Marco Picone
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Address: Dipartimento di Architettura
Stanza #216
Viale delle Scienze, edificio 14
90128 Palermo (Italy)
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Partecipano il Sindaco di Palermo, il Rettore, l'Assessore alla Scuola Barbara Evola, i Presidenti delle Circoscrizioni, i DS e docenti delle scuole, docenti e studenti del CdS in Pianificazione.
My case study will be the 2009 movie Barbarossa [Frederick I Redbeard], directed by Renzo Martinelli. The movie is now scheduled for release in the USA.
1. Introduzione
La serie TV Game of Thrones (GoT) ha ottenuto grande successo di pubblico e di recensioni. Le ragioni sono varie: il budget speso da HBO, la qualità degli attori e delle ambientazioni, la trama cruda e forte, in linea con gli standard più recenti, ma sicuramente anche il fascino dell’estremizzazione. La serie ha senz’altro goduto dell’interesse del pubblico statunitense nei confronti del fantastico (senza scomodare vampiri e maghi d’ogni sorta, basterebbe citare Once Upon A Time e Carnivàle). GoT ha anche provocato (sia con l’originale serie di libri di George Martin, sia con la serie TV) dibattiti filosofici che hanno chiamato in causa Machiavelli o Hobbes per spiegare alcune scelte compiute dai protagonisti.
2. Il nuovo fantasy
In Game of Thrones sono presenti aspetti connessi strettamente alla cultura e alla geopolitica popolare. La base cui fare cenno è il cambio di statuto, iconografia, filosofia e cornice geopolitica nel passaggio dal fantasy tradizionale, che nel campo delle serie TV si può identificare per esempio ne La spada della verità (Legend of the Seeker), ad un fantasy di rottura come Game of Thrones.
Attraverso l’analisi di quattro aspetti cardine, mostrerò come GoT riscriva la maggior parte degli stereotipi del fantasy classico. Il mio obiettivo è evidenziare il legame tra la “filosofia” di Martin e il piano geopolitico: in che modo la geopolitica post 11 settembre è rispecchiata nei libri e nella serie TV? GoT descrive le questioni geopolitiche (sia pratiche sia formali) in maniera molto attuale, svelando le trame sotterranee del potere in modo non dissimile da quanto altre serie TV, ben più ancorate alla realtà statunitense, stanno facendo in questi anni: una su tutte, House of Cards.
In particolare, indagherò quattro aspetti evidenziati da GoT; questi costituiranno i paragrafi 3-6 del mio testo.
3. Cartografia
Un mondo fantasy tradizionale è una “scopiazzatura” dell’Europa medievale, con i suoi topoi (la foresta stregata, la montagna inaccessibile, ecc.). Tolkien per esempio descrive la sua Terra di Mezzo come se fosse l’Europa continentale, con la Contea che è l’Inghilterra, Gondor che coincide con la Roma imperiale, il pericolo comunista sovietico ad est, e così via. Martin invece deforma non più soltanto l’Europa, ma – con sguardo ben più cosmopolita – include nella sua rappresentazione elementi provenienti da tutto il mondo: non solo dall’Europa (Approdo del Re, la città del potere sovrano, somiglia alla Roma corrotta da intrighi rinascimentali, come appare in un’altra serie TV della HBO, I Borgia), ma anche dall’Asia e dall’Africa (i nomadi Dothraki ricordano i Mongoli; i mercanti di schiavi ricordano i Persiani del film 300), così come da altre terre.
Nel fantasy di Martin c’è più spazio per la “diversità” e per la non-Europa. In generale, si potrebbe affermare che Westeros, il continente occidentale da cui parte la trama, coincide più o meno con l’Europa fantasy tradizionale, pur con grossi innesti innovativi (le sabbie di Dorne rammentano la tradizione nord-africana), mentre Essos (il continente orientale) è rappresentato con stilemi orientalisti saidiani.
Questo tema ritorna anche nel linguaggio e nelle varie “parlate” tipiche dei diversi popoli.
4. Confini
Mentre nel fantasy classico i confini sono legati ai topoi dell’epica (es. la foresta stregata) e sono sempre valicabili con atti di coraggio, in GoT un elemento fondamentale è la tecnologia: alcuni confini sono superabili solo dai più scaltri o tecnologicamente avanzati (vedi i Dothraki che temono l’uso delle navi). I confini non sono più solo (o non sono mai stati?) naturali, ma alcuni sono fin troppo “politici”, imposti (superimposed): vedi la Barriera, una vera frontiera/fortino militare con tanto di fortificazioni, che sembra escludere dalla “civiltà occidentale” gli autoctoni, i Bruti (novelli indiani americani?). I barbari si trovano per lo più nel continente orientale (Dothraki) o alle estreme propaggini del mondo, ma esiste anche un secondo tipo di alterità con cui ci si confronta: i non-morti e i negromanti (gli Estranei, i White Walkers) oltre la Barriera.
5. Nemici, nemici ovunque!
Il fantasy classico distingue nettamente i buoni dai cattivi; ci può essere spazio per qualche redenzione, magari guidata dalla Provvidenza divina, ma in generale è chiaro sin da subito da che lato stiano il bene e la giustizia. Nel fantasy di Martin non è più così, ed è a mio avviso una chiara influenza dell’11 settembre e dell’incertezza esistenziale che avvolge tutti. La “serpe in seno” è quasi inevitabile (Theon Greyjoy per esempio). Il nemico può essere ovunque. Inoltre, ogni personaggio è tratteggiato in toni di grigio, come da circa un decennio a questa parte ci insegna la geopolitica popolare (vedi le nuove iterazioni di James Bond, i Sopranos, ecc.). Questo però è un elemento fondamentalmente nuovo nel fantasy, che fino a ora era sempre stato l’idealizzazione epica, talvolta estremizzata, della vittoria suprema e ontologica del bene. Oggi il fantasy non sa più neanche riconoscere il bene. Vi sono mille ruoli ambigui e sfumati: Cersei non è semplicemente la strega cattiva, ma una donna indurita da un mondo eteronormato; la stessa Arya (spoiler alert!) non è più la bambina buona ma ribelle che compare nei primi episodi, ma si trasformerà in modo inatteso; Stannis è tutt’altro che il re giusto che vorrebbe apparire, dati gli accordi che stringe con una sacerdotessa che pratica oscuri riti di sangue (dell’unico dio della luce che potrebbe sconfiggere gli Estranei). Neppure gli dei più “buoni” e salvifici sono estranei alla “malvagità” di sacrifici di sangue…
6. Corpi
Martin sovverte molti stereotipi tradizionali. Il nesso bello=buono decade quando i più esteticamente perfetti (Cersei e Jaime, per esempio) appaiono i più perfidi, almeno inizialmente. Jaime inizia un percorso di redenzione, paradossalmente, quando perde la sua bellezza e viene mutilato. Tyrion è il nano deforme che però, ben diversamente dai nani della tradizione (a partire dall’epoca romana imperiale), risulta tra i più “onesti” e furbi protagonisti della saga, forse l’unico suo vero eroe. Il “Mastino” (The Hound), uno sgherro sfregiato dei Lannister, è solo apparentemente malvagio: Sansa, l’ingenua figlia di Ned Stark, capirà presto come in realtà il Mastino sia uno dei suoi pochi veri alleati, spinto da un cuore (quasi) puro.
Questo è un mutamento radicale rispetto alla classica rappresentazione dell’eroe bello e forte, da Omero in poi. Anche qui le motivazioni sono in parte geopolitiche: il modello eroico di oggi non è più il supereroe bello, nazionalista e salvatore della patria (à la Capitan America); la TV accoglie la “diversità” (nani, sfregiati, obesi, ecc.) per “normalizzarla”.
7. Conclusioni
Questo libro non è rivolto solo agli specialisti di studi urbani (siano essi docenti, studenti o semplici appassionati di città), ma anche a chi fa della politica il proprio mestiere. Perché mai un politico dovrebbe occuparsi di quartieri, tanto più che oggi la norma lo obbliga a ragionare per circoscrizioni? Perché nel quartiere sta la risposta alla disaffezione verso l’idea stessa di politica, di spazio pubblico e di decentramento che stiamo sperimentando nella società contemporanea.
Il campo di applicazione delle riflessioni qui presentate è Palermo. Nel 1976 il Comune ha deliberato una suddivisione della città in 25 quartieri. Nel 1997, seguendo le indicazioni nazionali, si è passati a un nuovo ritaglio in 8 circoscrizioni. Oggi sembra che né la prima né la seconda suddivisione possano funzionare adeguatamente, soprattutto se ci si vuole confrontare con i paesaggi identitari che compongono un quadro complesso all’interno della città.
Questo libro si pone l’obiettivo – ambizioso ma necessario – di ridefinire il concetto di quartiere sulla base di una lettura interdisciplinare, attenta a tre aspetti chiave: il primo più propriamente tecnico/urbanistico, il secondo geografico/sociale, e il terzo politico/amministrativo. Tale obiettivo è naturalmente finalizzato alla costruzione di un quadro di conoscenza da utilizzare per un’ipotesi progettuale concreta: il ripensamento del decentramento e, per conseguenza, il ridisegno delle circoscrizioni di Palermo.
Mazara del Vallo è un centro storicamente caratterizzato da forte presenza di comunità straniere, prevalentemente magrebine, che si concentrano in specifici quartieri del centro storico. A dispetto di una retorica integrazione ormai raggiunta, il presente contributo indaga sulla reale convivenza dei gruppi multiculturali e sulle capacità d'interazione che si esprimono nei luoghi dell'abitare e dello spazio pubblico.
Partecipano il Sindaco di Palermo, il Rettore, l'Assessore alla Scuola Barbara Evola, i Presidenti delle Circoscrizioni, i DS e docenti delle scuole, docenti e studenti del CdS in Pianificazione.
My case study will be the 2009 movie Barbarossa [Frederick I Redbeard], directed by Renzo Martinelli. The movie is now scheduled for release in the USA.
1. Introduzione
La serie TV Game of Thrones (GoT) ha ottenuto grande successo di pubblico e di recensioni. Le ragioni sono varie: il budget speso da HBO, la qualità degli attori e delle ambientazioni, la trama cruda e forte, in linea con gli standard più recenti, ma sicuramente anche il fascino dell’estremizzazione. La serie ha senz’altro goduto dell’interesse del pubblico statunitense nei confronti del fantastico (senza scomodare vampiri e maghi d’ogni sorta, basterebbe citare Once Upon A Time e Carnivàle). GoT ha anche provocato (sia con l’originale serie di libri di George Martin, sia con la serie TV) dibattiti filosofici che hanno chiamato in causa Machiavelli o Hobbes per spiegare alcune scelte compiute dai protagonisti.
2. Il nuovo fantasy
In Game of Thrones sono presenti aspetti connessi strettamente alla cultura e alla geopolitica popolare. La base cui fare cenno è il cambio di statuto, iconografia, filosofia e cornice geopolitica nel passaggio dal fantasy tradizionale, che nel campo delle serie TV si può identificare per esempio ne La spada della verità (Legend of the Seeker), ad un fantasy di rottura come Game of Thrones.
Attraverso l’analisi di quattro aspetti cardine, mostrerò come GoT riscriva la maggior parte degli stereotipi del fantasy classico. Il mio obiettivo è evidenziare il legame tra la “filosofia” di Martin e il piano geopolitico: in che modo la geopolitica post 11 settembre è rispecchiata nei libri e nella serie TV? GoT descrive le questioni geopolitiche (sia pratiche sia formali) in maniera molto attuale, svelando le trame sotterranee del potere in modo non dissimile da quanto altre serie TV, ben più ancorate alla realtà statunitense, stanno facendo in questi anni: una su tutte, House of Cards.
In particolare, indagherò quattro aspetti evidenziati da GoT; questi costituiranno i paragrafi 3-6 del mio testo.
3. Cartografia
Un mondo fantasy tradizionale è una “scopiazzatura” dell’Europa medievale, con i suoi topoi (la foresta stregata, la montagna inaccessibile, ecc.). Tolkien per esempio descrive la sua Terra di Mezzo come se fosse l’Europa continentale, con la Contea che è l’Inghilterra, Gondor che coincide con la Roma imperiale, il pericolo comunista sovietico ad est, e così via. Martin invece deforma non più soltanto l’Europa, ma – con sguardo ben più cosmopolita – include nella sua rappresentazione elementi provenienti da tutto il mondo: non solo dall’Europa (Approdo del Re, la città del potere sovrano, somiglia alla Roma corrotta da intrighi rinascimentali, come appare in un’altra serie TV della HBO, I Borgia), ma anche dall’Asia e dall’Africa (i nomadi Dothraki ricordano i Mongoli; i mercanti di schiavi ricordano i Persiani del film 300), così come da altre terre.
Nel fantasy di Martin c’è più spazio per la “diversità” e per la non-Europa. In generale, si potrebbe affermare che Westeros, il continente occidentale da cui parte la trama, coincide più o meno con l’Europa fantasy tradizionale, pur con grossi innesti innovativi (le sabbie di Dorne rammentano la tradizione nord-africana), mentre Essos (il continente orientale) è rappresentato con stilemi orientalisti saidiani.
Questo tema ritorna anche nel linguaggio e nelle varie “parlate” tipiche dei diversi popoli.
4. Confini
Mentre nel fantasy classico i confini sono legati ai topoi dell’epica (es. la foresta stregata) e sono sempre valicabili con atti di coraggio, in GoT un elemento fondamentale è la tecnologia: alcuni confini sono superabili solo dai più scaltri o tecnologicamente avanzati (vedi i Dothraki che temono l’uso delle navi). I confini non sono più solo (o non sono mai stati?) naturali, ma alcuni sono fin troppo “politici”, imposti (superimposed): vedi la Barriera, una vera frontiera/fortino militare con tanto di fortificazioni, che sembra escludere dalla “civiltà occidentale” gli autoctoni, i Bruti (novelli indiani americani?). I barbari si trovano per lo più nel continente orientale (Dothraki) o alle estreme propaggini del mondo, ma esiste anche un secondo tipo di alterità con cui ci si confronta: i non-morti e i negromanti (gli Estranei, i White Walkers) oltre la Barriera.
5. Nemici, nemici ovunque!
Il fantasy classico distingue nettamente i buoni dai cattivi; ci può essere spazio per qualche redenzione, magari guidata dalla Provvidenza divina, ma in generale è chiaro sin da subito da che lato stiano il bene e la giustizia. Nel fantasy di Martin non è più così, ed è a mio avviso una chiara influenza dell’11 settembre e dell’incertezza esistenziale che avvolge tutti. La “serpe in seno” è quasi inevitabile (Theon Greyjoy per esempio). Il nemico può essere ovunque. Inoltre, ogni personaggio è tratteggiato in toni di grigio, come da circa un decennio a questa parte ci insegna la geopolitica popolare (vedi le nuove iterazioni di James Bond, i Sopranos, ecc.). Questo però è un elemento fondamentalmente nuovo nel fantasy, che fino a ora era sempre stato l’idealizzazione epica, talvolta estremizzata, della vittoria suprema e ontologica del bene. Oggi il fantasy non sa più neanche riconoscere il bene. Vi sono mille ruoli ambigui e sfumati: Cersei non è semplicemente la strega cattiva, ma una donna indurita da un mondo eteronormato; la stessa Arya (spoiler alert!) non è più la bambina buona ma ribelle che compare nei primi episodi, ma si trasformerà in modo inatteso; Stannis è tutt’altro che il re giusto che vorrebbe apparire, dati gli accordi che stringe con una sacerdotessa che pratica oscuri riti di sangue (dell’unico dio della luce che potrebbe sconfiggere gli Estranei). Neppure gli dei più “buoni” e salvifici sono estranei alla “malvagità” di sacrifici di sangue…
6. Corpi
Martin sovverte molti stereotipi tradizionali. Il nesso bello=buono decade quando i più esteticamente perfetti (Cersei e Jaime, per esempio) appaiono i più perfidi, almeno inizialmente. Jaime inizia un percorso di redenzione, paradossalmente, quando perde la sua bellezza e viene mutilato. Tyrion è il nano deforme che però, ben diversamente dai nani della tradizione (a partire dall’epoca romana imperiale), risulta tra i più “onesti” e furbi protagonisti della saga, forse l’unico suo vero eroe. Il “Mastino” (The Hound), uno sgherro sfregiato dei Lannister, è solo apparentemente malvagio: Sansa, l’ingenua figlia di Ned Stark, capirà presto come in realtà il Mastino sia uno dei suoi pochi veri alleati, spinto da un cuore (quasi) puro.
Questo è un mutamento radicale rispetto alla classica rappresentazione dell’eroe bello e forte, da Omero in poi. Anche qui le motivazioni sono in parte geopolitiche: il modello eroico di oggi non è più il supereroe bello, nazionalista e salvatore della patria (à la Capitan America); la TV accoglie la “diversità” (nani, sfregiati, obesi, ecc.) per “normalizzarla”.
7. Conclusioni
Questo libro non è rivolto solo agli specialisti di studi urbani (siano essi docenti, studenti o semplici appassionati di città), ma anche a chi fa della politica il proprio mestiere. Perché mai un politico dovrebbe occuparsi di quartieri, tanto più che oggi la norma lo obbliga a ragionare per circoscrizioni? Perché nel quartiere sta la risposta alla disaffezione verso l’idea stessa di politica, di spazio pubblico e di decentramento che stiamo sperimentando nella società contemporanea.
Il campo di applicazione delle riflessioni qui presentate è Palermo. Nel 1976 il Comune ha deliberato una suddivisione della città in 25 quartieri. Nel 1997, seguendo le indicazioni nazionali, si è passati a un nuovo ritaglio in 8 circoscrizioni. Oggi sembra che né la prima né la seconda suddivisione possano funzionare adeguatamente, soprattutto se ci si vuole confrontare con i paesaggi identitari che compongono un quadro complesso all’interno della città.
Questo libro si pone l’obiettivo – ambizioso ma necessario – di ridefinire il concetto di quartiere sulla base di una lettura interdisciplinare, attenta a tre aspetti chiave: il primo più propriamente tecnico/urbanistico, il secondo geografico/sociale, e il terzo politico/amministrativo. Tale obiettivo è naturalmente finalizzato alla costruzione di un quadro di conoscenza da utilizzare per un’ipotesi progettuale concreta: il ripensamento del decentramento e, per conseguenza, il ridisegno delle circoscrizioni di Palermo.
Mazara del Vallo è un centro storicamente caratterizzato da forte presenza di comunità straniere, prevalentemente magrebine, che si concentrano in specifici quartieri del centro storico. A dispetto di una retorica integrazione ormai raggiunta, il presente contributo indaga sulla reale convivenza dei gruppi multiculturali e sulle capacità d'interazione che si esprimono nei luoghi dell'abitare e dello spazio pubblico.
La ricerca, centrata sui temi dell'abitare nei territori post-metropolitani, intende individuare modalità di risposta e strumenti utili in termini di inclusione, benessere, sicurezza e garanzia di diritti di cittadinanza attraverso l'aggiornamento di strumenti e politiche utili ad affrontare le nuove modalità e geografie dell'abitare. Si tratta di un obiettivo prioritario tanto della strategia Europa 2020 (European Commission, 2010) quanto del programma Horizon 2020; entrambi individuano nella costruzione di una 'società inclusiva, innovativa e sicura' una delle sfide che l'Europa dovrà affrontare nel prossimo decennio.
Alla luce di ciò, in riferimento al contesto regionale siciliano, la ricerca propone lo studio di due aree che, per le loro storie, sono testimoni di modelli diversi ma altrettanto rappresentativi negli sviluppi post-metropolitani regionali: la regione palermitana e quella sud-orientale.
continente e fino a poco tempo fa c'era chi lo dipingeva come appartenente al 'Terzo Mondo'. La Sicilia e considerata
al limite di questa 'marginalità' e, per molte ragioni, lo è. Eppure, nuovi processi sono in corso. I territori siciliani
stanno attraversando notevoli fasi di cambiamento fisico, sociale ed economico, mostrando una transizione, per
molti aspetti inedita, verso forme post-metropolitane. Si tratta di aree per molti aspetti paradigmatiche in grado di
restituire le diverse nature del 'post' sotto il profilo spaziale, economico, demografico e sociale. Si affronterà, dunque,
criticamente la declinazione locale - regionale - del 'modello' metropolitano e le diverse realtà 'post' che si riscontrano
al fine di rilevare le differenti traiettorie del cambiamento rivendicando una specificità del fenomeno. Ciò che si
intende dimostrare è che per comprendere il 'post' nelle aree marginali occorre guardare i territori non da 'nord verso
sud' ma capovolgendo esattamente l’asse di osservazione. In particolare il lavoro procede dall’analisi dei sei discorsi
di Soja elaborati per la postmetropoli, accettando la sfida che lo stesso autore propone ossia: un’analisi comparativa,
utilizzando quello che si è imparato dal caso di Los Angeles per comprendere meglio quello che accade intorno a noi,
in qualsiasi altro punto del globo.