratto di certificazione e attività
di controllo nel biologico.
Ai fini di un corretto inquadramento della materia in cui la sentenza in rassegna è destinata a produrre effetti di non poco momento,
è il caso di accennare, sia pur sinteticamente, ai caratteri generali delle
attività di controllo e certificazione del biologico7.
6
L’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, SS.UU., n. 9678/2019 è stata resa
sul un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione avanzato nel 2017 da una
azienda agricola siciliana, nell’ambito di un procedimento civile per il risarcimento
del danno ex art. 1218 o, in subordine, art. 2043 c.c.. Si trattò del primo ricorso per
regolamento preventivo di giurisdizione nel settore della certificazione del biologico
che la Suprema Corte di cassazione decise, affermando che «essendo l’oggetto del
promosso giudizio di merito costituito da una domanda di risarcimento di danni lamentati in conseguenza – secondo la prospettazione attorea – dell’ingiustamente e
negligentemente adottato provvedimento di divieto di commercializzazione all’esito
di mere valutazioni tecniche senza alcun esercizio di attività iure imperii, alla stregua
di quanto sopra rilevato ed esposto va pertanto nel caso dichiarata la giurisdizione del
giudice ordinario». La vicenda è meglio descritta in D. PISANELLO, La disciplina dei
prodotti biologici: evoluzioni normative e spunti per una riflessione, in F. CAPELLI –
V. RUBINO (a cura di), L’Alimentazione e l’Agricoltura del futuro (studi in memoria di
Antonio Neri), Napoli, Editoriale Scientifica, 2021.
7
Sul punto sia consentito rinviare, anche per ulteriori considerazioni, al mio scritto
Natura giuridica, cit. con la relativa bibliografia che qui si riporta.
112
ALIMENTA
Per «certificazione» si è soliti far riferimento a una dichiarazione
scritta attestante la conformità di un bene, servizio o attività a requisiti
specificati, mediante una attività valutativa e dichiarativa elaborata da un
soggetto solitamente terzo rispetto all’ente beneficiario del certificato.
Esiste un sostanziale accordo tra la giurisprudenza nazionale e la
c.d. Dottrina nel ritenere che nei contratti di certificazione viene dedotta in obbligazione una «prestazione di servizi tecnici in campo industriale (…) effettuata in favore della committente»8, consistente nella valutazione e attestazione scritta che un prodotto o un processo
produttivo è conforme ai requisiti specificati da determinati standard9.
Più precisamente, la prestazione cui l’ente certificatore si obbliga
consisterebbe in due attività distinte anche se logicamente e strutturalmente connesse: 1) il soggetto certificatore è chiamato, dietro corrispettivo, a porre in essere i controlli e le verifiche idonee a valutare la
conformità dell’oggetto di indagine alle regole tecniche di riferimento;
2) l’ente certificativo (talvolta anche «control body») a rilasciare o meno, in base ai risultati dell’indagine svolta, l’attestato di conformità.
I requisiti di riferimento (standard) possono essere frutto di mere
dinamiche di mercato e dunque espressione esclusiva e piena della autonomia privata (certificazione volontaria) ovvero essere oggetto di
regolazione legislativa; in tal ultimo caso, il legislatore (o il regolatore
del mercato) conforma in tutto o in parte gli standard di riferimento,
determina le procedure di accreditamento degli enti di certificazione e
le altre condizioni di accesso al mercato e ogni altro aspetto opportuno (certificazione regolamentata)10.
8
Cosi Trib. Monza, 4 febbraio 2004, in I Contratti, n. 8-9, 2004, pp. 809 e ss., secondo cui il contratto avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività di ispezione o certificazione» sarebbe «atipico o innominato».
9
Così già Trib. Piacenza, 3 maggio 2012, n. 297, in Danno resp., 5, 2013, 513 e ss.
10
Un’altra distinzione che può tratteggiarsi è relativa all’oggetto della certificazione:
quando l’attività valutativa e il contenuto della certificazione riguardano la rispondenza del prodotto a requisiti applicabili di un bene tangibile o intangibile (servizio),
inteso come risultato di un processo, si tratterà di una certificazione «di prodotto»;
diversamente, quando la valutazione e la successiva ed eventuale attestazione verterà
sulla capacità di un’organizzazione (produttrice di beni o fornitrice di servizi) di gestire i processi in modo da riconoscere e soddisfare determinati bisogni dei clienti, la
certificazione sarà «di sistema».
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
113
In tale prospettiva la certificazione di parte terza11 dei sistemi di
gestione per la qualità (regolata dalla norma ISO 9001), ambientale
(ISO 14001), per la salute e sicurezza sul lavoro (OHSAS 18001), per
la sicurezza delle informazioni (ISO 27001) e per la sicurezza alimentare (ISO 22000), a tacer di quelle sull’Artificial Intelligence in agricolture, ricadono nel novero degli schemi volontari12.
11
Nel caso di certificazione con c.d. approccio di parte terza, determinate caratteristiche aventi a oggetto l’organizzazione di un’azienda e/o dei suoi prodotti sono attestate al mercato, mediante l’intervento valutativo e certificativo di un soggetto terzo e
operante nel rispetto di talune garanzie di indipendenza, imparzialità e trasparenza.
Per queste precisazioni vedasi Accredia, Glossario minimo della qualità, pubblicato
all’indirizzo https://www.databio.it/context.jsp?ID_LINK=31&area=13.
12
Le norme ISO sono standard adottati dall’International Organization for Standardization il cui acronimo ISO è, non a caso, consonante con il termine greco isos (uguale). Si tratta di una associazione privata, istituita nel 1946 e cui aderiscono oltre 160
organismi nazionali (national standards bodies): la finalità dell’associazione è
l’unificazione e la pubblicazione di norme tecniche invalse nella prassi produttiva e
commerciale a livello internazionale. Sul sito dell’organizzazione si prende atto che
«[t]hrough its members, it brings together experts to share knowledge and develop
voluntary, consensus-based, market relevant International Standards that support innovation and provide solutions to global challenges». Dal 2001 ISO è membro del
World Standards Cooperation insieme a IEC (International Electrotechnical Commission) e ITU (International Telecommunication Union). Può essere interessante osservare che nell’ambito degli accordi istitutivi dell’Organizzazione Mondaile del Commercio (WTO), l’Accordo sulle barriere tecniche al commercio (Agreement on Technical Barriers to Trade, TBT) recepisce le definizioni di cui al documento «ISO/IEC
Guide 2:1991, General terms and their definitions concerning standardization and related activities» (cfr. Annex I, TBT Agreement); a parte questo rinvio, l’accordo TBT
pur interessandosi di «international and regional standardizing bodies and conformity
assessment systems» non compie mai un riferimento puntuale ad alcuna organizzazione (body); in ciò una differenza non secondaria rispetto all’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (Agreement on the Application of Sanitary and Phytosanitary
Measures, SPS) che, invece, menziona il Codex Alimentarius Commission,
l’International Office of Epizootics e il Secretariat of the International Plant Protection
Convention quali organizzazioni internazionali i cui standards assicurano la presunzione di conformità alle regole internazionali dell’accordo SPS a favore delle misure
sanitarie o fitosanitarie adottate da una parte contraente. Sul punto per una prima
introduzione nella prospettiva della food regulation: A. ALEMANNO, Trade in Food,
Regulatory and Judicial Approaches in the EC and the WTO, London, Cameron and
May, 2007. Nel periodo prebellico, in Gran Bretagna si costituiva l’Engineering Standards Committee (1901) cui seguì nel 1919 il British Standards Institution (BSI). Coeva
114
ALIMENTA
Uguale carattere volontario ha la certificazione di conformità agli
standard del British Retail Consortium (BRC Global Standards)13 o
del IFS Food14.
Affini a queste ultime l’insieme delle certificazioni, rilasciate da un
soggetto terzo, relative a definiti requisiti del prodotto o del processo
alimentare: attestazioni che, dall’assenza di talune sostanze («senza glutine»15, «senza OGM» et cetera)16, alla presenza di talaltre qualità, varia-
(1917) la costituzione, regnante Guglielmo II di Prussia e Germania, del Deutsches
Institut für Normung (DIN) quale associazione non profit registrata, status ancora
oggi invalso. In Francia l’Association Française de Normalisation (AFNOR), costituita
nel 1926, era successivamente qualificata “d’utilité publique” e posta sotto vigilanza
ministeriale. Cfr. A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze” private. Poteri pubblici
e certificazioni di mercato, Milano, 2010, 92. Quanto all’Italia, il Regio Decreto n.
1107/1931 aveva istituito l’UNI, Ente Italiano per l’unificazione dell’Industria (UNI)
poi soppresso con l. n. 1078/1954 e successivamente riorganizzato come associazione
privata senza scopo di lucro dal D.P.R. 10 marzo 1959. Per l’inquadramento corrente
di UNI si veda l. 21 giugno 1986, n. 317, recante Procedura d’informazione nel settore delle norme e regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione in attuazione della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 22 giugno 1998, modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 20 luglio 1998. A tal proposito si osservi che UNI è indicato, insieme al CEI (Comitato elettrotecnico italiano), come organismo di normazione nazionale nell’allegato II della direttiva 98/48, allegato successivamente sostituito
dall’allegato della direttiva 2006/96/CE e da ultimo soppresso dall’articolo 26 del regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre
2012 sulla normazione europea. Sul funzionamento e ruolo delle norme tecniche armonizzate in ambito europeo, l’ampio studio di A. ZEI, Tecnica e diritto tra pubblico e
privato, Milano, Giuffré, 2008, cui adde - con riferimento alle ricadute sul piano della
responsabilità civile - E. AL MUREDEN, La sicurezza dei prodotti e la responsabilità del
produttore. Casi e materiali, Torino, Giappichelli, 2017.
13
British Retail Consortium (BRC) Global Standards è un’organizzazione costituita
da operatori per lo più della distribuzione, operante mediante certificazione rilasciata
attraverso una rete globale di organismi di certificazione accreditati.
14
In tal caso la certificazione è rilasciata con riferimento allo standard IFS Food, riconosciuto nell’ambito del Global Food Safety Initiative (GFSI) per gli audit e il referenziamento delle industrie alimentari. L’obiettivo è la sicurezza alimentare e qualità
dei processi e dei prodotti. Riguarda i processi alimentari delle industrie produttive e
industrie che confezionano alimenti sfusi.
15
Sorprendente annotare che nel 1847 si registrava il lancio della «pasta glutinata», opera dell’intraprendenza di Govanni Buitoni. Nella seconda metà del secolo XIX la «pasta
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
115
mente si pongono in rapporto più o meno significativo17, più o meno
comprensibile18 dal consumatore finale, più o meno corretto e conforme
ai sensi della disciplina generale sulla protezione del consumatore19.
al glutine», «poliglutinata» o «iperglutinata» era presentata come «il miglior alimento
per bambini, ammalati e convalescenti, prodotto di regime per obesi, gottosi, uricemici
e diabetici». Negli ultimi cinque anni si è assistito a una consistente aumento di alimenti
gluten-free collegato a circa una ventina di brevetti depositati nel solo 2012. Per questi
rilievi, D. BRESSANINI – B. MAUTINO, Contro natura, Milano, 2015, 13.
16
Sul tema dell’indicazione volontaria «senza» nella comunicazione del prodotto alimentare I. CARREÑO – P. VERGANO, Uses and Potential Abuses of Negative Claims”
in the EU: The Urgent Need for Better Regulation, in Eur. Jour. of Risk Reg., 4, 2014,
pp. 469 e ss.
17
Ai sensi della disciplina quadro europea sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, le informazioni sugli alimenti devono essere «leali» cioè non
ingannevoli secondo i canoni generali di cui al primo paragrafo dell’art. 7, Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre
2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, su cui, senza pretesa di completezza, si vedano D. PISANELLO, Le responsabilità per la conformità della fornitura di informazioni sugli alimenti: ovvero ancora à la recherche de
l’anneau, in DCSCI, 1-2, 2015, pp. 203 e ss.; L. GONZÁLEZ VAQUÉ, The new European Regulation on Food Label-ling: are we ready for the “D” day on 13 December
2014?, in EFFLR, 2013, 158 e ss.; P. BORGHI, Diritto d’informazione nel recente regolamento sull’etichettatura, in C. RICCI (a cura di), La tutela multilivello del diritto
alla sicurezza e qualità degli alimenti, Milano, Giuffré 2012, 271-290; A. JANNARELLI,
La fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori nel nuovo reg. n.
1169/2011 tra l’onnicomprensività dell’approccio e l’articolazione delle tecniche performative, in Riv. dir. agr., 2012, I, p. 38 ss.; L. RUSSO, Deleghe normative e atti di
esecuzione nel reg. (UE) n. 1169/2011, in Riv. dir. agr., 2012, I, p. 47 ss.; V. MAGLIO,
Il nuovo regolamento sull’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari,
in Contr. Impr./Eur., 2011, 743 e ss.; S. MASINI, Diritto all’informazione ed evoluzione in senso «personalista» del consumatore (Osservazioni a margine del nuovo regolamento sull’etichettatura di alimenti), in Riv. dir. agr., 2011, I, 576 e ss.; L. COSTATO,
Le etichette alimentari nel nuovo regolamento (UE) n. 1169/2011, in Riv. dir. agr.,
2011, I, 658 e ss.; F. CAPELLI, Responsabilità degli operatori del settore alimentare, in
DCSCI, 2006, 391 e ss.
18
Ai sensi della summenzionata disciplina quadro europea sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, le informazioni sugli alimenti oltre che leali, devono essere «precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore» (art. 7.2,
Reg. (UE) n. 1169/2011 cit.).
19
Il riferimento è, tra gli altri, al provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), n. 9745 del 2001, COOP-CARNI BOVINE, nel quale
116
ALIMENTA
Appartengono al modello di certificazione regolamentata, invece, le attività di valutazione e certificazione svolte nell’ambito di un quadro giuridico specifico posto da norme legislative europee e/o nazionali: è il caso, in
primo luogo, delle ipotesi di marcatura CE previste da direttive e da regolamenti adottati nel tempo dal legislatore comunitario nell’ambito della
normativa comunitaria di armonizzazione c.d. nuovo approccio 20.
Con riferimento al mercato alimentare, sicuramente le certificazioni di marchio biologico è un caso di certificazione regolamentata,
così come stabilito dal Decreto Ministeriale (MiPAAF) 16 febbraio
2012, Sistema nazionale di vigilanza sulle strutture autorizzate al controllo delle produzioni agroalimentari regolamentate 21 a mente del
quale si intendono per «produzioni di qualità regolamentata» le produzioni soggette a sistemi di controllo ad hoc e precisamente: le «produzioni ottenute da agricoltura biologica», le «carni bovine con etichettatura facoltativa», «carni di pollame con etichettatura volontaria», «prodotti con denominazione di origine protetta (D.O.P.) inclusi
i prodotti vitivinicoli», Prodotti ad indicazione geografica protetta
(I.G.P.) inclusi i prodotti vitivinicoli» e le «Specialità tradizionali garantite (S.T.G.)».
l’Autorità ha valuto come ingannevole l’affermazione, rivolta al consumatore attraverso il quotidiano Il Corriere della Sera del 20 dicembre 2000 - in piena crisi sanitaria (e
mediatica) BSE - secondo cui le carni bovine vendute con il marchio COOP sarebbero state «assolutamente prive di ogni rischio»: la comunicazione, sorretta da disciplinare trasmesso e approvato dall’allora Ministero delle Politiche Agricole e collegato
con il sistema di qualità COOP Italia dichiarato conforme alla norma ISO 9001, è
stata dichiarata ingannevole nella misura in cui fermo il concetto cui vi sono «rischi
(…) non totalmente eliminabili con l’assunzione di prodotti di origine animale» è
«impropria e inadeguata e come tale fuorviante la garanzia di assoluta sicurezza della
carne bovina offerta dall’operatore pubblicitario» atteso che «le numerose procedure
di controllo che COOP ha adottato al fine di offrire il massimo grado di qualità e sicurezza della carne posta in vendita presso i propri centri commerciali non possono
in ogni caso costituire un fondamento valido alla prospettazione pubblicitaria di assoluta sicurezza e totale assenza di rischio della carne COOP».
20
Sul nuovo approccio si veda per tutti A. ZEI, Tecnica e diritto tra pubblico e privato,
Milano, Giuffré, 2008 cui adde M. GIGANTE, Effetti giuridici nel rapporto tra tecnica
e diritto: il caso delle norme armonizzate, in Riv. it. dir. pubb. com., 1997, 364 e ss.
21
Pubblicato in GURI, 1 marzo 2012, n. 51.
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
117
Tanto con riferimento alla certificazione del biologico22 quanto
con riferimento alla marcatura CE23 si può ritenere che, sotteso a queste attività economiche di certificazione, sussista un interesse pubblico
consistente nell’offrire uno mezzo di «presunzione di conformità dei
prodotti ai requisiti di legge», realizzando così una forma di tutela
preventiva dei consumatori, ovvero disciplinando l’accesso a determinati settori, come ad esempio per la partecipazione a gare di appalto
per l’esecuzione di lavori pubblici: «se pur tra loro eterogenee e finalizzate a soddisfare una pluralità di esigenze diverse, le certificazioni
svolgono nell’insieme la comune funzione di fornire ai terzi una “garanzia” circa l’affidabilità di un’impresa e dei suoi prodotti e, pertanto, costituiscono un efficace strumento di riduzione delle asimmetrie
informative tra coloro che operano sul mercato come fornitori o come
clienti»24.
Vi è chi ha chiaramente parlato di «crisi della legge»25 al riguardo
del sempre più frequente ricorso alle norme tecniche26 e del crescente
coinvolgimento di soggetti privati anche in attività considerate tradizionalmente appannaggio dell’autorità pubblica, si pensi ai soggetti
delegati nell’ambito dei controlli ufficiali degli alimenti, rende ancor
22
Cioè l’attività di controllo e certificazione svolta nell’ambito del campo di applicazione del Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, del 28 giugno 2007, relativo
alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91.
23
Per «marcatura CE» si intende «una marcatura mediante cui il fabbricante indica
che il prodotto è conforme ai requisiti applicabili stabiliti nella normativa comunitaria
di armonizzazione che ne prevede l’apposizione» come stabilito dall’art. 2(20), Regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008,
che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n.
339/93. Il sistema della marcatura CE sarà presto applicabile anche ai prodotti fertilizzanti in forza del Regolamento (UE) 2019/1009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 che stabilisce norme relative alla messa a disposizione sul
mercato di prodotti fertilizzanti dell’UE.
24
Per tutti A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze private”, cit., p. 271, Milano,
2010, 271. Sul punto anche E. BELLISARIO, La responsabilità degli organismi di certificazione della qualità, in Danno resp., 11, 2011.
25
Cfr. A. ZEI, op. ult. cit., p. 15.
26
Vedi ancora A. ZEI, op. ult. cit., p. 21
118
ALIMENTA
più evanescente il confine tra pubblico e privato, limes «frantumato e
relativizzato»27.
Comprensibile quindi un effetto di intorbidimento della natura
degli organismi di controllo operanti nelle filiere alimentari biologiche.
Da ciò la delicatezza della questione della giurisdizione nei casi in
cui sia da adirsi per quelle azioni esecutive adottate dall’organismo di
controllo incaricato, pensiamo al declassamento del prodotto in certificazione, l’imposizione di controlli rafforzati (a carico dell’impresa
certificanda), fino alla sospensione esclusione dalla certificazione, senza tralasciare, lo strascico del rischio da responsabilità civile.
Venendo alla disciplina del biologico vigente sino al 31 dicembre
2021, l’art. 23 del citato Reg. (CE) n. 834/2007 vieta l’uso di termini
riferiti alla produzione biologica nell’etichettatura e nella pubblicità di
prodotti che non soddisfano le prescrizioni previste dal regolamento o
siano stabilite in virtù del medesimo.
Più nel dettaglio l’utilizzo della denominazione «biologico», o anche l’uso del solo termine «bio»28, sulle produzioni agricole e alimentari è riservata a quelle a quelle produzioni agricole o alimentari assoggettate, per il tramite di contratto, appunto, di certificazione, al
controllo e alla certificazione di un con uno dei diversi «organismi di
controllo» autorizzati dall’ordinamento nazionale a tale fine.
La principale tra le condizioni per l’impiego del termine biologico
è che «[p]rima di immettere prodotti sul mercato come biologici o in
conversione al biologico, gli operatori (omissis): a) notificano la loro
attività alle autorità competenti dello Stato membro in cui l’attività
stessa è esercitata; b) assoggettano la loro impresa al sistema di controllo di cui all’articolo 27».
Quest’ultimo articolo prevede, al primo paragrafo, che «[g]li Stati
27
Così Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2015, n. 2660, con riferimento alla nozione di
ente pubblico.
28
Per Cass. Civ. 13 marzo 2009, n. 6234, costituisce illecito in quanto idoneo ad indurre in errore il consumatore sull’origine biologica dei prodotti l’uso del termine bio
nell’ambito del marchio registrato «BIO-ENE» apposto su un prodotto convenzionale. Per un commento alla sentenza, D. PISANELLO, Disciplina della produzione biologica: verso un vero inasprimento della repressione delle condotte illecite?, in DCSCI,
4, 2010, pp. 747 ss.
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
119
membri istituiscono un sistema di controllo e designano una o più autorità competenti responsabili dei controlli relativi agli obblighi sanciti dal presente regolamento in conformità del regolamento (CE) n.
882/2004».
Sempre in base all’articolo 27 citato alle autorità di controllo nazionali è assegnata la facoltà di «delegare compiti di controllo a uno o
più organismi di controllo» alle condizioni fissate dallo stesso articolo.29
Vale sottolineare che anche il primo regolamento sul biologico, adottato nel 1992,30 concedeva agli Stati membri analoga facoltà di organizzare sul proprio territorio il sistema di controllo mediante «un sistema di
controllo gestito da una o più autorità di controllo designate e/o da organismi privati riconosciuti»,31 e ciò – si osservi – ben prima della radicale
riforma legislativa del settore alimentare e mangimistico, inaugurata con
il fondamentale Regolamento (CE) n. 178/200232, proseguita con i rego29
A mente dell’art. 27.5 del Reg. (CE) n. 834/2007 «[l]’autorità competente può delegare compiti di controllo ad un particolare organismo di controllo soltanto se sono
soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n.
882/2004, in particolare se: a) vi è una descrizione accurata dei compiti che
l’organismo di controllo può espletare e delle condizioni alle quali può svolgerli; b) è
comprovato che l’organismo di controllo: i) possiede l’esperienza, le attrezzature e le
infrastrutture necessarie per espletare i compiti che gli sono stati delegati; ii) dispone
di un numero sufficiente di personale adeguatamente qualificato ed esperto; iii) è imparziale e libero da qualsiasi conflitto di interessi per quanto riguarda l’espletamento
dei compiti che gli sono stati delegati; c) l’organismo di controllo è accreditato secondo la versione più recente pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea,
serie C, della norma europea EN 45011 o della guida ISO 65 «Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di certificazione dei prodotti» ed è autorizzato dalle autorità competenti; d) l’organismo di controllo comunica i risultati dei controlli effettuati all’autorità competente, in modo regolare e ogniqualvolta quest’ultima
ne faccia richiesta. Se i risultati dei controlli rivelano una non conformità o sollevano
il sospetto della stessa, l’organismo di controllo ne informa immediatamente l’autorità
competente; e) vi è un coordinamento efficace fra l’autorità competente delegante e
l’organismo di controllo».
30
Regolamento (CEE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui
prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, in GUUE, L 198, 22.7.1991, pp. 1–15.
31
Cfr. art. 9, Reg. (CEE) n. 2092/91 cit.
32
Regolamento (CE) n. 178 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio
120
ALIMENTA
lamenti sull’igiene e sui controlli ufficiali (2004),33 la riforma (liberalizzatrice) delle indicazioni nutrizionali e sulla salute (2006)34, il riordino in
2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della
sicurezza alimentare. Per una prima introduzione al tema e senza pretesa di completezza: S. MASINI, Corso di diritto alimentare, Milano, Giuffré, 2015, A. ALEMANNO – S.
GABBI, Foundations of EU Food Law and Policy, New York, Routledge, 2016, L. FOFFANI, – A. DOVAL PAIS – D. CASTRONUOVO (a cura di), La sicurezza agro-alimentare
nella prospettiva europea. Precauzione, prevenzione e repressione, Milano, Giuffré,
2014, D. PISANELLO (a cura di), Guida alla Legislazione Alimentare, Roma, EPC,
2010, O’ROURKE, European Food Law, London, Sweet & Maxwell 2005; V. PACILEO,
Il diritto degli alimenti, profili civili, penali e amministrativi, Padova, CEDAM, 2003,
AA.VV. (a cura dell’Istituto di diritto agrario internazionale e comparato IDAIC), La
Sicurezza Alimentare nell’Unione Europea, in Nuove leggi civ. comm., 1-2, 2003.
33
Relativamente al profilo dell’igiene delle produzioni alimentari, la disciplina applicabile
dal 1° gennaio 2006 è contenuta in un insieme di regolamenti e alcune direttive, conosciuto anche come «pacchetto igiene». Più precisamente le principali fonti comunitarie
sull’igiene alimentare sono le seguenti: il regolamento (CE) n. 852/2004, sull’igiene dei
prodotti alimentari, il Regolamento (CE) n. 853/2004, che stabilisce norme specifiche in
materia d’igiene per gli alimenti di origine animale e il Regolamento (CE) n. 882/2004 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a
verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme
sulla salute e sul benessere degli animali, quest’ultimo abrogato dal Regolamento (UE)
2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli
ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione
sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla
sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari (regolamento sui controlli ufficiali). Sul
punto, V. RUBINO, The impact of EU public organizational rules and private standards on
official food controls, in Riv. dir. al., Ottobre-Dicembre 2016, online; L. GONZÁLEZ
VAQUÉ, The European Commission Proposal to Simplify, Rationalise and Standardise
Food Controls. Towards a New Concept of “Food Law” in the EU?, in EFFLR, 2013, 5,
pp. 308 e ss.; C. BIGLIA, Il Controllo Ufficiale, in D. PISANELLO (a cura di), Guida alla legislazione alimentare, cit., 163 e ss.; F. AVERSANO – V. PACILEO, Prodotti alimentari e legislazione, Bologna, Il Mulino, 2006.
34
Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20
dicembre 2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti
alimentari, in GUUE, L 404 del 30 dicembre 2006. A ciò si aggiunga Regolamento
(UE) n. 432/2012 della Commissione, del 16 maggio 2012, relativo alla compilazione
di un elenco di indicazioni sulla salute consentite sui prodotti alimentari, diverse da
quelle facenti riferimento alla riduzione dei rischi di malattia e allo sviluppo e alla salute
dei bambini, in GUUE, L 136 del 25 maggio 2012. Sul quadro sanzionatorio per le vio-
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
121
materia di additivi, aromi e enzimi (2008)35 e i M.O.C.A. (2004-2011)36,
per approdare nel 2011 alla riforma della disciplina della etichettatura,
presentazione e pubblicità degli alimenti37 e al cambio di marcia relativamente ai «nuovi alimenti» (2015)38.
lazioni di questo regolamento Decreto legislativo 7 febbraio 2017, n. 27, recante Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n.
1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, in GURI, Serie Generale n. 64 del 17 marzo 2017, su cui si veda V. RUBINO, Gli
“health claims” e l’etichettatura degli alimenti, in Riv. dir. al., 1, 2014, 22 e ss., online.
35
Con «Food Improvements Agents Package» si intendono i seguenti atti legislativi:
Regolamento (CE) n. 1331/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, che istituisce una procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi,
gli enzimi e gli aromi alimentari; Regolamento (UE) n. 1332/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 relativo agli enzimi alimentari; Regolamento (UE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre
2008, relativo agli additivi alimentari; Regolamento (UE) n. 1334/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre, relativo agli aromi e ad alcuni ingredienti
alimentari con proprietà aromatizzanti destinati a essere utilizzati negli e sugli alimenti, tutti pubblicati in GUUE, L 354 del 31 dicembre 2008, pp. 1 ss.
36
Materiali e Oggetti a Contatto con gli Alimenti (MOCA): Regolamento (CE) n.
1935/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 riguardante i
materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che
abroga le direttive 80/590/CEE e 89/109/CEE, in GUUE, L 338 del 13 novembre
2004, pp. 4 ss.; Regolamento (CE) n. 2023/2006 della Commissione del 22 dicembre
2006 sulle buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con prodotti alimentari, in GUUE, L 384, 29 dicembre 2006, pp. 75–
78; Regolamento (CE) n. 450/2009 della Commissione del 29 maggio 2009 concernente i materiali attivi e intelligenti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, in GUUE, L 135, del 30 settembre 2009, pp. 3 ss.; Regolamento (UE) n. 10/2011
della Commissione del 14 gennaio 2011 riguardante i materiali e gli oggetti di materia
plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, in GUUE, L 12 del 15
gennaio 2011, pp. 11 ss. Per il quadro sanzionatorio applicabile alle violazioni di questi regolamenti vedi Decreto legislativo 10 febbraio 2017, n. 29, recante Disciplina
sanzionatoria per la violazione di disposizioni di cui ai regolamenti (CE) n.
1935/2004, n. 1895/2005, n. 2023/2006, n. 282/2008, n. 450/2009 e n. 10/2011, in
materia di materiali e oggetti destinati a venire a contatto con prodotti alimentari e
alimenti, in GURI Serie Generale n.65 del 18 marzo 2017.
37
Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, cit.
38
Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n.
122
ALIMENTA
L’adeguamento dell’ordinamento italiano alla disciplina europea
sul biologico è stato assicurato con il Decreto legislativo 17 marzo
1995, n. 220, recante Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento n.
2092/91/CEE in materia di produzione agricola ed agro-alimentare
con metodo biologico. Con tale decreto il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, oggi il Ministero delle Politiche agricole,
alimentari e forestali (MiPAAF), era - ed è tutt’ora - individuato quale
«autorità preposta al controllo ed al coordinamento delle attività amministrative e tecnico-scientifiche inerenti l’applicazione della regolamentazione comunitaria in materia di agricoltura biologica, di cui al
regolamento CEE del Consiglio n. 2092/91 del 24 giugno 1991, e successive modifiche ed integrazioni»39. Si osservi che nel passaggio dal
primo regolamento all’oggi vigente Reg. (CE) n. 834/2007, nessuna
modifica legislativa è intervenuta su tale decreto.
Il decreto ora in parola reca, in particolare, la disciplina nazionale
di riferimento per l’autorizzazione degli enti che intendono esercitare
l’attività di controllo in ambito biologico; questi soggetti devono presentare apposita istanza sulla quale il MiPAAF si pronuncia entro novanta giorni e, in caso di accoglimento, mediante decreto di autorizzazione, abilita l’organismo di controllo ad «esercitare la propria attività
su tutto il territorio nazionale», potendo così svolgere «i controlli previsti dalle norme comunitarie secondo un piano-tipo, predisposto annualmente» dall’organismo stesso,40 e potendo questo «rilascia[re] la
certificazione, a seguito delle ispezioni di esito favorevole, ai sensi
dell’allegato IV»41.
Gli organismi di controllo così autorizzati sono poi sottoposti alla
1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n.
258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001
della Commissione.
39
Cfr. art. 1, D.lgs. n. 220/1995 cit.
40
Il piano è trasmesso entro il trenta novembre di ciascun anno per l’attività relativa
all’anno successivo, alle regioni e alle provincie autonome interessate ed al MiPAAF
che, d’intesa con le regioni e le provincie autonome interessate, può formulare rilievi
ed osservazioni entro trenta giorni dal ricevimento. L’organismo di controllo è tenuto
a svolgere la propria attività secondo il piano predisposto, tenendo conto delle modifiche eventualmente apportate su richiesta del Ministero.
41
Art. 5, co. 2°, d.lgs. n. 220/1995.
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
123
«vigilanza» del Ministero e delle «regioni e provincie autonome, per le
strutture ricadenti nel territorio di propria competenza» 42 .
L’autorizzazione può essere revocata, sempre con decreto ministeriale, «qualora sia emerso che l’organismo non risulta più in possesso dei
requisiti sulla base dei quali l’autorizzazione è stata concessa», ovvero
nei casi previsti dalla disciplina europea e in ultima analisi riconducibili a ipotesi espressamente contemplate nel regolamento di base43.
Questa rapida rassegna preliminare dei principali elementi della
disciplina delle persone giuridiche private che, in ragione della descritta autorizzazione ex art. 3 d.lgs. n. 220/1995, possono svolgere sul
mercato italiano le attività di valutazione (controllo) e certificazione
del biologico, deve per lo meno menzionare il Decreto del MiPAAF
del 20 dicembre 2013, recante Disposizioni per l’adozione di un elenco di «non conformità» riguardanti la qualificazione biologica dei
prodotti e le corrispondenti misure che gli Organismi di Controllo
devono applicare agli operatori, ai sensi del Reg. (CE) n. 889/2008,
modificato da ultimo dal Regolamento di esecuzione (UE) n.
392/2013 della Commissione del 29 aprile 201344.
Con questo decreto ministeriale sono stati definiti principi generali e requisiti specifici per l’adozione, da parte degli organismi di controllo autorizzati, di “provvedimenti” conseguenti all’accertamento di
non conformità alle regole tecnico-regolatorie poste a livello comunitario e nazionale. Nonostante la terminologia impiegata, come si vedrà, sussiste una estesa area di incertezza in merito alla natura (e agli
effetti) di queste misure.
42
Art. 4, d.lgs. n. 220/1995.
L’art. 27.9 (d), Reg. (CE) n. 834/2007 prevede che la revoca dell’autorizzazione sia
disposta quando l’organismo non soddisfa i requisiti di obbiettività, indipendenza ed
efficacia dei controlli, ovvero non rispetta i criteri che sono presupposto per
l’autorizzazione (e codificati ai paragrafi 5 e 6) o, ancora, nel caso di mancata collaborazione e assistenza con l’autorità competente (art. 27.11), mancata adozione delle
«misure precauzionali e le misure di controllo» previste dal regolamento a carico degli operatori soggetti al loro controllo (art. 27.12) e, infine, nel caso di omesso invio
dell’elenco degli operatori controllati entro il termine posto (art. 27.14).
44
Pubblicato nella GURI del 10 febbraio 2014, n. 33.
43
124
ALIMENTA
3. Caso, decisione e prime luci sul nuovo paesaggio.
Premesso ciò, il caso è presto detto: una azienda agricola, attiva
nella produzione di frutta (albicocche) con il metodo della produzione biologica ricorreva innanzi al TAR di Potenza avverso i «provvedimenti» adottati nei suoi confronti dal proprio organismo di controllo (OdC),45 con il quale aveva stipulato un articolato accordo per
l’esecuzione di una serie di attività, alcune delle quali rientranti nelle
attività di controllo e certificazione ai sensi del Reg. CE 834/2007 (e
domani, il Reg. 2018/848/UE).46 Più precisamente l’operatore in biologico era destinatario di due provvedimenti47 coi quali l’Organismo di
45
In diritto italiano, la base giuridica per l’adozione di questi «provvedimenti» o, nella terminologia del Reg. 2028/848/UE e Reg- 2017/625/UE, «azioni esecutive», è data
dal Decreto ministeriale 20 dicembre 2013, Disposizioni per l’adozione di un elenco
di «non conformità» riguardanti la qualificazione biologica dei prodotti e le corrispondenti misure che gli Organismi di Controllo devono applicare agli operatori, ai
sensi del Reg. (CE) n. 889/2008. Questo decreto, noto impropriamente come “decreto sanzioni” da correggere per lo meno in “Decreto NC”, costituisce la cornice amministrativa di riferimento per la gestione delle non conformità alla disciplina di settore che siano state rilevate dagli organismi di controllo autorizzati dal Ministero. Il
DM NC è diretta attuazione all’art. 30 del Reg. (CE) 834/2007 dedicato alle misure in
caso di irregolarità e infrazioni che, in estrema sintesi, esige che i provvedimenti (misure) nel caso di non conformità siano proporzionali. Si è segnalato al riguardo che il
DM NC «predilige una “logica da check-list” per la quale è sufficiente, per
l’organismo delegato dal Ministero, incasellare il caso concreto (non conformità) nella
tabella allegata» (cfr. D. PISANELLO, L’agricoltura… cit. p. 87).
46
È un dato da non tralasciare: molte delle attività oggetto di contratto di certificazione sono oggetto di disposizioni legislative e regolamentari sulle quali sussiste la vigilanza del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF) ai sensi
del citato TU sui controlli in biologico nonché per la restante normativa UE richiamata nel testo.
47
I provvedimenti emessi secondo il predetto DM Non Conformità erano tre. Il primo dei quali, n. 130 del 24 luglio 2018, disponeva il divieto di commercializzazione
per il periodo di giorni 180 per l’azienda delle albicocche con indicazioni riferite al
metodo della produzione biologica. Il secondo, n. 132, reso in pari data, disponeva il
divieto, per la predetta azienda agricola, di riportare nelle etichette delle albicocche le
indicazioni inerenti al metodo della produzione biologica. Il terzo, n. 138, emanato il
3 agosto 2018, comunicava all’azienda agricola la risoluzione di diritto dei rapporti tra
le parti e l’avvio della procedura di cancellazione dell’azienda dall’elenco degli operatori biologici.
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
125
controllo incaricato aveva prima sospeso il certificato e poi declassato
tutto il raccolto di albicocche dell’anno 2016. L’operatore proponeva
un ricorso interno avverso i summenzionati provvedimenti innanzi al
Comitato Ricorsi, il quale lo respingeva.48 L’operatore impugnava i
predetti provvedimenti dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Basilicata sulla base della prospettazione di plurimi vizi
di legittimità (e con conseguente domanda di annullamento dei provvedimenti medesimi).
Il TAR Basilicata pronunciava sentenza n. 772/2018, pubblicata il
22 novembre 2018, con la quale, in accoglimento dell’eccezione di carenza di giurisdizione, sollevata dall’Organismo di controllo, dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, ritenendo la
stessa essere devoluta al giudice ordinario.
La sentenza del giudice amministrativo di primo grado era quindi
oggetto di ricorso in appello da parte dell’azienda agricola dinanzi al
Consiglio di Stato, che, con sentenza della Sezione terza, n.
4119/2019, pubblicata il 18 giugno 2019, non notificata, accoglieva
l’appello, annullando la pronuncia impugnata con rinvio dinanzi al
TAR Basilicata, ritenendo che la controversia appartenesse alla giurisdizione del giudice amministrativo.
In quella occasione, il Consiglio di Stato, pur ribadendo la natura
dell’OdC quale soggetto di diritto privato, aveva ritenuto che lo stesso
svolgesse attività avente carattere pubblicistico, operando per effetto
di delega del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di modo
che, trattandosi dell’esercizio di una funzione pubblica per effetto di
delega, la posizione giuridica del privato di fronte all’esercizio di un
tale potere autoritativo, avesse consistenza di interesse legittimo.
La sentenza n. 4119/2019 veniva impugnata innanzi alla Corte di
Cassazione, sezioni unite, per ragioni di giurisdizione.
La Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso, cassa la sen-
48
Sul Comitato ricorsi vedasi pure il Decreto legislativo n. 20/2018 sia pur non applicabile ratione temporis. In particolare del Comitato Ricorsi, quale organo cui è demandata la decisione sul ricorso “amministrativo”, si occupa la parte C dell’allegato 2.
Questo allegato è dedicato alle prescrizioni volte a rafforzare i profili di idoneità, indipendenza, imparzialità e assenza di conflitto di interesse in capo all’organismo delegato al controllo e certificazione in biologico.
126
ALIMENTA
tenza impugnata, ribadendo quanto già professato nella precedente e
già citata ordinanza SS.UU. n. 9678/2019, e afferma la (sola) giurisdizione del giudice ordinario.49 Sostiene la sentenza in rassegna, in uno
dei punti nevralgici, che «… non possa offrirsi una lettura del succitato termine “delega” se non nell’ambito del sistema complessivamente
delineato che, non diversamente da quanto nella normativa sovranazionale previgente quale interpretata dalla corte di Giustizia, presuppone in realtà l’esercizio di un potere di autorizzazione dell’autorità
pubblica di vigilanza subordinato al rispetto della sussistenza di requisiti tassativi previsti dalla legge in capo agli organismi di controllo, di
modo che risulti garantita l’obiettività ed assicurata l’efficienza dei
controlli effettuati dagli organismi privati, che segnatamente
nell’ambito dell’attività di certificazione, legata a parametri tecnici,
operano secondo il diritto privato in adempimento di obbligazioni
aventi fonte contrattuale con il produttore biologico, che si assoggetta
alla relativa certificazione di conformità»50.
Per la Suprema Corte continua ad avere unico rilievo il giudizio
sulla «discrezionalità amministrativa», secondo il sentiero già tracciato
nella precedente Ordinanza n. 9678/2019.
Se non c’è - come continua a affermare la Corte di cassazione non ci può essere giurisdizione amministrativa e a nulla vale la diversità di petitum51 o altre considerazioni e letture prospettabili.
49
Non sembra che nella decisione della Suprema Corte sia ripreso l’argomento, prospettato da una delle parti, del parallelismo con le società di Attestazione (SOA).
50
Cfr. punto 4.5, Sentenza n. 1914/2021.
51
La Sentenza n. 1914/2021 scarta l’argomento della diversità di petitum che, in fase
processuale, era stata formalmente sollevato. In proposito, il punto 5.1 della Sentenza
del 28 gennaio 2021, che recita «né a ciò osta il diverso petitum di annullamento dei
provvedimenti impugnati, oggetto della domanda originariamente proposta
dall’azienda agricola F.V. dinanzi al TAR Basilicata, rispetto alla domanda risarcitoria
nei confronti dell’organismo privato autorizzato che aveva - secondo il produttore di
limoni nel giudizio nel corso del quale era stata avanzata l’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione definito dalla succitata ordinanza di questa Corte - “ingiustamente e negligentemente” disposto, in esecuzione del contratto di certificazione
“bio” il divieto di commercializzazione del prodotto come biologico sulla base del
prelevamento di un solo campione dello stesso.». La Corte riafferma (5.2.) «Dovendo
infatti, farsi riferimento, ai fini della decisione sulla giurisdizione, al c.d. petitum sostanziale, la domanda va correlata alla posizione giuridica soggettiva dedotta in giudi-
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
127
La questione della giurisdizione relativamente al contenzioso tra
operatori e organismi di controllo, postasi a partire dall’ordinanza
SS.UU. n. 9678/2019 e la già citata sentenza del TAR in Potenza, si
conclude. Il Consiglio di Stato, intesa la musica52, non ha tardato ad
adeguarsi nelle prime due occasioni utili, rigettando due ricorsi contenti analoghi rilievi sulla giurisdizione del TAR avverso misure (di
«non conformità») adottate dall’organismo di controllo incaricato.53
La lettura avanzata dal TAR Basilicata, poi supportata da altri
precedenti del TAR Emilia-Romagna54 e TAR Veneto55, rintuzzata dal
zio, che, alla stregua delle considerazioni sopra esposte, deve ritenersi, diversamente
da quanto affermato dal Consiglio di Stato, di diritto soggettivo, dovendo escludersi
che l’organismo autorizzato assuma la veste di pubblica amministrazione ex art. 7,
comma 2, cod. proc. amm., ovvero eserciti, nell’ambito dell’esecuzione del contratto
di certificazione, funzioni pubbliche». Vedi pure punto (5.3).
52
Non sembra solo una coincidenza il punto 4.8 redatto come segue: «4.8. Al riguardo va ribadito come competa alla Corte di Cassazione, nell’ambito dell’esame di ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione avverso sentenza del Consiglio di Stato
“non soltanto il giudizio vertente sull’interpretazione della norma attributiva della
giurisdizione, ma anche il sindacato sull’applicazione delle disposizioni non meramente processuali, che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione, nonché di quelle
correlate attinenti al sistema delle impugnazioni” (cfr. Cass. SS.UU. 23 novembre
2011, n. 20727)».
53
Vedi sentenze Consiglio di Stato tra il febbraio e il marzo 2021.
54
Cfr. la sentenza del TAR Emilia-Romagna n. 567/2020, ove si legge che: «[i]n particolare, con la sentenza n. 9678 del 5 aprile 2019, le Sezioni Unite della Cassazione,
risolvendo il contrasto giurisprudenziale sul punto, hanno chiarito che le controversie
tra aziende operanti nel settore del “biologico” e i soggetti deputati al rilascio delle
necessarie certificazioni ed alle relative attività di controllo ricadono nell’ambito della
giurisdizione del Giudice Ordinario, e non di quello Amministrativo (così superando
il precedente orientamento della giurisprudenza amministrativa, vedi Consiglio di
Stato, sentenza n. 4114/2019), in quanto gli O.d.C. non assumono la veste di pubblica
amministrazione, né partecipano all’esercizio di un pubblico potere, svolgendo essi
un’attività ausiliaria, valutativa e certificativa (prelievi e analisi), sotto la sorveglianza
dell’autorità pubblica, che si sostanzia in apprezzamenti ed indagini da compiersi sulla base di criteri esclusivamente tecnici e scientifici, costituente espressione di una
discrezionalità meramente tecnica, in relazione alla quale sorgono in capo ai soggetti
privati destinatari del controllo posizioni di diritto soggettivo la cui tutela rientra nella
giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria».
55
Poi seguite da TAR Veneto, sentenza n. 571/2020. Contra sentenza del TAR Puglia
n. 825/2020.
128
ALIMENTA
Consiglio di Stato con le ordinanze del 2018 e poi con la citata sentenza
4119/2019 (quasi un epitaffio)56 ha infine prevalso con la “spallata” decisiva di cui alla sentenza delle sezioni unite civile qui in rassegna.
D’ora in avanti si ragiona in termini di «discrezionalità amministrativa». Per la Corte di cassazione nel caso delle misure provvedimentali (o «azioni esecutive» secondo il gergo impiegato dal Regolamento UE n. 2017/625) adottate nell’ambito del controllo del biologico non vi è esercizio di potere pubblico. Occorrerà farsene una ragione o, al massimo, domandarsi se tale giudizio interno resterà fermo
ove la Corte di giustizia UE dovesse nuovamente pronunciarsi sulla
disciplina UE di settore. Dal tenore della sentenza, la cui analisi parte
(e si ferma) alle sentenze del 2007 rese dalla Corte in Lussemburgo sul
primo regolamento del biologico, induce a ritenere di no.57
La sentenza schiude e valorizza d’ora in avanti il dato contrattuale,
chiamando in causa regole e principi che dovranno coniugarsi necessariamente con gli obblighi legislativi e normativi degli organismi di
controllo e, più in generale col diritto europeo dell’alimentazione. Un
campo esteso ed estremamente diramato.
56
Cui, ad onor del vero, deve aggiungere TAR Puglia – Bari, sentenza n. 825/2020
che aveva affermato che «è altrettanto indubitabile che [l’OdC] svolga attività non
solo regolata dalla legge, ma avente carattere pubblicistico», richiamando l’art. 27 del
Reg. CE 834/2007 e il decreto legislativo n. 20/2018. Pertanto giungeva alla conclusione che «le potestà certificatorie e sanzionatorie svolte da ICEA sono, infatti, anche
alla luce di quanto meglio esposto in premessa, non solo atti esecutivi di un rapporto
contrattuale, ma anche e soprattutto esplicazione di poteri che la legge riserva a determinati soggetti a determinate condizioni” e «che oggi l’amministrazione pubblica,
intesa alla stregua di complesso di organi e uffici deputati alla cura di interessi pubblici tende sempre più ad avvalersi dell’ausilio di soggetti privati per lo svolgimento di
compiti pubblicistici, tanto che la giurisprudenza ha qualificato i privati incaricati dello svolgimento di funzioni pubbliche come organi indiretti della pubblica amministrazione». Coerentemente il T.A.R. Puglia ha concluso riconoscendo la sussistenza di
un «interesse legittimo a che l’organismo di Controllo, nell’esercizio della delegata potestà pubblicistica sanzionatoria faccia buon uso del suo potere di garantire il perseguimento del pubblico interesse alla genuinità del prodotto biologico immesso in commercio, nel rispetto dei limiti interni ed esterni della discrezionalità amministrativa».
57
Rispetto alla sentenza in commento, il richiamo e rimando alla giurisprudenza (anche ventura) della Corte di Giustizia sembra comunque non precludere un cambio
alla luce di nuovi approdi del Giudice dell’UE.
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
129
In ogni caso i chiarimenti offerti dalla sentenza delle sezioni unite
sono comunque una buona notizia per il sistema del biologico, che
aiuteranno a mettere a fuoco alcuni tasselli del TU controlli del biologico relativi alle non conformità (articolo 5)58, obblighi dell’organismo
incaricato (articolo 6)59 e autorizzazione ministeriale (articolo 4)60.61
Alla luce di quanto sopra, spiace il silenzio osservato dalla Sentenza in rassegna sulle pur fondamentali e nutrite disposizioni del Reg.
2017/625/UE e n. 2018/848/UE. Una decisione che guarda completamente al passato e non si chiede cosa cambierà a partire dal 1° gennaio 2022. E cambierà.
In summa, è legittima impressione che sulla questione toccherà
tornarci, presto o tardi.
58
Vedi in particolare il punto 3.1 della Sentenza in rassegna: «3.1. Le ipotesi di “non
conformità” sono modulate, da ultimo, secondo il disposto del citato D.Lgs. n. 20 del
2018, art. 5, secondo un ordine decrescente di gravità, indicate rispettivamente quali
“infrazioni”, “irregolarità” ed “inosservanze”, secondo la definizione rispettivamente
fattane dal D.Lgs. n. 20 del 2018, art. 5, comma 4, del citato art. 5, comma 6 e dal
comma 8 del suddetto Decreto».
59
Ad esempio, e a mero titolo di esempio, il punto 3.3.della sentenza recita: «L’art. 6,
comma 1, lett. d), del citato Decreto prevede che “Nell’esercizio dell’attività di controllo, fermo restando quanto previsto dall’art. 4, comma 6, l’organismo di controllo,
ha l’obbligo di: adottare, in caso di irregolarità o infrazioni, le misure corrispondenti a
carico degli operatori, anche se receduti o esclusi dal sistema, per fatti antecedenti al
recesso o all’esclusione”».
60
Vedi punto 3.2. della Sentenza in rassegna ove si ricorda il D.Lgs. n. 20 del 2018, art. 5,
comma 7, il quale prevede che «L’accertamento di una o più irregolarità comporta
l’applicazione, da parte dell’organismo di controllo al quale è assoggettato l’operatore,
previa diffida in caso di irregolarità sanabili, della soppressione delle indicazioni biologiche, in proporzione all’importanza del requisito violato e alla natura e alle circostanze particolari delle attività irregolari. La soppressione comporta il divieto per l’operatore di riportare le indicazioni relative al metodo di produzione biologica, nell’etichettatura e nella
pubblicità dell’intera partita o dell’intero ciclo di produzione in cui è stata riscontrata irregolarità». L’art. 4, comma 6, richiamato nella disposizione precedente citata, disciplina i
requisiti necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione, che debbono essere assicurati, senza soluzione di continuità, per l’intera durata dell’autorizzazione medesima.
61
Vedi soprattutto l’art. 3, comma 2 voe recita «Il Ministero delega i compiti di controllo, ai sensi dell’art. 27, paragrafo 4, lettera b) del regolamento” per tale dovendo
intendersi, per effetto dell’art. 2, il Regolamento (CE) del Consiglio n. 834/2007, «ad
uno o più degli organismi di controllo che, a tal fine, presentano istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 4, comma 1». In Sentenza vedi punto 2.2.
130
ALIMENTA
La stessa sentenza in rassegna presenta degli aspetti che devono
essere ricomposti: è in qualche modo sorprendente che, pur nel quadro di una impostazione rigidamente civilista e nel quadro di un contezioso secondo il rito civile, la sentenza utilizza termini «provvedimenti» per indicare le decisioni dell’organismo delegatocontrattualizzato.
A ciò si accompagna, è lecito supporre, il richiamo espresso del
canone della giustificazione (punto 5.3 della sentenza in rassegna) di
misure meno restrittive62.
È Proprio il punto 5.3 che sembra rimarcare il dato che per la Suprema Corte merita di essere riconfermato della ordinanza del 2019:
«come già affermato da questa Corte con la citata Cass. SS.UU., ord.
n. 9678/19, le certificazioni si configurano, infatti, come “strumenti di
circolazione di “informazioni” destinate in particolare ai consumatori,
quali attestazioni di conformità del prodotto agli standards di legge e
di “garanzia” dell’affidabilità al riguardo dell’impresa e dei suoi prodotti”.
Ciò risponde all’esigenza, esplicitata nel considerando 22 del citato Reg. (CE) n. 834/07, che afferma che “è importante preservare la
fiducia del consumatore nei prodotti biologici. Le eccezioni ai requisiti della produzione biologica dovrebbero pertanto essere strettamente
limitate ai casi in cui sia ritenuta giustificata l’applicazione di norme
meno restrittive»63.
Questo passaggio rappresenta l’adesione alla ricostruzione fornita
dalla più attenta manualistica64 che proprio nel ricorso introduttivo
del caso Ardizzone che porto alla citata ordinanza del 2019.
Guardando al futuro, il quadro della normativa complessivamente
applicabile all’organismo designato in ambito biologico, in rapido
sommovimento, porta a vedere nuovi interessi e multiple finalità assegnate o richiamate dal nuovo apparato normativo di cui al Regola-
62
Le non conformità si inquadrano nelle “azioni esecutive disposte dall’organismo
designato”. Sul punto della ragionevolezza si segnala la già citata sentenza del TAR
Puglia 825/2020 quale pronunciamento da non dimenticare abbandonare nel dimenticatoio.
63
Punto 5.3 della Sentenza.
64
Cfr. A. BENEDETTI, Certezza pubblica…cit.
QUALE GIUDICE PER IL BIOLOGICO
131
mento n. 2017/625/UE e dal Regolamento n. 2018/848/UE, e i rispettivi regolamenti di implementazione (delegati o di esecuzione) connessi a due atti legislativi dell’UE65.
Sembrano quindi sussistere aspetti che, in un futuro non troppo
lontano, torneranno certamente al calamaio del giudice italiano, sia
esso civile o, per altra via, amministrativo, tali e tanti sono i profili che
gli organismi di controllo delegati sono tenuti ad osservare e contemperare nello svolgimento dei compiti oggetto di autorizzazione ministeriale nell’ambito del controllo e certificazione del biologico66: obblighi di organizzazione, riservatezza, normative doganali, flussi di informazione connessi ad attività certificativa o provvedimentale, nella
costante vigilanza – visti i tempi – in termini di cyber-sicurezza e gestione del documento informatico. Big Data, dunque.
Alla prima B di “Bio” ne segue una seconda, quella di “Big Data”.
C’è da sperare e da operare affinché ne segua una terza: la B di “Buono”!
Daniele Pisanello
65
Non si approfondirà qui, limitandosi a osservare che il Regolamento UE n.
2017/625 predispone una disciplina ancor più articolata e dettagliata con riferimento
ai controlli ufficiali nel settore dell’agricoltura biologica, segno inequivocabile
dell’attrazione, per lo meno ad alcuni fini, nella sfera pubblica, in linea con lo sviluppo economico del fenomeno “bio”. Quest’ultimo regolamento contempla espressamente gli organismi delegati al controllo del biologico nel quadro della disciplina sui
controlli ufficiali e le altre attività ufficiali: è sufficiente prendere atto, ad esempio,
degli artt. 5, 12.4, 13.4, 15.2, del Regolamento UE 2017/625. Inoltre, tra gli attestati
ufficiali disciplinati dal citato regolamento sui controlli ufficiali vi rientrano pacificamente le certificazioni del sistema del biologico. In questo organico ordito legislativo
lo «organismo delegato» è espressamente definito come «una persona giuridica distinta alla quale le autorità competenti hanno delegato determinati compiti riguardanti i controlli ufficiali o determinati compiti riguardanti altre attività ufficiali» (art. 3(5),
Reg. n. 2017/625 cit.). In questo organico ordito legislativo lo «organismo delegato» è
espressamente definito come «una persona giuridica distinta alla quale le autorità
competenti hanno delegato determinati compiti riguardanti i controlli ufficiali o determinati compiti riguardanti altre attività ufficiali» (art. 3(5), Reg. n. 2017/625 cit.).
66
In merito più diffusamente D. PISANELLO, Guida…cit., p. 220.
132
ALIMENTA
ABSTRACT
Con sentenza n. 1914 del 28 gennaio 2021 la Corte di cassazione,
sezioni unite civili, ha stabilito che, in Italia, il giudice competente per
le azioni proposte da un operatore, iscritto al Sistema di controllo del
biologico (ex Reg. 834/2007/CE), è il giudice civile e non, come invece
sostenuto dal di Stato, il giudice amministrativo. La sentenza conferma
le acquisizioni già raggiunte con propria ordinanza n. 9678/2019, resa
in occasione del regolamento preventivo di giurisdizione nell’ambito
delle attività di controllo e certificazione del biologico.
With its judgment no. 1914 of 28 January 2021, the Italian Corte di
Cassazione, Sezioni Unite Civili, established that, in Italy, the judicial
review of the decisions taken by the control body for organic production belongs to the civil judge and not, as instead claimed by the Consiglio di Stato, the administrative judge. The ruling confirms the acquisition already addressed by the Italian Higher Court on 2019 (ordinanza no 9678) on the occasion of the first preventive jurisdictional regulation in the context of organic control and certification activities.
PAROLE CHIAVE
Agricoltura biologica - controllo e certificazione del biologico prodotti biologici - non conformità - controllo ufficiale filiere agroalimentari -controllo giurisdizionale – giurisdizione - misure esecutive produzioni agroalimentari regolamentate - organismi di controllo.
Organic farming – control and certification of organic products –
organic products – non-compliance – official control of agri-food
chain – jurisdiction – implementing acts – regulated food products control bodies.
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
Corte di giustizia dell’Unione europea
Sentenza del 17 dicembre 2020, causa C-490/19
Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier
c.
Société Fromagère du Livradois SAS,
Raccolta digitale dicembre 2020, EU:C:2020:1043.
«Rinvio pregiudiziale – Agricoltura – Protezione delle indicazioni
geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed
alimentari – Regolamento (CE) n. 510/2006 – Regolamento (UE) n.
1151/2012 – Articolo 13, paragrafo 1, lettera d) – Prassi che può indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti – Riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto la
cui denominazione è protetta – Denominazione d’origine protetta
(DOP) “Morbier”»
Massima (a cura della rivista): l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, deve essere interpretato nel senso che non vieta solo l’uso, da
parte di un terzo, della denominazione registrata, ma anche la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto
di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto
di tale denominazione registrata. Il giudice nazionale deve valutare se
detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo
conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie.
1
La
domanda
di
pronuncia
pregiudiziale
verte
sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento
(CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine
dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2006, L 93, pag. 12), e
134
ALIMENTA
dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2012, L 343, pag.
1).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia
tra il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier (associazione per la tutela del formaggio Morbier; in prosieguo: il «Syndicat») e la Société Fromagère du Livradois SAS, in merito a una violazione della denominazione d’origine protetta (DOP) «Morbier» e
ad atti di concorrenza sleale e parassitaria contestati a quest’ultima.
Contesto normativo
omissis
Procedimento principale e questione pregiudiziale.
13 Conformemente al decreto del 22 dicembre 2000, la Société
Fromagère du Livradois, che produceva formaggio morbier dal 1979, è
stata autorizzata a utilizzare la denominazione «Morbier», senza la
menzione DOC, fino all’11 luglio 2007, data a partire dalla quale essa
ha sostituito la denominazione con «Montboissié du Haut Livradois».
La Société Fromagère du Livradois ha inoltre depositato, il 5 ottobre
2001, negli Stati Uniti, il marchio americano «Morbier du Haut Livradois», che ha rinnovato nel 2008 per dieci anni e, il 5 novembre 2004,
il marchio francese «Montboissier».
14 Contestando alla Société Fromagère du Livradois il fatto di arrecare danno alla denominazione protetta e di commettere atti di concorrenza sleale e parassitaria, producendo e commercializzando un
formaggio che riprende l’aspetto visivo del prodotto protetto dalla
DOP «Morbier», al fine di creare confusione con quest’ultimo e di
sfruttare la notorietà dell’immagine ad esso associata, senza doversi
conformare al disciplinare della denominazione d’origine, il Syndicat
l’ha citata in giudizio, il 22 agosto 2013, dinanzi al tribunal de grande
instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia), affin-
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
135
ché fosse condannata a cessare qualsiasi impiego commerciale diretto
o indiretto della denominazione della DOP «Morbier» per prodotti da
essa non protetti, ogni usurpazione, imitazione o evocazione della
DOP «Morbier», ogni altra indicazione falsa o ingannevole relativa
alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del
prodotto con qualunque mezzo che possa indurre in errore
sull’origine del prodotto, ogni altra prassi che possa indurre in errore
il consumatore sulla vera origine del prodotto, e in particolare un
qualsiasi uso di una striscia nera che separi due parti del formaggio, e
a risarcire il danno subito.
15 Tali domande sono state respinte con sentenza del 14 aprile
2016, confermata dalla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) con sentenza del 16 giugno 2017. Quest’ultima ha dichiarato che non costituiva un illecito la commercializzazione di un
formaggio che presentava una o più caratteristiche contenute nel disciplinare del formaggio Morbier e che si avvicinava quindi a
quest’ultimo.
16 In tale sentenza, dopo aver dichiarato che la normativa sulla
DOP è diretta a tutelare non l’aspetto di un prodotto o le sue caratteristiche descritte nel suo disciplinare, ma la sua denominazione, di
modo che essa non vieta la fabbricazione di un prodotto mediante le
stesse tecniche definite nelle norme applicabili all’indicazione geografica, e dopo aver considerato che, in mancanza di un diritto esclusivo,
la riproduzione dell’aspetto di un prodotto si inserisce nella sfera della libertà di commercio e d’industria, la cour d’appel de Paris (Corte
d’appello di Parigi) ha dichiarato che le caratteristiche evocate dal
Syndicat, in particolare la striscia blu orizzontale, rientrano in una
tradizione storica, in una tecnica antichissima presente in formaggi
diversi dal Morbier, applicate dalla Société Fromagère du Livradois ancor prima del riconoscimento della DOP «Morbier» e non basate su
investimenti che il Syndicat o i suoi membri avrebbero effettuato. Essa ha ritenuto che, se è vero che il diritto di utilizzare il carbone vegetale è conferito al solo formaggio protetto da tale DOP, è anche vero
che la Société Fromagère du Livradois, per conformarsi alla legislazione statunitense, ha dovuto sostituirlo con polifenoli d’uva, cosicché i
136
ALIMENTA
due formaggi non possono essere assimilati a causa di tale caratteristica. Rilevando che la Société Fromagère du Livradois aveva fatto valere
altre differenze tra il formaggio Montboissié e il formaggio Morbier
relativamente, in particolare, all’utilizzo di latte pastorizzato per il
primo e di latte crudo per il secondo, essa ha considerato che i due
formaggi erano distinti e che il Syndicat tentava di estendere la protezione della DOP «Morbier» in base a un interesse commerciale illegittimo e in contrasto con il principio di libera concorrenza.
17 Il Syndicat ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) dinanzi al
giudice del rinvio, la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia).
A sostegno del suo ricorso, esso afferma, anzitutto, che una denominazione d’origine è protetta contro qualsiasi prassi che possa indurre
in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto e che, statuendo, invece, che è vietato il solo utilizzo della denominazione della
DOP, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) avrebbe
violato i rispettivi articoli 13 dei regolamenti nn. 510/2006 e
1151/2012. Il Syndicat afferma poi che limitandosi a rilevare, da un
lato, che le caratteristiche da esso evocate rientravano in una tradizione storica e non si basavano su investimenti effettuati dal medesimo e
dai suoi membri e, dall’altro, che il formaggio Montboissié, commercializzato dal 2007 dalla Société Fromagère du Livradois, presentava
differenze rispetto al formaggio Morbier, senza esaminare, come le era
stato chiesto, se le prassi della Société Fromagère du Livradois, in particolare la copia della «striscia centrale» caratteristica del formaggio
Morbier, potessero indurre o meno in errore il consumatore sulla vera
origine del prodotto, la cour d’appel (Corte d’appello) ha privato la
sua decisione di fondamento normativo con riferimento agli stessi testi di legge.
18 Dal canto suo, la Société Fromagère du Livradois sostiene che la
DOP tutelerebbe i prodotti provenienti da un territorio delimitato,
che sarebbero gli unici a potersi avvalere della denominazione protetta, ma non vieterebbe ad altri produttori di fabbricare e di commercializzare prodotti simili, a condizione che non inducano a ritenere
che essi beneficino della denominazione di cui trattasi. Dal diritto na-
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
137
zionale si evincerebbe che è vietato qualsiasi uso del segno che costituisce la DOP per designare prodotti simili che non vi abbiano diritto,
vuoi che essi non provengano dalla zona delimitata, vuoi che provengano da quest’ultima senza presentare le proprietà richieste, ma che
non sarebbe vietato commercializzare prodotti simili, purché tale
commercializzazione non sia accompagnata da alcuna prassi idonea a
ingenerare confusione, in particolare mediante l’usurpazione o
l’evocazione di detta DOP. Essa sostiene inoltre che una «prassi che
possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti», ai sensi dei rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, dovrebbe necessariamente riguardare l’«origine» del prodotto e che dovrebbe quindi trattarsi di una
prassi che induca il consumatore a ritenere di trovarsi in presenza di
un prodotto che benefici della DOP di cui trattasi. Essa ritiene che
tale «prassi» non possa derivare dal semplice aspetto del prodotto in
quanto tale, al di fuori di ogni indicazione sul suo imballaggio che
faccia riferimento alla provenienza protetta.
19 Il giudice del rinvio afferma che il ricorso per cassazione di cui
è investito pone la questione, inedita dinanzi ad esso, se l’articolo 13,
paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006, e l’articolo 13, paragrafo 1,
del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso
che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione
registrata o se debbano essere interpretati nel senso che essi vietano
anche la presentazione di un prodotto che possa indurre in errore il
consumatore sulla sua vera origine, anche qualora la denominazione
registrata non venga utilizzata da un terzo. Rilevando in particolare
che la Corte non si è mai pronunciata su tale questione, esso ritiene
che sussista un dubbio sull’interpretazione dell’espressione «altra
prassi» contenuta in tali articoli, che costituisce una forma particolare
di pregiudizio a una denominazione protetta qualora possa indurre in
errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.
20 Secondo il giudice del rinvio, si pone dunque la questione se la
riproduzione delle caratteristiche fisiche di un prodotto protetto da
una DOP sia idonea a costituire una prassi che possa indurre in errore
il consumatore sulla vera origine del prodotto, vietata dai rispettivi ar-
138
ALIMENTA
ticoli 13, paragrafo 1, di tali regolamenti. Detta questione equivarrebbe a stabilire se la presentazione di un prodotto protetto da una denominazione d’origine, in particolare la riproduzione della forma o
dell’aspetto che lo caratterizza, possa costituire un danno per tale denominazione, nonostante la mancata riproduzione della stessa.
21 In tale contesto, la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e
l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un
terzo, della denominazione registrata o se debbano essere interpretati
nel senso che essi vietano la presentazione di un prodotto protetto da
una denominazione d’origine, in particolare la riproduzione della
forma o dell’aspetto che lo caratterizzano, che possa indurre in errore
il consumatore sulla vera origine del prodotto, anche se la denominazione registrata non viene utilizzata».
Sulla questione pregiudiziale
Sulla prima parte della questione.
22 Con la prima parte della sua questione, il giudice del rinvio
chiede se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006, e
l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata.
23 Dalla formulazione di tali disposizioni risulta che le denominazioni registrate sono tutelate contro diversi comportamenti, vale a dire, in primo luogo, l’impiego commerciale diretto o indiretto di una
denominazione registrata, in secondo luogo, l’usurpazione,
l’imitazione o l’evocazione, in terzo luogo, l’indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità
essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
139
pubblicità o sui documenti relativi al prodotto considerato nonché
l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre
in errore sull’origine del prodotto e, in quarto luogo, qualsiasi altra
prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del
prodotto.
24 Dette disposizioni contengono dunque un elenco graduato di
comportamenti vietati (v., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2019,
Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida
Queso Manchego, C‑614/17, EU:C:2019:344, punto 27). Mentre i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), dei regolamenti nn.
510/2006 e 1151/2012 vietano l’impiego diretto o indiretto di una denominazione registrata per i prodotti che non sono oggetto di registrazione, in una forma che sia identica o fortemente simile dal punto
di vista fonetico e/o visivo (v., per analogia, sentenza del 7 giugno
2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 29,
31 e 39), i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettere da b) a d), di tali
regolamenti vietano altri comportamenti contro i quali le denominazioni registrate sono tutelate e che non utilizzino né direttamente né
indirettamente le denominazioni stesse.
25 Pertanto, l’ambito di applicazione dei rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 deve
necessariamente distinguersi da quello relativo alle altre norme sulla
protezione delle denominazioni registrate di cui ai rispettivi articoli
13, paragrafo 1, lettere da b) a d), di tali regolamenti. In particolare, i
rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn.
510/2006 e 1151/2012 vietano comportamenti che, a differenza di
quelli di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), di tali regolamenti, non utilizzino né direttamente né indirettamente la denominazione protetta stessa, ma la suggeriscano in modo tale che il consumatore sia indotto a stabilire un sufficiente nesso di prossimità con
detta denominazione [v., per analogia, per quanto riguarda l’articolo
16 del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamen-
140
ALIMENTA
to (CEE) n. 1576/89 del Consiglio (GU 2008, L 39, pag. 16), sentenza
del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17,
EU:C:2018:415, punto 33].
26 Per quanto riguarda, più nello specifico, la nozione di «evocazione», il criterio determinante è quello di accertare se il consumatore,
in presenza di una denominazione controversa, sia indotto ad avere
direttamente in mente, come immagine di riferimento, la merce protetta dalla DOP, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare
tenendo conto, se del caso, dell’incorporazione parziale di una DOP
nella denominazione controversa, di una similarità fonetica e/o visiva
di tale denominazione con tale DOP, o ancora di una somiglianza
concettuale tra detta denominazione e detta DOP (v., per analogia,
sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17,
EU:C:2018:415, punto 51).
27 Inoltre, nella sua sentenza del 2 maggio 2019, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego (C‑614/17, EU:C:2019:344), la Corte ha dichiarato che
l’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006 deve
essere interpretato nel senso che l’evocazione di una denominazione
registrata può derivare dall’uso di segni figurativi. Per pronunciarsi in
tal senso, la Corte ha in particolare considerato, al punto 18 di tale
sentenza, che la formulazione di tale disposizione può essere intesa
come riferita non solo ai termini con cui una denominazione registrata
può essere evocata, ma anche a qualsiasi segno figurativo che possa
richiamare nella mente del consumatore i prodotti che beneficiano di
tale denominazione. Al punto 22 di detta sentenza, essa ha rilevato
che, in linea di principio, non si può escludere che segni figurativi siano in grado di richiamare direttamente nella mente del consumatore,
come immagine di riferimento, i prodotti che beneficiano di una denominazione registrata, a motivo della loro vicinanza concettuale con
siffatta denominazione.
28 Per quanto riguarda i comportamenti di cui ai rispettivi articoli
13, paragrafo 1, lettera c), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012,
occorre rilevare che tali disposizioni estendono, rispetto alle lettere a)
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
141
e b) di tali articoli, il perimetro protetto, incorporandovi in particolare
«qualsiasi altra indicazione», vale a dire le informazioni fornite ai consumatori usate sulla confezione o sull’imballaggio del prodotto considerato, nella pubblicità o sui documenti relativi a tale prodotto, che,
pur non evocando l’indicazione geografica protetta, siano qualificabili
come false o ingannevoli in considerazione dei collegamenti del prodotto con quest’ultima. L’espressione «qualsiasi altra indicazione» si
estende a informazioni che possono apparire in qualsivoglia forma
sulla confezione o sull’imballaggio del prodotto considerato, nella
pubblicità o sui documenti relativi a tale prodotto, in particolare sotto
forma di un testo, di un’immagine o di un contenitore idoneo a fornire informazioni in merito alla provenienza, all’origine, alla natura o
alle qualità essenziali del prodotto (v., per analogia, sentenza del 7
giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415,
punti 65 e 66).
29 Per quanto riguarda i comportamenti di cui ai rispettivi articoli
13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012,
come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, dall’espressione «qualsiasi altra prassi» utilizzata in tali disposizioni risulta che queste ultime sono dirette a includere qualsiasi comportamento che non rientri già nell’ambito di applicazione delle altre
disposizioni dei medesimi articoli e, pertanto, a completare il regime
di protezione delle denominazioni registrate.
30 Pertanto, dalle considerazioni che precedono deriva che i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e
1151/2012 non si limitano a vietare l’uso della denominazione registrata in quanto tale, essendo il loro ambito di applicazione più ampio.
31 Di conseguenza, occorre rispondere alla prima parte della questione sollevata dichiarando che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n.
1151/2012 devono essere interpretati nel senso che essi non vietano
solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata.
142
ALIMENTA
Sulla seconda parte della questione.
32 Con la seconda parte della sua questione, il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, se l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi
vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano
un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa
riproduzione possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine
del prodotto.
33 Prevedendo che le denominazioni registrate sono tutelate contro «qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore
sulla vera origine dei prodotti», i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non precisano i
comportamenti vietati da tali disposizioni, ma riguardano in via estensiva tutti i comportamenti, diversi da quelli vietati dai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettere da a) a c), di tali regolamenti, che possano
avere come risultato quello di indurre in errore il consumatore sulla
vera origine del prodotto di cui trattasi.
34 I rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti
nn. 510/2006 e 1151/2012 rispondono agli obiettivi enunciati ai considerando 4 e 6 del regolamento n. 510/2006 nonché ai considerando
18 e 29 e all’articolo 4 del regolamento n. 1151/2012, dai quali risulta
che il regime di protezione delle DOP e delle indicazioni geografiche
protette (IGP) mira in particolare a fornire ai consumatori informazioni chiare sull’origine e sulle proprietà dei prodotti, in modo da
consentire loro di compiere scelte di acquisto più consapevoli, nonché
di evitare le prassi che possano indurre in errore i consumatori.
35 Più in generale, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il
regime di protezione delle DOP e delle IGP mira essenzialmente a garantire ai consumatori che i prodotti agricoli che beneficiano di una
denominazione registrata presentino, a causa della loro provenienza
da una determinata zona geografica, talune caratteristiche particolari
e, pertanto, offrano una garanzia di qualità dovuta alla loro prove-
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
143
nienza geografica, allo scopo di consentire agli operatori agricoli che
abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi e di impedire che terzi si avvantaggino abusivamente della reputazione discendente dalla qualità di tali prodotti (v., per
analogia, sentenze del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto, C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punto 82; del
20 dicembre 2017, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne,
C‑393/16, EU:C:2017:991, punto 38, nonché del 7 giugno 2018,
Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 38 e 69).
36 Per quanto riguarda la questione se la riproduzione della forma
o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata
possa costituire una prassi vietata dai rispettivi articoli 13, paragrafo
1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, occorre osservare che, certamente, come sostenuto dalla Société Fromagère du
Livradois e dalla Commissione europea, la tutela prevista da tali disposizioni ha ad oggetto, secondo i termini stessi di queste ultime, la
denominazione registrata e non il prodotto che essa ha ad oggetto. Ne
consegue che tale tutela non ha lo scopo di vietare, in particolare,
l’utilizzo delle tecniche di fabbricazione o la riproduzione di una o
più caratteristiche contemplate nel disciplinare di un prodotto protetto da una denominazione registrata, per il motivo che esse figurano in
tale disciplinare, per realizzare un altro prodotto che non è oggetto
della registrazione.
37 Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 27
delle sue conclusioni, una DOP è, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1,
lettere a) e b), del regolamento n. 1151/2012, che riprende in sostanza
la formulazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 510/2006, una denominazione che identifica un prodotto
originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati le cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico ed ai
suoi intrinseci fattori naturali e umani. Le DOP sono dunque tutelate
in quanto designano un prodotto che presenta determinate qualità o
determinate caratteristiche. Di conseguenza, la DOP e il prodotto da
essa protetto sono strettamente collegati.
144
ALIMENTA
38 Pertanto, tenuto conto del carattere non limitativo
dell’espressione «qualsiasi altra prassi» di cui ai rispettivi articoli 13,
paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012,
non si può escludere che la riproduzione della forma o dell’aspetto di
un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale
denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione di dette disposizioni.
Ciò si verifica quando tale riproduzione può indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi.
39 Al fine di valutare se ciò si verifichi, occorre, come indicato, in
sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 55 e da 57 a 59 delle sue
conclusioni, da un lato, fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente
attento e avveduto (v., per analogia, sentenze del 21 gennaio 2016,
Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 25 e 28, nonché del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punto 47) e, dall’altro, tener conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di
specie, ivi comprese le modalità di presentazione al pubblico e di
commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, nonché del contesto
fattuale (v., in tal senso, sentenza del 4 dicembre 2019, Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, C‑432/18, EU:C:2019:1045, punto
25).
40 In particolare, per quanto riguarda, come nel procedimento
principale, un elemento dell’aspetto del prodotto oggetto della denominazione registrata, occorre soprattutto valutare se tale elemento costituisca una caratteristica di riferimento e particolarmente distintiva
di tale prodotto affinché la sua riproduzione possa, unitamente a tutti
i fattori rilevanti nel caso di specie, indurre il consumatore a credere
che il prodotto contenente detta riproduzione sia un prodotto oggetto
di tale denominazione registrata.
41 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla seconda parte della questione sollevata dichiarando che
l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e
l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
145
devono essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione
della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di
una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Occorre valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di
tutti i fattori rilevanti nel caso di specie.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 510/2006 del
Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni
geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e
alimentari, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n.
1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre
2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, devono
essere interpretati nel senso che essi non vietano solo l’uso, da parte di
un terzo, della denominazione registrata.
L’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006
e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012
devono essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione
della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di
una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Occorre valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di
tutti i fattori rilevanti nel caso di specie.
Firme
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP: UN CASO
DI EVOCAZIONE O PRASSI IDONEA A INDURRE
IN ERRORE IL CONSUMATORE?
Sommario: 1. La questione – 2. Il fatto – 3. Quadro normativo e giurisprudenziale – 4.
La decisione. – 5. Conclusioni.
1. La questione.
La sentenza in analisi risulta di particolare interesse in quanto, per
la prima volta, la Corte di giustizia dell’Unione europea è stata chiamata ad accertare se la riproduzione della forma, delle caratteristiche
distintive e/o dell’aspetto tipico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata, in assenza dell’utilizzo della denominazione, sia
idonea a costituire una «prassi in grado di indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto»; prassi vietata dagli artt. 13,
par. 1, lett. d del regolamento n. 510/2006, nonché del regolamento n.
1151/2012.
Negli ultimi anni la Corte di giustizia è stata più volte chiamata a
risolvere questioni inerenti alla portata della tutela da accordare a
DOP e IGP, precisando che può ricadere nel divieto sancito dall’art.
13, par. 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non soltanto
l’impiego diretto da parte del segno controverso della denominazione
registrata in modo identico o simile da un punto di vista fonetico e/o
visivo ma anche quelle prassi consistenti nell’uso indiretto della denominazione protetta, in modo tale che il consumatore sia indotto a
stabilire un sufficiente nesso di prossimità tra il segno e la denominazione registrata quanto all’origine del prodotto. Gli orientamenti della
Corte di giustizia aventi ad oggetto l’art. 13, par. 1 dei citati regolamenti hanno istituito un sistema di protezione delle denominazioni
d’origine in continua evoluzione, individuando una gamma di pregiudizi che possono essere arrecati alle stesse sempre più ampia.
Ciò al fine di garantire la massima protezione del collegamento
con il territorio in quanto elemento in grado di differenziare qualitativamente un prodotto contraddistinto da una denominazione d’origine
148
ALIMENTA
dall’insieme dell’offerta sul mercato, perseguendo al tempo stesso
obiettivi di varia natura quali la tutela degli interessi economici dei
produttori e la garanzia per gli stessi di condizioni di concorrenza leale1 sul mercato, la tutela degli interessi e delle aspettative dei consumatori e la realizzazione degli obiettivi della politica di sviluppo rurale
del settore agricolo2.
La pronuncia della Corte di giustizia qui esaminata segna un ulteriore passo avanti nel sistema di tutela dei regimi di qualità in quanto
ricomprende la riproduzione della forma caratteristica di una denominazione d’origine nell’alveo di quelle pratiche idonee a determinare
a un rischio di induzione in errore del consumatore circa la provenienza geografica o la produzione d’origine del prodotto ai sensi
dell’art. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 1151/2012.
2. Il fatto.
Il «Morbier» è un formaggio prodotto nel massiccio del Giura
(Francia) che beneficia di una denominazione d’origine controllata
(DOC) a partire da un decreto del 22 dicembre 2000.
Esso è caratterizzato dalla presenza di una striscia nera che divide il
formaggio in due parti in senso orizzontale, esplicitamente menzionata nella descrizione del prodotto contenuta nel disciplinare del prodotto.
L’art. 8 del decreto del 22 dicembre 2000 prevedeva un periodo
transitorio per le imprese situate fuori dalla zona geografica di riferimento che commercializzavano formaggi con la denominazione
«Morbier», affinché potessero utilizzare la denominazione senza la
menzione «DOC» fino alla scadenza di un termine di cinque anni dalla pubblicazione della registrazione della denominazione, a titolo di
DOP, da parte della Commissione europea in conformità al regolamento n. 2081/1992.
1
Sulle modalità di esercizio dello ius excludendi e dello ius includendi da parte dei
produttori legittimati ad utilizzare i segni DOP e IGP si rinvia ad A. GERMANÒ, Sulla
titolarità dei segni DOP e IGP, in Riv. dir. alim., n. 2, 2017, pp. 289 ss.
2
Con riferimento agli obiettivi specifici della protezione delle DOP e delle IGP si v. il
considerando 18 del regolamento n. 1151/2012 e l’art. 4 di quest’ultimo.
RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP
149
La Société Fromagère du Livradois SAS, produttrice di formaggio
Morbier dal 1979, non essendo situata nell’area geografica a cui è riservata la denominazione «Morbier» è stata autorizzata ad utilizzare la
denominazione sino all’11 luglio 2007, conformemente all’art. 8 del
decreto del 2000. Scaduto il periodo transitorio, la Société Fromagère
du Livradois utilizza dall’anno 2007 la denominazione «Montboissié
du Haut Livradois» per il suo formaggio.
Nel 2013, il Syndicat ha citato in giudizio la Société Fromagère du
Livradois dinanzi al Tribunale di primo grado di Parigi. Secondo il
Syndicat, la Société Fromagère du Livradois recherebbe danno alla
DOP e commetterebbe atti di concorrenza sleale e parassitaria, producendo e commercializzando un formaggio che riprende l’aspetto
visivo di quello protetto dalla DOP «Morbier», in particolare, la striscia nera posizionata al centro del formaggio.
Con sentenza del 14 aprile 2016 il Tribunale di primo grado di
Parigi ha respinto integralmente le domande del consorzio.
Con una sentenza pronunciata nel 2017, la Corte d’appello di Parigi ha confermato detto rigetto.
Secondo tale giudice, la DOP sarebbe diretta a tutelare non
l’aspetto di un prodotto o le sue caratteristiche, mala sua denominazione, escludendo così il divieto di fabbricazione di un prodotto mediante le stesse tecniche. Il Syndicat, convinto che la commercializzazione di un formaggio che presentava talune caratteristiche contenute
del disciplinare del Morbier, si sostanziasse in un pregiudizio alla denominazione protetta, oltre che nella commissione di atti di concorrenza sleale, ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza
dinanzi al giudice del rinvio.
In tali circostanze, la Corte di cassazione ha sospeso il procedimento ed ha interrogato la Corte sull’interpretazione dell’articolo 13,
par. 1, del regolamento n. 510/2006 e dell’art. 13, par. 1, del regolamento n. 1151/2012, che sono diretti a tutelare le denominazioni registrate.
Più nello specifico, si pone la questione se la riproduzione delle
caratteristiche fisiche di un prodotto protetto da una DOP, senza
l’utilizzo della denominazione registrata, sia idonea a costituire una
prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del
prodotto, vietata dagli artt. 13, par. 1, lett. d, di tali due regolamenti.
150
ALIMENTA
La Corte è così chiamata, per la prima volta, ad interpretare l’art.
13, par. 1, lett. d dei regolamenti in discorso.
3. Quadro normativo e giurisprudenziale.
Ai fini di una disamina completa della causa principale e della decisione della Corte di giustizia, pare opportuno mettere brevemente in
luce il quadro normativo rilevante, rappresentato dal regolamento n.
1151/2012 e dal precedente regolamento n. 510/2006, nonché quello
giurisprudenziale.
Il regolamento n. 1151/2012, avente ad oggetto la disciplina dei
regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, è entrato in vigore
il 3 gennaio 2013 e ha sostituito il regolamento n. 510/2006, che ha, a
sua volta, sostituito il precedente regolamento n. 2081/92.
La disposizione di maggior interesse in relazione al caso esaminato, anche alla luce dei rilievi fatti nella sentenza dalla Corte di giustizia, è indubbiamente l’art. 13, par. 1, del regolamento n. 1151/2012,
rubricato «Protezione».
L’art. 13 del detto regolamento, al par. 1, lett. da a a d, prevede
una «serie graduata di comportamenti vietati»3.
Tale articolo accorda una protezione ad ampio raggio che riguarda, da un lato, l’utilizzazione, l’usurpazione e l’evocazione della denominazione protetta e, più in generale, ogni prassi parassitaria volta
a sfruttare la rinomanza della denominazione mediante
un’associazione ad essa, e, dall’altro, ogni condotta in grado di determinare un rischio di confusione tra prodotti che fruiscono di tale denominazione e prodotti convenzionali. Mentre l’art. 13, par. 1, lett. a
vieta l’impiego diretto o indiretto di una denominazione registrata per
i prodotti che non sono oggetto di registrazione in una forma identica
3
Conclusioni dell’Avvocato Generale, Giovanni Pitruzzella, 17 settembre 2020, par.
48 (v. in questo senso, la sentenza della Corte di giustizia, 2 maggio 2019, in causa C614/17, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso
Manchego c. Industrial Quesera Cuquerella SL, Juan Ramón Cuquerella Montagud, in
Raccolta digitale, maggio 2019, EU:C:2019:344). È opportuno precisare che la serie
graduata verte sulla natura dei comportamenti vietati e non sugli elementi che devono
essere presi in considerazione per determinare l’esistenza di tali comportamenti.
RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP
151
o fortemente simile dal punto di vista fonetico e/o visivo4, l’art. 13,
par. 1, lett. da b a d vieta altri comportamenti contro i quali le denominazioni registrate sono tutelate che non utilizzano né direttamente
né indirettamente le denominazioni stesse.
In particolare, il regime di tutela dell’art. 13 vieta: a) l’utilizzo del
nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione,
laddove siano comparabili a quello oggetto di tutela; b) qualsiasi
usurpazione, imitazione o evocazione anche attraverso l’uso di un
nome che è semplicemente una traduzione del nome protetto o di
espressioni come «tipo», «genere» o simili; c) l’uso di indicazioni che
possono trarre in inganno sull’origine, la natura, o la qualità essenziale
del prodotto; d) qualsiasi prassi che, in generale, possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.
L’ampiezza di tale protezione è giustificata dall’esigenza di soddisfare l’attesa dei consumatori in materia di prodotti di qualità e di
un’origine geografica certa, nonché di facilitare il conseguimento da
parte dei produttori, in condizioni di concorrenza uguali, di migliori
redditi in contropartita di uno sforzo qualitativo reale per la produzione di prodotti di qualità5.
In diverse occasioni, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi in modo
significativo con riferimento alle pratiche di evocazione di cui all’art. 13
par. 1, lett. b, consistenti nell’impego di termini ed espressioni in relazione ad un prodotto in grado di ingannare il consumatore o, quantomeno,
in grado di suscitare nel consumatore l’idea che quel prodotto abbia le
stesse caratteristiche e qualità del prodotto a denominazione registrata o
che sia esso stesso prodotto a denominazione registrata.
La Corte di giustizia nel caso «Cambonzola»6 ha stabilito che l’uso
4
Si veda sul punto la sentenza della Corte di giustizia del 7 giugno 2018, in causa C44/17, Scotch Whisky Association c. Michael Klotz, in Raccolta digitale, giugno 2018,
EU:C:2018:415, punti nn. 29, 31 e 39.
5
Sul ruolo centrale della comunicazione, complementare a quello della concorrenza,
integrativo dell’informazione e a garanzia di una tutela preventiva del consumatore, v.
N. LUCIFERO, La comunicazione simbolica nel mercato alimentare: marchi e segni del
territorio, in Trattato di diritto agrario, diretto da L. COSTATO, A. GERMANÒ ed E.
ROOK BASILE, III, Torino, 2011, p. 323.
6
Si veda sul punto la sentenza della Corte di giustizia del 4 marzo 1998, in causa C87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola c. Kaserei Champignon Hof-
152
ALIMENTA
di una denominazione come «Cambonzola» per un prodotto simile,
dal punto di vista materiale ed estetico, al formaggio Gorgonzola
DOP è evocativa di tale denominazione, dovendosi registrare
un’evocazione ogni qualvolta «il termine utilizzato per designare un
prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta, di modo
che il consumatore […] sia indotto ad avere in mente, come immagine di riferimento il prodotto che fruisce della denominazione».
La Corte ha inoltre chiarito mediante ulteriori pronunce7 che sussiste evocazione8 in presenza di analogie fonetiche, ottiche e, se del
caso, concettuali tra le denominazioni in conflitto, in un contesto in
cui i prodotti di cui è causa sono simili nel loro aspetto esterno, ossia
di apparenza analoga, chiarendo altresì che può esservi evocazione
anche se la vera origine del prodotto è indicata, poiché (ai fini
dell’evocazione) il rischio di confusione tra i prodotti è irrilevante9.
Nel 2019 la Corte di giustizia nella causa C-614/17 - che vedeva
convolti la Fondazione Queso Manchego, incaricata della gestione della protezione della DOP «Queso manchego», e la Industrial Quesera
Cuquerella SL (IQC) - ha esteso i confini della nozione di evocazione
meister GmbH & Co. KG, Eduard Bracharz GmbH, in Raccolta, 1999, I, p. 1301,
EU:C:1999:115.
7
Si veda sul punto la sentenza della Corte di giustizia del 26 febbraio 2008, in causa
C- 132/05, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania,
in Raccolta 2008, I, p. 00957, EU:C:2008:117; sentenza della Corte di giustizia del 14
luglio 2011 in causa C-4/10 e C-27/10, Bureau national interprofessionnel du Cognac
c. Gust. Ranin Oy, in Raccolta 2011, I, p. 06131, EU:C:2011:484;
8
Cfr. A. GERMANÒ, “Evocazione”: l’approfittamento della fama altrui nel commercio
dei prodotti agricoli, in Riv. dir. agr., 2016, II, p. 177 ss. e di F. PRETE, Evocazione di
indicazione geografica di bevande spiritose: la nozione eurocomunitaria di consumatore
e il ruolo della Corte di giustizia nel processo di uniformazione dei principi del settore
alimentare, in Riv. dir. agr., 2016, II, p. 180 ss., inoltre, N. LUCIFERO, La nullità di un
marchio e il carattere di ingannevolezza del segno per l’indicazione di una origine del
prodotto diversa da quella della sua materia prima, in Giur. it., n. 7, 2006, p. 1413.
9
Per una ricognizione della giurisprudenza intervenuta su tali profili, ex multis, F.
GUALTIERI, S. VACCARI, B. CATIZZONE, La protezione delle indicazioni geografiche:
La nozione di evocazione, in Riv. dir. alim, n. 2, 2017, p. 15 ss. V. RUBINO, From
Cambozola to Toscoro: The difficult distinction between “evocation” of a protected
geographical indication, “product affinity” and misleading commercial practices, in
EFFLR, Vol. 12, No. 4 (2017), pp. 326-334.
RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP
153
al di là delle sole ipotesi di parassitarie «denominazioni» dei prodotti
protetti dalle indicazioni geografiche, facendo rientrare nel perimetro
dell’art. 13, par. 1, lett. b del regolamento n. 510/2006 una protezione
contro qualsiasi altra evocazione, che può derivare anche dall’utilizzo
di segni figurativi.
Quanto all’art. 13, par. 1, lett. d, del regolamento n. 1151/2012,
tale disposizione si sostanzia in una formula onnicomprensiva che fa
riferimento a «qualsiasi altra prassi», ossia a qualunque comportamento che non rientri già nell’ambito di applicazione delle altre disposizioni dello stesso articolo.
Le «altre pratiche» a cui fa riferimento tale articolo si differenziano quindi dalle ipotesi di evocazione, in quanto queste ultime prescindono dall’esistenza di un rischio di confusione per il consumatore.
Ne consegue che qualsiasi prassi potenzialmente idonea ad indurre in errore il consumatore sull’origine del prodotto può ricadere
nell’ambito di applicazione della protezione ai sensi dell’art. 13, par.
1, lett. c del regolamento, ivi compresa, in linea di principio, la riproduzione dell’aspetto tipico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata o di una caratteristica particolare di riferimento della
denominazione.
Risulta, così, elaborato un sistema evolutivo di tutela dell’origine
del prodotto alimentare da intendersi quale strumento di concorrenza
e insieme di sicurezza alimentare10.
4. La decisione.
La questione pregiudiziale proposta dalla Corte nazionale può essere suddivisa in due parti. Con la prima parte di tale questione, il
giudice del rinvio chiede alla Corte di giustizia se l’articolo 13, par. 1,
del regolamento n. 1151/2012 debba essere interpretato nel senso che
esso vieta solo l’uso, da parte di un terzo non autorizzato, di una denominazione registrata.
La seconda parte della questione pregiudiziale, che presuppone
10
F. ALBISINNI, Luoghi e regole del diritto alimentare: il territorio tra competizione e
sicurezza, in Dir. giur. agr. amb., 2004, p. 204.
154
ALIMENTA
una risposta negativa alla prima parte, è volta a stabilire se sia altresì
vietato, in mancanza di uso della denominazione protetta, la sola riproduzione della forma del prodotto tutelato dalla denominazione registrata, qualora essa possa indurre in errore il consumatore sulla vera
origine del prodotto che riproduce tale forma o tale aspetto.
Con la sentenza in esame, la Corte di giustizia ha dichiarato che
l’art. 13, par. 1, del regolamento n. 1151/2012 non si limita a vietare
l’uso della denominazione registrata in quanto tale.
Dalla formulazione di tale disposizione emerge infatti che le denominazioni registrate sono tutelate contro diverse tipologie di comportamenti. Come rilevato anche dall’Avvocato Generale Pitruzzella
al par. 49 delle sue conclusioni, i comportamenti di cui all’art. 13, par.
1, lett. d del regolamento includono qualunque contegno che non
rientri già nell’ambito di applicazione delle altre disposizioni dei medesimi articoli. Tale norma prevede quindi un regime catch-all di tutela estensiva delle denominazioni registrate.
Per ciò che concerne la questione se la riproduzione della forma o
dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata
sia idonea a costituire una prassi che possa indurre in errore il consumatore circa la reale origine dei prodotti, vietata dall’art. 13, par. 1,
lett. d, si riportano di seguito le principali argomentazioni, fatte proprie dalla Corte al fine di avvalorare la propria decisione.
La decisione della Corte di giustizia, in forza della quale l’art. 13,
par. 1, lett. d del regolamento n. 1151/2012 vieterebbe la riproduzione dell’aspetto di una DOP qualora tale riproduzione possa, a seconda del singolo caso di specie, indurre in errore il consumatore informato e ragionevolmente avveduto, poggia su un percorso argomentativo che individua quale punto di partenza la rispondenza dell’art. 13,
par. 1, lett. d, agli obiettivi enunciati ai considerando nn. 18 e 29 e
all’art. 4 del detto regolamento.
In particolare, tale riproduzione sarebbe vietata in quanto costituisca una prassi idonea ad impedire ai produttori o agli agricoltori, i
cui prodotti sono tutelati da tale denominazione, di «comunicare agli
acquirenti e ai consumatori le caratteristiche dei propri prodotti in
condizioni di concorrenza leale»11, impedendo che i prodotti possano
11
Si vedano i considerando nn. 3 e 5 del regolamento n. 1151/2012; la sentenza della Cor-
RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP
155
essere identificati correttamente sul mercato, e cioè, in quanto interferisca con il conseguimento degli obiettivi specifici della protezione
delle DOP e delle IGP.
La Corte ha osservato che la tutela prevista dai regolamenti n.
510/2006 e 1151/2012 riguarda la denominazione registrata e non il
prodotto che quest’ultima ha ad oggetto.
Lo scopo della protezione riconosciuta alle denominazioni d’origine
non è dunque quello di vietare l’utilizzo delle tecniche di fabbricazione o
di produzione in sé, né la riproduzione di una o più caratteristiche previste dal disciplinare di un prodotto protetto da una denominazione.
Difatti, anche se le denominazioni geografiche registrate conferiscono un diritto esclusivo, tale diritto non ha natura individuale.
Ogni produttore della zona geografica interessata è perciò legittimato ad utilizzare la relativa denominazione a patto che sia rispettato
il corrispondente disciplinare di produzione.
Conseguentemente, risulta prevalente l’interesse pubblico a che le
denominazioni d’origine siano liberamente acquisibili da parte di ogni
produttore in possesso dei requisiti richiesti.
Tuttavia, le DOP e i prodotti da esse protetti sono inscindibilmente connessi tra loro. Difatti, le DOP sono tutelate in quanto designano
un prodotto che presenta determinate qualità e/o caratteristiche.
A parere della Corte, non si può dunque escludere che la riproduzione della forma di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi
o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione degli
artt. 13, par.1, lett. d. Ciò si verifica quando tale riproduzione induce
in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.
te di giustizia del 14 luglio 2011 in causa C-4/10 e C-27/10, Bureau national interprofessionnel du Cognac c. Gust. Ranin Oy, in Raccolta 2011, I, p. 06131, EU:C:2011:484, punto
47; la sentenza della Corte di giustizia del 21 gennaio 2016, in causa C-75/15, Viiniverla
Oy c. Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto, in Raccolta digitale, gennaio 2016,
EU:C:2016:35, punto 24), nonché la sentenza della Corte di giustizia del 7 giugno 2018, in
causa C-44/17 Scotch Whisky Association c. Michael Klotz, in Raccolta digitale, giugno 2018,
EU:C:2018:415, punto 36, e la sentenza della Corte di giustizia, 2 maggio 2019, in causa C614/17, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso
Manchego c. Industrial Quesera Cuquerella SL, Juan Ramón Cuquerella Montagud, in Raccolta digitale, maggio 2019, EU:C:2019:344, punto 29.
156
ALIMENTA
Al fine di stabilire se ricorra un tale rischio di induzione in errore
per il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto12, occorre effettuare una valutazione caso
per caso alla luce di ogni elemento rilevante, comprendendo altresì le
modalità di presentazione al pubblico dei prodotti13.
Nel caso della prassi contestata nell’ambito del procedimento
principale, la valutazione del rischio di confusione non può prescindere dalla particolarità ed esclusività dell’aspetto caratteristico del
formaggio Morbier, costituita dalla striscia nera che divide il formaggio in due parti in senso orizzontale, oltre che dalla valutazione complessiva dell’aspetto del prodotto.
Tale ultimo elemento deve necessariamente essere tenuto in considerazione in quanto la riproduzione di una caratteristica tipica, seppur esclusiva della forma di una denominazione registrata, potrebbe non indurre in
errore il consumatore qualora l’aspetto del prodotto convenzionale risulti
complessivamente divergente da quello designato dalla denominazione.
5. Conclusioni.
La sentenza in esame testimonia il rilievo attribuito dalla Corte di
giustizia, per la prima volta, alla tutela delle denominazioni registrate
contro «qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore
sulla vera origine dei prodotti» di cui all’art. 13, par. 1 lett. d del regolamento n. 1151/2012.
La prassi contestata nel caso di specie, avente ad oggetto la riproduzione della striscia di carbone vegetale, caratteristica tipica e «firma» del formaggio Morbier, su un prodotto convenzionale lattierocaseario complessivamente simile al prodotto protetto dalla denomi12
Si vedano, per analogia, la sentenza della Corte di giustizia del 21 gennaio 2016, in
causa C-75/15, Viiniverla Oy c. Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto, in Raccolta digitale, gennaio 2016, EU:C:2016:35, punti 25 e 28, nonché la sentenza della
Corte di giustizia del 7 giugno 2018, in causa C-44/17, Scotch Whisky Association c.
Michael Klotz, in Raccolta digitale, giugno 2018, EU:C:2018:415, punto 47.
13
Si veda in tal senso, la sentenza della Corte di giustizia del 4 dicembre 2019, in causa C-432/18, Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena c. Balema GmbH, in Raccolta digitale, dicembre 2019, EU:C:2019:1045, punto 25.
RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP
157
nazione, ricade nell’ambito di applicazione della lett. d dell’art. 13,
par. 1, del regolamento, ossia tra quelle «altre prassi» pregiudizievoli
per la denominazione d’origine che non rientrino già tra quelle disciplinate dalle lettere da a a c dello stesso articolo.
Comportamenti analoghi a quello controverso rientrano solo eccezionalmente nel dominio dell’evocazione di cui all’art. 13, par. 1,
lett. b del regolamento n. 1151/2012.
Ciò in quanto tale norma, volta a vietare, in particolare, comportamenti parassitari14, prescinde dall’esistenza di un rischio di confusione per il consumatore15.
Evitare che il consumatore sia indotto in errore sull’origine del
prodotto rappresenta la sola condizione di applicazione dell’articolo
13, par. 1, lett. d dei regolamenti 510/2006 e 1151/2012 il quale non
elenca in maniera puntuale i comportamenti vietati ma si limita a qualificarli in base al risultato e agli obiettivi avuti di mira dagli stessi.
In conclusione, la riproduzione della forma o dell’aspetto caratteristico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata idonea a determinare un rischio (provato) di induzione in errore del consumatore circa la provenienza geografica o la produzione d’origine del
prodotto si presta ad essere ricompresa nell’ambito applicativo
dell’art. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 1151/2012.
Martina Terenzi
14
Nella sentenza della Corte di giustizia del 21 gennaio 2016, in causa C-75/15, Viiniverla Oy c. Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto, in Raccolta digitale, gennaio
2016, EU:C:2016:35, la Corte di giustizia ha statuito che può esservi evocazione anche in mancanza di un qualunque rischio di confusione tra i prodotti di cui è causa
poiché ciò che conta è, in particolare, che non si crei nel pubblico un’associazione di
idee quanto all’origine del prodotto, né che un operatore sfrutti indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica protetta.
15
Nella la sentenza della Corte di giustizia del 4 marzo 1998, in causa C-87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola c. Kaserei Champignon Hofmeister
GmbH & Co. KG, Eduard Bracharz GmbH, in Raccolta, 1999, I, p. 1301,
EU:C:1999:115 la Corte di giustizia ha chiarito che può esservi evocazione di una denominazione protetta in mancanza di qualunque rischio di confusione tra i prodotti
anche quando nessuna tutela comunitaria si applica agli elementi della denominazione di riferimento ripresi dalla terminologia controversa.
158
ALIMENTA
ABSTRACT
Nella sentenza del 17 dicembre 2020, in causa C-490/19, per la
prima volta, la Corte di giustizia dell’Unione europea è stata chiamata
ad accertare se la riproduzione della forma, delle caratteristiche distintive e/o dell’aspetto tipico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata, in assenza dell’utilizzo della denominazione, sia
idonea a costituire una «prassi in grado di indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto»; prassi vietata dagli artt. 13,
par. 1, lett. d del regolamento n. 510/2006, nonché del regolamento n.
1151/2012.
La vicenda controversa riguarda il formaggio francese «Morbier»
che beneficia di una denominazione d’origine controllata (DOC) a
partire da un decreto del 22 dicembre 2000 e che si caratterizza per la
presenza di una striscia nera di carbone vegetale che divide il formaggio in due parti in senso orizzontale, esplicitamente menzionata nella
descrizione del prodotto contenuta nel disciplinare dello stesso. Secondo il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier
la produzione e la commercializzazione da parte della Société Fromagère du Livradois di un formaggio che riprende l’aspetto visivo di
quello protetto dalla DOP «Morbier», in particolare, la striscia nera
posizionata al centro del formaggio recherebbe danno alla DOP e si
sostanzierebbe in un atto di concorrenza sleale e parassitaria.
La pronuncia della Corte di giustizia qui esaminata segna un importante passo avanti nel sistema di tutela dei regimi di qualità in
quanto ricomprende la riproduzione della forma caratteristica di una
denominazione d’origine nel regime di tutela estensivo delineato
dall’art. 13, par. 1, lett. d del regolamento n. 1151/2012 sulla base della sussistenza di una sola condizione consistente nella semplice idoneità di tali atti a determinare un rischio (provato) di induzione in errore
del consumatore circa la provenienza geografica o la produzione
d’origine del prodotto. La tutela accordata alle denominazioni
d’origine dai regolamenti riguarda la denominazione registrata e non
il prodotto che quest’ultima ha a oggetto. Conseguentemente, tale
protezione non ha lo scopo di vietare l’utilizzo dei metodi di fabbricazione o la riproduzione di una o più caratteristiche contemplate nel
disciplinare di un prodotto protetto da una siffatta denominazione. La
RIPRODURRE LA FORMA DI UNA DOP
159
Corte di giustizia ha quindi chiarito che al fine di stabilire se ricorra
un rischio di induzione in errore per il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, occorre
effettuare una valutazione caso per caso alla luce di ogni elemento rilevante, comprendendo altresì le modalità di presentazione al pubblico dei prodotti. In altri termini, occorre verificare se l’aspetto e/o la
forma del prodotto oggetto della denominazione registrata sia una caratteristica talmente distintiva del prodotto la cui riproduzione potrebbe “confondere” il consumatore tanto da fargli credere che il
prodotto contenente detta riproduzione sia oggetto della denominazione registrata.
EN:
In its judgment of 17 December 2020 in Case C-490/19, the Court
of Justice of the European Union was asked for the first time to determine whether the reproduction of the shape, distinctive characteristics and/or typical appearance of a product protected by a registered
name, in the absence of the use of the name, is capable of constituting
a ‘practice liable to mislead the consumer as to the true origin of the
product’, a practice prohibited by Article 13(1)(d) of Regulation
510/2006 and Regulation 1151/2012.
The case at issue concerns the ‘Morbier’ French cheese, which has
been granted a registered designation of origin according to a decree
of 22 December 2000 and is characterised by the presence of a black
strip of charcoal dividing the cheese horizontally into two parts,
which is explicitly mentioned in the product specification description.
According to the Syndicat interprofessionnel de défense du fromage
Morbier, the production and marketing by Société Fromagère du Livradois of a cheese which has the same visual appearance as the
cheese protected by the ‘Morbier’ PDO, namely, the black stripe in
the middle of the cheese, is detrimental to the PDO and constitutes
an act of unfair competition and parasitism.
The judgment of the Court of Justice under consideration marks
an important step forward in the system of quality schemes protection
since it includes the reproduction of the characteristic form of a designation of origin in the extensive system of protection set out in Article 13(1)(d) of Regulation No 1151/2012 on the basis of the existence
160
ALIMENTA
of a single condition consisting in the mere fact that such acts are liable to give rise to a (proven) risk of misleading the consumer as to the
geographical origin or production of the product. The protection
granted to designations of origin by the regulations concerns the registered name and not the product to which it relates. Consequently,
the purpose of that protection is not to prohibit the use of manufacturing methods or the reproduction of one or more characteristics set
out in the specification of a product protected by such a designation.
The Court of Justice has therefore clarified that in order to determine
whether there is a risk of misleading the reasonably well-informed and
reasonably observant and circumspect European consumer, a case-bycase assessment must be made in the light of all relevant factors, including the manner in which the products are presented to the public.
In other words, it must be ascertained whether the appearance and/or
shape of the product covered by the registered name is such a distinctive characteristic of the product that its reproduction could “confuse” the consumer to the extent that he would believe that the product containing that reproduction is the subject of the registered name.
PAROLE CHIAVE
Indicazioni Geografiche Protette – I.G.P. – Denominazioni di
Origine Protetta – D.O.P. – evocazione – pratiche commerciali sleali
– forma o aspetto che caratterizzano un prodotto a denominazione
registrata – consumatore medio – prodotti agricoli e alimentari – regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.
Protected Geographical Indications – P.G.I. - Protected Denominations of Origin P.D.O. – evocation – misleading practices - shape or
appearance characterising a product covered by a registered name –
average consumer – agricultural products and foodstuffs – quality
schemes for agricultural products and foodstuffs.
PARTE III
DOCUMENTAZIONE
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
Le sentenze citate sono segnalate nella newsletter mensile CeDiSA
(www.cedisa.info) e pubblicate nella versione integrale in formato pdf sulla
pagina del gruppo Facebook CAFLA – Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare all’indirizzo internet https://www.facebook.com/
groups/481069885867217.
Giurisprudenza dell’Unione europea
Tutela dei consumatori.
La Corte si pronuncia sulla formazione dei contratti e sulla nozione di
“fornitura non richiesta”.
Sentenza della Corte di giustizia (UE) 3 febbraio 2021 nella causa
C‑922/19, Stichting Waternet c. MG, ECLI:EU:C:2021:91.
Tutela dei Consumatori – Pratiche commerciali sleali - Nozione di “fornitura non richiesta” – Consenso espresso – Necessità – Distribuzione di acqua potabile.
L’articolo 9 della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza e l’articolo 27 della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, sui diritti dei consumatori, in combinato disposto con l’articolo 5,
paragrafo 5, e con il punto 29 dell’allegato I della direttiva 2005/29/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle pratiche commerciali sleali
delle imprese nei confronti dei consumatori, non disciplinano la formazione dei
contratti, sicché spetta al giudice del rinvio valutare, conformemente alla normativa nazionale, se un contratto possa essere considerato concluso tra una società di distribuzione di acqua e un consumatore in mancanza di un consenso
espresso di quest’ultimo.
La nozione di «fornitura non richiesta», ai sensi del punto 29 dell’allegato
I della direttiva 2005/29, deve essere interpretata nel senso che, fatte salve le
verifiche che il giudice del rinvio deve effettuare, essa non comprende una pratica commerciale di una società di distribuzione di acqua potabile consistente
nel mantenere l’allaccio alla rete pubblica di distribuzione di acqua in caso di
164
ALIMENTA
trasferimento di un consumatore in un’abitazione precedentemente occupata,
allorché tale consumatore non ha la possibilità di scegliere il fornitore di tale
servizio, quest’ultimo fattura tariffe a copertura dei costi, trasparenti e non discriminatorie, in funzione del consumo di acqua e detto consumatore è a conoscenza del fatto che l’abitazione di cui trattasi è allacciata alla rete pubblica di
distribuzione di acqua e che la fornitura di acqua è a pagamento.
◌֗ ◌֗ ◌֗
Etichettatura dei prodotti cosmetici.
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 17 dicembre 2020, in causa C667/19, A.M. / E.M., ECLI:EU:C:2020:1039.
Prodotti cosmetici – Regolamento (CE) n. 1223/2009 – Articolo 19 – Informazione dei consumatori – Etichettatura – Indicazioni che devono figurare sul recipiente e sull’imballaggio dei prodotti – Etichettatura in lingua straniera – «Funzione del prodotto cosmetico» – Nozione – Imballaggi di prodotti cosmetici recanti un riferimento a un catalogo dettagliato di prodotti
redatto nella lingua del consumatore.
La Corte chiarisce i diritti del consumatore alla informazione trasparente in ambito cosmetico e i relativi obblighi degli operatori economici.
L’articolo 19, paragrafo 1, lettera f), del regolamento (CE) n. 1223/2009
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti
cosmetici, deve essere interpretato nel senso che l’indicazione della «funzione
del prodotto cosmetico» che deve figurare, in forza di tale disposizione, sul recipiente e sull’imballaggio del prodotto deve essere idonea a informare chiaramente il consumatore sull’uso e sulle modalità di impiego del prodotto al fine
di garantire che quest’ultimo possa essere utilizzato in modo sicuro dai consumatori senza nuocere alla loro salute, e non può quindi limitarsi a menzionare
soltanto gli scopi perseguiti con l’impiego del prodotto, quali previsti all’articolo
2, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento. Spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce delle caratteristiche e delle proprietà del prodotto nonché
dell’aspettativa del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, la natura e la portata dell’informazione che deve
figurare a tale titolo sul recipiente e sull’imballaggio del prodotto affinché se ne
possa fare un uso esente da pericoli per la salute umana.
Le indicazioni di cui all’articolo 19, paragrafo 1, lettere d), f) e g), di tale
regolamento, vale a dire rispettivamente quelle relative alle precauzioni partico-
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
165
lari per l’impiego del prodotto cosmetico, alla funzione di tale prodotto e ai suoi
ingredienti, non possono figurare in un catalogo aziendale al quale faccia riferimento il simbolo previsto all’allegato VII, punto 1, di detto regolamento apposto sull’imballaggio o sul recipiente di detto prodotto.
Prodotti tipici – denominazioni geografiche.
Sentenza del Tribunale (Decima Sezione) del 14 aprile 2021, in causa T201/20, Berebene Srl contro Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, ECLI:EU:T:2021:192.
Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio
dell’Unione europea figurativo GHISU – Marchio collettivo nazionale figurativo anteriore CHIANTI CLASSICO – Impedimento alla registrazione relativo – Articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto
articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (UE) 2017/1001] – Vantaggio tratto
indebitamente dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore.
Il Tribunale Ue ribadisce i criteri di valutazione comparativa fra segni
in conflitto.
Il confronto fra marchi deve fondarsi sulla somiglianza visiva, fonetica e concettuale dei segni in conflitto, nonché sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. Non è
contraddittorio concludere, nell’ambito della comparazione dei segni in sede di applicazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, nel senso
dell’esistenza di una somiglianza globale tra i segni in conflitto senza prendere una
posizione definitiva su tale somiglianza sul piano fonetico, a condizione che la somiglianza globale sia sufficiente affinché il pubblico interessato connetta mentalmente detti marchi, vale a dire stabilisca un nesso tra gli stessi.
Pertanto, un grado di somiglianza, ancorché tenue, e anche su un solo piano, non consente, di per sé, di escludere l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo
5, del regolamento n. 207/2009. Il confronto tra i segni in conflitto, dei quali
uno compone un marchio collettivo e l’altro compone un marchio individuale, è
fondato sugli stessi criteri applicabili al confronto tra i segni che compongono
due marchi individuali.
Di conseguenza, nulla impedisce di concludere che il segno che compone un
marchio individuale e quello che compone un marchio collettivo veicolano lo
stesso concetto o, come nel caso di specie, un concetto simile.
166
ALIMENTA
Il fatto che il marchio richiesto evochi il marchio anteriore nella mente del
consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, equivale all’esistenza di un nesso fra gli stessi. L’esistenza del nesso menzionato, così come l’esistenza di un rischio di confusione, devono essere oggetto di
valutazione globale, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie.
Tra detti fattori figurano il grado di somiglianza tra i marchi in esame, la natura
dei prodotti o dei servizi contraddistinti da tali marchi, compreso il grado di prossimità o di dissomiglianza di tali prodotti o servizi, nonché il pubblico interessato,
il livello di notorietà del marchio anteriore e il grado di carattere distintivo, intrinseco o acquisito in seguito all’uso, del marchio anteriore.
Domanda di modifica del disciplinare di un prodotto IGP.
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 15 aprile 2021.Causa C-53/20,
ECLI:EU:C:2021:279.
Rinvio pregiudiziale – Protezione delle indicazioni geografiche e delle
denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari – Regolamento
(UE) n. 1151/2012 – Articolo 49, paragrafo 3, primo comma e paragrafo 4,
secondo comma – Articolo 53, paragrafo 2, primo comma – Modifica del disciplinare di un prodotto – Cetriolini della Foresta della Sprea (Germania)
“Spreewälder Gurken (IGP)” – Modifiche non minori – Opposizione – Dichiarazione di opposizione alla domanda di modifica – Ricorso contro la decisione che accoglie tale domanda – Nozione di “interesse legittimo”.
La Corte adotta una interpretazione estensiva della nozione di “interesse legittimo” al fine di consentire al più ampio novero di soggetti possibile
la legittimazione a presentare una opposizione alla domanda di modifica di
un disciplinare di produzione di una DOP – IGP, onde soddisfare al meglio
le finalità della norma.
L’articolo 49, paragrafo 3, primo comma, e paragrafo 4, secondo comma,
del regolamento (UE) n. 1151/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari,
in combinato disposto con l’articolo 53, paragrafo 2, primo comma, di
quest’ultimo, deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito della procedura applicabile alle domande di modifica non minore del disciplinare di un prodotto che beneficia di un’indicazione geografica protetta, ogni persona fisica o
giuridica che subisca un pregiudizio economico, reale o potenziale, però non del
tutto inverosimile, dalle modifiche richieste può vantare l’«interesse legittimo»
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
167
richiesto per dichiarare un’opposizione alla domanda di modifica presentata o
per proporre ricorso contro la decisione che accoglie detta domanda, qualora il
rischio di pregiudizio agli interessi di tale persona non sia puramente improbabile o ipotetico, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Ambiente: diritto di accesso alle informazioni ambientali detenute dalle
autorità pubbliche.
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 15 aprile 2021. Causa C470/19, Friends of the Irish Environment Ltd c. Commissioner for Environmental Information, ECLI:EU:C:2021:271.
Rinvio pregiudiziale – Convenzione di Aarhus – Direttiva 2003/4/CE –
Diritto di accesso alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche – Articolo 2, punto – Nozione di “autorità pubblica” – Organi o istituzioni che agiscono nell’esercizio del potere giudiziario – Informazioni contenute nel fascicolo di un procedimento giurisdizionale chiuso.
La Corte chiarisce la nozione di “autorità pubbliche” con riferimento
all’accesso ad informazioni contenute in fascicoli giudiziari o in documenti
detenuti da autorità poste sotto il controllo dell’Autorità giudiziaria.
L’articolo 2, punto 2, della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione
ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che esso non disciplina l’accesso alle informazioni ambientali contenute nei fascicoli giudiziari, nei limiti in cui gli organi giurisdizionali
o le istituzioni poste sotto il loro controllo, e che presentano quindi stretti legami con questi ultimi, non costituiscono «autorità pubbliche» ai sensi di tale
disposizione e non rientrano dunque nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Infatti, emerge tanto dalla convenzione di Aarhus stessa quanto dalla direttiva 2003/4, avente l’obiettivo di attuare tale convenzione nel diritto
dell’Unione, che, riferendosi alle «autorità pubbliche», i loro estensori hanno
inteso designare non già le autorità giudiziarie, in particolare gli organi giurisdizionali, bensì, come già dichiarato dalla Corte, le autorità amministrative
poiché, all’interno degli Stati, sono queste che abitualmente si trovano a detenere, nell’esercizio delle loro funzioni, informazioni ambientali.
Gli organi giurisdizionali non fanno parte del governo né di altre amministrazione pubbliche ai sensi dell’articolo 2, punto 2, primo comma, lettera a),
168
ALIMENTA
della direttiva 2003/4. Essi non possono neppure essere assimilati alle persone
fisiche o giuridiche che esercitano «funzioni amministrative pubbliche, ivi compresi compiti, attività o servizi specifici aventi attinenza con l’ambiente» di cui
all’articolo 2, punto 2, primo comma, lettera b), di tale direttiva, il quale designa gli organismi o le istituzioni che, pur non essendo parte del governo o delle
altre amministrazione pubbliche di cui a tale prima disposizione, esercitano
funzioni rientranti nel potere esecutivo o che concorrono all’esercizio di
quest’ultimo e che hanno un rapporto con l’ambiente.
Se è vero che l’attuazione dell’obiettivo della partecipazione pubblica ai
processi decisionali in materia ambientale implica che le autorità amministrative diano accesso al pubblico alle informazioni ambientali in loro possesso, al
fine di rendere conto delle decisioni che esse adottano in tale materia e di associare i cittadini alla loro adozione, ciò non vale per le memorie e gli altri documenti versati ai fascicoli di procedimenti giurisdizionali in materia ambientale,
in quanto il legislatore dell’Unione non ha inteso favorire l’informazione del
pubblico in materia giudiziaria e la partecipazione di quest’ultimo al processo
decisionale in tale materia.
Commercio Fitosanitari.
La Corte conferma l’identità di trattamento normativo del titolare dei
permessi di commercializzazione dei prodotti fitosanitari e dei titolari di
licenze di importazioni parallele. Solo i primi possono accedere alle seconde.
Sentenza del 4 marzo 2021 nella causa C – 912/19, Agrimotion S.A. c.
ADAMA Deutschland GmbH, ECLI:EU:C:2021:173.
Immissione in commercio dei prodotti fitosanitari – Regolamento (CE)
n.1107/2009 – Articolo 52, paragrafo 1 – Permesso di commercio parallelo –
Carattere personale di tale permesso.
L’articolo 52, paragrafo 1, del regolamento (CE) n.1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul
mercato dei prodotti fitosanitari deve essere interpretato nel senso che solo il
titolare di un permesso di commercio parallelo può immettere un prodotto fitosanitario nel mercato dello Stato membro che ha concesso tale permesso.
Infatti l’applicazione del regime del commercio parallelo di cui all’articolo 52
del regolamento n. 1107/2009 dipende dall’applicazione del regime di autorizzazione previsto segnatamente all’articolo 33 di tale regolamento, dato che, in forza
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
169
della prima disposizione, il permesso di commercio parallelo può essere concesso
solo per un prodotto fitosanitario la cui composizione sia identica a quella di un
prodotto fitosanitario già autorizzato nel territorio dello Stato membro
d’introduzione. Se si dovesse ritenere che il permesso di commercio parallelo non
abbia un carattere personale, ne risulterebbe un pregiudizio alla coerenza del
suddetto regolamento, in quanto una persona non titolare di un simile permesso
potrebbe immettere sul mercato di uno Stato membro un prodotto fitosanitario,
mentre solo il titolare dell’autorizzazione relativa al prodotto di riferimento per lo
stesso mercato ha il diritto di immettere tale prodotto su detto mercato.
L’interpretazione, d’altra parte, è coerente con la ratio della norma chiarita
nei considerando introduttivi, laddove è chiaramente affermato che il regolamento n. 1107/2009 ha lo scopo di garantire un elevato livello di protezione
della salute umana e animale e dell’ambiente e, al contempo, di preservare la
competitività dell’agricoltura dell’Unione europea, nonché di aumentare la libera circolazione dei prodotti fitosanitari e la loro disponibilità negli Stati
membri sopprimendo la disparità dei livelli di protezione negli Stati membri e
armonizzando in particolare le norme relative al riconoscimento reciproco delle
autorizzazioni e il commercio parallelo di tali prodotti.
◌֗ ◌֗ ◌֗
Informazioni relative ai medicinali veterinari.
Sentenza del 17 marzo 2021 nella causa C – 64/20, UH c. An tAire
Talmhaíochta,
Bia
agus
Mara,
Éire,
An
tArd-Aighne,
ECLI:EU:C:2021:207.
Direttiva 2001/82/CE – Codice comunitario relativo ai medicinali veterinari – Articoli 58, 59 e 61 – Informazioni che devono figurare sui confezionamenti esterni, sui confezionamenti primari e sui foglietti illustrativi dei
medicinali veterinari – Obbligo di redigere le informazioni in tutte le lingue
ufficiali dello Stato membro di immissione in commercio – Normativa nazionale che prevede la redazione delle informazioni soltanto in una delle due
lingue ufficiali dello Stato membro.
La Corte chiarisce i limiti di autonomia del giudice nazionale nel determinare se, in caso di non corretta trasposizione di una direttiva da parte di una
norma nazionale, in un ambito soggetto comunque a cambiamento per effetto
dell’ormai imminente entrata in vigore di una nuova norma europea, sia possibile non dare luogo ai provvedimenti previsti dall’ordinamento nazionale per le
ipotesi di inadempimento alle norme Ue (c.d. stand still “a contrariis)”.
170
ALIMENTA
Il diritto irlandese consente ai singoli di ottenere una dichiarazione giurisdizionale secondo la quale l’Irlanda non ha correttamente recepito una direttiva dell’Unione ed è tenuta a procedere al suo recepimento, ma lascia ai giudici
nazionali la possibilità di rifiutare di effettuare una siffatta dichiarazione, per i
motivi stabiliti da tale diritto. Il giudice del rinvio ha constatato il recepimento
non corretto della direttiva 2001/82.
La circostanza che la normativa irlandese risulti già ad oggi compatibile con
il regolamento 2019/6, che si applicherà a decorrere dal 28 gennaio 2022, non
può mettere in discussione l’accertamento dell’incompatibilità di tale normativa
con il diritto dell’Unione fino a tale data né può, a fortiori, giustificare una siffatta incompatibilità. Infatti, soltanto la Corte può, eccezionalmente e per considerazioni imperative di certezza del diritto, concedere una sospensione provvisoria degli effetti di una norma di diritto dell’Unione rispetto al diritto nazionale con essa in contrasto.
Ne consegue che l’articolo 288 TFUE osta a che un giudice nazionale possa
prescindere dall’obbligo imposto allo Stato membro al quale appartiene di recepire una direttiva a causa del presunto carattere sproporzionato di tale recepimento in quanto quest’ultimo potrebbe rivelarsi costoso o inutile a fronte della
futura abrogazione di tale direttiva. Spetta quindi al giudice del rinvio prendere
ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare che il risultato
previsto da detta direttiva sia raggiunto e adottare, di conseguenza, la dichiarazione richiesta.
Giurisprudenza italiana
Prodotti della filiera “corta”
Corte Costituzionale
Corte Costituzionale 9 marzo 2021, n. 31, - Coraggio, pres.; Amato, est.
– Presidente del Consiglio dei ministri c. Regione Toscana.
Agricoltura foreste- norme della regione Toscana – nozione di chilometro zero – discriminazione.
Una norma regionale che favorisca i prodotti regionali senza tener conto della prossimità fisica dei luoghi di produzione siti anche in regioni contigue viola gli artt. 117, co. 2, lett. a) e 120 della Costituzione.
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
171
Sono costituzionalmente illegittime le disposizioni di cui agli artt. 2, 3, e 4
della legge della Regione Toscana 10 dicembre 2019, n. 75 (Norme per incentivare l’introduzione dei prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta
nelle mense scolastiche) per violazione dell’art. 117, secondo comma lett. e) in
materia di “tutela della concorrenza” e dell’art. 120 Cost. in quanto, per quanto
l’art. 3 della legge non disciplini direttamente un criterio premiale, i caratteri
che i progetti pilota promuovono hanno un impatto negativo sulla concorrenza
e sulla circolazione dei prodotti alimentari, privilegiando quelli che provengano
dalla regione. Nel caso di specie, il criterio usato per la definizione del chilometro zero implica un collegamento - produzione e trasformazione del prodotto
all’interno della regione - con il territorio della regione stessa, che prescinde
dall’eventualità che la consumazione e l’utilizzo di prodotti provenienti da aree
prossime, site in territorio extra-regionale, coinvolgano una distanza tra produzione e consumo addirittura minore.
Anche con riferimento alla filiera corta, poi, l’art. 3 della suddetta legge regionale, nel richiedere il coinvolgimento di un unico intermediario, esclude a
priori che due intermediari siano in grado di ricoprire una distanza minore di
quella dell’unico intermediario ammesso dalla legge. La medesima disposizione
produce il medesimo effetto nel momento in cui prescrive che i progetti pilota
debbano garantire la preparazione dei pasti con almeno il cinquanta per cento
di prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta ed anche in questo caso
la definizione di chilometro zero non prescinde dal collegamento con il territorio regionale. Non sono, pertanto, ravvisabili quelle esigenze di tutela
dell’ambiente e della salute che legittimano, ai sensi dell’art. 95, comma 13, del
codice dei contratti pubblici, il conferimento di punteggi premiali nel contesto
delle procedure di affidamento di appalti pubblici a beneficio di coloro che impieghino prodotti a chilometri zero e da filiera corta.
Il legislatore toscano, in definitiva, attribuisce un trattamento deteriore a
coloro che utilizzino prodotti differenti da quelli che provengano dal territorio
regionale.
Giurisprudenza amministrativa
Agricoltura: fertirrigazione e impatto ambientale
T.A.R. Umbria, Sezione Prima, sentenza del18 gennaio 2021, n. 22 - Potenza, pres.; Mattei, est. - Nulli (avv. De Matteis) c. Comune di Marsciano,
A.R.P.A. Umbria (n.c.).
172
ALIMENTA
Ambiente - Azienda agricola - Ordinaria attività di utilizzo dei reflui zootecnici (che rifiuti non sono) nell’ambito dell’attività agricola ed ai fini della
pratica, diffusa e legittima, della fertirrigazione - Ordinanze contingibili e urgenti e poteri sostitutivi - Ordinanza sindacale che impone la predisposizione
di una relazione tecnica con descrizione delle tecniche di distribuzione dei
reflui zootecnici - Illegittimità dell’ordinanza.
L’utilizzo della fertirrigazione nel contesto di una situazione emergenziale può legittimare l’inosservanza dei termini e degli adempimenti sanciti
dalle disposizioni ordinarie.
L’utilizzo della fertirrigazione per far fronte ad una situazione di pericolo
imminente di tracimazione e ruscellamento per ostruzione delle tubazioni mobili tra la fossa di rilascio e la laguna di stoccaggio comporta l’obbligo per
l’amministrazione comunale di valutare la situazione di fatto prima di contestare al privato di aver fatto ricorso a detta tecnica senza aver notificato
l’operazione nelle 48 ore precedenti lo spandimento e di non aver osservato il
termine di 30 giorni dalla trasmissione della comunicazione di cui all’art. 14
DGR Umbria 1492/2006.
Prodotti biologici: ancora sulla giurisdizione in tema di provvedimenti
sanzionatori comminati dagli OdC.
Consiglio di Stato, Sezione terza, sentenza 3 marzo 2021, n. 1829.
Agricoltura e foreste – agricoltura biologica – Commercializzazione di
partite di frumento tenero “bio” – Uso di prodotti non ammessi o non registrati – Soppressione cautelativa delle indicazioni biologiche – Divieto di riportare in etichetta la dicitura di “biologico” relativamente alla vendita dei
prodotti aziendali durante il periodo di sospensione – Difetto di giurisdizione.
Soppressione cautelativa delle indicazioni biologiche riferite a partite di
frumento tenero: affermata la giurisdizione del giudice ordinario.
I provvedimenti di ICEA, recanti “Soppressione delle indicazioni BIO” ed
“Esclusione dell’operatore” irrogati per non aver osservato la sospensione non
costituiscono esercizio di un potere autoritativo, bensì di un’attività dichiarativa
volta a constatare la conformità o meno del prodotto alle condizioni normative
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
173
fondamentale al fine di tutelare la fiducia del consumatore verso il prodotto
biologico. La corrispondente posizione giuridica soggettiva facente capo al privato pertanto afferisce alla giurisdizione del giudice ordinario.
Consiglio di Stato, Sezione terza, sentenza 26 marzo 2021, n. 2576 – Lipari, Pres.; Santoleri, est. – Azienda Agricola Giol S.S. Società Agricola (Avv.
Pisanello) c. ICEA – Istituto di certificazione etica ed ambientale (Avv. Ti
Ruffolo, Loccisano) ed a.
Agricoltura e foreste – Prodotti biologici (settore della produzione e vinificazione di uve) – Verifica del rispetto della normativa regolante l’esercizio
di attività di agricoltura biologica – ICEA – giurisdizione del giudice ordinario – confine tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria.
I provvedimenti degli OdC aventi carattere tecnico capaci di pregiudicare le posizioni giuridiche soggettive dei soggetti sottoposti a controllo sono
soggetti ad impugnazione avanti al giudice ordinario.
In materia di certificazione biologica da prodotti agricoli sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sui provvedimenti assunti dagli Organismi di
Controllo (OdC) dal momento che gli organismi privati, tra i quali l’ICEA –
Istituto di Certificazione Etica e Ambientale - autorizzati dal Ministero delle
Politiche agricole e forestali svolgono un’attività dichiarativa e valutativa,
espressione di una discrezionalità meramente tecnica, su supervisione della
pubblica autorità. Le posizioni giuridiche soggettive corrispondenti dei privati
pertanto afferiscono alla sfera di cognizione del giudice ordinario.
◌֗ ◌֗ ◌֗
Prodotti DOP – IGP: deroghe ai disciplinari di produzione.
T.A.R. Lazio - Roma, Sezione Seconda, sentenza del 31 marzo 2021,
n. 3883 – c. Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed a.
(Avv. gen. Stato) ed a. Produzione, commercio e consumo - Prodotti alimentari.
Elaborazione e imbottigliamento del vino Prosecco DOP – aree esterne
allo Stato della DOP – deroghe – non ammesse.
174
ALIMENTA
È precluso il rilascio dell’autorizzazione DOP in base all’art. 5, commi
2 e 3, del Disciplinare ad imprese aventi sede al di fuori del territorio dello
Stato membro richiesto.
Le aziende aventi sede all’estero non possono invocare l’art. 5, comma 2 e
3, del Disciplinare per ottenere l’autorizzazione per “l’imbottigliamento o
l’elaborazione delle tipologie di “spumante” o “frizzante”” in quanto l’efficacia
territoriale è circoscritta ai confini nazionali. È lo Stato membro il soggetto tenuto ad avanzare la proposta e la concessione dell’autorizzazione, pertanto, non
può che risentire dei limiti territoriali della sua sovranità. L’efficacia territoriale
dell’autorizzazione è ulteriormente ristretta, poi, all’ambito oggettivo delineato
dai produttori, autori della richiesta. Ne consegue che la sola osservanza dei requisiti di cultura per un tempo ultraquinquennale nel periodo precedente
l’entrata in vigore del decreto non è sufficiente a consentire il rilascio della stessa.
Né ai fini della concessione della summenzionata autorizzazione sussistono
ragionevoli presupposti per supporre l’incompatibilità di tale disciplina con i
principi della libera circolazione delle merci o di non discriminazione delle
aziende in ragione della propria appartenenza nazionale o di tutela della concorrenza, costituendo proprio l’esigenza di preservare la qualità del prodotto il
presupposto logico necessario della tutela del mercato e dell’affidamento del
consumatore sul rispettivo marchio.
Corte di Cassazione
Prodotti biologici: ancora sulla giurisdizione in materia di provvedimenti sanzionatori comminati dagli OdC.
Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza n. 1914 del 28.01.2021.
Alimenti biologici - sanzioni O.D.C., giurisdizione - produzioni biologiche – certificazioni – provvedimenti sanzionatori – Organismo di controllo incaricato dal MPAAF – valenza – giurisdizione amministrativa – non
sussiste.
Gli Organismi di Controllo incaricati dal MPAAF non assumono il ruolo
della pubblica amministrazione né esercitano funzioni pubbliche. I loro provvedimenti sanzionatori sono, pertanto, soggetti alla giurisdizione ordinaria.
Dal momento che ai fini della giurisdizione, deve aversi riguardo alla situa-
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
175
zione sostanziale dedotta in giudizio, deve escludersi che nelle cause aventi ad
oggetto la legittimità dei provvedimenti - concernenti il divieto di commercializzazione del prodotto con il metodo della produzione biologica, il divieto di
inserire nelle etichette il riferimento al metodo della produzione biologica e la
cancellazione dell’azienda dall’elenco degli operatori biologici - sussista la giurisdizione del giudice amministrativo. Gli organismi privati autorizzati, infatti,
non assumono né il ruolo della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 7,
comma 2, cod. proc. Amm., né tantomeno esercitano funzioni pubbliche. Le
certificazioni sono, piuttosto, documenti informativi con il compito di veicolare
il messaggio al pubblico dei consumatori della certificata conformità del prodotto agli “standards di legge e di garanzia dell’affidabilità al riguardo dell’impresa
e dei suoi prodotti” (Cass. SU ord. N. 9678/2019) al fine di tutelare la loro fiducia nei confronti dei prodotti biologici, ai sensi del considerando 22 del Regolamento (CE) n. 834/07.
(Su questa sentenza si veda nella Parte II di questa stessa Rivista la nota di
D. PISANELLO, Quale giudice per il biologico: note alla sentenza 1914/2021 resa
dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite sulla relativa questione di giurisdizione).
◌֗ ◌֗ ◌֗
Sanzioni amministrative
Cassazione Civile, Sezione 6, ordinanza n. 5562 del 01.03.2021.
Annullamento – nuovo provvedimento sanzionatorio – bis in idem – non
sussiste - attività di somministrazione di alimenti e bevande in mancanza di
autorizzazione amministrativa.
Non viola il principio del “ne bis in idem” un provvedimento che irroghi una sanzione amministrativa dopo l’annullamento di altra sanzione relativa agli stessi fatti per mero vizio procedurale.
L’annullamento del provvedimento sanzionatorio, di intimazione della cessazione dell’attività di somministrazione di bevande ed alimenti, fondato sul
relativo illegittimo esercizio, da parte del giudice amministrativo con sentenza
definitiva per vizio meramente procedurale ad opera del Comune non impedisce l’irrogazione di un ulteriore provvedimento basato sulla sussistenza del medesimo fatto illecito già previamente contestato. Il nuovo provvedimento è
dunque opponibile dinanzi al giudice ordinario, alla cui cognizione può essere
devoluto il merito dell’opposizione all’ordinanza - ingiunzione.
176
ALIMENTA
◌֗ ◌֗ ◌֗
Igiene degli alimenti
Cassazione Penale, Sezione Terza, Sentenza n. 9349 del 09.03.2021.
Igiene degli alimenti- Covid - detenzione di alimenti in cattivo stato di
conservazione - sequestro penale dell’attività – art. 5 legge 283/1962 – mera
detenzione presso esercizio di somministrazione al pubblico (ristorante) –
crisi Covid – chiusure prolungate – contravvenzioni – sussiste.
È legittimo il sequestro preventivo di un locale di ristorazione nel periodo di pandemia ancorché con attività chiusa al pubblico per detenzione
di alimenti in cattivo stato di conservazione.
Perché possa considerarsi integrato il reato di cui all’articolo 5, legge
283/1962, non è necessario che venga fornita la prova dell’impiego materiale
del prodotto alimentare ai fini della vendita ai consumatori, essendo invece sufficiente la presenza di un alimento in cattivo stato di conservazione in possesso
del venditore in attesa della sua futura destinazione ai consumatori. Sono pertanto da considerare in detenzione in cattivo stato di conservazione quegli alimenti che siano collocati all’interno di un veicolo, il cui sistema di refrigerazione sia inattivo, qualora il veicolo sia parcheggiato nelle vicinanze del magazzino
di generi alimentari, il cui proprietario coincida con l’imputato.
◌֗ ◌֗ ◌֗
Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 9910 del 12.03.2021.
Igiene degli alimenti – esposizione alimenti nella pubblica via – alimenti
in cattivo stato di conservazione – art- 5 lett. b) legge 283/1962 – reato di pericolo – ordine alimentare – esposizione agli agenti atmosferici
L’esposizione degli alimenti agli agenti atmosferici implica reato in sé, a
prescindere dalla sussistenza di una contaminazione o ammaloramento degli stessi.
Per l’integrazione del reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, di cui all’art. 5, lettera b), del d.lgs. n.
283, del 1962, non è necessario che verifichi un danno concreto. È invece sufficiente, nel caso concreto, la probabilità di un danno derivante dall’idoneità della modalità di conservazione degli alimenti a cagionare un pericolo per la salute
dei consumatori dell’alimento. La fattispecie, infatti, mira a proteggere il cd.
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
177
Ordine alimentare, consistente nell’insieme delle prescrizioni volte a preservare
l’igiene dell’alimento.
In ogni singola fattispecie, è pertanto necessario, ai fini della configurazione del reato, accertare che la modalità di conservazione dell’alimento sia tale da
esporre l’alimento al pericolo di un danno o di deterioramento.
◌֗ ◌֗ ◌֗
Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 14235 – depositata il
16.04.2021
Cattivo stato di conservazione degli alimenti – igiene degli alimenti – sicurezza – campionabilità della merce in fase di produzione e lavorazione
Il reato di cui all’art. 5 lett. d della l. 283/62 è configurabile anche
quando la merce è ancora nella materiale disponibilità del produttore.
Il reato di cui all’art. 5, lett. d), legge n. 283 del 1962 concernente il cattivo
stato di conservazione degli alimenti si configura anche qualora la merce analizzata sia stata sottoposta a campionamento ed analisi sebbene si trovi ancora
nella disponibilità del produttore. Né può ipotizzarsi che una disposizione nazionale di tale tenore collida con il regolamento 2073/2005 UE, dal momento
che la stessa normativa consente agli Stati membri di proteggere l’igiene degli
alimenti e la loro sicurezza anche mediante l’adozione di misure di tutela da
attuare nella fase di fabbricazione e lavorazione dell’alimento “(Sez. 3, n. 6621
del 04/12/2013, dep. 2014, Rv. 258927 - 01)”. Su queste basi, la legge 283 del
1962 costituisce, pertanto, una misura di prevenzione legittima.
Trattamenti enologici non autorizzati
Cassazione Civile, Sezione Seconda, Ordinanza n. 6896 del 11.03.2021.
Trattamento enologico – sterilizzazione – autorizzazione – attività meramente esecutiva svolta da un terzo – onere di diligenza – responsabilità – non sussiste.
La mancanza di una autorizzazione al trattamento enologico in una cantina non è rimproverabile al soggetto meramente incaricato delle operazioni, ancorché consapevole del problema.
Colui che svolge l’attività meramente esecutiva di un trattamento enologico,
178
ALIMENTA
quand’anche abbia dichiarato di essere a conoscenza della circostanza per cui i titolari delle cantine debbano chiedere l’autorizzazione ovvero del fatto che non
l’abbiano chiesta, non può vedersi imputata la violazione dell’art. 3, par. 1 e 2 ed
allegato TA del Reg. CE n. 606 del 10.7.2009 e dell’art. 120-quater del Reg. CE
n. 1234 del 22.10.2007, dal momento che l’onere di diligenza consistente nel procurarsi la relativa autorizzazione grava esclusivamente sui titolari delle cantine
che, in quanto “soggetti professionali”, si assumono “il rischio di una illecita detenzione allo scopo di commercio di vini sottoposti a preventivo trattamento”.
◌֗ ◌֗ ◌֗
Agricoltura: coltivazione di cannabis sativa.
Cassazione Penale, Sezione Quarta, sentenza n. 10012 del 15.03.2021
Coltivazione di cannabis sativa – THC – soglie di presenza – irrilevanza –
reato di cui all’art. 73, co. 5, del D.P.R. 309/1990 – qualità della sostanza –
deroghe al divieto di coltivazione – tassatività
Sequestro di prodotti (segnatamente di confezioni contenenti inflorescenze di canapa sativa) derivanti dalla coltivazione della cannabis presso
gli esercizi commerciali di cui sono titolari i ricorrenti.
La commercializzazione di cannabis sativa L. o di prodotti che da essa provengono, non indicati nella legge del 2016, configura il reato di cui all’art. 73
co. 5 del D.P.R. 309/1990, quand’anche il contenuto del THC si collochi al di
sotto delle soglie indicate nell’art. 4, commi 5 e 7 della legge del 2016 e sia
quindi ricompresa tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento, ovvero sia superiore a
tale limite massimo. Ciò che delimita l’area del penalmente rilevante non è il
limite quantitativo del THC ma la qualità della sostanza commercializzata. Le
sette categorie di prodotti contemplate nell’art. 2, comma 2, legge n. 242 del
2016, infatti, hanno natura tassativa, in quanto eccezioni al generale divieto di
coltivazione della cannabis. È quindi solo la sussumibilità del prodotto commercializzato entro l’elenco di cui sopra che esclude l’integrazione della fattispecie del reato sopramenzionato. A conferma di ciò, le Sezioni Unite richiamano lo scopo dell’attività di coltivazione, come individuato dall’art 26, comma
2, D.P.R. 309/90, che deve consistere “esclusivamente” in un’attività volta alla
“produzione di fibre o alla realizzazione di usi industriali, “diversi” da quelli
relativi alla produzione di sostanze stupefacenti”. Le disposizioni che danno rilievo al THC, pertanto, hanno come unica finalità la tutela del coltivatore, che,
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
179
nel corso del ciclo produttivo, veda incrementare il valore della sostanza medesima oltre la soglia tollerata.
◌֗ ◌֗ ◌֗
Campionamenti e garanzie difensive.
Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 10211 del 17.03.2021
Campionamento di prodotto ittico – sicurezza alimentare – campionamento per l’analisi – garanzie difensive – accertamento tecnico irripetibile –
avviso di prelievo del campione
Senza avviso di prelevamento del campione, i risultati dell’analisi irripetibile non sono utilizzabili nei confronti dell’indagato per violazione delle
garanzie difensive.
Non si può considerare implicita nell’avviso di prelievo di un campione la
comunicazione dello svolgimento dell’accertamento tecnico non ripetibile con
riguardo a campioni deteriorabili, quali sono i prodotti alimentari. Ciò in quanto è insita nella stessa natura del campione l’impossibilità di reiterare l’esame e
dunque il pericolo di pregiudizio del diritto dell’imputato a controllare
l’esecuzione delle operazioni nella persona del proprio consulente tecnico. È
invece giustificata la mancata comunicazione dell’effettuazione delle prime analisi con riferimento a campioni non deteriorabili, in ragione della facoltà di eseguire il riesame degli stessi (Sez. 3, n. 2360 del 19/11/2009, dep. 2010, Prevedini, Rv. 245910).
Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 14235 – depositata il
16.04.2021.
Campionamento per l’analisi – nervetti bovini conditi – campionamento
microbiologico (verifica presenza di salmonelle) – articolo 5 lett. c) legge
283/62 – Regolamento 2073/2005 (criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari).
Le norme sul prelevamento e il campionamento degli alimenti non hanno carattere perentorio: esse non costituiscono una condizione di procedibilità dell’azione penale.
180
ALIMENTA
Le norme che disciplinano il prelevamento ed il campionamento delle merci non hanno carattere perentorio. Esse, dunque, non costituiscono una condizione di procedibilità dell’azione penale.
Ne consegue che la relativa inosservanza non determina nullità, ferma restando tuttavia la necessità che l’utilizzo degli esiti del campionamento condotto in violazione di dette disposizioni sia corredato da adeguata motivazione
(Sez. 3, n 21652 del 02/04/2009, Rivoira, Rv. 243726; Sez. 3, n. 29737 del
11/05/2006, Sciolette, Rv. 234984; cfr. altresì Sez. U, n. 9 del 04/05/1968, Panebianco, Rv. 108761).
Criteri microbiologici. Omissione dell’obbligo di avvertire l’indagato
della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia. Termine per
l’eccezione.
Cassazione Penale, Sezione Terza, sentenza n. 15309 del 2021.
Impiego, per la preparazione, la produzione e la vendita di prodotti alimentari, di ghiaccio autoprodotto con cariche microbiologiche superiori ai
limiti di legge (coliformi fecali e enterococchi, Art. 5 lett. c) legge n. 283 del
1962 - d.lgs 3 marzo 1993 n. 123 - Articoli 223 e 114 disp. att. codice procedura penale in combinato disposto con gli artt. 356 e 354 cod. proc. pen. Accertamenti tecnici irripetibili.
Sanzioni procedurali per l’inosservanza delle disposizioni in materia di
partecipazione dell’operatore del settore alimentare all’esecuzione delle
analisi del campione: nullità e non inutilizzabilità.
Secondo l’opinione giurisprudenziale prevalente, l’inosservanza delle disposizioni concernenti la partecipazione del produttore dell’alimento sottoposto a
campionamento, non dà luogo ad inutilizzabilità ma integra “una nullità a regime intermedio” che, in base all’art. 180 c.p.p., va dedotta anticipatamente rispetto alla sentenza di primo grado. Più specificamente, ai sensi dell’art 182
c.p.p. deve essere eccepita prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non sia
possibile, in corrispondenza del primo atto del procedimento in costanza del cui
compimento sia consentito proporre l’eccezione “(Sez. 3, n. 41063 del
19/03/2015, Greco, Rv. 265089)”. Di conseguenza, la violazione da parte della
polizia giudiziaria dell’obbligo di avvertire l’indagato della possibilità di farsi
assistere dal difensore ai sensi dell’art. 114 delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura penale deve essere rilevata in sede di produzione dell’atto di
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA ALIMENTARE
181
opposizione al decreto penale qualora il giudizio ordinario sia stato instaurato
successivamente ad opposizione a decreto penale di condanna. La deduzione ad
opera del difensore in sede di conclusioni, pertanto, non può considerarsi tempestiva.
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Documentazione:
MINISTERO DELLA SALUTE
Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione
Uff. 2 DGISAN
Viale Giorgio Ribotta, 5 – 00144 Roma
Agli Assessorati alla sanità Regioni e Province autonome
UVAC-PCF
Al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali
Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II. ZZ. SS)
Istituto Superiore di Sanità (ISS)
A Comando Carabinieri per la Tutela della Salute (NAS)
Alle Associazioni di categoria
LORO SEDI
OGGETTO: Indicazioni per l’esecuzione delle attività di campionamento
e analisi di matrici afferenti agli ambiti di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 27 del 2 febbraio 2021 nell’ambito dei controlli ufficiali di cui
al regolamento (UE) 2017/625, in relazione alle disposizioni previste dal Decreto legge 22 marzo 2021 n. 42 “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria
in materia di sicurezza alimentare” pubblicato sulla Serie Generale n.72 della
GU del 24 marzo 2021.
In riferimento alle richieste pervenute da codesti Assessorati, in attesa di
quanto sarà previsto nella legge di conversione del Decreto legge 22 marzo
2021 n. 42 riguardo l’oggetto, si rappresenta quanto segue.
Il citato Decreto legge recante “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria
in materia di sicurezza alimentare”, pubblicato sulla GU del 24 marzo 2021 ha
ripristinato alcuni articoli della legge 30 aprile 1962, n. 283, nonché le relative
disposizioni esecutive del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo
1980, n. 327, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita
delle sostanze alimentari e delle bevande, che erano stati abrogati ad opera del
decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 27, entrato in vigore il 26 marzo 2021.
Si evidenzia che la reintroduzione di alcuni articoli della legge 283/62
determina una antinomia rispetto ai contenuti degli articoli 7 e 8 e degli allegati 1 e 2 del decreto legislativo 27/2021.
184
ALIMENTA
Al fine di evitare contenziosi tra le autorità competenti e gli operatori
economici del settore alimentare dovuti alla differente garanzia del diritto
alla difesa espressa nel regolamento (UE) 2017/625, esplicitata negli articoli 7
e 8 del decreto legislativo n. 27/2021, rispetto alla normativa nazionale in
materia penale, per l’attività di campionamento si applicano le disposizioni
previste dal DPR 327/1980.
Qualora non venga assicurata la riproducibilità dell’esito analitico, in
considerazione della prevalenza e della distribuzione del pericolo nelle merci,
della deperibilità dei campioni o delle merci, come nel caso delle analisi microbiologiche finalizzate alla verifica dei criteri di sicurezza alimentare,
l’autorità competente procederà ad effettuare un campione in unica aliquota
specificando nel verbale di campionamento i relativi motivi che escludono la
opportunità, la pertinenza o la fattibilità tecnica per la ripetizione dell’analisi
o della prova. A questi campioni si applicano le disposizioni previste nel
comma 1 dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 271 del 1989.
A prescindere dalla modalità di campionamento adottata la valutazione
del risultato analitico compete all’autorità competente che ha effettuato il
campionamento. L’Autorità competente deve comunicare il più tempestivamente possibile l’esito alle parti interessate. Qualora l’esito sia sfavorevole gli
operatori possono richiedere la controperizia documentale come previsto dai
commi 3, 4 e 5 dell’articolo 7 del decreto legislativo 27/2021.
Anche nel caso di controversia con ripetizione di analisi da parte
dell’ISS, si applicano le procedure previste nel comma 2 dell’articolo 223 del
decreto legislativo n. 271/1989.
Solo dopo l’esito finale della controversia da parte dell’ISS l’autorità
competente può dare seguito all’applicazione dell’articolo 5 della Legge
283/1962.
L’esame documentale della controperizia e della controversia di cui agli
articoli 7 e 8 del decreto legislativo 27/2021, si riferisce nello specifico alle
registrazioni inerenti le attività condotte dal momento del campionamento
sino all’emissione del rapporto di prova, escludendo la documentazione relativa all’accreditamento da parte di ACCREDIA.
Si specificano di seguito le modalità di campionamento che l’autorità
competente di cui articolo 2, comma 1 del decreto legislativo 27/2021 deve
applicare in assenza di specifiche disposizioni europee e/o nazionali:
- 1 aliquota unica senza convocazione della parte in caso di indagini per
la valutazione dei criteri di igiene di processo o comunque ove non ci sono
limiti di legge sia chimici che microbiologici;
- 1 aliquota unica nei casi previsti dall’art. 7, comma 2, con convocazione
DOCUMENTAZIONE
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della parte ai sensi dell’art. 223 del decreto legislativo 271/89; (analisi unica
irripetibile presso il primo laboratorio ufficiale con convocazione della parte
ai sensi dell’art. 223 del decreto legislativo 271/1989);
- 4/5 aliquote per i campionamenti per la determinazione analitica dei
pericoli chimici ove sono previsti limiti di legge:
1. aliquota per analisi presso il primo laboratorio ufficiale;
2. aliquota per OSA presso cui è stato eseguito il campione che la fa analizzare presso laboratorio privato; (Controperizia)
3. aliquota per OSA produttore in caso di preconfezionati; (Controperizia)
4. aliquota per analisi di revisione presso l’ISS con convocazione della
parte; (Controversia)
5. aliquota a disposizione per eventuale perizia disposta dall’autorità
giudiziaria presso il primo laboratorio.
Per quanto riguarda i campioni destinati al controllo ufficiale dei mangimi, si continuano ad applicare le modalità previste dal regolamento (CE)
152/2009 e successive modifiche e integrazioni, come dettagliate nel piano
nazionale di controllo ufficiale sull’alimentazione degli animali (PNAA), così
come richiamate nell’allegato 1 sezione 2 del decreto legislativo 27/2021.
Relativamente ai controlli sulle merci provenienti da Paesi terzi o da Paesi dell’UE, tenuto conto di quanto previsto dal Decreto legge recante “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare”,
richiamato in premessa, continuano ad applicarsi le modalità di campionamento indicate nella nota DGSAN n. 0015199-P del 10/05/2011.
Tuttavia, l’aliquota che nella sopra citata nota era destinata ad essere
conservata presso l’IZS per l’eventuale contenzioso internazionale non dovrà
essere più prelevata, in considerazione di quanto già chiarito con nota
DGSAF n. 0007765-26/03/2021 in merito alla definizione di operatore che
nell’ambito degli scambi intraUE deve intendersi come il produttore/speditore della merce che si può avvalere per esercitare il diritto alla controperizia, di cui all’articolo 35 del Regolamento 2017/625, dell’operatore
nazionale detentore della partita sottoposta a campionamento.
Resta fermo, anche per le attività di campionamento negli scambi intraUE e nelle importazioni da Paesi terzi, quanto indicato nella presente nota
in relazione alle situazioni nelle quali è necessario procedere al prelievo di un
campione in aliquota unica.
IL DIRETTORE GENERALE
Dott. Pierdavide Lecchini
IL DIRETTORE GENERALE
Dott. Massimo Casciello
ALIMENTA FASCICOLO 1/2021 – ISSN 2284-3574
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MINISTERO DELLA SALUTE
Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione
Uff. 2 DGISAN
Viale Giorgio Ribotta, 5 – 00144 Roma
Agli Assessorati alla sanità Regioni e Province autonome
UVAC-PCF
Al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali
Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II. ZZ. SS)
Istituto Superiore di Sanità (ISS)
A Comando Carabinieri per la Tutela della Salute (NAS)
Alle Associazioni di categoria
LORO SEDI
Id. n. 0040033-13/11/2020-DGISAN-MDS-P
OGGETTO: Misure straordinarie per la rideterminazione della shelf-life
dei prodotti alimentari.
In considerazione delle richieste pervenute delle Associazioni di categoria relativamente alla possibilità di rideterminare la durabilità dei prodotti
alimentari compresi i prodotti congelati e surgelati, alla modalità di etichettatura dei suddetti prodotti e alla possibilità di congelare la carne fresca invenduta destinata alla ristorazione si rappresenta quanto segue.
Fatti salvi i casi degli alimenti la cui durabilità è stabilità da norme specifiche (per esempio uova fresche, latte pastorizzato, ecc), la durabilità è determinata in modo autonomo dall’OSA sulla base dei dati in suo possesso.
L’OSA può quindi stabilire un prolungamento della durabilità di un alimento laddove disponga di dati adeguati a supporto della shelf-life che tengano
conto della natura dell’alimento stesso, delle modalità di conservazione previste e delle modalità di consumo. La rideterminazione della shelf-life di un
prodotto alimentare deve essere effettuata prima della data di scadenza/TMC ed è applicabile agli alimenti con esclusione di quelli detenuti per la
vendita al dettaglio. Nel rispetto di quanto stabilito dal regolamento
1169/2011, la nuova data di scadenza /TMC deve essere riportata
188
ALIMENTA
sull’etichetta del prodotto, o in assenza di questa, sui documenti commerciali
come specificato dal decreto legislativo 231/2017, nei casi da questo previsti.
Resta inteso che deve sussistere coerenza tra la data riportata sul documento
commerciale e quella dell’eventuale etichetta applicata al prodotto, al suo
confezionamento o imballaggio.
Il congelamento delle carni fresche, incluse le preparazioni e le carni macinate, come di recente ribadito dalla commissione con nota Ares (2019)
2456574 del 8/4/2019 deve essere condotto senza indebito ritardo.
In deroga a quanto suddetto le carni fresche, introdotte e/o prodotte entro il 16 novembre 2020 e rimaste invendute a causa del rallentamento del
mercato a seguito dell’evoluzione dell’emergenza COVID-19, possono essere
congelate entro la data di scadenza con indicazione della destinazione al consumo previa completa cottura e commercializzate esclusivamente sul mercato
nazionale. Si precisa che tale deroga è riferita anche a carni che, a seguito di
ordinativi/contratti antecedenti il 16 novembre, sono già state spedite da
Paesi terzi verso l’Italia e sono ancora in viaggio.
Il congelamento delle carni e degli altri prodotti alimentari può essere
condotto presso:
1. lo stabilimento che li ha prodotti;
2. uno stabilimento che ha proceduto al loro riconfezionamento;
3. uno stabilimento che procede alla loro trasformazione ai fini della
immissione sul mercato (ivi compresi gli esercizi operanti a livello del dettaglio e gli esercizi di ristorazione).
Al momento del congelamento gli alimenti devono essere in perfetto stato di conservazione e il congelamento deve avvenire con modalità che ne preservino le caratteristiche e che non impattino sulla loro sicurezza.
Le eccedenze alimentari come definite all’articolo 2, punto 1, lettera c,
della Legge 19 agosto 2016 n.166, possono comunque, nel rispetto di quanto
definito dalla medesima Legge, essere oggetto di donazione ai fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi alimentari.
PER IL DIRETTORE GENERALE
* f.to Dott. Pietro NOÈ
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CORSI E CONVEGNI:
Università del Piemonte Orientale – Dipartimento di Studi per
l’Economia e l’Impresa (DISEI)
Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare, XII edizione
Novembre 2021 – Marzo 2022
Moduli di base: 1) Fonti e istituzioni del diritto alimentare; 2) La sicurezza alimentare; 3) La comunicazione commerciale e la disciplina delle informazioni sugli alimenti ai consumatori; 4) Tutela della qualità dei prodotti
alimentari.
Moduli di specializzazione: 5) L’innovazione tecnologica, la nutraceutica
e la formulazione degli alimenti; 6) La legislazione veterinaria; 7) I prodotti
biologici; 8) La riforma delle sanzioni penali e di quelle amministrative nel
settore alimentare; 9) Additivi, enzimi, aromi.
Informazioni dettagliate, costi e modulo di adesione on line sul sito web
http://cafla.uniupo.it.
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Libri
Le regole del mercato agroalimentare tra sicurezza e concorrenza. Diritti nazionali, regole europee e convenzioni internazionali su agricoltura, alimentazione, ambiente.
A cura di NICOLA LUCIFERO – SONIA CARMIGNANI.
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020.
Il volume dal titolo “Le regole del mercato agroalimentare tra sicurezza e
concorrenza. Diritti nazionali, regole europee e convenzioni internazionali su
agricoltura, alimentazione, ambiente”, edito da Editoriale Scientifica nel dicembre 2020, raccoglie gli Atti del Convegno tenutosi a Palazzo Incontri a
Firenze il 21 e 22 novembre 2019 che i curatori hanno voluto dedicare alla
loro Maestra, la prof.ssa Eva Rook Basile.
Gli Atti ripercorrono in modo coerente lo svolgimento dei lavori del
Convegno e riproducono attraverso un approccio sistematico le oltre 40 relazioni e i diversi interventi tenuti da autorevoli studiosi che si sono incontrati
per trattare i temi più attuali relativi al mercato agroalimentare e, in particolare, alla disciplina della sicurezza alimentare e alla concorrenza.
Un sistema complesso quello del mercato agroalimentare segnato da regole che uniformano la disciplina di settore e che si articola, tra regulation e
antitrust, quali binari paralleli di un sistema complesso e unitario, destinato a
garantire il suo buon funzionamento. La peculiarità del mercato agroalimentare, dettato in primo luogo dalle regole del TFUE e dal complesso delle
norme multilivello che lo caratterizza, porta lo studioso di diritto agrario a
cimentarsi a soppesare interessi diversi e obbiettivi non sempre convergenti.
Sicurezza e concorrenza, che rappresentano la sfida che è in atto sul mercato,
mettono in luce una moltitudine di profili giuridici che richiedono di essere
affrontati in modo unitario e non settoriale, anche confrontandosi con sistemi normativi talvolta molto lontani da quelli del diritto interno ove si consideri il tema degli scambi di prodotti agroalimentari sicuri su scala globale.
Attraverso i diversi contributi degli Autori, questi Atti rappresentano
una profonda riflessione analitica sulla necessità di costruire quegli elementi
caratterizzanti la regolazione del diritto agroalimentare. Una riflessione svolta
attraverso diversi contributi susseguitisi nella sessione plenaria della prima
giornata e, poi, nelle diverse sessioni parallele del secondo giorno, che hanno
affrontato i profili di maggiore rilievo che interessano la nostra disciplina –
192
ALIMENTA
quali i temi delle relazioni di filiera, della qualità dei prodotti,
dell’innovazione tecnologica e del rapporto tra agricoltura e ambiente – e che
hanno preceduto la tavola rotonda svoltasi prima della conclusione dei lavori
congressuali.
I curatori
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Notizie sugli autori
Fausto Capelli, direttore della rivista Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali; Collegio europeo, Parma;
[email protected];
Giovanni Giacobbe, Dottore in Giurisprudenza con specializzazione in Studi Europei - Collegio europeo di Parma;
Valeria Pullini, avvocato del foro di Treviso, Studio legale Avv. Valeria Pullini -
[email protected];
[email protected];
Maria Auxilia Grassi, Professore Associato di ispezione degli alimenti di origine animale, Università di Torino,
[email protected];
Maurizio Aceto, Professore Associato di chimica analitica, Dipartimento di
Scienze e Innovazione Tecnologica, Università del Piemonte Orientale,
[email protected].
Daniele Pisanello, avvocato consulente in Legislazione Alimentare, Lex Alimentaria Studio legale,
[email protected];
Martina Terenzi, LL. M, Junior associate presso LCA Studio Legale,
[email protected];
Valeria Amenta, borsista di diritto dell’Unione europea, Università del Piemonte Orientale,
[email protected].
Giovanni Stangoni, esperto di legislazione alimentare, co-amministratore del
gruppo FB CAFLA – Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare,
[email protected].
ALIMENTA
Rivista di Diritto e Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente. Trimestrale.
Fondata nel 1993 da Antonio Neri. A cura del CeDiSA, Centro Studi sul Diritto e le Scienze
dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente.
Direttore responsabile: Avv. Prof. Vito Rubino.
Condirettori: Avv. Prof. Fausto Capelli, Avv. Prof. Paolo Borghi.
Comitato scientifico (per aree scientifico-disciplinari, in ordine alfabetico, per cognome):
Area 03 (CHIM): Prof. Maurizio Aceto, Università del Piemonte Orientale; Prof. Stefano
Alcaro, Università Magna Grecia Catanzaro; Prof. Marco Arlorio, Università del Piemonte
Orientale; Area 05 (BIO): Prof. Francesca Boccafoschi, Università del Piemonte Orientale;
Prof. Maria Cavaletto, Università del Piemonte Orientale; Prof. Guido Lingua, Università del
Piemonte Orientale; AREA 06 (AGR-VET): Prof. Luigi Bonizzi, Università di Milano; Prof.
Carlo D’Ascenzi, Università di Pisa; Prof. Auxilia Grassi, Università di Torino; Prof. Alfonso
Zecconi, Università di Milano; AREA 12 (JUS): Prof. Davide Achille, Università del Piemonte
Orientale; Prof. Amedeo Arena, Università di Napoli Federico II; Prof. Roberto Cavallo
Perin, Università di Torino; Prof. Massimo Cavino, Università di Torino; Prof. José Manuel
Cortés Martin, Universidad Pablo de Olavide, (Sevilla, SP); Prof. Bianca Gardella Tedeschi,
Università del Piemonte Orientale; Prof. Monika Haczkowska, Politechnika Opolska (Opole,
PL); Prof. Elena Fregonara, Università del Piemonte Orientale; Prof. Maria Antonietta Ligios,
Università del Piemonte Orientale; Prof. Roberta Lombardi, Università del Piemonte Orientale;
Prof. Nicola Lucifero, Università di Firenze; Prof. Maura Mattalia, Università di Torino; Prof.
Ilaria Riva, Università di Torino; Prof. Francesco Rossi Dal Pozzo, Università di Milano; Prof.
Roberto Saija, Università Mediterranea Reggio Calabria; Prof. Stefano Saluzzo, Università del
Piemonte Orientale; Prof. Andrea Santini, Università Cattolica del S. Cuore; Prof. Fabrizia
Santini, Università del Piemonte Orientale; Prof. Eleonora Sirsi, Università di Pisa; Prof. Bernd
Van Der Meulen, IFRO - University of Copenhagen (Copenhagen, DK); Prof. Fabrizio Vismara,
Università dell’Insubria; AREA 13 (SECS-P): Prof. Carmen Aina, Università del Piemonte
Orientale; Prof. Eliana Baici, Università del Piemonte Orientale; Prof. Vincenzo Capizzi,
Università del Piemonte Orientale; Prof. Lorenzo Gelmini, Università del Piemonte Orientale;
Prof. Paola Vola, Università del Piemonte Orientale.
Redazione: presso Università del Piemonte Orientale, Campus E. Perrone, Uff. T-25, Via
Ettore Perrone 18, 28100 Novara. All’indirizzo sopra riportato potranno essere inviate le riviste
in scambio e i volumi da recensire.
La rivista ALIMENTA è stata fondata nel 1993 da Antonio Neri ed è stata pubblicata fino al
2018. Nel 2021 le Università del Piemonte Orientale, Torino, Milano Statale, Ferrara, Firenze
e Pisa hanno dato vita al Centro Studi sul Diritto e le Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e
ambiente (CeDiSA – www.cedisa.info) nell’intento – fra le altre cose – di riprenderne le pubblicazioni, considerato che la rivista è sempre stata considerata da tutti un prezioso strumento di
promozione del dialogo interdisciplinare e intersettoriale fra le scienze che si occupano di tutte
le produzioni agroalimentari.
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Statale; - Università di Ferrara; - Università di Firenze; - Università di Pisa.
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