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Ugo Fasolo

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Ugo Fasolo (1905 – 1980), poeta italiano.

Più poesia signori critici

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Ferruccio Mazzariol: La sua poesia, a mio giudizio, ha una nodatura metafica, resa esplicita dal contatto con le cose. Inoltre il ruotare delle orbite, lo stagliarsi nitido di meridiane venete, l'indeterminatezza delle estensioni marine, lo svettare dei picchi lontani le conferiscono un sereno cosmico (d'infinito) e uno spazio fortemente religioso. In che senso, lei, può essere considerato un poeta «religioso»?
Ugo Fasolo: Già Betocchi, nel 1935, rilevava che il mio modo di procedere «dall'effimero all'eterno» e di recente Salveti recensendo «Frammenti di un ordine» intitolava il suo scritto «Progetto potenziale verso l'assoluto». A distanza di oltre 35 anni la mia ricerca o meglio il mio bisogno di fare poesia non ha mutato la sollecitazione che lo determina. Ritengo che non vi è vita e azione possibile se non si ha fiducia nella durata e nella possibile validità dei nostri atti.
Ferruccio Mazzariol: Che cosa pensa della poesia d'avanguardia?
Ugo Fasolo: La domanda non è semplice: quale avanguardia? I Nuovissimi, la poesia tecnologica, la visiva, l'informale o la corrispondente poetica ecc.? D'altra parte non importerebbe neanche la precisazione. Le scuole con l'etichetta di avanguardia e le loro dichiarazioni assolute servono di solito più per far rumore e farsi coraggio che per vera necessità. In gruppo si è più notati, e uno aiuta l'altro; la divisa alla fine ha il suo fascino per molti e sembra servire chissà quali alte finalità. L'avanguardia vera rappresenta il poeta che ha cose nuove da dire e per questo ha bisogno di modi nuovi. [...] Comunque per molti le avanguardie sono servite, ma non proprio per fare poesia. Però hanno anche svaligiato l'ambiente.
Ferruccio Mazzariol: La critica letteraria italiana è accusata di dimenticare la poesia, o di occuparsene in modo sporadico, poco convincente, costrettavi da una specie di obbligo di coscienza, che dà alle recensioni un sapore di routine. Quali dovrebbero essere, secondo lei, i rapporti fra critica letteraria e poesia per superare questo e diversi altri inconvenienti, che impediscono a molti poeti (specie giovani, ma anche non più giovani) di essere conosciuti dagli abituali lettori della grande stampa?
Ugo Fasolo: La poesia non potrà mai essere per tutti i lettori. È vero che ci sono poeti che sono venduti a decine di migliaia di copie, ma sono pochi e solo dopo aver raggiunto una particolare notorietà. Ma non è detto che questo valga ad aiutare il valore di un poeta. Quand'ero ragazzo un poeta che aveva un grande successo di pubblico e di lettori, era il Pastonchi; ed ora? Non parliamo poi di «Postuma» dello Stecchetti, certo che ne saranno state stampate e vendute alla fine del secolo scorso ben più di centomila copie. Ma la critica non si occupa a sufficienza della poesia. È vero, ma per quello che si è detto, la poesia non è quasi mai un fattore economico importante. [...] La narrativa è un fatto più importante perché rappresenta un fatto di possibilità economiche maggiori. Questa è la realtà.

[Ugo Fasolo, Più poesia signori critici, a cura di Ferruccio Mazzariol, La Fiera Letteraria, aprile 1973]

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