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B I B L IOT H E C A A PE RTA
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IL LESSICO DELLA SOTTOMISSIONE
STUDI SUL TERMINE STIPENDIARIUS
Cristina Soraci
’ERMA
«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
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B I B LI O T H E CA APE R TA
2
Diretta da
Cristina soraCi
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Bibliotheca Aperta
Studi di storia antica
Direttrice della collana
Cristina Soraci
Comitato scientifico internazionale
Werner Eck (Universität zu Köln)
Febronia Elia (Università di Catania)
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Segretario di redazione
Andoni Llamazares Martín
La collana è dotata di un sistema di peer review
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Cristina Soraci
IL LESSICO DELLA SOTTOMISSIONE
Studi sul termine stipendiarius
«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
Roma - Bristol
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Cristina Soraci
Il lessico della sottomissione
© 2020 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
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Il lessico della sottomissione. Studi sul termine stipendiarus - Roma :
«L’Erma» di Bretschneider®, 2020 - 148 p., 24 cm. - (Bibliotheca
Aperta : 2)
978-88-913-2126-8 (Brossura)
978-88-913-2129-9 (PDF)
CDD 330.09376
2 Economia - Storia
Stampato nel rispetto dell’ambiente su carta proveniente
da zone a deforestazione controllata.
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(Tempestas) alioqui gubernatoris artem adeo
non inpedit, ut ostendat; tranquillo enim, ut
aiunt, quilibet gubernator est.
Sen. epist. 85.34
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indiCe
introduzione ...........................................................................
p.
9
I.
»
»
13
13
»
»
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dallo stipendium agli stipendiarii .........................................
1.1. Lo stipendium, il «soldo» ...........................................
1.2. Lo stipendium come indennit à di guerra e l’origine del
termine stipendiarius ................................................
1.3. La scomparsa degli stipendiarii ...................................
signifiCati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie .......
2.1. Stipendiarius contrapposto a popoli e città di condizioni
privilegiate ........................................................
2.1.1 Stipendiarius nella Naturalis historia .........................
2.2. Stipendiarius ac vectigalis ......................................
2.2.1 Vectigal certum stipendiarium ..................................
2.2.2 Città d’Asia stipendiariae .......................................
2.3. Stipendiarius = soggetto a tributo ..............................
2.4. Stipendiarius = soldato mercenario ............................
»
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»
»
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»
»
»
»
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III. le fonti epigrafiChe e gli stipendiarii d’afriCa ......................
3.1. La Lex agraria epigraphica .....................................
3.2. Gli stipendiarii dei pagi Muxsi Gususi Zeugei ...............
3.3. L’epigrafe degli stipendiarii pago Gurzenses ................
3.4. L’iscrizione dei mancupes stipendiorum africani ............
3.5. Gli stipendiarii del fundus di Villa Magna ....................
»
»
»
»
»
»
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IV. le fonti giuridiChe ........................................................ »
4.1. I praedia stipendiaria nelle Institutiones ..................... »
4.2. Praedia e fundi stipendiari nella giurisprudenza
post-gaiana ......................................................... »
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83
i testi dei gromatiCi: il brano dello pseudo-agennio ............. »
5.1. Gli agri stipendiarii .............................................. »
5.2. Sulla tassazione di colonie e municipi provinciali ........... »
93
93
99
II.
V.
86
Copia autore
8
Indice
ConClusioni ......................................................................
1.
Dagli uomini alle terre: ambiti d’uso del termine
stipendiarius .......................................................
2.
Il lessico della sottomissione: l’uso del termine
stipendiarius nelle fonti letterarie ..............................
3.
La peculiare situazione africana ................................
4.
Il lessico della sottomissione: l’uso del termine stipendiarius
nelle fonti giuridiche e nei testi dei gromatici .................
» 114
edizioni delle fonti .............................................................
» 117
abbreviazioni e sigle ...........................................................
» 125
p . 105
» 105
» 111
» 112
bibliografia ...................................................................... » 127
elenCo delle tabelle e delle immagini ...................................... » 145
Copia autore
introduzione
Usus et experientia dominantur in artibus, neque est ulla disciplina in qua non
peccando discatur, affermava Columella ribadendo l’importanza dell’esperienza
e l’inevitabile gradualità dell’apprendimento, spesso non scevro di errori1.
Quest’assunto è tanto più valido quando si applica a tematiche complesse, come quelle concernenti la fiscalità antica. Lo stato, spesso lacunoso, delle testimonianze pervenute limita fortemente la nostra capacità interpretativa, chiamata a
rileggere fonti di natura diversa e, non di rado, appartenenti a epoche molto lontane tra loro. Per tali motivi, non è infrequente riconoscere in lavori più o meno
recenti l’applicazione di una precisa terminologia fiscale a periodi e contesti che
non le erano originariamente propri2: per limitarci al lessico in lingua latina, sostantivi come vectigal, tributum, stipendium sono stati tradotti di volta in volta in
modo differente per indicare imposte di vario tipo, tributi regolari o indennità di
guerra, versamenti in natura o in moneta; analoga sorte è toccata ai corrispondenti aggettivi (gli ultimi dei quali non infrequentemente usati anche sostantivati)
vectigalis, tributarius, stipendiarius.
D’altro canto, sia la relativa carenza sia la limitata conoscenza degli studi dedicati all’analisi del lessico tributario e, per contro, la frequente tendenza a riprendere in modo pressoché acritico teorie formulate in passato da studiosi certamente illustri, ma che non potevano tenere conto delle successive scoperte, ha portato al
reiterarsi di posizioni interpretative oggi non del tutto o per nulla sostenibili3.
1
Colum. 1.1.16.
Cfr. quanto osservato in proposito da andreau, Chankowski 2007, I-V e, in partic., da franCe
2007b, 356-363. L’imposizione dello stipendium e la condizione di civitas stipendiaria sono state
talvolta attribuite alle città o agli abitanti di alcune province anche in mancanza di espliciti riferimenti delle fonti; vd. in tal senso mommsen 1869, 267 e id. 1885a, 275; Cuntz 1926, 198 e 207;
grant 1949, 94, nn. 9, 10 e 29, che pure rinvia a studi precedenti; luzzatto 1985, 85 (secondo cui
alle città della Grecia sarebbe stato imposto lo stipendium: tuttavia, il passo di Liv. 45.29.4 citato a
sostegno non parla di stipendium, bensì di tributum e di pecunia).
3
Vd. gli studi raccolti in soraCi 2020a.
2
Copia autore
10
Introduzione
Un terzo ordine di problemi riguarda, infine, la natura stessa delle testimonianze disponibili. In effetti, solo in alcuni casi disponiamo di testi di carattere specialistico, nei quali termini considerati propri del lessico fiscale assumevano significati specifici, di tipo strettamente tributario4. Molto spesso, invece, questi stessi
vocaboli venivano impiegati nella loro accezione semantica più ampia: com’è stato osservato, le categorie del vocabolario fiscale romano si basano su un gruppo
ristretto di parole il cui significato è spesso impreciso5.
Il presente studio è dedicato all’analisi del termine stipendiarius, negli ultimi
anni oggetto di svariate indagini, per lo più incentrate, tuttavia, sulle occorrenze
di esso nelle fonti letterarie6. Infatti, nonostante l’attenzione che in tempi recenti
è stata rivolta al lessico tributario in genere e a singoli vocaboli in particolare, occorre constatare come tali indagini siano spesso limitate ad una sola tipologia di
fonti, quelle letterarie, precludendo così la possibilità di abbracciare lo spettro semantico dei termini nella loro interezza.
Il presente lavoro si apre con un excursus storico che tenta di ricostruire l’evoluzione semantica del termine stipendiarius a partire dal vocabolo stipendium, da
cui appare derivare. Per impiegare una felice espressione coniata proprio in relazione a tali tematiche, non ci si è, in questa sede, sottratti alla “tentazione di offrire uno svolgimento lineare del fenomeno”7: le riflessioni che seguono sono da
considerare proposte di ricostruzione di processi molto complessi, la cui genesi si
perde nei nebulosi secoli della Roma delle origini. Se lo stipendium era la paga
introdotta per far fronte al mantenimento dei soldati impegnati in guerra, il termine
stipendiarius dovette originariamente indicare colui che versava l’importo necessario a pagare lo stipendium. Ma, poiché il termine stipendiarius appare impiegato quasi sempre per indicare abitanti delle province via via soggette al dominio di Roma e solo eccezionalmente era usato in riferimento alla Penisola8, si può
ben affermare che la sua comparsa fosse connessa con il sorgere di una terminologia dell’amministrazione provinciale romana: tali caratteristiche contribuirono
ad attribuire al vocabolo l’accezione negativa che lo contraddistingueva e lo connotava nella maggior parte dei testi.
Un’accurata analisi delle occorrenze del termine stipendiarius nelle tipologie
di fonti in cui esso si trova menzionato – letterarie, epigrafiche, giuridiche e gromatiche – è parsa, quindi, opportuna e necessaria. Individuare ed esaminare le di-
4
Cfr. già Cagnat 1911, 1515 e léCrivain 1919, 431; luzzatto 1953, 94 n. 60; id. 1973, 852;
id. 1975, 587-588; grelle 1963, 16-21; lo CasCio 1986, 34 n. 11; niColet 1988, 202; hermon
1996, 18; storChi marino 2004.
5
franCe 2007b, 333.
6
Canto 1996, in partic. 221-228, diversi lavori di Ñaco del Hoyo (in particolare, ÑaCo del hoyo
2003b, 2003d, 50-56, e 2019) e franCe 2007b, la cui indagine, estesa ai diversi termini del lessico
tributario romano, è stata riservata al vocabolo stipendiarius nelle pp. 344-347.
7
gabba 1988 (1977), 117.
8
Come nel passo di Tac. ann. 11.22, per un’interpretazione del quale vd. infra, § 1.2 n. 37.
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Introduzione
11
verse accezioni semantiche del vocabolo consente, infatti, di instaurare eventuali
relazioni tra queste e il contesto in cui erano impiegate, permettendo di comprendere quando e in che misura accezioni di significato più specialistiche siano ravvisabili nel linguaggio “comune” o nell’uso generalizzato, per quello che è dato
conoscere attraverso le opere di storici ed eruditi dell’epoca.
Una questione a sé stante, sebbene strettamente connessa alla precedente, concerne il dibattito storiografico sul tema. A dispetto dell’evidenza documentaria,
negli studi moderni il termine stipendiarius viene generalmente tradotto, se sostantivato o riferito a persone, con «individuo soggetto al pagamento dello stipendium», intendendo per stipendium una contribuzione forzosa, regolare e in moneta richiesta dai Romani, sia in età repubblicana sia nel corso dell’impero, alle
popolazioni vinte in guerra. Naturalmente non sono mancate eccezioni a questo
quadro e alcuni studiosi esperti di questioni tributarie hanno ben evidenziato, come si è già osservato, la molteplicità di accezioni semantiche dei termini riguardanti la terminologia fiscale. Lo scopo del presente lavoro, che, pur condividendole in parte, rielabora e approfondisce sulla base di criteri e parametri analitici
differenti le conclusioni offerte negli studi che lo hanno preceduto, è quello di riprendere l’intero dossier documentario al fine di proporne una rilettura organica
e ad ampio spettro.
La tematica affrontata nelle pagine che seguono è stata a più riprese esaminata e rielaborata dalla sottoscritta prima di essere pubblicata nella veste attuale9. Le
conclusioni presentate in questa sede costituiscono, quindi, il frutto di una riflessione che ha avuto origine ormai diversi anni or sono e si è arricchita con il passare del tempo, nella convinzione che, come affermava Cicerone, non possunt
omnia simul10: un apparente silenzio cela i segni di un’operosità “in-attesa”11.
9
I primi frutti di questa ricerca sono apparsi in soraCi 2010, seguiti poi dai risultati presentati
in soraCi 2016b; lo studio delle fonti epigrafiche è affrontato, invece, in soraCi 2020b e c. Nel presente volume i contributi più antichi sono stati profondamente rivisti e aggiornati sul piano bibliografico; l’insieme dei testi, sottoposti ad un nuovo esame, è confluito in un lavoro organico e comprensivo dell’analisi di tutte le occorrenze del termine.
A Giovanni Salmeri che, con la preparazione e l’acume che lo contraddistinguono, ha letto pazientemente l’intero dattiloscritto, a Werner Eck, che ha arricchito con le sue osservazioni il capitolo
dedicato alle fonti epigrafiche, a Francesco Grelle e a tutti coloro che, nel corso degli anni, mi sono
stati prodighi di consigli nell’affrontare il tema in oggetto va il mio più sentito ringraziamento.
10
Cic. Att. 14.15.3.
11
Si noterà che, nel presente lavoro, alcuni testi sono stati tradotti (e, laddove ciò è avvenuto, le
traduzioni sono opera di chi scrive), altri invece parafrasati. Si è ritenuto, in tal modo, di dover mediare, nella convinzione che in medio stat virtus, tra una tradizione abbastanza in voga in ambiente
anglo-americano, in cui le fonti sono sistematicamente tradotte, e la tradizione accademica italiana
delle discipline classiche, portata a giudicare negativamente il costante inserimento delle traduzioni dei testi antichi.
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i. dallo stipendium agli stipendiarii
1.1. Lo stipendium, il «soldo»
A detta di Livio, lo stipendium sarebbe nato come paga dei soldati al tempo
dell’ultima guerra contro Veio e precisamente nel 406 a.C.:
senatus (sc. decrevit) ut stipendium miles de publico acciperet, cum ante id
tempus de suo quisque functus eo munere esset;
il senato decretò che il soldato ricevesse una paga dal pubblico erario, poiché prima di questo momento ognuno aveva svolto il servizio a proprie
spese1.
Le precedenti occorrenze del termine riscontrabili nell’opera liviana sono,
dunque, da attribuire ad anacronismi; secondo l’interpretazione che qui si propone, tuttavia, tali anacronismi avranno riguardato in alcuni casi non tanto la sostanza quanto l’uso del vocabolo stesso: altrimenti detto, i soldati potrebbero anche
aver ricevuto prima del 406 a.C. un’occasionale e rudimentale forma di paga, ottenuta attingendo a risorse di volta in volta differenti (indennità di guerra, esazio-
Liv. 4.59.11. Cfr. anche Diod. 14.16.5 (Κατὰ δὲ τὴν ’Ιταλίαν ‘Ρωμαίοις πρὸς Βηίους πόλεμος
συνέστη διὰ τοιαύτας αἰτίας. Τότε πρώτως ἐπεψηϕίσαντο ‘Ρωμαῖοι τοῖς στρατιώταις καθ’ ἕκαστον
ἐνιαυτὸν εἰς ἐϕόδια διδόναι χρήματα) e il tardo Zonar. 7.20, p. 146 ll. 29-32 (διὸ τήν τε λείαν αὐτοῖς
οἱ δυνατοὶ διέδοσαν καὶ μισθὸν τοῖς πεζοῖς, εἶτα καὶ τοῖς ἱππεῦσιν ἐψηϕίσαντο· ἀμισθὶ γὰρ μέχρι
τότε καὶ οἰκόσιτοι ἐστρατεύοντο· τότε δὲ πρῶτον μισθοϕορεῖν ἤρξαντο). Più imprecisi sul piano
temporale e vaghi dal punto di vista terminologico sono Fest. p. 267 (privato sumptu se alebant
milites Romani paene ad id tempus, quo Roma est capta a Gallis) e Lyd. mag. 1.45 (τότε σιτηρέσιον
τὸ δημόσιον πρώτως τοῖς στρατιώταις ἐπιδέδωκεν ὡρισμένον, τὸ πρὶν ἑαυτοὺς ἀποτρέϕουσιν ἐν
πολέμῳ); fugace la menzione di Flor. epit. 1.6.8 (…taxata stipendio hibernis…), poco più ampia
quella di Dion. Halic. 4.19.3 (οὐ γὰρ ἐλάμβανον ἐκ τοῦ δημοσίου τότε ‘Ρωμαῖοι στρατιωτικοὺς
μισθούς, ἀλλὰ τοῖς ἰδίοις τέλεσιν ἐστρατεύοντο).
1
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Cristina Soraci
ni di varia natura, bottino2, ecc…), ma non è affatto certo che in tali circostanze
sia stato adoperato il vocabolo stipendium3. L’equivalente greco4 ὀψωνιασμόϛ riportato da Dionigi di Alicarnasso, dal canto suo, è attestato solo a partire dalla fine del IV sec. a.C.5
Nella tabella che segue è possibile confrontare tra loro le occorrenze del termine stipendium e quelle di ὀψωνιασμόϛ inserite nella narrazione di eventi precedenti il 406 a.C. (tab. 1).
2
Nei secoli successivi, il bottino di guerra era venduto e destinato, in tutto o in parte, a ridurre
l’ammontare del tributum o direttamente impiegato nel pagamento dello stipendium o ancora distribuito in aggiunta allo stipendium: gabba 1988 (1977), 124-126; sull’importanza del bottino per i
soldati romani cfr., tra gli altri, harris 1979, specialmente 74-77 e 101-104; gruen 1984, 289-290;
muÑiz Coello 2011, 132-134; kay 2014, 21-85, la cui analisi è, tuttavia, dedicata in particolare agli
anni successivi alla seconda guerra punica; ma vd. le considerazioni di rosenstein 2016b, che mira a ridimensionarne il contributo in termini di finanziamento delle spese di guerra. Simili forme di
ricompensa del servizio prestato dai soldati contribuiscono a rappresentare l’altra faccia della medaglia di quel sistema, basato sul guadagno, volto a minare il tradizionale sistema fondato sul dono; all’opposizione tra tali sistemi è stata dedicata in tempi recenti l’analisi di Coffee 2017. In ogni
caso, nonostante tutto, il livello impositivo della Repubblica romana non fu particolarmente alto rispetto a quello di altri stati coevi: taylor 2020.
3
Sebbene il suo ragionamento sia applicato in riferimento all’età arcaica e all’opera di Dionigi, marChetti 1977, 133 ben esprime considerazioni valide anche per altri autori e altri periodi
storici: “il est évident que Denys est prisonnier d’un vocabulaire inadéquat”. Secondo boren 1983,
invece, il termine sarebbe stato usato prima del 406 a.C. per denotare pagamenti, “in money or in
kind” (p. 431), “extracted by the conqueror from the conquered as punishment” (p. 428). Opportune interpretazioni dei passi di Livio qui discussi (1.20.3 e 2.54.1) sono offerte da zehnaCker
1990, 319-321.
4
Altri due termini, μισθός e ὀψώνιον, vengono impiegati in Dionigi di Alicarnasso per indicare lo stipendium in quanto paga dei soldati, ma mentre il secondo è usato solo in contesti militari, il primo copre uno specchio semantico più ampio; ὀψωνιασμόϛ è, comunque, il vocabolo
più usato da Dionigi per tradurre il latino stipendium. Il termine ὀψώνιον appare tre volte
nell’opera dionigiana: in 9.36.2 (per cui vd. più avanti nella stessa tabella), in 9.58.8 (468 a.C.:
ἐπὶ τούτοις κύριος γενόμενος τῆς πόλεως ὁ ὕπατος, καὶ λαβὼν ὀψώνιά τε καὶ τἆλλα, ὅσων ἔδει
τῇ στρατιᾷ, καὶ ϕρουρὰν ἐγκαταστήσας, ἀπῆγε τὴν δύναμιν, «essendosi impadronitosi della città e avendo preso l’equivalente per la paga e quant’altro fosse necessario all’esercito, lasciò un
presidio e portò via le milizie») e in 15.3.3 (343 a.C.: κύριος ὁ ὕπατος, ὅσοις ἦν βουλομένοις
ὀψώνια καὶ μισθοὺς ϕέρεσθαι τῆς ϕυλακῆς, τούτους καθίστησιν ἐν ταῖς πόλεσιν, «il console distribuì nelle città quanti volevano ottenere paghe e ricompense proprie della guarnigione»). Per
quanto concerne μισθός, è utilizzato nel senso di soldo o, meglio, di ricompensa militare, in
3.59.2 (al tempo di Tarquinio Prisco: οὐδ’ ἐξεγένετο παρ’ οὐδεμιᾶς τῶν πόλεων κοινὴν
ἀποσταλῆναι τοῖς Τυρρηνοῖς συμμαχίαν, ἀλλ’ ἐθελονταί τινες ἐπεκούρησαν αὐτοῖς ὀλίγοι
μισθοῖς μεγάλοις ὑπαχθέντες, «né accadeva che fossero state inviate ai Tirreni le truppe da nessuna delle città dell’alleanza, ma solo pochi volontari vennero in soccorso, raccolti grazie ad un
soldo elevato»), 4.19.3 (per cui vd. infra), 10.15.5 (460 a.C.: ὁ μὲν Κλαύδιος οὐθὲν ἠξίου
δεῖσθαι τοιαύτης συμμαχίας, ἥτις οὐχ ἑκούσιος, ἀλλ’ ἐπὶ μισθῷ καὶ οὐδὲ τούτῳ μετρίῳ βοηθεῖν
βούλεται τῇ πατρίδι, «Claudio non riteneva opportuno domandare una simile alleanza, che desidera soccorrere la patria non per slancio volontario, ma in cambio di un compenso») e 15.3.3
citato in questa stessa nota.
5
Men. fr. 1050.
Copia autore
15
I. Dallo stipendium agli stipendiarii
Evento
Livio
Numa
Pompilio
attribuisce
un
“compenso” alle
Vestali
Liv. 1.20.3: his ut
adsiduae templi antistites
essent stipendium de
publico statuit6.
Dion. Halic. 4.19.3-4: οὐ γὰρ ἐλάμβανον
ἐκ τοῦ δημοσίου τότε ‘Ρωμαῖοι
στρατιωτικοὺς μισθούς, ἀλλὰ τοῖς ἰδίοις
τέλεσιν ἐστρατεύοντο. Oὔτε δὴ χρήματα
συνεισϕέρειν τοὺς οὐκ ἔχοντας, ὁπόθεν
συνεισοίσουσιν, ἀλλὰ τῶν καθ’ ἡμέραν
ἀναγκαίων ἀπορουμένους ᾤετο δεῖν,
οὔτε
μηδὲν
συμβαλλομένους
στρατεύεσθαί τινας ἐκ τῶν ἀλλοτρίων
ὀ ψ ω ν ι α ζ ο μ έ ν ο υ ς χρημάτων, ὥσπερ
[τοὺς] μισθοϕόρους7.
L’ordinamento centuriato introdotto da
Servio Tullio non
prevedeva compensi
per i soldati
507 a.C.: la paga
dei soldati nell’accampamento del re
Porsenna
486 a.C.: condizioni
imposte agli Ernici
per ottenere la pace
Dionigi di Alicarnasso
Liv. 2.12.7: ibi cum
s t i p e n d i u m militum
forte daretur…8
Dion. Halic. 5.28.2: ὁ δ’ ἦν ἄρα γραμματεὺς
τοῦ βασιλέως, ἐκάθητο δ’ ἐπὶ τοῦ βήματος
διαριθμῶν τοὺς στρατιώτας καὶ διαγράϕων
αὐτοῖς τοὺς ὀ ψ ω ν ι α σ μ ο ύ ς 9.
Dion. Halic. 8.68.3: τῶν δὲ πρεσβευτῶν
<εἰπόντων> ποιήσειν τὰ δυνατὰ καὶ μέτρια
ἐκέλευσεν αὐτοῖς ἀργύριόν τε, ὃ κατ’ ἄνδρα
τοῖς στρατιώταις εἰς ὀ ψ ω ν ι α σ μ ὸ ν ἔθος
ἦν <ἓξ> μηνῶν δίδοσθαι καὶ διὰ μηνὸς
τροϕὰς ἀποϕέρειν10.
6
«Per loro (sc. le Vestali), perché fossero assidue custodi del tempio, stabilì un compenso su
fondi pubblici».
7
«I Romani allora, infatti, non ricevevano dal pubblico erario ricompense militari, ma combattevano a proprie spese. Non ritenevano né che dovessero contribuire quanti non avevano ricchezze,
ma erano privi del necessario per vivere ogni giorno, né che chi non versava nulla combattesse pagato con le ricchezze altrui, come i mercenari».
8
«Mentre accadeva che si distribuisse la paga dei soldati…».
9
«Era, invece, il segretario del re e sedeva sulla tribuna contando i soldati e annotando le loro
paghe».
10
«Poiché gli ambasciatori dichiararono di fare ciò che fosse possibile e ragionevole, egli ordinò loro di consegnare il denaro che era giusto dare ad ogni soldato per la paga di sei mesi e vettovaglie per un mese». Sulla base di un confronto con 9.36.2 e 59.4, il Kiessling, nella sua edizione
del 1867 (p. XXII), proponeva di leggere διμήνου invece del tradito διὰ μηνὸς; in effetti, anche in
9.17.1 appare διμήνου; in Liv. 10.5.12 si parla di duum mensum frumento, ma in Liv. 8.2.4 e in
9.43.21 il frumento richiesto è trium mensum. La correzione in διμήνου è, dunque, possibile (è accettata nel vol. V dell’edizione curata per la Loeb da Earnest Cary nel 1940), ma non del tutto ovvia. Si noti che anche il tradito bimestri di Liv. 9.43.6 (bimestri stipendio frumentoque, ed. M.
Hertz) è stato corretto da mommsen 1844, 38 in VImestri, ossia semestri, con un ragionamento ineccepibile sul piano paleografico; tuttavia, potrebbe essersi trattato anche di semestri stipendio bimestri frumentoque: vd. infra, n. 32. Già a detta di marquardt 1851, 74 n. 357 “vielleicht hat Livius
Copia autore
16
Cristina Soraci
486 a.C.: Appio
Claudio propone di
affittare le terre
pubbliche e di
destinare il ricavato
dell’affitto
per
pagare i soldati
Dion. Halic. 8.73.3: τὸ δὲ προσιὸν ἐκ
τῶν μισθώσεων ἀργύριον εἰς τοὺς
ὀ ψ ω ν ι α σ μ ο ὺ ς τῶν στρατευομένων
ἀναλοῦσθαι καὶ εἰς τὰς μισθώσεις ὧν οἱ
πόλεμοι χορηγιῶν δέονται.
8.73.5: καὶ ὅτι κρεῖττον αὐτοῖς ἐστιν, ὅταν
ἐξίωσιν ἐπὶ τοὺς πολέμους ἐκ τοῦ δημοσίου
ταμιείου τὸν ἐπισιτισμόν τε καὶ
ὀ ψ ω ν ι α σ μ ὸ ν λαμβάνειν, ἢ ἐκ τῶν
ἰδίων οἴκων εἰς τὸ ταμιεῖον ἕκαστον
<εἰσϕέρειν>11.
478 a.C.: i Veienti
chiedono una tregua
e promettono la
consegna di frumento
e paga dei soldati
Dion. Halic. 9.17.1: ἵνα δ’ αὐτοῖς ἐγγένηται
ταῦτα πράττειν, σῖτόν τε ὡμολόγησαν τῇ
‘Ρωμαίων στρατιᾷ διμήνου παρέξειν, καὶ
χρήματα εἰς ὀ ψ ω ν ι α σ μ ὸ ν ἓξ μηνῶν, ὡς
ὁ κρατῶν ἔταξε12.
474 a.C.: tregua con
i Veienti, che si impegnano a consegnare frumento e paga
dei soldati
467 a.C.:
condizioni imposte
agli Equi per ottenere
la pace
Liv. 2.54.1: indutiae in
annos
quadraginta
petentibus datae frumento s t i p e n d i o q u e
imperato13.
Dion. Halic. 9.36.2: τοῦ δὲ Μαλλίου
κελεύσαντος αὐτοῖς ἀργύριόν τ’ εἰς
ὀ ψ ω ν ι α σ μ ὸ ν ἐνιαυτοῦ τῇ στρατιᾷ καὶ
διμήνου τροϕὰς ἀποϕέρειν, ὅταν δὲ ταῦτα
ποιήσωσιν εἰς ‘Ρώμην ἀποστέλλειν τοὺς
διαλεξομένους τῇ βουλῇ περὶ τῶν διαλύσεων,
ἐπαινέσαντες ταῦτα καὶ διὰ ταχέων τό τ’
ὀψώνιον τῇ στρατιᾷ καὶ τὸ ἀντὶ τοῦ σίτου
συγχωρηθὲν ὑπὸ τοῦ Μαλλίου κατενέγκαντες
ἀργύριον ἧκον εἰς τὴν ‘Ρώμην14.
Dion. Halic. 9.59.4: ὁ δ’ ὕπατος δύο τε
μηνῶν τροϕὰς τῇ στρατιᾷ καὶ δύο χιτῶνας
κατ’
ἄνδρα
καὶ
ἀργύριον
εἰς
ὀ ψ ω ν ι α σ μ ὸ ν ἑξαμήνου καὶ εἴ τι ἄλλο
κατήπειγεν εἰσπραξάμενος…15
ungenau dies verbunden” o il bimestre stipendium sarebbe stato solo un anticipo dello stipendio semestrale. Nella successiva edizione dell’opera, invece, lo studioso sembra preferire la lettura
mommseniana: marquardt 18842, 93-94 n. 5.
11
Appio Claudio propose che «il ricavato dell’affitto fosse speso per pagare il soldo ai militari
e le ricompense della cui fornitura hanno bisogno i soldati (…) È meglio per loro, nel caso in cui
partano per la guerra, ricevere il vettovagliamento e la paga dall’erario pubblico, invece che versare ogni volta all’erario dalle proprie sostanze».
12
«Affinché accadesse che si realizzassero queste cose per loro, furono d’accordo nel consegnare all’esercito dei Romani grano per due mesi e denaro per la paga di sei mesi, come aveva stabilito il vincitore».
13
«A loro che lo chiedevano fu concessa una tregua di quarant’anni e ordinata la consegna di
frumento e della paga per i soldati».
14
«Manlio ordinò loro di portare denaro per la paga militare di sei mesi e viveri per due mesi;
quando avessero fatto ciò, mandassero a Roma ambasciatori al senato per la riconciliazione. Avendo accettato queste cose e avendo raccolto in fretta la paga per l’esercito e il denaro al posto del grano richiesto da Manlio, si recarono a Roma».
15
«Il console, avendo chiesto per l’esercito viveri per due mesi, due tuniche per ogni soldato e
denaro per la paga di sei mesi e quant’altro fosse necessario…».
Copia autore
I. Dallo stipendium agli stipendiarii
424 a.C.: promessa
di imposizione di
tasse ai proprietari
terrieri da destinare
alla paga dei soldati
17
Liv. 4.36.2: Agri publici
dividendi coloniarumque
deducendarum
ostentatae
spes
et
vectigali possessoribus
agrorum imposito in
s t i p e n d i u m militum
erogandi aeris16.
Tab. 1: Occorrenze dei termini stipendium e ὀψωνιασμόϛ prima del 406 a.C.
Tra le occorrenze sopra ricordate, quelle certamente anacronistiche riguardano l’imposizione di tasse sulle proprietà terriere (riportate da Dionigi per il 486 e
da Livio per il 424 a.C.), i cui proventi avrebbero coperto le spese per il mantenimento dei soldati: entrambi i racconti presentano questioni più tarde, sorte nel IV
o addirittura nel II sec. a.C. 17
Stipendium deriva dalla parola stips, che, dal canto suo, nella tarda Repubblica aveva tre significati: “moneta”, “offerta monetaria destinata alla divinità” e
“contributo versato dai mobilitabili”18. La connotazione pecuniaria del vocabolo
stips si trasmette anche al suo derivato stipendium, come osservarono già Varrone, Festo, Plinio e Isidoro: per la Roma di fine V secolo, tuttavia, l’uso del termine stipendium, se impiegato nel senso di paga in denaro, appare inappropriato,
giacché all’epoca non circolavano ancora né le monete d’argento di tipo greco né
quelle di bronzo, adottate tra la fine del IV l’inizio del III sec. a.C.19
Diverse le ipotesi formulate per spiegare tale incongruenza.
Una prima soluzione è considerare erronea la notizia, posticipando la data
d’introduzione dello stipendio militare di almeno un secolo20.
16
«Venivano manifestate le speranze della divisione dell’agro pubblico e della deduzione di colonie e della distribuzione di denaro per la ricompensa dei soldati, denaro derivante dall’imposizione
di una tassa ai proprietari terrieri».
17
Sull’anacronismo del passo di Livio vd. in partic. niColet 1976, 82; su quello di Dionigi cfr.
roselaar 2010, 27; su entrambi gabba 1988 (1977), 127-128 e soraCi in cds.
18
toutain 1911, 1515-1516; sCheid 1984, 955-956 e Canto 1996, 221 e n. 48. Sul secondo significato vd., da ultimo, golosetti 2019.
19
Varro ling. 5.182: stipendium a stipe dictum, quod aes quoque stipem dicebant… militis
stipendia ideo, quod eam stipem pendebant; vd. anche Id. v. pop. rom. 77: stipendium appellabatur
quod aes militi semenstre aut annuum dabatur. Fest. p. 379: stipem esse nummum signatum,
testimonio est et de eo quae datur in stipendium militi, et cum spondetur pecunia, quod stipulari dicitur;
Plin. nat. 33.13.43: militum stipendia, hoc est stipis pondera; D. 50.16.27 (Ulp.): ‘stipendium’ a
stipe appellatum est, quod per stipes, id est modica aera, colligatur (per cui vd. infra, § 4.2 n. 38);
Isid. orig. 16.18.8: stipendium a stipe pendenda nominatum, antiqui enim appendere pecuniam
soliti erant magis quam adnumerare. Sulla datazione delle prime monete romane vd. zehnaCker 1973,
in partic. 197-269; id. 1979, 169-181; niColet 1984, 105-135; Crawford 1985, 17 e 25-51; morel
2007, 496-497. È, comunque, innegabile che l’economia romana, in particolare quella repubblicana,
fosse in gran parte fondata sulla guerra, come ha fatto rilevare, da ultimo, Chemain 2016, 37-42.
20
niColet 1966, 38-42; humm 2005, 381-382.
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18
Cristina Soraci
Secondo altri, invece, il termine stipendium avrebbe avuto in origine un significato diverso da quello strettamente monetario, che rimandava all’ambito alimentare: la paga dei soldati sarebbe stata, dunque, versata in natura21. In tal senso,
Scheid ha osservato che, in un passo di Polibio, la traduzione greca di stipendium
è ὁψώνιον, vocabolo composto di ὄψον (genericamente “cibo” ma, soprattutto al
tempo di Omero, “carne”, o, specie ad Atene, “pesce”) + ὠνέομαι (“comprare”,
“procurarsi”); lo studioso ne ha dedotto che la ricompensa offerta ai soldati, separata dalla razione di cereali, fosse «messa in rapporto con la carne»22. Tuttavia, il
passo evidenzia piuttosto la netta separazione tra il compenso monetario e la razione di cereali, separazione più volte attestata in Livio e in Dionigi di Alicarnasso23: come si è già osservato, un termine di uguale radice (ὀψωνιασμόϛ) appare
indicare il corrispettivo greco dello stipendium anche in diversi brani di Dionigi
di Alicarnasso; in base a quanto affermato in alcuni di essi, si può dedurre che
l’ὀψωνιασμόϛ fosse ben distinto non solo dal vero e proprio σίτοϛ, ma anche dai
più generici τροφαί ed ἐπισιτισμόϛ, e che fosse corrisposto in ἀργύριον24.
Un’ulteriore, preferibile, ipotesi consiste nel ritenere che lo stipendium del
406 a.C. fosse stato pagato in “paleomonete” (ossia lingotti di metallo, “ces termes
impliquant, par rapport à la monnaie, une anteriorité non seulement dans le temps
mais aussi dans le dévelopment”), in aes rude o aes signatum, e che si fosse trattato di un versamento unico, un’indennità eccezionale di carattere soprattutto onorifico, anche se i pagamenti potrebbero essere divenuti periodici molto presto25.
È assolutamente verosimile, a mio avviso, che nel 406 a.C. sia stata formalmente riconosciuta, e in qualche modo istituzionalizzata, la necessità di ricompensare i soldati per il servizio svolto, ma che tale ricompensa sia stata ufficialmente indicata con il termine stipendium solo in seguito, probabilmente al tempo
della censura di Appio Claudio, quando ebbero luogo importanti mutamenti di or21
Secondo CleriCi 1943, 435-437, nel 406 sarebbe stato fornito ai legionari cibo e non moneta;
simile l’ipotesi di marChetti 1977, 119, a detta del quale prima dell’introduzione della moneta sarebbero state ditribuite ai soldati forniture militari e razioni alimentari.
22
Pol. 6.39.12: ’Οψώνιον δ’ οἱ μὲν πεζοὶ λαμβάνουσι τῆς ἡμέρας δύ’ ὀβολούς, οἱ δὲ ταξίαρχοι
διπλοῦν, οἱ δ’ ἱππεῖς δραχμήν. Σιτομετροῦνται δ’ οἱ μὲν πεζοὶ πυρῶν ’Αττικοῦ μεδίμνου δύο μέρη
μάλιστά πως… («come paga i fanti prendono due oboli al giorno, i centurioni il doppio, i cavalieri
una dracma. Come razione di viveri, invece, i fanti ricevono circa due terzi di un medimno attico di
grano…»); sCheid 1984, 955-956 (cfr. anche id. 1988, 267-292); sul brano polibiano vd. i commenti, benché privi di considerazioni etimologiche sul termine ὁψώνιον, di brunt 1950, 50-51, watson
1958 e zehnaCker 1983 (e, a margine, anche lo CasCio 1989).
23
Vd. n. successiva e infra, § 2.2.1 n. 67.
24
Dion. Halic. 8.68.3 (τροϕαί), 8.73.5 (ἐπισιτισμόϛ), 9.17.1 (σῖτoϛ), 9.36.2 (τροϕαί), 9.59.4
(τροϕαί). Che lo stipendium sia la paga in contanti versata da popolazioni sconfitte nei confronti dei
vincitori ritiene anche franCe 2007b, 340.
25
Cfr. gabba 1988 (1977), 128-129 e zehnaCker 1990, 307-326, che si basano su Liv. 4.60.6-8.
A conclusioni simili era giunta anche gatti 1970, 131-135, secondo cui il soldo ai legionari sarebbe stato pagato come “contributo straordinario” e facendo ricorso all’aes rude; secondo Crawford
1985, 22-23, “it is in any case certain that the adoption of pay antedates the adoption of coinage”:
la parola stipendium implicherebbe, “as Roman antiquarians saw, that pay was originally weighed
out, not counted out”.
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I. Dallo stipendium agli stipendiarii
19
dine politico, militare, monetario e censitario26. Non è improbabile che nello stesso periodo sia stato introdotto il termine ὀψωνιασμόϛ, che, come si è detto, appare allora per la prima volta attestato27.
Riferito ad eventi occorsi prima del 406 a.C., dunque, il termine stipendium
costituisce, secondo l’interpretazione proposta in questa sede, un anacronismo
linguistico volto a indicare una ricompensa occasionale per il servizio prestato
dai soldati; esso verrà impiegato nelle narrazioni successive, forse sempre in
modo anacronistico, per designare la ricompensa istituzionalizzata a partire dal
406 a.C., ma non ancora regolare né corrisposta nel primo tipo di moneta coniata, l’aes grave; solo dalla fine del IV secolo, all’incirca al tempo della censura di
Appio Claudio, sarà stato introdotto il termine stipendium per indicare la paga,
ora regolarmente versata e liquidata ai soldati in moneta.
Da questo primo significato di paga militare il termine passò ad indicare gli
anni di servizio prestati dai soldati: stipendium merere significa “guadagnarsi lo stipendio”, dunque, per metonimia, “prestare servizio”28.
1.2. Lo stipendium come indennità di guerra e l’origine del termine stipendiarius
Le somme dovute per il pagamento dello stipendium erano di norma coperte
dal tributum, un’imposta soprattutto inizialmente a carattere straordinario che ogni
cittadino romano versava allo stato per il mantenimento dell’esercito29. Si è a
lungo discusso sulla natura di quest’ultimo; in particolare, non è chiaro se fosse
un’“imposta per quotità” o un’ “imposta di ripartizione”: nel primo caso, si fissava una quota proporzionale all’intero ammontare imponibile dei contribuenti,
mentre nel secondo il totale dovuto era predeterminato e poi suddiviso tra i contribuenti in modo proporzionale al censo di ciascuno. Gli studi più recenti hanno
ritenuto preferibile questa seconda interpretazione30.
26
Su tali mutamenti vd. stuart stavelei 1959, 420-433; loreto 1991, 191-197; garzetti 1996
(1947); humm 2005, 375-384.
27
Vd. supra, § 1.1 n. 5.
28
niColet 1966, 38; boren 1983, 433; Canto 1996, 222; franCe 2006, 340; speidel 2014, 53.
29
Cfr. Fest. p. 508: Vectigal aes appellatur, quod ob tri<bu>tum et stipendium et aes equestre
et hordiar<ium> populo debetur. La riscossione del tributum dipendeva strettamente dalla volontà
di pagarlo: “the state could not function without tributum and (…) tributum could not be collected
without the consent of those who paid it” (tan 2017, 173; soraCi in cds.).
30
Sul tributum quale “imposta per quotità” vd. già marquardt 18842, 165-166; marChetti
1977, in partic. 113, gabba 1988 (1977), 137-141; ad un’ “imposta di ripartizione” pensano, invece, niColet 1976, in partic. 66-67 e id. 1984 (1977), 179, Cerami 1997, 44-45 e 55-56, humm 2005,
390-394 e bleCkmann 2016, 87. CleriCi 1943, 441 e n. 6 (alle pp. 449-450) pensava ad “un’imposta straordinaria sul capitale”, determinata in base al “fabbisogno presunto per ciascuna campagna
di guerra” e divenuta fissa solo “in tarda età”, quando “poté commisurarsi in rapporto percentuale
alla ricchezza posseduta dai singoli contribuenti”. Un modello più sofisticato volto a determinare le
modalità di ripartizione del carico tributario tra i cittadini è stato offerto in tempi recenti da rosenstein
2016b, in partic. 83-96. spagnuolo vigorita, merCogliano 1992, 92-94, non si pronunciano in merito all’alternativa “imposta per quotità” – “imposta di ripartizione”.
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20
Cristina Soraci
Quando possibile, tuttavia, i Romani tendevano a far ricadere le spese sostenute nelle varie guerre sulle popolazioni sottomesse, secondo la nota frase posta da
Livio sulla bocca di Catone: bellum se ipsum alet31.
È in tal senso che le fonti parlano di stipendium richiesto alle città della Penisola
sconfitte tra il IV e il III secolo a.C. come condizione per ottenere la pace. Alla stregua della tipologia di tributum inizialmente versato dai cittadini romani, non si doveva trattare ancora di un’imposta vera e propria, regolarmente esatta, ma di una punizione di guerra limitata nel tempo e variabile di volta in volta in base alla consistenza
numerica dell’esercito mobilitato e alla durata delle campagne; una conferma di ciò
è costituita dai passi di Dionigi di Alicarnasso e Livio, secondo i quali veniva richiesto ai vinti l’ammontare dello stipendium di sei mesi o di un anno32. In seguito, invece, probabilmente sul finire del III sec. a.C., gli alleati italici furono costretti a fornire a turno, secondo un ciclo di reclutamento stabilito, un certo numero di soldati per
le esigenze militari dell’Urbe e a sostenerne le spese di mantenimento33.
31
Liv. 34.9.12. Vd. gabba 1988 (1977), 131-132; gonzález román 1979, 83 e ÑaCo del hoyo
2011, in partic. 381, con riferimento alle azioni militari condotte in Spagna nel corso della seconda guerra punica; Corbier 1990, 97; buraselis 1996; garCía riaza 1999, in partic. 46-47; bleCkmann 2016, 96.
rosenstein 2016a, tuttavia, mette in guardia dall’intendere la frase di Catone in modo letterale, poiché,
per quanto ingenti, i proventi delle guerre non erano regolari e costanti. L’espressione catoniana è stata,
inoltre, in tempi recenti interpretata come una rottura, applicata nel caso spagnolo, rispetto alla pratica
precedentemente in uso: erdkamp 1998, 95; per un commento più approfondito del brano nel suo complesso, che si presta a molteplici intepretazioni, vd. erdkamp 1995, 170-171. Cfr. anche n. successiva.
32
Si ricordi, a tal proposito, il già citato passo di Varrone (v. pop.rom. 77: stipendium appellabatur
quod aes militi semenstre aut annuum dabatur). Nel 486 a.C., punizione imposta agli Ernici: Dion.
Halic. 8.68.3 (ὀψωνιασμόϛ ἕξ μηνῶν); nel 478 e nel 474, ai Veienti: Dion. Halic. 9.17.1 (ὀψωνιασμόϛ
ἕξ μηνῶν) e 9.36.2 (ὀψωνιασμόϛ ἐνιαυτοῦ); nel 467, agli Equi: Dion. Halic. 9.59.4 (ὀψωνιασμόϛ
ἑξαμήνου). Dal 467 si passa, con un curioso balzo in avanti, al 394, quando l’ammenda venne inflitta
ai Falisci: Liv. 5.27.15 (Faliscis in stipendium militum eius anni, ut populus Romanus tributo vacaret,
pecunia imperata); nel 391 fu imposta invece agli abitanti di Volsinii: Liv. 5.32.5 (donec Volsiniensibus
fessis bello, ea condicione ut res populo Romano redderent stipendiumque eius anni exercitui
praestarent, in viginti annos indutiae datae); nel 341, ai Sanniti: Liv. 8.2.4 (foedere icto cum domum
revertissent extemplo inde exercitus Romanus deductus annuo stipendio et trium mensum frumento
accepto, quod pepigerat consul ut tempus indutiis daret quoad legati redissent); nel 323, sempre ai
Sanniti: Liv. 8.36.12 (his cladibus subacti Samnites pacem a dictatore petiere; cum quo pacti ut singula
vestimenta militibus et annuum stipendium darent); nel 308, agli Etruschi: Liv. 9.41.7 (stipendium
exercitu Romano ab hoste in eum annum pensum et binae tunicae in militem exactae); nel 306, agli
Ernici: Liv. 9.43.6 (triginta dierum indutias ita ut ad senatum Romam legatos mitterent pacti sunt
bimestri stipendio frumentoque et singulis in militem tunicis: per una diversa possibile lettura vd. supra,
§1.1 n. 10); nello stesso anno, ancora ai Sanniti: Liv. 9.43.21 (tum trium mensum frumento imperato et
annuo stipendio ac singulis in militem tunicis ad senatum pacis oratores missi); nel 301, agli Etruschi:
Liv. 10.5.12 (et pacto annuo stipendio et duum mensum frumento permissum ab dictatore); nel 293, di
nuovo ai Falisci: Liv. 10.46.12 (et Faliscis pacem petentibus annuas indutias dedit, pactus centum milia
gravis aeris et stipendium eius anni militibus). Vd. già marquardt 18842, 93-94 n. 5; brunt 1950, 50;
riChardson 1976, 148; boren 1983, 433; spagnuolo vigorita, merCogliano 1992, 91-92. Cfr. anche
garCía riaza 1999, 44-45 e le osservazioni di rosenstein 2016b, secondo cui le guerre condotte da
Roma tra la fine del IV e il 167 a.C. non furono finanziate soprattutto dal bottino e dalle indennità
provenienti dalle vittorie, ma si basarono sui pagamenti del tributum.
33
Sul tributo e le prestazioni fornite dalle comunità italiche, di fatto analoghe a quelle versate
dai cittadini romani, vd. luzzatto 1953, 74-80; toynbee 1965, 256, de martino 19732, 110 e i già
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I. Dallo stipendium agli stipendiarii
21
Analogamente accadde quando Roma cominciò ad espandersi nel Mediterraneo:
alle somme versate a titolo di tributum dai cittadini vennero ad aggiungersi quelle
che, in un primo tempo forse sporadicamente ma in seguito regolarmente, i Romani
esigevano dalle loro prime province. Così dicasi ad esempio per la Sicilia (il cui contributo era però essenzialmente granario), per la Sardegna, la Spagna e l’Africa.
A questo periodo, compreso tra la fine del III secolo e l’inizio del II a.C., dunque, è possibile che risalga l’impiego del termine stipendium nel significato di tributo versato più o meno regolarmente dalle popolazioni vinte e in particolare dalle province. Come asserisce Richardson, “it is precisely within this period (in the
late third and early second centuries, n.d.r.) that the machinery and the terminology of Roman provincial administration was first being shaped”34.
Tra la fine del III secolo e l’inizio del II a.C. si sarà diffuso anche il termine
stipendiarius, che in origine doveva indicare coloro i quali pagavano lo stipendium
destinato ai soldati35. È bene, tuttavia, precisare che le più antiche occorrenze del
vocabolo nella documentazione pervenuta rimontano solo alla fine del II sec. a.C.,
quando venne incisa la lex agraria epigraphica che le contiene; le prime attestazioni riportate nelle fonti letterarie risalgono, invece, al 70 a.C. e sono contenute
nelle opere di Cicerone36.
Non stupisce che l’espressione tacitiana stipendiaria iam Italia, messa peraltro in stretta relazione con l’altra accedentibus provinciarum vectigalibus, rimandi
chiaramente all’ambito tributario. L’Italia, infatti, contribuì a mantenere l’esercito in primo luogo grazie al versamento occasionale di stipendio, frumento e vesti
da parte delle popolazioni sconfitte nelle guerre del IV e III secolo; in secondo
luogo, tramite le città che avevano ricevuto il titolo di municipia e che, quindi,
partecipavano dei munera richiesti agli stessi Romani, tra cui il tributum impiegato per lo stipendium; un notevole contributo in uomini e mezzi era offerto poi
dagli alleati italici. L’Italia, dunque, continuava a mantenere l’esercito quando già
le province inviavano tributi a Roma, e perciò viene detta, con gli occhi di un
Romano di parecchi secoli dopo, stipendiaria37.
citati niColet 1978 e gabba 1988 (1977), 126-127. Sui turni di reclutamento degli alleati italici vd.
ilari 1974, 87-103.
34
riChardson 1976, 151.
35
garCía fernández 2000, 583-584 ritiene che la condizione di stipendiaria, intesa non in senso
generico ma come categoria amministrativa specifica, propria delle comunità peregrine, “pudo tener
su origen en Hispania (y Sicilia) pues ese fue el destino a que la sometió lo que podríamos denominar
‘el plan escipiónico’ que decidió que las tropas acantonadas en Hispania habían de mantenerse con
los recursos locales al menos en lo que a la paga del ejército afectaba”; “esta contribución no fue en
principio ni regular ni sistemática, hasta que con el tiempo tal obligación acabaría definiendo un
status administrativo quizá desde el momento en que Hispania se convierte en una provincia
administrativa de Roma, circustancia que obligará entre otras cosas a definir y regularizar los
estatutos jurídicos de las distintas comunidades y sus respectivas obligaciones fiscales”.
36
Cfr., rispettivamente, infra, § 3.1 e 2.1.
37
Tac. ann. 11.22. Cfr. le definizioni di municipio date da Gell. 16.13.6 e Ulpiano (D. 50.1.1.1),
su cui vd. humbert 1978, in partic. 3-43. Un’interpretazione del passo tacitiano analoga a quella proposta in questa sede è data da garCía fernández 2000, 588-589. Secondo ilari 1974, 116, invece,
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22
Cristina Soraci
Nel 167 a.C., in seguito alla guerra contro Perseo, il tributum versato dai cittadini romani fu abolito il peso del mantenimento dell’esercito ricadde esclusivamente
sui provinciali e sugli alleati italici, che alcuni anni dopo, tra il 90 e l’88 a.C., si ribellarono a Roma probabilmente anche per questa ragione38. Il tributum fu poi ripristinato per un breve arco di tempo, dal 43 al 37 a.C., in un periodo di difficoltà
economiche per la Repubblica39.
Il termine rimase, comunque, in uso per indicare, insieme con stipendium, le
imposte che gravavano sulle province. Con l’instaurazione del Principato si nota,
tuttavia, una graduale preferenza per l’utilizzo del termine tributum, che di fatto
sostituirà, specie nell’uso della cancelleria imperiale, il vocabolo stipendium, come ha ben messo in evidenza Grelle40.
1.3 La scomparsa degli stipendiarii
D’altro canto, anche il termine tributarius conosce una fortuna analoga a quella
del vocabolo tributum: se tra le fonti di età repubblicana tributarius è impiegato solo una volta da Cicerone e in riferimento a missive contenenti promesse di denaro41,
già a partire dai primi decenni del I sec. d.C. inizia, invece, ad essere ampiamente
utilizzato nel senso di «soggetto a tributo»42. In maniera inversamente proporzionale alla fortuna conosciuta da tributarius, il vocabolo stipendiarius viene sempre più
relegato a poco più che una variante stilistica nei testi letterari di età imperiale in cui
non sarebbe “credibile che nel III sec. a.C. l’Italia fosse sottoposta allo stipendium, come afferma Tacito”; ma lo studioso intende per stipendium il tributo regolare imposto alle province secondo la concezione mommseniana, che in questo, come in altri casi, appare giustamente inappropriato. Inoltre, il
periodo cronologico in cui collocare la condizione di stipendiaria attribuita da Tacito all’Italia non
sarà stato limitato agli anni “tra la conclusione della guerra tarantina e la repressione della ribellione
di Volsinii” (in tal senso, vd. loreto 1993, 495-496): l’Italia continuò ad essere stipendiaria anche
dopo l’istituzione delle prime province e la conseguente imposizione dei vectigalia.
38
Così Caiazza 1970, 25-28; niColet 1978; gonzález román 1979, 84; boren 1983, 459-460.
39
Cic. Fam. 12.30.4: incredibiles angustiae pecuniae publicae; vd. léCrivain 1919, 431; niColet
1976, 87-98; gabba 1988 (1977), 121-122, 126 e 134; spagnuolo vigorita, merCogliano 1992,
95-97; zeCChini 1994b, 267.
40
grelle 1963, 16-21; giliberti 1996, 211-212; orejas, sastre 1999, 161 e n. 1; Chouquer,
favory 2001, 99; franCe 2001b, 362-364. Il fenomeno è ugualmente riscontrabile nelle fonti epigrafiche: franCe 2007b, 350 e n. 101.
41
Verr. 2.4.66.148. Vd. Ñaco del Hoyo 2003d, 64-65.
42
Non è questa la sede per intraprendere una rassegna del termine, offerta da Ñaco del Hoyo
2003d, 64-65 limitatamente alle fonti di I e II sec. d.C.; ci si limiterà, dunque, ad elencare i testi che
lo menzionano tra I e V sec. d.C. (settantadue occorrenze in tutto, eccettuate le dieci contenute nelle traduzioni latine del Primo Testamento; tra VI e VIII sec. ve ne sono altre quarantasette, come si
può notare effettuando una ricerca nella Library of Latin Texts - Series A, reperibile all’indirizzo
http://clt.brepolis.net/llta/pages/QuickSearch.aspx): Vell. 2.38.5; Curt. 10.2.23; Petron. 57.4; Frontin.
grom. 1.3; Plin. nat. 12.3.6; Suet. Aug. 40.6; Flor. epit. 1.39.1; Tert. nat. 1.10 (2 occorrenze), apol.
13.6 (2 occorrenze), fug. 12 (2 occorrenze); Iustin. 1.7.2, 5.2.2 e 7.3, 22.7.3, 32.2.1; Ambr. in psalm.
8.4, epist. 5.24.7 e 9.62.19; Heges. 2.9.3; Rufin. hist. 1.6.6, Orig. in Iesu Naue hom. 24.1; Amm.
14.8.15, 16.5.15, 17.10.10, 19.11.6, 20.4.1, 27.8.7, 28.5.15; Hist. Aug. Sept. Sev. 18.2; Aur. Vict.
Caes. 20.16; Anon. de mach. bell. 5.1; Paul. Nol. epist. 16.6; Petr. Chrys. serm. 26.5; Aug. epist.
Copia autore
I. Dallo stipendium agli stipendiarii
23
ricorre: Asconio e Velleio Patercolo nel I sec. d.C., Tacito e Floro tra I e II, Svetonio e Giustino nel II, Tertulliano nel III, Servio, Ambrogio, Eutropio e l’Epitome de
Caesaribus nel IV, Girolamo e Agostino tra IV e V, fino a giungere, con un significativo salto cronologico, a Beda nell’VIII43. Stipendiarius e tributarius assumeranno, invece, significati specifici nei testi giuridici e gromatici; in essi è ugualmente
riscontrabile la preferenza del secondo termine rispetto al primo, che viene dal canto suo impiegato esclusivamente in riferimento ai terreni44.
Nonostante sia indubbio che i vocaboli tributarius e stipendiarius continuassero a pesare entrambi come segni di sottomissione45, la preferenza, in epoca imperiale, dei termini tributum e tributarius rispetto ai loro quasi sinonimi stipendium e
stipendiarius 46 è stata in tempi recenti interpretata su un piano politico; secondo
l’ipotesi di France47, che mi sembra di poter condividere, la ricerca del consensus tra
i provinciali avrebbe spinto gli imperatori romani a prediligere, in occasione della
revisione operata sul vocabolario fiscale già in età augustea, la parola tributum e
soprattutto il termine tributarius: tale vocabolo, infatti, rimandava ad un’imposta
introdotta di comune accordo, almeno in teoria48, e, soprattutto, ad un’imposta gravante sui cittadini romani; stipendiarii, invece, che in origine doveva indicare coloro che versavano la paga dei soldati, aveva finito per assumere la connotazione
negativa di persone costrette a pagare un tributo per diritto di conquista49, giuridicamente ed economicamente inferiori, prive di quell’indipendenza e di quella
libertà proprie del civis Romanus, e mal si accordava, dunque, con l’evoluzione
220.7, quaest. hept. 1.73, 6.20, 6.21.2-3 (quattro occorrenze), 7.7, 7.10, 7.12 (due occorrenze), in
psalm. 57.11, 59.1 e 5, serm. 113A.8, 229V.2, 308A.7, cathech. rud. 21, civ. 17.2 e 23, 18.45.3; Hil.
psalm. instr. 58.7; Sulp. Sev. chron. 1.48.1; Hier. in Dan. 3.9, in Matth. 3.17.24; Salv. gub. 5.6.25,
7.29, 8.35 (tre occorrenze), 8.38; Oros. 1.19.11, 4.6.29, 7.41.7; Vict. Vit. 1.14; Fulg. myth. 1.7.
43
Si tratta di ventiquattro occorrenze, per un’analisi dettagliata delle quali si rimanda a quanto
osservato nel § 2: Ascon. Pis. 15; Vell. 2.38.1, 37.5, 38.4, 39.2 e 3, 97.4; Tac. ann. 4.20.1 e 11.22; Flor.
epit. 1.33.7; Suet. Iul. 71.1; Iustin. 11.5.2-3; Tert. fug. 12; Serv. Aen. 3.20; Ambr. obit. Valent. 2; Hier.
in Matth. 3.22.15; Aug. in Iob 31, catech. rud. 23.43, in psalm. 90.2.2, serm. 351.3.5, c.Faust. 5.9;
Eutr. 6.17; Ps. Aur. Vict. epit. 1.7; Beda de temp. ratione 66.253. L’unica eccezione di rilievo è rappresentata dalle dodici menzioni dell’opera pliniana, per cui vd. § 2.1.1. Sono escluse da questa rassegna le numerose occorrenze presenti nell’opera di Livio, composta agli albori dell’età imperiale,
nonché l’impiego del termine nel significato di «soldato mercenario», per cui vd. § 2.4.
44
Vd. infra, § 4 e 5.
45
Corbier 1988, 259.
46
Il processo di identificazione dei due termini doveva essere già in stadio avanzato nel II sec.
d.C., se Pomponio e poi Porfirione li considerano, nei fatti, come sinonimi: ‘stipendium’ a stipe
appellatum est, quod per stipes, id est modica aera, colligatur. Idem hoc etiam ‘tributum’ appellari
Pomponius ait. Et sane appellatur ab intributione tributum vel ex eo quod militibus tribuatur
(D. 50.16.27); <Stipendium> quasi tributum uult intellegi (Porph. Hor. epod. 17.136). Vd. grelle
1963, 16-17 e 39; luzzatto 1971, 444. Cfr. anche infra, § 4.2.
47
franCe 2006, in partic. 12-13; Id. 2007b, 350-352. Sul graduale cambiamento di mentalità, caratteristico dei primi secoli dell’impero, nel modo di trattare i popoli tributari vd. frézouls 1986, a giudizio
del quale progressivamente si venne a smorzare l’attitudine dominatrice nei confronti dei provinciali.
48
Cfr. soraCi in cds.
49
Cic. Verr. 2.3.6.12: impositum vectigal est certum, quod stipendiarium dicitur, ut Hispanis et plerisque Poenorum quasi victoriae praemium ac poena belli, aut censoria locatio constituta est; Caes.
Gall. 1.44.2: stipendium capere iure belli, quod victores victis imponere consuerint. Cfr. infra, § 2.3.
Copia autore
del pensiero politico in epoca imperiale, che mirava ad includere, per ragioni di
opportunità politica e fiscale, sempre più provinciali nel novero dei cittadini50.
D’altro canto, se nelle fonti letterarie e in quelle epigrafiche – seguendo la lettura della Lex agraria epigraphica proposta in questo volume – il termine stipendiarius è impiegato in riferimento a singoli individui, popoli e città, nelle fonti
giuridiche e in un’opera di agrimensura esso viene accostato, in qualità di attributo, ai campi51. Il processo di scomparsa del vocabolo stipendiarius deve essere stato, quindi, affiancato da un altro: tra il I e il IV secolo la cancelleria ufficiale preferì qualificare come stipendiarie le terre provinciali e non più le persone.
Infatti, se, come pare, augustea è la distinzione tra i praedia presente nell’opera gaiana52, già a partire dagli inizi del I sec. d.C. nei documenti pubblici rappresentati dai testi giurisprudenziali – che restituiscono comunque poche occorrenze
del termine perché nella maggior parte dei casi sono stati emendati all’epoca di
Giustiniano – stipendiarius viene adoperato per indicare i campi53.
Le scarne testimonianze in cui, tra II e VIII sec. d.C., il vocabolo è riferito a
persone, come nell’iscrizione di Henchir-Mettich, vanno considerate alla stregua
di sporadiche reliquie o, ed è il caso della maggior parte delle occorrenze contenute in documenti non provenienti dalla cancelleria ufficiale e redatti specie in
ambito africano, quali varianti stilistiche e arcaizzanti di tributarius54.
Il trasferimento metonimico del termine dagli individui ai terreni, percepibile
nei documenti ufficiali, potrebbe essere spiegato con la volontà di rendere più gradito agli occhi dei provinciali il governo di Roma, attraverso l’attribuzione di un vocabolo dalla connotazione negativa, indicante quasi un “marchio di sottomissione”,
non più a coloro che abitavano fuori dalla penisola italica, che nel 212 d.C. vennero peraltro inclusi tra i cittadini romani55, ma alle terre provinciali. Si trattava di uno
slittamento semantico, iniziato con la generale preferenza dei termini tributum e
tributarius e portato alle sue estreme conseguenze dagli imperatori e dalle loro cancellerie, che intendevano così rendere il sistema fiscale meno gravoso anche sul piano linguistico agli occhi dei propri sudditi, indispensabili contribuenti.
50
Della sterminata bibliografia sul tema cfr. marotta 2009 e, in partic. sulla Constitutio Antoniniana,
mastino 2013; sull’ideale cosmopolitico che avrebbe ispirato l’agire di Caracalla vd. Corbo 2018; di
misura onorifica, situata in un quadro di ordine morale e religioso, parla anche besson 2020, 62-63.
51
Vd. infra, § 4 e 5. franCe 2006, 11. Per una diversa lettura della Lex agraria epigraphica vd.
infra, § 3.1.
52
Cfr. § 4.1 n. 8.
53
Non si può non osservare che, scrivendo nella seconda metà del I sec. d.C., Plinio usa stipendiarius in riferimento alle popolazioni: tuttavia, se le fonti cui attinge risalgono comunque all’età
augustea (cfr. infra, § 2.1.1), la sua opera non rivestiva certo lo stesso carattere di ufficialità dei testi giuridici; essa rappresenta, invece, una testimonianza del fatto che l’originario significato di
stipendiarius conobbe ancora una discreta fortuna nel I secolo d.C. e faticò ad essere abbandonato almeno fino all’età severiana.
54
Si vedano, in particolare, le opere degli africani Tertulliano e Agostino: cfr. quanto osservato
supra, § 1.3 n. 43 e infra, § 5.1 n. 15 e Conclusioni 3.
55
Ma sui quali continuava a ricadere il tributum capitis: vd., da ultimo, Bryen 2016, 36; marotta
2017a, in partic. 192-194, con un’interessante proposta di integrazione della l. 9 del Papyrus Giessen.
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ii. signifiCati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
Le fonti letterarie forniscono le testimonianze più estese ed organiche relative
alla tematica oggetto d’esame e, pertanto, offrono l’opportunità di ricavare un articolato quadro d’insieme sull’uso del termine.
Stipendiarius viene generalmente tradotto, se sostantivato o riferito a persone,
con «individuo soggetto al pagamento dello stipendium», intendendo per stipendium una contribuzione forzosa, regolare e in moneta richiesta dai Romani alle
popolazioni vinte in guerra1. La disamina effettuata in questa sede consente di affermare che tale equivalenza non è sempre legittima, poiché nei testi letterari a noi
pervenuti il termine presenta diverse sfumature di significato: la prima ad essere
attestata è quella di «individuo sottomesso», contrapposto nella gerarchia valoriale del mondo romano al socius, al foederatus, al liber; una seconda accezione vede
il termine impiegato in associazione con vectigalis, in una sorta di endiadi rafforzativa che solo di rado lascia trapelare eventuali differenze semantiche; una terza
accezione, più ristretta, è quella di «soggetto a tributo», la cui tipologia, comunque,
non sempre è precisabile2.
Com’è possibile rilevare osservando il grafico qui sotto (fig. 1), il termine ricorre sessantacinque volte nelle fonti letterarie (escluse le opere dei gromatici,
oggetto di una trattazione specifica): in diciotto di esse presenta il significato più
generico di «individuo sottomesso» (in contrapposizione ad altre condizioni privilegiate), in ventinove quello di «sottomesso» dal punto di vista politico e tributario (anche in senso figurato), in tredici è impiegato in associazione con vectigalis,
in cinque, infine, indica il soldato mercenario. Naturalmente, la suddivisione semantica qui presentata non va intesa in maniera rigida, giacché in alcuni casi non
è facile stabilire quale sia l’esatto significato da dare al vocabolo; anche al termine
1
Cfr. rostovtzeff 1926, 195-196.
Secondo erdkamp 1998, 94, che si riferisce in particolare ai contesti bellici, “the civitates stipendiariae had to pay tribute, either in money or in kind, to Rome”.
2
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26
Cristina Soraci
stipendiarius si può applicare, dunque, quanto più volte affermato in generale
sulla “fluidità” semantica della terminologia tributaria3.
Soldato mercenario
8%
Sottomesso
(in contrapposizione a
popoli e città di
condizioni
privilegiate)
28%
Sottomesso, soggetto
a tributo
44%
Stipendiarius ac vectigalis
20%
Fig. 1: Suddivisione semantica delle occorrenze del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
2.1 Stipendiarius contrapposto a popoli e città di condizioni privilegiate
Una prima accezione di significato, più ampia, indicava genericamente le popolazioni soggette; dal contesto non si può desumere la natura del tributo pagato
né si possono ricavare certezze in merito allo stesso obbligo di pagamento.
In diversi casi, lo stato di sottomissione si rende evidente dalla contrapposizione con altre condizioni in qualche modo privilegiate e spesso con popolazioni
«alleate», «amiche» o «libere»4.
È il caso di un passo della Divinatio in Q. Caecilium (70 a.C.), che rappresenta la più antica attestazione del termine nelle fonti letterarie:
Populatae, vexatae, funditus eversae provinciae, s o c i i s t i p e n d i a r i i q u e
populi Romani adflicti…5
L’oratore allude qui alle province che subirono la rapacità di Verre, ossia
l’Acaia, l’Asia, la Cilicia, la Panfilia (quando Verre fu legato e poi pro questore di
Dolabella nell’80-79 a.C.), oltre che, ovviamente, la Sicilia6.
Analogamente, così si esprime l’Arpinate nell’orazione In Pisonem (55 a.C.):
te indemnatum videri putas, quem s o c i i , quem f o e d e r a t i , quem l i b e r i
p o p u l i , quem s t i p e n d i a r i i , quem negotiatores, quem publicani, quem
universa civitas, quem legati, quem tribuni militares, quem reliqui milites
3
dunCan-jones 1990, 196-197, che si basa su considerazioni già avanzate da marquardt
1884, 184-185 n. 5; franCe 2007b, 333-335 e 344-347: il vocabolo avrebbe “dès l’origine combiné
les aspects juridiques et leurs modalités financiéres”.
4
Cfr. ÑaCo del hoyo 2003c, 533 e n. 9.
5
Cic. div. in Caec. 3.7; cfr. ÑaCo del hoyo 2003d, 53 e d 139.
6
Sulle province che subirono la rapacità di Verre vd. Cic. div. in Caec. 2.6.
Copia autore
II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
27
qui ferrum, qui famem, qui morbum effugerunt, omni cruciatu dignissimum
putent 7.
Cicerone si rivolge in questo caso a Pisone, che, in qualità di governatore della Macedonia negli anni tra il 57 e il 55 a.C., si era reso meritevole di supplizio
secondo ogni categoria di persone, dagli alleati ai tributari. Da notare che in precedenza, nella stessa orazione, la Macedonia era definita vectigalis provincia8.
In un passo del De legibus (la cui stesura si protrasse dal 52 a.C. fino a data
imprecisata), l’Arpinate si sofferma ad elencare i compiti di un senatore, tra cui
rientra la conoscenza di tutto ciò che riguarda lo stato:
senatori necessarium nosse rem publicam – idque late patet: quid habeat
militum, quid ualeat aerario, quos socios res publica habeat, quos a m i c o s ,
quos s t i p e n d i a r i o s , qua quisque sit lege, condicione, foedere 9.
Il termine stipendiarius appare assumere il significato generico di «sottomesso» anche nel discorso che Livio fa pronunciare al re Eumene di Pergamo nel
189 a.C., dopo le vittorie riportate dai Romani su Antioco III: il sovrano mette in
guardia i senatori romani dall’operato dei Rodii poiché, si chiede,
cui dubium est, quin et a nobis aversuri sint non eas modo c i v i t a t e s ,
q u a e l i b e r a b u n t u r, sed etiam veteres s t i p e n d i a r i a s nostras,
ipsi autem tanto obligatos beneficio verbo socios, re vera subiectos imperio
et obnoxios habituri sint? 10
In un brano del commento all’orazione In Pisonem, Asconio menziona socios
stipendiariosque:
7
Cic. Pis. 41.98 (nella sua edizione, Nisbet preferisce accogliere la lezione di Garatoni [te]
indemnatum). Il termine socii potrebbe essere inteso come sinonimo di foederati (vd. de martino
19732, 108-112, 323-324), e in tal caso la reduplicatio servirebbe a ribadire il concetto, o come vocabolo dal significato più ampio, giacché dopo la guerra sociale esso sarebbe stato impiegato anche
in riferimento a “freien, aber nicht verbündeten Gemeinden, die nicht zur Provinz gerechnet werden”: così marquardt 18812, 72-73; i socii, tra l’altro, potrebbero anche non essere stati vincolati
dalla stipula di un trattato, come invece dovevano esserlo i foederati: sul tema, molto dibattuto, si
vd. Cimma 1976, in partic. 168-173. In altri contesti, secondo quanto ha precisato badian 1984, 114
sulla scia di aCCame 1946, 54 n. 3, il termine socii viene impiegato per indicare quanti erano stati
“sottomessi”.
8
Cic. Pis. 36.87.
9
Cic. leg. 3.18.41.
10
Liv. 37.53.3-4; cfr. Pol. 21.19.9: τὸ γὰρ τῆς ἐλευθερίας ὄνομα καὶ τῆς αὐτονομίας ἡμῖν μὲν
ἄρδην ἀποσπάσει πάντας οὐ μόνον τοὺς νῦν ἐλευθερωθησομένους, ἀλλὰ καὶ τοὺς πρότερον ἡμῖν
ὑποταττομένους. Vd. gelzer 1956, 24-25, secondo cui Polibio (da cui è tratta in parte la versione
di Livio: vd. magie 1950, 950 n. 59) avrebbe riprodotto in modo sostanzialmente fedele i discorsi
presentati in quell’occasione e riportati nelle fonti da lui consultate. Dubitano, invece, della storicità delle parole attribuite ad Eumene sChmitt 1957, 82 e will 1967, 188-190, per il quale, tuttavia,
il discorso deve essere ritenuto vero quantomeno nella sostanza, se non nella forma, peraltro un po’
schematica; vd. anche hopp 1977, 48 n. 74.
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28
Cristina Soraci
quod populari illi sacerdoti sescentos ad bestias s o c i o s s t i p e n d i a r i o s q u e
misisti;
nel corrispondente passo dell’Arpinate, tuttavia, non si parla di stipendiarii, ma
piuttosto di amicos sociosque:
quod populari illi sacerdoti sescentos ad bestias a m i c o s s o c i o s q u e
misisti 11.
Ritengo che la svista del commentatore o del copista (giacché altri manoscritti presentano la variante amicos sociosque) vada attribuita al carattere retorico
dell’affermazione e alla consuetudine di accostare, tra le altre, anche queste due
categorie politico-amministrative, i socii e gli stipendiarii. Nel passo originario,
invece, Cicerone intendeva sottolineare la gravità di una condanna a morte pronunciata non ai danni di popolazioni soggette, ma contro amici e alleati del popolo romano12.
Questa accezione del termine stipendiarius, che nel contesto in cui viene usato indica una forma di sottomissione non meglio precisata, si riferisce più alla sfera amministrativa che a quella tributaria in senso stretto ed è confermata da un
passo di Servio il quale, commentando un verso dell’Eneide, annota che venivano fatti sacrifici al dio Libero dalle città “libere” come manifestazione dello status politico-amministrativo delle città stesse:
quod autem de Libero diximus, haec causa est, ut signum sit liberae civitatis:
nam apud maiores aut s t i p e n d i a r i a e erant, aut f o e d e r a t a e , aut
l i b e r a e 13.
Il quadro amministrativo, certamente semplificato, è indice tuttavia delle principali denominazioni assunte dalle città, che potevano essere, quindi, o stipendiarie, o federate, o libere.
2.1.1 Stipendiarius nella Naturalis historia
Particolarmente interessante risulta l’analisi delle occorrenze del termine nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio: come si potrà notare dalle pagine che seguono, stipendiarius è impiegato da Plinio per indicare le popolazioni «sottomesse», anche (ma non solo) dal punto di vista tributario, ben distinte da altre che
occupavano differenti gradini nella gerarchia istituzionale dell’impero. Le occor-
11
Ascon. Pis. 15; Cic. Pis. 36.89. Vd. ÑaCo del hoyo 2003d, 53 n. 139.
Negli altri passi qui citati, d’altro canto, l’interesse era ben diverso: si trattava di mettere in
luce l’importanza del malcontento dei tributari (div. in Caec. e Pis.), o la necessità, per un senatore,
di conoscere la reale situazione dello stato in ogni suo aspetto, non ultimo quello delle popolazioni
soggette.
13
Serv. Aen. 3.20.
12
Copia autore
II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
29
renze pliniane costituiscono, dunque, un sottoinsieme all’interno dell’ampia accezione di significato di cui si è sopra discusso.
L’aggettivo sostantivato stipendiarius è impiegato esclusivamente nei libri III,
IV e V dell’opera, in riferimento alle province della Baetica, dell’Hispania Citerior
o Tarraconensis, della Sicilia, della Lusitania e dell’Africa proconsularis.
Nell’elencare le città della B e t i c a , Plinio asserisce che in essa vi sono centosettantacinque oppida14, di cui nove colonie, dieci municipia civium Romanorum,
ventisette città alle quali da tempo era stato concesso il diritto latino (Latio antiquitus donata XXVII), sei città libere, tre federate, centoventi stipendiarie:
oppida omnia numero CLXXV, in iis coloniae VIIII, municipia c. R. X, Latio
antiquitus donata XXVII, libertate VI, foedere III, s t i p e n d i a r i a CXX 15;
di alcune, quelle digna memoratu aut Latio sermone dictu facilia, tra cui non
vi erano che poche stipendiarie, lo scienziato comasco presenta i nomi poco più
avanti:
stipendiaria Callet, Callicula, Castra Gemina, Ilipula Minor, Marruca
Sacrana, Obulcula, Oningi, Sabora, Ventip<p>o (…);
s t i p e n d i a r i a Besaro, Belippo, Barbesula, <B>lacippo, Ba<e>sip<p>o,
Callet, Cappa cum Oleastro, I<p>tuci, <I>brona, Lascu<t>a, Saguntia,
Saudo, Usaepo 16.
Il testo pliniano è stato, in questo passo, oggetto di numerose discussioni, volte a precisare il significato dell’espressione municipia civium Romanorum, che,
14
Sull’uso diffuso del termine oppidum nell’opera pliniana, vd. le interessanti osservazioni di
le roux 1986, 339: “L’oppidum définissait un certain degré d’urbanisation et d’organisation locale
susceptible de conduire à la municipalisation”; il termine aveva, dunque, un senso giuridico-politico, che non può indicare l’esclusiva e automatica equivalenza dello stesso con il municipium. Vd.
anche le roux 1991, 580: Plinio “emploie oppidum lorsqu’il n’a pas de précision sur le statut réel
des cités”, giacché, sin dall’età repubblicana, il termine poteva indicare, col vantaggio di raggrupparle in un’unica definizione, sia le colonie sia i municipi e, a volte, anche le città peregrine: Capalvo liesa 1986, 55; Chastagnol 1987, 6-7; tarpin 1999; sisani 2011, 727-740; le roux 2015, 162.
15
Plin. nat. 3.3.7.
16
Plin. nat. 3.3.12 e 15. Sulla decisione di non menzionare che le città effatu digna aut facilia
nomina vd. anche 3.21.139 e 5.1.1. Cfr., relativamente alla Narbonense, Christol 1994, 58-61. Anche nel ricordare le popolazioni africane comprese nel numero di cinquecentosedici, ma non divise
per categoria politica, preferì elencare solo qualche nome, omettendone altri, come ben evidenzia la
scelta dell’avverbio ut: ex reliquo numero non civitates tantum, sed plerique etiam nationes iure dici
possunt, ut Nattabudes, Capsitani, ecc… (nat. 5.4.29-30). Circa il caso betico, vd. saéz fernández
2002. Diverse città della provincia, alcune delle quali menzionate da Plinio, ricevettero lo statuto
municipale in epoca flavia; tra queste città va annoverata anche quella della cui lex municipalis è
stato recentemente pubblicato un frammento: saquete Chamizo, iÑesta mena 2009. sulle città Latio
antiquitus donata e su quelle definite in modo analogo nelle altre province della penisola iberica vd.
espinosa espinosa 2018, il quale ritiene che tali espressioni si riferiscano “to a significant number
of Augustan municipia Latina in Hispania which originated as Latin colonies”.
Copia autore
30
Cristina Soraci
quasi un hapax nelle fonti letterarie (giacché si trova impiegata, oltre che in questo caso, solo altre due volte nella stessa Naturalis historia a proposito della città
di Olisipo, in Lusitania17), risulta invece, anche se di rado, presente nelle fonti
epigrafiche: la Lex agraria, che sembra attestarne l’esistenza in un lacunoso passo, la Tabula Heracleensis e la Tabula Siarensis18.
Nella Ta r r a c o n e n s e esistevano, invece, centosettantanove oppida, di cui
dodici colonie, tredici oppida abitati da cittadini romani, diciotto da Latinorum
veterum (“antichi Latini”, ossia individui che avevano ottenuto da tempo il diritto latino), uno da federati, mentre i restanti centotrentacinque erano stipendiari:
oppida CLXXVIIII, in iis colonias XII, oppida civium Romanorum XIII, Latinorum veterum XVIII, foederatorum unum, s t i p e n d i a r i a CXXXV 19.
Anche in questo caso, i nomi di alcune città appartenenti alle diverse categorie vengono elencati nel prosieguo del discorso; tra le stipendiarie viene ricorda-
17
Plin. nat. 4.35.117, su cui vd. infra, § 2.1.1 n. 22. La definizione di municipium civium Romanorum è stata oggetto di dibattito tra gli studiosi. Per saumagne 1965a, 13-22 l’espressione sarebbe frutto dell’errore di un copista: quella tecnica, effettivamente usata tra il I sec. a.C. e il I d.C.,
doveva essere, invece, oppida civium Romanorum; gasCou 1971, 133-136 ritiene, invece, che il
passo non sia interpolato e che la definizione, benché rara nell’opera pliniana (alla stregua dello
stesso termine municipium, impiegato esclusivamente due volte nei libri ‘geografici’: 3.20.134 e
138), sia stata quella effettivamente scelta dallo scienziato comasco: in tal senso, vd. anche desanges
1972, 353-373, a detta del quale, inoltre, la definizione di oppida civium Romanorum indicherebbe
spesso municipia civium Romanorum, e Capalvo liesa 1986, 54-55 che considera equivalenti le
due espressioni (in tal senso vd. anche espinosa espinosa 2018, 233 e 238-240, per il quale Plinio
ricorderebbe ventisei municipia civium Romanorum); secondo gonzáles 1986, che accoglie l’ipotesi
di Saumagne, l’esistenza di municipia civium Romanorum non è dimostrata in Hispania e sarebbe
“completamente innecesaria”; le roux 1991, 573 ritiene che il municipium civium Romanorum sia
stato un municipio situato nelle province, costituito da cittadini romani “d’une nature – et d’une
culture – historiquement différente de celle des citoyens des municipes d’Italie, plus proches de
Rome” ; infatti, se Plinio si preoccupa “de séparer les colonies et d’établir une hiérarchie de prestige
entre les villes, il est impensable qu’il n’ait pas employé le terme municipium si l’équivalence avait
été totale dans ses sources”.
18
Lex agraria: CIL 1.585 = FIRA I, 8, l. 31. Qui si riporta il testo nell’edizione di sisani 2015
che aggiorna e rivede il testo offerto in Crawford 1996: c[olonieis seive moi]nicipieis seiue quae
pro moinicipieis colo[nieisve sunt ceivium R(omanorum)] nominisve Latini poplice deve senati
sententia ager fruendus datus [est; nell’interpretazione di Sisani, la definizione, nella lex, di pro
municipiis civium Romanorum, tradotta con l’espressione «comunità paramunicipali», alluderebbe,
“in opposizione a coloniae e municipia, ai comparti rurali dell’ager Romanus, strutturati su entità
amministrative a carattere non urbano che assolvevano alle stesse funzioni svolte in altri ambiti territoriali dagli organismi municipali”. Per la Tabula Heracleensis vd. CIL 1.593 = FIRA I, 13 = ILS
6085 = Crawford 1996, nr. 24, ll. 83: queiquomque in municipieis colon<i>eis praefectureis foreis
conciliabuleis c(ivium) R(omanorum) IIvir(ei) IIIIvir(ei) erunt aliove; l. 108: quae municipia
colonia<e> praefectura<e> fora conciliabula c(ivium) R(omanorum) sunt erunt; l. 142: quae municipia coloniae praefecturae c(ivium) R(omanorum) in Italia sunt erunt. Sulla Tabula Siarensis vd.
gonzales 1984, 55-100 = Aé 1984, 508 (cfr. anche Aé 1991, 20): [qui i(ure) d(icundo) p(raerunt)
in] municipio aut colonia c(ivium) R(omanorum) aut Latinorum.
19
Plin. nat. 3.4.18.
Copia autore
II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
31
ta la città di Dianio (Dianium s t i p e n d i a r i u m )20, poi si passa alla menzione
dei popoli stipendiari:
s t i p e n d i a r i o r u m Aquicaldenses, Aesonenses, Baeculonenses (…);
s t i p e n d i a r i o s Arcobrigenses, Andelonenses, Aracelitanos,
Bursaonenses, Calagurritanos qui Fibularenses cognominantur, Conplutenses,
Carenses, Cincienses, Cortonenses, Damanitanos, <I>spallenses, Ilursenses,
Iluberitanos, Lacetanos, Libienses, Pompelonenses, Segienses (…);
s t i p e n d i a r i o r u m autem celeberrimi Alabanenses, Bastitani,
Consaburrenses, Dianenses, Egelestani, Ilorcitani, Laminitani, Mentesani
qui et Oretani, Mentesani qui et Bastuli, Oretani qui et Germani
cognominantur, caputque Celtiberiae Segobrigenses, Carpetaniae Toletani
Tago flumini inpositi, dein Viatienses et Virgilienses 21.
In L u s i t a n i a Plinio menziona quarantacinque populi, tra i quali erano
annoverate cinque colonie, un municipio di cittadini romani, tre città che da
tempo avevano ottenuto il diritto latino (Latii antiqui III), trentasei stipendiarie; ne elenca poi di seguito i nomi, ma solo la lista delle stipendiarie risulta incompleta:
tota populorum XLV, in quibus coloniae sunt quinque, municipium civium
Romanorum, Latii antiqui III, s t i p e n d i a r i a XXXVI (…);
s t i p e n d i a r i o r u m quos nominare non pigeat, praeter iam dictos in
Baeticae cognominibus, Augustobrigenses, Aemin<i>enses, Aranditani,
A<r>abricenses, Balsenses, Caesarobrigenses, Caperenses, Caur<i>enses,
Colarni, Cibilitani, Concordienses, E<l>bocori, Interan<ni>enses,
Lancienses, Mirobrigenses qui Celtici cognominantur, Medubrigenses qui
Plumbari, Ocelenses, Turduli qui Bardili et Tapori 22.
Sulle differenze tra l’organizzazione amministrativa della Betica, fortemente
urbanizzata e romanizzata, e quella delle altre due province della penisola iberica,
per le quali Plinio insiste sulla struttura dei popoli che le compongono, è stato
giustamente affermato: “En Citerior y Lusitania son populi los que se agrupan en
los conventus y constituyen la base demográfica provincial. Los oppida […] aparecen
como entitades que dan coexión administrativa a los populi, vinculándolos a
lo urbano. En Bética la estructura tribal ya no se menciona como significativa y
ha dado paso a los oppida como única referencia válida que agrupa a toda la
población conventual”23.
20
Plin. nat. 3.4.20.
Plin. nat. 3.4.23-25. Tra gli stipendiariorum autem celeberrimi (3.4.25) vi erano gli abitanti
di Segobriga: le roux 2015.
22
Plin. nat. 4.35.117-118.
23
muÑiz Coello 1986, 311-312 n. 11.
21
Copia autore
32
Cristina Soraci
D’altro canto, la menzione della categoria delle popolazioni o degli oppida
stipendiari, contrapposta alle colonie e ai centri che avevano già da tempo ottenuto il diritto latino o la cittadinanza romana, rivela una precisa scelta del naturalista, il quale, nell’offrire un quadro della penisola iberica, non si preoccupa di aggiornare i dati relativi allo status politico-istituzionale e giuridico delle singole
città, ma rimanda ad una condizione anteriore all’età flavia, quando, a detta dello
stesso Plinio, tutta l’Hispania ottenne da Vespasiano il diritto latino24.
Il motivo di questa scelta risiede, certo, com’è stato autorevolmente affermato, soprattutto nel fatto che il naturalista avesse a disposizione essenzialmente
fonti di epoca augustea e precisamente, secondo la maggioranza degli studiosi: 1)
un periplo, forse risalente al 44-29 a.C., la cui stesura Desanges attribuisce, sulla
scia di Detlefsen e Klotz, a Varrone; 2) i Commentarii di Agrippa; 3) le liste provinciali posteriori al 27 a.C.25
Plinio, quindi, benché fosse consapevole che Vespasiano avesse esteso il diritto latino a tutti gli abitanti della penisola iberica, non mancò di evidenziare l’esistenza di alcuni oppida che godevano di tale diritto già da tempo, ossia prima della concessione vespasianea26, volendo in tal modo distinguerli da quanti, da lui
annoverati tra gli stipendiari, ottennero lo ius Latii solo in epoca flavia27. È lecito
chiedersi se, nella scelta di continuare a menzionare le città stipendiarie come
contrapposte alle altre, pur in presenza di una chiara volontà livellatrice manife-
24
Plin. nat. 3.3.30: universae Hispaniae Vespasianus Imperator Augustus iactatum procellis rei
publicae Latium tribuit. Pletorica la bibliografia concernente tale provvedimento; in questa sede ci
si limiterà a citare: cfr. muÑiz Coello 1986, in partic. 324-330; d’ors 1986, 13, 183 e passim; zeCChini 1990; stylow 1991; le roux 1986, 335-336; olivares pedreÑo 1998, 262-271; andreu pintado 2005; bravo bosCh 2009; gonzáles 2012.
25
desanges 20032 (1980), 12-27; zehnaCker 2004, XIII-XVIII. Cfr. detlefsen 1886; detlefsen 1901; detlefsen 1908, 55 e 63-104; klotz 1906, 82; pallu de lessert 1908, 215-298; per una
panoramica delle teorie concernenti le fonti di Plinio vd. sallmann 1971, 89-164. In particolare sui
Commentarii di Agrippa e sul loro legame con la famosa carta collocata nella porticus Vipsania, vd.
roddaz 1984, 573-591; rizzo 1994. Sulle formulae provinciarum e la loro data di stesura vd.
Christol 1994, 47-48 (per la struttura della descrizione della Narbonense e circa le altre fonti di Plino vd. pp. 51 e 57; in particolare sul caso di Nîmes cfr. anche bats 2007); secondo teutsCh 1962,
29-30, le fonti impiegate da Plinio per la stesura delle liste provinciali risalirebbero, invece, ad anni precedenti l’epoca augustea. Sullo spirito augusteo che avrebbe pervaso l’opera vd. recentemente
espinosa espinosa 2013.
26
Cfr. gonzáles 1986, 223-224, e gonzáles 2012, 98-100, a detta del quale Plinio avrebbe attinto a fonti databili tra il 7 a.C. e il 14 d.C. Cfr. Canto 1996, 230-238.
27
andreu pintado 2005, 119-139; saquete Chamizo, iÑesta mena 2009, 297: “debió tratarse
de una civitas stipendiaria que fue promocionada a municipio en época de Vespasiano”. Secondo
un’altra teoria (Canto 1996, 212-243), che non ha opportunamente incontrato il favore della comunità scientifica (contra, vd. in partic. garCía fernández 2000, 571-591), Plinio, che rivestì la carica di
procurator nella penisola iberica (Plin. epist. 3.5.17: cum procuraret in Hispania), non avrebbe potuto non aggiornare i dati relativi alla condizione amministrativa delle comunità ispaniche e avrebbe inteso riferirsi alle città stipendiarie come a quelle cui venne elargito il diritto latino: gli oppida
stipendiaria pliniani sarebbero stati, di fatto, municipia, Latini novi rispetto a quelle città che in Plinio sono indicate come Latini veteres.
Copia autore
II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
33
stata dall’amministrazione imperiale, non abbiano giocato anche altri fattori, tra i
quali il desiderio di sottolineare la differenza tra un privilegio in origine riservato
a pochi ed in seguito concesso (non senza la disapprovazione di chi ne vantava il
possesso da generazioni28) sempre più frequentemente.
In riferimento alla S i c i l i a il termine stipendiarius è usato nella Naturalis
historia per distinguere le quarantaquattro popolazioni stipendiarie dalle cinque
colonie, dai due oppida civium Romanorum e dalle tre città di diritto latino. L’elenco delle popolazioni stipendiarie siciliane è riportato, in questo come in altri casi,
in ordine alfabetico:
S t i p e n d i a r i i Assorini, Aetnenses, Agyrini, Acestaei, Acrenses, Bidini,
Citarini, Drepanitani, Ergetini, Echet<l>ienses, Erycini, Entellini,
E<n>ini, Egguini, Gelani, Galacteni, Hal<a>esini, Hennenses, Hyblenses,
Herbitenses, Herbe<sse>nses, Herbulenses, Halicuenses, Hadranitani,
<I>ma<c>arenses, I<ch>anenses, Ietenses, Mutustra<ti>ni, Magel<l>ini,
Murgentini, Mut<y>censes, Menaini, Naxi, Noini, Pet<r>ini, Paropini,
Phintienses, Semelitani, Scher<i>ni, Selinunti, Symaethii, <T>alarenses,
Tissienses, Triocalini, Tyraci<n>enses29.
Secondo la maggioranza degli studiosi, il termine stipendiarii indicherebbe
qui inequivocabilmente il pagamento dello stipendium cui le città siciliane sarebbero state soggette30 in età flavia o addirittura già in epoca augustea se, come pa-
Di tale disapprovazione si ha un riflesso nelle parole con le quali Svetonio (Aug. 40.5) riferisce l’opinione di Augusto sul tema: Magni praeterea existimans sincerum atque ab omni colluvione
peregrini ac servilis sanguinis incorruptum servare populum, et civitates Romanas parcissime
dedit.
29
Plin. nat. 3.14.91.
30
Tale ipotesi, che marquardt 18842, 191 aveva avanzato con cautela (“wahrscheinlich”), è
stata condivisa dalla maggioranza degli studiosi, tra cui holm 1898, 231; CarCopino 1914, 285-290;
finley 20016 (1968), 175; pinzone 2008, 127; si tratta di una teoria che fatica ad essere abbandonata: lo CasCio 2015, 243. mommsen 1885b, 651-652, dal canto suo, riteneva che la Sicilia non avesse perso neppure in epoca imperiale il suo ruolo di fornitrice di grano (dal contesto, sembra poter
dedurre che si tratti anche di quello “fiscale”, citato poco sopra in riferimento all’Africa repubblicana) per Roma, sebbene tale ruolo dovesse essere stato fortemente ridimensionato: “nachdem unter
Augustus die ägyptischen Getreidelieferungen eigerichtet waren, rechnete man für den dritten Theil
des in Rom verbrauchten Getreides auf Nordafrica und für eben so viel auf Aegypten, während das
verödete Sicilien, ferner Sardinien und Baetica nebst der eigenen Production Italiens den übrigen
Bedarf deckten”. In tal senso si sono pronunciati anche altri studiosi, restii a ritenere valida la teoria della conversione della decima siciliana nello stipendium: vd. brunt 1981, 161-162; garnsey
1983, 120-121 e garnsey 1997 (1988), 323-326; manganaro 1988, 20-21 e 35-38, a detta del quale
Augusto avrebbe imposto lo stipendium solo ad alcune città; altre, quelle definite da Plinio oppida,
avrebbero dovuto pagare la decima, mentre invece l’ager publicus siciliano avrebbe continuato a
fornire a Roma “una certa quantità di frumento per l’annona urbana”; wilson 1990, 34-35; vera
1996, secondo cui lo stipendium sarebbe stato esatto in un primo momento in natura ed il processo
di “emancipazione dell’isola dall’annona di Roma” si sarebbe compiuto solo nel corso del I sec. d.C.;
tarpin 1998, 58-63; vd., da ultimo, soraCi 2011, 97-203, su cui cfr. walthall 2017, 737, il quale,
pur rilevando come “the nature of the surviving evidence is ultimately too fragmentary to inspire
28
Copia autore
34
Cristina Soraci
re ai più, augustee sono le fonti cui Plinio attinse per la descrizione di questa provincia31. Tuttavia, le numerose contraddizioni riscontrabili nei paragrafi della
Naturalis historia relativi alla Sicilia rendono le informazioni in essi contenute
non immediatamente attendibili e suscettibili di accurata verifica; ma soprattutto, per dirla con Brunt, “Pliny’s use of ‘stipendiariae’ need not have this precise
meaning”32.
Anche in questo caso, infatti, come negli altri (ciceroniani, pliniani, ecc…) sopra menzionati, il termine appare impiegato per indicare una condizione inferiore
rispetto ad altre; dunque, come si dirà poco più avanti, invece di considerarlo equivalente all’espressione “soggetto al pagamento dello stipendium”, è preferibile intenderlo nel senso generico di «sottomesso», politicamente ed economicamente.
Per quanto concerne l’A f r i c a , il naturalista ricorda cinquecentosedici popoli, di cui sei colonie, quindici oppida civium Romanorum, uno di diritto latino e
uno stipendiario, Castra Cornelia:
o p p i d u m s t i p e n d i a r i u m unum Castriis Corneliis 33.
Proprio in Africa, del resto, la presenza di popolazioni stipendiarie è confermata da Cicerone, Livio e dalle fonti epigrafiche34.
Ai summenzionati centri vanno aggiunte trenta città libere e diverse popolazioni indigene, definite solo, senza alcuna precisazione di tipo politico-istituzionale, non civitates tantum, sed plerique etiam nationes iure dici possunt 35.
Come si può agilmente osservare, le province nelle quali Plinio ricorda l’esistenza di popolazioni stipendiarie appartengono tutte all’area occidentale dell’impero; degna di nota, a tal proposito, l’assenza degli stipendiarii di Sardegna, ricordati per l’età repubblicana da Cicerone e Livio36.
much confidence or consensus among scholars”, riconosce che un’analisi approfondita e comparativa dei dati provenienti dalle fonti archeologiche (scavi di siti rurali, relitti navali, distribuzione dei
prodotti di importazione, ecc…) potrebbe in qualche misura confermare la teoria della mancata
conversione delle imposte sulla produzione cerealicola siciliana in tributi monetari.
31
In merito alle fonti utilizzate da Plinio per la descrizione della Sicilia vd. sallmann 1971, 89107 e in partic. p. 100, n. 35, dove l’Autore passa brevemente in rassegna le teorie degli studiosi vissuti tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, alcuni dei quali ritenevano di dover ricondurre le
informazioni di carattere politico-amministrativo ad epoca cesariana. Pensano piuttosto a fonti di
età augustea roddaz 1984, 572-591; wilson 1990, 37-38 ove ulteriore bibliografia; vera 1996, 3842; zehnaCker 2004, 192.
32
brunt 1981, 161-162; ÑaCo del hoyo 2006, 227 n. 41. L’attendibilità delle singole informazioni relative alla Sicilia e contenute nel testo pliniano era stata messa in discussione già da holm
1898, 228-229 e ziegler 1923, col. 2509; vd. anche manganaro 1988, 18-21; wilson 1990, 35-43.
33
Plin. nat. 5.4.29. La presenza di un solo oppidum stipendiarium in Africa appare problematica; sul punto, vd. quanto osservato infra, § 3.3.
34
Cic. Balb. 9.24 (stipendiarios ex Africa, Sicilia, Sardinia) e Liv. 22.54.11, su cui vd. infra,
§ 2.3. Per le fonti epigrafiche si vd. infra, § 3.
35
Plin. nat. 5.4.30.
36
Cic. Balb. 9.24 e Liv. 41.17.2, su cui vd. infra, § 2.3.
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
35
A dispetto di un’antica interpretazione, dalla quale lo stesso Mommsen mostrò
di voler prendere le distanze e secondo cui il termine stipendiarius sarebbe stato
impiegato nell’opera pliniana per indicare le città provinciali sottoposte a tributo,
distinte da quelle che ne erano esenti37, o, addirittura, la soggezione delle città
provinciali ad un particolare tipo di tributo, qual è lo stipendium38, da tempo gli
studiosi che non si sono limitati ad analizzare la situazione di una singola provincia hanno attribuito al vocabolo un significato giuridico-amministrativo, volto cioè
ad indicare la deteriore condizione delle città dette stipendiarie rispetto alle altre.
Nel redigere i libri III-V della Naturalis historia, infatti, lo scienziato comasco
mirava soprattutto a fornire a tutti i suoi lettori un quadro abbastanza chiaro, e geograficamente definito, del grado di romanizzazione delle province dell’impero.
In particolare, la rielaborazione dei dati provenienti dal periplo, con la significativa aggiunta pliniana dello statuto politico delle città, rispecchia, come ha ben
osservato Desanges in riferimento alla parte africana, proprio l’esigenza di rendere manifesta l’opera di romanizzazione della provincia: “c’est que Pline, procurateur equestre de l’Empire, devait s’efforcer de surimposer les cadres de l’administration romaine à la description du littoral et de la compléter par un réseau urbain
dont les statuts variés constituaient pour ses contemporains la mesure la plus
exacte et la plus claire de l’état de la romanisation dans ces provinces”39.
Un simile obiettivo non stupisce in un’epoca, come il primo secolo dell’impero, caratterizzata da frequenti mutamenti dello statuto politico e giuridico delle
città provinciali, mutamenti che ebbero inizio col principato augusteo, aumentarono significativamente in epoca flavia e si protrassero per tutto il secondo secolo40.
Per tale motivo, anche le differenze negli ordinamenti territoriali locali evidenziate
nell’opera dello Pseudo-Agennio, risalente all’epoca domizianea e, quindi, alla stessa temperie politica, culturale e sociale cui va attribuita la stesura della Naturalis
historia, “sembrano diventare differenze di valore in una graduatoria il cui canone
di misura rimane il modello offerto da Roma”41.
37
mommsen 18873, III, 684-685 presentava con cautela quest’ipotesi in relazione alla situazione della penisola iberica: “In den spanischen Städtelisten bei Plinius werden die zu Augustus Zeit
mit lateinischen Recht bewidmeten spanischen Städte den stipendiaren entgegen gestellt: es ist
möglich, aber nicht sicher, dass damit den ersteren Tributfreiheit beigelegt werden soll”. La stessa
teoria si ritrova, invece, applicata al caso siciliano da beloCh 1886, 327 (= beloCh 1909, 311); pais
1888, 207; holm 1898, 231 e sCramuzza 1937, 347.
38
Per quanto concerne ancora il caso siciliano cfr. supra, § 2.1.1, n. 30.
39
desanges 20032 (1980), 20. Più scettico circa la possibilità di definire la romanizzazione dei
vari centri urbani è le roux 2015, 162, secondo il quale il quadro delle province dell’impero elaborato da Plinio “n’est ni géographique, ni politique, ni juridique mais inclut tout cela et n’a pas
pour objectif de mesurer la «romanisation» des communautés ou des peuples mais de rendre compte
avec efficacité de l’extension et de la diversité multiforme de l’empire de Rome pour des lecteurs
familiers de l’Italie et curieux de l’histoire des terres qui furent le théâtre de l’expansion de la Res
publica”.
40
de martino 1965, 666-688.
41
grelle 1963, 48.
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36
Cristina Soraci
Nell’opera pliniana, dunque, la distinzione è operata sulla base dello status politico-istituzionale che legava ogni singolo oppidum a Roma, dalla condizione ritenuta più vicina al modello dell’Urbe, quella delle colonie, a quella che più se ne
discostava, rappresentata dai popoli “sottomessi”, gli stipendiarii appunto42; naturalmente, la scelta di quest’ultimo termine, che doveva rimontare ai documenti
ufficiali, aveva il vantaggio di combinare gli aspetti politici (indicando il gradino
più basso della gerarchia istituzionale) con quelli fiscali43 (alludendo in tal modo
ai tributi cui queste popolazioni erano soggette, al pari di altri centri privilegiati
dal punto di vista istituzionale); voler, tuttavia, desumere dal testo conclusioni sul
tipo di imposta che le città stipendiarie dovevano pagare significa, a mio avviso,
forzare il dato della fonte.
Peraltro, Plinio non usa mai la parola stipendium per indicare i tributi pagati
dalle popolazioni sottomesse a Roma o ad altre potenze, ma preferisce adoperare
tributa o vectigalia44; inoltre, questi tre termini non compaiono mai nei libri III-V
della Naturalis historia per indicare il tributo cui sarebbero state soggette alcune
città, diversamente da quanto accade, invece, nel caso dell’aggettivo inmunis /
immunis che viene menzionato sette volte proprio nei libri suddetti45.
42
In tal senso, vd. già Cuntz 1888, 41; niColet 1989 (1988), 213-214, il quale, a proposito degli elenchi pliniani relativi alle province, parla di “liste di città in ordine alfabetico all’interno delle
categorie giuridiche (colonie di diritto latino, stipendiarie ecc.)”; sullo statuto coloniale considerato migliore rispetto agli altri nell’opera di Plinio e non solo cfr. Capalvo liesa 1986, 53.
43
franCe 2007b, 344-347, in partic. 345 n. 63: “la qualification stipendiarius apparaît aussi très
fréquemment dans les livres géographiques de l’Histoire naturelle de Pline, pour qualifier les
communautés dont le statut est le moins privilégié. La documentation de Pline sur ces questions était
d’origine administrative et comprenaît notamment les formulae provinciales (…); il est donc assuré que
le qualificatif stipendiarius était celui qui figurait dans les archives et documents officiels”. Di differente
parere jones 1971, 520-521, per il quale “in fact there was no official term (per indicare “the ordinary
provincial cities”, n.d.r.) The terminology used suggests that the Romans regarded the subject cities of
the provinces as being in the same general category as the free and federate cities, foreign cities”.
44
Stipendium viene usato da Plinio sempre per indicare il soldo militare (nat. 7.46.149; 8.61.143;
33.13.43 e 45; 34.11.23) o la “campagna militare” (nat. 7.29.104); in un caso (nat. 33.47.137:
stipendium quinque mensum frumentumque pollicitus) il termine assume il significato di punizione
di guerra limitata nel tempo e variabile di volta in volta in base alla consistenza numerica dell’esercito mobilitato e alla durata delle campagne per cui vd. supra, § 1.2, in partic. n. 32. Tributum: nat.
6.30.119; 12.8.17, 8.19, 32.61 (in senso figurato: religioni tributum), 54.112; 16.11.32; 19.26.79;
21.45.77; 33.15.51 (miror populum Romanum victis gentibus in tributo semper argentum imperasse,
non aurum; secondo Canto 1996, 225, da questo passo sembrerebbe potersi evincere che Plinio
chiama tributum quello che per Cicerone e Cesare era lo stipendium, ma, considerato l’ampio spettro semantico ricoperto dal termine tributum, l’impiego di quest’ultimo avrebbe potuto indicare anche altri tipi di prelievi: probabilmente, più in generale, alludeva all’insieme dei tributi monetari
imposti ai vinti); 33.17.56. Vectigal: nat. 6.24.84; 12.3.6, 32.63; 18.3.11; 19.19.56; 33.40.118;
37.33.111 (col significato di “profitto”, il termine è impiegato anche in 9.79.168; 10.27.53; 17.1.9,
26.8.15; 29.2.4; con quello di “rendita”, in 31.39.77; 34.49.165). Tributarius è usato una sola volta
come attributo riferito al suolo in Plin. nat. 12.3.6: ÑaCo del hoyo 2003d, 64-65.
45
Plin. nat. 4.4.7 (in riferimento ai Locresi Ozolesi), 4.4.8 (attribuito alla città di Anfisa), 5.3.23
(a proposito dell’oppidum di Theudalis) e 5.33.124 (in riferimento alla città di Ilio); l’attributo viene impiegato anche per descrivere la condizione di quattro colonie della Betica (Tucci/ Augusta
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
37
Lungi dal distinguere, dunque, le città soggette a tributo da quelle che non lo erano, Plinio preferisce ricordare solo i casi di immunità, che nella sua opera si riducono a sette in tutto e che sono attribuiti a centri o a popoli appartenenti a vari status
politico-istituzionali e a differenti categorie giuridiche; altre città, la cui immunità è
testimoniata per altra via46, non ricevettero la qualifica di immunes nel testo pliniano forse perché il naturalista non era a conoscenza della concessione, o perché dimenticò (?) di indicarne l’esenzione o, più probabilmente, perché tale privilegio
veniva spesso elargito “a tempo”47 e, all’epoca in cui venne redatta la Naturalis
historia (o, meglio, cui risalgono le fonti da lui consultate, in particolare le formulae
provinciae), era già stato revocato o non ancora attribuito. Il testo pliniano, il cui uso
della terminologia amministrativa e fiscale non era, peraltro, sempre rigoroso48,
fotografa, quindi, una situazione politica e tributaria soggetta a continui mutamenti.
La supposta contrapposizione, nell’opera dello scienziato comasco, tra città
esenti da tributo (colonie, municipi, città libere, città di diritto latino) e città stipendiarie, nel senso di soggette al versamento delle imposte, è, dunque, solo presunta: nei passi in cui viene presentata la lista di queste città, la contrapposizione
è impostata sulla base del regime politico-istituzionale e non dell’assetto tributario, giacché buona parte delle città “privilegiate” dal punto di vista istituzionale
era soggetta al versamento delle imposte49, mentre la prerogativa dell’immunità,
peraltro concessa eccezionalmente, veniva di norma indicata in modo esplicito
nell’opera pliniana. Plinio presenta, dunque, elenchi di città gerarchicamente ordinate, dalla condizione ritenuta più prestigiosa, propria delle colonie, a quella
meno vantaggiosa, propria delle stipendiarie.
A maggior ragione, la natura del tributo (in natura o in moneta) cui le varie città vennero sottoposte non è desumibile dall’opera pliniana, che mirava solo ad
evidenziare, nei libri “geografici”, la differenza tra gli statuti istituzionali delle
varie realtà cittadine provinciali e non le caratteristiche dell’imposizione fiscale riservata da Roma ad ognuna di queste.
Alla luce di quanto sopra discusso, si può affermare che anche nella Naturalis
historia, come già altrove, il termine stipendiarius ha un significato essenzialGemella, Ituci/ Virtus Iulia, Ucubi/ Claritas Iulia, Urso/ Genetiva Urbanorum: Plin. nat. 3.2.12) e di
due della Tarraconense (Ilici e Caesaraugusta: Plin. nat. 3.2.12 e 3.3.19 e 24). In tutt’altro contesto,
tale aggettivo viene riferito al re delle api, esonerato da qualsiasi dovere (Plin. nat. 11.17.53)…
Sull’immunità nell’opera pliniana cfr. soraCi 2016b, 564-570.
46
Altri autori e ritrovamenti epigrafici o numismatici testimoniano, ad esempio, l’immunità ottenuta nei primi due secoli dell’Impero da Sparta (Str. 8.5.5, C 365: πλὴν τῶν ϕιλικῶν λειτουργιῶν
ἄλλο συντελοῦντες οὐδέν), Cos (Tac. ann. 12.61), Pallantium (Paus. 8.43.1), dalle città della Grecia
(Syll. 3, 814), Mylasa (OGI 515), ecc…: cfr. già jones 1939, 116-117.
47
bernhardt 1982, 345; jaCques 1991, 588 n. 25. Diversa la spiegazione proposta da bernhardt
1980, 199-201 (ripresa in bernhardt 1982, 348-349): Plinio avrebbe attribuito la qualifica di
immunes solo alle città che godevano dell’immunità più completa; tuttavia, come ammette lo stesso studioso, questo criterio non è costantemente applicato dal naturalista e, dunque, non convince del tutto.
48
Cfr. ferrary 20142, 7 n. 7.
49
Vd. infra, § 5.2.
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Cristina Soraci
mente giuridico-amministrativo, desunto dalle formulae provinciarum o da altri
documenti pubblici, ed indica le città o le popolazioni che godevano degli statuti
meno favorevoli; non è lecito, invece, né ritenere che il vocabolo indicasse i centri sottoposti al pagamento di tributi rispetto a quelli che ne erano esenti, né, tantomeno, desumere, dal solo impiego del termine stipendiarius nel testo pliniano,
la natura dei tributi che tali centri erano costretti a versare.
2.2. Stipendiarius ac vectigalis
Una diversa accezione assume il termine se associato a vectigalis: non sempre
si può però stabilire se l’abbinamento delle due parole alluda ad una differenza
semantica propria di una precisa terminologia tributaria, o sia semplicemente indice della volontà di accostare due aggettivi (a volte sostantivati) considerati come
sinonimi e associati in una sorta di endiadi rafforzativa.
Nel De provinciis consularibus (56 a.C.) l’oratore elenca le malefatte di Gabinio in Siria, accusandolo, tra l’altro, di aver liberato dal pagamento dei tributi
molti provinciali:
v e c t i g a l i s m u l t o s a c s t i p e n d i a r i o s liberavit 50.
È difficile determinare se in questo passo Cicerone intendesse indicare genericamente le popolazioni provinciali, forse alludendo con vectigalis ad una situazione di dipendenza finanziaria e con stipendiarius ad uno stato di subordinazione
politica, o se invece avesse volutamente distinto le popolazioni soggette a un non
meglio precisato vectigal da quelle obbligate al pagamento dello stipendium51.
Nell’opera di Livio ricorrono più volte i due termini associati.
Nel 218 a.C., in un’arringa al suo esercito, P. Cornelio Scipione, il padre dell’Africano, esorta a constatare se «questo Annibale sia l’emulo, come egli stesso asserisce, delle peregrinazioni di Ercole, o se invece non sia contribuente e tributario
e servo del popolo romano, sulla scia del padre»:
an v e c t i g a l i s s t i p e n d i a r i u s q u e et servus populi Romani a patre
relictus 52.
In questo brano i tre aggettivi paiono essere posizionati in una sorta di climax: la
condizione del vectigalis sembrerebbe essere preferibile, quella dello stipendiarius
meno favorevole, quella del servus, ovviamente, la più svantaggiosa; in ogni ca50
Cic. prov. 5.10.
léCrivain 1919, 431 n. 25 ritiene che in questo passo i vectigales siano “sans doute les fermiers
du domaine”, gli stipendiarii “les contribuables”. Secondo ÑaCo del hoyo 2003d, 54 n. 144, i due
termini indicherebbero, almeno in Livio (per quanto concerne Cicerone cfr. p. 52), una situazione
teorica di subordinazione, “en la cual vectigalis podría haber correspondido más concretamente a la
dependencia financiera…, stipendiarius reflejaría el estatuto de sumisión política de los dediticii
sometidos a tales tratos una vez concluído un determinado conflicto bélico”.
52
Liv. 21.41.7.
51
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so, l’uso delle congiunzioni copulative (l’enclitica –que e il semplice et) indica
che, secondo l’opinione, non imparziale, di un romano del I secolo a.C., Annibale poteva essere definito vectigalis, stipendiarius e servus nel medesimo tempo.
La connotazione di sottomissione, caratteristica del vocabolo, è qui esemplarmente manifesta.
Trattando della sconfitta subita a Canne, nel 216, Livio istituisce un paragone
tra questa ed altre gravi disfatte patite dagli avversari, come quella delle isole
Egadi, in seguito alla quale i Cartaginesi si ritirarono dalla Sicilia e dalla Sardegna
e dovettero accettare di essere resi vectigales ac stipendiarii:
compares cladem ad Aegates insulas Carthaginiensium proelio navali
acceptam, qua fracti Sicilia ac Sardinia cessere, inde v e c t i g a l e s a c
s t i p e n d i a r i o s fieri se passi sunt 53.
I Cartaginesi furono, in effetti, soggetti al pagamento di un’indennità di guerra,
da pagare in talenti54.
Nel 213 a.C., secondo Livio, i Romani chiesero agli Arpini per quale motivo
essi, Italici, avessero mosso guerra agli antichi alleati in favore dei Cartaginesi,
barbari e stranieri, e perché, così facendo, volessero rendere l’Italia vectigalem ac
stipendiariam dell’Africa:
percontantibus Romanis quid sibi vellent Arpini, quam ob noxam
Romanorum aut quod meritum Poenorum pro alienigenis ac barbaris
Italici adversus veteres socios Romanos bellum gererent et v e c t i g a l e m
a c s t i p e n d i a r i a m Italiam Africae facerent 55.
L’espressione appare non altrimenti precisabile, essendo retoricamente riferita ad un’ipotetica condizione di sottomissione politica ed economica che si verificò invece in senso inverso, quando l’Africa divenne tributaria dell’Italia.
Liv. 22.54.11. van gils, kroon 2019, 226. Per la definizione di clades attribuita alla disfatta
romana a Canne e, più in generale, sull’atteggiamento positivo tenuto da Roma di fronte alle sconfitte vd., da ultimo, il bel volume di engerbeaud 2017, 86 e passim. Anche Oros. 4.11.2 sapeva che
la cessione della Sardegna, insieme con quella della Sicilia, era parte integrante del trattato di pace:
condiciones autem erant, ut Sicilia Sardiniaque decederent proque inpensis bellicis puri argenti
tria milia talentum Euboicorum aequis pensionibus per annos viginti penderent. In realtà, com’è
noto, la conquista della Sardegna, diversamente da quella della Sicilia, non fu unicamente conseguenza della vittoria romana alle Egadi, ma venne favorita da una rivolta dei mercenari presenti
nell’isola: Pol. 1.79.1-7 e 88.8-12. Sul punto, si vd. lippold 1963, 122-123 n. 187. Di certo il contributo della Sicilia, visto in termini di bottino, era stato fondamentale per l’economia romana anche negli anni di guerra: loreto 2007, in partic. 182-196.
54
Nel 241 a.C. fu richiesto il pagamento di 2200 talenti, cui vanno aggiunti i 1200 talenti pretesi dai Romani nel 227: Pol. 1.62.9, 1.88.12, 3.27.5 e 8. Secondo App. Sik. 2.4, la somma richiesta
nel trattato di pace del 241 a.C. sarebbe stata di 2000 talenti, mentre Oros. 4.11.2 riporta la cifra di
3000. braund 1984, 63 n. 52 (a p. 71) sottolinea come in questo caso, nonostante la terminologia
delle fonti possa essere fuorviante, sembra probabile si sia trattato non di un tributo, ma di un’indennità di guerra.
55
Liv. 24.47.6. Vd. ÑaCo del hoyo 2003d, 54 n. 144.
53
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Nel 199 a.C., in occasione del concilio degli Etoli, alle obiezioni poste da alcuni di loro sul comportamento dei Romani, che offrivano alleanza e protezione ma che in realtà si impadronivano delle varie città, come accadde in Sicilia
(et Messanam et Syracusas et totam Siciliam ipsi habent vectigalemque provinciam
securibus et fascibus subiecerunt), il legato romano, L. Furius Purpurio, rispose di
riconoscere che la Sicilia era una provincia romana e che le città
quae in parte Carthaginiensium fuerunt et uno animo cum illis adversus nos
bellum gesserunt, s t i p e n d i a r i a s nobis a c v e c t i g a l e s e s s e 56.
È possibile che in questo caso ci si trovi davanti ad un uso sinonimico dei due
termini: se la provincia di Sicilia è detta vectigalis, alcune città dell’isola, quelle
che durante la guerra (dal contesto, deve trattarsi della seconda punica) erano state dalla parte dei Cartaginesi, sono definite stipendiariae ac vectigales 57.
Sorge però spontanea una domanda: perché Livio avrebbe deciso di menzionare solo Messana e Siracusa come esempio di città siciliane sottomesse a Roma?
La ragione principale va probabilmente ricercata nell’importanza dei due centri,
forse i più famosi al di fuori dell’isola; eppure la scelta potrebbe essere stata dettata anche da altre considerazioni. Messana, che con la sua richiesta di aiuto e
protezione aveva causato lo scoppio della prima guerra punica, al termine della
seconda era stata inglobata nella provincia romana, pur mantenendo la condizione privilegiata di città foederata; Siracusa, invece, alleata dei Romani fino alla
morte di Ierone, si era resa colpevole, nella persona di Ieronimo, di un voltafaccia: è soprattutto a questa città che Furius, e con lui Livio, verosimilmente alludeva nel rispondere che alcune città siciliane uno animo cum illis adversus nos
bellum gesserunt. Quindi, da un lato, gli Etoli ricordavano due città che erano state alleate dei Romani per dimostrare che la sete di dominio di questi ultimi non si
arrestava neppure di fronte alle alleanze, dall’altra proprio la menzione di Siracusa dà modo a Furius di rispondere generalizzando: i Siciliani erano colpevoli di
aver tradito l’alleanza con Roma e perciò andavano puniti58.
56
Liv. 31.31.9.
Liv. 31.29.7: vectigalemque provinciam; per il diverso trattamento riservato ai centri siciliani,
vd. anche Liv. 25.40.4; cfr. adesso soraCi 2016a. Il termine vectigalis riferito all’intera provincia
avrebbe avuto un significato generico, volto ad indicare una situazione di sottomissione, secondo la
condivisibilissima intepretazione di ÑaCo del hoyo 2003a, 297 n. 17.
58
Le città che nel corso della seconda guerra punica avevano parteggiato per i Cartaginesi dovevano essere non solo le sei vi captae ma anche, probabilmente, le 20 occupate per tradimento, tra
cui Agrigento e la stessa Siracusa, di cui parla Liv. 26.40.14 (cfr. anche Eutr. 3.14: Laevinus…
XL civitates in deditionem accepit, XXVI expugnavit); vd. pareti 1952, 425-427; manganaro 1979,
415-416; marino 1988, 89-90 e n. 214. Secondo pinzone 1999 (1979), 8-9 n. 27 e pinzone 1999
(1990), 178-179, invece, le città siciliane che avevano parteggiato per i Cartaginesi e che erano divenute stipendiariae ac vectigales sarebbero esclusivamente quelle vi captae, il cui territorio era divenuto agro pubblico ed era stato perciò soggetto al vectigal certum quod stipendiarium dicitur,
mentre “le altre città, quelle datesi in fidem”, sarebbero state, “tranne le immunes ac liberae, tutte
«decumane»”. Appare, tuttavia, preferibile ritenere che Livio, interessato a giustificare l’operato ro57
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
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Nel 195 a.C., a proposito della legge Cincia, emanata nel 205 e avente, tra l’altro, lo scopo di evitare che un avvocato ricevesse doni o denaro per condurre un
processo, Livio fa chiedere a Catone il censore, allora console, quale motivazione avesse portato all’emanazione di tale legge de donis et muneribus se non quella per cui la plebe aveva cominciato a diventare vectigalis iam et stipendiaria del
senato:
quid legem Cinciam de donis et muneribus nisi quia vectigalis iam et
s t i p e n d i a r i a plebs esse senatui coeperat?59.
Si tratta evidentemente di un’endiadi, il cui significato è in questo caso metaforico.
L’uso sinonimico dei due termini riscontrato sinora non figura, invece, in un
passo delle Verrine nel quale stipendiarius e vectigalis appaiono piuttosto contrapposti tra loro: secondo Cicerone, gli antichi Romani permisero di possedere le opere d’arte sia agli alleati (socii), perché potessero vivere una vita il più
possibile splendida e lussuosa, sia alle popolazioni sottomesse, vectigales aut
stipendiarii (che nel caso specifico indicavano probabilmente due diverse categorie), perché servissero loro di conforto pur in una condizione di subordinazione
(ut illi… haberent haec oblectamenta et solacia servitutis); il termine è, in questo
caso, contrapposto non solo al vocabolo socii ma anche, e più esplicitamente, a
vectigales:
apud eos autem quos v e c t i g a l i s a u t s t i p e n d i a r i o s fecerant
tamen haec relinquebant, ut illi, quibus haec iucunda sunt quae nobis
levia videntur, haberent haec oblectamenta et solacia servitutis 60.
Un caso particolare è rappresentato da un brano degli Annales tacitiani in
cui i due termini si trovano accostati e, in qualche modo, contrapposti, sebbene
stipendiarius, impiegato in funzione di attributo, sia qui associato al sostantivo
vectigal e non all’aggettivo vectigalis. L’autore ripercorre le tappe della questura,
precisando che in origine i questori erano solo due, con incarichi militari, e che
poi, col moltiplicarsi dell’attività pubblica, ne vennero aggiunti altri due specifica-
mano, non intendesse indicare in questo passo la precisa condizione amministrativa e tributaria
di alcuni centri siciliani, ma piuttosto evidenziare l’errore delle città che si erano schierate contro
l’Urbe. Propende per l’ipotesi dell’uso generico dei due termini anche brisCoe 1973, 136.
59
Liv. 34.4.9. Cfr. Casavola 1960, 12-19: “Evidentemente qualunque prestazione che la plebs
fosse stata costretta a richiedere agli organi giudiziari e dell’amministrazione – non va dimenticato
che i iudices appartengono all’ordine senatorio – era accompagnata da dona e munera, che la richiesta sopraffattrice aveva reso ormai usuali. Ed è questo carattere di costante ed invalsa sistematicità
che rivelano le parole di Catone «vectigalis iam et stipendiaria plebs esse senatui coeperat»”. Cfr.
anche boren 1983, 431 n. 12. Per una ricostruzione del testo della legge alla luce dei frammenti
vaticani vd. anche stein 1985. Da ultimo, cfr. Coffee 2017, 40-43 e nn. a p. 210, ove ulteriore bibliografia.
60
Cic. Verr. 2.4.60.134.
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mente destinati alla città di Roma (421 a.C.); in seguito il numero sarebbe stato
raddoppiato, quando l’Italia divenne stipendiaria e si poteva contare sulle imposte delle province; invece, dopo la legge di Silla ne furono creati venti per venire
in aiuto al senato al quale erano state affidate le cause giudiziarie:
sed quaestores regibus etiam tum imperantibus instituti sunt, quod lex
curiata ostendit ab L. Bruto repetita. Mansitque consulibus potestas
deligendi, donec eum quoque honorem populus mandaret. Creatique
primum Valerius Potitus et Aemilius Mamercus sexagesimo tertio anno
post Tarquinios exactos, ut rem militarem comitarentur. Dein gliscentibus
negotiis duo additi qui Romae curarent: mox duplicatus numerus,
s t i p e n d i a r i a iam Italia et accedentibus provinciarum v e c t i g a l i b u s :
post lege Sullae viginti creati supplendo senatui, cui iudicia tradiderat 61.
Secondo Alicia Ma Canto, in questo passo il termine stipendiarius non avrebbe accezione negativa, giacché non si riferirebbe ad una forma di subordinazione
politica ed economica “umiliante” ma sarebbe usato per indicare la condizione municipale di cui buona parte delle città italiane aveva goduto tra il 338 e l’89 a.C.
Tale ipotesi ha però suscitato non poche perplessità ed è stata in più punti contestata; in questa sede si è preferito proporre una diversa interpretazione del passo:
poiché l’Italia continuava a mantenere l’esercito quando già le province inviavano
tributi a Roma, venne detta, con gli occhi di un Romano di parecchi secoli dopo,
stipendiaria 62.
2.2.1 Vectigal certum stipendiarium
L’aggettivo stipendiarius è usato in un solo caso come attributo di vectigal: si
tratta del noto passo delle Verrine, in cui Cicerone distingue le imposte fondiarie
delle varie province e afferma che il vectigal certum stipendiarium veniva richiesto agli Hispani e alla maggior parte dei Punici, mentre l’Asia e la Sicilia erano
soggette ad un altro tipo di imposte; in questo caso si tratta di un’associazione,
per così dire, negativa, poiché si riferisce alla constatazione che questo tipo di
vectigal non sarebbe stato esatto in Sicilia:
Inter Siciliam ceterasque provincias, iudices, in agrorum vectigalium ratione
hoc interest, quod ceteris aut impositum v e c t i g a l e s t c e r t u m , q u o d
s t i p e n d i a r i u m d i c i t u r, ut Hispanis et plerisque Poenorum quasi
61
Tac. ann. 11.22.
Si vd. supra, § 1.2 e n. 37. Per l’aumento del numero avvenuto nel 421 vd. Liv. 4.43.12. Più
problematico stabilire in che anno furono introdotti gli altri quattro questori; loreto 1993, 494-502,
ritiene che non si possa indicare una sola data, giacché “la stessa natura sfumata dell’espressione cronologica vuole indicare che tra il 421 e tale momento il numero era progressivamente e non istantaneamente aumentato”; cfr., da ultimo, pina polo, díaz fernández 2019, 25-50. Sul significato del termine stipendiarius nel passo tacitiano vd. Canto 1996, 224; contra, si vd. garCía fernández 2000.
62
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victoriae praemium ac poena belli, aut censoria locatio constituta est, ut
Asiae lege Sempronia: Siciliae civitates sic in amicitiam fidemque accepimus
ut eodem iure essent quo fuissent, eadem condicione populo Romano parerent
qua suis antea paruissent.
Si propone qui di seguito una traduzione letterale del passo di Cicerone:
Tra la Sicilia e le altre province, o giudici, vi è questa distinzione per quanto riguarda i campi soggetti ad imposte, che nelle altre o è stato stabilito un
tributo fisso, che viene detto stipendiario, come agli Hispani e alla maggior
parte dei Punici in quanto premio per la nostra vittoria e punizione per la
guerra (mossa contro di noi), oppure è stato introdotto l’appalto da parte dei
censori, come in Asia in forza della legge Sempronia: (invece) le città della Sicilia le abbiamo accolte in amicizia e fiducia affinché rimanessero con
le stessi leggi che avevano prima e fossero sottoposte al popolo romano alle stesse condizioni alle quali erano soggette prima ai loro connazionali63.
Innanzi tutto è opportuno inquadrare il passo nel suo contesto specifico, ossia
quello di un’orazione dedicata ai nefasti effetti dell’operato di Verre sulla produzione cerealicola dell’isola: appare così chiaro come Cicerone intendesse distinguere la particolare condizione tributaria della Sicilia da quella delle altre province solo per quanto concerneva l’ambito agrario (in agrorum vectigalium ratione)
e non la totalità del sistema impositivo provinciale64.
In secondo luogo, l’uso dell’espressione vectigal… certum, quod s t i p e n d i a r i u m dicitur al posto della più ovvia vectigal… certum, quod s t i p e n d i u m dicitur, dovrebbe, a mio avviso, mettere in guardia il lettore; l’equivalenza del termine vectigal stipendiarium con stipendium, adottata da quasi tutti gli
studiosi, è invece da dimostrare. Quasi una trentina di anni fa Genovese osservava “come non risulti soddisfacente l’approccio della dottrina relativamente al
senso dell’espressione vectigal certum quod stipendiarium dicitur, che o appare
ritenuto sinonimo di stipendium, o più o meno radicalmente distinto da questo”65.
63
Cic. Verr. 2.3.6.12. Preferisco tradurre in agrorum vectigalium ratione con “per quanto riguarda i campi soggetti ad imposte” invece di “in materia di imposte fondiarie”, perché a mio avviso agrorum vectigalium è genitivo plurale di agri vectigales e non di agrorum vectigalia: la prima
espressione ricorre più volte nello stesso Cicerone (Verr. 2.3.50.119, 52.122; leg. agr. 2.24.64;
Fam. 13.7.1), mentre la seconda appare solo in leg. agr. 2.29.81 (hoc agri Campani vectigal); il
senso del discorso, comunque, rimane sostanzialmente invariato. Per quanto concerne la bibliografia sul passo, si rimanda a quanto osservato in soraCi 2011, 124 n. 62.
64
Vd., in tal senso, già genovese 1993, 174; aguilar guillén, ÑaCo del hoyo 1997, 73-75;
ÑaCo del hoyo, prieto arCiniega 1999, 237; gebbia 2003, 27-40; ÑaCo del hoyo 2003d, 370;
contra, cfr. franCe 2007a, 169-176, secondo cui l’espressione avrebbe un significato molto più ampio, che oltrepasserebbe “le cadre particulier de l’organisation de la fiscalité agraire”, designando
“l’organisation des territoires redevanciers dans leur ensemble”.
65
genovese 1993, 239-240 n. 119 e 235 n. 114. Sulla non equivalenza dell’espressione ciceroniana con lo stipendium, cfr. ÑaCo del hoyo, prieto arCiniega 1999, 237-238; ÑaCo del hoyo
2005, 371, a detta del quale sarebbe “plausible que stipendiarium no derivase de stipendium sino
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A mio avviso, l’espressione vectigal… certum quod stipendiarium dicitur non
dovrebbe essere considerata sinonimo di stipendium innanzi tutto perché quest’ultimo non compare mai, fino all’epoca augustea, quale tassa sui terreni66; inoltre, diversamente dallo stipendium che, in quanto risarcimento delle spese sostenute nelle
guerre, era essenzialmente destinato alla paga dei soldati e versato in moneta (e infatti nelle fonti viene contrapposto alla fornitura di grano o di cibarie in genere)67,
il vectigal certum stipendiarium poteva anche essere un’imposta in natura, pagata
cioè con gli stessi prodotti del campo; ciò che lo distingueva dalla decima o da altre analoghe contribuzioni era la caratteristica di tributo dall’ammontare fisso68.
Sebbene non vi possano essere, allo stato attuale della documentazione in nostro
possesso, prove certe a riguardo che inducano a propendere per l’una o per l’altra
interpretazione, appare questa la lettura più corretta del passo delle Verrine.
del adjetivo sustantivado stipendiarii, que podría traducirse por “pueblos sometidos”. Quest’ultima
ipotesi, a dire il vero, mi sembra solo in parte condivisibile: stipendiarium è la forma neutra dell’aggettivo stipendiarius, da cui deriva anche il plurale sostantivato stipendiarii, sebbene nelle opere di
Cicerone il termine sia presente solo al plurale e in forma sostantivata; la sua probabile origine da
stipendium non inficia, comunque, l’ipotesi dello studioso, giacché il vocabolo mantiene comunque
un’accezione negativa, segno di subordinazione politica ed economica.
66
L’unica eccezione a quanto appena affermato è rappresentata dal noto, ma discusso caso, della lex agraria del 111 a.C. (FIRA I, Leges, nr. 8, ll. 77-80), su cui vd. infra, § 3.1. Cfr. luzzatto
1953, 94 n. 60: “il significato di vectigal è sempre, nell’età repubblicana così distinto da quello di
stipendium, che quando i termini vengono ravvicinati, come è p. es. il caso di Cic. in Verr. 3, 6, 12…
questo avviene sempre in modo da mantenere inalterate le caratteristiche particolari dello stipendium
«…vectigal certum… quod stipendiarium dicitur»”.
67
Cfr. quanto affermato supra, § 1.1. Sull’accostamento/contrapposizione di stipendium e
frumentum, ai passi tratti da Livio (8.2.4, 9.43.6, 10.5.12, 23.21.1-5, 23.41.6-7, 23.48.4, 29.3.5,
30.37.5, 37.59.6: stipendium militare et frumentum duplex post triumphum datum), e citati da
genovese 1993, 239-240 n. 119, si aggiunga: Caes. b.c. 3.53.5; Cic. Verr. 2.1.14.36, 2.1.27.70,
2.5.24.60-61 e 25.62; Id. Font. 6.13; Id. Pis. 7.14; Cic. ad Q. fr. 1.1.5 (nullam inopiam stipendi aut
rei frumentariae); Sall. or. Cottae 6, epist. Pomp. 3 e 9; Liv. 2.54.1, 9.43.21, 23.12.5, 35.49.11,
40.35.4; Plin. nat. 33.47.137; Val. Max. 7.6.1; Gran. Lic. 35.77; Suet. Iul. 26.3 e 68.1; Tac. hist. 3.8
e 4.26. Sull’accostamento/contrapposizione di stipendium e commeatus cfr. Liv. 24.8.14, 28.12.5;
Sall. Iug. 36.1, 86.1, 90.2; su quella di stipendium e cibaria vd. Caes. b.c. 3.53. (dove però veste,
cibariis è correzione del tradito vespeciariis: vd. ed. R. Du Pontet); Liv. 26.35.4. Ciò nonostante,
alcuni studiosi hanno ritenuto di poter identificare lo stipendium con un’imposta versata anche
in natura: già marquardt 18842, 192-193 ebbe ad affermare che esso era originariamente una
“Kriegscontribution”, “dass es in Geld oder in Naturallieferungen oder in beiderlei Weise gefordert
werden kann”; léCrivain 1919, 432 parlava, a proposito dell’Africa, di “stipendium fixe, probablement
en blé”; secondo luzzatto 1971, 444, lo stipendium consisteva, “in linea di principio, in una contribuzione fissa in natura o in denaro”; garnsey 1978, 349 n. 70 ha ritenuto lo stipendium “a levy
of cash for the payment of soldiers, or of kind for their supplies”.
68
Vd. spagnuolo vigorita, merCogliano 1992, 98, in cui vengono distinte le “contribuzioni
percentuali, come la decuma o il vectigal” dalle “imposte fisse, quali, ad esempio, il “vectigal certum
stipendiarium e lo stipendium”; cfr. però ibid. p. 99, dove si parla di “somme”: “l’esazione di somme
fisse (vectigalia certa stipendiaria, stipendia) versate annualmente da alcune città veniva, in prevalenza, riservata a queste civitates stipendiariae, che realizzavano l’ammontare complessivo tramite imposte proporzionali ricadenti sul patrimonio dei singoli o grazie a contribuzioni in natura o
mediante regolari entrate cittadine di vario tipo (vectigalia) o per mezzo di ipoteche e prestiti”.
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
45
La distinzione di Cicerone non si basa, quindi, sulla differenza tra imposte pagate in denaro e imposte pagate in natura (come ha ritenuto buona parte della moderna dottrina fondandosi univocamente su una delle possibili letture dell’espressione vectigal… certum, quod stipendiarium dicitur); la condizione privilegiata
della Sicilia rispetto alle altre province era dovuta ad altri fattori: l’isola, infatti,
diversamente da quanto accadeva in Spagna e in Africa, entrambe costrette al pagamento di un tributo fisso sui campi, era tenuta a versare un quantitativo di grano
variabile in base al raccolto; era privilegiata anche rispetto all’Asia, che, pur pagando un tributo variabile, subiva la locatio censoria, in forza della quale la gara d’appalto per la riscossione delle tasse veniva espletata a Roma; la Sicilia, invece, godeva della prerogativa, sua propria, di potere svolgere la gara d’appalto delle decime
cerealicole nello stesso territorio isolano, a Siracusa69.
2.2.2 Città d’Asia stipendiariae
Il termine stipendiarius viene menzionato in Livio anche per indicare la particolare condizione amministrativa e tributaria di alcune città dell’Asia soggette ad
Antioco e poi liberate dai Romani.
dunCan-jones 1990, 188, che riporta l’espressione certum stipendium al posto di quella effettivamente presente nel succitato testo ciceroniano, afferma: “it is usually assumed that because the
amount was fixed, payment of direct taxes in Spain and Africa was in money and continued to be
so under the Principate”, attribuendo così a questa presa di posizione un valore dato dalla consuetudine; più avanti, tuttavia, lo stesso studioso aggiunge: “it is worth noticing in this context that a
tax whose amount was fixed could in fact be paid in grain” (p. 192); del resto, già sChwahn 1939,
col. 10 riteneva che un’imposta di ammontare fisso potesse essere versata in natura o in moneta.
franCe 2001b, 364, pur ammettendo l’equivalenza del termine vectigal con stipendium, pensa ad una
somma fissa richiesta generalmente in contanti: “le vectigal (ou stipendium) certum qui repose sur
le paiement d’une somme fixe dont le montant est déterminé par Rome généralement en espèces
monétaires”. Nei successivi lavori, pur ritenendo “peu concluant”, l’accostamento “entre la terminologie
fiscal et le mode de versement, en nature ou en espèces, de l’impôt” (franCe 2007b, 340 n. 36) lo studioso ha precisato che la possibilità di effettuare i versamenti in natura o in denaro doveva dipendere,
tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero, “des situations et des opportunités régionales,
voire provinciales et locales” e dalle necessità dello Stato romano (franCe 2007a, 180-181).
69
Verr. 2.3.6.14-15. Cfr. franCe 2007a, 179: “Le point important est d’abord l’épithète certum
qui désigne quelque chose de fixe, régulier, déterminé à l’avance, notamment pour un prix, et aussi
quelque chose de ferme, qui est certain d’être accompli. De ce point de vue, l’opposition semble
claire avec la dîme dont le produit prélevé sur la base d’une quotité est par définition variable”. Vd.
anche infra, § 3.1. Per un commento del passo e per un confronto con la situazione asiana, vd. da
ultimo, merola 2001, 40, che però accetta l’equivalenza vectigal certum stipendiarium = stipendium.
Sull’imposta per quote in Asia, vd. Cic. Manil. 6.15 (ex decumis… vectigal); Id. Flacc. 8.19; App. b.c.
5.4.18. Secondo diversi studiosi, comunque, l’Asia avrebbe pagato prevalentemente in moneta le
decime cui era sottoposta in epoca repubblicana, anche se le fonti in proposito non sono per nulla
esplicite: rostowzew 1910, coll. 154-155; léCrivain 1919, 432; frank 1933, 255-256 (ma cfr. p. 274,
sulla possibilità che le decime non venissero talvolta convertite in moneta); magie 1950, 164 e 1054 nn.
16 e 18; riCkman 1980, 42-45; lo CasCio 1986, 36 e n. 19; pierobon-benoit 1994, 306; garnsey
1997, 302; merola 2001; ead. 2004, 185-186 n. 52. Diversa appare l’opinione di broughton 1938,
511-512, che parla di “payment in kind”.
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46
Cristina Soraci
Nel primo passo in questione, il sovrano seleucida rimprovera ai Romani
(193 a.C.), suoi alleati e quindi posti su un piano di parità, di volergli imporre quali città dell’Asia rendere libere e immuni e quali stipendiarie; in questo caso, il termine potrebbe essere contrapposto non solo, come si è visto sopra, alla condizione
di libertà, ma anche a quella di immunità; l’opposizione sarebbe, dunque, estesa ad
entrambi i campi, quello amministrativo e quello tributario, mentre nei passi successivi il riferimento riguarderà esplicitamente l’ambito finanziario:
ex eo genere cum Antiochus esset, mirari se quod Romani aequum censeant
leges ei dicere quas Asiae urbium l i b e r a s e t i m m u n e s , quas
s t i p e n d i a r i a s esse velint, quas intrare praesidia regia regemque
vetent 70.
Il rimprovero mosso dal sovrano seleucida è reiterato da Minnione, l’ambasciatore di Antioco, il quale accusa i Romani di incoerenza: da un lato, avevano assoggettato i Greci di Napoli, Reggio e Taranto, da cui esigevano la fornitura di navi e
il pagamento di uno stipendium; dall’altro, si opponevano all’atteggiamento tenuto
da Antioco stesso il quale voleva riportare Smirne, Lampsaco e le città della Ionia
o dell’Eolide, sconfitte in guerra dai suoi antenati e rese s t i p e n d i a r i a s a c
v e c t i g a l e s , all’antica condizione di tributarie:
qui enim magis Zmyrnaei Lampsacenique Graeci sunt quam Neapolitani et
Regini et Tarentini, a quibus stipendium, a quibus naves ex foedere exigitis?
Cur Syracusas atque in alias Siciliae Graecas urbes praetorem quotannis
cum imperio et virgis et securibus mittitis? Nihil aliud profecto dicatis quam
armis superatis vos iis has leges imposuisse. Eandem de Zmyrna, Lampsaco
civitatibusque quae Ioniae aut Aeolidis sunt causam ab Antiocho accipite.
Bello superatas a maioribus et s t i p e n d i a r i a s a c v e c t i g a l e s factas
in antiquum ius repetit 71.
Al termine della guerra con Antioco (189 a.C.), conclusasi con la vittoria dei
Romani, giunsero nell’Urbe le ambascerie di diverse popolazioni dell’Asia, tra cui
quella del re Eumene sopra menzionata; in tale occasione il senato decise di man-
70
Liv. 34.57.10. Sugli avvenimenti di quegli anni vd. john 2002. Per una trattazione delle città
stipendiarie d’Asia vd. il pur datato, ma ancora utile aCCame 1946, 28-45.
71
Liv. 35.16.3-6. Canto 1996, 223 ritiene, sulla base di un confronto con l’affermazione di Liv.
35.46.10 (secondo cui nessuna città greca era sottoposta ai Romani foedere iniquo) che il foedus di
cui si parla a proposito di Napoli, Reggio e Taranto sia stato aequus e non iniquus; la studiosa ne
deduce che, nel mezzo secolo intercorso tra la seconda guerra punica e la sottomissione definitiva
della Grecia (ma va osservato che i trattati tra Roma e le tre città della penisola italiana dovevano
essere stati stipulati molto prima, a meno che non si pensi ad un improbabile rinnovo), il concetto
di stipendium si andò ampliando e da contribuzione forzosa passò ad indicare anche quella nata da
“un tratado de amistad entre iguales, lo que supone una aportación casi voluntaria”. Il paragone non
mi sembra, tuttavia, valido se si considera la differenza sostanziale tra la situazione di Napoli, Reggio e Taranto, annesse al dominio romano, e quella delle città greche che, nel periodo cui si riferisce il passo di Livio, erano ancora libere. Sul concetto di foedera aequa e iniqua cfr. toynbee 1965,
261-263; in merito al pagamento dello stipendium da parte dei socii navales vd. ilari 1974, 105-112.
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
47
dare dieci legati a dirimere le controversie e rese nota la sorte delle città della penisola anatolica: il territorio appartenuto al re Antioco sarebbe stato diviso tra i
Rodii ed Eumene; le città che erano state s t i p e n d i a r i a e di Attalo avrebbero
dovuto pagare il tributo (vectigal) ad Eumene, mentre quelle già v e c t i g a l e s di
Antioco sarebbero divenute liberae atque immunes:
ceterae civitates Asiae, quae Attali s t i p e n d i a r i a e fuissent, eaedem
vectigal Eumeni penderent; quae v e c t i g a l e s Antiochi fuissent, eae
liberae atque immunes essent 72.
Nel libro seguente Livio narra come queste disposizioni furono messe in atto
nel 188 a.C. dai dieci legati, che introdussero come elemento discriminante il
principio della fedeltà alla causa romana: alle città stipendiariae del re Antioco
che avevano appoggiato il popolo romano fu concessa l’immunità, mentre a quelle schieratesi dalla parte di Antioco o stipendiariae del re Attalo venne imposto il
pagamento del tributo (vectigal) ad Eumene:
civitatium autem cognitis causis decem legati aliam aliarum fecerunt
condicionem. Quae s t i p e n d i a r i a e regi Antiocho fuerant et cum
populo Romano senserant, iis immunitatem dederunt; quae partium
Antiochi fuerant aut s t i p e n d i a r i a e Attali regis, eas omnes v e c t i g a l
pendere Eumeni iusserunt 73.
Anche in questi due casi la condizione di tributario e quella di libero e immune sono contrapposte tra loro, ma i termini stipendiarius e vectigalis sembrano essere usati nel testo di Livio indifferentemente, alla stregua di sinonimi; quest’interpretazione viene confermata da un confronto con la terminologia polibiana in
riferimento agli stessi eventi: le città tributarie, distinte da Livio in stipendiariae
o vectigales, sono infatti nelle Storie polibiane definite sempre come “città che
pagavano il φόροϛ”. Non doveva, dunque, trattarsi di contribuzioni di natura diversa; è, invece, probabile che il termine stipendiarius sia stato qui impiegato per
indicare una condizione tributaria diversa da quelle in uso nel mondo romano74.
72
Liv. 37.55.6; il brano pare essere l’esatto corrispettivo di Pol. 21.24.7-8, dove però il corrispondente di stipendiariae e di vectigales è “città che pagavano il ϕόρος” e l’espressione è resa mediante
l’uso di verbi diversi: … τῶν (δὲ) πόλεων τῶν Ἑλληνίδων ὅσαι μὲν Ἀττάλῳ ϕόρον ὑπετέλουν, ταύτας
τὸν αὐτὸν Εὐμένει τελεῖν, ὅσαι δ΄ Ἀντιόχῳ, μόνον ταύταις ἀϕεῖσθαι τὸν ϕόρον. Cfr. anche App. Syr.
231. Sul passo vd. sChmitt 1957, 83; Cimma 1976, 130 n. 62; hopp 1977, 49; john 2002, 282-283.
73
Liv. 38.39.7-8; cfr. il corrispondente passo di Pol. 21.46.2-4, in cui viene usato anche il termine σύνταξις come equivalente di ϕόρος: ὅσαι μὲν τῶν αὐτονόμων πόλεων πρότερον ὑπετέλουν
Ἀντιόχῳ ϕόρον, τότε δὲ διεϕύλαξαν τὴν πρὸς ‘Ρωμαίους πίστιν, ταύτας μὲν ἀπέλυσαν τῶν ϕόρων·
ὅσαι δ’ Ἀττάλῳ σύνταξιν ἐτέλουν, ταύταις ἐπέταξαν τὸν αὐτὸν Εὐμένει διδόναι ϕόρον. Εἰ δέ τινες
ἀποστᾶσαι τῆς ‘Ρωμαίων ϕιλίας ’Αντιόχῳ συνεπολέμουν, ταύτας ἐκέλευσαν Εὐμένει διδόναι τοὺς
Ἀντιόχῳ διατεταγμένους ϕόρους… will 1967, 191-192; hopp 1977, 54 n. 112; walbank 1996
(1992), 246-247. Sulla condizione politica delle singole città costiere dell’Asia minore dopo il 188
a.C. vd. lo studio, non recente ma ancora valido, di bikerman 1937; cfr. anche sChmitt 1964, 278-295.
74
ÑaCo del hoyo 2003b, 35-46. È indicativo il fatto che, nel caso della Macedonia e dell’Illirico, Livio parli di imposizione da parte di Roma di un tributo corrispondente alla metà di quello
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2.3. Stipendiarius = sottomesso e soggetto a tributo
Un terzo significato, più ristretto, indicava la condizione di “soggetto a tributo”, che era verosimilmente fisso: in base al contesto si può talvolta stabilire se
l’imposta sia stata versata in natura o in moneta.
Nella Pro Balbo, la cui stesura risale al 56 a.C., Cicerone si sofferma ad elencare la tipologia di persone che potevano ricevere la cittadinanza romana, ossia
schiavi, nemici e stipendiarii d’Africa, di Sicilia, Sardegna e altre province:
nam s t i p e n d i a r i o s ex Africa, Sicilia, Sardinia, ceteris provinciis multos
civitate donatos videmus 75.
L’espressione, che non stupisce in riferimento all’Africa e alla Sardegna, ha
suscitato non poche perplessità per quanto concerne la Sicilia: se per stipendiarii
si intendono coloro i quali erano soggetti al pagamento di un tributo in moneta di
importo fisso, lo stipendium, non si può non riscontrare un’incongruenza con la
situazione siciliana fino a Verre, quando è indubbia l’esistenza delle decime che
rappresentavano senza dubbio la parte più cospicua degli esborsi fiscali. L’incongruenza appare più evidente nel confronto con un altro passo della stessa orazione:
Afris, Sardis, Hispanis agris stipendioque multatis76;
i Siciliani sono stati qui “sostituiti” con gli Hispani. Esclusa l’ipotesi che tale “sostituzione” sia dovuta a una svista dell’oratore o a una necessità di variatio, occorre approfondirne le motivazioni.
Secondo Pinzone, Pompeo Magno, durante la cura annonae a lui affidata, sarebbe intervenuto sul sistema tributario siciliano non cancellando le decime ma concentrando l’attenzione di Roma sull’aderazione “in misura fissa” del frumentum
emptum, che aveva il vantaggio di poter “dare un gettito frumentario superiore a
quello del variabile frumento decumano”; lo stipendium siciliano non sarebbe altro che “il risultato di una regolare aderazione del frumentum emptum”. L’uso del
termine stipendiarii in riferimento alla Sicilia nel passo di Cicerone, scritto peraltro all’indomani della cura annonae pompeiana, potrebbe essere un indizio
dell’“azione innovativa” portata avanti da Pompeo nell’isola77.
Lo studioso, tuttavia, era portato ad interpretare così il passo di Cicerone al fine di ricostruire le origini di quella sostituzione dei prelievi cerealicoli con il versamento di imposte in denaro che a diversi studiosi, a partire da Marquardt, è parsa
versato ai re, ma che i termini impiegati variino: et dimidium tributi, quam quod regibus ferre soliti
erant, populo Romano pendere (Liv. 45.18.7); vectigal dimidium eius, quod regi pependissent,
inpositum (Liv. 45.26.14); tributum dimidium eius, quod pependissent regibus, pendere populo
Romano (Liv. 45.29.4). ferrary 20142, 179-180 n. 194.
75
Cic. Balb. 9.24.
76
Cic. Balb. 18.41.
77
pinzone 1999 (1990), 199-206.
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
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caratterizzare la storia fiscale della Sicilia imperiale78. Tale teoria, a sua volta,
si basava sia sul cosiddetto “silenzio delle fonti” sia sull’impiego del termine
stipendiarii nell’opera pliniana79. Com’è stato altrove dimostrato e come si è ribadito in questa sede80, tuttavia, il termine stipendiarii non era usato nell’opera di
Plinio per indicare quanti erano soggetti al pagamento dello stipendium rispetto a
coloro che non lo erano, ma serviva piuttosto a distinguere le popolazioni che godevano di una condizione istituzionale meno favorevole da quelle privilegiate.
È, dunque, più opportuno cercare altrove la spiegazione della supposta incongruenza ciceroniana. Il termine stipendiarii attribuito ai Siciliani potrebbe
riferirsi alle spese dovute per il mantenimento della flotta, che, grazie a un passo delle Verrine, sappiamo sostenute dalle città dell’isola in epoca repubblicana:
tra queste spese vi era anche lo stipendium, e ciò potrebbe indurre ad includere a buon diritto i Siciliani tra gli stipendiarii; mi sembra, tuttavia, poco probabile che, in un contesto così generico, l’oratore pensasse ad un caso specifico e
a un’imposta che incideva solo marginalmente sull’intero ammontare dei contributi81.
Ritengo, invece, più verosimile che si tratti di due diverse realtà poste a confronto: da un lato la condizione dei popoli soggetti al pagamento dello stipendium,
dall’altra quella degli stipendiarii, ossia delle popolazioni sottomesse dal punto di vista politico e tributario, ma che non necessariamente dovevano versare lo
stipendium, una tassa in denaro. Anche in questo caso, dunque, il termine appare
essere impiegato nella sua ampia accezione di significato82.
Stipendiarius ricorre anche in tre brani del De bello Gallico, la cui stesura si
fa risalire agli anni 52-51 a.C.
Difficile precisare a quale tipologia, se al versamento in natura o a quello in
moneta, faccia riferimento Cesare col termine stipendiarii; è molto probabile che
il vocabolo vada qui tradotto, come nella maggioranza dei casi qui esaminati, col
più generico “tributari”.
Nel primo di questi passi Cesare riferisce che, al termine della guerra contro
gli Elvezi, diverse tribù galliche lo ringraziarono di essere state liberate dai soprusi di un popolo che aveva lasciato la patria per impadronirsi delle terre più fertili
e per rendere tributarie (stipendiariae) le altre città:
78
soraCi 2011, X-XI e, soprattutto, 99-115; supra, § 2.1.1, in partic. n. 30.
soraCi 2011, 115-130.
80
soraCi 2016b; vd. supra, § 2.1.1.
81
Verr. 2.5.24.60-61: Sumptum omnem in classem frumento stipendio ceterisque rebus suo
quaeque navarcho civitas semper dare solebat. Erat hoc, ut dico, factitatum semper, nec solum in
Sicilia sed in omnibus provinciis, etiam in sociorum et Latinorum stipendio ac sumptu, tum cum
illorum auxiliis uti solebamus. Sul passo, vd. ilari 1974, 110-111; niColet 1978, 10-11.
82
Tale interpretazione non sarebbe, del resto, nuova, se si considera che il luzzatto 1985, 50,
senza peraltro fare riferimento al passo della Pro Balbo, affermava: “trentaquattro sono poi le civitates
stipendiariae: assoggettate cioè al tributo tipico per la Sicilia, la decima”. Vd. anche genovese 1993,
239; lo stesso pinzone 1999 (1990), 200 non esclude quest’ipotesi.
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propterea quod eo consilio florentissimis rebus domos suas Helvetii
reliquissent, uti toti Galliae bellum inferrent imperio que potirentur
locum que domicilio ex magna copia deligerent, quem ex omni Gallia
op<p>ortunissimum ac fructuosissimum iudicassent, reliquasque civitates
s t i p e n d i a r i a s haberent 83.
Il secondo passo concerne le trattative tra Cesare e Ariovisto, re dei Germani,
ed in particolare la risposta data da quest’ultimo per giustificare il suo operato.
Gli Edui avevano mosso guerra ai Germani, erano stati battuti e perciò resi tributari, stipendiarii:
Haeduos sibi, quoniam belli fortunam temptassent et armis congressi ac
superati essent, s t i p e n d i a r i o s esse factos84;
in quanto tali dovevano pagare lo stipendium che per diritto di guerra i vincitori
usano imporre ai vinti:
stipendium capere iure belli, quod victores victis imponere consuerint 85.
Nel terzo viene illustrata una complessa situazione diplomatica: Vercingetorige aveva stretto d’assedio Gorgòbina, città appartenente a quei Boi che Cesare
aveva posto sotto il controllo degli Edui 86. Il futuro dittatore aveva dunque due
possibilità: o portare aiuto agli assediati ma esporsi al pericolo dei rigori invernali con le conseguenti difficoltà nel trasporto dei vettovagliamenti, o non intervenire in soccorso di un popolo tributario (stipendiarii) degli Edui e perciò prestare
il fianco ad una possibile rivolta:
Magnam haec res Caesari difficultatem ad consilium capiendum adferebat,
si reliquam partem hiemis uno loco legiones contineret, ne s t i p e n d i a r i i s
Haeduorum expugnatis cuncta Gallia deficeret, quod nullum amicis in eo
praesidium videret positum esse; si maturius ex hibernis educeret, ne ab re
frumentaria duris subvectionibus laboraret 87.
Il termine stipendiarius appare connesso col versamento dello stipendium in particolare nel secondo di questi passi. Non si hanno certezze, tuttavia, in merito al fat83
Caes. Gall. 1.30.3. Sui rapporti tra Cesare e gli Elvezi vd. best, isaaC 1977 (lo studioso ritiene a p. 14 che Plinio avrebbe inteso includere gli Elvezi tra gli stipendiarii, sebbene il termine non
sia presente a tale proposito in Plin. nat. 4.17.106); fisCher 1985.
84
Caes. Gall. 1.36.3.
85
Caes. Gall. 1.44.2. boren 1983, 430-431.
86
Cfr. Caes. Gall. 7.9.6 (adtribuerat).
87
Caes. Gall. 7.10.1. In merito all’adtributio (sulla quale in generale vd. bertrand 1991,
in partic. 145-147 e 157) dei Boi agli Edui vd. sordi 1953, 114; laffi 1966, 45-46, che definisce
l’attributio in questione una forma di “aggregazione, attuata su decisione discrezionale dello stato
romano, di una comunità o di una circoscrizione territoriale ad un’altra comunità o circoscrizione
territoriale, rispetto alla quale l’aggregata viene a trovarsi in uno stato di soggezione politica e finanziaria”; zeCChini 1994a, 416-418, con opportune precisazioni sui legami tra popoli indicati dai
termini stipendiarii e adtributi.
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
51
to che lo stipendium versato da una popolazione barbarica ad un’altra sia lo stesso
di quello imposto dai Romani ai popoli loro soggetti e sia dunque pagato in moneta. Cesare, infatti, utilizza i due vocaboli sempre in riferimento a rapporti di subordinazione tra barbari: è possibile che egli, come Livio, abbia impiegato un termine latino familiare ai suoi contemporanei per descrivere particolari forme di
subordinazione in uso in Gallia, forse non del tutto equivalenti a quelle romane88.
Cesare non parla di stipendium versato dai barbari ai propri connazionali ma,
al contrario, afferma esplicitamente che il popolo romano non aveva ridotto a
provincia il territorio degli Arverni e dei Ruteni, vinti grazie a Q. Fabio Massimo
(121 a.C.), né aveva imposto loro lo stipendium89. Altre fonti narrano, invece, che
alcuni generali romani non si erano astenuti dall’esigerne il pagamento: il governatore M. Fonteio lo richiese nella Transalpina per sostenere la guerra contro Sertorio e analogamente fece Metello nel corso dello stesso conflitto90. Secondo Velleio Patercolo e Svetonio, sarà proprio Cesare ad imporre in Gallia il regolare
pagamento dello stipendium, mentre Beda affermerà che sia i Galli che i Germani,
come anche gli abitanti della Britannia, erano stati resi stipendiarii da Cesare91:
Caesar Germanos et Gallos capit, et Brittanos quoque, quibus ante eum
ne nomen quidem Romanorum cognitum fuerat, victos obsidibus acceptis
s t i p e n d i a r i o s fecit 92.
88
Sul pagamento dello stipendium ad Ariovisto da parte di alcune popolazioni galliche cfr. anche 1.36.5, 1.44.4-5, 1.45.3; vd. anche 7.54.3; sullo stipendium versato da una popolazione gallica
in favore di un’altra, cfr. 5.27.2. Cfr. franCe 2001a, 213 n. 35. La qualifica di stipendiarii attribuita ai Boi nei confronti degli Edui induce, inoltre, laffi 1966, 46 a ritenere che nell’erario degli
Edui sia stato “convogliato per concessione di Cesare l’intero ammontare dello stipendium a cui
la civitas dei Boi, bello victa, era stata assoggettata all’atto della deditio formale al governo romano”.
Ma, secondo lo stesso studioso, il termine adtributio avrebbe perso il suo significato specifico in
quest’area “non ancora permeata dagli elementi peculiari della civiltà romana” (p. 47); non ritengo, dunque, improbabile che una sorte analoga sia toccata anche al termine stipendiarii. Vd. anche
ÑaCo del hoyo 2003d, 56, secondo cui il termine viene impiegato in Cesare per dare maggiore importanza ad una generica sottomissione politica piuttosto che ad una dipendenza fiscale.
89
Caes. Gall. 1.45.2. In Gall. 8.49.3 Irzio afferma che Cesare, allo scadere del suo secondo mandato di proconsole, non impose alla Gallia nessun nuovo tributo: nulla onera nova iniungendo.
90
Cic. Font. 6.13: magnas pecunias ad eorum stipendium, maximum frumenti numerum ad
Hispaniense bellum tolerandum imperavit; Sall. epist. Pomp. 9: Gallia superiore anno Metelli
exercitum stipendio frumentoque aluit et nunc malis fructibus ipsa vix agitat. Su questi passi si vd.,
rispettivamente, franCe 2001a, 231 e boren 1983, 458 n. 93.
91
Vell. 2.39.1: eius ductu auspiciisque infractae paene idem quod totus terrarum orbis ignauum
conferunt stipendium (ed. Hellegouarc’h; Shipley leggeva in aerarium conferunt stipendium); sul passo
si vd. l’interessante commento di franCe 2001b, 365 n. 32, secondo cui alla lettura paene sarebbe più
logico preferire quella delle varianti plene o plane: alla Gallia sarebbe stato imposto dopo la conquista il pagamento di un tributo analogo a quello del resto del mondo. Suet. Iul. 25.2: omnem Galliam…
praeter socias ac bene meritas civitates in provinciae formam redegit, eique CCCC in singulos annos
stipendii nomine inposuit. Cfr. anche Dio 40.43.3 e Eutr. 6.17.5: Galliae autem tributi nomine annuum
imperavit sestertium quadringenties. Si vd. franCe 2005, 65. ÑaCo del hoyo 2007, 225 ritiene invece
che neanche all’epoca di Cesare si possa parlare di regolare tassazione riguardante la Gallia.
92
Beda de temp. ratione 66.253 (SL 123 B).
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52
Cristina Soraci
Il Bellum Africum, scritto dopo il 46 a.C., fornisce un’interessante notizia:
Cesare, che aveva stabilito l’accampamento nei pressi di Ruspina, dopo aver mandato in Sardegna e nelle restanti province limitrofe lettere con cui chiedeva l’invio di truppe ausiliarie, rifornimento e frumento, partì alla ricerca di vettovagliamenti nelle fattorie vicine. Nonostante li avesse trovati, si rese conto di non
poter far affidamento sul solo frumento africano; infatti, l’anno precedente, a causa delle operazioni di leva degli avversari, gli aratori stipendiarii erano stati arruolati come soldati e non si era potuto procedere ad effettuare le operazioni di
raccolta:
priore anno enim propter adversariorum dilectus, quod s t i p e n d i a r i i
aratores milites essent facti, messem non esse factam 93.
Il vocabolo potrebbe essere inteso stricto sensu e indicare provinciali soggetti ad una specifica categoria di tributo; le interpretazioni al riguardo possono
essere due: gli stipendiarii aratores d’Africa dovevano versare in natura il loro
tributo a Roma o, pur coltivando grano, erano soggetti al pagamento in moneta. Anche in questo passo, comunque, sarebbe a mio avviso preferibile intendere il termine in senso generico, traducendo l’espressione con «gli aratori sottomessi»94.
Nel 206 a.C., in piena seconda guerra punica, Publio Scipione (non ancora fregiato dell’appellativo di Africano) si trovava in Spagna con le sue truppe; alla notizia del malcontento manifestato dai soldati per il ritardo della paga egli ritenne
conveniente agire con moderazione e mandare gli esattori in giro per le città stipendiarie, rendendo così imminente la speranza di ottenere il soldo:
leniter agi placuit et missis circa s t i p e n d i a r i a s civitates exactoribus
stipendii spem propinquam facere 95.
Questo è l’unico caso, tra la documentazione in nostro possesso, in cui il termine stipendiarius (qua riferito a città) sia posto in stretta ed immediata connessione con la parola stipendium, intesa come paga per i soldati. Secondo Richardson,
in tale contesto le città stipendiarie sarebbero quelle comunità alle quali i Romani
richiesero lo stipendium in modo occasionale come avevano fatto con le popolazioni italiche durante le guerre del quarto secolo; Aguilar Guillén e Ñaco del
Hoyo precisano che l’attribuzione a queste comunità indigene dell’appellativo di stipendiariae civitates “respondería a una calificación de tipo excluyente,
tratándose de comunidades militarmente bajo la órbita romana aunque no dotadas
93
Bell. Afr. 20.4. La notizia della scarsità di frumento è confermata da Plut. Caes. 52.6: ἦν γἦν
γὰρ οὔτε σῖτοϛ τοῖϛ ἀνδράσιν ἄφθονοϛ.
94
Cfr. Cristofori 1995, 89; secondo ÑaCo del hoyo 2005, 371 n. 35, il termine avrebbe un’accezione estremamente negativa e indicherebbe la condizione sfavorevole cui fu sottoposta la popolazione punica una volta incorporata nell’impero.
95
Liv. 28.25.9.
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
53
de un estatuto jurídico propiamente otorgado por Roma”; l’espressione potrebbe,
anche in questo caso, essere tradotta con «città sottomesse»96.
Per quanto concerne la Sardegna, Livio riferisce che una ribellione dei Sardi
fu domata nel 177 dal proconsole Tiberio Sempronio che uccise quindicimila nemici e riportò tutte le popolazioni ribelli sotto il potere di Roma; a coloro che erano già stipendiarii fu imposto, e poi esatto, un tributo doppio, mentre gli altri fornirono frumento:
s t i p e n d i a r i i s veteribus duplex vectigal imperatum exactumque; ceteri
frumentum contulerunt 97.
Tale passo farebbe, dunque, propendere per l’identificazione del vectigal con
un tributo forse in natura, più probabilmente in moneta (potrebbe essersi trattato
del risarcimento delle spese per la guerra sostenuta?), ma comunque diverso dal
frumento. Ñaco del Hoyo ritiene che il brano liviano vada interpretato sottintendendo il termine stipendiarii dopo ceteri e dunque attribuendo la qualifica di
stipendiarii anche alle popolazioni soggette al versamento di frumento; secondo
lo studioso, infatti, la Sardegna non sarebbe stata sottoposta nel II sec. a.C. ad una
tassazione regolare ma solo al pagamento di indennità di guerra: gli stipendiarii
veteres sarebbero, quindi, coloro che si erano ribellati nel 215 e che dovevano
versare l’indennità di guerra “at least for a fixed period of time”, mentre “the corn
producing towns, under Roman protection but still stipendiarii, were probably
asked to contribute in corn occasionally” 98.
In realtà, allo stato attuale della documentazione, appare difficile stabilire se i
tributi pagati dalle popolazioni di Spagna e Sardegna siano stati versati regolarmente o occasionalmente, come indennità di guerra; è probabile, tuttavia, che quelle ispaniche fossero soggette ad un’imposta occasionale e che i Sardi, almeno
quanti abitavano nelle città costiere, fornissero quantitativi cerealicoli regolari alla stregua delle comunità siciliane99. In ogni caso, neppure tale brano può essere ad-
96
aguilar guillén, ÑaCo del hoyo 1995, 282-283. Cfr. riChardson 1976, 148; id. 1986, 57-58;
erdkamp 1998, 95; vd. anche ÑaCo del hoyo 2003d, 54 e n. 145; Cadiou 2008, cap. 7 e n. 102. Sembra piuttosto propendere per un’esazione regolare dello stipendium van nostrand 1937, 127.
97
Liv. 41.17.2.
98
ÑaCo del hoyo 2003c, 535-540. Totalmente diversa l’interpretazione tradizionale, sostenuta
per esempio da meloni 1975, 94-99 e 127, secondo cui la Sardegna avrebbe versato a Roma, sin
dall’epoca della conquista, le decime e lo stipendium; ne deriva un differente commento del passo di
Livio sopra citato: “è probabile che nei primi (gli stipendiarii veteres, n.d.r.) si debbano vedere i vecchi proprietari sardo-punici ai quali erano state restituite, in possesso, le loro terre dietro il pagamento di un canone d’affitto; il fatto che esso venisse raddoppiato li esonerava dall’eccezionale contribuzione in frumento imposta a quanti godevano, ad altro titolo, delle terre sarde, ed erano già soggetti al
pagamento della decima”. La rilettura di Meloni appare rifarsi alla teoria “patrimonialista” su cui
vd. franCe 2005, 66-68. Sulla rivolta del 215 vd. zuCCa 1986, 363-387; su quella del 177 vd. id. 1988,
in partic. 355-356.
99
jones 1971, 529 n. 61; questa tesi è sostenuta adesso anche da Andoni Llamazares Martín, col
quale ho avuto modo di discutere in più di un’occasione di questi argomenti e che, durante il dotto-
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Cristina Soraci
dotto come prova dell’automatica e costante equivalenza del termine stipendiarii
con gli individui soggetti al pagamento di un solo tipo di tributo, da identificare
con lo stipendium.
Informazioni interessanti ma poco precise ci vengono da Velleio Patercolo, il
quale, nel ripercorrere la storia di Roma, elenca le province che via via entrarono
a far parte dell’impero:
haud absurdum videtur propositi operis regulae paucis percurrere quae
cuiusque ductu gens ac natio redacta in formulam provinciae s t i p e n d i a r i a
facta sit 100;
tra queste, la Syria, la Spagna, l’Egitto, la Cappadocia e la Germania, sono da
lui ricordate come stipendiarie:
Syria s t i p e n d i a r i a (…);
Hispaniae (…) universa (…) facta s t i p e n d i a r i a est (…);
paene idem facta Aegypto s t i p e n d i a r i a , quantum pater eius Galliis (…);
Cappadocia s t i p e n d i a r i a (…);
Germania sic perdomuit eam ut in formam paene s t i p e n d i a r i a e
redigeret provinciae (…)101.
Velleio non avrà di certo inteso riferirsi né principalmente, né tantomeno
esclusivamente a contribuzioni di tipo monetario, giacché, com’è noto, l’Egitto
era tenuto soprattutto alla fornitura di grano. Stipendiarius, del resto, appare usato dall’autore indifferentemente al posto di tributarius, che ricorre ad esempio in
riferimento alla condizione dell’Asia; nella sua opera i due termini sembrano limitarsi ad attestare l’esistenza di una forma di subordinazione al dominio romano senza assumere alcun significato specifico102.
Analogo generico significato riveste verosimilmente il vocabolo nell’Epitome
di Floro, dove la Spagna viene definita stipendiaria in seguito alla sconfitta dei
Cartaginesi ad opera di Scipione:
igitur quasi novam integram que provinciam ultor patris et patrui Scipio
ille mox Africanus invasit, isque statim capta Carthagine et aliis urbibus,
rato di ricerca svolto in co-tutela tra l’Universidad del País Vasco e l’Université Paris 1 PanthéonSorbonne, ha studiato la politica fiscale romana in Sicilia e Sardegna in età repubblicana; i risultati
delle sue indagini saranno pubblicati nei prossimi mesi.
100
Vell. 2.38.1.
101
Vd., rispettivamente: Vell. 2.37.5, 2.38.4, 2.39.2, 2.39.3, 2.97.4. In effetti, paene idem quod
totus terrarum orbis ignavum conferunt stipendium (2.39.1). Si noti come l’avverbio paene venga
più volte ripetuto: per la Gallia e per l’Egitto, le cui situazioni sono paragonate a quelle di altre province con le quali condividono la quasi identità del tributo; nel caso della Germania, invece, che solo
in parte poteva dirsi soggetta a tributo, l’avverbio paene è riferito allo stesso termine stipendiaria,
ossia alla condizione di sottomissione politica ed economica che non era ancora del tutto compiuta.
102
Vell. 2.38.5 (Asia tributaria). In tal senso vd. anche grelle 1963, 17-18 e ÑaCo del hoyo
2003d, 55.
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
55
non contentus Poenos expulisse, s t i p e n d i a r i a m nobis provinciam
fecit 103.
Meno immediata appare l’interpretazione di un passo degli Annales di Tacito;
lo storico si sofferma a ricordare i nomi di coloro che durante il regno di Tiberio
vennero condannati a morte per motivi politici non meno che per interessi economici, giacché l’imperatore non esitò ad appropriarsi dei loro beni. Tra i condannati
del 24 d.C. vi era Gaio Silio, legato della Germania Superiore e inviso a Tiberio
anche perché amico di Germanico; resosi colpevole di concussione durante il suo
mandato, ma non punibile in assenza di esplicite segnalazioni dei provinciali, venne accusato di lesa maestà e gli fu confiscata una parte del patrimonio al fine di
recuperare i beni a lui assegnati da Augusto:
nec dubie repetundarum criminibus haerebant, sed cuncta quaestione
maiestatis exercita (…) Saevitum tamen in bona, non ut s t i p e n d i a r i i s
pecuniae redderentur, quorum nemo repetebat, sed liberalitas Augusti
avulsa, computatis singillatim quae fisco petebantur104.
A parte la chiara connessione tra il termine stipendiarii, riferito alle popolazioni germaniche, e il denaro che Silio avrebbe loro estorto, non è possibile precisare
l’effettiva natura dell’imposta normalmente pagata da questi provinciali, che potevano essere detti stipendiarii sia lato sensu, per il fatto stesso di essere tributari di
Roma, sia stricto sensu, perché soggetti al pagamento dello stipendium105.
Altrettanto incerto il significato che il vocabolo stipendiarius riveste in un passo di Svetonio, secondo cui un certo Masintham, reso stipendiarius dai sovrani
numidici, venne difeso da Cesare di cui era cliente:
Masintham nobilem iuvenem, cum adversus Hiempsalem regem tam
enixe defendisset, ut Iubae regis filio in altercatione barbam invaserit,
s t i p e n d i a r i u m quoque pronuntiatum et abstrahentibus statim eripuit
occultavit que apud se diu et mox ex praetura proficiscens in Hispaniam
inter officia prosequentium fasces que lictorum lectica sua avexit 106.
Il termine potrebbe essere stato in uso in un regno filoromano come quello di Numidia per indicare gli individui soggetti al pagamento di un tributo
(lo stipendium?), ma è più probabile che Svetonio, come Cesare e Livio, abbia
utilizzato un vocabolo latino, che doveva avere assunto una valenza semantica
molto ampia, per indicare una particolare forma di subordinazione personale ed
economica107.
103
Flor. epit. 1.33.7. Vd. ÑaCo del hoyo 1999, 333 n. 35; id. 2005, 378; Cadiou 2008, cap. 7 n. 93.
Tac. ann. 4.19.4-20.1.
105
Sul caso di Silio vd. gaudemet 1953, 120 n. 31; bauman 1974, 116-117; hennig 1975, 47-52;
spagnuolo vigorita 1978, 142 n. 53.
106
Suet. Iul. 71.1.
107
Vd. bibliografia in Cristofori 1995, 103 n. 103.
104
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56
Cristina Soraci
Un analogo generico significato avrà avuto nelle Epitome delle storie filippiche di Pompeo Trogo scritte da Giustino; l’autore menziona i re sottomessi al potere di Filippo II, non diversamente da quanto fece Livio nel trattare della situazione delle città d’Asia108:
Sed nec suis, qui apti regno videbantur, pepercit, ne qua materia seditionis
procul se agente in Macedonia remaneret et reges s t i p e n d i a r i o s
conspectioris ingenii ad commilitium se cum trahit, segniores ad tutelam
regni relinquit 109.
Molto interessante la menzione che ne fa Tertulliano all’interno dell’opera
De fuga. Tertulliano, che, essendo di origine africana, doveva conoscere meglio
di altri la peculiare condizione degli stipendiarii110, ricordava che, per aumentare
le entrate dell’erario, il potere secolare ricorreva a svariati remedia, tra cui i censimenti sulle proprietà e le imposte di varia natura (vectigalia, stipendia), ma che
i cristiani non erano stati soggetti al versamento di imposte per ottenere il permesso di professare la loro fede, altrimenti sarebbero stati una «setta stipendiaria»; era,
invece, un altro il denario che essi dovevano pagare all’imperatore, un denarius
tributarius, ossia quello dovuto da quanti erano soggetti a tributo e non dagli uomini liberi:
aspice regnorum et imperiorum utique a deo dispositum statum, in cuius
manu cor regis: tanta cotidie aerario augendo prospiciuntur remedia
censuum, vectigalium, collationum, stipendiorum nec umquam tamen usque
adhuc ex Christianis tale aliquid prospectum est sub aliqua redemptione
capitis et sectae redigendis, cum tantae multitudinis nemini ignotae fructus
ingens meti posset; sanguine empti, sanguine numerati nullum nummum
pro capite debemus, quia caput nostrum Christus est: non decet Christum
pecunia constare. Quomodo et martyria fieri possent in gloriam domini, si
tributo licentiam sectae compensaremus? Itaque qui eam praemio paciscitur,
dispositioni divinae adversatur. Cum igitur nihil nobis Caesar indixerit in
hunc modum s t i p e n d i a r i a e sectae (…). Alius denarius, quem Caesari
debeo, qui ad eum pertinet, de quo tunc agebatur, tributarius, tributariis
scilicet, non a liberis debitus 111.
La sottomissione appare essere la principale caratteristica che accomuna gli
stipendiarii e i tributari; il primo termine è riportato in associazione con la parola «setta», ad indicare una minoranza ben definita, il secondo indica piuttosto
l’insieme dei contribuenti dell’impero che facevano uso delle monete coniate
dall’imperatore112, con le quali erano tenuti a pagare le tasse.
108
109
110
111
112
Cfr. infra, § 2.2.2.
Iustin. 11.5.2-3.
Cfr. § 3.
Tert. fug. 12.
Cfr. Mt. 22.21; Mc. 12.17; Lc. 20.25.
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
57
I due termini si trovano accostati anche nei Commentarii in evangelium
Matthaei scritti da Girolamo; in essi si afferma che in epoca augustea la Giudea
venne resa stipendiaria di Roma e costretta a pagare tributa:
nuper sub Caesare Augusto Iudea subiecta Romanis, quando in toto orbe
est celebrata descriptio, s t i p e n d i a r i a facta fuerat, et erat in populo
magna seditio, dicentibus aliis pro securitate et quiete qua Romani pro
omnibus militarent debere tributa persolvi…113
Il «celebre» censimento di cui si parla è naturalmente quello ricordato all’inizio del capitolo secondo del Vangelo lucano114. Poco prima lo stesso Girolamo
aveva affermato che dopo Augusto la Giudea era stata resa tributaria:
post Augustum Caesarem Iudea facta tributaria et omnes censi capite
ferebantur 115.
Come altrove, dunque, anche in questo caso i due termini sono impiegati come
sinonimi per indicare genericamente la sottomissione tributaria di una provincia.
Secondo il Liber de Caesaribus di Aurelio Vittore, all’epoca dei tetrarchi sarebbero stati oggetto di premurosa e sollecita attenzione, allo scopo di conciliarne
il più possibile le contrastanti esigenze, sia l’organizzazione annonaria di Roma,
basata sulle imposte dei contribuenti, sia il benessere dei contribuenti stessi, definiti stipendiarii:
simul annona urbis ac s t i p e n d i a r i o r u m salus anxie solliciteque
habita 116.
Nell’uso che del vocabolo fanno altri autori dei secoli IV-V d.C. la sottomissione politica e quella economica sono inscindibilmente legate: nel Breviarium di
Eutropio si afferma che i Britanni divennero stipendiarii ad opera di Cesare e
nell’Epitome de Caesaribus i Pannoni annessi all’impero da Augusto sono definiti, appunto, stipendiarii117.
113
Hier. in Matth. 3.22.15: «Da poco sottomessa ai Romani, quando in tutto il mondo avvenne
il noto censimento, la Giudea era stata soggetta a tributo e vi era nel popolo una grande agitazione,
poiché alcuni sostenevano che si dovevano pagare i tributi per la sicurezza e la pace garantita dai
Romani nell’interesse di tutti…», mentre i Farisei, al contrario, sostenevano che il popolo di Dio
non dovesse obbedire a leggi umane.
114
Lc. 2.1.
115
Hier. in Matth. 3.17.24.
116
Aur. Vict. Caes. 39.45; vera 2005, 256; speidel 2009, 489-490 n. 13.
117
Eutr. 6.17 (Britanni); Ps. Aur. Vict. epit. 1.7 (Pannoni). In riferimento a questi ultimi, harmatta
1972, basandosi sulla distinzione tra tributarii e stipendiarii presente nel celebre passo di Gaio
(Inst. 2.21, per una spiegazione della quale vd. infra, § 4.1) e riconoscendo nei primi coloro che pagavano imposte dirette sulle terre di proprietà dell’imperatore, avanza diverse ipotesi: 1) Aurelio
Vittore avrebbe usato il termine in senso generico, 2) lo avrebbe riferito al periodo repubblicano o
3) nel IV secolo i termini stipendiarius e tributarius sarebbero stati percepiti come sinonimi.
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58
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Stipendiarius assume, invece, un significato decisamente figurato nel De obitu Valentiniani di Ambrogio; lamentando la perdita dell’imperatore, il vescovo di
Milano invita tutti a versare lacrime in memoria del defunto, lacrime doverose
come i tributi giacché Valentiniano stesso pagò all’impero il tributo della sua
morte:
solvamus bono principi s t i p e n d i a r i a s lacrimas, quia ille nobis solvit
etima morte sua stipendium 118.
Un uso analogo del termine si riscontra in uno dei Sermones di Agostino, risalente al 391 d.C. Qui stipendiarius è impiegato in contrapposizione ad altri, non
per indicare le differenze tra popoli o città di diversa condizione, bensì tra individui
che mantengono un rapporto diverso tra loro e nei confronti di Dio; da un lato, vi
sono i soldati che militano al servizio di Cristo, impersonati dai sarcedoti e dai diaconi, e dall’altro gli stipendiari di una provincia, rappresentati dal popolo di Dio:
Sed si hoc dispensatores verbi dei et ministri sacramentorum eius, milites
Christi; quanto magis caetera s t i p e n d i a r i a multitudo, et quaedam
provincia magni regis? 119
Come chiarisce altrove lo stesso vescovo d’Ippona, infatti, i sacerdoti, discendenti degli apostoli,
tamquam milites Christi stipendium debitum acciperent, sicut a provincialibus
Christi 120.
Analogo significato riveste il termine nel Contra Faustum (397-398 d.C.):
sed huic militiae christianae propter quoddam quasi commercium caritatis
subiungitur etiam quaedam s t i p e n d i a r i a multitudo, cui dicetur in fine:
esurivi et dedisti mihi manducare et cetera 121.
In questo brano la stipendiaria multitudo, che dava da mangiare agli affamati,
è contrapposta alla militia christiana, costituita da quanti hanno rinunziato ai propri averi per seguire Dio; vi è, dunque, la stessa distinzione tra una cerchia più ristretta e una più ampia di cristiani cui allude il succitato Sermone 351122, ma vi è
anche il riferimento agli stipendiari che danno da mangiare agli affamati presente, come si vedrà a breve, in una delle Enarrationes in psalmos.
Ambr. obit. Valent. 2; sulle circostanze misteriose che portarono alla morte di Valentiniano II
vd. Croke 1976, che ritiene plausibile l’ipotesi di suicidio; Ambrogio sostiene la versione secondo
cui il giovane imperatore sarebbe morto per difendere l’impero: paredi 1941, 425-427 e, soprattutto,
paredi 1985, 284-286.
119
Aug. serm. 351.3.5.
120
Aug. in evang. Ioh. 122.3.
121
Aug. c.Faust. 5.9.
122
Aug. serm. 351.3.5.
118
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II. Significati del termine stipendiarius nelle fonti letterarie
59
Anche nell’opera De catechizandis rudibus (399-400 d.C.) viene mantenuta la
distinzione tra soldati di leva e stipendiari provinciali, che sotengono economicamente i primi dai quali sono protetti:
ita illos tamquam milites, illos autem tamquam s t i p e n d i a r i o s provinciales
apostolica doctrina constituit 123.
Lo stesso può dirsi di un brano, risalente al 412 d.C., delle Enarrationes in
psalmos agostiniane; il vescovo di Ippona compiange quanti tra i cittadini provinciali avevano fatto parte del popolo di Dio come una sorta di contribuenti, perché
avevano fornito viveri agli affamati, ma che poi si erano perduti perché, durante
le persecuzioni, avevano rinnegato la fede:
item multi qui se sperabant ad dexteram futuros, in plebe sancta
s t i p e n d i a r i a tamquam provinciales, qui annonam militibus praebent,
quibus dici habet: esurivi, et dedistis mihi manducare (ad dexteram enim
erunt multi); et de ipsa spe ceciderunt 124.
Significato figurato, ma più generico, riveste l’espressione stipendiarii ecclesiae,
impiegata da Agostino nelle Adnotationes in Iob (399 d.C.)
Si super me umquam terra gemuit: s t i p e n d i a r i i ecclesiae, quod malus
sum 125.
Il termine, dunque, viene utilizzato nell’opera di Agostino – il quale, da africano, doveva ben conoscerne la peculiare valenza – con un significato comprendente la sottomissione personale e tributaria.
2.4. Stipendiarius = soldato mercenario
Un’ultima accezione di significato, molto ristretta, è quella di soldato mercenario, che si trova attestata per la prima volta nel Bellum Africum, risalente alla
seconda metà del I sec. a.C., e che, per quel che è dato rilevare, fu impiegata fino
al V sec. d.C. Il termine veniva in questi casi normalmente usato come sostantivo126.
È difficile stabilire se tale significato sia stato introdotto solo in un secondo
momento o se abbia radici più antiche, ma il fatto che sia usato raramente e solo
in testi risalenti alla tarda Repubblica o all’età imperiale farebbe propendere per
un’introduzione tardiva e non troppo diffusa.
Le fonti epigrafiche hanno restituito finora una sola testimonianza in tal senso127.
123
124
125
126
127
Aug. catech. rud. 23.43.
Aug. in psalm. 90.2.2.
Aug. in Iob 31.
Bell. Afr. 43.1; Liv. 8.8.3; Flor. epit. 2.8.8; Tac. ann. 4.73; Leo M. serm. 69.3. Vd. OLD p. 1821.
TitAq. 2, 806= Aé 2010, 1328, su cui cfr. § 3.
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Iii. le fonti epigrafiChe e gli stipendiarii d’afriCa
Il termine stipendiarius ricorre anche in alcune epigrafi, il cui contenuto verrà
analizzato adesso in dettaglio.
Solo in una di esse, risalente alla seconda metà del I sec. d.C. (fig. 2), il termine è attestato con il significato di mercenario; ritrovata ad Aquincum, l’odierna
Budapest, nella Pannonia Inferior, essa riporta le seguenti parole:
sti[pendi(orum)] XVII h(ic) s(itus) e(st) / Fronto s t i p a n d i ( a r i u s )
(sic!) / et Felix libertus / t(itulum) m(emoriae) p(osuerunt) 1.
Qui è sepolto…, che ha militato per diciassette anni. Posero la lapide in
memoria Frontone, mercenario, e Felice, liberto.
Fig. 2: Epigrafe fatta erigere da Fronto stipendiarius e Felix libertus
1
TitAq. 2, 806= Aé 2010, 1328. Su stipendiarius nel significato di «mercenario» cfr. § 2.4.
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62
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3.1. La Lex agraria epigraphica
La Lex agraria epigraphica, concordemente datata al 111 a.C., è, com’è noto,
un documento di eccezionale importanza per la conoscenza di molteplici aspetti
legati alla classificazione degli agri italici e africani nella tarda età repubblicana e
alla distinzione tra le diverse categorie di coloro che li occupavano a vario titolo.
Tale lex, il cui testo è stato ricostruito anche dal Mommsen in un’edizione che ha
profondamente influenzato i lavori successivi2, ha attirato ancora in tempi relativamente recenti l’attenzione degli studiosi, alcuni dei quali ne hanno presentato
nuove edizioni3 o hanno offerto originali interpretazioni di alcuni punti più controversi4.
In questa sede si intende focalizzare l’attenzione sulle integrazioni di due linee della lex, comunemente accettate ma che appaiono non perfettamente soddisfacenti dal punto di vista storico.
Si riporta qui di seguito il testo, che è giunto in diversi punti molto lacunoso
(fig. 3)5.
L. 77: II]vir, quei ex h(ac) l(ege) factus creatsue erit, is in diebus (centum
quinquaginta) proxsumeis, quibus factus creatusue erit, facito, quan[tum
Xuirei, quei ex] lege Liuia factei createiue sunt fueruntue, eis hominibus
agrum in Africa dederunt adsignaueru[ntu]e, quos s t i p e n d i u m
l. 78: […]i Romanei esse oportet oportebitue, is s t i p e n d i a r i e i ‹ s › det
adsignetue…
l. 80: […] ex‹t›ra‹que› eum agrum, quei ager ex h(ac) l(ege) priuatus
factus erit, quo pro agro loco ager locus redditus commutatusue [non erit,
extr]a≥que eum agrum locum, quem IIuir ex h(ac) l(ege) s t i p e n d i a r i e i s
dederit adsignaueritue, quod eius ex h(ac) l(ege) in ‹f›o//rmam publicam
rellatum…
L. 77: Il duoviro, che sarà nominato e creato secondo questo statuto, egli,
nei centocinquanta giorni che seguiranno la data in cui sarà nominato e
creato, farà in modo, quanta terra in Africa i decemviri che sono e furono
nominati e creati secondo la legge Livia, diedero o assegnarono a coloro i
quali lo stipendium
2
mommsen 1905a.
Se si prescinde dalla più datata, ma esplicitamente dedicata allo studio del documento epigrafico in oggetto, monografia di johannsen 1971, negli ultimi trent’anni hanno visto la luce i lavori di
lintott 1992 e Crawford 1996, che, rispettivamente alle pagine 176-285 e 113-180, hanno proposto due edizioni dell’iscrizione.
4
Relativamente alla “sezione” africana della lex, che interessa in questa sede: de ligt 2001,
182-217; peyras 2014 e id. 2015a e b. Limitatamente alle questioni qui discusse sono da segnalare
anche le recenti monografie di saCChi 2006 e Chouquer 2016. Tale lex rivestì un ruolo fondamentale nella “provincializzazione” dell’Africa: quinn 2002, 1601.
5
CIL 1.585 = FIRA I, 8. Nel testo viene seguita l’edizione di Crawford 1996.
3
Copia autore
III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
63
l. 78: […] romano è e sarà necessario che sia, egli darà e assegnerà agli stipendiari…
l. 80: a parte quella terra, la quale terra sarà resa privata secondo questa
legge, in cambio della cui terra o terreno non sarà restituita o data in cambio
una terra o un terreno, e a parte quella terra o terreno che un duoviro avrà dato
e assegnato agli stipendiari secondo questo statuto, ciò che secondo questo
statuto sarà registrato in forma pubblica…
Fig. 3: Lex agraria epigraphica, ll. 76-80 (frg. Da+b+c+F; tra Da e F manca il frammento E, andato
perduto). In evidenza, le parole stipendium della l. 77 e stipendiariei della l. 78
Si è scelto di riportare le integrazioni delle lacune di poche lettere, ma non di
quelle più estese, come, ad esempio, la lacuna che dà inizio alla l. 78, integrata dal
Mommsen nel modo seguente:
[pro eo agro populo Romano pendere oportet, sei quid eius agri ex hac lege
ceiuis Romanei esse oportet oportebitue, …… de agro, quei publicus populi
Romanei in Africa est, tantundem, quantum de agro stipendiario ex h.l.
ceiuis]
Così facendo, tuttavia, il Mommsen aveva introdotto un binomio, ager stipendiarius, che compare in una sola fonte di età imperiale, peraltro corrotta in più
punti (quella dello Pseudo-Agennio; negli stessi testi giuridici sono menzionati i
fundi o i praedia stipendiari, mai gli agri)6: tale integrazione appare, dunque, non
sufficientemente motivata in riferimento alle terre di età repubblicana. Nonostante nelle ultime edizioni della lex i due termini non siano inclusi nelle integrazioni
del passo7, questo binomio sembra godere ancora di una discreta fortuna: è possibile ritrovarlo, tra l’altro, in due recenti monografie dedicate alla lex agraria del
6
Ps. Agenn. grom. 23; vd. infra, § 5.1. Alcuni studiosi hanno ripreso l’integrazione mommseniana senza riserve: vd., ad es., kaser 19672, 95 e 118 e luzzatto 1985, 91, che parla ancora, in riferimento alla lex agraria, di ager stipendiarius. Anche rostowzew 1910b, 341 accetta l’integrazione mommseniana relativa alla menzione di agri stipendiarii, ritenendo che “stipendium hängt in
Afrika am Boden”: vd. infra, § 3.4, n. 62.
7
lintott 1992, 196: [pro eo agro populo Romano pendere oportuit, … tantundem modum agri de
eo agro, quei ager in Africa est, quantum ex lege Livia stipendiarieis popul]i Romanei; Crawford
1996, 121: [pro eo agro populo Romano pendere oportet, --- uteique --- tantundem modum agri de
eo agro, quei ager in Africa est, quantum stipendiariorum popule]i Romanei; peyras 2015, 129
(e 99-100): [pro eo agro populo Romano pendere oportet, utei, quod eius agri loci ceiuis Romanei
publice emit, id eius ceiuis Romanei siet; tantundemque modum agri, de eo agro quei publicus
populi Romanei in Africa est, quantum (modum) de agro stipendiariis dato adsignato ex h(ac) l(ege)
ceiuis] Romanei.
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64
Cristina Soraci
111 a.C.8 Una maggiore attenzione all’evoluzione storica della terminologia gromatica e fiscale, che nel passaggio dalla Repubblica all’Impero muta profondamente, avrebbe probabilmente evitato il reiterarsi di anacronismi che, in assenza
di ulteriori riscontri, risultano non giustificati.
Una seconda integrazione mommseniana non appare pienamente convincente
alla luce di quanto più volte osservato nel presente lavoro; si tratta della proposizione pro eo agro populo Romano pendere oportet (o, secondo Lintott, oportuit),
accolta da quasi tutti gli editori della lex. È opportuno precisare sin da subito che
una significativa eccezione è rappresentata dall’integrazione proposta, ormai quasi
due secoli fa, da Rudorff e che, come si vedrà, è perfettamente corrispondente a
quella offerta in questa sede9.
Ammettendo l’integrazione stipendium [pro eo agro populo Romano pendere
oportet, l’interpretazione del testo è la seguente: i decemviri, nominati secondo la
legge Livia (146 a.C.), concessero o assegnarono un campo in Africa ad individui,
gli stipendiariei appunto, i quali dovevano pagare una tassa fissa al popolo romano
per quel campo: stipendium [pro eo agro populo Romano pendere oportet; i duoviri, nominati secondo questa lex agraria, avrebbero dovuto esaminare le operazioni
di assegnazione per porre rimedio alle appropriazioni indebite eventualmente verificatesi nel periodo graccano e per garantire che la categoria degli stipendiarii
disponesse di un congruo numero di terre, equivalente a quello in precedenza fissato dalla legge Livia10.
Secondo l’interpretazione tradizionale, dunque, all’atto di costituzione della provincia, gli Africani si videro sottratti alcuni agri, i quali venivano dati o adsignati a
cittadini romani o ai loro alleati (sia che fossero abitanti di città della provincia, sia
che si trattasse degli eredi di Massinissa) o ai disertori, mentre altri furono loro concessi dietro pagamento di un’imposta di tipo fondiario (stipendium [pro eo agro)
che doveva essere corrisposta in moneta o in natura11.
8
saCChi 2006, 445; Chouquer 2016, 174-180.
rudorff 1839, 182-183.
10
La bibliografia sul punto è pletorica; in questa sede si citeranno solamente: rostowzew
1910a, col. 156; broughton 1929, 18; haywood 1938, 4-5, il quale ritiene che gli stipendiari siano i nativi arresisi ai Romani nel corso della guerra, mentre quanti rimasero leali a Cartagine fino
alla fine sarebbero stati venduti in schiavitù; saumagne 1963, 58-59; piCard 1969, 4; saCChi 2006,
474-478; peyras 2014, 194-195; cfr. peyras 2015a, 276-277; Chouquer 2016, 164-165 e 174-180.
A detta di romanelli 1959, 47, i precedenti possessori, “Puni o Libi che fossero”, dei campi dichiarati proprietà del popolo romano dopo la conquista poterono mantenerne il possesso, “ma furono
soggetti al pagamento di un tributo, stipendium (o vectigal), donde il loro appellativo di stipendiarii:
non sappiamo se tale stipendium fosse pagato in natura o in denaro”. Un’ipotesi simile è avanzata da peyras 2015, 44 (vd. anche p. 68): “le stipendium est un impôt que paie directement à l’état
l’individu qui s’est vu octroyer par le vainqueur une terre dont il avait pu être auparavant propriétaire”;
lo studioso ritiene che gli stipendiarii non ne mantennero in nessun modo il possesso: “la position
inférieure du stipendiaire explique qu’il ne soit pas question de lui restituer la terre qui a été vendue
publiquement à un citoyen romain” (p. 129 n. 1).
11
Per l’ipotesi dello stipendium quale tassa sui terreni vd. muÑiz Coello 1986, 324 e 328-329,
a detta del quale, con l’avvento del Principato, l’antico stipendium della penisola iberica sarebbe
9
Copia autore
III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
65
Che la menzione dello stipendium nella Lex agraria epigraphica sia un hapax
nell’epigrafia repubblicana e un unicum semantico per questo periodo, giacché,
diversamente da quanto avviene negli altri casi, appare indicare una contribuzione
regolare e permanente, è già stato messo sufficientemente in rilievo12.
Tuttavia, dal testo della lex risulta chiaramente che il termine stipendiariei è
usato in riferimento ai possessori e non ai fondi e che ad essere soggetti all’imposizione dello stipendium non furono le città o le comunità13, ma i singoli individui14: come osserva Lo Cascio, “nulla vieta di supporre che questo stato di cose
fosse determinato in parte dalle modalità di conquista, in parte dalla circostanza
che il territorio degli stipendiarii doveva essere scarsamente urbanizzato alla fine
divenuto un tributum soli; niColet 1988, 121, che annovera lo stipendium tra le imposte fondiarie;
genovese 1993, 176 n. 7, secondo cui la lex agraria attesterebbe per l’Africa “l’esistenza di soggetti tenuti al pagamento di uno stipendium (detti anche stipendiarii) in relazione allo sfruttamento di
terreno agricolo”; goukowsky 2001, 223 n. 530, per il quale lo stipendium africano sarebbe un
“tribut foncier annuel”, distinto dalla “capitation qui frappe les habitants”; ÑaCo del hoyo 2003d,
28-29, 52, 112-114 e id. 2005, 371-372, che, sempre a proposito del caso africano, parla di “stipendium
sobre las tierras” ma che ritiene sia stato versato in natura; aounallah 2010, 19-27 – basandosi su
desanges 1991, 629, secondo cui “les anciens propriétaires indigènes se virent en général reconnu
un droit d’usage, moyennant le versement d’un tribut foncier annuel (stipendium), auquel s’ajoutait
une capitation” – ritiene lo stipendium una “impôt foncier”, distinta da quella di capitazione. Cfr.
anche ÑaCo del hoyo 2019, 80, che, sempre a proposito del caso africano, parla di “stipendium
usually understood as a land tax”.
12
ÑaCo del hoyo 2003d, 48 n. 117 e 112; id. 2005, 372; franCe 2007b, 342.
13
Come a più riprese ha ribadito Luzzatto, che, pur non mettendo in discussione le integrazioni mommseniane (cfr. supra, § 3.1 n. 6), pensava ad un’imposizione gravante sulle comunità: “è
chiaro che tale concezione, configurando lo stipendium come un contributo dovuto dalla comunità
soggetta, implica che questo grava sulla comunità come tale, anziché direttamente sul suolo” (luzzatto 1953, 83-87 e 94 n. 59); “ci troviamo anche in questo caso in presenza di un’imposizione gravante su una comunità anziché direttamente sul fondo” (luzzatto 1985, 91, che attribuisce la particolarità di questa imposizione gravante sulle comunità e non sul suolo alla peculiare divisione del
territorio in agri per extremitatem mensura comprehensi; cfr. anche prieto-arCiniega 1996, 225);
lo studioso attribuiva all’acquisizione dell’Egitto il merito di aver contribuito ad inculcare nella
mentalità dei conquistatori la concezione di un tributo gravante direttamente sul suolo, manifestazione del dominio che il popolo romano ha sul suolo provinciale (sul quale e sui precedenti che ne
avrebbero ispirato la formulazione vd. l’ampia disamina del problema presentata da bleiCken 1974,
359-414): cfr. anche luzzatto 1973, 852; id. 1974, 30-31 e n. 85, che parla di “riferimento, nel testo
epigrafico, della qualifica di stipendiari sia a città che a singoli individui”. L’ipotesi dello stipendium
gravante sulle comunità è stata recentemente ripresa da sears 2011, 34, secondo cui gli stipendiarii
sarebbero «tributary communities».
14
weber 1891, 187: “Während wir sonst durchaus regelmässig von stipendiären G e m e i n d e n
hören, ergibt der Wortlaut des Gesetzes deutlich, dass es sich um solche nicht handelt, sondern um
den Grundbesitz stipendiärer P e r s o n e n ” . A detta di Weber gli stipendiarii sarebbero stati grandi proprietari terrieri, subentrati nei confronti dello stato romano al posto delle comunità, cui veniva assegnata un’area “gegen Uebernahme einer bestimmten dauernden Leistung in Geld oder
Naturalien”, che lo studioso ritiene sia stata versata “in Afrika wohl in Getreide” (weber 1891, 187-188).
Anche rostowzew 1910b, 341 ritiene che la tassa sull’ager stipendiarius fosse una “Naturalsteuer”.
Ma ritengo che sia più corretto operare una distinzione tra i vari tipi di imposte riscontrabili nella
provincia d’Africa e sulle quali ritornerò a breve. In merito alla soggezione allo stipendium che ri-
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Cristina Soraci
del II sec. a.C.” Allo stipendium, dunque, potevano essere soggetti singoli individui laddove mancassero appropriate strutture cittadine in grado di fungere da entità amministrative e finanziarie di riferimento per lo stato romano; non è un caso
che due epigrafi databili al secolo successivo presentino gli stipendiarii come appartenenti ai pagi, indizio, questo, di un tentativo di attribuzione ad un’entità amministrativa, seppur fittizia15.
L’imposizione dello stipendium era, del resto, nettamente distinta dalla confisca dei terreni16, ma citata insieme a quest’ultima tra le punizioni inferte in seguito alle sconfitte militari.
Un frammento di Catone, riportato dal grammatico Carisio, testimonia che nel
corso delle due guerre puniche le punizioni inflitte ai vinti furono diversificate e
precisamente:
alteras s t i p e n d i o a g r i q u e p a r t e m u l t a t i , alteras oppidum vi
captum, alteras primo pedatu et secundo.
In alcuni casi furono puniti con l’obbligo di versare lo stipendio e con la
confisca di una parte dei campi, in altri con la conquista del centro abitato,
in altri ancora con un primo e un secondo attacco17.
Il brano trova un significativo riscontro in altri due passi, il primo di Cicerone, il secondo di Cesare:
Si Afris, si Sardis, si Hispanis a g r i s s t i p e n d i o q u e m u l t a t i s virtute
adipisci licet civitatem…18
Se agli Africani, se ai Sardi, se agli Ispani, che sono stati puniti con la
confisca dei campi e con l’obbligo di versare lo stipendio, è lecito ottenere
la cittadinanza…
Cesare, dal canto suo, ricorda agli Edui le umiliazioni che avevano dovuto subire ad opera dei loro nemici e, per contro, la prosperità di cui avevano goduto
grazie al suo intervento:
guardava i singoli individui vd. anche de martino 1965, 786 (si noti, tuttavia, che questo Autore
successivamente non ha escluso, anche in riferimento all’Africa, l’equivalenza dello stipendium
con il tributo fondiario: de martino 19732, 343-344); romanelli 1974, 176, secondo cui “nella legge si parla di stipendiarii non di civitates stipendiariae, appunto perché le città come tali non avevano più nessun riconoscimento giuridico” (cfr. già mommsen 1905a, 121, a detta del quale i centri
che inizialmente avevano parteggiato per i Cartaginesi e che in un secondo momento erano passati
dalla parte dei Romani non avevano subito distruzioni, ma avevano perso i diritti sul suolo e lo statuto di città); ÑaCo del hoyo 2003d, 113.
15
CIL 1.2513 e 8.68, per le quali vd. infra, § 3.2 e 3.3. lo CasCio 1986, 34 n. 11. Che la terra
coltivata dagli stipendiarii dovesse essere, comunque, misurata ritiene johannsen 1971, 372 n. 635.
16
Come anche dai prelievi cerealicoli: vd. supra, § 1.1.
17
Cato orig. fr. 136. Alteras è qui usato come forma avverbiale: vine 12010, 32-133. Per il significato, controverso, da attribuire all’espressione primo pedatu et secundo, cfr. adams 2007, 208-210.
18
Cic. Balb. 18.41 (56 a.C.), per cui vd. supra, § 2.3 n. 76.
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III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
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Discedentibus his breviter sua in Aeduos merita exposuit, quos et quam
humiles accepisset, compulsos in oppida, m u l t a t o s a g r i s omnibus
ereptis copiis, i m p o s i t o s t i p e n d i o , obsidibus summa cum contumelia
extortis, et quam in fortunam quamque in amplitudinem deduxisset, ut non
solum in pristinum statum redissent, sed omnium temporum dignitatem et
gratiam antecessisse viderentur.
A loro che si allontavano illustrò brevemente i suoi meriti nei confronti degli
Edui: chi erano e quanto erano deboli quando li aveva accolti sotto la sua
protezione, spinti a chiudersi nei centri abitati, con i campi confiscati, privi di
tutte le truppe, obbligati a pagare lo stipendio e a consegnare ostaggi con il
massimo disonore, e a quanta prosperità e potenza li aveva condotti, al punto
che non solo recuperarono il precedente stato, ma sembrarono oltrepassare la
dignità e il prestigio di ogni tempo19.
Alcuni studiosi hanno pensato che lo stipendium africano, imposto in epoca
repubblicana, fosse un tributo di capitazione: in tal senso si sono espressi Jones e
Neesen, quest’ultimo in particolare riferendosi ad un passo dei Libyca appianei,
secondo cui i Romani φόρον ὥρισαν ἐπὶ τῇ γῇ καὶ ἐπὶ τοῖϛ σώμασιν, ἀνδρὶ καὶ
γυναικὶ ὁμοίωϛ, e ad una frase tratta dall’apologia di Tertulliano: agri tributo
onusti viliores, hominum capita stipendio censa ignobiliora, nam hae sunt notae
captivitatis, che conferma la connotazione estremamente negativa attribuita all’imposizione dello stipendium20.
Anche Hinrichs ritiene che gli stipendiarii, ossia i Cartaginesi e i loro alleati,
entrambi impiegati come coltivatori, fossero costretti a pagare un’alta imposta di
capitazione (“eine hohe Kopfsteuer”); inoltre, a detta dello studioso, vi sarebbe
stata la possibilità, almeno nei primi anni nei quali la terra eccezionalmente fertile di Cartagine era ancora in grado di sopportare una dura pressione fiscale, “von
den Besiegten ein weit hoheres stipendium einzutreiben, als es sich in der Form
eines vectigal von römischen Pächtern erheben liess”. Col passare del tempo alcuni stipendiarii non avrebbero più sopportato le condizioni loro imposte e avrebbero cercato di sottrarvisi, abbandonando le terre; quest’ultime sarebbero state,
quindi, momentaneamente assegnate agli appaltatori romani dietro pagamento di
un’imposta di quotità e, successivamente, vendute21.
Se è possibile ritenere solo in via ipotetica che Appiano abbia inteso riferirsi,
con la parola φόροϛ, al tributo chiamato stipendium dai Romani, dal passo di Appiano, a mio avviso, non sembra potersi evincere che si trattasse di due imposte
19
Caes. Gall. 7.54.3, in riferimento alla situazione degli Edui sotto il dominio dei Germani: cfr.
supra, § 2.3 n. 88.
20
App. Lib. 641; Tert. apol. 13.5-6 (cfr. già Id. nat. 1.10); jones 1971, 529 (“stipendium probably
then must have meant poll tax, perhaps rent of land”) e id. 1974, 162; neesen 1980, 118. Per
haywood 1938, 4-5, invece, lo stipendium sarebbe l’imposta sulle terre pubbliche concesse loro per
lo sfruttamento, distinta, quindi, dalla tassa di capitazione. Sulla connotazione negativa attribuita alle
terre soggette a tributo, vd. marotta 2017b, 218-224.
21
hinriChs 1966, 288 e 297.
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Cristina Soraci
diverse, una sulla terra e l’altra sulle persone, ma di un’unica tassa che teneva in
considerazione i due elementi, calcolata essenzialmente sulla base della proprietà terriera, la principale fonte di ricchezza esistente e computabile in quel particolare contesto storico-politico e socio-economico.
Tale interpretazione non è, del resto, affatto nuova: già nel 1839 Rudorff aveva affermato che gli stipendiarii “zahlten eine fixirte Grund- und Kopfsteuer”22;
più espliciti Arnold, a detta del quale lo stipendium “cannot be described as a
regular tributum soli and a regular tributum capitis, but… was as far as possible
adapted to the pre-existing state of finance in the country” 23, e Whittaker, per il
quale “it is wholly consistent with a part-sedentary, part-migratory population that
tax should have been levied on both property and heads”24. Recentemente, anche Chouquer ha condiviso questa linea interpretativa: “le stipendium peut alors
prendre l’aspect d’un double impôt, personnel et réel (foncier)”25.
Lo stipendium africano era, dunque, un’imposta di capitazione o no? Se riferito al periodo immediatamente successivo alla conquista della provincia, un simile quesito è, con tutta probabilità, anacronistico, giacché le stesse categorie di
tributum soli e di tributum capitis risalgono all’epoca imperiale e non sono comunque riferibili ad un territorio appena conquistato, devastato dalla guerra, poco urbanizzato già in precedenza e amministrabile perciò, almeno agli inizi, secondo
modalità del tutto estranee al modello romano, che dal canto suo andava costituendosi in quegli anni26. In tale contesto, appare verosimile che, come afferma Appiano, anche le donne non siano state esentate dal pagare l’imposta, a maggior ragione nel periodo immediatamente successivo alla conclusione della guerra, quando
la popolazione maschile doveva essersi numericamente ridotta27.
Si ritiene, quindi, più corretto integrare la lacuna che dà inizio alla l. 78 evitando un esplicito riferimento agli agri: eliminando l’integrazione pro eo agro si intende il testo nel senso che agli stipendiarii, i quali versavano lo stipendium per
diritto di guerra (iure belli)28 e non per la coltivazione di un campo specifico, furono concessi alcuni terreni.
22
rudorff 1839, 94.
arnold 19143, 200; vd. anche p. 199: “both land and persons paid stipendium… At any rate
the main part of the stipendium came from the land: though here again it cannot be supposed that
immediately a province was established a regular tributum soli was set on food”; a proposito del
tributum capitis: “we may look upon such a poll-tax as a temporary expedient, employed for instance
just after a devastating war, when any ordinary tax on property would be impracticable”.
24
whittaker 1978, 339-340.
25
Chouquer 2016, 175.
26
franCe 2007b, 333 e 347-349.
27
A proposito del passo di Appiano, whittaker 1978, 340 n. 5 cita hinriChs 1966, 297 per asserire che, secondo quest’ultimo studioso, una tassa di capitazione sulle donne sarebbe stata impossibile. Ma lo studioso tedesco afferma, a quel proposito, esattamente il contrario: stipendiarii sarebbe stato “der Name der besiegten Karthager, ihnen allen, ob sie Männer, Frauen oder Kinder waren,
wurde eine hohe Kopfsteuer auferlegt”.
28
Caes. Gall. 1.44.2: stipendium capere iure belli, quod victores victis imponere consuerint.
23
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III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
69
In ogni caso, qualunque sia la reale natura dello stipendium menzionato dalla
lex agraria in riferimento all’Africa, per la sua determinazione si rendevano
necessarie preliminari operazioni di censo, che potrebbero essersi basate sulle
professiones dei singoli contribuenti già all’indomani della conquista della provincia29.
Dal prosieguo della lex risulta che tre erano i tipi di imposte gravanti sui terreni africani: il vectigal, la decuma e la scriptura (ll. 82 ss.)30. Se la scriptura si
configurava come tributo, certamente fisso e in moneta, da versare per la destinazione al pascolo degli agri, il vectigal e la decuma dovevano indicare due tipi di
imposte diverse tra loro, l’una (la decuma) in natura e per quote di prodotto, l’altra (il vectigal) differente dalla prima o perché in moneta o perché dall’ammontare non variabile o per entrambe le ragioni. Ritengo possibile considerare il vectigal
“africano” menzionato dalla lex agraria un’imposta in natura, ma dall’ammontare non variabile31 in considerazione dell’indicativa corrispondenza tra questo testo e il già citato passo tratto dalle Verrine:
Inter Siciliam ceterasque provincias, iudices, in agrorum vectigalium
ratione hoc interest, quod ceteris aut impositum vectigal est certum, quod
stipendiarium dicitur, ut Hispanis et plerisque Poenorum quasi victoriae
praemium ac poena belli, aut censoria locatio constituta est, ut Asiae lege
Sempronia: Siciliae civitates sic in amicitiam fidemque accepimus ut eodem
iure essent quo fuissent, eadem condicione populo Romano parerent qua
suis antea paruissent.
29
Sulle operazioni di censo in epoca imperiale, affidate alle comunità attraverso i membri delle curie e delle boulài che si servivano di intermediari amministrativi e di notabili responsabili, vd.
lo CasCio 1991, 144-152 e id. 1999; franCe 2003.
30
rostowzew 1910a, col. 156 legge, alle linee 78 e ss., vectigal decumae invece di vectigal decumas. Secondo marquardt 18812, 196, “allerdings muss man, wenn in einer stipendiären Provinz
eine decuma erwähnt wird, sich zunächst erinnern, dass es in diesen Provinzen Domainen gab, und
dass z.B. in der stipendiären Provinz Africa von dem ager publicus eine decuma durch publicani
erhoben wurde (…). Allein es ist unzweifelhaft, dass auch die Stipendiarii Getreide, und zwar einen
Zehnten, lieferten”.
31
Per la contrapposizione tra stipendium (= pagamento in contanti) e vectigal (= pagamento in
natura) vd. l’OLD, s.v. stipendium, p. 1821. Ma tale contrapposizione non può essere generalizzata
(cfr., infatti, le giuste perplessità di franCe 2007b, 340 n. 36) perché, se è vero che lo stipendium
doveva essere sempre versato in moneta (vd. supra, § 2.2.1 n. 67; contra, cfr. quanto afferma,
pur dubitativamente, rostowzew 1910a, col. 156 in relazione all’Africa in epoca repubblicana e
virlouvet 2003, 74 n. 2 in riferimento alla Spagna – ma la testimonianza di Liv. 43.2.12 citata dalla studiosa non menziona affatto lo stipendium), lo stesso non può dirsi per il vectigal, che, come ha
osservato opportunamente Ørsted 1992, 815, “is normally taken to denote part of a produce paid as
tax to the Roman people, whether this took the form of cereals, olives, gold, iron or silver”, al punto che morelli 2019, 14 lo definisce “la forma più ingente di entrata monetaria su base fiscale”; sul
significato originario del termine vectigal vd. milazzo 1993, 33-40. A maggior ragione, come osserva lo CasCio 1986, 33-34 n. 11, la decuma non può essere “la medesima cosa dello stipendium
menzionato poco prima”.
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70
Cristina Soraci
Tra la Sicilia e le altre province, o giudici, vi è questa distinzione per quanto
riguarda i campi soggetti ad imposte, che nelle altre o è stato stabilito un
tributo fisso, che viene detto stipendiario, come agli Hispani e alla maggior
parte dei Punici in quanto premio per la nostra vittoria e punizione per la
guerra (mossa contro di noi), oppure è stato introdotto l’appalto da parte dei
censori, come in Asia in forza della legge Sempronia: (invece) le città della
Sicilia le abbiamo accolte in amicizia e fiducia affinché rimanessero con le
stessi leggi che avevano prima e fossero sottoposte al popolo romano alle
stesse condizioni alle quali erano soggette prima ai loro connazionali32.
Mentre la quasi totalità delle città siciliane era soggetta al pagamento di un’imposta in natura e per quote di prodotto, la decima, gli Hispani e la maggior parte dei
Punici erano tenuti a versare un tributo fisso, un vectigal certum detto stipendiarium
proprio perché si configurava come poena belli33, ma che, se è corretta l’interpretazione avanzata in questa sede34, era comunque un’imposta non monetaria.
Si propone, dunque, di ritenere che il vectigal certum, quod stipendiarium dicitur del passo ciceroniano non sia, come hanno da sempre ritenuto i più, l’equivalente dello stipendium imposto agli stipendiarii35 africani (e non), menzionato,
tra l’altro, anche nella lex agraria del 111 a.C., bensì del vectigal sui campi ricordato nella stessa lex.
Lo stipendium africano doveva essere, quindi, un tributo fisso e in moneta,
gravante sugli stipendiarii, ossia sulla popolazione locale, composta in buona parte dai Cartaginesi, e calcolato in una certa misura in proporzione alle terre da coltivare; esso era distinto:
● dalla scriptura, anch’essa tassa fissa e in moneta, ma applicabile sui terreni soggetti a pascolo;
● dalla decuma, imposta di quotità esatta in natura;
● dal uectigal, tributo in natura, ma che in questo caso potrebbe essere stato
certum, ossia dall’ammontare non variabile.
Se, dunque, lo stipendium non era propriamente una tassa sui terreni36, ma
un’imposta di tipo personale calcolata sulla base della proprietà terriera, occorre
integrare diversamente il testo mancante.
32
Cic. Verr. 2.3.6.12. Vd. supra, § 2.2.1.
Sull’accezione di significato, alquanto negativa, che aveva finito per assumere lo stipendium
(inteso come imposta) e il suo derivato stipendiarius, vd. in partic. ÑaCo del hoyo 2003d, 50-56;
franCe 2001b, 363-364; id. 2006, 12-13; id. 2007, 344-347 e 349-352.
34
Cfr. supra, § 2.2.1.
35
Tuttavia, come osserva ÑaCo del hoyo 2003d, 52, “no parece que fueran calificados como
stipendiarii tan sólo por el hecho objetivo de que estaban obligados a pagar ese stipendium, sino que
esa exigencia formaba parte de su misma condición jurídica como una población sujeta, sumetida a
la voluntad de los magistratos provinciales y del senado”.
36
Si aggiunga qui, per inciso, che, da una ricerca condotta sulla banca dati on line EDCS
(Epigraphik-Datenbank Clauss / Slaby, http://www.manfredclauss.de/it/index.html), la quale, com’è
noto, pur essendo incompleta, comprende (alla data dell’11 settembre 2020) una raccolta di 521.969
33
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III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
71
Poiché nella stessa lex non compare mai il verbo pendere (la cui associazione
con stipendium era, tuttavia, un’espressione tecnica)37 e che, sia nel caso della pequnia, della scriptura e del vectigal menzionati alla l. 19, sia nel caso del vectigal, della decuma e della scriptura menzionati, tra l’altro, alla l. 82, il verbo usato è dare38, si propone di integrare diversamente la prima parte della lacuna posta
all’inizio della l. 78 e di intendere che gli stipendiarii erano coloro quos stipendium [populo Romano dare oportet, riprendendo, dunque, in tal modo la lettura
proposta già quasi due secoli fa da Rudorff.
3.2. Gli stipendiarii dei pagi Muxsi Gususi Zeugei
All’ultimo secolo della Repubblica risale l’iscrizione dedicata dagli stipendiarii di alcuni pagi africani a Q. Numerius Q. f. Rufus, questore della provincia intorno al 60 a.C. (fig. 4)39. È stata ritrovata ad Utica, ossia nella città sede dello
stesso magistrato provinciale. Eccone il testo:
Q. Numerio Q. f. / Rufo q. / s t i p e n d i a r i e i / pagorum Muxsi / Gususi Zeugei.
Al questore Quinto Numerio Rufo, figlio di Quinto, gli stipendiarii dei pagi
Muxi, Gususi, Zeugei.
Fig. 4: La dedica degli stipendiarii a Q. Numerio Rufo
iscrizioni, e dà, quindi, ragione di una fetta abbastanza ampia delle epigrafi del mondo romano, la
parola stipendium, intesa come imposta gravante sui provinciali, compare solo nell’iscrizione in
esame e, al genitivo plurale, in CIL 6.31713= ILS 901, per cui vd. infra, § 3.4. Come ha osservato
franCe 2007b, 364, in epoca imperiale si preferì usare il sostantivo tributum e questa scelta spiega
la quasi totale assenza nelle fonti del termine stipendium col significato di imposta.
37
franCe 2007b, 343 e n. 52 considera l’integrazione di pendere sicura perché “admise par
tous”. Anche l’espressione stipendium dare era, comunque, usata in riferimento al tributo da versare:
cfr., ad es., Liv. 8.36.12, 21.41.9, 38.16.13; Flor. epit. 1.38.2.
38
CIL 1.585 = FIRA I, 8, l. 19: facito quo quis populo aut p]ublicano pequnia‹m› scripturam
uec‹t›igalue det dareue debeat; l. 82: pro eo agro loco ‹n›eiue uectigal neiue decumas nei‹ve›
scripturam, quod post // h(anc) l(egem) r(ogatam) fruetur, dare debeto.
39
CIL 1.2513 = aé 1913, 162 = ILS 9482 = ILAfr 422 = ILLRP 388 = ILPBardo 440. Si notino
nel testo le forme arcaiche del nominativo plurale in –ei.
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72
Cristina Soraci
La riscossione dello stipendium africano poteva suscitare il malcontento dei
contribuenti che avranno talora fatto ricorso ai questori per esporre le loro lagnanze; talora, come appare dall’iscrizione in questione, essi avranno ottenuto
qualche tipo di agevolazione, allo stato non meglio precisabile.
In questo caso, come anche in quello che verrà analizzato immediatamente dopo, gli stipendiarii risultano appartenenti ai pagi. Non vi è, tuttavia, accordo in dottrina sulla natura di questi ultimi: Romanelli e Picard li considerano
circoscrizioni finanziarie, ma forse anche amministrative e giudiziarie, mentre
Saumagne ritiene che si tratti di collettività non giuridicamente riconosciute,
addirittura entità fittizie di amministrazione finanziaria. Quale che sia la loro vera natura, è indubbio che si tratti di creazioni puniche, sovrapposte alle città e non
sostituite ad esse, come afferma Picard40.
Tuttavia, appare eccessivo affermare che “l’expression ou la référence à
leur statut, stipendiariei, laisse croire que ces communautés n’avaient aucune
dignité au regard du droit public romain, et qu’elles étaient, du point de vue de
Rome et donc de la formula provinciae Africae, considérées comme de simples
villages”, né, tantomeno, che “l’inscription d’Utique laisse croire que Rome
n’autorisa aucun signe d’autonomie administrative (magistrats et assemblées
propres)”41. L’epigrafe, infatti, non era stata concepita per illustrare l’organizzazione amministrativa della provincia d’Africa: essa testimonia semplicemente la riconoscenza di una categoria di persone, gli stipendiarii, nei confronti del questore della provincia, il quale avrà forse concesso loro qualche
agevolazione al momento del pagamento del tributo, lo stipendium42. In tale
contesto, non sorprende l’assenza di riferimenti ad altre magistrature o strutture politiche proprie della regione, che pure potevano esistere, ma che non erano direttamente coinvolte nei processi di esazione delle imposte versate dagli
stipendiarii.
40
Cfr. romanelli 1959, 48 e n. 2; piCard, mahjoubi, beChaouCh 1963, 127; piCard 1966,
1262-1263; saumagne 1963, 59; piCard 1969, 4-6; gasCou 1982, 139; zuCCa 1996, 1446-1447 nr.
31; briand-ponsart 2009, 102-103. Per gaudemet 1967, 515 si sarebbe trattato di gruppi di cittadini romani, che avevano necessità di essere coesi perché tagliati fuori dalle loro città d’origine.
Circa il significato del termine pagus vd. anche Ruggini 1989, 215-216. Processi simili, ma in assenza della menzione dei pagi, si possono osservare sia nella Narbonense, sia nella Spagna Citeriore; per la prima, cfr. le osservazioni di tarpin 2017, 69-70: “la province est organisée en grands
ensembles territoriaux, généralement placés sous le nom d’un peuple important, et certainement dotés
d’un chef-lieu (…) afin d’assurer la gestion administrative”; per la seconda, vd. gonzáles rodriguez
2017: “las gentes, que tienen una larga historia, se han acomodado y transformado a los tiempos
posconquista y modificadas y reconocidas como tal por Roma resultan eficaces a la administración
romana para la identificación y reorganización de los territorios y las civitates, en este caso, de la
Hispania citerior”.
41
aounallah 2010, 19-27.
42
In partic. vd. ÑaCo del hoyo 2003d, 113 e id. 2005, 371-372 e 386, il quale ritiene pure
che gli stipendiari dedicarono l’epigrafe “quizas por un trato favorable en el proceso de recaudación”.
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III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
73
3.3. L’epigrafe degli stipendiarii pago Gurzenses
Risale, invece, al 12 a.C. un’iscrizione fatta incidere dal senatus populusque
civitatium stipendiariorum pago Gurzenses, oggi conservata presso il Museo di
Cortona (fig. 5). Diversamente dalla precedente, questa testimonianza non riguarda esplicitamente questioni tributarie, ma ricorda i vincoli di ospitalità nonché i
rapporti di patronato e clientelato esistenti tra il proconsole Lucio Domizio Enobarbo da una parte e «il senato e il popolo delle città cui appartengono gli stipendiari presenti nel pago di Gurza» dall’altra43.
Si riporta qui di seguito il testo secondo l’edizione del CIL:
P. Sulpicio Quirinio C. Valgio co(n)s(ulibus) / Senatus populusque civitatium
s t i p e n d i a r i o r u m / pago Gurzenses hospitium fecerunt quom L.
Domitio / Cn. f. L. n. Ahenobarbo proco(n)s(ule) eumque et postereis / eius
sibi posterisque sueis patronum co(o)ptaverunt / Isque eos posterosque
eorum in fidem clientelam/que suam recepit / Faciundum coeraverunt
Ammicar Milchatonis f(ilius) / Cynasyn(ensis) Boncar Azzrubalis f(ilius)
Aethogursensis / Muthunbal Saphonis f(ilius) Cui. Nas. Uzitensis.
Sotto il consolato di Publio Sulpicio Quirinio e Gaio Valgio.
Il senato e il popolo delle città degli stipendiarii presenti nel pago di Gurza hanno
stabilito vincoli di ospitalità con Lucio Domizio Enobarbo, figlio di Gneo, nipote
di Lucio, proconsole. Essi hanno cooptato lui e i suoi discendenti come patrono
per se stessi e per i loro discendenti. Egli ha accolto loro e i loro discendenti nella
sua clientela. Si sono occupati di questo… (seguono i nomi dei locali).
Fig. 5: La dedica degli stipendiarii a Lucio Domizio Enobarbo
43
CIL 8.68 = ILS 6095 = ILTun 202. Vd. piCard, mahjoubi, beChaouCh 1963, 121-130; piCard
1966, 1263-1264; donati 1967, 39-40; piCard 1969, 4-6; freis 1984, nr. 43; bullo 2002, 15; hurlet
2015, 178-179 e n. 64; circa la datazione dell’epigrafe alla prima o alla seconda metà del 12 a.C., cfr.
thomasson 1996, 22 nr. 6a; sull’uso alternato delle forme in -ei (postereis, sueis) e in -i (posterisque)
vd. floriani squarCiapino, gismondi, barbieri, bloCh, Calza 1958, 217-218. In merito all’ospitalità
concessa a L. Domizio (sul personaggio vd. PIR III, 32-34 nr. 128; Carlsen 2006, 75-81), che, come
spesso avveniva, non era limitata solo alla sua persona, ma veniva estesa anche ai suoi discendenti
(posteri), vd. harmand 1957, 311-314; bolChazy 1977, 27 e n. 63 (a p. 92); díaz ariÑo 2012.
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74
Cristina Soraci
Saumagne insiste, a giusto titolo, sul fatto che il termine stipendiarius deve in
questo caso intendersi come aggettivo sostantivato: diversamente, si potrebbe aggiungere, avremmo dovuto trovare civitatium stipendiariarum; del resto, se nelle
fonti letterarie, come si è visto, il termine viene eslicitamente riferito sia agli individui sia alle città, nelle altre epigrafi africane esso appare attribuito solo ad individui 44. Relativamente alla menzione del pagus, lo studioso afferma, inoltre,
che gli abitanti delle città dedicatarie dell’epigrafe “ne sont Gurzenses que pago,
que «quant au pagus»: – si bien que ce pagus peut fort bien passer pour une
entité fictive d’admnistration financière” 45.
Questa testimonianza epigrafica, verosimilmente coeva alla redazione delle liste provinciali consultate da Plinio, conferma l’esistenza degli stipendiari africani anche nella prima età imperiale. L’apparente contraddizione con
la notizia, fornita dall’autore della Naturalis historia, secondo la quale l’unico
oppidum stipendiarium presente nella provincia sarebbe stato quello dei Castra
Cornelia, può essere, dunque, spiegata col fatto che l’unica città africana cui
era stata attribuita lo status di stipendiaria sarebbero stati proprio i Castra Cornelia, mentre, negli altri casi, in mancanza di una struttura cittadina di riferimento adeguata al modello romano, si sarebbe trattato di singoli individui soggetti al pagamento di imposte, nel caso specifico lo stipendium. Forse, come
osserva Desanges, la condizione di oppidum stipendiarium attribuita ai Castra
Cornelia, non l’unica comunità africana pienamente urbanizzata sottomessa
allo stipendium, si potrebbe spiegare “dans une certaine mesure, par l’origine
romaine et, en quelque sorte, artificielle d’une agglomération indigène de circostance”46.
Differente l’ipotesi formulata da Christol a proposito della Narbonense: l’assenza, in questa provincia, di qualsiasi città stipendiaria è motivata col fatto che,
alla costituzione della formula della Narbonense, “cette catégorie de cité n’existait
pas ou n’existait plus, en sorte qu’après les colonies de droit romain la catégorie
des oppida latina épuisait, à une ou deux exception près (celle que constituent les
cités fedérées) le reste des collectivités de la province”. Ma, per dirla con Teutsch,
44
Cfr. supra, § 3.1 e n. 15. Sull’attribuzione del termine non solo ad individui, ma anche a città,
nelle fonti letterarie vd. supra, § 2 (soprattutto § 2.2.2).
45
saumagne 1963, 59-60.
46
Plin. nat. 5.4.29-30. desanges 20032, 302-303. A detta di mommsen 18873, III, 685 n. 1 la sua
condizione giuridica sarebbe stata superiore a quella degli altri oppida stipendiaria in questo passo indicati semplicemente come civitates. In effetti, Castra Cornelia sembra essere stato un locus (Plin. nat.
5.3.24) prima di diventare, forse ad opera di Augusto (barthel 1904, 37), oppidum stipendiarium:
teutsCh 1962, 95-97. Sempre secondo mommsen 18873, III, 685 n. 1, il posto ricoperto dai Castra Cornelia nell’elenco pliniano (dopo gli oppida civium Romanorum, l’unico oppidum Latinorum e prima
degli oppida libera), farebbe pensare che si tratti di una città di diritto latino sottoposta a tributo, mentre per Cuntz 1888, 41, Plinio sarebbe incorso in un errore, giacché Castra Cornelia doveva essere
un oppidum foederatum e non stipendiarium. Sulle difficoltà dettate dall’interpretazione del testo di
Plinio vd. aounallah 2010, 43-57.
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III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
75
relativamente alla Naturalis historia non si può trarre “kein sicherer Schluss auf
die Rechtsstellung der gennanten Städte”47.
Il testo pliniano, comunque, doveva riflettere, in questo come in altri casi48, un
quadro amministrativo in continua evoluzione, dal punto di vista sia geografico sia
temporale: la menzione, nell’opera, della categoria degli stipendiarii, presente in
vario modo nelle diverse province dell’impero e all’interno di contesti più o meno
urbanizzati, costituisce un esempio concreto delle molteplici possibilità di declinazione di un sistema che si adattava alla pluralità delle situazioni di riferimento.
3.4. L’iscrizione dei mancupes stipendiorum africani
Sebbene non contenga un riferimento agli stipendiarii d’Africa49, si è ritenuto
di dover includere nella presente trattazione anche l’analisi di un’epigrafe ritrovata a Roma ma concernente la provincia d’Africa.
Essa, probabilmente risalente alla prima età imperiale, venne ritrovata al quinto miglio della via Latina e fu dedicata
Fonteio Q(uinti) f(ilio) / q(uaestori) mancup(es) stipend(iorum) ex Africa.
A Fonteio figlio di Quinto, questore, gli appaltatori degli stipendia che
provengono dall’Africa50.
Dalla suddetta epigrafe si ricava che in Africa esistevano dei mancipes incaricati di appaltare gli stipendia, e che essi si mostrarono riconoscenti, forse per la
benevolenza manifestata nei loro confronti, ad un certo Fonteio, questore della
provincia non altrimenti noto51.
47
Christol 1994, 56-57; teutsCh 1962, 96. In effetti, il ragionamento di Christol non convince
appieno: se veramente l’assenza di popolazioni stipendiarie nella Gallia Narbonense deve essere fatta risalire alla concessione del diritto latino alle città della provincia da parte di Cesare, non si può
non riconoscere che in altre province, come in Sicilia, si registra la contemporanea presenza, ancora
in epoca augustea, di abitanti che beneficiarono del diritto latino ad opera di Cesare e di popolazioni
stipendiarie: vd. korhonen, soraCi 2019, 100-101.
48
Vd. soraCi 2016b.
49
Non così per mommsen 1892, 88 n. 1, a detta del quale l’epigrafe, risalente agli ultimi anni
della Repubblica o ai primi del Principato, rappresenterebbe una delle rare testimonianze di ager
stipendiarius.
50
CIL 6.31713 = ILS 901. Per una datazione dell’epigrafe agli anni che precedono il regno di
Claudio vd. Ørsted 1992, 825 n. 41; alla prima età imperiale pensa anche brunt 1974, 181, all’età
augustea Cimma 1981, 120. Incerti tra la tarda età repubblicana e quella augustea sono thomasson
1996, 126 e baCCini leotardi 2004, 267; tra il 50 a.C. e il 14 d.C. è datata da A. Ferraro nella scheda
EDR 114012 (http://www.edr-edr.it/edr_programmi/res_complex_comune.php?do=book&id_nr=
EDR114012&partId=1, url consultata in data 30 ottobre 2019).
51
Ørsted 1985, 104-105 (secondo il quale vi sarebbe una relazione tra questa epigrafe e la lex
agraria del 111 a.C., in cui, “apart from the nouns redemptor and conductor, the terminology of the
lease system is found to its full extent”) manifesta dubbi non giustificati (di tale precisazione ringrazio il prof. W. Eck, che ha letto queste pagine nella loro versione originaria) sulla possibilità che
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76
Cristina Soraci
Il confronto con l’epigrafe uticense, dedicata dagli stipendiarii ad un altro questore, induce a formulare alcune considerazioni.
L’iscrizione uticense e quella romana vennero, infatti, entrambe dedicate alla
stessa tipologia di magistrati; ma, mentre la prima fu fatta incidere dagli stipendiari, verosimilmente per ringraziare il questore delle agevolazioni loro concesse,
la seconda fu innalzata dai mancipes forse per la preferenza accordata. Dunque,
almeno in questo caso è possibile seguire la percezione di un’imposta da due punti di vista differenti e, per così dire, complementari: da un lato i contribuenti, dall’altro gli esattori; il questore provinciale potrebbe essere considerato una sorta di intermediario fra entrambi, in quanto incaricato di supervisionare le operazioni di
riscossione delle imposte, di tutelare i contribuenti frenando gli abusi degli esattori52 e di concordare con questi ultimi le modalità di ricezione di quanto dovuto.
È degno di nota, inoltre, il fatto che i contribuenti provinciali fecero erigere la
dedica a Utica, mentre i mancipes a Roma; ciò può essere dipeso sia dalle disponibilità finanziarie dei rispettivi gruppi, probabilmente maggiori nel caso degli
appaltatori operanti nella provincia d’Africa, sia dal fatto che i mancipes potrebbero aver ottenuto qualche agevolazione solo nell’ultimo periodo dell’incarico
del questore: più che onorare tale magistrato in Africa, come avevano fatto gli stipendiarii dell’iscrizione uticense, sarebbe stato preferibile farlo a Roma, dove
egli era nel frattempo ritornato.
È possibile che il passaggio da un sistema di imposizione indiretta, avvenuta
per tramite degli appaltatori, a quello di imposizione diretta, attuabile grazie alle
operazioni censitarie e in cui la responsabilità pratica della riscossione ricadeva
sulle autorità cittadine, abbia tardato ad essere introdotto nelle province senatorie53
e in particolare in quella d’Africa, caratterizzata da una struttura cittadina in piena evoluzione ancora in epoca augustea54, e che, dunque, ancora per tutto il I sec.
Fonteio avesse ricoperto il ruolo di questore: “Fonteius may have been a q(uaestor)”. E. Groag, in PIR II,
196 nr. 462, ipotizza che si sia trattato di un quaestor Africae, mentre thomasson 1996, 126, anche in
questo caso su suggerimento di W. Eck, suppone che Fonteius avesse ricoperto il ruolo di quaestor
Ostiensis. La summenzionata epigrafe, peraltro, porta alla ribalta il ben noto problema dell’esatta
comprensione del ruolo dei mancipes, connesso con quello di Vibio Salutare, procurator frumenti
mancipalis: CIL 3.14195, 4-13 = Inschr. Ephesus Ia, 28-35, Aé 1899, 64 e ILS 7193-7195 (cfr. anche
CIL 3.6065 e 3.12252), su cui vd. soraCi 2011, 164-168; cfr. altresì l’ipotesi di Ørsted 1992, 828-829,
secondo cui il frumentum mancipale sarebbe il frumento “privato” acquistato da appaltatori pubblici.
52
Sulla condanna, espressa in particolare da Tacito, del sistema esattoriale vessatorio, rappresentato dalle compagnie di pubblicani, vd. soraCi 2005-2006.
53
de martino 1965, 826-827; Cimma 1981, 99-160, ove ampia discussione della bibliografia
precedente; frézouls 1986, 26; lo CasCio 1986, 38 e n. 29; Cerami 1997, 65. Da quanto afferma
Tacito si può desumere che, almeno fino al 23 d.C. frumenta et pecuniae vectigales, cetera publicorum
fructum societatibus equitum Romanorum agitabantur: Tac. ann. 4.6.12; secondo brunt 1974, 181,
proprio il caso africano sarebbe un esempio della regolare persistenza della riscossione delle imposte da parte dei pubblicani anche dopo la morte di Augusto. Il tema del passaggio da una imposizione
indiretta a una diretta è stato, comunque, oggetto di un lungo dibattito, evidenziato nei summenzionati studi.
54
aounallah 2010, passim.
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III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
77
dell’impero i questori avessero continuato ad appaltare la riscossione a terzi, tra
cui i succitati mancipes55.
3.5. Gli stipendiarii del fundus di Villa Magna
All’epoca di Traiano, tra il febbraio del 116 e la morte dello stesso imperatore,
avvenuta nell’agosto del 117 d.C., risale una lunga epigrafe, ritrovata nel fundus
Villae Magnae Varianae (il cui corrispondente, nella lingua locale, era Mappalia
Siga)56 e nota come iscrizione di Henchir-Mettich; l’iscrizione regola le concessioni da effettuare negli agri subsecivi del suddetto fundus e, se riletta alla luce di
altri documenti analoghi, risulta fondamentale ai fini dello studio della proprietà
imperiale nell’Africa proconsolare57.
Ai fini della tematica qui affrontata, tuttavia, l’epigrafe riveste un’importanza
particolare, giacché verso la fine – pur molto lacunosa – della colonna IV (fig. 6)
vengono ricordati, tra tante categorie di individui, gli stipendiari residenti nel fondo, i quali, secondo l’integrazione proposta dal Flach, sarebbero stati obbligati ad
indicare, come i coloni inquilini, i loro nomi ai fini della prestazione di un servizio chiamato custodia:
S t i p e n d i a r i o r [ u m qui intra f(undum) Vill<a>e Magn<a>e sive M]
appa/li<a>e Sig<a>e habitabu[nt, nomina sua nominent in custodias, q]
uas c/onductoribus vil[icisve eius f(undi) prestare deben]t 58.
[I nomi] degli stipendiarii che abiteranno [all’interno del fondo di Villa
Magna o] Mappalia Siga [siano indicati per il servizio di custodia che
devono offrire] ai conduttori [o ai vilici di quel fondo].
55
rostowzew 1910a, col. 156; romanelli 1959, 48; Chouquer 2016, 161, secondo i quali
l’esazione avveniva normalmente tramite gli appaltatori, sotto la direzione dei questori. Contra, vd.
jones 1974, 162, il quale, sulla base della supposta identità dello stipendium con il vectigal certum
stipendiarium del più volte citato passo ciceroniano (Cic. Verr. 2.3.6.12: supra, § 2.2.1 e 3.1), ritiene che, essendo lo stipendium un tributo certum e quindi fisso, fossero responsabili della riscossione diretta dell’imposta tra l’epoca tardo-repubblicana e quella proto-imperiale i funzionari statali,
non solo questori ma anche pretori (di “strengere Kontrolle der römischen Statthalter” su stipendia
e tributa a partire da Augusto parla anche neesen 1980, 14-15); lo stesso Jones, tuttavia, riconosce
la peculiarità della situazione africana.
56
Per una spiegazione del toponimo latino vd. kotula 1988, 341 e n. 7, secondo cui esso farebbe riferimento alla notevole estensione del fondo o alla costruzione centrale di un dominio rurale, e
jaCques 1993, a detta del quale, invece, la tenuta potrebbe essere attribuita al senatore Lucius Varus.
57
Della sterminata bibliografia sull’argomento, ci si limiterà a citare: frank 1926a e b; pezzana
1962; de ligt 1998-1999; sCholl, sChubert 2004.
58
CIL 8.25902, col. IV ll. 31-33 = ILPBardo 388 = Aé 1897, 48. L’integrazione habitabu[nt,
nomina sua nominent in custodias, q]uas è stata proposta da flaCh 1978, 461 (contra, broCkmeyer
1968, 217); sChulten 1897, 16 legge invece: habitab[unt… operas s]uas, Riccobono (FIRA I, 100)
habitabu[nt… operas s]uas. seeCk 1898a, 634 (e seeCk 1898b, 315): habitabunt, iubebitur. Qualunque integrazione del testo va, comunque, accolta con cautela perché l’iscrizione è molto danneggiata: Aé 1898, 137. lewis, reinhold 1955, 182 e n. 46 omettono di tradurre l’intera frase, a causa
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78
Cristina Soraci
Fig. 6: L’iscrizione di Henchir-Mettich, col. IV
L’identità di questi individui è stata oggetto di svariate ipotesi, di cui si riportano in questa sede le più significative.
Tutti gli studiosi concordano sul fatto che si trattasse di indigeni; alcuni ritengono che essi possedessero delle terre, altri che si limitassero a coltivarle.
Propendono per la prima interpretazione Frank e Alföldi. Per il primo gli
stipendiarii sarebbero stati “the native Libyans of the villages like Mappalia Sige,
Sustri, Thignica, etc., whom Marius had left with some property in the midst of his
complex”; i loro terreni non sarebbero stati naturalmente tra i migliori e sarebbero
stati soggetti all’imposta di un ottavo59. A detta di Alföldi, invece, gli stipendiarii,
distinti dai normali coloni e dai coloni inquilini (“landlose und zu verschiedenen
Arbeitsleistungen verpflichtete Bauern”), sarebbero “vermutlich Bauern aus den
benachbarten Siedlungen, die teils auf dem Gut, teils auf ihren eigenen kleinen
Parzellen ausserhalb des Gutes arbeiteten”60.
dell’importante lacuna e dell’incertezza del significato di stipendiarii, mentre freis 1984, 148 tenta una traduzione, intendendo gli stipendiarii quali “Steuerpflichtige”.
59
frank 1926b, 170.
60
alföldi 1975, 128.
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III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
79
Secondo Rostovtzeff, gli stipendiari sarebbero indigeni che occupavano l’ager
stipendiarius, da identificare con l’ager octonarius cui l’epigrafe aveva in precedenza fatto riferimento; per l’esistenza dell’ager stipendiarius egli citava la
lex agraria61, ma questa interpretazione non regge, come si è visto, per l’insostenibile binomio ager stipendiarius; nell’interpretazione dello studioso, inoltre, gli
stipendiarii avrebbero posseduto le suddette terre, perché lo stipendium in Africa
è un’imposta sui terreni62.
Ritengono gli stipendiarii semplici coltivatori Romanelli, Whittaker e Kehoe.
Secondo il primo, gli stipendiarii, certamente Libi indigeni “perché soggetti al
pagamento del tributo”, avrebbero prestato la loro opera come braccianti, “soprattutto nelle stagioni di più intensi lavori agricoli”, e sarebbero stati impiegati per la
custodia dei raccolti o del fondo63. Whittaker li considera “those who occupied and
paid direct tax on land, but not technically as tenants”64. Per Kehoe il termine potrebbe riferirsi a lavoratori salariati, ma, nel contesto di questa iscrizione, si tratterebbe piuttosto di “farmers cultivating provincial land subject to the stipendium,
and by definition, outside the estate”; dunque, essi si distinguerebbero dagli altri
coloni proprio in virtù del fatto che coltivavano terra anche al di fuori del fondo65.
Seeck, dal canto suo, aveva inteso gli stipendiarii quali “Kopfsteuerpflichtige”,
“soggetti all’imposta di capitazione”66.
Una più articolata interpretazione è proposta da Flach, il quale distingue gli
stipendiarii dai coloni inquilini, ritenendo che i primi siano “Kolonen, die Steuern
zu zahlen hatten, weil sie der einheimischen Bevölkerung entstammten”; essi sarebbero stati soggetti alla prestazione del servizio di custodia perché non solo lavoravano nel fondo, ma anche vi abitavano; gli altri stipendiarii, invece, non sarebbero stati menzionati perché lavoravano nel fondo solo durante il giorno67.
Secondo la Schubert, gli stipendiari di quest’iscrizione sarebbero dei lavoratori
salariati: sulla scia di Flach e in virtù dell’uso del genitivo partitivo stipendiarior[um,
ritiene che si debbano distinguere gli stipendiari che abitavano nel fondo (da lui de-
61
rostowzew 1910b, 341. L’ager octonarius è menzionato in CIL 8.25902, col. II l. 8. L’interpretazione di Rostowzew è accolta da van nostrand 1925, 32-33 n. 38 e johnson, Coleman-norton,
bourne 1961, 175 n. 16.
62
rostowzew 1910b, 341: “Vorauszusetzen, dass die Stipendiarier einfach die einheimische
Bevölkerung darstellen, ohne dass dieselben notwendigerweise auch Inhaber des a.s. wären, bin ich
nicht imstande, denn stipendium hängt in Afrika am Boden, und wer kein stipendium zu bezahlen hat,
ist doch kein stipendiarius”.
63
romanelli 1974, 206-207; cfr. anche 197.
64
whittaker 1978, 357.
65
kehoe 1985, 154-155; cfr. anche kehoe 1988, 46-47 e 90, secondo cui l’ager coltivato dagli
stipendiarii al di fuori del fondo imperiale sarebbe stato l’octonarius ager, che perciò potrebbe essere identificato con l’ager stipendiarius.
66
seeCk 1898a, 634; cfr. seeCk 1898b, 363-364.
67
flaCh 1990, 100; cfr. flaCh 1978, 461 e flaCh 1982, 443. Ma vd. le perplessità di jördens
1993, 63, che afferma di non comprendere la distinzione operata da Flach tra i coloni inquilini e gli
stipendiarii.
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80
Cristina Soraci
finiti stipendiarii inquilini) da quelli che non vi abitavano68. In realtà, il significato di stipendiarii come “lavoratori salariati” non è presente nelle fonti, che preferiscono intenderlo semmai in riferimento, come si è visto, ai soldati mercenari69.
Non occorre forse condividere il parere di Jerzy Kolendo sull’impossibilità di
definire più precisamente la condizione degli stipendiarii70. Sebbene l’opinione
dello studioso sia giustamente fondata sulla lacunosità e laconicità della fonte epigrafica, il confronto con i dati offerti dalle altre iscrizioni africane potrebbe risultare prezioso, considerata la relativa tendenza al conservatorismo in materia di
terminologia fiscale propria del mondo antico71.
Già Saumagne si chiedeva se gli stipendiarii fossero stati dei salariati, operai
agricoli “stipendiati” dai conductores e ai quali non sarebbe stato proibito di aspirare ai subseciva, o se il loro nome, “car le «stipendiaire» est celui qui paye le
stipendium et non celui qui le reçoit”, perpetuasse la qualificazione giuridica rimontante al II sec. a.C. e che caratterizzava il legame tra gli antichi sudditi di Cartagine e gli agri punici annessi inizialmente all’ager publicus e in seguito restituiti agli antichi possessori72.
Quest’ultima mi sembra l’interpretazione più verosimile: il genitivo partitivo
dell’iscrizione va inteso piuttosto come un modo per individuare, all’interno delle varie categorie di lavoratori legati al fondo imperiale di Villa Magna, un gruppo di persone soggette iure belli al pagamento dello stipendium73, le quali però,
diversamente da quanto riteneva Saumagne, non necessariamente dovevano possedere le terre che coltivavano74; anzi, come già osservato da Peyras a proposito
della lex agraria del 111 a.C., la posizione inferiore degli stipendiarii farebbe
escludere tale possibilità75. Le terre da loro coltivate non erano considerate, giuridicamente parlando, di proprietà, come del resto non lo erano le terre provinciali in genere (fatte salve alcune eccezioni), che appartenevano al popolo o all’imperatore76. Tali individui, dunque, stipendiarii nei confronti dello stato romano,
avevano degli obblighi anche nei confronti dei conduttori, all’interno dei cui fon-
68
sChubert 2008, 256 e n. 29.
Vd. supra, § 2.4 e all’inizio di questo stesso capitolo. Anche il passo di Leo M. serm. 69.3
(famulis itaque suis et stipendiariis vehementius incitatis, in praeiudicium suum saevit, et dum
putat sibi aliquid debere quem potuisset occidere, non vidit libertatem singularis innocentiae, similitudinem persequendo naturae), riferito a quanti erano a servizio del diavolo, potrebbe alludere sia al significato di “dipendenti, salariati” (soraCi 2020b, 95) sia a quello di mercenario (vd.
supra, § 2.4).
70
kolendo 1976, 54.
71
Cfr. la continuità d’uso di alcuni termini osservabile nel passaggio tra la Repubblica e l’Impero: franCe 2007b, in partic. 364-365.
72
saumagne 1962, 102-103.
73
Caes. Gall. 1.44.2: stipendium capere iure belli, quod victores victis imponere consuerint; vd.
supra, § 3.1.
74
Vd. già supra, § 3.1.
75
peyras 2015, 129 n. 1.
76
Vd. § 4.1 e 5.1.
69
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III. Le fonti epigrafiche e gli stipendiarii d’Africa
81
di abitavano; il fatto che essi fossero soggetti a diversi tipi di contribuzioni non
desta stupore77. È probabile, comunque, che si tratti di una categoria ormai residua di persone.
Il caso degli stipendiarii africani, dunque, ben dimostrerebbe la summenzionata tendenza al conservatorismo terminologico: la stessa denominazione impiegata nel II sec. a.C. per indicare un gruppo di contribuenti, sottomessi politicamente e soggetti iure belli al versamento di imposte, rimase in uso per ben quattro
secoli nei territori un tempo appartenuti a Cartagine (fig. 7).
Fig. 7: Localizzazione degli stipendiarii d’Africa in base alle testimonianze epigrafiche78; in evidenza
la città principale del territorio, Cartagine
77
Per citare solo un esempio, gli abitanti della Sicilia in epoca repubblicana erano tenuti a pagarne diverse contemporaneamente: manganaro 1979, 430-431.
78
Per l’ubicazione dei siti si rimanda a hitChner 2000 (1997), che, a sua volta, si basa sugli studi di piCard 1963 per la localizzazione del Pagus Gunzuzi (in e su quelli di desanges 20032 (1980),
209 per quelle del Pagus Muxsi e del Pagus Zeugei.
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iv. le fonti giuridiChe
4.1. I praedia stipendiaria nelle Institutiones
Meritevole di uno specifico approfondimento appare la menzione del termine
stipendiarius nel testo di Gaio. Esso è inserito nel contesto di una trattazione concernente le res mancipi e le res nec mancipi, ossia ciò che poteva essere oggetto
di mancipatio, «alienazione», e ciò che non poteva esserlo. Si tratta, dunque, non
di una trattazione organica sul tema, ma di una menzione rapida e funzionale ad
un’argomentazione di tutt’altra natura e oggetto.
Secondo Gaio, i praedia stipendiaria e quelli tributaria non sarebbero stati res
mancipi:
item s t i p e n d i a r i a praedia et tributaria non mancipi sunt 1;
in quanto terreni provinciali, non erano oggetto di rapporti patrimoniali di tipo classico, non rientravano nell’ambito della proprietà privata e non potevano,
dunque, essere alienati 2. Poco più avanti, egli ribadisce il concetto, affermando
che tra le res nec mancipi vanno annoverati i provincialia praedia, che potevano
essere sia stipendiaria che tributaria; ne spiega, quindi, la differenza:
in eadem causa sunt provincialia praedia, quorum alia s t i p e n d i a r i a ,
alia tributaria vocamus. S t i p e n d i a r i a sunt ea quae in his provinciis
sunt quae propriae populi Romani esse intelleguntur; tributaria sunt ea
quae in his provinciis sunt, quae propriae Caesaris esse creduntur.
1
Gai Inst. 2.15. A detta del solazzi 1931 (seguito, ad esempio, da robbe 1966, 128-129), questa affermazione sarebbe stata inserita nel testo gaiano solo in seguito e farebbe parte di glosse postclassiche; contra, vd. segrè 1974 (1936-37); gallo 1958, in partic. 34-35 n. 27 e 201-212. Più in
generale, in varie occasioni la lettura del testo di Gaio operata dal Solazzi è stata messa in discussione: cfr., ad es., bozza 1942. Questo brano di Gaio è spesso citato quasi sempre per la distinzione tra res mancipi e res nec mancipi e ben poco per la differenziazione tra i praedia; tra le eccezioni in tal senso si ricordi grosso 1969, 148-149.
2
Cfr. grosso 1974, che però sottolinea il divario esistente tra teoria normativa e attuazioni concrete; simshäuser 1980, 405; spagnuolo vigorita, merCogliano 1992, 98 e n. 154; grelle 1990.
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84
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Nella stessa condizione vi sono i poderi provinciali, alcuni dei quali
chiamiamo stipendiari, altri tributari. I poderi stipendiari sono quelli situati
nelle province che si riconoscono proprie del popolo romano, tributari quelli
che si trovano nelle province ritenute dell’imperatore 3.
Tale distinzione, che, già dai tempi del Mommsen, si è voluta ridurre alla contrapposizione tra le province (senatorie) che pagavano lo stipendium e quelle (imperiali) che versavano il tributum4, sembra smentita dalle occorrenze degli stessi termini stipendium e tributum nelle fonti a nostra disposizione, che non seguono la logica
gaiana e che mostrano, invece, le tracce di una duplice tradizione terminologica5.
In particolare, appaiono contraddittorie, in questo contesto, le informazioni
desunte da Plinio, secondo cui la Betica, la Sicilia, l’Africa, la Tarraconense e la
Lusitania avrebbero annoverato alcuni oppida o populi stipendiari: se le prime tre
erano province senatorie, altrettanto non può dirsi della Tarraconensis e della Lusitania, certamente imperiali6; occorre, d’altro canto, rilevare che nell’opera
pliniana il termine tributarius è usato solo una volta e in riferimento alla Gallia
Belgica, provincia imperiale, del cui suolo si sottolinea la sottomissione in senso
generico7. La contraddizione tra quanto contenuto nel testo di Plinio e quanto affermato da Gaio appare tanto più palese se si accetta, com’è stato universalmente
fatto, l’attribuzione all’epoca augustea sia della distinzione gaiana sia della classificazione del naturalista comasco8.
3
Gai Inst. 2.21. Per grelle 1963, 20 la nota gaiana tradirebbe un’incertezza sulla situazione
giuridica delle province pertinenti al principe (ma ugualmente si potrebbe dire delle altre), incertezza attribuibile ad un’origine da una fonte precedente, che avvertiva “ancora viva la singolarità del
rapporto fra principe e province”.
4
Cfr., a titolo d’esempio, mommsen 18873, II, 1094-1095 e n. 1 (distinzione, dal canto suo, più
volte ripresa: vd. anche mommsen 1892, 88); bonfante 1918, 18-19; Coli 1966, in partic. 920; Kaser
19712, 402; neesen 1980, 27-28. Secondo de martino 1965, 786-787, in particolare, gli stipendiari sarebbero “singoli o comunità tenuti al pagamento di un vectigal certum, perché appunto lo stipendium è un vectigal certum: per converso tributarii dovrebbero essere i singoli od i fondi tenuti al pagamento di un vectigal non certum, cioè proporzionato al prodotto”. In tal senso, vd. ancora
giliberti 1996, 212: “interpretando alla luce delle considerazioni sopra esposte il testo gaiano, esso semplicemente dichiara che i fondi stipendiari sono quelli che pagano un tributo (diretto, indiretto; proporzionale alla produttività o fisso) che nelle province senatorie si suole ancora chiamare
«stipendium»; quelli tributari s’intendono invece collocati nelle province imperiali”.
5
grelle 1963, 16-21; da ultimo, morelli 2019, 21-31, che ne ribadisce l’interpretazione.
6
de martino 1965, 775-787; vd. anche Cerati 1975, 5 n. 16.
7
Cfr. quanto osservato supra, § 2.1.1, n. 44: in Plin. nat. 12.3.6 l’albero di platano iam ad
Morinos usque pervecta ac tributarium etiam detinens solum, ut gentes vectigal et pro umbra
pendant. In Plinio, dunque, l’attributo stipendiarius è usato in riferimento a popoli o centri abitati,
mentre l’unica menzione di tributarius è volta ad indicare un terreno.
8
Sulla datazione ad epoca augustea delle fonti di Plinio vd. supra, § 2.1.1. Circa l’opera di Gaio,
che attingeva anch’egli a fonti augustee, cfr. grelle 1963, 15-19; franCe 2007b, 350-351; già
albertario 1933, 7 peraltro, rilevava che nel frammento di Gaio concernente il fondo provinciale
la possessione dei fondi, rappresentata come usus fructus, era una “survivance historique plutôt que
une réalité vivante”.
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IV. Le fonti giuridiche
85
D’altro canto, neppure nel trattato dello Pseudo-Agennio risalente all’età domizianea la distinzione gaiana tra le province sembra trovare conferma: sui fondi
stipendiari si paga un tributo9.
Francesco Grelle, nella monografia divenuta un caposaldo degli studi sul tema, ha ritenuto che l’avvicinamento dei due termini stipendium e tributum fosse
nato dall’esigenza di conciliare, “nella sistemazione giurisprudenziale o prima ancora nella tutela edittale, le due denominazioni dei fondi provinciali, qualche volta coesistenti, altre volte sovrapposte l’una all’altra, in quelle regioni in cui vecchi
documenti (leges provinciarum, cataloghi di città) conservano la qualifica antica,
mentre la cancelleria imperiale e gli uffici provinciali già adottavano la nuova”;
la distinzione gaiana, dunque, non rispecchierebbe “il modulo ideale dell’ordinamento fiscale nel principato”, ma costituirebbe “un tentativo di precisare i limiti
reciproci di competenza” tra le finanze dell’aerarium e quelle del principe”, “in una
riaffermata separazione fra l’Italia e le province: una linea che ripropone anch’essa
temi e modelli augustei”10.
Secondo un’altra linea interpretativa, invece, la distinzione terminologica tra i
campi provinciali sarebbe da addebitare al fatto che nelle province del popolo
l’imposta ricadeva sulle città, mentre in quelle del princeps ad esserne gravati
erano i singoli contribuenti11.
Se l’ipotesi di Grelle ha il merito di avere enucleato con chiarezza il punto di
vista di Gaio, inaccettabile appare, invece, la precisazione secondo cui i fondi stipendiari e quelli tributari “prendono nome dall’imposta da cui sono gravati, diversa per le due categorie di province, del popolo e dell’imperatore”12; non vi è,
infatti, come si è detto e come, del resto, fa rilevare lo stesso Grelle, nelle fonti di
epoca augustea o successiva, una rigida e coerente distinzione tra la denominazione delle imposte versate dalle province del popolo e quella dei tributi pagati
dalle province senatorie.
Il Solazzi, che riteneva i passi gaiani interpolati in età post-classica, affermava: “se v’era un luogo in cui l’antitesi col fundus in Italico solo doveva far sentire
l’opportunità di menzionare i provincialia praedia, questo luogo era certamente
costituito dai §§ 14a-15; e non si comprende perché ivi Gaio avrebbe smorzato
l’antitesi col parlare solamente di stipendiaria praedia et tributaria”13.
9
10
giliberti 1996, 212. Cfr. infra, § 5.1.
grelle 1963, 19-20 e grelle 1990, 177; tale ipotesi è in parte condivisa da franCe 2007b,
351.
11
Per citare solo qualche nome, vd. mommsen 18873, II, 1093-1094 e n. 1; bozza 1942, 79;
luzzatto 1953, 82; harmatta 1972, 124-125; vivenza 1994, 50-53; lo CasCio 1999, 218-219.
Contra, tra gli altri, grelle 1963, 17; giliberti 1996, 211 e n. 101: “che si tratti di due imposte di
tipo diverso, una diretta sui fondi e l’altra ricadente sulle comunità, è un pregiudizio ripetuto sovente, ma contraddetto dalle fonti”.
12
g relle 1990, 175; analoga interpretazione in k aser 19672, 118-119; s imshäuser 1980,
405.
13
solazzi 1931, 9.
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86
Cristina Soraci
In realtà, Gaio non smorzò affatto l’antitesi, giacché gli stipendiaria praedia
et tributaria rappresentano nelle Institutiones l’insieme dei terreni provinciali:
provincialia praedia, quorum alia stipendiaria, alia tributaria vocamus14.
Anche nell’opera gaiana, dunque, i due aggettivi non devono essere intesi come strettamente limitati ad indicare due categorie specifiche, quella delle terre
provinciali soggette ad un tipo di tributo, distinte da quelle soggette ad un altro o,
ad esempio, dai terreni destinati al pascolo; i due termini assumono significati diversi tra loro, ma di portata generale, e sono volti ad indicare la qualità dei campi provinciali15. Ritengo, pertanto, che non si debbano trarre dal passo di Gaio informazioni ulteriori rispetto a quelle esplicitamente fornite: la differenziazione tra
le due tipologie di praedia – per quanto nel II sec. d.C. essa possa essere già stata o
sarebbe a breve divenuta inattuale – serviva a distinguere le terre che si trovavano
nelle province del popolo (stipendiaria sunt ea quae in his provinciis sunt quae
propriae populi Romani esse intelleguntur) da quelle ubicate nelle province dell’imperatore (tributaria sunt ea quae in his provinciis sunt, quae propriae Caesaris
esse creduntur)16.
In conseguenza di ciò e in ragione del fatto che, come si è detto, gli stipendiarii
dell’opera pliniana non sono necessariamente coloro che versano lo stipendium, ma
semplicemente una categoria di sottomessi, quelli posti nel gradino più basso della
gerarchia17, la contrapposizione tra la denominazione di praedia stipendiaria nelle
province del popolo e l’esistenza di popolazioni stipendiarie nelle province imperiali è solo apparente: in entrambi i casi, il termine è impiegato per indicare una forma di sottomissione, anche ma non solo tributaria, all’impero romano18.
4.2. Praedia e fundi stipendiari nella giurisprudenza post-gaiana
Le fonti giuridiche successive qualificano i terreni provinciali (praedia o fundi) come stipendiarii o tributari. La distinzione tra terre italiche e provinciali verrà formalmente abolita da Giustiniano solo nel 531 d.C.:
14
CorCoran 2000, 117: “their use indicates no more than that the property in question is not
in Italy”.
15
behrends 1992, 275.
16
Per jones 1941, 30 la distinzione tra i due tipi di province sarebbe addirittura da imputare ad
una “conveyancer’s phantasy” dei giuristi, i quali “seized on the phrases provinciae publicae and
provinciae Caesaris and interpreted them as meaning owned by the Roman People and Caesar
respectively”.
17
Supra, § 2.1.1.
18
Cfr. marotta 2017b, 214: “natura e significato dell’imposizione tributaria furono al centro di
un dibattito nel quale (…) i giuristi continuarono costantemente a connetterla alla signoria del popolo
e del principe sulle province e dunque, per altro verso, alla vittoria e alla sottomissione dello sconfitto”.
È quasi superfluo far rilevare che, per il parafraste bizantino Teofilo, il problema posto dai summenzionati passi di Gaio e da I. 2.1.40 si configuri solo nei termini di signoria del suolo provinciale, senza
precisazioni sulla differenza tra i due tipi di fondi: grelle 2005 (1966), 103; tanaka 2014, 396-397.
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IV. Le fonti giuridiche
87
Itaque s t i p e n d i a r i a quoque et tributaria praedia eodem modo
alienantur. Vocantur autem s t i p e n d i a r i a et tributaria praedia, quae
in provinciis sunt, inter quae nec non italica praedia ex nostra constitutione
nulla differentia est 19.
Pertanto, anche i campi stipendiari e tributari vengono alienati allo stesso
modo. Sono detti campi stipendiari e tributari quelli che sono nelle province,
tra i quali e i campi italici non vi è nessuna differenza secondo la nostra
costituzione.
Le occorrenze dell’attributo stipendiarius nei testi giuridici sono numericamente limitate, solo sette nell’arco di cinque secoli20; diverso il caso di tributarius,
che, nello stesso periodo di tempo, presenta quarantadue occorrenze, comprese
le costituzioni riportate sia nel Codice di Teodosio che in quello di Giustiniano.
La fortuna relativamente limitata di entrambi i vocaboli nelle fonti giuridiche è
attribuibile, tra l’altro, all’azione dei compilatori giustinianei che avrebbero modificato, adattandoli alle rinnovate esigenze dell’epoca, testi contenenti i due attributi stipendiarius e tributarius, ormai desueti21. Non è un caso, infatti, che quattro occorrenze su sei compaiano nei Fragmenta Vaticana, la cui redazione si fa
risalire al IV sec. d.C.22, ma non nei corrispondenti brani del Corpus iuris civilis.
In uno dei Fragmenta Vaticana, tratto dal libro dodicesimo dei Responsi di Papiniano, si considera l’ipotesi in cui una donna abbia donato non per testamento
un praedium stipendiarium ad un uomo di condizione latina senza il consenso del
tutore:
mulier sine tutoris auctoritate p r a e d i u m s t i p e n d i a r i u m instructum
non mortis causa Latino donaverat.
Il problema si pone in termini di validità della donazione e di possibilità di
mancipatio dei beni connessi a questo terreno, che era, come si è visto, inalienabile perché, ubicato nelle province, non veniva considerato di proprietà privata23.
19
I. 2.1.40. Ciò comportava l’estensione dell’usucapione anche alle terre provinciali: satis
inutile est usucapionem in Italicis quidem solis rebus admittere, in provincialibus autem recludere
(CI. 7.31.1pr). amelotti 1958, 184 n. 229; Capogrossi Colognesi 1969, 18-33, in partic. n. 46;
honoré 1989, 144; luChetti 2004, 14-15. Circa l’azione dei compilatori giustinianei in questo
brano vd. honoré 1983, 67-69.
20
Frg. Vat. 259 (Papiniano): praedium stipendiarium; Frg. Vat. 61 (Ulpiano): usus fructus
licet in fundo stipendiario vel tributario; Frg. Vat. 283 (Diocleziano, nel 286 d.C.): praediorum
stipendiariorum proprietatem; Frg. Vat. 289 (imperatore incerto): stipendiarii vel tributarii; CTh. 8.12.2
(Costantino, nel 316 d.C.): Italicum sive stipendiarium fundum; CTh. 3.5.8 (Giuliano, nel 363 d.C.):
in praediis Italicis vel stipendiariis seu tributariis. A queste sei va aggiunto il summenzionato brano
delle Institutiones giustinianee: I. 2.1.40: vocantur autem stipendiaria et tributaria praedia.
21
solazzi 1963 (1942); grosso 1974, 65.
22
de filippi 20123, in partic. 16-24.
23
Frg. Vat. 259. Sul punto vd. krause 1994, 180 (per quanto attiene alle possibilità muliebri) e,
da ultimo, genovese 2011, 198-206; sotulenko 2018.
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In un altro frammento, tratto dal libro XVII dell’opera ad Sabinum scritta da
Ulpiano, si discute il problema dell’usufrutto di un terreno; il testo originario recita:
et parvi refert, utrum iure sit constitutus usus fructus an vero tuitione
praetoris; proinde usus fructus licet in f u n d o s t i p e n d i a r i o v e l
t r i b u t a r i o , item in fundo vectigali vel superficie non iure constitutus
capitis minutione amittitur;
il testo poi confluito nei Digesta, invece, omette proprio la precisazione in
fundo stipendiario vel tributario:
proinde traditus quoque usus fructus, item in fundo vectigali vel superficie
non iure constitutus capitis minutione amittitur 24.
La soppressione dell’espressione concernente la precisazione dei tipi di terreno è imputabile, come si è detto, all’opera dei compilatori giustinianei, che hanno
espunto la distinzione tra i vari terreni, divenuta inattuale nel VI sec. d.C., ma che,
all’epoca di Ulpiano, doveva differenziare le terre provinciali (stipendiarie o tributarie) da quelle italiche25.
Un analogo taglio è stato operato su una costituzione di Diocleziano, riportata,
con significative varianti, sia nei Fragmenta Vaticana sia nel Codex Iustinianus, e
concernente il problema del dono di un terreno. Il testo dei Fragmenta recita:
Si p r a e d i o r u m s t i p e n d i a r i o r u m proprietatem dono dedisti ita,
ut post mortem eius qui accepit ad te rediret, donatio inrita est, cum ad
tempus proprietas transferri nequiverit;
nel Codex appare invece:
si praediorum proprietatem dono dedisti ita, ut post mortem eius qui accepit
ad te rediret, donatio valet, cum etiam ad tempus certum vel incertum ea
fieri potest, lege scilicet quae imposita est conservanda 26.
In un decreto profondamente mutilo, risalente ad imperatore incerto e contenuto nei Fragmenta Vaticana si legge:
24
Frg. Vat. 61; D. 7.4.1 pr. grosso 19582, 363-364; provera 1971, 38-39; finkenauer 2010,
348-350.
25
In tal senso cfr. già roby 1886, 174.
26
Frg. Vat. 283; CI. 8.54.2. Appare particolarmente significativo il fatto che, nel riportare la costituzione, i compilatori giustinianei non solo espunsero il riferimento ai praedia provinciali, nel caso specifico quelli stipendiari, ma che ne rimaneggiarono anche il senso; essi vollero esprimere il
principio opposto a quello presente nella costituzione dioclezianea, la quale prevedeva che una
cosa donata non dovesse ritornare ipso iure al donante: amelotti 1953, 98-102; bretone 1962,
220-227; masi 1966, 147; voCi 19672, 206-207; CorCoran 2000, 117 e n. 182, secondo il quale il
termine si potrebbe riferire alle terre di una delle poche province senatorie rimaste nel 286 d.C., ossia
Africa, Asia, Achea, Creta e Cirene; Cuneo 2008, 812-813; Chorus 2014.
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IV. Le fonti giuridiche
89
…p s t i p e n d i a r i i vel tributarii….. non sine traditione donatio perficitur.
Pone igitur sollicitudinem ……egit non tradidisse ea vel quae …..revocanda
non sunt. Proposita non. Oct…..27
In una costituzione di Costantino il fondo stipendiario sembra riassumere la
categoria dei fondi provinciali, in opposizione a quelli Italici. La questione riguarda, in questo caso, le donazioni, che comportano un trasferimento del possesso. Se nel Codex Theodosianus appare
si quis in emancipatum minorem, priusquam fari possit aut habere rei quae
sibi donatur affectum, I t a l i c u m s i v e s t i p e n d i a r i u m f u n d u m
crediderit conferendum, omne ius conpleat instrumentis ante praemissis et
inductione corporaliter impleta,
il Codex Iustinianus riporta integralmente il brano, espungendo solo le espressioni Italicum sive stipendiarium e inductione corporaliter impleta:
si quis in emancipatum minorem, priusquam fari possit aut habere rei quae
sibi donatur affectum, fundum crediderit conferendum, omne ius conpleat
instrumentis ante praemissis 28.
Anche in una costituzione emanata dall’imperatore Giuliano e concernente le
donazioni tra coniugi i terreni italici sono nettamente contrapposti a quelli provinciali, ancora distinti in stipendiarii seu tributarii:
quotiens sponsae in minori constitutae aetate futurae coniugi aliqua conlata
i n p r a e d i i s I t a l i c i s v e l s t i p e n d i a r i i s s e u t r i b u t a r i i s 29.
Queste le poche vestigia del termine stipendiarius nelle fonti giuridiche; probabilmente in origine vi saranno state anche altre menzioni, che il Solazzi ha cercato di ricostruire pazientemente, ma le cui ipotesi rimangono di carattere puramente speculativo30.
Più numerose, invece, come si è detto, le occorrenze del vocabolo tributarius.
Escludendo quelle, summenzionate, nelle quali il termine appare in associazione con
stipendiarius, si può osservare come nel Codex Theodosianus e nel Corpus Iuris
Civilis tributarius sia stato impiegato in dieci casi come aggettivo sostantivato 31
27
Frg. Vat. 289. Come osserva CorCoran 2000, 117, “the tributaria texts (…) could come from
almost anywhere else in the empire”.
28
CTh. 8.12.2; in CI. 8.53.26, che pure riporta il testo della costituzione costantiniana, le parole italicum sive stipendiarium sono eliminate: niCosia 1960, 388-392 e in partic. n. 12; dupont
1963, 16; voCi 1987, 96-98 e n. 5. Sul tema dell’acquisto del possesso da parte dell’infans per tramite di un servus vd. anche watson 1991, 106-107; lambrini 1998, 48-58.
29
CTh. 3.5.8. kaser 19752, 240 e n. 8; voCi 1987, 120-121. Più in generale, sulle donazioni tra
i coniugi e gli interventi normativi dei legislatori vd. andreotti 1964, 855 e n. 36; arChi 1981 (1964),
1014; evans-grubbs 1997, 67 e n. 106; soraCi 2009.
30
solazzi 1963 (1942).
31
Tributarius è aggettivo sostantivato in alcuni editti emanati dagli imperatori Costantino e Licinio nel 319 d.C. (CTh. 11.7.2: vel decurio vel colonus vel tributarius), da Valentiniano e Valente
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90
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e in sedici come attributo riferito a diversi sostantivi indicanti la pressione fiscale,
il più usato dei quali era functio32. Nei Fragmenta Vaticana, che riportano testi più
antichi, invece, tributarius appare attribuito ai fundi, ad un praedium e al solum33.
La distinzione tra i praedia stipendiaria e quelli tributaria che si legge
nell’opera di Gaio continua nei secoli III e IV, quando sono ancora menzionati sia
i praedia stipendiaria34 sia i fundi stipendiarii35, in due o tre casi differenziati dai
corrispondenti «tributari». La distinzione terminologica fra le terre provinciali,
che aveva origine nella suddivisione augustea delle province, rimase inalterata
per secoli, per quella tendenza al conservatorismo propria della burocrazia antica
più volte riscontrabile36.
intorno al 364/5 d.C. (CTh. 5.11.9: unusquisque tributarius), da Valentiniano I, Teodosio e Arcadio
nel 386 d.C.: CTh. 12.6.21pr. = CI. 10.72.9pr. (ut unusquisque tributarius sub oculis constitutis
rerum omnium modis sciat), da Valentiniano e Valente in anno incerto (CTh. 10.12.2.2: si quis etiam
vel tributarius repperitur vel inquilinus ostenditur), da Onorio e Teodosio II nel 412 d.C. (CTh.
7.4.32). Altre occorrenze riguardano i contribuenti della diocesi africana al tempo di Giustiniano
(534 d.C.): CI. 1.27.1.15 (maxime tamen tributariis dioceseos Africanae consulimus); 1.27.1.16
(ergo iubemus omnes violentias et omnes avaritiam cessare et iustitiam atque veritatem circa omnes
nostros tributarios reservari); 1.27.1.18 (nullam habeant necessitatem eiusdem nostrae Africae
tributarios praegravandi); 1.27.2.11 (si autem quisquam de militibus ausus fuerit quamcumque
laesionem tributariis tribuni et principis digna vindicta adficiatur et indemnes tributarii nostri
custodiantur).
32
Ratio tributaria: Alessandro Severo nel 229 d.C. (CI. 5.62.10); emolumenta tributaria: Valentiniano, Valente e Graziano (CI. 11.48.8pr.); tributarius nexus: Valentiniano, Valente e Graziano
nel 371 d.C. (CI. 11.53.1.1); tributariae sortis nexus (come hanno ben rilevato, tra gli altri, kuhn
1864, 284 n. 2115, segrè 1947, 103 n. 4, lo CasCio 1979, 499 e non eibaCh 1980, 55-58 che pensava a coloni tributariae sortis): Teodosio, Arcadio e Onorio (CI. 11.52.1.1); tributaria pensitatio:
Onorio e Teodosio II nel 409 (CTh. 13.5.32=CI. 11.2.4); tributaria inlatio: Onorio e Teodosio II nel
410 d.C. (CTh. 11.22.5); solutio tributaria: Marciano nel 456 d.C. (CI. 10.22.3); tributaria functio:
Valentiniano, Valente e Graziano nel 368 d.C. (CTh. 11.36.19= CI. 7.65.4), Graziano, Valentiniano
II e Teodosio nel 383 d.C. (CTh. 13.10.8.1=CI. 10.25.1), Teodosio, Arcadio e Onorio nel 393 d.C.
(CTh. 13.11.4); tributariae functiones: Onorio e Teodosio II nel 412 d.C. (CTh. 11.7.20), Leone
(CI. 12.29.3.3a), Leone e Antemio nel 468 d.C. (CI. 10.19.8), Leone e Zenone nel 474 d.C.
(CI. 12.25.4.4); Giustiniano nel 529 d.C. (CI. 11.48.20.3); tributariae collationes: Zenone tra il 476
e il 485 d.C. (CI. 1.29.3 e 11.69.2pr.).
33
Fundi: Diocleziano e Massimiano nel 386 d.C. (Frg. Vat. 285); praedium: gli stessi nel 291
d.C. (Frg. Vat. 316: tributarii praedii dominus). In Frg. Vat. 293.1 (Diocleziano e Massimiano
nel 293 d.C.) è associato a res (in donatione rei tributariae) e a solum (in his quidem, quae solo
tributario consistunt). L’associazione con res è ripetuta in Frg. Vat. 315 (dominium rei tributariae
vindicetur, del 291 d.C.). Dato il contesto, è molto probabile che in Frg. Vat. 289 vada sottinteso
fundi.
34
Frg. Vat. 259 (Papiniano): praedium stipendiarium; Frg. Vat. 283 (286 d.C.): praediorum
stipendiariorum proprietatem; CTh. 3.5.8 (Giuliano, nel 363 d.C.): in praediis Italicis vel stipendiariis
seu tributariis.
35
Frg. Vat. 61 (Ulpiano): usus fructus licet in fundo stipendiario vel tributario; CTh. 8.12.2
(Costantino, nel 316 d.C.): Italicum sive stipendiarium fundum; cfr. anche Frg. Vat. 289 (di imperatore incerto), se l’ipotesi secondo la quale va sottinteso il termine fundi è corretta: stipendiarii vel
tributarii…
36
Cfr. supra, § 3.5.
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IV. Le fonti giuridiche
91
Ciò è tanto più sorprendente in quanto, almeno a partire dal II sec. d.C., i termini stipendium e tributum, prima nettamente distinti37, cominciano ad essere percepiti come equivalenti: in tal senso depongono un passo dei Digesta, tratto dall’opera di Ulpiano che a sua volta riporta il parere di Pomponio, e una definizione di
Porfirione, nel commento agli Epodi oraziani38. Tale equivalenza si tradurrà, all’epoca di Giustiniano, nell’abolizione della distinzione tra praedia o fundi italici e provinciali, che a loro volta potevano essere stipendiarii e/o tributarii39.
Se da un lato, dunque, gli attributi stipendiarius e tributarius vengono più o
meno distinti dai giuristi tra il I e il IV sec. d.C., nello stesso periodo i termini
stipendium e tributum si presentano, invece, sempre più semanticamente affini.
Contestualmente si nota, anche nelle fonti giuridiche come già in quelle letterarie40, una marcata preferenza per il vocabolo tributarius rispetto al più antico
stipendiarius.
37
Già marquardt 1884, 184-185 n. 5 faceva rilevare che la differenza era resa evidente dalle
locuzioni stipendium vel tributum (D. 7.1.7.2) e neque stipendium neque tributum (25.1.13), dove
però non è esplicitata in termini di contenuto: neesen 1980, 216-217 n. 3. Vd. anche Cerati 1975,
53. Contra, cfr. invece goffart 1974, 14 n. 44, secondo cui “by Livy’s time, stipendium and tributum
have become interchangeable, suggesting that tributum has acquired the sense of a total”.
38
D. 50.16.27: ‘stipendium’ a stipe appellatum est, quod per stipes, id est modica aera, colligatur.
Idem hoc etiam ‘tributum’ appellari Pomponius ait. Et sane appellatur ab intributione tributum vel
ex eo quod militibus tribuatur; Porph. Hor. epod. 17.136: <Stipendium> quasi tributum uult intellegi.
Cfr. supra, § 1.3.
39
I. 2.1.40.
40
Cfr. supra, § 1.3.
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v. i testi dei gromatiCi: il brano dello pseudo-agennio
5.1. Gli agri stipendiarii
All’epoca di Domiziano va datata, secondo quanto ritiene la maggior parte
della moderna dottrina, un’ampia trattazione redatta da un anonimo autore e riportata da un solo manoscritto (il codice Arceriano B), che, a detta degli editori
moderni (Lachmann e Thulin), costituirebbe la parte iniziale del più tardo scritto
De controversiis agrorum di Agennio1; in un brano di essa, celebre ma notevolmente alterato dalla tradizione, sono menzionati gli agri stipendiarii.
Si riporta qui di seguito il testo, presentato nelle due sue principali edizioni,
quella di Lachmann e quella di Thulin (tab. 2):
Lachmann, pp. 35-36
Thulin, pp. 23-24
Prima enim condicio possidendi haec est ac
per Italiam; ubi nullus ager est tributarius,
sed aut colonicus, aut municipalis, aut alicuius
castelli aut conciliabuli, aut saltus priuati.
At si ad prouincias respiciamus, habent agros
colonicos eiusdem iuris, habent et colonicos qui
sunt inmunes, habent et colonicos stipendiarios.
Habent autem prouinciae et municipales agros,
aut ciuitatium peregrinarum.
Et stipendiarios . . . . . qui nexum non habent,
neque possidendo ab alio quaeri possunt.
Possidentur tamen a priuatis, sed alia condicione:
et ueneunt, sed nec mancipatio eorum legitima
potest esse. Possidere enim illis quasi fructus
Prima enim condicio possidendi haec extat
per Italiam; ubi nullus a[iu]ger est tributarius,
sed aut colonicus aut municipalis, aut alicuius
castelli aut conciliabuli, aut saltus priuati.
At si ad prouincias respiciamus, habent agros
colonici quidem iuris, [habent et colonicos
stipendiarii] qui sunt in[com]munes, habent[em]
et coloni<co>s stipendiarios. Habent autem
prouinciae et municipales agros aut ciuitatium
peregrinarum. Et stipendiarios, qui nexum non
habent neque possidendo ab alio quaeri possunt.
Possidentur tamen a priuatis, sed alia
condicione[m]: et ueneunt, sed nec mancipatio
eorum legitima potest esse. Possidere enim illis
1
grelle 1963, 33-34 e n. 24; Chouquer, favory 2001, 26-27. Un’analisi dettagliata della complessa tradizione manoscritta dei testi dei gromatici è quella offerta da toneatto 1983; toneatto
1994 e 1994-95; si osservi qui solo per inciso che l’Arceriano B presenta “varie annotazioni marginali, emendazioni dello scriba e di almeno quattro mani antiche (…), nonché di tre mani moderne”:
toneatto 1994, 140-141.
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94
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tollendi causa et prestandi tributi condicione
concessum est. Uindicant tamen inter se non
minus fines ex aequo ac si priuatorum agrorum.
Etenim ciuile est debere eos discretum finem
habere, quatenus quisque aut colere se sciat
oportere aut ille qui iure possidet possidere.
Nam et controuersias inter se tales mouent,
quales in agris inmunibus et priuatis solent
euenire.
quasi fructus tollendi causa et praestandi tributi
condicio<ne> concessum est. Uindicant tamen
inter se non minus fines ex aequo ac si
priuatorum agrorum. Etenim ciuile est debere
eos discretum finem habere, quo unus quisque
aut colere se sciat oportere aut ille qui iure
possidet possidere. Nam et controuersias inter
se tales mouent, quales in agris inmunibus et
priuatis solent euenire.
Tab. 2: Il brano dello Pseudo-Agennio menzionante gli agri stipendiarii nelle edizioni Lachmann e
Thulin
Presentiamo qui di seguito una traduzione, basata sul testo dell’edizione Thulin:
Infatti la prima condizione del possedere si riscontra in Italia, dove nessun
campo è gravato da tributi, ma appartiene a una colonia o a un municipium, o
è di qualche castello o di un conciliabulum, o è un saltus di un privato. Ma se
consideriamo le province, esse hanno campi colonici dello stesso diritto, che
sono esenti dalle tasse, e campi colonici soggetti a tassazione. Le province
hanno inoltre anche terre appartenenti a municipia o a città straniere. E terre
sottoposte a tassazione, che non sono soggette a obbligazione né possono essere rivendicate da altri per usucapione. Sono tuttavia possedute da privati
ma a un’altra condizione: le vendono anche, ma non vi può essere legittima
alienazione per loro. Infatti, a loro è concesso di possederle per prenderne i
frutti e con la condizione di pagare il tributo. Tuttavia, rivendicano i confini
fra loro non diversamente dai campi posseduti da privati, giacché è di utilità
pubblica che debbano avere un confine delimitato, in modo che ciascuno sappia o cosa bisogna coltivare o il possessore quello che possiede per diritto. Di
certo anche sollevano controversie tra di loro identiche a quelle che sono solite capitare nelle terre non soggette a tasse e di proprietà privata.
Il passo è stato a lungo discusso e variamente interpretato.
È assolutamente da condividere l’interpretazione di Grelle, secondo cui dal
brano risulterebbe sottolineata “sul piano formale la contrapposizione fra i fondi
direttamente assegnati ai possessori”, ossia quelli colonici, “che hanno una propria individualità gromatica e giuridica nell’ordinamento provinciale, e gli altri
tutti, assorbiti, sotto il profilo fiscale, nel territorium della comunità (civitas o municipium) di cui fanno parte”, cioè i territori dei municipi e delle città peregrine:
mentre gli agri colonici, i soli su cui viene focalizzata l’attenzione dell’agrimensore in questo passo, sarebbero stati soggetti ad un’imponibilità diretta, che gravava sui privati, i campi dei municipi e delle città peregrine sarebbero stati considerati nel loro complesso, come territorio appartenente ad una comunità2.
2
grelle 1963, 35-48 e, in partic. 40; saéz fernández 2002, 413, che però, servendosi dell’edizione Lachmann, continua ad attribuire a Frontino il passo; gagliardi 2006, 235-237. Opportuni rilievi ad alcune conclusioni cui è pervenuto Grelle (vd., ad esempio, la distinzione, parsa artificiosa,
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V. I testi dei gromatici: il brano dello Pseudo-Agennio
95
Ma la differenziazione in cinque classi di agri provinciali, di cui tre coloniarie (agri colonici eiusdem iuris, agri colonici stipendiarii qui sunt inmunes, agri
colonici stipendiarii), operata dallo studioso per salvare il più possibile il testo offerto dalla tradizione manoscritta, non convince appieno. Queste le correzioni proposte da Grelle sulla base dell’edizione proposta da Thulin:
●
●
●
il tradito habent agros colonicos quidem iuris, diventa habent agros
colonici <eius>dem (secondo la correzione di Lachmann non accolta da
Thulin) iuris;
habent et colonicos stipendiarii qui sunt in communes diventa habent et
colonicos stipendiarios qui sunt in[com]munes;
il tradito habentem et colonis stipendiarios diventa habent[em] et coloni<co>s
stipendiarios.
A detta della De Salvo, invece, la contraddizione apparente tra l’immunità e la
condizione degli agri colonici stipendiarii potrebbe essere risolta mantenendo
una parte della lezione del manoscritto, secondo la quale sul suolo provinciale sarebbero esistiti degli agri colonici stipendiarii in commune (habent et colonicos
stipendiarii qui sunt in commune[s]), contrapposti a quelli stipendiarii “di possesso individuale”3. Ma neppure tale interpretazione, che introduce una distinzione
relativa alla tipologia di possesso degli agri colonici stipendiarii, appare pienamente convincente.
D’altro canto, se Grelle individua nel complesso cinque classi di agri provinciali, France, basandosi su una versione del testo dello Pseudo-Agennio che è un misto tra l’edizione di Thulin e quella, precedente, di Lachmann (di cui accoglie, ad
esempio, l’eliminazione della sola parola stipendiarii, ma non la correzione di
quidem in eiusdem), riconosce l’esistenza di tre categorie, tutte stipendiarie4.
Mi sembra, tuttavia, che il senso del brano sia un altro. Si afferma che, dal
punto di vista della condicio possidendi, nei terreni italici era possibile il possesso, mentre quelli provinciali presentavano una situazione più variegata e complessa. In particolare, per gli agri stipendiarii non si poteva parlare di proprietà in
senso stretto perché chi li possedeva disponeva, di fatto, solo dei frutti del raccolto; in questo caso, dunque, il possesso era possibile ma a diversa condizione: essi non erano oggetto di legitima mancipatio, come si è già visto5.
Eppure, come ritiene Grelle, “malamente piegato a schema generale delle condiciones possidendi dal compilatore postclassico, il brano doveva in origine esse-
tra “disponibilità all’imposta fondiaria” e “sottoposizione in atto all’imposta”: grelle 1963, 72) sono stati mossi da luzzatto 1974, 22-23 e lo CasCio 1986, 40-41 n. 38, che fanno rilevare la difficoltà rappresentata dai tentativi di conguaglio tra categorie gromatiche e condizioni giuridiche del
suolo (in tal senso, cfr. già brugi 1897, 101-108 e 165-166).
3
de salvo 1979.
4
franCe 2005, 72-73.
5
Cfr. supra, § 4.1. Vd. anche Chouquer, favory 2001, 99-100; gonzales 2015.
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96
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re un’analisi della situazione giuridica del suolo sottoposto a tributo in comunità
ad ordinamento romano”6.
Propongo, quindi, una lettura del testo tradito diversa da quelle finora presentate (tab. 3)7. Suggerisco di trasferire poco più avanti l’incidentale habent et colonicos
stipendiarii, che Rudorff, seguito da Lachmann nella sua edizione, aveva ritenuto di dover privare del solo termine stipendiarii, e che Thulin considerava, invece,
interamente una glossa; correggo il tradito habentem in qui sunt, intendendo la relativa come un’incidentale esplicativa della frase precedente e ipotizzando in tal
modo una corrispondenza – forse originariamente presente nel testo – tra il periodo
precedente e quello successivo (habent agros… qui sunt / habent et… qui sunt).
Questa, dunque, la lettura da me proposta:
At si ad prouincias respiciamus, habent agros colonicos quidem iuris, [habent
et colonicos stipendiarii] qui sunt in[com]munes, <habent et colonicos
stipendiarii> qui sunt et colonis stipendiarios.
Ma se guardiamo alle province, esse hanno agri colonici di diritto proprio8,
che sono immuni, e hanno agri colonici di diritto stipendiario9, che sono stipendiari anche per i coloni.
6
grelle 1963, 38. Nel prosieguo del discorso vengono trattate questioni concernenti le controversie in materia di confini degli agri provinciali: maganzani 1997, 149-151.
7
Se si eccettuano le correzioni a[c si]<t>, proposta da Lachmann, e quella in[com]munes, suggerita da Rudorff e comunemente accettata (vd., da ultimo, anche Campbell 2000, 334).
8
Intendo così il binomio quidem iuris, sulla scorta di quanto proposto dalla de salvo 1979, 10
n. 14, della cui nota condivido le precisazioni. Il diritto di cui godeva questa tipologia di campi colonici provinciali era lo stesso di quello proprio dei territori appartenenti alle colonie italiche – di cui
il gromatico ha appena parlato –, ma che non per questo deve essere identificato con lo ius Italicum,
non esplicitamente menzionato nel passo: cfr. l’interpretazione data da saumagne 1965b, 83 al brano, letto nell’edizione Thulin, e, soprattutto, de martino 1965, 673-681, che illustra molto chiaramente la non identità tra il diritto colonico e quello Italicum. Il brano dell’anonimo di età domizianea
non farebbe, quindi, esplicito riferimento allo ius Italicum, come vorrebbero, tra gli altri, mazzarino 1974, 365, harmatta 1972, 130 (il quale, addirittura, riporta il passo dello Pseudo-Agennio
leggendo habent agros colonicos Italici iuris!), watkins 1983 (che basa la sua argomentazione proprio sul brano in questione, letto nell’edizione Lachmann) e Campbell 2000, 334: ius Italicum è, in
effetti, una definizione che, al di fuori delle fonti giuridiche, si ritrova solo in Plinio (nat. 3.25.139
e, nella forma ius Italiae, 3.4.25) e in I.Didyma 331 (Ἰταλικοῦ δικαίου). Seguendo il ragionamento
di mazzarino 1974, 365-366, è, tuttavia, possibile ipotizzare che solo successivamente, nel II secolo, si sia compiuta l’identificazione tra la condizione delle colonie italiche e lo ius Italicum.
9
Per salvare la lezione del manoscritto B, sono portata a intendere il tradito stipendiarii
dell’espressione considerata problematica habent et colonicos stipendiarii quale genitivo dipendente dal vocabolo iuris del periodo precedente (habent agros colonicos quidem iuris), che non
modificherei, dunque, come ha fatto Thulin. Mi rendo conto che postulo, in tal modo, un binomio,
*ius stipendiarius, non altrimenti riscontrabile nella documentazione a noi pervenuta (in ciò imitando
l’integrazione *ager stipendiarius del Mommsen che io stessa ho con forza contestato: cfr. supra,
§ 3.1), ma è, d’altra parte, vero che neanche quello di *ager stipendiarius risulta altrove attestato se
non in questo stesso passo, nel quale è impiegato due volte e in entrambe delle quali agros non compare accanto a stipendiarios ma è sottinteso: qui sunt et colonis stipendiarios (…) et stipendiarios…
Tuttavia, anche mantenendo la correzione habent agros colonici quidem iuris, e ammettendo, dunque,
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V. I testi dei gromatici: il brano dello Pseudo-Agennio
97
Lachmann 1848, pp. 35-36
ThuLin 1913, pp. 23
Ricostruzione del testo qui
proposta
At
si
ad
prouincias
respiciamus, habent agros
colonicos eiusdem iuris,
habent et colonicos qui sunt
inmunes, habent et colonicos
stipendiarios. habent autem
prouinciae et municipales
agros,
aut
ciuitatium
peregrinarum. Et stipendiarios
. . . . . qui nexum non habent
neque possidendo ab alio
quaeri possunt.
At si ad prouincias respiciamus,
habent agros colonici quidem
iuris, [habent et colonicos
stipendiarii]
qui
sunt
in[com]munes, habent[em]
et coloni<co>s stipendiarios.
habent autem prouinciae et
municipales
agros
aut
ciuitatium peregrinarum. Et
stipendiarios, qui nexum non
habent neque possidendo ab
alio quaeri possunt.
At si ad prouincias respiciamus,
habent agros colonicos quidem
iuris, [habent et colonicos
stipendiarii] qui sunt in[com]
munes, <habent et colonicos
stipendiarii> qui sunt et colonis
stipendiarios. habent autem
prouinciae et municipales agros
aut ciuitatium peregrinarum10
et stipendiarios, qui nexum non
habent neque possidendo ab
alio quaeri possunt.
Tab. 3: Il brano dello Pseudo-Agennio menzionante gli agri stipendiarii: confronto tra il testo
ricostruito nelle edizioni Lachmann, Thulin e quello proposto in questa sede
Considerati da questa prospettiva, i terreni provinciali, secondo una classificazione che non è inverosimile attribuire allo stesso Augusto11, erano suddivisi in
quattro categorie:
● campi colonici, ossia appartenenti al territorio di una colonia;
● campi appartenenti al territorio di un municipio;
● campi appartenenti al territorio delle città peregrine;
● campi stipendiarii.
I campi stipendiarii sarebbero quelli requisiti ai precedenti proprietari per diritto di conquista, come si è in precedenza osservato12, e di proprietà del popolo
romano, che potevano essere coltivati in cambio del pagamento di un tributo
(possidere enim illis quasi fructus tollendi causa et praestandi tributi condicio<ne>
concessum est).
il termine stipendiarii come attributo degli agri colonici, la sostanza di quanto affermato nel testo
non cambia. Giustamente, anche lo CasCio 1986, 40-41 n. 38 non ritiene di poter considerare riferita esclusivamente agli agri stipendiarii colonici la caratterizzazione degli agri stipendiarii; secondo lo studioso, tuttavia, sarebbero stipendiarii anche gli agri municipali e quelli delle città peregrine, mentre in questa sede si intendono gli agri stipendiarii come categoria a sé stante.
10
Ha probabilmente ragione Campbell 2000, 334, il quale preferisce non accettare il punto che,
nelle edizioni Lachmann e Thulin, interrompe il senso della frase. È, tuttavia, opportuno rilevare che
la frase habent autem prouinciae et municipales agros aut ciuitatium peregrinarum, contenuta nel
folio 49, è stata inserita da Lachmann e Thulin tra quella contenuta nel folio 39 (At si ad prouincias
respiciamus…) e quella del folio 40 (et stipendiarios…): AA.VV. 2005, 32 note ad loc.
11
Cfr. quanto osservato da gonzales 2007, 53 a proposito del ruolo avuto da Augusto nella concezione e nell’organizzazione delle terre.
12
Caes. Gall. 1.44.2: stipendium capere iure belli, quod victores victis imponere consuerint; vd.
supra, § 3.1.
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98
Cristina Soraci
Tra i campi colonici vi era poi un’ulteriore distinzione: alcuni godevano dello
stesso diritto di quelli appartenenti alle colonie italiche ed erano immuni13, mentre altri erano di diritto stipendiario, ossia, viene precisato per evitare incomprensioni, erano soggetti a tributo anche per gli stessi coloni.
Il brano di età domizianea non doveva essere stato ben compreso già all’epoca, probabilmente risalente alla seconda metà del V secolo o agli inizi del VI14, in
cui venne trascritta la sezione B del codice Arceriano, ma non è detto che lo fosse pienamente neppure in precedenza, quando Agennio Urbico lo utilizzò nella
sua opera15. È, del resto, degno di nota il fatto che proprio tra il IV e V secolo
Marziano Capella, pur basandosi sull’opera pliniana, menzionasse nelle province
solo l’esistenza di colonie e tralasciasse le altre categorie istituzionali, ricordando
le restanti città semplicemente come urbes16: dopo la Constitutio Antoniniana e
i profondi mutamenti intercorsi nei secoli successivi, le tipologie istituzionali diverse dalle colonie non devono essere state più pienamente comprese; la stessa sorte era toccata ai campi tributarii e a quelli stipendiarii, la cui distinzione era divenuta inattuale17, e nulla di strano che abbia riguardato anche la differenziazione
tra gli agri colonici… qui sunt immunes e quelli stipendiarii, al punto che i copisti
dell’opera furono indotti a modificare in più punti un brano che non comprendevano più18.
È, infatti, innegabile che, nella forma offerta dalla tradizione manoscritta giunta
fino a noi, il passo risulti poco comprensibile: come si è visto, i moderni che si sono finora occupati del tema hanno di volta in volta cercato di spiegare in modo diverso il senso del brano o sono intervenuti nel dibattito per rifiutare o accettare
solo una parte della lettura di Lachmann o di quella di Thulin.
Per ricostruire il passo restituendo il necessario contesto storico che faceva da
sfondo all’opera e le cui peculiarità si sono perdute nel corso dei secoli, è parso
opportuno attenersi a quella che dovette essere in epoca flavia la differenziazione
13
Le terre assegnate ai veterani d’Orange sarebbero, secondo piganiol 1962, 55 (che leggeva il
testo di Frontino nell’edizione Lachmann), non di diritto italico ma esenti dal tributo. vivenza 1994,
57-58.
14
thulin 1911, 5-6; toneatto 1994, 140.
15
Agennio potrebbe essere stato di origine africana (AA.VV. 2005, XVI-XVII): ciò spiegherebbe il peculiare interesse per la categoria delle terre stipendiarie, menzionate nel brano da lui riportato
e di cui non è traccia negli scritti degli altri agrimensori; in Africa, infatti, il termine stipendiarius
conosce una fortuna praticamente ininterrotta fino al V sec.: cfr. supra, § 2.3, § 3 e infra, Conclusioni 3.
16
Mart. Cap. 6.647. Sulle fonti e sulle caratteristiche dell’opera di Marziano vd. adesso grebe
1999, in partic. 334.
17
Cfr. supra, § 4. Del resto, nel tardoimpero anche i fondi provinciali furono oggetto di una particolare forma di proprietà, che dava “la possibilità di costituirvi un rapporto di natura reale analogo all’usufrutto o alle servitù”: bretone 1962, 226-227; Cannata 1962, 157-159; zuCCotti 2001,
426-427 n. 254.
18
Un processo simile è avvenuto nel caso di un altro brano della medesima opera: guillaumin
2014.
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V. I testi dei gromatici: il brano dello Pseudo-Agennio
99
dei territori apparententi alle diverse tipologie di comunità. In tale contesto, risultano particolarmente utili i dati offerti da una fonte praticamente coeva al testo in
esame, ossia la Naturalis historia di Plinio19, che, pur attingendo a dati di età augustea, manteneva una distinzione ancora attuale alla fine del I sec. d.C.: in essa gli
stipendiarii erano posti nel gradino più basso della gerarchia istituzionale dell’impero, in quanto ben distinti dalle comunità “privilegiate”, ossia colonie, municipi
o popolazioni cui era stato conferito il diritto latino. Date le caratteristiche della
sua opera, Plinio non menziona gli agri colonici, né quelli immuni né quelli soggetti a tributo, ma il riferimento all’immunità di cui godevano alcune colonie20
ne sottintende l’esistenza.
5.2. Sulla tassazione di colonie e municipi provinciali
È, dunque, evidente che, in epoca imperiale, esistevano terre definite “stipendiarie”, ossia terre che, per diritto di conquista, erano state confiscate dai Romani
ai precedenti proprietari e il cui sfruttamento veniva concesso in cambio del pagamento di un tributo; tali terre potevano essere definite praedia stipendiaria, fundi
stipendiarii (fonti giuridiche) o agri stipendiari (brano dello Pseudo-Agennio).
Nel testo dello Pseudo-Agennio, stipendiarius è sinonimo di tributarius e indica, appunto, le «terre sottoposte al pagamento di tributo»; tributarius è usato anche da Frontino, il quale precisa che, diversamente da quanto accade per gli agri
divisi et adsignati, che sono le terre ricadenti nel territorio delle colonie (ager ergo
divisus adsignatus est coloniarum),
in compluribus provinciis tributarium solum per uniuersitatem populis est
definitum 21,
in parecchie province il suolo tributario è delimitato per i popoli nella sua
totalità.
In tale ottica, appare perfettamente condivisibile l’opinione di chi ritiene che
lo statuto base dell’ager provincialis sia lo statuto tributario, mentre la terra assegnata sarebbe l’eccezione22.
La distinzione tra i diversi tipi di campi (colonici, dei municipi, delle città
peregrine, stipendiarii) non vuol dire che le prime tre categorie non fossero soggette a tributo, diversamente dalla quarta; al contrario, se anche la categoria degli agri colonici era parzialmente soggetta a tributo, in quanto facente parte del
tributarium solum provinciale23, lo erano a maggior ragione anche i campi dei
19
Cfr. supra, § 2.1.1.
Plin. nat. 3.2.12. Vd. infra, § 5.2.
21
Frontin. grom. 1.3; franCe 2005, 76.
22
lo CasCio 1991, 145; Chouquer, favory 2001, 101; franCe 2005, 73.
23
Per il binomio tributarium solum vd. Plin. nat. 12.3.6; Frontin. grom. 1.3; Frag.Vat. 293; nello
Pseudo-Agennio (23) si trova, lo si è visto, il binomio ager tributarius.
20
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Cristina Soraci
municipi e delle città peregrine, a meno di particolari esenzioni sporadicamente
concesse.
L’indicazione dell’esenzione dai tributi accordata ad alcune colonie e menzionata nelle fonti24 conferma, infatti, un dato già da tempo considerato acquisito
dalla maggior parte della moderna dottrina: le colonie provinciali, in particolare
quelle fondate dopo Augusto, e i municipi provinciali erano di norma soggetti al
pagamento delle imposte25. Mentre le colonie e i municipi situati sul suolo italico venivano esentati dal pagamento del tributum soli, le colonie e i municipi
provinciali erano tenuti a versarlo, a meno che ne fossero stati esplicitamente esonerati, ciò che avveniva abbastanza di rado e, soprattutto, normalmente per un periodo di tempo stabilito, come nel noto caso di Volubilis, che da Claudio ottenne
immunitatem / annor(um) X26.
Già in epoca repubblicana risulta, peraltro, che le colonie ed i municipi dovessero assolvere alcuni obblighi tributari esplicitamente previsti dagli iura costitutivi dei diversi status politico-istituzionali; Cicerone, infatti, si chiedeva: quae
colonia est in Italia tam bono iure27, quod tam immune municipium, quod per
hosce annos tam comoda vacatione omnium rerum sit usum quam Mamertina
civitas? Nel caso di Messana, l’oratore intendeva alludere ad un’immunità completa ed eccezionale, qui definita vacatio omnium rerum, della quale aveva in precedenza elencato le caratteristiche: vacatio data est ab isto sumptus, laboris, militiae,
rerum denique omnium28; si tratta di quella che altrove è indicata come immunitas
omnium rerum o plenissima immunitas29, di cui, a dispetto delle clausole riportaCfr., ad es., Plin. nat. 4.4.7, 4.4.8, 5.3.23 e 5.33.124; per le fonti epigrafiche si rimanda a quanto osservato più avanti in queste stesse pagine.
25
mommsen 18873, III, 684-685; brugi 1897, 187; kornemann 1900, coll. 579-580; jones 1941,
28-29; vittinghoff 1951, 122 n. 1 (che però fonda la distinzione tra municipi latini soggetti a tributo e municipi latini esenti sull’assunto la cui validità si intende qui contestare, ossia sull’attribuzione, o sulla mancata attribuzione, dell’aggettivo stipendiarius alle varie città); luzzatto 1953, 77;
de martino 1965, 675-676; romanelli 1974, 188-189 e n. 34; bleiCken 1974, 367-391; watkins
1983. Secondo bernhardt 1982, 343-352, le colonie e i municipi avrebbero occasionalmente ricevuto l’immunità dalle tasse dirette (per spagnuolo vigorita 1993, 41, avrebbero goduto dell’esenzione “di regola le colonie e forse anche taluni municipi”), ma non quella dalle tasse indirette; per
quanto concerne il caso delle città libere, esenti dalle imposte dirette, vd. bernhardt 1980, 190-207;
cfr. anche bernhardt 1999.
26
ILAfr. 634= ILM 116= IAM 2.448= FIRA 1.70, su cui vd. bibliografia citata in gagliardi 2006,
238-239. A volte le immunità venivano concesse per periodi di tempo limitati perché erano intese
quali forme di soccorso immediato e temporaneo alle città colpite da calamità naturali, come le eruzioni o i terremoti: soraCi 2004, 469-473.
27
L’espressione bono iure si trova anche in Plaut. Bacch. v. 613, Most. v. 658.
28
Cic. Verr. 2.5.22.58; 2.4.10.23; tale immunità doveva essere eccezionale, come testimonia il prosieguo del discorso che, pur viziato di parzialità retorica, appare su questo punto perfettamente plausibile: per triennium soli non modo in Sicilia verum, ut opinio mea fert, his quidam temporibus in omni
orbe terrarum vacui, expertes, soluti ac liberi fuerunt ab omni sumptu, molestia, munere. Circa l’estrema varietà dell’organizzazione amministrativa e tributaria dei territori italici vd. luzzatto 1953, 74-76.
29
Immunitas omnium rerum: Caes. Gall. 6.14.1 (riferita ai druidi, esenti dal servizio militare e
da ogni tipo di imposta); plenissima immunitas: D. 27.1.17.1; cfr. τῶ]ι ἀρίστωι τε δικαίωι πολεῖται
24
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V. I testi dei gromatici: il brano dello Pseudo-Agennio
101
te nel foedus stipulato con Roma, la città finì (de facto e non de iure) per godere
nel corso della propretura di Verre; di tale immunità, che anche in seguito verrà
concessa solo in pochissime circostanze e a singoli individui o gruppi di persone30,
non usufruivano normalmente neppure le colonie italiche.
Nel corso dell’età imperiale si diffonderà, come si è già detto, la tendenza ad
esigere il pagamento delle imposte dirette sia dalle colonie che dai municipi; per
quanto concerne le prime, è noto il caso di Antiochia testimoniato da un brano del
Digesto, a detta del quale l’elevazione della città al rango di colonia non comportò
l’esenzione della stessa dal pagamento di tributi (divus Antoninus Antiochenses
colonos fecit salvis tributis)31, mentre, al contrario, la città di Cesarea divenne colonia iuris Italici, alla quale Vespasiano tributum […] remisit capitis e Tito etiam
solum immune factum interpretatus est32.
Analogamente può dirsi dei centri che vantavano il diritto latino, da Plinio variamente chiamato Latina condicio33 e Latium34, o che godevano dello ius Italicum
[Ῥωμαῖοι ἀνείσ]φο[ρ]οι dell’epigrafe di Rhosos (FIRA I, 55 = IGLSyr, III, 1, nr. 718, ll. 21-22, per
cui vd. la n. successiva). Circa l’espressione optimo iure o optima lege (e i suoi equivalenti greci) vd.
Ciapessoni 1930, 663-664 e n. 49; Cornioley 1983, 37-38.
30
È il caso, ad esempio, del navarca Seleuco di Rhosos e della sua famiglia, cui dopo il 30 a.C.
fu accordata non solo la cittadinanza, ma anche l’esenzione fiscale sul patrimonio (πολειτείαν
καὶ ἀνεισφορίαν πάντων τῶν ὑπαρχόντων) in virtù dei meriti che egli acquisì nei confronti di
Ottaviano e, dunque, del popolo romano (significativa, nel testo, l’iniziale adozione del pronome personale ἡμεῖς e il successivo impiego dei termini δημόσιος / δήμος τοῦ Ῥωμαίων: le sorti
dell’imperatore, indicate con un pluralis maiestatis, finiscono per identificarsi con quelle del
popolo romano), per il quale combatté e sopportò molti e grandi pericoli:[ἐπει Σέλευκος]
Θεοδότου Ῥωσεὺς συνεστρατεύσατο ἡμεῖν ἐν τοῖς κατὰ τὴν / Ἰταλίαν (vel Σικελίαν) τό]ποις,
ὄντων αὐτοκρατόρων ἡμῶν, πολλὰ καὶ μεγάλα περὶ ἡμῶν ἐκακοπά- / [θησεν ἐκιν]δύνευσέν τε,
οὐδενὸς φεισάμενος τῶν πρὸς ὑπομονὴν δεινῶν, / [καὶ πᾶσαν] προαίρεσιν πίστιν τε παρέσχετο
τοῖς δημοσίοις πράγμασιν, τούς τε / [ἰδίους καιρ]οὺς τῆι ἡμετέραι σωτη[ρίαι] συνέζευξεν πᾶσάν
τε βλάβην περὶ τῶν / [δημοσίων π]ραγμάτων τοῦ δήμο[υ] το[ῦ] Ῥׅωׅμׅαίων ὑπέμεινε, παροῦσιν
καὶ ἀποῦσιν [ἡμεῖν χρη]στὸς ἐγένετο (FIRA I, 55= IGLSyr, III, 1, nr. 718, ll. 12-18= raggi 2006,
di cui si accolgono in questa sede le integrazioni); circa la distinzione, nelle fonti di epoca augustea, tra nuovi cittadini gratificati dell’immunitas e nuovi cittadini soggetti, invece, alla tassazione vd. ivi, in partic. pp. 113-114. A favore di un’inclusione automatica dell’immunitas tra i
diritti concessi agli individui gratificati a titolo personale della cittadinanza romana si era, invece,
schierato link 1995.
31
D. 50.15.8.5; circa il provvedimento, assunto da Caracalla (secondo quanto ha, con ragioni
convincenti, dimostrato già mommsen 1905b, 167-168) forse pochi mesi prima della Constitutio
Antoniniana, vd. downey 1939-40 e 1961, 245-246 e n. 51, ove ulteriore bibliografia; Carrié 2005, 273.
32
D. 50.15.8.7. Vd. mazzarino 1974, 363-366.
33
Plin. nat. 3.14.91; analoga espressione in Suet. Vesp. 3.1 (mentre in Aug. 47.1 Svetonio parla
di Latinitas, come già Cic. Att. 14.12.1). Le città dotate del diritto latino venivano definite oppida
Latina (Plin. nat. 3.5.35 e 5.36, 11.77; 5.4.29; cfr. anche Liv. 8.13.12 e Hist. Aug. Hadr. 19.1) o
oppida Latinorum (nat. 3.4.18, 5.32, 9.70; 5.1.19).
34
Plin. nat. 3.3.7, 4.25 e 30, 24.135; 4.35.117; 5.1.20. Cfr. anche Tac. hist. 3.55; Plin. paneg.
37.3 e 39.2. Circa l’intento di Plinio di “giocare” col termine che indicava non solo il privilegio, ma
anche la regione che quel privilegio aveva visto nascere, cfr. zeCChini 1990, 141. L’espressione ius
Latii è, invece, più tarda: si trova usata in Ascon. Pis. 3, Tac. ann. 15.32 e Gai inst. 1.95: sul punto
e, più in generale, sul diritto latino vd. le roux 1998.
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(un’espressione in uso nell’età imperiale e volta a indicare un privilegio non più
prerogativa di una sola regione – il Lazio –, ma di tutto il suolo italico)35: tra tutte le popolazioni del conventus Scardonitanum (in Liburnia, Illirico) che godevano dello ius Italicum, solo ai cittadini di Asseria era stata concessa l’immunità36.
Il Digesto, inoltre, riporta un passo del giurista Paolo dal quale si desume che gli
abitanti della città di Barcino godessero non solo dello ius Italicum, ma anche
dell’immunità: Barcinonenses quoque ibidem immunes sunt37.
La maggioranza delle città provinciali, dunque, veniva sottoposta al pagamento di imposte di varia natura, com’era, del resto, ovvio, pena la laceratio dell’impero paventata da Tacito a proposito degli avventati provvedimenti presi da Vitellio: quest’imperatore, infatti, aveva iniziato a foedera sociis Latium externis
dilargiri, his tributa dimittere, alios immunitatibus iuvare, non curandosi delle
sorti future dell’impero (denique nulla in posterum cura lacerare imperium), la
cui economia poggiava principalmente sulla riscossione dei tributi; Vitellio, dunque, “lacerava” l’impero sia sul piano politico, stipulando trattati con gli alleati e
elargendo il diritto latino a stranieri, sia su quello economico-tributario, condonando le imposte e concedendo esenzioni fiscali38.
Dunque, la suddivisione dei terreni provinciali presentata dalla fonte di Agennio non aveva come obiettivo principale quello di distinguere i campi provinciali esenti dal pagamento dell’imposta da quelli che non lo erano, giacché le terre
provinciali per loro natura erano tutte sottoposte al tributo (al contrario di quanto
accadeva per Italiam, ubi nullus ager est tributarius)39 e le immunità venivano
concesse solo eccezionalmente. Lo Pseudo-Agennio presenta, invece, come ha
già rilevato Grelle, “un’analisi della situazione giuridica del suolo sottoposto a
tributo”40 adoperando una classificazione molto simile a quella riscontrabile
nell’opera di Plinio41, che vede le terre stipendiarie nel gradino più basso della gerarchia istituzionale dell’impero, in quanto non appartenenti al territorio di nessuna comunità “privilegiata” (colonia, municipio o città peregrina).
35
Plin. nat. 3.25.139; cfr. anche D. 50.15.1 e 6-8. kornemann 1990, coll. 579-580 osservava
che spesso, ma non sempre (come invece ritengono, tra gli altri, mommsen 18873, III, 809, gaudemet 1967, 513-514 e fuhrmann 2012), il conferimento dello ius Italicum comportava l’immunità
per le città alle quali era stato conferito: sul tema, che, com’è ovvio, è stato molto dibattuto, vd. innanzi tutto mazzarino 1974, ma anche hinriChs 1974, 147-157; soraCi 1982, 82-83; gonzáles
román 1994; vivenza 1994, 108; saquete Chamizo 2000.
36
Plin. nat. 3.25.139. In tal senso, cfr. già mazzarino 1974, pp. 363-366.
37
D. 50.15.8.pr.
38
Tac. hist. 3.55. Sul passo e, in più in generale, sulla politica di Otone e Vitellio in materia di
concessione di privilegi, vd. migliario 1997, in partic. 227-229. Similmente, Cicerone (Manil. 17)
aveva definito le imposte (vectigalia) nervos […] rei publicae: günther 2008.
39
La sottoposizione all’imposta dei terreni provinciali induce, infatti, lo CasCio 1986, 40-41 n. 38
a ritenere che “stipendiarius (come poco più sopra tributarius) si riferisca in genere agli agri provinciali contrapposti agli Italici”; in tal senso vd. anche franCe 2005, 73.
40
Vd. supra, § 5.1, n. 6.
41
Cfr. supra, § 2.1.1.
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V. I testi dei gromatici: il brano dello Pseudo-Agennio
103
Non si può non rilevare, tuttavia, anche in questo caso un’estrema fluidità della terminologia in riferimento alla definizione dei terreni provinciali42, che in alcune fonti gromatiche sono definiti tributarii, in altre stipendiarii, in altre ancora
vectigales43: una simile variabilità semantica va attribuita alla pluralità dei contesti, differenti sia sul piano storico che su quello tematico, e alla diversità degli
obiettivi che caratterizzano i brani in cui i termini sono impiegati.
42
Al punto che si è potuto parlare, a mio avviso esagerando, di “propriété sans nom”: Chouquer,
favory 2001, 99.
43
Tale osservazione era già di naber 1919, 420. Per quanto concerne l’uso di tributarius in riferimento ai terreni provinciali vd. ad es. Frontin. grom. 1.3, per stipendiarius cfr. il testo dello
Pseudo-Agennio, per vectigalis l’opera di Igino, che lo adopera, tuttavia, solo in riferimento alla
parte dei campi privati destinata al pascolo (compascua) o all’ager arcifinius: Hyg. grom. 15.6 e 20.
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ConClusioni
L’analisi condotta nel presente volume consente di affermare che nel mondo
antico il termine stipendiarius assunse diverse sfumature di significato, tutte riconducibili all’ambito della subordinazione.
1. Dagli uomini alle terre: ambiti d’uso del termine stipendiarius
In base all’esame delle testimonianze (si tratta di 85 occorrenze in totale: 65
occorrenze delle fonti letterarie, 6 delle fonti epigrafiche, 11 delle fonti giuridiche
e 3 del testo dello Pseudo-Agennio) si può rilevare che stipendiarius (tab. 4):
● era normalmente usato, in funzione di sostantivo (23 occorrenze, comprese le 6 in cui riveste il significato di «soldato mercenario») o come aggettivo per indicare singoli popoli o persone (15 occorrenze), la plebs (2 occorrenze), una multitudo (2 occorrenze), una secta (1 occorrenza);
● poteva essere attribuito all’Italia nella sua totalità (2 occorrenze), a intere
province (8 occorrenze), o a singole città: civitates (8 occorrenze), urbes
(1 occorrenza), oppida (7 occorrenze, tutte nella Naturalis historia);
● in un solo caso, ossia nel noto brano di Cicerone, lo si trova riferito al termine vectigal1;
● in un altro è attribuito in senso figurato alle lacrimae;
● nelle fonti giuridiche dell’epoca imperiale veniva riferito anche ai praedia
(8 occorrenze) e ai fundi (3 occorrenze) provinciali;
● in un solo testo, almeno stando alla documentazione pervenuta, viene attribuito agli agri (2 o 3 occorrenze: tale variabilità dipende dall’esclusione o
dall’inclusione dell’occorrenza che, nell’interpretazione offerta in questa sede, si riferirebbe ad un non altrimenti attestato binomio *ius stipendiarium)2.
L’espressione ager stipendiarius presente nella lex agraria del 111 a.C. è, invece, frutto, come si è visto, di un’integrazione del Mommsen.
1
2
Cic. Verr. 2.3.6.12: vectigal est certum, quod stipendiarium dicitur. Vd. supra, § 2.2.1.
Ps. Agenn. grom. 23.
Occorrenze
Brani
Bell. Afr. 43.1: et VIII cohortibus s t i p e n d i a r i i s <que> Numidis Gaetulis que obsidebat;
Liv. 8.8.3: dein, postquam s t i p e n d i a r i i facti sunt, scuta pro clipeis fecere;
Flor. epit. 2.8.8: nec abnuit ille de s t i p e n d i a r i o Thrace miles;
Tac. ann. 4.73: et aliam quadringentorum manum occupata Cruptorigis quondam s t i p e n d i a r i < i > villa;
Leo M. serm. 69.3: famulis itaque suis et s t i p e n d i a r i i s vehementius incitatis;
TitAq. 2, 806: sti[pendi(orum)] XVII h(ic) s(itus) e(st) / Fronto s t i p a n d i ( a r i u s ) .
Aggettivo
sostantivato:
“sottomesso”
17
Cic. div. in Caec. 3.7: populatae, vexatae, funditus eversae provinciae, socii s t i p e n d i a r i i q u e populi
Romani adflicti…;
Cic. Pis. 41.98: quem socii, quem foederati, quem liberi populi, quem s t i p e n d i a r i i ;
Cic. leg. 3.18.41: quos socios res publica habeat, quos amicos, quos s t i p e n d i a r i o s ;
Cic. prov. 5.10: vectigalis multos ac s t i p e n d i a r i o s liberavit;
Cic. Verr. 2.4.60.134: apud eos autem quos vectigalis aut s t i p e n d i a r i o s fecerant tamen haec relinquebant,
ut illi, quibus haec iucunda sunt quae nobis levia videntur, haberent haec oblectamenta et solacia servitutis;
Cic. Balb. 9.24: nam s t i p e n d i a r i o s ex Africa, Sicilia, Sardinia, ceteris provinciis multos civitate donatos
videmus;
Caes. Gall. 7.10.1: ne s t i p e n d i a r i i s Haeduorum expugnatis cuncta Gallia deficeret;
Liv. 41.17.2: s t i p e n d i a r i i s veteribus duplex vectigal imperatum exactumque;
Tac. ann. 4.20.1: saevitum tamen in bona, non ut s t i p e n d i a r i i s pecuniae redderentur, quorum nemo
repetebat, sed liberalitas Augusti avulsa, computatis singillatim quae fisco petebantur;
Ascon. Pis. 15: quod populari illi sacerdoti sescentos ad bestias s o c i o s s t i p e n d i a r i o s q u e misisti;
Aur. Vict. Caes. 39.45: simul annona urbis ac s t i p e n d i a r i o r u m salus anxie solliciteque habita;
Aug. in Iob 31: s t i p e n d i a r i i ecclesiae;
CIL 1.585, ll. 78 e 80: […]i Romanei esse oportet oportebitue, is s t i p e n d i a r i e i ‹ s › det adsignetue…;
ex‹t›ra‹que› eum agrum, quei ager ex h(ac) l(ege) priuatus factus erit, quo pro agro loco ager locus redditus
commutatusue [non erit, extr]a≥que eum agrum locum, quem IIuir ex h(ac) l(ege) s t i p e n d i a r i e i s dederit
adsignaueritue, quod eius ex h(ac) l(ege) in ‹f›o//rmam publicam rellatum…
CIL 1.2513: Q. Numerio Q. f. / Rufo q. / s t i p e n d i a r i e i / pagorum Muxsi / Gususi Zeugei;
CIL 8.68: P. Sulpicio Quirinio C. Valgio co(n)s(ulibus) / Senatus populusque civitatium s t i p e n d i a r i o r u m
/ pago Gurzenses hospitium fecerunt;
CIL 8.25902, col. IV ll. 31-33: s t i p e n d i a r i o r [ u m qui intra f(undum) Vill<a>e Magn<a>e sive M]
appa/li<a>e Sig<a>e habitabu[nt.
Copia autore
6
Cristina Soraci
Aggettivo
sostantivato:
soldato
mercenario
106
Classificazione
Singoli
individui
stipendiarii
2
Liv. 21.41.7: an vectigalis s t i p e n d i a r i u s q u e et servus populi Romani a patre relictus;
Suet. Iul. 71.1: Masintham nobilem iuvenem (…) s t i p e n d i a r i u m quoque pronuntiatum et abstrahentibus
statim eripuit.
Reges
stipendiarii
1
Iustin. 11.5.2-3: Sed nec suis, qui apti regno videbantur, pepercit, ne qua materia seditionis procul se agente in
Macedonia remaneret et reges. s t i p e n d i a r i o s conspectioris ingenii ad commilitium se cum trahit.
Stipendiarii
aratores
1
Bell. Afr. 20.4: priore anno enim propter adversariorum dilectus, quod s t i p e n d i a r i i aratores milites
essent facti, messem non esse factam.
Copia autore
Caes. Gall. 1.36.3: Haeduos sibi, quoniam belli fortunam temptassent et armis congressi ac superati essent,
s t i p e n d i a r i o s esse factos;
Liv. 22.54.11: compares cladem ad Aegates insulas Carthaginiensium proelio navali acceptam, qua fracti
Sicilia ac Sardinia cessere, inde vectigales ac s t i p e n d i a r i o s fieri se passi sunt;
Plin. nat. 3.14.91: s t i p e n d i a r i i Assorini, Aetnenses, Agyrini, Acestaei, Acrenses, Bidini, Citarini (…);
Plin. nat. 3.4.23-25: s t i p e n d i a r i o r u m Aquicaldenses, Aesonenses, Baeculonenses (…);
s t i p e n d i a r i o s Arcobrigenses, Andelonenses, Aracelitanos, Bursaonenses, Calagurritanos qui
Fibularenses cognominantur, Conplutenses, Carenses, Cincienses, Cortonenses, Damanitanos, <I>spallenses,
Ilursenses, Iluberitanos, <I>acetanos, Libienses, Pompelonenses, Segienses (…);
s t i p e n d i a r i o r u m autem celeberrimi Alabanenses, Bastitani, Consaburrenses, Dianenses, Egelestani,
Ilorcitani, Laminitani, Mentesani qui et Oretani, Mentesani qui et Bastuli, Oretani qui et Germani
cognominantur, caputque Celtiberiae Segobrigenses, Carpetaniae Toletani Tago flumini inpositi, dein
Viatienses et Virgilienses;
Plin. nat. 4.35.117-118: s t i p e n d i a r i o r u m quos nominare non pigeat, praeter iam dictos in Baeticae
cognominibus, Augustobrigenses, Aemin<i>enses, Aranditani, A<r>abricenses, Balsenses, Caesarobrigenses,
Caperenses, Caur<i>enses, Colarni, Cibilitani, Concordienses, E<l>bocori, Intera<n>n<i>enses,
Lancienses, Mirobrigenses qui Celtici cognominantur, Medubrigenses qui Plumbari, Ocelenses, Turduli qui
Bardili et Tapori;
Eutr. 6.17: Britannis mox bellum intulit, quibus ante eum ne nomen quidem Romanorum cognitum erat; eos
quoque victos obsidibus acceptis s t i p e n d i a r i o s fecit;
Ps. Aur. Vict. epit. 1.7: Pannonios s t i p e n d i a r i o s adiecit.
Beda de temp. ratione 66.253: Caesar Germanos et Gallos capit, et Brittanos quoque, quibus ante eum ne
nomen quidem Romanorum cognitum fuerat, victos obsidibus acceptis s t i p e n d i a r i o s fecit.
107
10
Conclusioni
(Populi)
stipendiarii
Stipendiaria
plebs, secta,
multitudo
5
Liv. 34.4.9: quid legem Cinciam de donis et muneribus nisi quia vectigalis iam et s t i p e n d i a r i a plebs esse
senatui coeperat?
Tert. fug. 12: Cum igitur nihil nobis Caesar indixerit in hunc modum s t i p e n d i a r i a e sectae;
Aug. in psalm. 90.2.2: item multi qui se sperabant ad dexteram futuros, in plebe sancta stipendiaria tamquam
provinciales, qui annonam militibus praebent, quibus dici habet;
Aug. serm. 351.3.5: quanto magis caetera s t i p e n d i a r i a multitudo;
Aug. c.Faust. 5.9: sed huic militiae christianae propter quoddam quasi commercium caritatis subiungitur
etiam quaedam s t i p e n d i a r i a multitudo.
Provincia
stipendiaria
8
Vell. 2.38.1: haud absurdum uidetur propositi operis regulae paucis percurrere quae cuiusque ductu gens ac
natio redacta in formulam provinciae s t i p e n d i a r i a facta sit;
Vell. 2.37.5: Syria s t i p e n d i a r i a ;
Vell. 2.38.4: Hispaniae (…) universa (…) facta s t i p e n d i a r i a est;
Vell. 2.39.2: paene idem facta Aegypto s t i p e n d i a r i a , quantum pater eius Galliis;
Vell. 2.39.3: Cappadocia s t i p e n d i a r i a ;
Vell. 2.97.4: Germania sic perdomuit eam ut in formam paene s t i p e n d i a r i a e redigeret provinciae;
Flor. epit. 1.33.7: isque statim capta Carthagine et aliis urbibus, non contentus Poenos expulisse,
s t i p e n d i a r i a m nobis provinciam fecit;
Hier. in Matth. 3.22.15: nuper sub Caesare Augusto Iudea subiecta Romanis, quando in toto orbe est celebrata
descriptio, s t i p e n d i a r i a facta fuerat.
Italia
stipendiaria
2
Liv. 24.47.6: percontantibus Romanis quid sibi vellent Arpini, quam ob noxam Romanorum aut quod meritum
Poenorum pro alienigenis ac barbaris Italici adversus veteres socios Romanos bellum gererent et vectigalem
ac s t i p e n d i a r i a m Italiam Africae facerent;
Tac. ann. 11.22: mox duplicatus numerus, s t i p e n d i a r i a iam Italia et accedentibus provinciarum
vectigalibus.
Copia autore
Aug. catech. rud. 23.43: illos autem tamquam s t i p e n d i a r i o s provinciales apostolica doctrina constituit.
Cristina Soraci
1
108
Stipendiarii
provinciales
Caes. Gall. 1.30.3: reliquasque civitates s t i p e n d i a r i a s haberent;
Liv. 37.53.3-4: cui dubium est, quin et a nobis aversuri sint non eas modo ciuitates, quae liberabuntur, sed
etiam veteres s t i p e n d i a r i a s nostras;
Liv. 31.31.9: civitates quae in parte Carthaginiensium fuerunt et uno animo cum illis adversus nos bellum
gesserunt, s t i p e n d i a r i a s nobis ac vectigales esse;
Liv. 34.57.10: ex eo genere cum Antiochus esset, mirari se quod Romani aequum censeant leges ei dicere quas
Asiae urbium liberas et immunes, quas s t i p e n d i a r i a s esse velint, quas intrare praesidia regia regemque
vetent;
Liv. 35.16.3-6: Eandem de Zmyrna, Lampsaco civitatibusque quae Ioniae aut Aeolidis sunt causam ab Antiocho
accipite. Bello superatas a maioribus et s t i p e n d i a r i a s ac vectigales factas in antiquum ius repetit;
Liv. 37.55.6: ceterae civitates Asiae, quae Attali s t i p e n d i a r i a e fuissent, eaedem vectigal Eumeni
penderent; quae vectigales Antiochi fuissent, eae liberae atque immunes essent;
Liv. 38.39.7-8: civitatium autem cognitis causis decem legati aliam aliarum fecerunt condicionem. Quae
s t i p e n d i a r i a e regi Antiocho fuerant et cum populo Romano senserant, iis immunitatem dederunt; quae
partium Antiochi fuerant aut s t i p e n d i a r i a e Attali regis, eas omnes vectigal pendere Eumeni iusserunt;
Liv. 28.25.9: leniter agi placuit et missis circa s t i p e n d i a r i a s civitates exactoribus stipendii spem
propinquam facere;
Serv. Aen. 3.20: quod autem de Libero diximus, haec causa est, ut signum sit liberae civitatis: nam apud
maiores aut s t i p e n d i a r i a e erant, aut foederatae, aut liberae.
Oppida
(sottinteso o
no) stipendiaria
7
Plin. nat. 3.3.7: oppida omnia numero CLXXV, in iis coloniae VIIII, municipia c. R. X, Latio antiquitus donata
XXVII, libertate VI, foedere III, s t i p e n d i a r i a CXX;
Plin. nat. 3.3.12: s t i p e n d i a r i a Callet, Callicula, Castra Gemina, Ilipula Minor, Marruca, Sacrana,
Obulcula, Oningi, Sabora, Ventip<p>o;
Plin. nat. 3.3.15: s t i p e n d i a r i a Besaro, Belippo, Barbesula, <B>lacippo, Ba<e>sip<p>o, Callet, Cappa
cum Oleastro, I<p>tuci, <I>brona, Lascu<t>a, Saguntia, Saudo, Vsaepo;
Plin. nat. 3.4.20: Dianium stipendiarium;
Plin. nat. 3.4.18: oppida CLXXVIIII, in iis colonias XII, oppida civium Romanorum XIII, Latinorum veterum
XVIII, foederatorum unum, s t i p e n d i a r i a CXXXV;
Plin. nat. 4.35.117: tota populorum XLV, in quibus coloniae sunt quinque, municipium civium Romanorum,
Latii antiqui III, s t i p e n d i a r i a XXXVI;
Plin. nat. 5.4.29: o p p i d u m s t i p e n d i a r i u m unum Castriis Corneliis.
Copia autore
9
Conclusioni
Civitates, urbes
stipendiariae
109
Stipendiariae
lacrimae
1
Ambr. obit. Valent. 2: solvamus bono principi s t i p e n d i a r i a s lacrimas, quia ille nobis solvit etiam mortis
suae stipendium.
Praedia
stipendiaria
8
Gai Inst. 2.14a: item s t i p e n d i a r i a praedia et tributaria non mancipi sunt;
Gai Inst. 2.21: in eadem causa sunt provincialia praedia, quorum alia s t i p e n d i a r i a , alia tributaria
vocamus. S t i p e n d i a r i a sunt ea quae in his provinciis sunt quae propriae populi Romani esse intelleguntur;
I. 2.1.40: Itaque s t i p e n d i a r i a quoque et tributaria praedia eodem modo alienantur. Vocantur autem
s t i p e n d i a r i a et tributaria praedia;
Frg. Vat. 259: mulier sine tutoris auctoritate p r a e d i u m s t i p e n d i a r i u m instructum non mortis causa
Latino donauerat;
Frg. Vat. 283: Si p r a e d i o r u m s t i p e n d i a r i o r u m proprietatem dono dedisti ita;
CTh. 3.5.8: i n p r a e d i i s I t a l i c i s v e l s t i p e n d i a r i i s s e u t r i b u t a r i i s .
Fundi
stipendiarii
3
Frg. Vat. 61: proinde usus fructus licet i n f u n d o s t i p e n d i a r i o v e l t r i b u t a r i o ;
Frg. Vat. 289: s t i p e n d i a r i i vel tributarii….. non sine traditione donatio perficitur;
CTh. 8.12.2: I t a l i c u m s i v e s t i p e n d i a r i u m f u n d u m crediderit conferendum.
Agri
stipendiarii
2+ *ius
stipendiarium?
Ps. Agenn. grom.: At si ad prouincias respiciamus, habent agros colonicos quidem iuris, [habent et colonicos
stipendiarii] qui sunt in[com]munes, <habent et colonicos s t i p e n d i a r i i > qui sunt et colonis
s t i p e n d i a r i o s . habent autem prouinciae et municipales agros aut ciuitatium peregrinarum et
s t i p e n d i a r i o s , qui nexum non habent neque possidendo ab alio quaeri possunt.
Tab. 4: Usi del termine stipendiarius
Copia autore
Cic. Verr. 2.3.6.12: Inter Siciliam ceterasque provincias, iudices, in agrorum vectigalium ratione hoc interest,
quod ceteris aut impositum vectigal est certum, quod s t i p e n d i a r i u m dicitur, ut Hispanis et plerisque
Poenorum quasi victoriae praemium ac poena belli, aut censoria locatio constituta est, ut Asiae lege Sempronia.
Cristina Soraci
1
110
Vectigal…
stipendiarium
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Conclusioni
111
Nelle fonti dell’epoca repubblicana, dunque, lo stipendium non appare mai come tassa sui terreni, ma viene anzi generalmente distinto da tutto ciò che concerne
l’ambito agrario. Unica, ipotetica, eccezione, la suddetta lex agraria l. 77, dove sono menzionati homines (verosimilmente gli stipendiarii di cui si parla nella riga
successiva) quos stipendium [pro eo agro populo Romano pendere oportet, ma anche questa frase è frutto dell’integrazione del Mommsen ad una grossa lacuna del
testo. In questa sede si propone, invece, una diversa integrazione del passo, peraltro già avanzata da Rudorff: quos stipendium [populo Romano dare oportet3.
Nei testi di età imperiale, al contrario, il termine inizia ad apparire quale attributo riferito ai terreni: è indicativo che tale trasferimento metonimico avvenga
esclusivamente nei documenti ascrivibili alla cancelleria ufficiale, ossia nelle opere giuridiche e gromatiche4.
Al già osservato processo di scomparsa del vocabolo stipendiarius se ne affiancò, dunque, uno analogo, per il quale tra il I e il IV secolo nei documenti
provenienti dalla cancelleria ufficiale vennero qualificate come stipendiarie solo le terre e non più le persone, col plausibile intento, seppur non manifesto, di
trasferire su oggetti inanimati il “marchio di sottomissione” insito nel termine
stipendiarius5.
2. Il lessico della sottomissione: l’uso del termine stipendiarius nelle fonti
letterarie
Se si eccettuano le occorrenze, poco numerose tra le fonti letterarie e limitate
a una in quelle epigrafiche, in cui esso indica il soldato mercenario, nelle testimonianze pervenute il vocabolo riveste il significato più generico di «individuo sottomesso» o quello, più specifico, di «soggetto a tributo», sebbene non sempre si
possa determinare l’esatta accezione con la quale il termine era impiegato e sebbene i due concetti siano in alcuni casi indissolubili: in concreto, la sottomissione
politica di cui erano stati oggetto i popoli sconfitti da Roma si era spesso tradotta in una sottoposizione al tributo, che era un vero e proprio “marchio di sottomissione”, secondo l’affermazione cesariana più volte citata: stipendium capere
iure belli, quod victores victis imponere consuerint 6.
Per le stesse ragioni, stipendiarius non può essere considerato sempre equivalente all’espressione «individui soggetti al pagamento dello stipendium»,
giacché, come si è visto, in molti casi appare più corretto tradurlo col generico
«tributario». Tali considerazioni hanno portato a rivedere alcuni luoghi comuni
3
Supra, § 3.1.
Unica testimonianza di stipendiarius quale attributo, evidentemente figurato, riferito ad un oggetto, nel caso specifico le lacrime, e non ad un individuo è il passo di Ambr. obit. Valent. 2: solvamus
bono principi stipendiarias lacrimas, quia ille nobis solvit etiam mortis suae stipendium. Vd. supra, 2.3.
5
Supra, § 1.3.
6
Caes. Gall. 1.44.2.
4
Copia autore
112
Cristina Soraci
della moderna storiografia, secondo cui, ad esempio, sia l’espressione ciceroniana vectigal certum, quod stipendiarium dicitur sia l’uso del termine stipendiarii
nella Naturalis historia pliniana sarebbero stati inequivocabilmente indice del pagamento, da parte dei provinciali, di un solo tipo di tributo, fisso e in moneta, ossia
lo stipendium7.
È più probabile, invece, che stipendiarii abbia designato in un primo momento (sin dal IV sec. a.C.?) le popolazioni vinte in guerra e soggette al pagamento
dello stipendium8, inizialmente in modo occasionale, successivamente con cadenze
regolari.
In seguito, per estensione, il termine sarebbe passato a indicare i contribuenti in genere, distinti dalle popolazioni «socie» o «federate», «libere», «amiche»:
questo è il significato con il quale viene impiegato in alcuni passi di Cicerone, dove ricorrono le prime attestazioni del vocabolo nelle fonti letterarie a noi pervenute9, e che si impose probabilmente tra la fine dell’epoca repubblicana e l’epoca
imperiale. Esempi significativi in tal senso sono rappresentati dai brani di Cesare
e Livio, dove stipendiarius è usato tra l’altro per indicare rapporti di subordinazione tra popoli stranieri, e probabilmente anche in Svetonio10; Velleio Patercolo è
l’autore che lo impiegherà più diffusamente in tal senso. Analoga gerarchia valoriale, che rimonta a differenze di tipo istituzionale, è quella presentata da Plinio,
nella cui Naturalis historia il termine continua a ricorrere prevalentemente nella
sua generica accezione di «sottomesso» per designare alcune comunità e distinguerle dalle popolazioni che, a vario titolo, potevano vantare status giuridico-amministrativi considerati più favorevoli: le colonie, i municipi, le città di diritto
latino, ecc…11
3. La peculiare situazione africana
È, tuttavia, significativo che la prima occorrenza in assoluto del termine appaia in un testo epigrafico-giuridico, la ben nota lex agraria del 111 a.C., e in riferimento alla situazione africana: proprio in terra d’Africa, dove si trovava il più
acerrimo nemico di Roma, stipendiarius è stato impiegato in maniera relativamente precoce – se si considera che i territori africani furono annessi alla Repubblica solo nel 146 a.C. – e ha conosciuto una considerevole continuità d’uso almeno fino al II sec. d.C. nelle fonti epigrafiche e fino al V sec. d.C. in quelle
letterarie, come attestano le opere di Tertulliano e Agostino.
7
Cfr. supra, § 2.1.1 (occorrenze nella Naturalis historia) e 2.2.1 (Cic. Verr. 2.3.6.12: vectigal
est certum, quod stipendiarium dicitur).
8
Supra, § 1.2.
9
I già citati div. in Caec. 3.7; Pis. 41.98 e leg. 3.18.41. Cfr. supra, § 2.1.
10
Caes. Gall. 1.30.3; 1.36.4; 7.10.1; Liv. 34.57.10; 35.16.6; 37.53.3-4; 37.55.6; 38.39.7-8;
Suet. Iul. 71.1.
11
Supra, § 2.1.1.
Copia autore
Conclusioni
113
Negli scritti di Tertulliano, in particolare, il termine ha una connotazione fortemente negativa12, a testimonianza del fatto che, nella regione teatro delle guerre
dalle conseguenze più significative che la storia di Roma ricordi, i vincitori vollero accentuare l’aspetto di subordinazione politica, economica e, in ultima analisi, la condizione di profonda inferiorità che separava la popolazione locale da
quella vincitrice. Come afferma Gruen a proposito del pagamento imposto ai Cartaginesi al termine della seconda guerra punica, “continous, long-term payments
emphasized the submission of the former enemy and gave repeated reminder of
her defeat, a lesson to other powers who might be recalcitrant or belligerent”13.
Mi sembra, del resto, altrettanto significativo che le uniche quattro epigrafi14
nelle quali ricorre il vocabolo stipendiarius provengano dalla provincia d’Africa
e che la metà di esse mostrino gli stipendiarii presenti in pagi di origine cartaginese (§ 3, fig. 7)15. Nelle epigrafi africane, due delle quali risalenti all’epoca repubblicana e due a quella imperiale, il significato di stipendiarius appare più circoscritto e strettamente connesso al versamento dello stipendium, inteso come tributo
le cui precise caratteristiche non sono del tutto chiare; nell’interpretazione offerta
nel corso del presente studio, essa va con buona probabilità ricondotta ad una forma di tassazione in moneta dall’ammontare non variabile e non direttamente applicata ai terreni ma alle persone, basata sul rapporto tra la terra e chi la coltivava16.
Si può, quindi, parlare di peculiarità della situazione africana e rintracciare
un’evoluzione semantica del termine nei territori un tempo appartenuti ai Cartaginesi.
All’indomani della creazione della provincia d’Africa, una buona parte della popolazione locale, ora sottomessa ai Romani, fu inclusa nel novero degli stipendiarii,
soggetti iure belli al pagamento dello stipendium. Tra il I sec. a.C. e il I d.C. tale
imposta veniva versata dagli stipendiarii agli appaltatori romani che operavano
in provincia, i mancipes stipendiorum; la supervisione delle operazioni di riscossione era affidata ai quaestores, che dovevano rivestire un ruolo non indifferente
sia nell’agevolare i compiti degli esattori sia nel garantire gli interessi dei contribuenti17. Ancora nel II sec. d.C., nell’epigrafe di Henchir-Mettich che disciplina
l’attività di coloro i quali coltivavano le terre di proprietà imperiale, vengono ricordati gli stipendiarii impiegati nel fondo.
La categoria degli stipendiarii, attestata nell’Africa Proconsolare dal II sec. a.C.
fino al II d.C., conosce, quindi, una lunga vita; per poco meno di quattro secoli e fat12
Vd. supra, § 2.3 n. 110-111.
gruen 1984, 293.
14
Occorre, tuttavia, sempre considerare la possibilità che si tratti di una casualità dovuta allo
stato della documentazione in nostro possesso: altri documenti, contenenti il termine e riferibili a
regioni del mondo romano diverse da quella africana, potrebbero non essersi conservati.
15
briand-ponsart 2009, 102-103.
16
Supra, § 3.
17
Sulle responsabilità finanziarie dei questori provinciali vd., da ultimo, pina polo, díaz fernández 2019, 164-180 e, in partic., 166.
13
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Cristina Soraci
te salve alcune eccezioni, i discendenti dei Punici sconfitti da P. Cornelio Scipione
l’Emiliano scontarono il peso di una disfatta militare che ebbe nella regione profonde ripercussioni politiche, economiche e sociali.
Non è difficile immaginare che le distinzioni tra le varie categorie di abitanti della provincia saranno state gradualmente eliminate dopo l’emanazione della
Constitutio Antoniniana. Occorrerà, quindi, attendere la dinastia dei Severi, il cui
capostipite era di origine africana, perché buona parte della popolazione dell’Africa Proconsolare potesse godere dei diritti politici dei cittadini romani: solo allora verosimilmente sarà stato abbandonato in Africa il termine stipendiarius, che,
per la sua connotazione negativa di marchio di sottomissione, era cominciato a
cadere in disuso forse già un secolo prima in altre province e che, comunque, anche
nella stessa Proconsolare doveva ormai essere rimasto solo un relitto, numericamente circoscritto. Non sarà, tuttavia, un caso, che, pur nell’eccezionalità del suo
utilizzo, il termine continui ad essere impiegato in epoca imperiale soprattutto da
autori appartenenti all’area africana, come Tertulliano e Agostino.
Naturalmente, l’ottenimento della cittadinanza romana e la cancellazione delle gerarchie “istituzionali” fra gli abitanti dei territori provinciali non comportò la
corrispondente eliminazione delle imposte gravanti su di essi; al contrario, il gettito fiscale continuò ad essere assicurato, ma il divario tra contribuenti provinciali e italici si ridusse sempre di più18. Tuttavia, per un processo che iniziò nel I sec.
d.C., l’attributo di stipendiarii non venne più impiegato per connotare gli abitanti ma passò a designare i fundi o i praedia provinciali, come si può desumere dalle fonti giuridiche e da quanto rimane del testo di un anonimo agrimensore risalente all’età domizianea19.
4. Il lessico della sottomissione: l’uso del termine stipendiarius nelle fonti
giuridiche e nei testi dei gromatici
Le fonti giuridiche e i testi dei gromatici meritano, infatti, di essere considerate a sé per la loro peculiarità.
Nelle prime i praedia o fundi provinciali stipendiari e quelli tributari appaiono tra loro distinti, ma tale distinzione, lungi dall’indicare con certezza il tipo
d’imposta prevalente nelle singole province (giacché un agile confronto tra le
fonti basta a dimostrare l’infondatezza di questa conclusione), va piuttosto interpretata come frutto di una duplice tradizione terminologica, che, probabilmente,
serviva a precisare i limiti di competenza esistenti tra l’aerarium (in cui confluivano i tributi delle province senatorie) e il fiscus (in cui confluivano i tributi delle province imperiali)20.
18
19
20
eCk 1998, 132; Corbier 2005, 364-365.
Supra, § 4 e 5.
Vd. supra, § 4.1.
Copia autore
Conclusioni
115
Con la progressiva scomparsa della distinzione tra le province e con la relativa uniformazione dei criteri impositivi, anche tale duplice tradizione terminologica, che poco o nulla aveva a che fare con tipi di tributi differenti, perse di significato e i due termini finirono per indicare la medesima realtà contributiva21.
D’altro canto, la suddivisione dei terreni provinciali presentata dalla fonte di
Agennio, nell’interpretazione che di essa si offre in questa sede, conferma la condizione di inferiorità attribuita agli agri stipendiarii e, più in generale, allo stesso
termine stipendiarius: la gerarchia istituzionale esistente già in epoca repubblicana
tra le popolazioni soggette al dominio di Roma, che contrapponeva gli stipendiarii
ai popoli «alleati», «amici» o «liberi», reiterata con alcune varianti anche nei primi
secoli dell’età imperiale, quando, com’è possibile desumere dal testo di Plinio, gli
stipendiarii erano distinti dagli abitanti delle colonie, dei municipi o da quelli cui
era stato attribuito il diritto latino, venne trasferita ai terreni provinciali.
Secondo il testo dello Pseudo-Agennio, quindi, le terre stipendiarie si trovavano nel gradino più basso della gerarchia istituzionale dell’impero, in quanto non
appartenenti al territorio di nessuna comunità “privilegiata” (colonia, municipio
o città peregrina); esse non erano semplicemente «soggette a tributo», ma portavano anche nel nome il peso del trionfo del popolo romano.
21
Supra, § 1.3 e 4.2.
116
Copia autore
Cristina Soraci
Fig. 8: Paesi in relazione ai quali è esplicitamente impiegato il termine stipendiarius
Copia autore
edizioni delle fonti
Gli autori greci e latini sono citati, rispettivamente e salvo pochissime eccezioni, secondo le abbreviazioni utilizzate dal Greek English Lexicon di H.G. Liddel
e R. Scott (Oxford 19409) e dal Thesaurus Linguae Latinae.
Si riporta qui di seguito l’elenco delle fonti menzionate nel testo con le relative
abbreviazioni; ogni qual volta sono state consultate più edizioni di una stessa opera,
l’edizione prevalentemente seguita in questa sede è contrassegnata da un asterisco.
Si precisa che, per ragioni di uniformità, nel presente volume si è preferito
uniformare il modo di citare i brani in latino e inserire la distinzione “u”/“v” anche nelle opere in cui gli editori avevano preferito impiegare il grafema “u” in
funzione sia di vocale sia di consonante. Tale criterio è stato applicato ovunque,
eccetto che nel riportare i passi della lex agraria epigraphica e dello PseudoAgennio: in ragione della loro lacunosità e per evitare fraintendimenti, si è preferito riprodurli come apparivano nelle edizioni di riferimento.
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Ps. Agenn. grom.
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dicembre 2001), Milano, 277-531.
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elenCo delle tabelle e delle immagini
Descrizione
Provenienza
Tab. 1: Occorrenze dei termini stipendium e ὀψωνιασμόϛ
prima del 406 a.C.
Elaborazione personale
Fig. 1: Suddivisione semantica delle occorrenze del termine stipendiarius nelle fonti
letterarie
Elaborazione personale
Fig. 2: Lapide eretta da Fronto stipendiarius e Felix libertus
© Budapest – Aquincumi Múzeum; foto Ortolf Harl
2006: http://lupa.at/10606
Fig. 3: Lex agraria epigraphica, ll. 76-80 (frg. Da+b+c+F;
tra Da e F manca il frammento E, andato perduto). In evidenza, le parole quos stipendium della l. 77 e stipendiariei
della l. 78
Frg. Da+b+c (Napoli, Museo Archeologico Nazionale:
http://www.edr-edr.it/edr_programmi/view_img.php?
id_nr=169833); frg. F (Wien, Kunsthistorisches Museum: https://www.khm.at/objektdb/detail/52474/)
Fig. 4: La dedica degli stipendiarii a Q. Numerio Rufo
Tunisi, Museo Nazionale del Bardo: http://db.edcs.
e u / e p i g r / b i l d e r. p h p ? b i l d = $ C I L _ 0 1 _ 0 2 5 1 3 .
jpg;$ILPBardo_00440.jpg
Fig. 5: La dedica degli stipendiarii a Lucio Domizio Enobarbo
Museo dell’Accademia Etrusca e della città di Cortona; foto aounallah 2010
Fig. 6: L’iscrizione di HenchirMettich, col. IV
Tunisi, Museo Nazionale del Bardo: http://db.edcs.
eu/epigr/bilder.php?bild=$ILPBardo_00388_1.
jpg;$ILPBardo_00388_2.jpg;$ILPBardo_00388_3.
jpg;$ILPBardo_00388_4.jpg;PH0000346&nr=4
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146
Elenco delle tabelle e delle immagini
Fig. 7: Localizzazione degli
stipendiarii d’Africa in base
alle testimonianze epigrafiche
Elaborazione personale
Tab. 2: Il brano dello PseudoAgennio menzionante gli agri
stipendiarii nelle edizioni
Lachmann e Thulin
Elaborazione personale
Tab. 3: Il brano dello PseudoAgennio menzionante gli agri
stipendiarii: confronto tra il
testo ricostruito nelle edizioni Lachmann, Thulin e quello proposto in questa sede
Elaborazione personale
Tab. 4: Usi del termine stipendiarius
Elaborazione personale
Fig. 8: Paesi in relazione ai
quali è esplicitamente impiegato il termine stipendiarius
Elaborazione personale della mappa reperibile in
https://d-maps.com/carte.php?num_car=5860&lang=en
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2020
per conto de «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER®
da Centro Stampa di Meucci Roberto - Città di Castello (PG)