Scienze Filosofiche

After a short introduction of Nicholas of Lyra's biographic and intellectual path, I will show how this exegete's reflection on the Apocalypse is placed within a specific groove according to which the pages of the Book of Revelation provide an opportunity for a continuous reading of the history of Christianity. I will therefore focus mainly on the most problematic moment of the work, namely the author's comment on Revelation XX. In fact, it is precisely in this chapter that Nicholas, declaring his lack of access to the prophetic gift, reveals his myopia in the face of any attempt to recompose the events surrounding him from an historical-eschatological perspective. As I will show in Part II, with this strategy, the prophetic word is therefore subjected to a speculative work aimed at subtracting it from the claims of the apocalyptic thought and at relocating it adequately within a social project suited to the needs of the Church of the time.

Diese Arbeit ist die direkte Fortsetzung von Teil I von II, die im Wintersemester präsentiert wurde. EinÜberblicküber das Leben des Nikolaus von Lyra, seine Werke und den Inhalt seines Kommentars zur Apokalypse, sind in Teil I zu finden. In diesem Text, als Teil II von II, werde ich versuchen, die Schlussfolgerung seines Kommentars zu den Visionen des Johannes mit der Theorie der Prophezeiung zu verbinden, die aus der Postilla Litteralis super Totam Bibliam hervorgeht. Ich werde daher auf drei spezifische Abschnitte des Werkes eingehen: den Prologus Primus, den Prolog des Psalmenkommentars und den Kommentar zum ersten Korintherbrief. Abschließend werde ich die möglichen Verbindungen zwischen dem spekulativen Vorschlag von Nikolaus von Lyra und den nachfolgenden Epochen in der Geschichte der Prophezeiung in der spätmittelalterlichen Welt untersuchen. Soweit nicht anders vermerkt, stimme ich der Veröffentlichung des Abstracts auf dem Blog des Max-Weber-Kollegs zu. Die Zustimmung kann jederzeit widerrufen werden.

This work is the direct continuation of part I of II presented during the winter semester. For a preliminary overview of the life of Nicholas of Lyra, of his production and of the contents of his Commentary on the Apocalypse, see part I. In this text I will try to connect the conclusion of his commentary on the visions of John with the theory of prophecy that emerges from the Postilla Litteralis super Totam Bibliam. I will therefore address three specific sections of the work: the Prologus Primus, the Prologue of the Commentary on the Psalms and the Commentary on the First Letter to the Corinthians. At the end of this path, I will undertake to probe the possible connections between the speculative proposal of Nicholas of Lyra and the subsequent seasons in the history of prophecy in the late medieval world. As long as not otherwise noted, I agree with publishing the abstract on the blog of the Max-Weber-Kolleg. The agreement can be retracted anytime.

Nei due paper da me presentati durante lo scorso anno accademico, mi sono impegnato nell'offrire al lettore una mappatura complessiva del mio percorso di ricerca. Ho così indicato come, muovendo dal Commento all'Apocalisse (1329) di Nicola di Lyra (1270-1349), diventi possibile individuare nel concetto di profezia un momento di strutturale importanza per apprezzare in una prospettiva organica l'edificio di pensiero proposto da questo autore. Muovendo da una tale impostazione, mi sono rivolto a tre ulteriori sezioni dell'opera del Lyrano: il Prologus Primus che inaugura la sua Postilla Litteralis super Totam Bibliam, il Prologo del Commento ai Salmi e il Commento alla Prima Lettera ai Corinzi. In quest'occasione, intendo analizzare i principali contenuti del Prologo del Commento ai Salmi. Sarà difatti in questo luogo letterario che incontreremo la più consistente elaborazione teorica del concetto di profezia nella cornice di pensiero elaborata da Nicola di Lyra.

La coscienza pone i problemi più sconcertanti alla scienza della mente. Non c’è niente che conosciamo più intimamente dell’esperienza cosciente, ma non c’è niente che sia più difficile da spiegare. Negli ultimi anni, tutti i tipi di fenomeni mentali hanno ceduto all’indagine scientifica, ma la coscienza ha caparbiamente resistito. In molti hanno cercato di spiegarla, ma le spiegazioni sembrano sempre non essere all’altezza della situazione. Alcuni sono stati indotti a credere che il problema sia intrattabile e che non esista una spiegazione accettabile.

  Per progredire nel problema della coscienza, dobbiamo fare i conti direttamente con esso. Nel mio articolo inizierò isolando la parte davvero difficile del problema, separandola dalle parti più facili da trattare in modo da mostrare perché essa sia così difficile da spiegare. Criticherò alcuni lavori recenti che utilizzano metodi riduzionisti per parlare della coscienza e spiegherò come sia inevitabile che questi metodi falliscano nel padroneggiare la parte più difficile del problema. Una volta riconosciuto questo fallimento, si può andare avanti. Nella seconda parte dell’articolo, spiegherò che se ci muoviamo verso un nuovo genere di spiegazione non riduzionista diventa possibile offrire una descrizione naturalistica della coscienza.

In una visione evoluzionistica, la biodiversità è il prodotto del cambiamento. La biodiversità, tuttavia, esiste anche perché ci sono regole che impediscono un’unione incontrollata di individui e di specie che potrebbe creare mostri come la mitica chimera, oppure ibridi come quelli fra leone e tigre. Il disagio che proviamo di fronte ad essi non è necessariamente proporzionale all’eterogeneità delle parti riunite insieme. Noi temiamo soprattutto che le conseguenze della rottura di un confine naturale possano diventare permanenti e incontrollabili. I confini, tuttavia, operano anche in modo diverso. In primo luogo, non si deve mangiare un altro membro della nostra specie. In secondo luogo, l’individualità non dovrebbe essere violata unendo insieme due individui della stessa specie. In terzo luogo, il tuo nemico non dovrebbe attraversare la pelle non visto, per nutrirsi di te dall’interno. Tutte queste regole, tuttavia, sono ampiamente violate in natura. Gli esseri umani hanno allungato questo catalogo, sfidando i confini con una diversità di pratiche che non rispettano i confini all'interno delle specie e tra le specie. Tutte queste pratiche sono l’ultima sfida — materiale e insieme culturale — alla sopravvivenza della biodiversità.

In questo lavoro - attraverso il ricorso a riferimenti scelti nell’universo della filosofia contemporanea e dal’altra parte nell’ambito della tradizione alchemica e misteriosofica d’Occidente - ci apprestiamo a delineare i temi della Convalescenza e della Trasmutazione da un punto di vista filosofico, psicologico, e psicagogico (ma nel senso più alto e spiritual). Un tema che ci porta strategicamente ad impostare come sotteso motivo fondamentale la guarigione, intesa però nel senso di una Grande Salute ergentisi aldisopra di ogni criterio e di ogni ideologia compensativa. Una prospettiva dunque aperta verso uno stato, un orizzonte dell’intendere filosofico sconosciuto, da formulare con strumenti che funzionano solamente in una certa esautorazione della ratio e della sua efficacia. Si tratta di un campo aperto a tutti i possibili modellamenti, a tutte le coloriture che un’Etica definita chiaroscuralmente può mettere in azione. Tutto questo al fine di presentare una proposta etica che miri a risvegliare il senso e il valore della creazione, intesa come ricreazione di sé, in una vita concepita non più come episodio e circostanza di una gettatezza, di un non-senso. Ma come valore da scolpire, come soglia di un’intensità ideale da corporificare nel vivere. Trasmutazione come sintesi di una formula esistenziale personale, di una soluzione etica sui generis, a fortiori non anticipabile e inimitabile. Salute e Malattia sono le intermittenze principali che compongono la tela di questa Etica completamente sperimentale, perché visceralmente legata alla Vita, nei suoi tragici e sublimi movimenti di caduta e di ascesa, e nei movimenti istintivi e chiaroveggenti che definiscono l’essenzialità del valore ab imo, in una processualità vivente del sentire etico.