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Genova

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Il porto di Genova

Citazioni su Genova.

Citazioni in prosa

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  • A Genova. Poco fa, come tornavo da S. Maria di Carignano, ho sentito la tristezza opprimente dell'Italia, tristezza incomprensibile poiché l'italiano è allegro. Perché queste stradette chiassose mi provocano una malinconia così singolare? (Julien Green)
  • A Genova ci sono molti ricchi. Ma a Genova non si mangia, e non si dà da mangiare, non ci si veste e si va a piedi. [...] Che cosa fanno, allora, i genovesi, col loro denaro? Si fanno costruire una chiesa o un palazzo; la chiesa d'oro, il palazzo di marmo. (Alphonse Karr)
  • A Genova, dove ho vissuto fino a nove anni, sono rimasta sempre legata perché è rimasta il mio paradiso perduto. (Fernanda Pivano)
  • A Genova m'arricchii di un nuovo grande amore. Era il primo pomeriggio d'una giornata limpida e ventosa. Con le braccia appoggiate a un parapetto in muratura, e la città policroma alle mie spalle, ammiravo l'ampia distesa turchina gonfia di vita. Il mare! L'eterno, immutabile mare mi si precipitava incontro con voce cupa e misteriosa e con un desiderio incompreso e io sentii che una parte di me si legava indissolubilmente per la vita e per la morte all'acqua azzurra e schiumeggiante. (Hermann Hesse)
  • A Genova si prova quello che si prova a Firenze e ancora di più a Venezia, l'impressione di una città molto aristocratica caduta in potere del volgo.
    Qui nacque il pensiero dei rudi signori che si battevano o commerciavano sui mari e che poi, col denaro delle loro conquiste o del commercio, costruivano gli straordinari palazzi di marmo, che ancora oggi fiancheggiano le strade principali.
    Quando si entra in queste magnifiche residenze signorili, che i discendenti dei grandi cittadini della più fiera delle repubbliche hanno dipinto di colori chiassosi, quando se ne paragona lo stile, i cortili, i giardini, i portici, le gallerie, le superbe decorazioni con l'opulenta barbarie delle belle dimore della Parigi moderna, appartenenti a milionari capaci di incassare soldi ma non di concepire e realizzare una cosa nuova e bella, si comprende che nella nostra società democratizzata, composta da ricchi finanzieri senza gusto e da parvenu privi di tradizioni la distinzione data dall'intelligenza, il senso della bellezza delle forme, quello della perfezione nelle proporzioni e nelle linee sono scomparsi. (Guy de Maupassant)
  • A Genova si respira un clima che porta alla contemplazione e alla riflessione. È una specie di pigrizia che però stimola la creatività, soprattutto in campo musicale. Gli odori, il cibo, l'umore introverso delle persone: tutto può dare spunti per mestieri artistici. (Cristiano De André)
  • A Genova splendeva già il sole. Molto stanco, in verità, così che più di tutto avrebbe desiderato sedersi sui gradini come un mendicante, Rolf si trovò sotto i portici della stazione, un signore senza bagaglio, in compenso con un inutile cappotto sul braccio, con la barba lunga anche, guardava il traffico con il suo baccano di clacson, con lo sferragliare dei tram cigolanti nelle fenditure d'ombra di stretti vicoli, con frotte di gente che pareva avere tutta una meta; e questa era dunque Genova. (Max Frisch)
  • A Genova, sul piazzale davanti alla stazione, s'era raccolta una folla densa [...]
    Sovrastava la folla, dall'alto piedistallo, la figura di Colombo, il sognatore che ha molto patito per le cose in cui credeva e che ha vinto proprio perché credeva. Guardava la folla, come se, con le labbra di marmo, dicesse: «Vince solo chi crede». [...]
    Il massiccio edificio marmoreo della stazione stava come un semicerchio, le ali aperte, quasi volesse abbracciare la gente. Giungevano dal porto il greve respiro dei piroscafi, il sordo lavorio dell'elica nell'acqua, il tintinnio delle catene, fischi e grida. Sulla piazza tutto era quieto, si soffocava, il sole bruciante inondava ogni cosa. (Maksim Gor'kij)
  • A lei tornavano, da Levante e da Ponente, i suoi marinai, i suoi eroi, e appagavano il cuore e la pietà nel breve recinto delle mura cittadine. Noi abbiamo più vasta la patria: sia più potente e più puro l'affetto. E il sacro simbolo che, come canta il poeta, in quest'anno fatidico si invermiglia del colore del sangue, brilli in alto a pronosticare gloria e fortuna per la patria grande e per la piccola, per l'Italia e per Genova. (Antonio Restori)
  • Al momento del nostro appressarci al porto l'orizzonte era sì chiaro, che abbiamo potuto godere a tutto nostro agio di questo bellissimo spettacolo, e contemplare a un colpo d'occhio tutta quanta la città. Che semicerchio magnifico! Nulla, a ciò che dicesi, è paragonabile in questo genere a Genova, fuori di Napoli, e di Costantinopoli. Io avea veduta Genova parecchie volte: ma oggi essa mi è piacciuta di più, e più che mai mi sorprende. Essa è veramente una città superba. (Giuseppe Baretti)
  • Alla fine, esausti per le veglie, fradici e con le occhiaie, giunsero alla bellissima e splendida città di Genova e qui, dopo essere sbarcati nella sua darsena riparata e dopo aver fatto visita ad una chiesa, il capitano e tutta la brigata ripararono in un'osteria dove annebbiarono il ricordo di tutte le burrasche passate con il gaudeamus presente. [...] Il buon Tomás ebbe modo di ammirare anche i biondi capelli delle genovesi, l'eleganza e la cortesia degli uomini, l'ammirevole bellezza della città che sembrava avere le case incastonate su per quelle rocce come diamanti nell'oro. (Miguel de Cervantes)
  • Allora Genova, era una città... come dire... molto più legata, mentre adesso siamo un po' più estranei, ma è sempre la mia città: via da Genova non riuscirei a vivere così serenamente, c'è questo rapporto diciamo... misto amore.
    Ho scritto una canzone Gente di mare che dice proprio questo, cioè che non vedi l'ora di andartene, però basta essere poco più in là che subito non vedi l'ora di tornare; è proprio una cosa innata... (Franca Lai)
  • Appare la toccante corona di Genova. Gli occhi, da lassù, vorrebbero penetrare la minuta vita dei vicoli scuri [...] appena sotto lo strato dei Palazzi dipinti, l'evo stretto e il rinascente, viscere péste e bianche teste quasi nello stesso corpo... E piazza della Nunziata e il moto di via delle Fontane, fino al porto magniloquente con le possenti gru immobili: e giù la residenza dei Doria e su il Righi, dove approda la cabinovia in un ciuffeto verde. E là, il versante delle più recenti architetture: rupi abitative cresciute una sull'altra, quasi un'illusione ottica o una vertigine o una minaccia le file di finestre, senza balconi e appigli, che s'affacciano sul sottostante vuoto...
    Da quassù, s'avverte il cordone invisibile che tiene lo stratificato perimetro dell'ardita città. (Eugenio De Signoribus)
  • Appassionato del neorealismo italiano, era stato per la prima volta a Genova nel 1947, semplicemente per vedere l'Italia, ancora devastata dalla guerra. Vi ero ritornato cinque anni più tardi, a ventidue anni. Avevo deciso di imbarcarmi sulle navi mercantili per vedere il mondo. Prima di partire su un cargo per l'Africa, sono rimasto un anno a Genova, lavorando presso una compagnia di navigazione. Fu il mio primo contatto con il mondo del lavoro, e con gli uomini di mare e del porto.
    Ritorno a Genova per la prima volta dopo quarant'anni. Il porto e la città non sono molto cambiati. La città è sempre così bella, così estranea e un po' triste. Il porto sta morendo. Come dappertutto in Italia, il contesto economico, sociale e politico è esplosivo. Si sente che le cose si muovono e che il Paese è sulla soglia di reali trasformazioni. Durante questi quarant'anni, ho abbandonato (non senza qualche rimpianto) la vita di marinaio, e ho fatto del cinema. Mi piacerebbe, adesso, attraverso il cinema, calarmi nella mia memoria del porto di Genova, scrutare il presente e tentare di indovinare l'avvenire. Volevo cogliere i segni del passato di un falso marinaio, per tentare di soddisfare quella mancanza che scava la realtà di un vero cineasta. Articolare questo passato con il presente, confondere l'immaginario con la realtà di questo mondo. (Alain Tanner)
  • Case alte, fino a tredici piani, vie strettissime nella città vecchia, fresche e maleodoranti, di sera una fitta folla, durante il giorno quasi solo bambini. I loro panni sventolano come bandiere di una città in festa. Cordicelle tese da una finestra a quella di fronte. Durante la giornata sole pungente in quelle viuzze, riflessi metallici del mare, dovunque una luce abbagliante. Con tutto questo, le note di un organetto, un mestiere pittoresco. Attorno bambini che ballano. Il teatro nella realtà. Ho portato molta malinconia oltre il San Gottardo. Dioniso non ha effetti semplici su di me. (Paul Klee)
  • C'è qualcosa di diverso qui da altri luoghi, cosa sarà mai? Forse "lo spiro salino che straripa dai moli"? Ti viene in mente questo verso perché lo "spiro salino" è sicuramente il maestrale o un vento simile: libeccio, mistral, scirocco, comunque un vento del Mediterraneo, e dunque siamo in un paese del Sud, e nei paesi del Sud, con questi venti, ci sono anche i panni alla finestra, lenzuola che schioccano al vento come bandiere. Venti nostri, panni nostri. [...] Sono partito da Sottoripa, punto cardinale di una città che serba intatto il suo mistero. Che forse la farebbe pensare avara, perché è guardinga, non si concede, non si fida. Ma chi la pensa avara non ha capito la sua generosità: è città medaglia d'oro della Resistenza. Genova si concede quando è necessario. (Antonio Tabucchi)
  • C'era sul marciapiede di San Francesco un crocchio di genovesi e, passando egli di là, uno di loro lo chiamò e gli disse:
    – Venga qua, signor Vetrata, e ci conti un po' qualcosa.
    Egli rispose:
    – No, non vorrei che i miei conti venissero poi registrati a Genova. (Miguel de Cervantes)
  • Chi desidera la felice comunione di posizione, clima, fertilità e grandezza, penserà che Genova trascenda tutto ciò che anche una fervida immaginazione può desiderare. (Hester Lynch Piozzi)
  • Ci sono giorni in cui la bellezza gelosa di questa città sembra svelarsi: nelle giornate terse, per esempio, di vento, quando una brezza che precede il libeccio spazza le strade schioccando come una vela tesa. Allora le case e i campanili acquistano un nitore troppo reale, dai contorni troppo netti, come una fotografia contrastata, la luce e l'ombra si scontrano con prepotenza, senza coniugarsi, disegnando scacchiere nere e bianche di chiazze d'ombra e di barbagli, di vicoli e di piazzette. (Antonio Tabucchi)
  • Città clarissima de tutto il ligustico sino e de Italia celeberima e digna sopra il mare; questa sola, excepta Venetia, è nel mar mercantescha e tute le altre città maritime de Italia avanza e supera, sì etiam de ogni genere ornamentorum. (Francesco Grassetto)
  • Città spirituale, dove il buio e il basso e il sordido non sono che dei trompe-l'œil, mentre di colpo il volo misterioso di una scala che si torce come i reni di un profeta ti rapisce in alto. Anche un gatto, nei caruggi, è come preso nel vorticare di un'iniziazione e fatto entrare e uscire dai portoni per qualche fine occulto. I distruttori di labirinti urbani non temono il delitto, quanto i cammini di espiazione. (Guido Ceronetti)
  • Città superlativa, tutta inondata di luce elettrica, ricorda assai poco le città d'Italia e inoltre una metà della città consiste ancor oggi di grandiosi palazzo che qui sono meno, forse, che nella sola Venezia. Ogni palazzo possiede qualcosa di notevole anche all'interno, l'arredo, le sculture, la galleria di quadri. (Igor' Ėmmanuilovič Grabar')
  • Come fu giorno, feci una passeggiata sul colle e osservai la posizione di Genova: un incantevole teatro che ha spinto da sempre i suoi abitanti a dominare il mare e dal quale sono venuti i più grandi eroi. O divino Colombo e tu, Andrea Doria, che passeggiate ora in coppia con i Temistocli e gli Scipioni, io vi adoro nella polvere, semidei fra gli uomini! Se anche a me fosse concessa una simile sorte! Volgevo lo sguardo verso l'immensa sfera di acqua e la sua infinita maestà voleva spezzarmi il petto; il mio spirito si librava lontano, sopra il cuore degli abissi, e ne percepiva con indicibile delizia tutta la immensità. (Wilhelm Heinse)
  • Come ho accennato, Genova è la più tortuosa e incoerente delle città; distesa qua e là sui fianchi e sulle creste dei dodici colli, è segnata da precipizi e burroni che sono irti di quegli innumerevoli palazzi per i quali, fin dalla prima volta che ci siamo stati, abbiamo udito che il luogo è famoso. Questi grandi edifici, con quelle forme variegate e un po' sbiadite, innalzano i loro enormi cornicioni ornamentali ad altezze vertiginose, dove, in un certo modo indescrivibilmente disperato e pieno di desolazione, sorpassandosi l'un l'altro, sembrano riflettere lo sfavillio e lo splendore del caldo Mediterraneo. Giù a pianterreno, nelle vie strette e senza sole, la gente si muove di un moto perpetuo, andando e venendo, oppure fermandosi sugli ingressi cavernosi o sulla soglia dei negozi bui e affollati, parlando, ridendo, chiacchierando, lamentandosi, vivendo la propria vita in quel modo fatto di conversazione che è tipicamente italiano. (Henry James)
  • Considerando poi le singole parti diremo, che le radici delle Alpi corrono per una linea curva e sinuosa colla concavità rivolta all'Italia. Il centro poi di questa sinuosità è nel paese dei Salassi; e le estremità danno volta da un lato fino all'Ocra ed al fondo del golfo Adriatico, dall'altro verso la spiaggia ligustica fino a Genova, emporio dei Liguri dove i monti Apennini si congiungono colle Alpi. (Strabone)
  • Dal molo e dal porto di questa città di Genova possono uscire insieme in mare ottanta o cento navi, con dieci o dodici carrache, per andare a mercanteggiare o a conquistare terre fino in Grecia, in Turchia, in Terrasanta ed ovunque per il mondo. E in passato, come ho appreso dalle parole e dalle informazioni di alcuni mercanti e di altri genovesi degni di fede e come ho letto negli annali delle loro gesta, questi genovesi con potenti flotte seppero prendere Gerusalemme, Antiochia, Negroponte, Metellino, Modone con Candia e Chio, che ancora occupano, con molte altre isole e paesi della Grecia e dell'Oltremare e più volte assediarono Venezia, ridotta alla ragione. In conclusione l'abilità nautica di Genova è tenuta in tale reputazione e stima in tutto il mondo che i genovesi sono detti signori del mare. (Jean d'Auton)
  • Dalla massa compatta delle spesse mura sporgevano, a lunghi intervalli, bracci di ferro battuto con lanterne contenenti fioche fiammelle. Gli enormi portali degli ingressi sontuosi di fronte ai quali si trovava a passare erano chiusi, e l'unico suono che gli giungeva alle orecchie era quello dei suoi cauti passi. Si fermò in uno slargo all'incrocio di quelle viuzze, e guardandosi attorno si chiese se tutti quegli enormi e grandiosi edifici fossero deserti, o se era lo spessore dei muri a smorzarne ogni segno di vita all'interno: non poteva credere che tutta la popolazione fosse già andata a dormire. (Joseph Conrad)
  • Descrissi poi la regione di Genova e i suoi abitanti, ne elogiai l'eroismo a partire dai tempi più remoti e aggiunsi che la città era situata meglio ancora dell'antica Roma a dominare le isole del Mar Tirreno e le coste dell'Africa. (Wilhelm Heinse)
  • Di là Rabban Çauma ed i suoi compagni ritornarono a passare l'inverno a Genova, città d'Italia. Quando arrivarono, videro questo giardino, simile al paradiso, senza inverno rigido, senza estate troppo calda. Si trova qui del verde in ogni stagione e gli alberi non restano senza frutti. (Jean-Baptiste Chabot)
  • Di questa così antica città è straordinaria l'ubicazione perché, posta presso il mare, sembra essere la porta del nostro mondo, come scrivono alcuni famosi scrittori i quali sostengono che le sia stato dato il nome di Genova per il fatto che sembra la porta del nostro mondo: infatti offre l'accesso alla Lombardia, all'Etruria e alla Provenza. Inoltre il suo stesso aspetto la rivela essere una città che domina e che è quasi signora del mare. (Giannozzo Manetti)
  • Di superbissimi e altissimi hedifitii adornata, de palazi, li quali ut plurimum ano porte ferree. In questa de ogni arte non picolo numero vi ene, eo magis de sede qual altra voli in Italia se sia: quivi si construiscano de sarti, de caligari e che dirò de spatari, quali fano li coltelli dal manego gianco, per quali se dice: «O bello fre, io son genoese e, se non fose, voria esser alo corpo de mi per portar la cortelina da lo maneco gianco». (Francesco Grassetto)
  • [Sui genovesi] È difficile osservarli: vi guizzano di continuo davanti agli occhi, corrono, si affaccendano, scorrazzano di qua e di là, si affrettano. I vicoli verso il mare brulicano di gente, ma quelli che stanno fermi non sono genovesi, sono marinai di tutti i mari e di tutti gli oceani, piloti, capitani. Qui una campana, là un'altra campana: Partenza! Partenza! Una parte del formicaio si dà da fare, gli uni caricano, gli altri scaricano. (Aleksandr Ivanovič Herzen)
  • E Genova, bizzarra e coerente, superba e modesta, orgogliosa e benevola, è mezza mare: gli uomini, i timidi, i mortali che si sono nascosti nelle grotte, arroccati sui monti, seminati lungo le vallate; gli Altri, giganti, sul mare, al di qua del cobalto che segna l'orizzonte, nella invisibile parte che dà la spinta, che domina gli eventi. (Vito Elio Petrucci)
  • È importante sottolineare il luogo natio, la propria terra, il proprio mare. E allora questa aspirazione ha lo stesso nome della città. Addirittura Janua, dicono gli studiosi, significa porta, e la città di Dio significa una porta aperta. Il porto stesso è fatto di due grandi braccia che si allargano. Il porto accoglie tutte le navi, tutte le culture, tutte le merci, scambio di merci e di persone. [...] Io vedevo arrivare in porto, ancora prima della guerra mondiale, marittimi da tutto il mondo, e mi si apriva il cuore. I primi vu cumprà di Genova erano cinesi, e nessuno li osteggiava. Passavano sulla spiaggia con delle valigione e ripetevano solo «cravatte, cravatte». Erano famosi: «Una lila, due lile». (Andrea Gallo)
  • E tu, Genova, gloriosa te ne stai. Oggi la tua repubblica si adorni di nuovi, vivaci colori, perché, fra i tanti tuoi eroici e intraprendenti capitani, Colombo è fra i migliori. Ora il mai visto orizzonte degli Indiani d'Occidente, si può ammirare qui, in Spagna, come dalla sommità d'un'alta montagna. (Lope de Vega)
  • E tutta la poesia | cos'è se non filosofia? | Ah, se fosse genovese.[1] (Agustín Moreto)
  • Era difficile descrivere il sentimento che lo colse alla vista della prima città italiana, la magnifica Genova. Si innalzarono su di lui i suoi campanili policromi, le chiese rigate di marmo bianco e nero e tutto il suo anfiteatro turrito che all'improvviso lo circondò da ogni parte, nella sua raddoppiata bellezza, quando il piroscafo giunse al molo. Non aveva mai visto Genova prima di allora. Quel gioco di case, chiese e palazzi dai mille colori nell'aria tersa di un cielo che brillava di un incredibile azzurro, era unico. Sceso sulla riva, si ritrovò all'improvviso nelle buie viuzze lastricate, strette e meravigliose, con in alto un'esile striscia di cielo azzurro. Lo colpì questa vicinanza tra le case, alte, enormi, l'assenza del rumore delle carrozze, le piccole piazzette triangolari e tra di loro, simili a stretti corridoi, le linee sinuose delle vie, riempite dalle botteghe degli argentieri e orafi genovesi. I pittoreschi veli di pizzo delle donne, appena mossi dal tiepido scirocco; le loro camminate decise, il fragoroso vocio nelle vie; le porte aperte delle chiese, l'odore di incenso che ne usciva, tutto ciò fece soffiare su di lui una brezza di cose lontane e passate. [...] In poche parole, egli ripartì da Genova con il ricordo di una bellissima sosta: era lì che aveva ricevuto il primo bacio dell'Italia. (Nikolaj Vasil'evič Gogol')
  • Et da mano manca ha i poggi altissimi, dove sono le mura fate a spinapesce, et è fortissima perché ha le vie molto strette et le case comunemente tutte alte et fa dell'anime 90 mila o più et è benissimo artigianata. (Giovanni Battista Ridolfi)
  • Fiducioso che questo lavoro non sia troppo presto, come dicono in Australia, «Condemned to be Pigeon-Holed» – condannato ad una buca da piccione –, ma che anzi, oltre a sfatare la triste leggenda della «Mancanza di Spazio», riesca a provare che Genova è la città più atta a svilupparsi secondo i più perfetti organismi di potenza urbana. (Renzo Picasso)
  • Finalmente avvistammo le coste dell'Italia e, mentre scrutavamo dal ponte nel primo splendido mattino d'estate, la maestosa città di Genova si levò dal mare, riflettendo, dai suoi cento palazzi, la luce del sole. (Mark Twain)
  • [Sulla tradizione musicale genovese] Forse c'è sempre stata una voglia di stare insieme, di creare, di fare... e questo succedeva molto di più a Genova che in tanti altri posti, forse proprio perché, essendo un porto di mare, la gente arrivava qui da tanti posti e s'incontrava, magari si scambiava anche degli oggetti, era un modo per comunicare.
    Secondo me... chissà, forse abbiamo un animo artistico, sarà il nostro mare di Genova, le alture, ci sarà più follia nella Liguria, non lo so... (Angela Brambati)
  • Genova ci affascinò nel suo insieme, tutta intera, con la sua orgogliosa magnificenza. Così tanti, bellissimi, palazzi radunati assieme a formare qui una fila continua sulla strada principale, non si trovano da nessun'altra parte. E proprio grazie al fatto che la via è così stretta e angusta, tutte queste case sembrano ancor più grandiose e regali. Sono dimore di re e sovrani e non di mercanti arricchiti. Non si poteva comunque affatto dubitare che questi "sovrani" avessero un gusto eccellente, che al loro servizio si trovassero i migliori architetti e decoratori del tempo. (Aleksandr Nikolaevič Benois)
  • Genova, come le grandi metropoli, è diventata una città cosmopolita. Ormai qui si sente parlare in tutti i modi meno che il genovese. Una volta, quando uno voleva sentire parlare il vero genovese, dove andava? A Prè, dalla Marina, dalla Maddalena... Andateci un po' adesso...?!
    Sì, dico "andateci un po' adesso" per dirvi che quei pochi genovesi che sono di casa in quelle zone si sono messi a parlare italiano anche loro, altrimenti non li capisce più nessuno! (Giuseppe Marzari)
  • Genova, come tutti sanno, e come i versificatori e i cantautori ci cantano e ricantano, è una città verticale, verticalissima. Dunque, salite al Castelletto, al Righi, infunicolatevi in alto, in alto, se non soffrite di allucinosi spaziali, o funzionali o psichiche. E se capitate qui per via aeroplanica, scrutate bene lo spettacolo che il finestrino vi propone, con questo ammasso di edifici che scappa su dalle acque, che in quelle si precipita, dipende dai gusti, dipende dalle fantasie. Anche l'accesso marittimo non è male. Venire in treno a Genova, invece, non sarà un delito, ma certamente è un errore. In auto, varcate la mura, si raccomanda di percorrere, al minimo, avanti e indietro, indietro e avanti, la sopraelevata (prima che sia abbattuta, come molti suggeriscono e sperano) e, che forse è meglio ancora, la circonvallazione a monte. La superba Genova ama essere guardata con sguardi superbi, alti e altieri. (Edoardo Sanguineti)
  • Genova consiste di tante repubbliche quanti sono i nobili, e ha tanti miserabili schiavi quanti sono i plebei. E tutte queste repubbliche personali, si riuniscono in un palazzo al solo scopo di calcolare i nostri beni e mercanzie, per rosicchiarli, facendo salire e scendere la moneta: si comportano come malfattori nei confronti dei nostri beni e cercano sempre di ridurre in povertà la nostra intelligenza. Fanno uso di noi come se fossimo spugne, mandandoci in giro per il mondo in modo che, inzuppandoci negli affari, assorbiamo ricchezza: e poi, quando ci vedono ben gonfi di beni, ci spremono a vantaggio loro. (Francisco de Quevedo)
  • Genova dovrebbe fungere d'intermediaria tra la Germania e l'Italia; è un passaggio dall'ideale al reale, da una vita d'immaginazione al benessere fisico. Non è più lo sfacelo e la negligenza di cui si è stati testimoni in molte parti d'Italia: tutto è pulito e ben costruito. Ma nulla è pittoresco, e gli occhi, ancora pieni dell'armonia di un colorito indefinibile e del tutto particolare al Sud, sono sgradevolmente colpiti alla vista dei colori sgargianti di cui ci si serve per dipingere le case, molto spesso variopinte di rosa, di verde, di giallo e di un certo bruno cannella dagli effetti orribili. Alla periferia, le case di campagna sono talmente fitte da formare una specie di sobborgo verdeggiante: tutto annuncia l'opulenza e la ricchezza di una città commerciale. (Anna Tyszkiewicz)
  • Genova è il viluppo topografico più intricato del mondo e anche una seconda visita vi aiuta poco a dipanarlo. Nelle meravigliose strade genovesi curve, tortuose, ripide, vertiginose, misteriose, il visitatore è realmente e totalmente immerso nel tradizionale bozzetto italiano. (Henry James)
  • Genova è magnifica, moltissime case somigliano piuttosto a palazzi, adorne di quadri dei migliori pittori italiani, però le strade sono così strette che due persone affiancate non riescono a passarci. In compenso, sono lastricate di marmo e molto pulite. (Nikolaj Vasil'evič Gogol')
  • Genova è molto bella con le sue case dipinte, i suoi giardini verdi a spalliera e gli Appennini dietro. Ma quanto rumore! Che moltitudine! Su tre uomini che passano per le strade, ci sono un monaco e un soldato. (Alfred de Musset)
  • Genova e tutta la costa da Nizza a Spezzia [sic] è notevolmente aspra e bella; così è Massa. (William Turner)
  • Genova è senza dubbio una delle più belle città del mondo, il suo Centro Storico uno dei più affascinanti oltre che dei più integri, Prè uno dei suoi quartieri più significativi e memorabili, quello che i viaggiatori e i naviganti e i turisti attenti raccontano con più vivezza quando tornano a casa. (Giancarlo De Carlo)
  • Genova è un microcosmo. Posso dire che l'universo, che altrove si squaderna, è qui raccolto, in Genova, miniaturizzato come si deve. Ma questo accade anche perché Genova è un po' una replica del mondo, e un po' è un suo archetipo ristretto, una specie di modellino ristretto. Così, posso cercarla dappertutto, e trovarla dappertutto, se voglio. Dipende da me. Posso farne un'epitome dell'universo, che lo replica anamorficamente, e insieme lo virtualizza in ologramma. (Edoardo Sanguineti)
  • Genova è una città grande e potente, piena di uomini morigerati, dai quali avrei potuto apprendere buoni costumi e molte qualità positive che si addicono ad un uomo prestante. (Antonio Astesano)
  • Genova è una sorta di città di frontiera, con il mare e quindi le culture mediterranee di fronte, e l'Europa continentale alle spalle. E la mia città mentale è così anche verticale, dai monti al mare con tutto quello che ci sta in mezzo. (Max Manfredi)
  • Genova, forse il vecchio quartiere preportuale, un labirinto medioevale dove le facciate si toccano quasi e talvolta celano palazzi che si direbbero clandestini, rovinati dal capitalismo e dall'umidità. (Manuel Vázquez Montalbán)
  • Genova ha almeno una cosa durevole: il suo cimitero. Non conserva nemmeno quanto basta la sua memoria storica, almeno quella memoria storica ormai relativamente moderna che ci permetterebbe di spiegare il nefasto presente di un'Italia governata da un blocco reazionario. Lo sapevate che l'unica vittoria aperta dei partigiani contro l'esercito nazista durante la Seconda guerra mondiale ha avuto luogo qui, a Genova? Questa è stata una delle culle più singolari della sinistra italiana, ma cos'è oggi? L'emblema stesso di un'Italia passata dal sogno di Berlinguer alla realtà di Berlusconi e dei postfascisti. (Manuel Vázquez Montalbán)
  • Genova la conosci: è imponente, solida, quasi altera, pulita, benestante; notevolissima è la diffusione della lingua tedesca negli alberghi e nei negozi [...] In ogni modo vi sono più insegne tedesche a Genova che a Trieste o a Praga. (Sigmund Freud)
  • Genova! Mia patria - fiera città! Che ti affacci sulle azzurre onde del Mediterraneo - ti ricordi di me nella fanciullezza, quando le tue scogliere e i tuoi promontori, il tuo cielo luminoso e le tue liete vigne, erano il mio mondo? (Mary Shelley)
  • Genova la Superba è comparabile a una bella donna sprovvista di fisionomia: la si ammira ma più la si guarda, meno piace. Sarebbe difficile dare la spiegazione di questa impressione; la città è bella, i palazzi magnifici, il sito, senza essere pittoresco, è per lo meno rimarchevole, vi è molto movimento: ma è una vivacità puramente commerciale, non è più il regno dell'immaginazione e delle arti, tutto è calcolato e rivolto all'aspetto pratico della vita. (Anna Tyszkiewicz)
  • Genova nelle ore supreme fu ammirabile. Nessun chiasso: silenzio, raccoglimento e consenso. Alla Porta Pila, v'erano delle donne del popolo che, a vederci passare, piangevano. Di là a Quarto, di tanto in tanto, un po' di folla muta. A pie' della collina d'Albaro alzai gli occhi, per vedere ancora una volta la Villa, dove Byron stette gli ultimi giorni, prima di partire per la Grecia: e il grido di Aroldo a Roma mi risonò nelle viscere. Se vivesse, sarebbe là sul Piemonte, a fianco di Garibaldi, inspiratore. (Giuseppe Cesare Abba)
  • Genova per me è un set, una scenografia bell'e pronta dove ambiento spesso le mie canzoni idealmente, anche quando sembrano parlare di e da altri luoghi. È una realtà filtrata dalla mente, dalle impressioni del ricordo. Come quando si sognano frammenti di vita reale, costruendo nuovi ambienti e nuove storie. (Max Manfredi)
  • Genova, potente per ricchezza, flotta ed uomini, Genova, di cui si crede non esista città più bella nel mondo o almeno nel suolo latino, in cui sono tanti edifici e tanti palazzi che tu pensi di vedere insieme innumerevoli castelli. (Antonio Astesano)
  • Genova, reina e capo della Liguria, anzi del Tirreno (che, per le sue bellezze, nobiltate e ricchezze meritamente tal nome le se puote attribuire, la quale fra tante sue grazie da Iddio, dalla natura e d'amore ricevute, di bellissime gentili e cortesi donne, più che altra città d'Italia, era ed è oggi di adornata). (Giovanni Battista da Udine)
  • Genova sorge in un bellissimo golfo sulle pendici di una collina e, abbellita com'è da una splendida architettura e da giardini, offre dal mare una vista superba. (Mary Wortley Montagu)
  • Genova vista dal mare è una delle cose più belle che si possano vedere al mondo.
    La città si innalza in fondo al golfo, come se uscisse dai flutti, ai piedi della montagna. Lungo le due coste che si arrotondano intorno a lei per racchiuderla, proteggerla e accarezzarla, vi sono quindici cittadine, serve e vassalle, che riflettono nell'acqua le case dai colori chiari. A sinistra della loro grande patrona ci sono Cogoleto, Arenzano, Voltri, Pra, Pegli, Sestri Ponente, San Pier d'Arena; a destra, Sturla, Quarto, Quinto, Nervi, Bogliasco, Sori, Recco, Camogli, ultima macchia bianca sulla punta di Portofino, che chiude il golfo a sud est.
    Sopra al suo immenso porto, Genova si stende sui primi mammelloni delle Alpi, che si innalzano dietro, curvi e allungati in una gigantesca muraglia. Sul molo, la torre alta e quadrata del faro, detto 'la Lanterna', sembra una candela smisurata. (Guy de Maupassant)
  • Girare a Genova vuol dire sottoporsi ad un supplemento di difficoltà: a fronte dello straordinario potenziale della città, bellissima e quanto mai cinematografica, a fronte di una tradizione di personaggi attivi nel settore e della vitalità continua di un fiorente «vivaio», c'è l'ostilità quasi manifesta della città, refrattaria agli stimoli, dura, pienamente aderente alla sua immagine chiusa. (Giovanni Robbiano‎)
  • [Genova] ha continuato a ricevere stimoli da coloro che, provenendo dall'esterno, ne restavamo come affascinati, storditi da una bellezza che non appariva loro immediatamente al primo sguardo ma che, al contrario, doveva essere cercata, compresa, centellinata e infine trasformata in un bene prezioso dell'anima. (Maurizio Fantoni Minnella)
  • Ho domandato al Dr Alexander che è qui la migliore autorità medica – e dice che l'aria di Genova è la migliore possibile – e i bagni sufficientemente convenienti. (George Gordon Byron)
  • Ho preso una passione per il mare fin dal mio soggiorno a Livorno. A Genova ho sentito l'alito della libertà. I ritratti di Mazzini e di Garibaldi in trattoria mi hanno sorpreso e dato gioia. (Apollon Aleksandrovič Grigor'ev)
  • I costumi a Genova sono privi di tutti quegli affetti che, altrove, ne rappresentano l'ornamento, la felicità, la virtù. Non c'è madre, non c'è bambino, non c'è fratello; non ci sono eredi, né parenti. Non si è neppure amante: si è uomo o donna. (Charles Dupaty)
  • I passi di chi cammina nella sua città volendone vivere tutti i momenti, ricalcano le orme già lasciate in altre ore; è un fatto automatico che considero una caratteristica dei genovesi. Comperare sempre nello stesso negozio, passare dalla stessa strada, prendere il bianco (una volta) o aperitivo nello stesso bar, girare a quell'angolo. Un tempo si controllava l'ora al solito orologio (erano verdi con lo stemma di Genova) e si diceva magari la preghierina propiziatoria davanti alla Madonnina illuminata. Una ripetitività che dimostra il senso del possesso delle cose e soprattutto una gran voglia genovese di non cambiare, di non correre. (Vito Elio Petrucci)
  • Il colloquio che ho avuto con Teresa Ravano è stato interamente dedicato alle «genoveserie» che – a quanto ho appreso – comprendono anche l'avarizia, il lusso, la superbia, la piccineria.
    La signora Ravano mi ha raccontato di un riccone di qui che, canzonato da un amico per la sua «povertà», invitò costui a pranzo: gli fece servire quattro uova crude e fece cuocere la semplice portata sulla fiamma di biglietti di banca. (Sibylle Mertens-Schaaffhausen)
  • Il Miramare di Genova inghirlandava la curva oscura della spiaggia con festoni di luce e la sagoma delle montagne faceva spicco sullo sfondo nero grazie al riverbero delle finestre degli alberghi più in alto. Pensavamo agli uomini che sfilavano per le gaie arcate come Carusi ancora ignoti, ma ci assicurarono tutti che Genova era una città commerciale, molto simile all'America e a Milano. (Francis Scott Fitzgerald)
  • Il rumore del treno, il cicaleccio puerile che lo circondava nello scompartimento stipato, tutto ciò che rideva e cantava intorno a lui ritmava e accompagnava una specie di danza interiore che lo portò per ore, immobile, ai confini del mondo e finalmente lo scaricò, giubilante e interdetto in una Genova assordante, che scoppiava di salute davanti al suo golfo e al suo cielo in cui fino a sera lottavano il desiderio e la pigrizia. [...] Si smarrì poi nelle strade strette e piene di odori della città vecchia, lasciò che i colori urlassero per lui, che il cielo si consumasse sopra alle case sotto il suo peso di sole e che i gatti si riposassero per lui nell'immondizia e nell'afa. Andò sulla strada che domina Genova e lasciò salire verso di lui, in una lunga lievitazione, tutto il mare carico di profumi e di luci. Chiudendo gli occhi stringeva la pietra calda su cui stava seduto e poi li riapriva su questa città in cui l'eccesso di vita urlava in un esaltante cattivo gusto. (Albert Camus)
  • Il secondo giorno dopo le calende di aprile siamo partiti dal porto di Genova, alle prime luci dell'alba. C'era un bel sole, anche se a ponente se ne stavano acquattate delle nuvole gonfie e grigie.
    Era la prima volta che lasciavo la mia città. Sembrava schiacciarsi su se stessa e contro i monti, diventava una striscia color avorio e argilla man mano che la nave si allontanava da terra: non distinguevo più il colonnato della mia vecchia biblioteca, la facciata della basilica, le arcate del circo, niente dei cunicoli intorno al porto, delle botteghe che si affacciano su di esso, del mercato coperto a tre piani. Soltanto il profilo delle insulae più alte, ma da noi non erano né numerose né alte come a Roma, semplici dentellature in quella striscia avorio-argilla che era ormai la mia città. [...] Mi dispiaceva vedermela lì davanti schiacciarsi e rimpicciolirsi sempre di più, Genova, la città dove ero nato e dove avevo passato sino a quel momento tutta la mia vita, e che mi era sempre sembrata importante e in fondo non proprio brutta. Ma ora lì dal mare, che quasi spariva... Non facciamola lunga, non è che mi sia messo a piangere o a sospirare: soltanto un po' di nodo alla gola, un'ansia indefinibile, che è subito passata. (Giuseppe Conte)
  • Il viaggio per mare è stato un avvenimento. Come andava gradatamente sparendo lontano, la grande Genova notturna, disseminata di luci, assorbita dal chiaro di luna, così come un sogno trapassa in un altro! [...] Come un sogno Genova si sprofonda nel mare. Sono morto per questo mondo, dileguato con l'ultima luce? Oh, fosse così! Sarebbe possibile? (Paul Klee)
  • In questa città non vi è nulla che non sia per il massimo ornamento della città, eccetto l'austerità e la severità degli uomini che, sebbene non attenga al decoro, attiene tuttavia alla potenza della città. Nessuna città d'Italia è più forte, perciò come gli italiani definiscono Milano grande e popolosa, Firenze bella, Venezia ricca ed ammirevole, Napoli gentile e nobile, Ravenna antica, così chiamano Genova superba, magnanima e forte. (Anselmo Adorno)
  • Io calcolo tutto, io calcolo l'ovvio. Io vado a vedere. Io sono di Genova, a me non me lo metti in quel posto lì... Io non sono il bolognese... Io sono di Genova: io ti conto i peli del culo uno ad uno! (Beppe Grillo)
  • Io non ho mai visto nulla come questa Genova! È qualcosa di indescrivibilmente bello, grandioso, caratteristico: Parigi e Londra al confronto con questa divina città scompaiono come semplici agglomerati di case e di strade senza alcuna forma. Davvero non saprei da dove cominciare per darti l'impressione che mi ha fatto e continua a farmi tutto ciò: io ho riso come un fanciullo e non potevo nascondere la mia gioia! Per offrirti nel tuo compleanno il dono secondo me più grande, ti prometto oggi di farti fare nella prossima primavera una gita a Genova. (Richard Wagner)
  • L'assenza solo apparente di architetture storicamente celebrate ha spesso allontanato la grande massa (formatasi attraverso la frusta retorica monumentalistica) da un'esatta percezione della segreta bellezza della superba, che crediamo risieda nella totalità del suo manufatto urbano, dove ciascun episodio architettonico, sacro o profano, è parte significativa di una lunga, lunghissima narrazione di secoli che è quindi una metafora della stessa idea di città. Genova, infatti, non può che apparire ai nostri occhi come città-paesaggio, laddove la stessa edilizia diviene paesaggio, adattandosi di volta in volta ai movimenti del terreno su cui è sorta, generando per effetto naturale sempre nuove e talora vertiginose prospettive. In altre parole, siamo immersi in una verticalità superba di fronte all'infinità orizzontalità del mare. (Maurizio Fantoni Minnella)
  • L'edificio è una di quelle magnifiche ville in cui i nobili genovesi profusero milioni al tempo della potenza di quella repubblica aristocratica. Se la tarda sera è bella in qualche luogo, lo è indubbiamente a Genova, quando è piovuto come piove laggiù, a torrenti, per tutta la mattinata; quando la purezza del mare gareggia con la purezza del cielo; quando il silenzio regna sul viale e nei boschetti di quella villa, tra i marmi dalla bocca spalancata da cui l'acqua fluisce con un senso di mistero; quando le stelle brillano, quando le onde del Mediterraneo si susseguono come le confidenze di una donna a cui strappiate parola per parola. (Honoré de Balzac)
  • La città di Genova nelle cose dell'armi, in quelle delle lettere, e in ogni altra operazione onorata, s'è fatta conoscer sempre di star più vicina al colmo che al mezzo... (Girolamo Ruscelli)
  • La città è circondata da mura e gli abitanti non sono governati da un re, ma da magistrati che nominano a loro piacimento. Ogni cittadino ha sulla casa una torre, e nei periodi di guerra si combattono fra di loro dall'alto delle torri. Hanno il dominio del mare; costruiscono delle imbarcazioni chiamate galeras e compiono atti di pirateria contro ʾEdom e Išmaʿʾel, dal paese di Javan fino alla Sicilia, ed il bottino dei loro saccheggi lo riportano da ogni parte a Genova. Sono in guerra permanente con i Pisani. (Beniamino di Tudela)
  • La città è di per sé bellissima ed affascinante: infatti oltre la sua limitata estensione è cinta da stupenda mura: è ricca di palazzi privati in marmo, in parte bianco, in parte nero, variamente diversi tra di loro con piacevole effetto. Anche i grandi edifici delle famiglie nobili, ciascuno rifugio di una sola famiglia, si elevano sulle vie pubbliche e ne adornano in modo straordinario la loro eccessiva angustia. Inoltre il porto, opera dell'uomo, diga opposta al mare, opera da vedersi per l'eleganza e per il valore, che mai colpiscono le continue tempeste, testimonia la bellezza della città. (Giannozzo Manetti)
  • La città pullula di ricchi mercanti che viaggiano per terra e per mare e si avventurano in imprese facili e difficili. I genovesi, dotati di un naviglio formidabile, sono esperti nelle insidie della guerra e nelle arti del governo; tra tutte le genti latine sono quelle che godono di maggior prestigio. (Muhammad al-Idrisi)
  • La dolcezza della morbida primavera si addice a Venezia, come il sole abbacinante d'estate si addice alla splendida Genova, e l'oro e la porpora dell'autunno a Roma, grande e antica. (Ivan Sergeevič Turgenev‎)
  • La genialità dell'uomo sembra qui ingrandire grazie agli ostacoli, e il suo talento non si manifesta mai che di fronte alle difficoltà che sembrano frapporsi ad un libero sviluppo. Se gli architetti che hanno costruito Genova avessero avuto spazio, se avessero potuto abbandonarsi alla fantasia e senza ostacoli ai loro capricci, non avrebbero potuto trovare le infinite risorse e la multipla varietà di motivi, di disegni e disposizioni ai quali la facciata dei loro palazzi deve un'originalità di carattere, e che introduce in ogni anfratto l'inatteso della grandezza. Essi non sarebbero arrivati a queste ingegnose e brillanti combinazioni di portici, di scalinate, di terrazze e di gallerie che offrono al trepidare delle arti il carattere dell'imprevista fantasia e alla più modesta delle materie l'aurea sobrietà. (Louis Énault‎)
  • La magnificenza poi e la ricchezza dei tanti suoi palagi, la scenica prospettiva del suo porto e dei tanti edifizj antichi e moderni che lo coronano, fanno di Genova una città da non sostener confronto. Tutte le arti concorsero ad abbellire i palazzi di Genova, i suoi publici stabilimenti e i suoi templi. In ogni parte le opere di scultura abondano, i lavori della pittura richiamano l'attenzione non meno dell'amatore che dell'artista. (Giacinto Amati)
  • La processione senza croce, ma coi moccoli! Bisogna dirlo, pel mulo, è regola genovese, un santo tirato giù di paradiso è un pungolo alla groppa. (Ambrogio Bazzero)
  • [Sulle case genovesi] Le case sono tutte di quattro o cinque piani di altezza, chiuse e protette da grossi portali di ferro, costruite in pietra per ovviare al pericolo del fuoco, e sopra tutte lastricate, così che si può camminare ed andare in alto fino al termine della strada così agevolmente come attraverso la navata di una chiesa ben pavimentata con grosse pietre e con ciottoli. (Jean d'Auton)
  • Mi capitava di raccontare di come la città [Genova] era incastonata tra il mare e una catena di colli brulli e massicci, formando una figura urbana che era piuttosto insolita per l'esperienza dei miei interlocutori livornesi o tunisini o più tardi triestini; di come le strade dell'abitato antico erano sinuose e strette e quelle dell'abitato moderno dritte e larghe, con case alte e secche le prime, con palazzi tarchiati e fastosi le seconde; di come spesso negli edifici si poteva entrare sia dal basso che dall'alto, per cui i tetti non erano una fine ma un principio, non concludevano ma erano invece un esordio; della magnificenza civile della piazza De Ferrari e di via XX Settembre; del Bisagno che avevo attraversato di continuo per andare in centro dalla casa d'affitto dove abitavo in via Paolo Giacometti angolo piazza Giusti; del Porto soprattutto e delle navi che entravano fin dentro la città per ormeggiarsi ai vari Ponti. (Giancarlo De Carlo)
  • – Mi consenta di chiederle, dottore, quale città straniera le è piaciuta di più?
    – Genova.
    – Perché Genova?
    – C'è una meravigliosa folla nelle sue strade. Quando esci, la sera, dall'albergo, sono tutte gremite di gente. Ti muovi in mezzo alla folla senza una mèta, su e giù, a zig zag, vivi della sua vita, ti fondi con essa psichicamente e cominci a credere che in realtà sia possibile un'unica anima universale. (Anton Čechov)
  • Mi trovai a Genova insieme con certi americani che avevano attraversato l'Oceano da pochissimo tempo. Genova li colpì. Vedevano coi loro occhi tutto quel che avevano letto sul vecchio mondo e non potevano saziarsi di contemplare le vie medievali, ripide, strette, buie, l'insolita altezza delle case, le fortificazioni e i viadotti semidiroccati, ecc.
    Entrammo nell'atrio di un palazzo. Un grido di ammirazione si sprigionò dal petto di uno di essi: «Come visse questa gente! – ripeteva, – che dimensioni, che bellezza! No, da noi non c'è nulla di simile!» Ed era pronto ad arrossire per la sua America. Gettammo un'occhiata nell'interno d'un vasto salone: ritratti degli antichi padroni, quadri, pareti scolorite, vecchi mobili, vecchi stemmi, aria morta, vuoto... e il vecchio custode con la cuffia di maglia nera, in logora giacchetta nera, col mazzo delle chiavi... tutto diceva che quella non era più una casa, ma una rarità, un sarcofago, il vestigio opulento d'una vita passata.
    – Sì, – dissi nell'uscire agli americani, – avete completamente ragione, questa gente visse bene. (Aleksandr Ivanovič Herzen)
  • Mio caro generale, vi ho affidato l'affare di Genova perché siete un coraggioso. Non potevate fare di meglio e meritate ogni genere di complimenti. Spero che la nostra infelice nazione aprirà finalmente gli occhi e vedrà l'abisso in cui si era gettata a testa bassa. Occorre molta fatica per trarla fuori ed è proprio suo malgrado che bisogna lavorare per il suo bene; che ella impari per una volta finalmente ad amare gli onesti che lavorano per la sua felicità e a odiare questa vile e infetta razza di canaglie. (Vittorio Emanuele II di Savoia)
  • Nei confronti di Genova ho un rapporto di amore-odio, una città bellissima ma anche insopportabile, dove contano solo gli status symbol tipo 'Quella come nasce?', una domanda alla quale ero solita rispondere 'Credo che nasca dall'utero di sua madre!'. Per noi era molto difficile vivere in quell'ambiente, in una città che ti toglie il gusto di vivere; non è la forma, è il fare le cose che uno ha piacere di fare. Vivendo a Genova, o hai la grande rivolta o rimani incatenato a una vita di un grigiore spaventoso. (Tina Lagostena Bassi)
  • Nel dir Nazione, intendo una moltitudine d'uomini, per ragione di clima, di luogo, di costumi, e di lingua, tra loro diversi: ma non mai due Borghetti o Cittaduzze d'una stessa Provincia, che per essere gli uni pertinenza es. gr. di Genova gli altri del Piemonte, stoltamente adastiandosi, fanno coi loro piccioli inutili ed impolitici sforzi ridere e trionfare gli Elefanteschi lor comuni oppressori. (Vittorio Alfieri)
  • Nelle città italiane, ci sembra, è spesso l'uomo giovane che predomina; tra i diciotto e i trenta, senza cappotto, con scarpe tirate a lucido, cappello di feltro o di paglia inclinato sulla testa, mani in tasca, sigaretta tra le labbra, seduto ai caffè, sulle ampie piazze, in piedi sulle scalinate degli edifici pubblici. Così anche a Genova. Essi discutono a gruppi, ridono, litigano; sembra siano soli. La signora, il signore anziano, persino il ragazzo, si fanno da parte. La città sembra appartenere al giovane, è lui che decide sul suo futuro. Questo ha qualcosa di rinfrancante e allo stesso tempo inquietante. Poiché questi giovani hanno molto raramente l'aria cattiva, eppure mai troppo pacifica. (Erika e Klaus Mann)
  • Nessuna città annunzia meglio l'Italia di Genova; essa è il degno portico marmoreo di cotesta immensa galleria, che finisce al golfo di Taranto; è il peristilio di cotesto museo che mostra i suoi quadri, le sue statue, le sue città sulle mura degli Appennini, e rinfresca la sua atmosfera colle brezze che spirando da' suoi due mari si incrocicchiano. (Joseph Méry)
  • Noi a Genova abitavamo nel quartiere pittoresco dell'angiporto – cioè contrabbandieri e prostitute – e non eravamo di certo una famiglia ricca. [...] Mia madre non ha mai chiuso la porta di casa a chiave, nonostante sotto di noi ci fossero due fratelli che entravano e uscivano dalla galera. (Angelo Branduardi)
  • Noi, dopo aver percorso le famose città dell'Asia e i popoli della feroce Europa con un lungo viaggio, siamo giunti a Genova, la sola che dovevamo vedere, grande ornamento del mare italico, desiderando deporre l'antica fiamma: dopo averla ammirata da un alto scoglio che frange il mare occidentale e sostiene una torre superba che offre luce ai naviganti nell'oscurità, osservo un'opera più grande di quanto mente umana possa immaginare: infatti mi è sembrato di aver visto una città eccelsa per la posizione straordinaria che ciascun angolo rende terribile per il nemico e temibile per tutto il mondo. (Francesco Filelfo)
  • Non esiste un segno o vaga ombra di qualcuno che si interessi realmente a noi. E non parlo da inglese: ho avuto modo di ascoltare le impressioni di alcuni ufficiali, provenienti da diverse parti d'Italia e in altrettante parti stanziati, nelle quali mi confermavano la mia impressione su questo aspetto dei sanremesi, aggiungendo che è una caratteristica di tutta la Riviera genovese. «Aprono le loro mani solo per prendere soldi e mai per spenderne»; oppure: «Due parole mancano al loro vocabolario: generosità e ospitalità». Tutti gli ufficiali descrivono le altre parti d'Italia, come le province, ecc., con toni completamente differenti e le mie stesse esperienze scritte sulla Calabria e gli Abruzzi me lo hanno comprovato. Qui è noto che nonostante ci siano molti ricchi, vivono in ristrettezza e spilorceria: quello che noi (come le maggior parte degli italiani) riteniamo una forma comune di cortesia (rinfreschi, cene, o quel che ti viene in mente) in loro suscita disprezzo e disgusto. «Nella Riviera, economia vuol dire avarizia», ho sentito dire spesso. Capirai dunque che qui non c'è molta vita sociale. (Edward Lear)
  • Non saprei immaginare Genova in rovina. Di archi così massicci, di così poderose fondamenta, su cui poggiano questi torreggianti e vasti edifizi, raramente ne abbiamo già visti; e i grossi blocchi di pietra di cui son fatti questi palazzi non rovineranno mai; muri spessi quanto in America è alta una normale porta non possono crollare. (Mark Twain)
  • O Genova! o Genova! Chi può mai descrivere i tuoi palazzi di via Balbi, della Nunziata, della Nuova o della Nuovissima, e le casette a otto piani nelle strettucce che sembrano scolatoi al mare? Chi ti dirà il nobile effluvio dei cedri e il plebeo fetore del baccalà; la splendida pace dei pensili orti e l'arrabattarsi lucroso nel porto: la vita opulentemente stanca nelle sale d'ozio e la insaziabile voluttà della marmaglia saettata dal sole: la bianca melanconia degli atri, degli scaloni, delle corti solitarie e l'immensa gazzarra delle mille navi? (Ambrogio Bazzero)
  • Ovunque e per ogni dove si ergono dimore regali sotto il cielo carico di nubi: le pareti non sono di laterizi, ma di marmo, scolpite in modo ammirevole e adorne di grandi finestre e mille colonne decorano uno spazio proporzionato a queste. (Francesco Filelfo)
  • Per comprendere ciò che produce la libertà, è necessario di andare a Genova; tutto colà annunzia l'abbondanza e la ricchezza. Il commercio è l'anima di questo popolo industrioso. I nobili stessi non si vergognano di esercitarlo in ambe le riviere di ponente e di levante, che ho percorso in tutta la loro estensione, camminando non di rado colle mani e coi piedi... I Genovesi e gli Olandesi sono i banchieri di tutti i principi d'Europa, che abbisognano di denaro. (Carlantonio Pilati)
  • Per la prima giornata, il viaggio da Genova verso sud, lungo il mare, è uno dei più belli che si possano fare. Genova poi sorge sulle colline, in mezzo ad oliveti verdi-azzurri. Nei giardini crescevano aranci e melograni, e i lucenti limoni verde pallido facevano pensare alla primavera, proprio allora che noi scandinavi ci approssimiamo all'inverno. I temi degni d'un quadro succedevano l'uno all'altro; per me tutto era nuovo e indimenticabile, e vedo ancora adesso gli antichi ponti ricoperti d'edera, i cappuccini per la strada e le schiere di pescatori genovesi con i berretti rossi in testa. La costa era tutto uno splendore, con le belle ville e il mare costellato di velieri e vapori dai camini fumanti. (Hans Christian Andersen)
  • Più di questo. (slogan)
  • Più spiaggia libera per noi, molto genovese. E lo sono fin nelle viscere perché, sebbene la mia parte cosmopolita insista nel dirmi che gente in spiaggia significa turismo, consumi, benessere, allegria, vitalità, socievolezza e tutto quello che sulle spiagge romagnole è perfetto, il mio essere genovese continuerà sempre a sibilare meno gente, più spiaggia libera per noi. Non si scappa dal marchio della Superba. (Barbara Fiorio)
  • Preso l'omnibus (2 soldi) fino all'estremità del porto. Il faro (alto 300 piedi). Ci son salito. Vista superba. La costa verso il sud. Un promontorio. Tutta Genova e le sue fortezze dinanzi a voi. L'altezza e la distanza di queste fortezze, la loro esterna solitudine. La desolazione, l'aspetto selvaggio delle valli che intercorrono sembrano fare di Genova la capitale e il campo fortificato di Satana; fortificato contro gli Arcangeli. Le nuvole che si addensano sui bastioni sembrano immaginarie. (Herman Melville)
  • Quando io venni al mondo Genova era una delle più belle e tipiche città italiane. Aveva un centro storico ben conservato e tale da conferirle un posto di privilegio tra le villes d'art del mondo; una circonvallazione più moderna dalla quale il mare dei tetti grigi d'ardesia lasciava allo scoperto incomparabili giardini pensili; e a partire dalla regale via del centro una ragnatela di caruggi che giungeva fino al porto [...]. Ma Genova non saprei dimenticarla. Ne conosco il dialetto, l'ho parlato a casa e fuori [...]. Una città che è una striscia di venti chilometri, da Voltri a Nervi, e a mezza via il grosso nodo centrale. Vista da un aereo sembra un serpente che abbia inghiottito un coniglio senza poterlo digerire. (Eugenio Montale)
  • Quella città famosa, il cui eccelso stato produce simili eroi nelle armi e nelle lettere; quella che da tanti secoli conserva maestà regale senza curvare a nessun re la testa superba: Genova la bella, dico, cui bacia i piedi il mare. (Lope de Vega)
  • Quella nobilissima città, la quale, come io soglio dire alle occasioni, è una vera terra d'eroi in Italia. (Girolamo Ruscelli)
  • Questa città è molto antica, dicono che la fondò Giano, principe troiano, dopo che sfuggì alla distruzione di Troia. E sembra proprio edificata dalla mano di un uomo vinto, perché è fondata su di una montagna molto impervia sul mare; tutte le case sono come torri di quattro o cinque piani ed anche più; le strade sono strette e molto difficili gli ingressi; la terra è molto povera di risorse, però è gente molto industriosa, tanto che se le procurano abbondantemente per il mondo e le possiedono, come se le fornisse il suolo. (Pedro Tafur)
  • Questa città è soprannominata la Superba. In realtà, a Genova solo gli edifici sono grandi, il resto tutto è piccolo in questa nazione. (Johann Wilhelm Archenholz
  • Questa città offre i contrasti più singolari. A Genova c'è tanto libertinaggio, che non ci sono prostitute; tanti sacerdoti, che non c'è religione; tanti a governare, che non c'è governo; tante elemosine, che i poveri vi brulicano. (Charles Dupaty)
  • Questa è una delle città più belle che abbia mai visto; alcuni edifici erano di un marmo bellissimo, e avevano un'aria decisamente nobile; e molti avevano di fronte delle fontane molto curiose. Le chiese erano ricche e magnifiche, e curiosamente decorate sia all'interno che all'esterno. Ma tutta questa grandiosità era, ai miei occhi, macchiata dagli schiavi delle galee, la cui condizione sia là che in altre parti d'Italia è davvero pietosa e squallida. (Olaudah Equiano)
  • Questa mistica impronta di città di affari imponente e animata deriva forse anche dal fatto di sapere quanto sia carica di storia; piena di fantasmi e di avventure del passato. (Erika e Klaus Mann)
  • Salivano voci e voci e canti di fanciulli e di lussuria per i ritorti vichi dentro dell'ombra ardente, al colle al colle. A l'ombra dei lampioni verdi le bianche colossali prostitute sognavano sogni vaghi nella luce bizzarra al vento. Il mare nel vento mesceva il suo sale che il vento mesceva e levava nell'odor lussurioso dei vichi, e la bianca notte mediterranea scherzava colle enormi forme delle femmine tra i tentativi bizzarri della fiamma di svellersi dal cavo dei lampioni. (Dino Campana)
  • Scoprire Genova come ti venne raccontata sui libri (e come i suoi abitanti amano narrarla) procura una sensazione incantevole. In primo luogo perché ti restituisce quel minimo di fiducia necessaria nella parola scritta e nel racconto orale, senza di cui vagheresti senza bussola nelle tue elucubrazioni sull'universo mondo. In secondo luogo perché Genova è bellissima davvero. La guardi e brilla nei suoi palazzi meravigliosi, a qualunque altezza sul livello del mare. Di più: è letteralmente sfolgorante nelle successioni di bianco impero, di ocra, di verde muschio, di rosso bruno. Dal Porto Antico al Matitone nelle ore della tarda mattinata che dovrebbero essere infuocate e non lo sono. Le strade non starnazzano, perché il traffico d'agosto rende tutti più civili e spensierati. Intorno e sopra di te c'è solo un'architettura mozzafiato di forme e di colori che ti puoi fermare a contemplare estasiato, senza temere che ogni minuto di sosta ti renda più appiccicosa la camicia. Insomma quando non piove e non c'è la macaia (non ho mai capito come si scriva) Genova è davvero la più bella città di mare d'Italia. (Nando dalla Chiesa)
  • Sembra che gli italiani non abbiano nulla da chiedere a Dio. Del resto, è agli esiliati che bisogna chiedere che cosa è la patria, agli amanti infelici che cosa è l'amore, all'inverno che cosa è la rosa. Gli abitanti di Genova hanno sempre sole e rose; vedono sempre il cielo azzurro. Perché dovrebbero pregare? (Alphonse Karr)
  • Sembrava difficile aggiungere della bellezza a Genova eppure è quello che si sta facendo. Si poteva temere di guastarla "modernizzandola" e, vedendo i primi tentativi, lo si poteva anche credere ma adesso ci si accorge che l'apertura di grandi piazze e la costruzione di case altissime non stonano con le vecchie strade dell'antico centro. Fa piacere e non c'è dubbio che fra una diecina d'anni Genova diventerà la più bella città del mondo, dopo Roma. Lo è già. Ma Napoli può competere con lei. Fuori d'Italia, non c'è che Barcellona che possa essere paragonata alle grandi città italiane. (Valery Larbaud)
  • Signora, questo desiderio [di santità] deve essere in voi come gli aranci della riviera genovese, che, per quasi tutta la durata dell'anno, sono carichi di frutti, di fiori e di foglie allo stesso tempo. (Francesco di Sales)
  • Situata alla riva del mar ligustico, ai piedi delli Appenini, in mezzo a due incomparabili riviere, conosciute sotto nome di levante l'una, di ponente l'altra; fabricata a foggia di anfiteatro allo stremo del più bel golfo del Mediterraneo, sul pendio d'uno scoglio nudo e arido che l'obbligò a chiedere il soccorso dell'arte, onde supplire a quanto aveale negato natura. (Giacinto Amati)
  • Sono rimasto quasi un mese a Parigi, otto giorni a Lione, undici a Torino e ora sono a Genova da circa tre settimane... Nessuna città mi è piaciuta più di questa. Le chiese, i palazzi, per la verità anche le comuni case d'abitazione, sono splendidi. Ma c'è un difetto, la maggior parte delle strade sono molto anguste... (George Berkeley)
  • Totalmente insoddisfatto della sosta in questa città [Torino], ne ripartii dopo appena due giorni, per Genova. Qui mi parve veramente che l'agognato miracolo stesse per compiersi. Ancora oggi la splendida impressione di questa città combatte in me la nostalgia della rimanente Italia. Passai alcuni giorni di vera ebbrezza; ma fu certamente la mia grande solitudine in mezzo a queste impressioni che ben presto mi fece sentire l'estraneità di questo mondo, in cui mai mi sarei potuto sentire come in casa mia. Incapace di visitare secondo un piano regolare i tesori artistici della città, mi abbandonai senza guida ad una specie di sentimento musicale del nuovo ambiente in cui mi trovavo, e cercai prima di tutto il punto in cui avrei potuto fissarmi e godere tranquillamente delle mie impressioni. (Richard Wagner)
  • Tra le città d'Italia Genova mi è parsa in gran parte la più illustre per taluni aspetti e la più bella, a meno che non mi inganni e non mi tragga in errore l'affetto per l'antico progenitore Opizzino Adorno, che trasse origine da qui. Non mi ricordo di aver visto nessuna città, eccetto Damasco, più piacevole dall'aspetto esteriore: se uno si ferma presso la torre di Capodifaro, considererà la visione della città che gli si offre molto piacevole e mirabile. (Anselmo Adorno)
  • Un cupo rossore infuocava le facciate marmoree dei palazzi ammassati lungo le pendici di un'arida collina il cui spoglio crinale tracciava, alto sul cielo che imbruniva, un rigo luminoso e spettrale. Il sole invernale tramontava sul golfo di Genova. Oltre la costa a oriente il cielo era come vetro scuro. Anche il mare aperto aveva un aspetto vitreo, e sulla sua superficie rossastra la luce della sera indugiava come incapace di staccarsene. Le vele di alcune feluche alla fonda apparivano rosee e allegre, immobili nell'oscurità crescente. Tutte puntavano la prua verso la Superba. All'interno del molo, che era lungo e terminava con una tozza torre rotonda, l'acqua del porto si era fatta nera. (Joseph Conrad)
  • Una città sepolta da riscoprire e rivalutare. (Ennio Poleggi)
  • Una delle malattie di Genova la chiamerei dei veti contrapposti: quando si trova di fronte a un progetto si oppone solo per il gusto di opporsi. (Andrea Gallo)
  • Una diffidenza generale verso qualsiasi cosa odori di contemporaneità, come si vede nel tono generale delle insegne, delle vetrine, delle pubblicità, e come ho dovuto constatare in sede ben più significativa, nell'ambiente studentesco... I difetti che si riscontrano a Genova, se pur comuni ad altre città, se pur giustificati dalla relativa lontananza dalle due capitali, indiziano per altro una gravissima inerzia morale... Escludersi da ogni catena di rapporti dà luogo – oltre all'inerzia e alla stasi – ad un complesso di inferiorità e di colpa, quello di cui soffrono tutti i genovesi che ho conosciuto, nell'ambito dei più vari campi della cultura. (Eugenio Battisti)
  • Veramente ha un aspetto sovrano, da una parte elevata a dominare il mare e dall'altra appoggiata a quella bella catena di montagne. (Madame de Staël)
  • Verdi lo ha espresso perfettamente. "Popolo della feroce storia." È un luogo che non ha mai superato il suo feroce passato. [...] Una volta che Genova ti entra dentro, non te ne puoi liberare. [...] Genova ha un cuore e un'anima come nessun altro. (Mitchell Wolfson)
  • Vidi Genova, per la prima volta, una mattina d'inverno: l'atmosfera era perfettamente trasparente, il cielo blu pallido e ad un tempo profondo. Durante la notte era nevicato. La neve immacolata – che ancora nessuno aveva calpestato – colorava d'un delicato rosa la cima dei monti che, argentea cresta, era illuminata dai raggi obliqui del sole nascente. [...] Ogni idea che sfumava calma, limpida freschezza, serenità, si svegliarono in me quando dalla prora del vascello contemplai questa bella Genova: la fronte nella neve, i suoi piedi di bianco marmo dolcemente carezzati dalle onde. La città mostrava, per piani, il suo anfiteatro di chiese e palazzi. Nel ricordo si presenta, talvolta, ancor oggi, con una fedeltà ineffabile.
    Questa prima vista di Genova è incontestabilmente bella, e occorre gioirne con calma, a lungo, senza ingordigia. (Louis Énault‎)
  • La prima volta che andai a Genova non avevo più di quattro anni e non so cosa pensai di quel luogo strano. Aveva un mare così diverso da quello a cui ero abituata. In quella città ancora sconosciuta, sembrava tutto un porto, abitato da imbarcazioni troppo grandi e da strani mostri ferrosi con la carcassa arrugginita e portentosa.
  • Quella città stretta e grigia, se il mare è grigio, o larga e blu, se anche il mare lo è.
  • Vista dal mare è bellissima. Si inerpica irregolare strappando l'aria alla montagna, la assedia e di notte ci si addormenta sopra. I palazzi svettano su fondamenta sghembe, incuranti del suolo scosceso, e si colorano di nuvole e di cielo, solleticati dalle ali dei gabbiani in volo.
  • Forse è una città che, negando un po', costringe a esprimersi anche altrove. C'è tanto amore nei confronti di questa città e forse anche tanta repulsione. Genova è una grande città e ha sicuramente fama di essere la culla dei cantautori, ma nonostante questo non ospita alcuna produzione discografica o televisiva e questo è certamente un fatto curioso. Bologna, ad esempio, è un terzo di Genova, ha cantautori come Dalla, Guccini, Cremonini e infatti è sede anche di diverse produzioni. Questa si chiama buona volontà istituzionale, politica. Se non ci sono le produzioni, a un certo punto un artista se ne deve andare.
  • Ricordo che Gaber mi raccontava che nei primi tempi partiva da Milano e veniva a Genova a provare quella canzone, e veniva qui perché questa città era il "centro" della canzone, soprattutto per quegli autori che erano interessati alle parole, perché bisogna ammettere che – come testi – i genovesi sono molto più profondi, più poetici ed impegnati degli altri: è una questione di carattere, non c'è niente da fare.
  • [La "compressione" dei genovesi tra mare e monti] ... ti dà una mano, è vero; ti costringe a scoppiare con la canzone, con l'arte, con il palcoscenico, con la comicità, con il teatro, con la poesia, la letteratura, con quello che vuoi.
    Questo è anche il motivo per cui le parole delle canzoni a Genova sono più belle, perché la tradizione poetica è più forte.
  • Chi non riterrà incomparabile la sua posizione, ammetterà di non conoscere cosa si debba ammirare o desiderare in una città: è infatti situata nel golfo ligure, a tergo è difesa dai gioghi degli Appennini e di fronte è cinta da altissimi flutti, in modo da essere sicura dalle incursioni dei popoli confinanti e dagli assalti dei pirati. Rende notevole questa posizione soprattutto il fatto che la città stessa è posta quasi al centro della riviera ligure, in modo che, essendovi di qua e di là castelli molto muniti e forti ed alcune città illustri, è posta per così dire, tra ali di cavalleria ed è indubbiamente una posizione molto adatta per dominare e tenere i popoli sottomessi. Si aggiunge una straordinaria opportunità per la navigazione: qui si apre infatti un facile e rapido percorso verso qualunque regione e lido.
  • Genova tiene ricchezza da bastare alle sue terre e da prestare a molti re.
  • Infatti non ignoro che le lodi di una città così antica ed illustre superano la capacità del mio ingegno, perché possono procurare immensa ed inesauribile materia non ad un solo oratore, ma a molti assai abili ed eloquenti. Sarebbe infatti sufficiente ed anche troppo che alcuni trattassero della sua antica ed illustre origine, altri della posizione e della bellezza della città, altri delle ricchezze, altri del gran numero di cittadini, altri della grandiosità delle imprese.
  • La ornano case degne di re, poste in faccia al mare, le cui fondamenta sono lambite incessantemente dalle onde marine; la ornano come stelle splendenti moltissime torri disposte qua e là, sia per abbellimento, sia per difesa.
  • Affrontiamo un altro lato caratteristico della vita genovese, il bigottismo. In Genova la chiesa occupa un posto importantissimo. L'esercito delle sottane nere comanda a bacchetta, sia che inspiri le parole in Consiglio, sia che diriga gli avvenimenti nel seno delle famiglie. Il fenomeno si spiega con la poca istruzione generale, ma anche col carattere proprio delle città marinare che, o per atavismo o per sentimentalità personali, si professano devote al culto di Dio.
    La donna, vecchia o giovane, è la prima vittima del miraggio. Essa frequenta le messe, ascolta rispettosa le parole e i consigli del confessore e in tutto cerca di mantenersi in buona pace con l'altro mondo. La sua influenza sull'uomo, considerevole ovunque, in Genova trova maggior terreno per estendersi, poiché la politica clericale è quella adottata dall'ambiente. Da ciò quell'apparenza untuosa, che informa le conversazioni e il modo di agire di ognuno.
  • Bisogna osservare che nella borghesia ricca di Genova predomina un elemento popolano, che del popolo ha conservato i vizii e dimenticate le virtù. Sono lavoratori infaticabili, giunti alla potenza a forza di energia e di risparmio, i quali conservano ancora nel corpo tozzo, nelle maniere grossolane e nelle mani indurite i segni del loro passato. Come in una tromba aspirante essi hanno trascinato dietro la loro fortuna la famiglia, comprese le mogli, oneste ex-bisagnine, buone diavolaccie in fondo, malgrado la prosopopea apparente e la smania di lusso.
  • Genova tenebrosa è visibile fors'anche ad occhio nudo; essa è localizzata e possiede certe speciali espressioni e manifestazioni, che la indicano subito all'attenzione del curioso e del gaudente.
    Non così Genova misteriosa. Per quest'ultima la prostituzione, i giuochi di borsa, gli intrighi sono acqua di rose. Essa ha il volto sorridente di esperta matrona e le mammelle avvizzite, bacia e morde ad un tempo ed ove credi non esista ti si scopre ad un tratto come un orribile spauracchio da una scatola a sorprese.
    Per conoscerla occorre essere una canaglia o assumerne l'aspetto. Neanche la polizia può sorprenderla, tanto essa è attenta e ricca di precauzioni e di strattagemmi. [...]
    Ci si dirà: ma dove posson celarsi tanti misteri in una città, che non possiede neanche trecentomila abitanti e che è conosciuta, si può dire, palmo per palmo dalla polizia?
    Ove meno credete, amabile lettore. Genova è piccola e grande ad un tempo. Da Porta Lanterna essa getta il suo fascio di strade sino a Staglieno da una parte e a San Pietro della Foce dall'altra.
    A studiarne la carta topografica si riconosce subito, o si crede di riconoscere, la poca probabilità di misteri. Quella rete di strade, di vicoli, di passeggiate pare semplice ed evidente. Eppure, già qualche gruppo fitto di case, come quello descritto da noi nel primo capitolo della «Signorina Scarpette», fa arricciare il naso ad un attento osservatore.
  • Vedete Genova? Da un lato il mare, ove si agitano lievemente selve d'alberi di navi e si profilano le lunghe ombre dei transatlantici; intorno ad esso, lunga e densa la linea delle case, solcate da una grande striscia architettonica di palazzi medioevali, che da piazza Acquaverde va a finire al Duomo.
    Scorrete con passo celere le strade, da un lato e dall'altro di questo storico solco. Verso il monte troverete vie larghe e giardini e palazzi a caserma; lungo il mare, invece, vicoli e strettoie, che scindono le grevi file di casoni alti, anneriti, piegati sotto il peso degli anni e vicini tanto, da toccarsi con le grondaie: tutta la vita marinara e affaticata del popolo. Quei caseggiati, di notte cerchiati dall'ombra, ma di giorno multicolori, costruiti secondo le figure geometriche più arrischiate, non vi rivelano forse tutta l'indole di questo popolo? In quell'invasione di piccoli spazii, in quell'utilizzazione di ogni tratto di terreno, che vi foggia angoli bizzarri, sporgenze mostruose, bernoccoli massicci, non leggete lo spirito pratico, attivo, calcolatore del genovese? E non vi leggete anche il risparmio e l'economia, smentiti solo in apparenza dalla sfarzosità grottesca delle nuove abitazioni? Quelle nicchie, quei ricami, quei gingilli sui muri, appariscenti e sfacciati, non vi denotano la mania dello sfoggio e del lusso, che prepara lauti banchetti la domenica, mentre gli altri giorni si mangia il minestrone?
  • Genova è una città che fin dall'antichità ha cercato di trarre vantaggio dal mare e dal commercio. È rivale di Barcellona e Marsiglia. [...] La città presenta grandi contrasti, parti vicine alle mure che sembrano di antica città e militare, un porto nuovo dall'aspetto americano, ampi viali e vie umide, strette e oscure. [...] I genovesi furono in guerra contro i toscani e questi li dipinsero a fosche tinte. Infatti dicevano di Genova: Mare senza pesci, monte senza legno, uomini senza fide, donne senza vergogna.
  • Genova non mi entusiasmò: se si escludono il porto ed alcuni viali moderni, le stradine anguste e buie erano piuttosto maleodoranti, piene di casupole e negozietti fra i palazzi marmorei. Neppure la popolazione mi piacque gran ché. È come un formicaio convulso: vecchie nere, donne molli e grasse, ragazze agile e graziose, marinai dalla faccia scure e gli occhi azzurri, operai e soldati. L'ambiente è minaccioso e cupo; anche a Napoli vi è un vermiciaio del genere, ma là sembra muoversi di più al sole, mentre quello di Genova si agita in stradicciole con alte case. E poi a Napoli la gente che discute sembra che canti, mentre a Genova pare sempre che bisticci.
  • Si dice che Genova sia una città magnifica, adornata da palazzi di marmo e che sia denominata Genova la Superba. A me sembrò un luogo dalle vie strette e ben poco attraente. Può darsi che osservando strada per strada e casa per casa si trovino edifici, chiese e palazzi, ma passeggiando per le viuzze non si prova nessuna sensazione di grandezza né di magnificenza. [...] Nei quattro o cinque giorni che rimasi mi parve una città oscura e tetra.
  • Genova è chiamata la «la Superba». Tutti gli uomini superbi hanno un cattivo cuore, tutte le città superbe hanno.. un cattivo vino. L'una cosa completa l'altra. Perciò il cuore sitibondo si rivolge qui sopratutto a Gambrinus, la cui fedeltà è più sicura e ci ricompensa dei capricci di Bacco. Non fa meraviglia che nella velenopoli il culto della buona bevanda scura sia molto in fiore.
  • Genova è la città d'Italia meno propizia al buon bevitore; ed è perciò che Magone, il punico, dopo il primo assaggio ne ordinò la distruzione; è perciò che Barbarossa, appena s'accorse che i Genovesi meditavano d'assassinarlo col mezzo d'una bicchierata d'onore, si apprestò a voltare le spalle alle sue porte. [...] «Sì, in Zene si vive bene» è detto in un libro di canzoni studentesche, ma vivono bene i soli discendenti di Locusta che porgono veleno in coppe eleganti con turaccioli dorati e con etichette incantatrici, mettono l'inferno nelle vene e ricordano l'esclamazione: «Ecco, fratello, raccogli sorridente la tua dannazione!» (Fieschi, atto V, scena 13).
    Ed ancora non si è trovato un vindice, che liberi questa Velenopoli «da' suoi tiranni» e ripeta al popolo le parole della congiura dei Fieschi?
  • Nel fondo delle bettole genovesi troverai sprazzi d'arte e di bellezza e fors'anche spruzzi di vino buono, se anche il bicchiere non ti è lanciato direttamente in viso. Se sei poeta, pittore, idealista, volgi i tuoi passi lungo l'aperta Piazza Caricamento, verso il porto, e fermati a breve distanza dal vecchio e glorioso Banco di S. Giorgio, dove il nostro occhio spirituale ancor vede uscire dall'acqua un brandello della sottoveste di Fiesco. Sotto palazzi altissimi, che vanno con le loro torri a grattare le nuvole, accucciate come cani ai piedi del padrone, troverai una folla lillipuziana di curiose e care taverne: camerette aperte sulla strada, dentro le quali ferve pittoresca e gioconda la vita della gente del porto. Al primo piano, sopra il piccolo locale modesto lungo la strada, s'allineano bottegucce d'ogni specie il cui ingresso è dalla parte opposta e a piano terra sotto i porticati. [...] La sera quando tutte le finestrine delle botteghe e gli interni delle piccole bettole s'illuminano, lo spettacolo è meraviglioso e dà l'impressione di una costruzione fantastica in una festa d'artisti.
  • Sono qui così tristi, dolorose, deprimenti le informazioni enologiche, che non possiamo fare a meno di ripetere la maledizione che il padre Dante nel suo alto sdegno ha lanciata contro la Superba:
    O Genovesi, uomini diversi, ecc.
    Ma il giudizio di Dio ha ben altro da fare che occuparsi dei vinai farmacisti genovesi, i quali inondano la città con un oceano di veleno, che (secondo la trageda dello Schiller) alla stessa nobiltà inocula fuoco, fiamme... e qualcosa altro ancora.
  • Che non può il traffico e l'industria secondati dalla situazione e fomentati dal governo? In un paese posto in mezzo ai dirupi, ove niente nasce naturalmente, alle sponde d'un mare sterile e borascoso è posta una città di centocinquantamila persone e tutto vi si trova e tutto abbondantemente.
  • Non si aspetti ad un'esatta descrizione di Genova; nè io nè anima vivente è capace di fargliela, le dirò solo che questa dominante è una città tutta composta di palazzi, ognuno de' quali fa inarcar le ciglia; veder le piazze e le intere contrade formate da queste moli, tutte o a grandi marmi e colonne e statue o pur dipinte a colori imponentissimi o anche co' l'uno e l'altro unitamente. Vi sono tanti palazzi e di tale belezza, da guernirne e decorarne cinquanta città, e chi non sapesse cos'è Genova facilmente in vedendola potrebbe venir in mente che tutti i re della terra si fossero accordati ad alloggiare in questa sola città.
  • Se non paragono Genova all'antica Babilonia o a Persepoli, non saprei a quale tra le moderne pareggiarla per dargliene un'idea! E chi potrà contrastarle il titolo di superba che gode così a buon diritto!
  • Genova, con i suoi colossali bastimenti famosi allora nel mondo intero, con le sue case ammonticchiate che spuntano come candele – l'ho amata e l'amo ancora.
    Anche Genova bisogna incontrarla venendo dal mare. Avendo proclamato a gran voce che l'amavo, mi sono visto arrivare lettere, segni di amicizia. Ma anche delle domande: dicevo proprio quello che pensavo? Anche in tempo di maestrale, che cola come una sfilza di rivoletti ghiacciati per strade e stradette, Genova mi incanta. Dalla città alta un breve movimento delle spalle, una svolta ad angolo retto, ed eccovi nella città vecchia, nera, un altro universo, segreto, pieno di odori forti... Siete perduti. Ci si riprende, si torna alla ragione solo al termine del pendio, quando appare il mare.
  • Questa straordinaria città divorante il mondo è la più grande avventura umana del secolo XVI. Genova sembra allora la città dei miracoli.
  • Se mai esiste una città diabolicamente capitalistica assai prima dell'età capitalistica europea e mondiale è proprio Genova, opulenta e sordida al tempo stesso.
  • Genova digerisce e supera tutte le sue crisi, attaccandosi tenacemente al presente. [...] Città che sembra chiusa, incapace di slanci, e poi reagisce sempre nel modo più diretto alle occasioni decisive: supera il declino della Repubblica marinara mettendosi alla testa del movimento risorgimentale per l'unità italiana; supera la crisi della sua industria pesante protezionistica ritrovando l'efficienza con l'industria a partecipazione statale; al termine della guerra disastrosa salva il suo porto con una delle più riuscite insurrezioni partigiane d'Europa, costringendo — fatto unico nella storia — un'armata tedesca di 30 mila uomini ad arrendersi a un comitato di cittadini; questa città che oggi è un campo di lotte sociali in cui le forze opposte si fronteggiano con meno mediazioni e sfumature che altrove; questa città che è difficile da capire, perché parla poco, ma certo non gira a vuoto.
  • Genova è una metropoli che si è tanto allargata da tendere a diventare una città-regione di per se stessa, quasi una megalopoli all'americana, pur senza quel processo di sovrappopolazione che ha congestionato le altre grandi città italiane, e senza allontanarsi di molto dalle sue caratteristiche ambientali. Come ai tempi gloriosi della Repubblica marinara, Genova è molto di più e qualcosa di meno d'una capitale regionale. Molto di più perché come allora guardava soprattutto oltremare così ora guarda soprattutto al grande contesto economico generale di cui è parte. Qualcosa di meno perché — come già abbiamo accennato — durante tutta la sua storia di Repubblica la sua vocazione di capitale fu continuamente contrastata dalle spinta centrifuga che ha sempre animato il suo territorio, e oggi ancora lo spirito ligure è ostile a ogni predominio accentratore.
  • Nulla di più diverso delle due grandi città marinare rivali che si divisero il dominio del Mediterraneo e i traffici con l'Oriente: Venezia e Genova. Eppure esse hanno in comune un dato negativo nella loro situazione topografica che già determina il loro destino. Entrambe le metropoli sono sorte senza terra sotto i piedi: Venezia come città di palafitte e isolotti lagunari, Genova come città verticale addossata alle alture che non lasciano spazio tra le loro pareti e il mare, di modo che le case devono appiattirsi l'una sull'altra, espandersi a ventaglio sopra un porto sempre più ramificato e affollato.
  • Se è decadentismo volgersi al passato per assaporarne l'agonia, Genova è una città così poco decadente da tenersi stretto il proprio passato fin quasi a non vederlo, portandolo con sé nel presente che è la sua vera dimensione. Se è narcisismo non sapersi staccare dalla contemplazione della propria immagine, Genova è così poco narcisista che della propria immagine non sa né se ne cura, tutta presa com'è da quello che fa e mette insieme e moltiplica.
  • A Genova ho scritto le prime poesie, che la domenica andavo a ricopiare a macchina nello scagno di mio padre in piazza della Commenda, in pieno porto, e più tardi in piazza dell'Acquaverde, accanto all'antica chiesa di San Giovanni di Prè, grigia a buia – nel suo buio Medioevo – come un sommergibile.
  • Genova è una città che mi ha stregato. Nemmeno ora che vivo a Roma riesco a levarmela di dentro [...] Me la sogno di notte, la sospiro di giorno. Per dirla alla francese, je suis malade de Gênes...
  • Il punto di stazione da cui guardo Genova non è quello, scelto ad arte, del turista. È un punto di stazione che si trova dentro di me. Perché Genova l'ho tutta dentro. Anzi, Genova sono io. Sono io che sono "fatto" di Genova. Per questo anche se nato a Livorno (altro porto, altra città mercantile), mi sento genovese.
  • L'intera Genova, nel suo insieme, è città doppia: bifronte come il Giano che ne sormonta lo stemma o ne vigila le aiuole e i giardini.
  • Ma ragioni sentimentali a parte, forse fu in primo luogo la sua verticalità ad esaltarmi fin dal primo impatto.
    Con le sue salite, le sue rampe, le sue scalinate, i suoi ascensori pubblici, le sue funicolari e le sue strade disposte una sull'altra, Genova è una città tutta verticale. Verticale e quindi, almeno per me, lirica, se non addirittura omerica. Una città che direi, urbanisticamente, tra le più irrazionali, se non sapessi come invece, tale apparente irrazionalità, altro non sia che il frutto d'un ben ponderato calcolo: quello di trarre il maggior profitto possibile, e nel modo migliore, da una tirannica configurazione geografica, che sempre ha imposto ai genovesi d'espandersi soltanto in altezza.
  • Non posso paragonare la mia Genova a nessuna Contessa di Tripoli, per giunta mai vista. Come, del resto, a nessun'altra donna. A nessuna donna.
    Amo Genova – mi sto struggendo per Genova – soltanto come si può amare (e qui sta per me il diverso, l'insolito del mio sentimento nella sua medesima naturalezza) una città. Una città nella quale io entrai, di soprassalto, ancora coi pantaloni corti, e nella quale poi vissi finché non ne fui sradicato, e brutalmente, dalla guerra e dall'esilio.
  • S'è fatto tardi. È già buio. Ne approfitterò per godermi ancora una volta – anche se sa un po' troppo di cartolina illustrata – l'imparagonabile spettacolo della Genova notturna.
    Dalle bianche lune delle navi [...] o dalle gialle fiamme della zona industriale, è tutto un rincorrersi e un salire di lunghe file di luci: linee oblique, linee orizzontali, linee verticali, tutte da dar l'impressione d'una vetrina di gioielliere in pieno scintillamento. O, se vogliamo un'immagine meno logora, di un firmamento rovesciatosi sulla terra e sul mare.
  • Tale doppia faccia di Genova, infine, appare in un'altra dimensione ancora, e molto più intima: quella dello stesso spirito o animo genovese. Nell'uomo come nel paesaggio genovese vive acuto il contrasto fra la continua tentazione al dissolvimento ch'è nella stessa estatica luce marina e il ritmo d'una vita che invece tende tutta, con minuzioso accanimento, alle cose solide e ferme...
  • Tanto sono attaccato a Genova (o, viceversa, tanto Genova è attaccata a me) da non saper nemmeno discernere le parti brutte dalle parti belle. Bello e brutto li trovo così intimamente commisti (così "alla rinfusa", nel senso più marinaresco) da formare un unicum che proprio da tale commistione stretta trae il suo irripetibile fascino.
  • Inoltre dal grembo di Genova ogni anno suole | emigrare un così gran numero di giovani e tanti uomini | che, se la gente ligure, sparsa per tutte le terre | potesse dirsi trasferita in una sola colonia | dove il sole con la sua luce continua illumina i mortali, | e potesse radunarsi insieme, richiamata da tutte le parti, | occuperebbe regioni e campi con spazio molto maggiore | di quello che il Varo con la Magra per lungo tratto, | il Po ed il mare racchiudono in uno spazio troppo angusto.
  • Non ammirerai tanto altri porti sul mare | che la natura generosa ha creato curvati ad arco, | o straordinaria città
  • O terra famosa per le imprese e ricca di virtù, | che coltivi luoghi aridi per natura e superi con l'arte | ogni avversità, opera che ti innalzi tra tante cose ammirevoli, | che percorri tutto il mondo con le solide navi | e esporti ed importi cose utili alla vita umana, | del cui potere la Propontide rispetta il ricordo, | sii felice!
  • Tanto può la diligenza dei genovesi che Venere celeste | vorrebbe preferire all'amata Cipro, a Cnido e a Pafo, | da dove solevano muovere i passi i veloci Fauni, Genova | e vi si affretterebbero il veloce Amore ed Adone.
  • A Milano camminano tutti come topi, utilizzando in tempi brevissimi spazi ridottissimi; a Tempio succede l'esatto contrario: abbiamo tutti un passo da grandi distanze e da scarse preoccupazioni; gli spazi sono ancora enormi ed i tempi di realizzazione di molti progetti possono considerarsi addirittura «tempi geologici». Genova, da questo punto di vista, rappresenta un'invidiabile via di mezzo.
  • Alle 13 imbocchiamo il canale di Idra: è un'altra di quelle giornate in cui gli alberi corrono dietro ai cani. Tornare indietro è un atteggiamento che per carattere mi dà una repulsione fisica: rivedere questi cazzi di paesini è come ritornare con una donna già scopata e di cui non ti è mai fregato un cazzo (la famosa ribollita). Tornare a Genova è diverso, a Genova ritornerò volentieri perché Genova è mia moglie.
  • Da dove viene la nostalgia che tutti noi abbiamo di Genova? Tu dici, e hai ragione, che la nostra tradizione musicale è piena di emigranti che rimpiangono la loro città e sognano di tornarvi, il che si ritrova anche nella canzone napoletana e in quelle di altre città di mare, mentre non succede a Milano o a Torino. Ma forse questo dipende dal fatto che i milanesi sono nati ricchi, e i loro affari li hanno sulla terraferma, mentre i genovesi sono nati poveri, e i loro commerci hanno dovuto farli via mare, lontano da casa.
  • [Genova] [...] è sempre stata così [multirazziale] fin dal Medioevo. Vorrei dire come Sarajevo. Già cinque secoli fa nessuno faceva caso se qualcuno portava il turbante. Genova è nata e cresciuta nel rispetto delle varie religioni. Non c'è mai stato un ghetto. La Chiesa ha avuto poco potere e anche l'Inquisizione. Non è mai esistita una sala della tortura a Palazzo Ducale. Non credo che fosse tanto una vocazione illuministica, quanto la necessità di aprirsi a tutti per interessi commerciali. I carugi son pieni di marocchini? Per Genova non è una novità.
  • Era la solita madre generosa nella spettacolarità dei paesaggi obliqui e cangianti, mamma affettuosa nell'elargizione di un clima da Shangri-La, genitrice estremamente severa nei confronti di chi si fosse lasciato cogliere addormentato al ritmo del suo respiro mediterraneo, sempre tiepido.
    Quella era la Genova da cui mi dividevo per incidente d'amore e finimmo per disparentarci. Due soggetti diversi: lei a cullare i figli rimasti a casa, i prediletti parrocchiani del lungomare domenicale o i ruvidi altercanti vestiti da principi camalli e da imprenditori porporati: io a coltivare fumose Lombardie di sconfinata femminilità. Un ex figlio stronzo e dimenticato io per lei, e lei per me un grembiulone azzurro e profumato di cui ricordare ogni tanto l'odore di maggiorana: insomma una città da rimpiangere.
  • Genova è anche gli amici vivi che da lontano ti vedono crescere e invecchiare, per esempio i pescuèi che, proprio come ne Il pescatore, hanno la faccia solcata da rughe che sembrano sorrisi e qualsiasi cosa tu gli confidi, l'hanno già saputa dal mare.
  • Genova è bella, ti accorgi che è bella quando sei lontano.
  • Genova è stata una palestra in cui mi sono esercitato a vivere e quindi, grazie anche alle culture limitrofe, a pensare, a scrivere e a suonare.
  • Genova è una città a vocazione democratica e liberale. È tollerante perché da sempre fa affari con tutti senza badare alla lingua, ai costumi, all'abbigliamento o al colore della pelle.
  • Genova ha avuto un ruolo fondamentale. Perché Genova è una città ipercritica. Se non fai ridere o non fai piangere, è meglio che smetti di fare quei mestieri lì. È una città severissima e in questo senso trovo che somigli parecchio alla Sardegna.
  • Genova per me è come una madre. È dove ho imparato a vivere. Mi ha partorito e allevato fino al compimento del trentacinquesimo anno di età: e non è poco, anzi, forse è quasi tutto. Oggi a me pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei suo carruggi, gli esclusi che avrei poi ritrovato in Sardegna, le "graziose" di via del Campo.
  • Genova sta a Milano come grossomodo l'Italia sta alla Germania. Le popolazioni infreddolite hanno sempre fatto di tutto per venire a pisciare nei nostri mari le loro nebbie invernali.
  • Genova. Che cosa significa, per me? Ho avuto la fortuna di nascere in questa etnia, in questo piccolo mondo dove si parla una lingua diversa, che faceva parte di uno stato molto più grande ma con un idioma, una cucina, una cultura autonomi. Questo ti fa sentire così vicino a queste persone che condividono la tua diversità, ti senti a tua volta differente dal resto del mondo, sei membro di una grande famiglia di settecentomila persone che ha usi e costumi tutti suoi. E se arrivi a Milano, ci arrivi come un immigrato dal Sud.
  • [Su Cristoforo Colombo] Mi pare che a Genova sia piuttosto diffuso un generale atteggiamento di stupita rassegnazione, un atteggiamento di disprezzo tipico di noi genovesi che, malgrado i luoghi comuni, siamo molto più sensibili alle critiche di ordine morale di quanto non lo siamo al luccichio delle monete. [...] Tutto ciò ha fatto ricadere sull'incolpevole e meravigliata Genova quasi l'onta di avere dato i natali ad un genio della navigazione, un uomo tendenzialmente mite che compì, negli anni della sua maturità, il grave errore di anteporre il desiderio di gloria e ricchezza a quei principî etici cui nessun uomo veramente grande dovrebbe mai venir meno, indipendentemente dal periodo storico in cui è vissuto.
  • Parafrasando Flaubert, si può dire che mentre il Padreterno a Genova ha dato il sole ed il mare, ai milanesi ha lasciato la pioggia perché avessero un argomento di conversazione, poi ci ha ripensato e gli ha dato anche la nebbia, in modo che di argomenti di conversazione ancora oggi ne abbiano due.
    Eppure, in mezzo a questo sole e a questo azzurrissimo (si fa per dire) mare, sono capitate terribili tragedie, fra cui il relativamente recente naufragio della London Valour.
  • Per me Genova è come la madre, è dove ho imparato a vivere.
  • Quando un navigante abbandona la banchina del porto della città in cui vive, arriva il momento del distacco dalla sicurezza, dalla certezza, sotto specie magari di una moglie, custode appunto del talamo nuziale, agitante un fazzoletto chiaro e lacrimato dalla riva, il distacco dal pezzetto di giardino, dall'albero del limone e, se il navigante parte da Genova, sicuramente dal vaso di basilico piantato lì sul balcone, a far venire appetito agli altri, a quelli che restano, ai disertori del mare.
  • Vengo da Amburgo, vengo da Francoforte, vengo dalla Sardegna ma vengo soprattutto da Genova. Genova, che tutte le volte che ti ci trovi fuori ti rendi conto che è una città soprattutto da rimpiangere. Nel senso che ci nasci e ci vivi fino a vent'anni – dove un nostro amico poeta diceva che si arde di inconsapevolezza – poi a vent'anni cerchi di trovare lavoro e [...] ti rendi conto che è difficile lavorarci. Allora te ne vai. E dopo che te ne sei andato cominci a rimpiangerla.
  • Arrivammo a Genova attraverso il sobborgo di Sampierdarena. È vero che questo significa entrare attraverso la porta più bella; ma la quantità di belle case che vedevo da tre leghe, mi rese meno sensibile di fronte a questo sobborgo tanto celebrato. Passammo a fianco del faro, altissimo, costruito per ordine del re Luigi XII perché la notte serva da guida all'entrata nel porto, che è difficile. Qui ci apparvero alla vista il porto e la città, costruita tutto intorno ad anfiteatro e in semicerchio. È la più bella veduta di città che si possa incontrare. Il porto è vastissimo, benché sia stato ristretto da due moli; ma dicono che sia poco sicuro.
  • Arrivato a Voltri, scorsi finalmente da lontano la grande lanterna del porto di Genova; ormai la separava da noi solo una bella pianura. [...] Da Voltri a Genova è, si può dire, una sola via, lunga tre leghe, fiancheggiata a destra dal mare e a sinistra da magnifiche case di campagna tutte affrescate. A chi ha veduto questo, non si venga più a parlare dei dintorni di Parigi o di Lione, o delle bastides di Marsiglia.
  • Le case sono ben più alte che a Parigi; ma le vie sono così strette che Mypont vi può confermare che non esagero se vi dico che la metà di esse non ha più di un braccio di larghezza, per quanto le fiancheggino case di sette piani; di modo che, se da una parte questa città, in quanto a edifici è molto più bella di Parigi, dall'altra ha lo svantaggio di non poter mostrare quanto vale a causa della cattiva distribuzione urbanistica. Del resto, mi sembra che ci sia un che di ridicolo nell'aver adoperato lo stile architettonico più maestoso, sulle aree più ristrette. I palazzi spesso non hanno né giardini né cortili, almeno che si possano chiamar tali. Quando si entra nelle case, vi imbattete magari in quattro peristilii a colonne sovrapposte, messi a racchiudere uno spazio di venti piedi quadrati. Così è dappertutto, eccetto qualche casa della strada Nuova e della strada Balbi, le due più belle della città superiori a quanto di meglio c'è a Parigi.
  • Non devo dimenticare, sebbene sia molto noto, il famoso detto proverbiale di Genova: Mare senza pesci, monti senza legna, uomini senza fede, donne senza vergogna. Non ho frequentato abbastanza il paese per sapere se è vero anche l'ultimo punto; tuttavia proprio ora un genovese mi stava dicendo che in tutta Genova non c'è un cornuto, cosa che mi pare ancor più difficile a credersi che la storia del denaro in banca. Se poi è vero, potete rispondere che questo rende assai noiosa la città; e in verità, non vi ingannerete.
  • Solo i bugiardi sostengono, e solo gli ingenui ci credono, che Genova sia tutta costruita in marmo; in ogni caso non sarebbe un grande merito, giacché si può dire che qui non esista altra pietra fuor di questa, che del resto, se non è levigata, non è poi bella più delle altre. Ma è anche una grande menzogna sostenere, come fa Misson, che vi siano soltanto quattro o cinque edifici di marmo; in primo luogo, infatti, tutte le chiese e gli altri edifici pubblici sono interamente fatti di marmo, e così pure una gran parte delle facciate e dell'interno dei palazzi. Se si volesse generalizzare, si potrebbe affermare, con sufficiente approssimazione, che Genova è tutta dipinta a fresco. Le vie non sono altro che immensi scenari d'opera.
  • Chi vuole vedere quanto è bella la campagna negli immediati dintorni di Genova deve salire, in una giornata serena, in cime al monte Faccio o, almeno, fare una cavalcata intorno alle mura della città che è un'impresa molto più facile da compiere. Non c'è panorama più bello e più vario delle mutevoli vedute del porto e delle valli dei due fiumi, la Polcevera e il Bisagno, da quelle alture lungo le quali sono costruite le mura, poderosamente fortificate, come una piccola grande muraglia cinese.
  • È un posto che "cresce dentro di voi" giorno per giorno. Sembra sempre che vi sia qualcosa da scoprirvi. Potete smarrire il vostro cammino (che cosa gradevole è, quando siete senza meta!) venti volte al giorno, se vi aggrada; e ritrovarlo tra le più sorprendenti ed inaspettate difficoltà. Abbonda dei più strani contrasti: cose pittoresche, brutte, meschine, magnifiche, deliziose e disgustose vi si parano davanti allo sguardo ad ogni angolo.
  • Il fascino che ha il golfo di Genova ai miei occhi manca completamente a quello di Napoli. La città di Genova è proprio bella e pittoresca e la casa in cui abitiamo [Villa delle Peschiere] non ha nulla da invidiare a un Palazzo delle fiabe.
  • Il posto [Napoli] è bello, ma molto meno di quanto la gente non dica. Il famoso golfo, secondo me, come veduta, è incomparabilmente inferiore a quello di Genova, che è quanto di più bello abbia mai visto. Nemmeno la città, dal canto suo, è paragonabile a Genova, con cui in Italia nessuna regge il confronto, salvo Venezia.
  • Mai, in vita mia, fui così sbigottito! La meravigliosa novità di tutto, gli odori sconosciuti, l'inesplicabile sudiciume (malgrado sia considerata la più pulita delle città italiane), l'ammucchiarsi disordinato di case sporche, una sopra il tetto dell'altra; i vicoli, più squallidi e stretti che quelli di St. Giles o di Parigi vecchia; dentro e fuori i quali passavano e ripassavano non dei vagabondi ma delle signore eleganti, con veli bianchi e grandi ventagli; la totale assenza di rassomiglianza di qualsiasi casa d'abitazione o negozio o muro o sostegno o colonna con qualcosa che uno avesse visto prima; lo sporco scoraggiante, il disagio e lo sfacelo, mi stordirono completamente.
  • Non dimenticherò mai, finché vivrò, le mie prime impressioni mentre avanzavo per le vie di Genova, dopo aver contemplato la splendida Vista della città, per un'ora intera, con un telescopio, dal ponte del vapore. Pensavo che fra tutte le più ammuffite, desolate, sonnolente, luride, abbandonate, immobili città del mondo intero, dimenticate da Dio, nessuna la potesse eguagliare. Mi pareva di essere giunto dove tutto finisce, dove non vi è più progresso, movimento, sviluppo, o possibilità di migliorare oltre. Tutto sembrava essersi fermato da secoli, per non riscuotersi mai più, restando immobile sotto il sole in attesa del giorno del Giudizio.
    Adesso, invece, mi attira molto andarvi a camminare o girovagare, quando mi ci reco, in una specie di stato sognante, che è anche estremamente distensivo. Mi sembra di pensare, ma non so a che cosa, non ne ho la minima coscienza. Posso sedermi in una chiesa, o fermarmi alla fine di uno stretto Vico, zigzagando come una lurida biscia verso la parte alta, senza sentire il minimo desiderio per alcun altro tipo di divertimento. Non diversamente mi stendo sugli scogli la sera, fissando l'acqua azzurra senza ritegno, o giro per gli stretti vicoli e guardo le lucertole inseguirsi per i muri (così leggere e rapide che mi sembrano sempre ombre di qualcos'altro che passi sulle pietre) e sparire nei loro buchi così all'improvviso da lasciare pezzetti di coda di fuori, senza che se ne rendano conto.
  • Non immaginavo, quel giorno, che sarei mai arrivato ad avere un legame persino con le pietre della strada di Genova e che avrei ripensato alla città con affetto, perché connessa con tante ore di felicità e di quiete!
  • Ma non so come te la caveresti sui lastricati, che mettono a dura prova. È come camminare su delle biglie roventi e fumanti, con ogni tanto uno spuntone che fa inciampare.
  • Potemmo vedere Genova prima delle tre e l'osservare come gradualmente si sviluppava il suo splendido anfiteatro, fila di case che spuntavano sopra fila di case, giardino sopra giardino, palazzo sopra palazzo, altura su altura, fu ampio motivo di occupazione per noi finché non entrammo nel suo porto imponente.
  • Quando i suoi straordinari paesaggi sono finiti e si snoda tra una lunga linea di sobborghi, che si stendono sulla piatta riva del mare, verso Genova, allora le mutevoli brevi apparizioni di questa magnifica città e del suo porto destano nuove fonti di interesse; rinnovate da ogni vasta, ingombrante, semidisabitata vecchia casa di periferia: e arrivando all'apice quando si raggiunge la porta della città e tutta Genova, con la sua bellissima baia e le colline circostanti, esplode orgogliosamente alla vista.
  • [Su Lord Holland e la sua cuoca] Se anche dovessero aprire un ristorante pulito a Genova, cosa poco credibile, data la naturale predilezione per la sporcizia, l'aglio e l'olio dei genovesi, sarebbe lo stesso un grosso rischio, perché i preti farebbero di tutto per danneggiare un uomo che ha sposato una Protestante.
  • [Sui modi genovesi] Sono estremamente vivaci e pantomimici, tanto che due amici popolani in placida conversazione nella strada sembrano sempre sul punto di accoltellarsi da un istante all'altro. E uno straniero resta profondamente sconcertato dal fatto che poi questo non succeda.
  • Genova, città di profili come nessun'altra. Inimitabile effetto del sito naturale, avaro di risorse ma ricco di valori scenici.
  • Genova è un atto di prepotenza dell'uomo sull'ambiente naturale e ancora oggi sconta le conseguenze di questo atto. Essa infatti si è sviluppata per un fatto di posizione nodale rispetto alle correnti di traffico. Ma alla posizione corrispondeva un sito impossibile per una città.
    Senza terreni pianeggianti, ma pendii precipitosi verso il mare, senza entroterra che la potesse sostenere, la sua condizione normale non era dissimile a quella di una nave e si capisce come il popolo che questo sito selezionò fosse una razza di marinai, di commercianti, di finanzieri cioè di gente abituata a ricavare altrove il proprio sostentamento e il proprio guadagno o di sfruttare il traffico che doveva passare per questo porto. Un sicuro approdo per le merci che dalle altre sponde del Mediterraneo per le vie di oltregiogo transitavano verso i mercati della Valle Padana e dell'Europa centro occidentale o riprendevano per mare la rotta del nord Europa. E ancora adesso le possibilità di vita della città non devono essere basate su una abbondante disponibilità di terreno, ma sulle risorse umane.
  • Genova era una città inimitabile, per l'armonia della sua forma, per l'armonia tra forma e sito, per il significato di una cultura ricca di valori umani. Una città eccezionalmente individuata non riferibile ad altre, non confondibile anche dall'osservatore più sprovveduto.
  • Genova ha una struttura pesantemente condizionata dalla struttura naturale. I suoi profili sono profili di colli che digradano al mare, il suo abbracciare il porto è uno stendersi sui terreni meno scoscesi lungo la riva, il suo porto è un'insenatura. E la città murata è contenuta in un quadro naturale non alterato di monti e di mare. L'armonia è così raggiunta attraverso la natura. È l'armonia della sequenza formale dell'ambiente naturale compresente e rispettato nella strutturazione della città.
  • Come ero triste lasciando Genova, soprattutto per avere valicato le montagne che la dominano e durante i due giorni passati in quello stupido paese che è la Lombardia!
  • Da Voltri a Genova si vedono sempre case, tutto annuncia una grande città. Presto il porto appare e si vede la bella città seduta ai piedi delle montagne.
  • Durante il mio viaggio ciò che ho visto di più bello è Genova. Ti consiglio di andarvi un giorno o l'altro, quando ne avrai il tempo. Dopo aver visitato i suoi palazzi si ha un tale disprezzo del lusso moderno che viene voglia di abitare in una scuderia e di uscire vestiti da operai.
  • Ho visto una bellissima strada, la via Aurelia, ed ora sono in una bella città, una vera bella città, Genova. Cammino sul marmo, tutto è di marmo: scale, balconi, palazzi. I palazzi si toccano tanto sono vicini e, passando dalla strada, si vedono i soffitti patrizi tutti dipinti e dorati. Vado a visitare le chiese, sento cantare suonare l'organo, guardo i monaci, osservo i paramenti sacri, gli altari, le statue; in altri momenti (ma non so bene quali) forse avrei riflettuto di più e guardato di meno. Invece qui spalanco gli occhi su tutto, ingenuamente, semplicemente, e forse è molto meglio.
  • Le mura circondano le città, il camminamento corre proprio alla fine della città. Che mare! Si vede improvvisamente fra casa e casa camminando nelle strade nere e umide. Donne brutte e nello stesso tempo attiranti (per riflessione) in una di quelle stradine parallele al mare e che non ho potuto ritrovare.
  • Dalla parte del mare, specialmente verso sera, Genova offre una vista migliore. Essa giace in riva al mare come lo scheletro sbiancato di una bestia gigantesca trascinata lì dalla marea, formiche brune che si chiamano Genovesi vi vanno strisciando intorno, le onde azzurre la bagnano mormorando col loro sciacquio una ninnananna, e la luna, il pallido occhio della notte, guarda giù tutta malinconica.
  • Non lontano da Genova, sulla cima dell'Appennino, si vede già il mare. Fra i verdi cocuzzoli delle montagne compaiono i flutti azzurri, e le navi che si scorgono qua e là sembrano voler salire sui monti a vele spiegate. Se però si gode questa vista al crepuscolo, quando gli ultimi raggi di sole iniziano il loro mirabile gioco con le prime ombre della sera e tutti i colori e tutte le forme si intrecciano nebulosamente, allora par d'essere veramente in una fiaba, la carrozza scende stridendo, le immagini più dolci e sonnecchianti nell'anima vengono bruscamente scosse e tornano ad appisolarsi, e infine si sogna d'essere a Genova.
  • Questa città è vecchia senza essere antica, stretta senza essere accogliente, e brutta oltre misura. È costruita sulla roccia, ai piedi di montagne disposte ad anfiteatro che paiono abbracciare bellissimo golfo, per cui i Genovesi hanno avuto in dono dalla natura il porto migliore e più sicuro. Ergendosi la città, come si è detto, su un sol pezzo di roccia, per risparmiare lo spazio si dovettero costruire le case molto alte e le strade molto strette, cosicché quest'ultime sono quasi tutte oscure e solo in due di esse può passare una carrozza. Ma gli abitanti, che sono perlopiù gente di commercio, adoprano le loro case quasi esclusivamente come depositi per le merci e, di notte, per dormirci; di giorno vanno trafficando per la città o stanno seduti davanti alla porta di casa, anzi dentro la porta, perché altrimenti quelli che abitano dirimpetto li urterebbero con le ginocchia.
  • Appena entrato in quel porto attraversando i due moli che lo rinchiudono, e in prospetto ad un anfiteatro di palagi e tempii e sontuosi giardini che s'innalzavano in bell'ordine l'uno su l'altro, lì m'accorsi quanto diritto avesse cotesta città al suo tìtolo di Genova la Superba.
  • In una città marittima presentan l'onde irresistibili attrattive all'ardente curiosità della gioventù, la cui immaginazione mille lusinghieri prestigi viensi ognora formando. Per lei tutto è vago, tutto è invidiabile al di là dei flutti. E Genova, fortificata e ristretta in verso il nord da scoscese montagne, offria picciol campo alle terrestri imprese. Cangiava ella di scena. L'avido genio del commercio guidava i figli di lei sul propizio elemento a cercar tesori di contrada in contrada; nè sol tesori cercavan essi, che l'errante patrio naviglio spesso facea pentire sui flutti, chi l'insultava, e spargendo il terrore sulle più remote spiagge carco di gloria e di bottino tornava ai patrii lidi. Il Foglietta nella sua storia di Genova ci pinge la gioventù di quella Repubblica come estremamente avida di girne errando in cerca di fortuna, coll'intenzione di far poscia alla patria ritorno; ma soggiunge, che di venti i quali con sì fatto pensiero partiano, appena due il poneano ad effetto, morendo gli altri, od accasandosi in paesi stranieri, o lungi fermandosi pel timore delle civili discordie che tanto travagliavano la Repubblica.
  • Quando attraversai Strada Balbi e Strada Nuova, quelle strade tutte palagi, arrestando con istupore lo sguardo sul lusso d'architettura che si estendea per ogni parte d'intorno a me; e quando su l'imbrunire del giorno mi trovai passeggiando fra una bella e giuliva calca di gente che andava a diporto lungo i viali cui fa ombra un curvilineo filare di alberi su la piazza dell'Acqua Verde, o fra i colonnati e i terrazzi de' maestosi giardini Doria, io pensai ch'uomo non potesse altrove, fuorché in Genova, esser beato.
  • Genova, si sa, è molto conservatrice, una faccia nuova sconvolge antichi equilibri, espone al rischio di rimettere in discussione le proprie abitudini.
  • [Sulla tradizione musicale a Genova] Per me è determinante la componente del mare che ci rifornisce in continuazione, attraverso i marittimi, della musica che si suona negli altri continenti. Non avendo noi una grande tradizione siamo portati a recepire tutto quello che è novità. Napoli, invece, altra città di mare, questa "apertura" la trascura in quanto già sommersa dalla sua musica, dalla sua tradizione e quindi non è disposta a ricevere dell'altra musica.
  • [Perché proprio a Genova nasce la canzone d'autore italiana?] Perché è una città di mare, e il mare porta traffici, linguaggi, culture che arrivano da tutto il mondo.
  • Si tratta di una cara cittadina, magnificamente situata, ad anfiteatro, tutt'attorno a una grande insenatura su una costa stretta, protetta alle spalle da belle alture, che, ognuna incoronata da un forte, risaltano aspre sul cielo veramente italiano. Sotto nel porto è la solita babele di navi, barche, elevatori, sudiciume, fumo, poco spazio affaristico.
  • Sono da alcuni giorni a Genova superba, come essa stessa si autodefinisce, mentre i toscani sono di altra opinione e dicono che qui vi siano mare senza pesce, montagne senza alberi, uomini senza fede e donne senza vergogna. Io inclino a dar ragione ai toscani, solo con la differenza che anche gli uomini sono senza vergogna, almeno nelle botteghe, dove continuamente mi truffano sul prezzo e ogni volta anche sul resto mi rifilano un paio di monete fuori corso.
  • Strade strette, case grattacielo e a loro volta per la maggior parte grattate, due o quattro finestre addobbate dall'alto in basso con biancheria variopinta, così che ad ogni soffio di zefiro svolazzano e sbattono dappertutto camicie, calze bucate e simili oggetti primaverili. Per giungere alle strade poste più in alto esistono incantevoli vicoli o scalinate, vale a dire stradette, che ogni due passi portano all'insù completamente oscure, esuberantemente fetide e tanto larghe che il passaggio vi è ostruito ovunque da un cittadino facilmente appartatosi e facilmente addormentatosi, che vi fa le proprie devozioni e si premura della continua irrorazione delle viuzze, perché l'aria non risulti troppo secca. Nelle stradette un po' più larghe si vede pur sempre carambolare tra carretti a due ruote – altri qui io non ne ho visti –, a cui sono attaccati per il lungo (vale a dire uno dietro l'altro) due muli e un cavallo, e che passano di preferenza a sinistra, anziché a destra, in modo che a un ben disciplinato uomo civile dell'impero tedesco capita spesso e improvvisamente di sentire dietro o sopra la propria testa l'amorevole alito d'un muso o l'estremità di una frusta schioccante; perché qui qualcosa come la separazione del marciapiede dalla careggiata è proibita come non democratica, e ad ogni creatura è permesso di battersi a gomitate per la vita e per la strada.
  • Ma Genova non ha mai pregato, se non per la propria prosperità e per il felice ritorno delle sue navi; non ha mai avuto più fede di quanta non sia ragionevole averne – che sia benedetta!
  • Mio padre mi diceva sempre che la nostra patria non era la Genova d'oggi, ma la Genova eterna. Tuttavia aggiungeva subito che nel nome della Genova eterna avevo il dovere di amare teneramente quella di oggi, per indebolita che fosse, e che doveva amarla in proporzione alle sue difficoltà, come una madre divenuta impotente.
  • Nessuno appartiene a Genova quanto i genovesi d'Oriente. Nessuno sa amarla come loro. Per quanto essa cada, la vedono in piedi; per quanto imbruttisca, la vedono bella; per quanto sia rovinata e schernita, la vedono prospera e sovrana. Del suo impero non resta niente, niente eccetto la Corsica e quella magra repubblica costiera dove ogni quartiere dà le spalle all'altro, dove ogni famiglia augura la peste all'altra e dove tutti maledicono il re cattolico pur continuando a sgomitare nell'anticamera dei suoi rappresentanti; nel cielo dei genovesi in esilio, invece, brillano ancora i nomi di Cafra, di Tana, di Jalta, di Mavocastro, di Famagosta, di Tenedo, di Focea, di Pera e Galata, di Samotracia e Cassandra, di Lesbo, di Lemno, di Samo, di Icaria, di Chio e di Gibelleto – tante stelle, tante galassie, tante strade illuminate!
  • A un certo punto della mia vita non sono stato più quello che andava a Genova, ma che era di Genova. [...] Essere parte della sua propensione al declino senza fine, e essere parte della sua inesausta genetica resistente. Parte della sua riservata probità e delle sue smanie di conservazione, del suo conformismo in gramaglia e della follia dei suoi pensieri difformi. Parte di un immenso organismo vivente che non finirà mai, perché non esistono volontà tanto potenti e persistenti da annientare le sue ragioni soggiacenti.
    Parte di una "superbità" che non è, non solo e non soprattutto, spoglia di fasti ormai perduti o mai esistiti, ma coscienza di una ragione di essere così come ha scelto di essere per propria volontà e non per altrui arbitrio. Non è così di tutte le città, non è così di tutte le comunità, non nel modo così interiore che è per Genova, città luterana in un paese controriformato.
  • Ho scelto di vivere a Genova da adulto, in un singolare momento di grande libertà e privilegio in cui avrei potuto vivere ovunque nel mondo. Ho scelto questa città non per ragioni di lavoro o familiari o affettive, come capita a moltissime persone, ma per puro piacere, considerando la possibilità di sceglierla come il più grato dei privilegi di cui la fortuna mi aveva favorito. Ho scelto quella che è sempre stata ai miei occhi, più di qualunque altra città del mondo che mi è capitato di conoscere, la città della meraviglia e della bellezza. Dello stupore che non finisce mai. E della complicazione: la città dove non basta mai un solo sguardo, una sola idea, un solo concetto, una sola parola, per contenerla tutta, descriverla senza banalizzarla, decidere se volerle bene o volerle male.
  • Perlopiù girovagavano oziando per la città: era dentro la città che si trovavano in abbondanza i grandi spazi che il Giaguaro aveva da mettere a disposizione di Giacomino. Erano valli lussureggianti, pianure sconfinate, foreste inestricabili che avevano per nome Universale, Dioniso, Moderno, Chiabrera, Olimpia, Savoia, Orfero e così via: i cento cinematografi della grande Genova, compreso il Pioceto di San Fruttuoso, dove dai secolari panneggi del palcoscenico i pidocchi saltavano in sala come saltimbanchi.
    Ci arrivavano con calma, zigzagando attraverso una città di palazzi e castelli, viali e giardini, budelli e passaggi, piazze e torri. Ma tutta quanta Genova non era che lo splendido fuaié, la sala d'attesa e il fumuar dei suoi cinematografi. La osservavano, il grande e il piccolino, con uguale stupore e meraviglia, ma anche con quella specie di perversa frenesia di chi ha un'altra meta e fa il vecchio giochino di tirare per le lunghe il tempo e i passi in modo di arrivarci per piccoli innumerevoli ed eccitanti passaggi.
  • Disdegnando la terra, che ignorava e disprezzava, questa città ha ammucchiato sullo stretto lembo, tra mare e monte, di gradino in gradino, come una titanica scalata di marmorei palazzi, che, da lontano, appaiono gli uni sugli altri. Questi piani stupendi, intersecati da aranceti, da terrazze, colpiscono e sorprendono prima ancora di affascinare. Perché? Si partecipa alla fatica di un sì grande sforzo; si avverte troppo sensibilmente che un tale popolo, poco amante della natura, non lo ha compiuto per semplice divertimento. I palazzi sono fortezze, in basso tutti difesi da inferriate, chiusi da porte di ferro massiccio come quelle di una città, che stanno a difesa dei forzieri. Le terrazze pensili, che si sforzano di salire sempre più in alto, di guardare al di sopra dei vicini, sono degli osservatorii, da dove il capitalista osservava le sue navi sul mare, e l'armatore seguiva con gli occhi i suoi corsari.
  • Duro, rudo paese, ligure più di quanto non sia italiano. Il dialetto, così differente dall'italiano, è per più di metà provenzale. Nessuna inclinazione per le arti del disegno. I loro freddi palazzi di marmo non sono rianimati dalle pitture nazionali. Ho visto solo quadri fiamminghi. I ricchi nobili, cortigiani della Spagna, ne hanno seguito la moda, tralasciando Raffaello per Rubens, Tiziano per Van Dyck.
  • Genova è proprio la patria degli ingegni rudi, nati per domare l'oceano e dominare le tempeste.
    Per mare, per terra, quanti uomini avventurosi, quanta saggia audacia! [...] Gente forte, piccola e dura, aspramente dotata di un ingegno d'acciaio, di una certa qual punta, tale da trapassare il ferro. Possono anche essere ignoranti; tuttavia essi trovano, inventano, per lo meno degli espedienti.
  • Genova è stata una banca prima ancora di essere una città; è stata subito una compagnia di pegni che si lanciava «a gran rischio», una associazione di marinai armati. Il gusto del lotto vi è furioso; e la città ebbe per molto tempo quello della massima lotteria, la guerra.
  • In effetti è sempre stato così: Genova non è cambiata. I suoi nobili capitalisti praticavano, come fanno quelli d'oggi, l'usura. Non c'è nessuna industria concreta. L'attuale oligarchia, come quella di un tempo, è composta da circa una dozzina di uomini dei quali più d'uno si è procurato in America, con metodi spicci e violenti, il primo capitale che, ben investito (dal denaro nasce il denaro), li fa ora padroni assoluti della piazza, nella loro lega ristretta.
  • La costa di Genova, eccessivamente stretta, è solo un piccolo lembo, un bordo estremo, un semplice «ciglio della montagna» come avrebbero detto i Latini. Come passeggiata, una piccola banchina o piuttosto uno scabroso cammino di ronda che serpeggia sempre stretto (largo per lo più un tre piedi), tra i vecchi muri dei giardini, gli scogli e gli strapiombi.
  • Quella buona e generosa compagnia mi avrebbe trattenuto a Genova; ma trovai il clima, contrariamente a quanto mi avevano detto, durissimo e violento.
    Tutta la costa è rude. Il vento muta secondo i giorni, sia che venga caparbio dall'Appennino dilaniato, sia che l'aspro grecale, che vale almeno quanto la tramontana, fischi dal mare. A Genova stessa, il maestrale, richiamato da due aridi torrenti, il Polcevera e il Bisagno (cioè il Polveroso e il Bisognoso), attraversa ad ogni istante la città, sibilante come un fendente di spada.
  • Io sono stato otto giorni a Genova e mi sono annoiato a morte: è la Narbonne d'Italia. Non vi è nulla da vedere salvo un bel porto, ma assai pericoloso; case costruite in marmo perché la pietra è troppo cara; e degli ebrei che vanno a Messa...
  • La città, vista dal mare, è molto bella. Il mare penetra nella terra, e fa un arco, intorno al quale è la città di Genova.
  • Non c'è stato in Europa che sia stato sottoposto a tanti soprusi come quello di Genova, e che si sia comportato con tanta bassezza nei vari intrighi in cui sia venuto a trovarsi.
  • Non è una gran fortuna abitare in questa città. Per prima cosa, il popolo è oppresso da monopoli sul pane, sul vino e su tutti i generi alimentari. È la Repubblica stessa che vende questi generi. La punizione dei crimini è così mal organizzata che risulta minor disgrazia aver ucciso un uomo che aver frodato su un'imposta.
  • Anch'io guardavo. Guardavo e pensavo. Pensavo che davvero questa città ha due facce. A seconda che il vento tiri dai monti o dal mare. Due città diverse. Irriconoscibili. Quando tira dai monti noi genovesi parliamo sempre di tramontana, anche se in realtà soffia il greco. O il maestrale. Allora l'aria si fa fredda e pulita, il cielo si sgombra dalle nuvole e il sole ravviva i colori come dopo un restauro. I contrasti si fanno più nitidi, e anche i contorni delle cose. Ma più spesso il vento soffia dal mare, gonfio di sale e di umidità. E la primavera arriva spesso così. Col sole filtrato dai vapori del Mediterraneo che il vento di sud-est spinge sulla città, ad arenarsi contro i suoi contrafforti montuosi. In forma di vento, di brezza o di alito quasi impercettibile lo scirocco spira su Genova per tre quarti dell'anno. Fino ad estenuarsi in un'aria immobile e fradicia di umidità. Quell'aria sospesa, dove tutto può accadere e niente mai accade, per noi genovesi ha un nome preciso. La chiamiamo maccaia.
  • Aspra e genuina vecchia borghesia genovese, nata e ingrassata sulle leppegose acque del porto. Dove il dialetto stempera il cattivo gusto, nobilita la scatologia e dà lustro al turpiloquio.
  • Forse Pizarro non aveva tutti i torti, la Genova in cui ero cresciuto, polo industriale e portuale del Nord-ovest e quinta città italiana per numero di abitanti, era morta e a malapena ne sopravviveva il ricordo, un pallido simulacro senz'anima. Non basta la bellezza, non bastano le pietre delle strade e dei palazzi millenari se gli uomini che li abitano lo fanno come clienti d'un motel affacciato sull'autostrada. La vita di una città non può ridursi a una vetrina di giocattoli, e il decoro urbano, sorta di religione postmoderna inventata dall'infernale connubio di urbanisti illuminati e sindaci eletti dal popolo, veniva spacciata agli angoli delle vie insieme all'eroina e all'odio per gli stranieri.
  • Genova appariva ai miei occhi angusta e decrepita e il restyling modaiolo della città vecchia l'aveva trasformata in un ospizio di lusso, tirando a lucido lo scenario del suo orgoglioso declino. Tagliata fuori da tutto, marginalizzata dalle grandi arterie di comunicazione e dai traffici dell'economia globale, il suo destino era consumarsi a poco a poco, come la fiammella di un mozzicone di candela. Mi domandavo se mai il respiro del mondo sarebbe un giorno tornato a lambirla, sia pure incidentalmente e di striscio, e con quali conseguenze sul suo gracile organismo moribondo.
  • Genova e il vento. Due monelli capricciosi che non vogliono mai smettere di giocare. Capricciosi e molesti. Sollevano i cappotti e le gonne delle donne infagottate che in questa fredda mattina di dicembre camminano col passo affrettato di chi vuole finalmente guadagnare un po' di pace. Frenetici mulinelli fanno danzare alle cartacce, alla polvere e alle foglie secche il loro ballo dei pazzi. Tra una raffica e e l'altra, tutta quella rumenta si adagia inerte sull'asfalto; ma ecco che di nuovo la musica del vento la risucchia e ricomincia la danza.
  • Genova era immersa in un silenzio che, di lì a qualche giorno, avrebbe lasciato il posto alle frenetiche attività che riempiono il centro storico per undici mesi all'anno. Furgoni, motocarri, auto e motorette. I crocchi degli studenti che invadono la facoltà di architettura. I pachidermici camion che portano via detriti dall'eterno cantiere di piazza delle Erbe. Il popolo diurno dello shopping, e quello notturno che si spantega nella miriade di locali disseminati nei carruggi.
  • Genova, la mia maledetta città frastornata dalle campane delle chiese e dalle sirene delle navi che entrano ed escono dal porto. La Superba con le pezze al culo. Chiusa, inospitale, provinciale, vecchia e rincantucciata in una delle infinite periferie del mondo. In vent'anni ha perduto duecentomila abitanti, quasi tutte le industrie, i fasti dell'aristocrazia mercantile e l'orgoglio di classe di un proletariato tra i più agguerriti d'Europa. Coltiva la sua altezzosa agonia come un vecchio demente che ha dimenticato la strada di casa.
  • Il taxi mi lasciò in piazza De Ferrari, proprio davanti alla bella facciata neoclassica del Carlo Felice, il teatro dell'opera di Genova. Facciata neoclassica con grande cubo incombente. Restaurato anch'esso per le Colombiane, cinquant'anni dopo essere stato distrutto dai bombardamenti alleati. Cinquant'anni. Mezzo secolo per il teatro. Vent'anni per pochi chilometri di metropolitana. Genova è fatta così. Una città che ai suoi cittadini chiede di vivere a lungo.
  • La borghesia di questa città è fatta così. Ha lasciato le ville e i palazzi monumentali alle banche e alle finanziarie, accontentandosi di abitare in edifici meno dispendiosi e non troppo appariscenti. Tutto nello stile del vecchio proverbio genovese che suggerisce di mostrare il culo piuttosto che le palanche.
  • «Ma avete notato come la città gioca con la luce?»
    «Nello stesso modo in cui gioca con i soldi. La risucchia e la nasconde negli anfratti dei carruggi, quasi temesse che qualcuno gliela rubi.»
    «Cosa c'entrano i soldi?»
    «Anche con quelli si comporta così. Li afferra e li nasconde nelle banche. Non vi siete accorto che a Genova c'è una banca ogni trenta metri?»
  • «Ma sapete cosa mi ha sedotto di questa città?».
    «La sua somiglianza con Lisbona?»
    «Anche quella, ma soprattutto il fatto che mi ricorda una vecchia signora che non si preoccupa di nascondere la propria età. In questi tempi di donne rifatte e centri storici tirati a lucido, mostrare le rughe è un atto che richiede una serena fiducia nella propria bellezza.»
  • Piazza Carignano è dominata dalla poderosa mole della basilica dell'Assunta. La chiesa progettata da Galeazzo Alessi ricorre spesso nelle conversazioni dei genovesi. Ogni volta che un'attività procede a rilento, fino a destare il sospetto che possa restare incompiuta, in città dicono che è «lunga come i lavori della chiesa di Carignano». Così è stato per il teatro dell'opera, ricostruito dopo cinquant'anni, per pochi chilometri di linea metropolitana, realizzati in un ventennio, per non dire della cosiddetta bretella autostradale, mitico progetto destinato a rimanere tale. Genova è una città fatta così. Centellina il cambiamento e invoglia i suoi abitanti a vivere a lungo per vederne traccia.
  • Perché Genova è anche questo. Una colata di cemento, spietata e inguaribilmente triste. E colpevolmente stolida, se si pensa che quando questi obbrobri furono tirati su, il centro storico languiva abbandonato ai topi e alle macerie. Così, là dove fino agli anni cinquanta erano stati prati e orti e qualche casolare rustico, sono cresciuti interi quartieri pieni di casermoni affastellati contro i monti, in cui la disperata fame di spazio fa lievitare i prezzi dei box e deprime la voglia di vivere dei bambini. Un albero o un'aiuola non si trovano a cercarli col lanternino.
  • Sto accostato al muraglione che da corso Carbonara guarda Genova dall'alto. Un gran bel colpo d'occhio sul porto e sul Borgo, il tratto di centro storico compreso tra Banchi e la porta dei Vacca. Un grigio rebigo di tetti obliqui sotto i quali si spàntega la fitta ragnatela dei carruggi dove il sole fa capolino in punta di piedi, a mezzogiorno.
  • A Genova, nel tempo del crepuscolo, sentii giungere da una torre un prolungato suono di campane: non voleva finire e risonava come insaziato di se stesso, sopra il rumore dei vicoli nel cielo serotino e nell'aria marina, così agghiacciante, così fanciullesco insieme, così melanconico. Allora mi ricordai delle parole di Platone e le sentii tutt'a un trarro nel cuore: Tutto ciò che è umano non è, in complesso, degno di esser preso molto sul serio; tuttavia...[2]
  • Come mai ho sempre sete di persone che rispetto alla natura, a una passeggiata sulle alture fortificate intorno a Genova, non diventino piccole? Forse non so trovarle?
  • Genova, un Sud che ha perso i colori.
  • Genova. Io mi sono guardato questa città, con le sue ville, i suoi parchi e l'ampio circondario delle sue colline e dei suoi declivi, tutti abitati, per un bel po'; debbo infine dire che vedo volti di stirpi passate, ché questa regione è disseminata di immagini di uomini arditi e sicuri di sé. Hanno vissuto e voluto continuare a vivere: me lo dicono con le loro case, costruite e abbellite per i secoli, e non per l'ora fugace; amavano la vita, per quanto spesso potessero essere malvagi con se stessi.
  • Nel Nord a chi osservi l'architettura delle città si impongono la legge e un desiderio generalizzato di legalità e di obbedienza: vi si indovina quella interiore tendenza a conformarsi e a equipararsi che doveva prevalere nell'anima di tutti i costruttori. Qui invece [a Genova], dietro ogni angolo, trovi una persona a sé, che conosce il mare, l'avventura e l'Oriente, un uomo poco incline alla legge e al vicino, che gli giungono noiosi, e misura con sguardo invidioso tutto ciò che è antico e già fondato: egli vorrebbe, con uno scaltro prodigio della sua fantasia, rifondare tutto ciò almeno nel pensiero, mettervi la sua mano e la sua sensibilità - fosse anche per un istante di un soleggiato pomeriggio in cui la sua anima malinconica e insaziabile avverte, per una volta, sazietà, e al suo occhio possono presentarsi soltanto cose proprie e non più estranee.

Lettere

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Citazioni in ordine temporale.

  • Caro amico, Le mando di corsa una cartolina solamente per comunicarLe la forte sensazione che ho in questo momento: credo che Lei e io siamo sulla via giusta! Solitudine e rigore nel giudicare noi stessi; mai più tendere l'orecchio agli altri, modelli e maestri! Una vita adatta e via via adattabile ai nostri desideri più profondi, un'operosità senza affanno, e senza nessuna coscienza estranea a vigilare su di noi e sul nostro operato! È così che tento ancora una volta di arrangiarmi, e Genova mi sembra il luogo adatto: ogni giorno per tre volte qui il cuore mi è traboccato, di fronte a questa vastità che chiama alle lontananze e al cospetto di una così imponente operosità. Qui ho la calca e il silenzio e sentieri sulle alture, e una cosa che è più bella di come l'ho sognata, il campo santo. (24 novembre 1880)
  • Qui, la grande, vivace città di mare, dove ogni anno gettano l'ancora più di 10 000 navi – mi consente di starmene tranquillo e con me stesso. In più ho una mansarda con un letto meraviglioso, cibo semplice e sano (ho semplificato tutto), aria di mare, indispensabile per la mia testa; strade dal selciato stupendo, e, per essere in novembre, un tepore gradevolissimo! (Purtroppo piove molto). (24 novembre 1880)
  • Tutto sommato però sono stupito, te lo voglio confessare – di quante sorgenti l'uomo riesca a far scaturire dentro di sé. Persino uno come me, che non è certo tra i più ricchi. Credo che se possedessi tutte quelle qualità che tu hai in misura superiore a me diventerei arrogante e insopportabile. Già così ci sono momenti in cui mi aggiro per le alture sopra Genova con sguardi e sentimenti quali forse un tempo anche la buonanima di Colombo rivolgeva proprio da quassù al mare e a tutte le cose a venire. (24 marzo 1881)
  • Mie care, eccomi di nuovo sistemato nella vecchia Genova, in mezzo al groviglio dei vicoli e in netto contrasto con l'eleganza dei malati di Nizza. (4 ottobre 1881)
  • Ebbene, caro vecchio amico, eccomi di nuovo nella mia Genova, la città meno moderna che io conosca e che al tempo stesso scoppia di vitalità – qualcosa di assolutamente non romantico e tuttavia veramente non comune: continuerò dunque a vivere sotto la protezione dei miei santi patroni locali, Colombo, Paganini e Mazzini, che insieme rappresentano molto bene la loro città. (14 ottobre 1881)
  • Piogge gelide, venti furiosi, insomma è inverno, rigido e carico di minacce. J. Burckhardt ha ragione, ma ora che sono mezzo cieco ogni nuovo tentativo di vivere in qualche città e qualsiasi viaggio in genere rappresentano per me tormenti assolutamente insopportabili; questa città (e anche questa gente) si accorda con il mio carattere, mi dà la forza di resistere e di non abbandonare i miei sforzi. (21 ottobre 1881)
  • Qui a Genova sono così ricco, così fiero, un principe Doria in tutto e per tutto, e non desidero altro che Lei, amico caro – Le offro tutti i beni di questo mio mondo per attirarLa qui a Genova, magari per un mese, Lei con tutta la Sua nuova e vecchia musica! [...]
    Questo mese qui è bellissimo; di sera me ne sto seduto in una vigna, con il mare, le colline e le ville ai miei piedi, e faccio addirittura il bagno in mare, nella mia grotta dell'Aurora. (6 novembre 1881)
  • Ma Lei tenga fermo il nostro incontro a Genova – questo luogo appartiene a me. Glielo voglio tra poco presentare e rappresentare, proprio in veste di principe Doria, se Lei vuole. (6 novembre 1881)
  • La mia vista sta precipitando, non posso nascondermelo. Ora mi capita spesso di rovesciare e di rompere qualcosa, o di inciampare. Dove trovo un'altra città così perfettamente lastricata con pietre larghe come Genova, dove anche se mi aggiro nei dintorni trovo sempre pietre dure e lisce (e con scannellature sulle strade in salita)?
    Tutto sommato Genova è stata davvero la mia mossa più fortunata riguardo alla salute e alla tranquillità spirituale. La mia camera è piena di luce e ha un soffitto molto alto – cosa che ha un effetto benefico sul mio umore. Vicinissimo c'è un giardino delizioso, aperto a tutti, con una verzura imponente, come in un bosco (anche in inverno), e poi cascate, animali selvatici e uccelli, e stupendi scorci sul mare e sulle montagne – il tutto in uno spazio piccolissimo. (21 dicembre 1881)
  • Raramente noi siamo coscienti del vero valore di un periodo della nostra vita, finché lo viviamo, ma oggi, mentre camminavo lassù dominando Genova, scorrendo con lo sguardo lontano sulla città e sul mare, col tempo più paradisiaco che vi possa essere, rividi nitidamente davanti a me gli ultimi due anni, le loro sofferenze e il lento progresso verso il miglioramento; e intanto un raro senso di beatitudine saliva in me, m'invadeva: la beatitudine di colui che si sente guarire. Come malinconico erravo altre volte per queste strade e stradicciuole, come mi sentivo estraneo a quest'umanità rumorosa e impaziente nel domandare e nel godere, come se, tra i viventi, io non fossi stato che un'ombra. Invece adesso, tra il gridio e il giubilo di questi assetati di vita, io afferro un suono, una nota che trova un'assonanza nell'anima mia. (22 gennaio 1882)
  • Forse accompagno l'amico a fare una gita sulla Riviera. Speriamo che gli piaccia quanto Genova: io qui mi sento davvero a casa mia. (fine febbraio 1882)
  • Genova sgualdrina
    mucche, gatti e uccelli (fine novembre 1882)
  • Questa volta passi da Genova – un'occasione così non ci capiterà mai più per tutta la vita. Le mostrerò, come fa il diavolo, tutte le «bellezze del mondo», e senza nemmeno l'intenzione di «corromperLa»! – (3 dicembre 1882)
  • Mi sono detto cento volte che il rimedio sostanziale per la mia salute, negli ultimi tre anni, è consistito nell'astenermi da qualsivoglia contatto umano. Genova adesso per me è «perduta e rovinata». Sono orgoglioso abbastanza per vivere in assoluto incognito, persino in condizioni di povertà: ma così, mezzo rispettato, mezzo sopportato, mezzo scambiato per un altro, mi sento come all'inferno – per questo genere di cose non sono «orgoglioso abbastanza». – (primi di aprile 1883)
  • Così all'amata città di Colombo – per me non è mai stata altro che questo – ho detto addio; e alla fine, nella sua luce autunnale, era di una bellezza struggente. (ai primi di 4 dicembre 1883)
  • Genova fu per me un'eccellente scuola di vita semplice e spartana – ora so che posso vivere come un operaio e un monaco. (inizio di dicembre 1883)
  • Io sono fatto per la luce: – è quasi l'unica cosa di cui non posso assolutamente fare a meno e che non posso sostituire: la luminosità di un cielo sereno. Su questo punto con Genova mi è andata male: soltanto ora sono venuto a sapere il dato statistico per cui Genova non ha, in tutto l'anno, molte più giornate serene di quante ne abbia Nizza nei sei mesi invernali: al che sono subito partito per Nizza. Non appena mi impadronirò dello spagnolo, mi spingerò fino a Valencia, forse il prossimo inverno. (6 dicembre 1883)
  • A Genova me ne sono andato in giro come un'ombra in compagnia solo di ricordi. Quello che un tempo vi amavo, cinque o sei punti prediletti, adesso mi piaceva ancora di più: mi sembrava di una incomparabile pallida noblesse, e assai superiore a tutto quello che offre la Riviera. Ringrazio il mio destino che negli anni della décadence mi aveva condannato a vivere in questa città dura e cupa: se si esce da lei, ogni volta si è usciti anche da se stessi – la volontà si allarga di nuovo, non si ha più il coraggio di essere vili. Non sono mai stato colmo di gratitudine come in questo eremitaggio a Genova. – (7 aprile 1888)
  • Allora, io sentivo questa città [Genova] come la città più cara, più mia, fra le tante che avevo conosciuto; e una nobiltà intensa, quella stessa la cui assenza mi faceva morire, circondarmi. Qui è nato Colombo, pensavo, di qui ebbe inizio il grande fantasticare di nuovi cammini nel mondo – vedevo Lisbona, il colloquio con la regina di Spagna, il grande aprirsi, infine, di quel mondo! – E mi pareva che tanto tempo non fosse passato, e fossimo ancora nel secolo quindicesimo, e ancora qualcuno si apprestasse a partire, da questa terra, in una notte senza luce, per gettarsi verso l'oceano, verso un avvenire improbabile, ma non meno amato.
  • Lei si deve mettere in testa che per noi, genovesi, la società muore in casa. Il mare, è solo la strada di casa. Abbiamo le case più alte di tutta Italia, le più forti, e con le finestre più strette, perché non vogliamo occhiate. Guardiamo e non vogliamo essere guardati. Del resto, quello che guardiamo, si rassicuri, non è l'Italia né il mondo, ma il traffico del porto. Qualche volta, guardiamo anche l'orizzonte, benché laggiù non succeda più niente.
  • [Genova] mi dava fiducia, e un'emozione sotterranea, come di chi attraversa qualcosa di già conosciuto, e bello, e che però mai si potrà identificare.
    Andare in centro, quando potevo prendere l'auto, era una cosa lieta. Sapevo che in nessun momento mi sarei imbattuta in estranei. Sui mezzi pubblici, nei negozi, passeggiando per il porto, in ogni luogo erano sguardi miti, voci note, parole familiari, come quelle che si sentono in casa. Non vi era nessun timore, in nessun luogo. Non vi si urtava né giudicava: ma sempre la mano pronta a indicarvi la strada, il sorriso schietto, una semplicità amorevole, e l'impossibilità di distinguere tra il signore e il povero diavolo.
  • Sotto questo cielo, entro questa luce d'una vastità, un fulgore, una bellezza assolutamente irreale, ugualmente vasta, fulgida, irreale, si apriva Genova. Salive e scendeva dai monti circostanti, in un'altalena di bianchi palazzi, diecimila occhi freddi appuntati sul mare. Saliva e scendeva: e con essa la gente, le macchine, il mare.
  • A Genova non si corrono tanti pericoli quanto se si è, semplificando, «buoni». Lungo tutto l'arco sociale, dagli strati più popolari ai salotti migliori della Genova bene, si può star certi di restar tagliati fuori se si cerca di proporre un'alternativa morbida alla legge della giungla. È un mondo difficile, inasprito quanto irrobustito da una toponomastica che non lascia vie di fuga. Basta ascoltare i racconti dei ragazzi pestati a sangue al G8 per capirlo.
  • È una città dal carattere difficile da descrivere. Gelosa, riservata. Scoprirla è un'impresa ostica. Probabilmente tutti gli artisti hanno bisogno di avvertire una compressione, una forza che costringe ad accumulare e accumulare fino alla deflagrazione, e in questo Genova non si risparmia. Ti tiene a distanza, è antipatica: Paolo Conte nella canzone Genova per noi l'ha descritta benissimo da un punto di vista esterno, di «forestiero».
  • Genova è una città che ti comprime, ti chiude in cantina a fermentare fino a sentirti una bombola di gas surriscaldato, finisce che esplodi e diventi un Beppe Grillo o un Renzo Piano.
  • Genova è una citta da dove si è sempre partiti, e da dove si continua a partire. Una volta si partiva per mare, adesso i genovesi partono con la fantasia. Diventare artisti, in qualche maniera, è la sola opportunità che resta al genovese per esprimersi, per cercare di realizzarsi e per avere una ragione di partire. Genova è una città priva di rapporti umani, dove anche i genovesi – se non fanno parte di certe caste – si sentono forestieri. Scrivere poesie, comporre musica è l'unico spazio a portata dei giovani che riserva questa assurda e nello stesso tempo bellissima città. Una città che si odia, ma che si fa anche amare!
  • Genova è una città stramba, ti fa diventare ciclotimico se trascuri lo sfogo della fantasia. Diciamo il vero: crescere in un posto fatto come Genova mi ha reso «creativo» per necessità, l'arte per me è diventata un'esigenza come la traspirazione, il ricordo della faccia di mio padre quando il nonno gli strappava via la maschera coi suoi racconti, vivere vicino all'acqua.
  • Genova sarà una città che andrà avanti quando i genovesi non faranno più questione di quartiere, di Genoa e di Sampdoria. Non capisco il fanatismo e non me ne frega niente d'inimicarmi della gente dicendo così.
  • In una città immobile come Genova, la fantasia si muove con più violenza, ti viene voglia di fuggire incontro al mondo, per inventarti un dimensione esclusivamente tua.
  • Io Genova la amo e la odio ed è giusto che sia così: se nell'amore non c'è una quota d'odio, vuol dire che qualcosa non funziona.
  • [Perché proprio a Genova nasce la canzone d'autore italiana?] Perché è una città bellissima e avara, che ti comprime, non ti dà nulla. Sicché ti mette dentro una gran rabbia, una voglia matta di esplodere. E di andare altrove, per cercarvi i riconoscimenti che lei ti nega.
  • Questa è una città che se tu la mantenessi pulita, libera dalla porcheria di tutti i giorni, anche dalla porcheria umana, sarebbe una città dove veramente un turista – senza fare pubblicità – farebbe dei giri e soprattutto anch'io ci andrei volentieri. Così, se entri nei vicoli, vedi il degrado.
  • Se lo sguardo del suo mare non finisce sul tuo corpo, se non dondola il tuo sonno sulla samba delle onde, Genova non è la mia città; non è più grigia come il vento che gonfia il cuore al marinaio... Genova non è la mia città: il ricordo delle squadre che da piccolo vedevo con mio padre, di Boccadasse, quando ci vivevo con la gente che preferisco, la gente chiusa e sincera, semplice e scorbutica, che mi assomiglia; ricordi di maccaja vissuta nei bar a giocare, o di libeccio, quando non si può andare a pescare e si diventa per forza gente di terra; degli amici che non conosco, perché se sono liguri, devono essere amici. Nostaglia di ritrovare il paese che hai amato e che non hai smesso di amare, di amare e di odiare, perché Genova è come un'amante bellissima e orribile, grigia e colorata, santa e puttana, tenera e crudele, viva e spenta, calda e gelida, acqua e vento, bianco e nero, amore e odio, e io non so dimenticarmela.
  • Di questa ammirerai ora il comportamento dei cittadini, la posizione dei luoghi, lo splendore degli edifici e soprattutto la flotta, formidabile e temibile per ogni nazione come è stato scritto di quella di Tiro.
  • Piacciavi richiamare alla memoria quel tempo in cui felicissimi voi eravate tra tutti i popoli dell'Italia. Ero allora io fanciullo, e le cose vedute, quasi che sognate le avessi, confusamente rammento: ma viva sempre al pensiero ho la memoria dell'incantevole aspetto che di sè porgeva a levante e a ponente la vostra riviera, bella così da parere meglio celeste che non terrena dimora, simile a quella che la fantasia de' poeti dètte nei campi Elisi stanza ai beati, fra colli ameni, e deliziosi sentieri aperti nel seno delle verdeggianti convalli. Stupende a riguardarsi nell'alto torreggiavan le moli di superbi palagi: sorgevano a piè delle rupi le mermoree magioni de' vostri cittadini splendide al pari delle più splendide reggie, e a qualsivoglia città nobilissima invidiabil decoro: mentre vincitrice della natura l'arte vestiva gli sterili gioghi de' vostri monti di cedri, di viti, di olivi, spiegando all'occhio la pompa di una perpetua verdura. Aperti con ammirando artificio fra le rupi e gli scogli fermavan lo sguardo del navigante vaghissimi spechi, che sorretti da travi dorate echeggiavano al suono de' flutti, i quali spumeggiando si rompevano in sull'ingresso, e dentro ne spruzzavano le muscose pareti: ed ammirato il nocchiero alla novità dello spettacolo lasciavasi cadere il remo dalle mani, e fermava per meraviglia la barca a mezzo il corso. Che se per terra cammin facendo alcun traversasse le popolose vostre contrade, di quale stupore non lo colpivano le sontuosissime vesti, e la maestosa persona dei vostri cittadini, e delle vostre matrone, o il vedere nel mezzo de' boschi e delle remote campagne lusso e delizie da disgradarne le urbane magnificenze? Che se dentro le mura della vostra città finalmente ponesse il piede, in una città di re, siccome di Roma fu scritto, ed in un tempio sacro alla felicità e all'allegrezza d'essere entrato ei s'avvisava.
  • Quando avrai diligentemente osservato questa città, il litorale che l'avvolge a destra e a sinistra, i monti che sovrastano i flutti, inoltre le persone, gli animi forti ed il comportamento della gente, sappi di aver visto quel secondo coltello che per molti anni, con un esercizio continuo, affilò la spada del valore romano.
  • Veniamo a Genova, che dici di non aver mai visto. Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare; la sua stessa potenza, come è già accaduto a molte città, le nuoce e le reca danno, perché offre materia alle contese e alle gelosie cittadine.
  • A Genova non manca niente per essere europea. Nel '600, il siglo de oro, è stata una capitale mondiale e non ha mai perso quelle caratteristiche che l'hanno resa unica. [...] Spero che chi non c'è mai stato capisca la sua bellezza, troppo spesso nascosta e silenziosa.
  • Genova è detta la Superba, ma l'appellativo non si riferisce all'idea di una vanagloriosa superiorità: è superba perché "superiore", perché sale verso l’alto ed ha sempre avuto una capacità di reazione straordinaria.
  • Genova, è una delle città più belle del mondo. Prima del '92 il porto era separato dalla città, ma da allora Genova ha potuto ritrovare il suo contatto con il mare e ristabilire un rapporto con l'acqua. Paul Valéry la definì una 'cava d'ardesia', ma la sua componente acquatica è importantissima, è la sua identità.
  • Il mare di Genova è un mare abitato, dalle navi, ma anche quando non lo è, ha la luce.
    Genova ha il mare a sud, e questo cambia molto perché questo vuol dire che tocca il mare e poi viene verso la città, con uno scintillio, che ha qualcosa di speciale.
  • Nessuno guarda più la carta geografica ma Genova ha una fortuna incredibile [...] è in mezzo all'Europa, pur essendo in mare. Non se ne parla perché i genovesi sono così, non parlano di questo come non parlano della bellezza, forse per pudore. Ma la città ha una bellezza straordinaria, che è profonda, viene da lontano, e ha a che fare con l'acqua, con il mare e con la pietra. Genova è una città di pietra e di acqua, una città straordinaria.
  • Desidererei che tu fossi ora con me: potresti infatti ammirare una città, di cui non c'è uguale in tutto il mondo. È posta su di una collina, che sovrastano monti assai impervi a nord, mentre a sud è bagnata dal mare. Qui il porto si incurva ad arco e, perché la furia del mare non danneggi le navi, lo protegge un molo che si dice sarebbe costato poco di più se fosse fatto d'argento: tanta è infatti lì la profondità del mare.
  • È cosa strana il fatto che, mentre tutti sono attratti dalle mogli altrui ed intrecciano con queste relazioni, non sospettano nulla di disonesto nelle proprie, per cui in questa città grande è la libertà delle donne; perciò se qualcuno chiama Genova paradiso delle donne, cadrebbe meno in errore che chiamandola diversamente, se non luogo piacevolissimo, nel quale gli abitanti non mancano di alcun genere di piacere e di ogni tipo di donna: perciò Genova è il paradiso di ogni delizia, dove nulla manca ai piaceri femminili.
  • Lì non c'è nessuna casa alta e bella che per il decoro e per l'eleganza non possa convenire a re o a principi: tutte sono regalmente maestose ed assai elevate e distano poco le une dalle altre.
  • Ogni lode sarebbe inferiore ai meriti di questa città perché, se tu volessi esaminare attentamente la sua grandezza e la sua gloria, ti basti questo argomento che, nonostante i Veneziani abbiano impiegato oltre novecento anni nel moltiplicare le loro ricchezze e nel costruire edifici e i Genovesi abbiano, per così dire, occupato quasi lo stesso tempo a dissipare le loro ricchezze ed a distruggere i loro edifici, tuttavia Genova è molto più nobile di Venezia, se vogliamo prendere in considerazione il decoro degli uomini e della città: ma non voglio farmi giudice di danaro.
  • Genova è una città dura che si compiace d'essere sentimentale. Immagina se stessa rude, ma dolce nel segreto. Il misantropo di buon cuore è un personaggio importante della commedia dialettale che essa recita nella vita. Un buon genovese non deve mai mostrarsi commosso, ma voltate le spalle deve sempre asciugare una lagrima di soppiatto.
  • Tra l'azzurro ed il bianco, sul fondo dei colli di un verde opaco, Genova è misteriosa al modo di Londra, l'altra città europea fatta a compartimenti stagni. La fantasia, dice Stevenson, è stimolata a Londra, perché Londra è un incastro di ambienti segreti l'uno all'altro. L'animo può così giocare al mistero, compiacersi in acrobazie che oggi si direbbero metafisiche, immaginando qui un cinese, qui un baro, una vecchia duchessa, un commerciante di caucciù, un dinamitardo, accostandoli, mescolandoli, ponendoli in rapporti occulti. Congerie di misteri simili non s'incontrano mai nelle semplici città italiane, ma Genova è forse l'unica che susciti la fantasia di retroscena clandestini. Un libro giallo che si svolga a Roma, a Venezia o a Firenze ha qualche cosa di incredibile, ma se si svolge a Genova si riesce a credervi (o quasi). E, proprio come Londra, Genova ha la speciale teatralità degli esseri e delle vicende su cui si sente pendere qualche cosa di occulto.
  • Una reazione tipica del produttore genovese di fronte alla crisi è quella moralistica: «Io lavoro da mattina a sera». Adriano Olivetti a Ivrea mi parlava di questo moralismo-dolorismo dell'industria italiana, di questo feticismo nazionale per la fatica, il lavoro domenicale ed il dormire poco; in nessuna città è maggiore che a Genova; esso viene opposto alla crisi, che è subìta perciò come un'ingiustizia. Mai come a Genova ho accolto tante testimonianze di gente che lavora sempre e non dorme mai.
  • Di nuovo a disegnare sul molo; tratto caratteristico dei portici, che corrono lungo l'intera città, bui come la pece e sudici, e in alto madonne in tutti gli angoli. Per tutta la città, questa è una cosa che colpisce: al di sotto dei portici, angoli di linea squisitamente morbida, ricchissima di ornamenti, con piccole immagini delicate; e immagini sopra quasi tutte le porte. Qui le strade, strettissime, mancano di effetto, bianche con semplici finestre quadrate. Di tanto in tanto una caditoia che sporge, o un bello stipite di marmo tutto arabescato, ma niente di sontuoso sulle facciate vere e proprie.
  • Genova, al nostro entrarvi, sì e no visibile in un crepuscolo foriero di tempesta, con i lampi che balenavano dietro il Faro e le navi che rollavano paurosamente sull'onda lunga del golfo. Eccomi di nuovo, dopo sette anni, a contemplare da sopra queste balconate di marmo il golfo di Genova, ma con più pena che piacere: molto di entrambi. Vi sono alcune belle imbarcazioni all'ancora in porto, come quella in margine, [a margine è disegnata a matita una barca] e il cielo è marezzato da linee luminose di frammenti di nuvole, rottami di una tremenda tempesta che mi ha svegliato prima dell'alba, abbattendosi con fragore lungo la stretta via oltre la mia finestra: la pioggia, da quel momento, è caduta a cateratte.
  • Nel ritornare, veduta dal molo della città, raggruppata in modo massiccio, sostenuta da archi sopra neri strati verticali di calcare, contro i quali si abbatte l'onda lunga e pesante del mare. Gli Appennini di un blu livido alle spalle, con frammenti di luce dorata fra i crinali, e l'intera parte occidentale del golfo fosca di tempesta. Buio pesto nelle strette viuzze mentre rientriamo, ma aria mite come fossimo in giugno, e una falce di luna che ora splende sulle onde del porto, in un cielo buio e perfettamente sereno.
  • A prima vista, lo sapete, la città è più strana che bella, ma la sua è una stranezza sorridente. Il Medioevo, qui, non ha lasciato nulla di imponente e nemmeno nulla di lugubre.
  • Bisognerebbe dedicare una giornata a ognuna di queste case di stile diverso dentro e fuori. Questa varietà colpisce, abbaglia, diverte e affatica. Ci sono molti marmi, molti affreschi, molte dorature, e tutto questo deve essere costato molti soldi. All'esterno sono piccole e graziose. Dentro le stanze sono ampie, e ci si stupisce che riescano a stare in palazzi che sembrano occupare tanto poco spazio.
  • Come città commerciale, progredita e civile, oggi è decisamente detronizzata da Marsiglia, ma quanto a disposizione e distribuzione pittoresca, c'è la stessa differenza che esiste tra una bella avventuriera e una bella borghese. La prima, conciata un po' follemente, mescola ornamenti di gusto a parure un po' licenziose, ma possiede le grazie che conquistano e le originalità che piacciono; l'altra è più saggia, più soggetta alla moda, decente, ricca, a modo, ma uguale a tutte le altre.
  • L'aspetto generale di Genova non è soddisfacente, ma il particolare è spesso adorabile. Le case dipinte sono decisamente una cosa brutta, per fortuna che cominciano a non essere più di moda. La città, adagiata su piani disuguali, non ha né capo né coda, ma le belle strade sono curiose e divertenti. Qui vengono chiamate belle strade quelle che sono fiancheggiate da bei palazzi; sfortunatamente sono così strette che i bei palazzi vi sono sepolti. Si passa ammirando le porte e le parti basse delle costruzioni, ma ci si torce il collo per vedere l'edificio, e anche così, da qualsiasi parate ci si metta, non ci si fa che una vaga idea delle sue proporzioni e della sua eleganza.
  • Più lontano ci sono delle belle passeggiate fiancheggiate da brutte casette, da ricche chiese piene di oggetti preziosi e costosi; e poi dei sentieri scoscesi, costeggiati da orribili casermoni, passaggi scuri che all'improvviso si aprono su verzure abbaglianti; poi la roccia a picco dietro e davanti a sé; poi il mare visto dall'alto e sempre bello; fortificazioni gigantesche, interminabili; giardini sui tetti; ville buttate a caso sulle colline circostanti, profusione di casamenti chiassosi che, visti da lontano, rovinano il quadro naturale della città; insomma, è incoerente: non è una città, è un ammasso di nidi che ogni tipo di uccello è venuto a costruire qui, facendo ognuno di testa sua e appropriandosi del luogo e dei materiali che più gli piacciono. Se non sapessi di essere in Italia, non farei fatica a credere che è tutt'altro luogo da ciò che mi aspettavo. Non bisogna pensarci, piuttosto arrendersi a questa influenza di disordine e capriccio che a prima vista fa impazzire.
  • Vedendo Chopin rinascere con la primavera e non più bisognoso di cure intense, approvò il progetto di andare a passare qualche giorno a Genova. Fu un piacere per me rivedere con Maurice tutti i bei palazzi e i bei quadri di questa città affascinante.
  • Anche Genova ha i suoi monelli. Si vedono di rado. Stanati dal maltempo, compaiono in Galleria. Superbi nei capi di vestiario più scompagnati; in brandelli, deliziosamente; pieni di irriverenza.
  • Natale, silenzio. Perché? ti ho scritto da Ventimiglia, da Bologna, da Buttrio, da Udine, da Cividale più volte. Mandami tue notizie e qualche numero della Voce: sapere che sei vivo e che la Liguria e la mia Genova esistono ancora.
  • Oh covata con gli occhi dalla spianata di Castelletto, la città che lì sotto s'accavalla! un mare in burrasca pietrificato, verso cui d'ogni parte si sporge questa terrazza spazzata dal vento. Fessure vi si aprono le strade e vi si stacca qua e là il verde d'un parco, la nebbia rugginosa dell'Acquasola. Ecco il palazzo a imbuto del Municipio, la colombaia delle monache di clausura, l'occhio giallo del Carlo Felice. A momenti si specchierà nel mare che impaluda tra i docks il mazzo di lumi di San Benigno.
    Quassù il caffè Spertino, gabbia di vetro che il tramonto fondeva, pare adesso di madreperla. Dentro vi affiora e risprofonda l'ascensore in un silenzio irreale. Uscendone, una donna mi sfiora. A questo balcone spalancato su Genova si potrebbe, un'ora come questa, aspettare l'Amore.
  • Superstite fra tanta prole che gli soppiantava intorno la città coetanea, San Lorenzo restò: l'unico segno che l'occhio riconosceva. E mi figurai San Lorenzo in mezzo a una Genova fosca e superba come lui; dalle strade anguste; abbarbicata a poca sponda che due riviere turbolente le scavavano ai lati; protesa alle vie del mare; la Genova di cui rimane, vestigio, qualche lapide incisa, qualche portale d'ardesia intagliata.
    Attraverso i secoli muta dunque faccia la città come in un minuto il mare colore. Ad essere uno squadrato masso in vetta ad una antichissima torre – occhio minerale per cui gli anni sono istanti per noi – si vedrebbe la città vivere: assaggiare con incerti tentacoli intorno; attaccare coi moli il mare che l'assalta: allungare bracci di là dei fiumi; inerpicarsi ai colli o spianarli col peso; invadere, macchia d'olio; in qualche parte ammalarsi e perire; donde poi buttare più vigorosa, pollone da potatura; crescere e respirare multiforme ed enorme...
  • Genova è una città che ti lega abbastanza, però ti vincola, ti soffoca. Secondo me è molto bella, anche cinematograficamente, ha una potenzialità descrittiva superiore a tante altre, forse solo Roma ha un'aura così forte. È una città in continuo cambiamento visivo, è come se si muovesse in continuazione, e questo è molto bello per chi deve descriverla.
  • Qui è come se questi vicoli, queste mura antiche, questi portali che odorano di incenso e di piscio nascondessero una sorta di misteriosa resistenza protetta e benedetta dalle madonne appese alle edicole votive. Una resistenza che stringe nei pugni la verità di un luogo e la sua storia, con le croci sul selciato e i topi fra le grate dei tombini.
  • Via XX Settembre sembra più ripida di sera che di giorno, Genova è una città che costringe alla fatica, all'acido lattico, a un cammino espiatorio.
  • Alle cinque del pomeriggio circa, costeggiavamo i bei sobborghi di San Pietro d'Arena e arrivavamo a Genova che costituisce un'apparizione abbagliante quando la vedi dal mare. Essa infatti si inerpica come un anfiteatro di forma circolare dal livello dell'acqua su per le montagne per un notevole tratto, mentre dalla parte di terra è circondata da due mura, la più esterna delle quali pare estendersi per quindici miglia.
  • Il commercio di questa città attualmente non è molto considerevole, tuttavia ha l'apparenza di una vera e propria attività. Le strade sono affollate, i negozi ben riforniti e i mercati abbondano di eccellenti provviste d'ogni sorta. [...] Lo stato di Genova è molto povero e il suo Banco di San Giorgio ha ricevuto dei colpi molti duri prima dalla rivolta dei corsi e, in seguito, dalle disavventure della città, quando fu conquistata dagli austriaci nella guerra del 1745, e continua ancora a languire senza alcuna prospettiva di vedere ripristinata la sua reputazione.
  • Non senza ragione Genova è chiamata la Superba. La città di per sé è imponente e i suoi nobili molto orgogliosi. Alcuni possono andar fieri della propria ricchezza ma, in generale, i loro patrimoni sono davvero limitati. [...] Solo una mezza dozzina di nobili ha una rendita di diecimila libbre all'anno. Ma la maggioranza non possiede più della ventesima parte di tale somma. Conducono una vita privata decisamente parsimoniosa e in pubblico vestono soltanto di nero per ridurre le loro uscite. Si dice che se un gentiluomo dà un ricevimento una volta ogni tre mesi, egli vivrà di briciole per tutto il resto dell'anno.
  • E come mai a Genova, proprio Genova, così moderna in altre manifestazioni, conserva e tende a conservare ciò che merita di essere conservato? Conosciamo la risposta: Genova conserva anche tante cose che farebbe meglio a buttar via, e dunque si tratta di una saggezza inconsapevole, o addirittura involontaria. E con questo? Perché non «una saggezza magica»? Perché non riconoscere il bello e il buono dove c'è?
  • Genova, pur avendo una fisionomia così particolare, assomiglia un poco, pezzo per pezzo, a tutte le città italiane. Ha vie colorate come Palermo, lungomare come Napoli e Bari, calli come Venezia, colline come Ancona, monumenti come Roma e Firenze, animazione come Bologna, industrie come Milano, quartieri ottocenteschi come Torino.
    Tutta l'Italia, ormai, e tutte le epoche della storia italiana si sono riversate intorno al vecchio centro medievale di Genova. L'antico e il nuovo; il sud e il nord; il mare e il monte; il clima, che è mediterraneo, e il gruppo etnico dominante, che è ligure.
    Ed è ligure, è genovese, perfino il senso più moderno e più vivo del nostro Risorgimento: l'idea repubblicana.
  • Ogni volta che torno a Genova, mi stupisco e mi chiedo, scherzosamente, che bisogno possa aver sentito il Piemonte di conquistare l'Italia mentre aveva già la Liguria. Tutto ciò che di italiano manca a Torino, ce l'ha, e ce l'aveva, Genova.
  • Tutte le volte che vengo a Genova, mi dico che è la più bella città del mondo. E mi chiedo perché non ci vivo, sebbene, dal primo momento, ormai lontanissimo, in cui l'ho vista, non abbia mai desiderato altro.
  • Assaporo completamente il piacere della mia solitudine; la partenza da Genova mi ha tolto un peso enorme che mi schiacciava. Questa città sarà sempre per me di sbadigliante memoria[3].
  • Dopo aver errato di palazzo in palazzo, per più d'un'ora, in questa bella via, ho cercato un caffè; sono tutti bruttissimi e meschini qui a Genova, città dedita solo agli affari.
    Dato questo carattere, tutti sono disposti ad esservi utili per guadagnare qualcosa. Che differenza, buon Dio! dai napoletani, così indifferenti ad ogni idea di lucro e così filosofi!
  • Ecco, per esempio, quello che si può dire di Genova. Mi assicurano che c'è scarsa vita di società; una ragazza non legge romanzi e pensa a sposare un uomo ricco.
  • La bonomia milanese è celebre quanto l'avarizia genovese. Per essere stimati a Genova, bisogna mangiare appena un quarto delle proprie rendite e, se si è vecchi e ricchi, giocare qualche brutto tiro ai propri figli: mettere per esempio clausole insidiose nel testamento. [...] Genova rimane la città dell'avarizia, sembra una piccola città della Francia meridionale.
  • La città è mirabilmente situata ad anfiteatro sul mare. Fra la montagna, alta quattro volte Montmartre, e il mare, si è trovato giusto il posto per tre vie orizzontali: una, larga otto piedi, è quella del grande commercio, e vi si trova il caffè elegante; l'altra, dietro il muro del porto, è abbandonata ai marinai dell'infima classe; la terza, infine, la più vicina alla montagna e che porta successivamente i nomi di Balbi, Nuova e Nuovissima, è una delle vie più belle del mondo.
  • Si potrebbe stabilire che gli allievi che hanno ottenuto il «Grand Prix» vadano in un posto qualsiasi, in Italia, dove vogliono, purché sia oltre il Ticino e la Trebbia. Ad eccezione di Torino e di Genova, ogni soggiorno dovrebbe esser loro consentito.
  • Verso la fine della serata è comparso Savarelli, un nostro amico che viene dal nord d'Italia. È innamorato di Milano; è la città del piacere, niente le può esser messo a confronto, per questo; Torino e Genova sembrano delle prigioni.
  • Così, mentre alcuni tornano in albergo, altri, più curiosi, percorrono passeggiando le strade. In una città come Genova è ancora meglio che visitare i palazzi, tanto le costruzioni sono bizzarre, le vie singolari, la popolazione attiva, vociante, numerosa, e l'aspetto di tutte le cose è singolare. M. Töpffer, accompagnato da una dozzina di viaggiatori, cerca di perdersi secondo il suo sistema, secondo la teoria che non si conosce una città se non vi si perde parecchie volte fino a ritrovare poi la strada da soli. Tuttavia, in quella prima escursione, egli riesce più presto a perdersi che a ritrovarsi.
  • I palazzi, comunque, sono magnifici, magnifici come palazzi ma assolutamente scomodi come abitazioni. Le sedie sono troppo alte, e così le mensole, gli specchi nessuno arriva a vedersi. Ovunque c'è lusso, bellezza, maestosità, ma più nulla è in accordo con i costumi; sale di consiglio, sale d'aspetto, sale d'udienza per una città, per un popolo che non ha più, ahimè, ricevimenti, udienze, consigli: rovine dorate d'una repubblica illustre, brillante sarcofago d'una nobiltà delusa, sulle quali chiosa l'itinerario e vive il cicerone, come i vermi vivono su ciò che è fiorito, ha prosperato, vissuto!
  • Il faro, il porto, le navi, il rumore, l'allegria, la polvere, tutto questo forma un carosello mobile nel quale, tranquilli e silenziosi, ci lasciamo cullare per il divertimento, la sorpresa, la rapida successione di mille piacevoli scenette.
  • Non v'è che una strada a Genova dove le truppe e i cannoni possano sfilare. Le altre sono larghe soltanto sei o sette piedi, qualcuna anche meno, eppure sono adorne di ricchi negozi e animate da un formicolare di gente che si sgomita senza cessa. Su quelle vie strette, di tanto in tanto un gran palazzo esibisce una facciata superba dalla quale non si può vedere l'insieme da nessun luogo. Poi vengono delle piccole piazze quadrate, della grandezza di un salone, guarnite di botteghe talmente strette tra loro che si crede di vederne una sola.
  • Dei luoghi sorprendenti, viottoli, deserti, una sorta di inatteso lago nero.
  • Genova bellissima! ieri a bordo d'una nave un ballo e la presentazione al celebre signor Mylius, uno dei più grandi collezionisti del mondo. Nella sua villa, Cluny e una casa dei Goncourt e ai piedi di queste meraviglie tutto il mare e i fiori di questi posti.
  • Genova, città dei gatti. Angoli neri.
    Si assiste alla sua ininterrotta costruzione dal tredicesimo al ventesimo secolo.
    Questa città tutta visibile e presente a se stessa; in persistente familiarità con il suo mare, la sua roccia, la sua ardesia, i suoi mattoni, i suoi marmi; in lavorio perpetuo contro la sua montagna. - Americana dopo Colombo.
    Noia ineffabile delle cose d'arte - assente a Genova.
  • Genova è ricca di monumenti ed io dedico le mie giornate a visitarli. La cattedrale è bella, gotico-moresca con statue dei tempi antichi, con iscrizioni che tento di tradurre con l'avanzo di latino che mi rimane...
  • Genova. Giro verso le Grazie, Castello con Broche... Adesso ho fatto, con le persiane, la penombra del mezzogiorno nella grande camera a mosaico. In attesa dell'ora del ricevimento solenne all'Università.
    C'è del silenzio vicino e del rumore lontano - Le stesse campane che ho inteso bambino.
    - Si va. Palazzo, Cortile a scalinata sconosciuto... Sala vasta e grandiloquente - Bei damaschi del tavolo e poltrone dorate. Discorsi brevi del rettore e di Celesia - Lungo e scemotto di Broche. Io parlo di Genova...
  • Mentre Firenze si contempla e Roma sogna, e Venezia si lascia vedere – Genova si fa e rifà –
  • Preferisco Genova a tutte le città in cui ho abitato. È che mi ci sento sperduto e a casa mia – fanciullo e straniero. Essa ha una distesa di cupole, monti calvi, mare, fumi, neri fogliami, tetti rosa, e quella Lanterna, così alta ed elegante, – e meandri popolosi, labirinti ingombri le cui viuzze salgono, scendono, si intersecano e di colpo sbucano sulla veduta del porto; – piena di sorprese, di porte scolpite marmo o ardesia, casse, formaggi; scale, panni anziché il cielo, cancelli richiusi, bizzarro dialetto dal suono nasale e irritante, dalle strane abbreviazioni, vocaboli arabi o turchi.
  • Quanto a Genova, questa mirabile città ha delle strane virtù. Ci ho passato delle favolose estati, nell'infanzia. Ho creduto di diventarci pazzo nel 1892. Una certa notte bianca – bianca di lampi – che ho passato seduto a desiderare d'esser fulminato.
  • Sogno spesso il piacere che sarebbe per me errare con voi per Zena. Che città singolare e completa! Purtroppo non ha avuto né un Canaletto, né un Guardi. Nessuno ha esplorato queste inesauribili atmosfere da incisione all'acquaforte. È stata un poco guastata. Voi non avete conosciuto il Molo Vecchio, nè le straduccole che si annodavano e reggevano il serpeggiante strascico al posto dell'infame via XX Settembre...
  • Tempo semigrigio - mare scialbo, nomi conosciuti - Albenga, Albissola, Finale, Pegli, Sestri - - Stazione Broche e Console. Andiamo a piedi all'hotel de Genes - Via Nuova, Via Cairoli, Via Belli [Balbi? NdT]. Trovo Genova più bella di quanto la pensassi nel ricordo - Circolazione molto vivace - Ai piedi della Salita san Francesco, vista della casa - cena solo - Mediocre - Esco e scendo nel dedalo - San Matteo - Campetto - di notte. Penso di perdermi.
  • Entriamo in città. Ribolle e rumoreggia di un frastuono instancabile, gioioso e solare. Sembra che qui ognuno sia forte e allegro. Tutti sono avvolti dall'aura dei mari lontani, del sole, del vigore e di un'insopprimibile vitalità. Sono tutti felici qui? La domanda è strana, ma si pone. Non sono quelli che hanno delle difficoltà o soffrono a dare il tono alla vita; questo tono è di trionfo e giubilo.
  • Guardando le case, agiate e ricche, ma non attraenti, gli uomini vivaci e energici, ma privi di quell'eleganza della razza che si trova in Toscana o nel Lazio, ascoltando la lingua - il suono d'Italia ben noto, ma come induritosi nell'incomprensibile parlata genovese - senti e dici: questa è Italia, tutto questo è Italia, ma solo in un suo aspetto, in quello che si può chiamare Afrodite Pandemos, ovvero Afrodite popolare. Qui manca infatti la raffinatezza e l'impronta elevata della cultura spirituale.
  • Queste navi e questo mare di marzo, allora come oggi dello stesso color lilla rischiarato dalla luce del sole, queste navi a Genova portavano anche ricchezza, più probabilmente ai mercanti genovesi, dinastia combattiva, astuta, un po' rozza e spietata, conservatasi qui per circa cinquecento anni, che ha eretto in abbondanza palazzi, monumenti, teatri, la borsa, il cimitero e altro ancora, e tutto a gloria di una vita brillante, sazia, materiale.
  • Siamo ricchi, sazi, soddisfatti. La misura di tutto è il denaro. Non vi è altro Dio all'infuori di quello coniato sullo zecchino d'oro: tale sembra essere il motto di Genova.
  • Un uomo con la nostra mentalità è difficile che senta il desiderio di "stabilirsi" a Genova. Ma non si può passare oltre trascurandola, anche se non è affatto un "santuario", come altre città italiane. Il suo ritmo vivo e gioioso affascina. Non si dimentica il ribollire della sua folla, la varietà dei colori, l'immensità del mare, la foresta degli alberi maestri, i mercanti, i marinai, le donne, i navigatori, le lavandaie, i ciabattini, i tram veloci, gli splendidi negozi; e vien da pensare: ecco una città dove si respira forte e in allegria, dove il lavoro è legato al "colore", dove la ricchezza è apertamente felice, dove in genere tutto fiorisce nell'abbondanza della vita.

Citazioni in versi

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  • A chi o diggo che Zena ä seja a pä | 'na vegia cartolinn-a punzeggiâ | ammiâ contro ä lummea? | No i fan ciù i figgieu questi lummetti | che fâvan diventâ paixi da föe | Lumarso, Manessen e Prementon. (Vito Elio Petrucci)
  • Addio, Genova detestabile | Addio, soggiorno di Pluto. | Se il Cielo mi è favorevole, | Non vi vedrò più. (Montesquieu)
  • Chi guarda Genova sappia che Genova | si vede solo dal mare | quindi non stia lì ad aspettare | di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più | di quei gerani che la gioventù | fa ancora crescere nelle strade. (Ivano Fossati)
  • Così tu veleggiasti alla seccagna | di Tripoli, con uno de' tuoi Doria | buon predatore, o Genova grifagna; | ché padroni e nocchieri di Portoria | e di Prè, stanchi d'oziare a bordo, | tentarono l'impresa per galloria. (Gabriele D'Annunzio)
  • E andiamo a Genova coi suoi svincoli micidiali. (Francesco De Gregori)
  • E Genova aveva dei figli marinai | sfidando il mare aperto | volantinavano a viso scoperto. | E Genova, Genova a volte | ne parla nei bar | piena di sottintesi | perché non li hanno presi. (Assemblea Musicale Teatrale)
  • E senza tante cose è partito | e a Genova ha formato di nuovo il suo nido. (Mario Cappello)
  • Fratelli di Genova, | qui Genova è mesta, | è già un po' di tempo | che è finita la festa. (Buio Pesto)
  • Friedrich Nietzsche / alla fine del suo secondo / soggiorno a Genova: / lux mea crux / crux mea lux. (Friedrich Nietzsche)
  • Genova, che dicono voluta da Giano fondatore, | città antica, potente d'armi, famosa per i trofei, | molte notevoli imprese ti procureranno grandi lodi. | Presso di te è il dominio del mare, tu reprimi i popoli | perfidi, perché non penetrino da nemici nei nostri lidi. (anonimo)
  • Genova città ripida | Buone gambe per camminare | Flipper messo in bilico | Dove rotola un temporale | Città da cantautori | Per i ciclisti è micidiale | Se pisci sulle alture | Mezzo minuto e si inquina il mare. (Max Manfredi)
  • Genova era una ragazza bruna | collezionista di stupore e noia | Genova apriva le sue labbra scure | al soffio caldo della macaia. (Cristiano De André)
  • Genova mia cara non ti preoccupare | tra le mille cose che ho da fare | sono sicuro che un giorno | troverò il tempo per tornare. (Ex-Otago)
  • Genova mia, se con asciutto ciglio | Piagato e guasto il tuo bel corpo io miro, | Non è poca pietà d'ingrato figlio, | Ma ribello mi sembra ogni sospiro. | La maestà di tue ruine ammiro, | Trofei della costanza e del consiglio: | Ovunque io volgo i passi o il guardo giro | Incontro il tuo valor nel tuo periglio. | Più val d'ogni vittoria un bel soffrire; | E contr'ai fieri alta vendetta fai | Col vederti distrutta, e nol sentire: | Anzi girar la Libertà mirai | E E baciar lieta ogni ruina, e dire: | 'Ruine sì, ma servitù non mai.' (Giovanni Battista Pastorini)
  • Genova nemica degli ombrelli | la pioggia ed il vento cateti | di un improbabile scaleno | [...] Genova dalle spore di mare | Abbiamo salsedine | anche nel cuore | Abbiamo salite e discese | anche nelle strade dei nostri sogni | Genova samba di onde | col mare tenuto lontano | coi gomiti di diga | o attirato da calamite rocciose [...] Genova saudade & spleen... (Claudio Pozzani)
  • Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare | respiro al largo, verso l'orizzonte. | Genova, repubblicana di cuore, vento di sale, | d'anima forte. | Genova che si perde in centro nei labirintici vecchi carrugi, | parole antiche e nuove sparate a colpi come da archibugi. (Francesco Guccini)
  • Giro per le strade di Genova | è la mia città | voi gente normale non potete apprezzare | cosa si prova ad essere come me | a non aver niente e nello stesso tempo sentirsi padroni. (Bruno Lauzi)
  • In Cristo Re o Genova, t'invoco. | Avvampi. Odo il tuo Cìntraco, nel caldo | vento, gridarti che tu guardi il fuoco. | Non Spinola né Fiesco né Grimaldo | trae con la stipa. Il sangue del Signore | bulica nella tazza di smeraldo. (Gabriele D'Annunzio)
  • Io sono nato a Genova | Funicolari ascensori e creuze | Io sono nato a Genova | Città viva di troppe attese (Max Manfredi)
  • L'amo questa città dal duro volto, | dall'avaro sorriso. | Le son figlio | sin nel fondo dell'animo. (Elio Andriuoli)
  • L'amor di Patria, e le calde preghiere | Degli amici fur sprone al mio pensiere | Di ritornar: ne secondai l'idea, | E Genova più bella a me parea. | Io non dirò di quanta gioia piena | Fu l'alma mia in la nativa arena. (Gian Carlo Di Negro)
  • La voce del centro spirava dai suoi vicoli | la nave nel porto sembrava aspettare me | in questa città senza posto neanche per piangere | gli amanti stringevano al petto il loro lungo addio. (Timoria)
  • Là voglio essere io: e confido | In me, d'or innanzi, e nel mio timone. | Aperto è il mare: nel suo cupo azzurro | si spinge la mia prora genovese. | Tutto sempre più nuovo mi diventa, | Alle mie spalle è Genova. | Coraggio! Se la mia nave guidi, | Carissima Victoria! (Friedrich Nietzsche)
  • Le casebarche di Genova | di colpo sospesero l'abbrivio, | restando attonite in aria. | La rotta era di collisione. | Ora c'è pace nell'onda | ferma delle colline. (Manrico Murzi)
  • Le ninfe d'Arno e l'adriatica Dea, | Grecia, che tenne l'insegne latine, | le contrade siriache e palestine, | e l'onda eussina e la partenopea, | l'audace industria tua regger dovea, | che superolle; e d'Asia ogni confine, | d'Africa e d'America le marine, | e ciò che senza te non si sapea. | Ma tu, a te strana, le vittorie lasci | per piccol premio ad altri, però c'hai | debole il capo e le membra possenti; | Genoa, del mondo donna, se rinasci | di magnanima scuola, e non avrai | schiave a' metalli le tue invitte genti. (Tommaso Campanella)
  • Lontano dagli occhi, lontano dal cuore | è una grossa bugia, | più si allontana la spiaggia e il molo | più cresce la nostalgia, | Genova sparisce dalla tua vista | la vedi solo con la mente. | Si bagnano gli occhi, ti viene il magone | e ti senti troppo solo. (Giuseppe Marzari)
  • Ma se ci penso, allora io vedo il mare, | vedo i miei monti e la Piazza della Nunziata | rivedo il Righi e mi si stringe il cuore, | vedo la Lanterna, la Cava e laggiù il Molo. | Rivedo la sera Genova illuminata, | Vedo là la Foce e sento frangere il mare, | e allora io penso ancora di ritornare, | a posare le ossa dove riposa mia nonna. (Mario Cappello)
  • Mi piace stare a sentire, l'odore della mia città, della mia Genova che ho cucita nel cuore, | sedermi, chiudere gli occhi, e pensare a tutti gli odori, che la natura ci ha regalato. (Buio Pesto)
  • [Il denaro] Nelle Indie con onore nasce | e in giro dove il mondo l'accompagna | finisce per morir qui in Spagna | mentre a Genova qualcun lo seppellisce (Francisco de Quevedo)
  • Nobile, e grande è la città di Genova | e più sarebbe ancora, se non fosse | che ciascun dì per sua discordia menova. (Fazio degli Uberti)
  • O viottoli olenti | In cui ciascun sente | Cotante erbe e cento | Droghe differenti, | In cui, nari erranti, | Tu fendi gli incensi | Che l'ombra incoerente | Diffonde ai passanti... (Paul Valéry)
  • Per quanto tempo ti penserò | in quelle notti a Genova | giù lungo il porto dentro quei bar | sogni cambiati in spiccioli (Cristiano De André)
  • Per que' valloni e per quelle ricise | andammo, in fin che fummo dove Giano, | dico l'antico, prima pietra mise. | Questa citta è tutta in poggio e in piano, | racchiusa tra Bisagno e Poncevere, | con bei palagi e 'l sito dolce e sano. (Fazio degli Uberti)
  • Pugno di camàlo italiano | scagliato contro le onde | brivido d'avvenire elettrico | trasfuso ai caoti trogloditici del mare: | sposa liquida delle solide Alpi | sorella dei valichi e dei tunnels | madre dei sacchi di grano e delle montagne di carbone | figlia delle grue d'acciaio e delle sirene di simcum | tromba megafonica di tutti gli idiomi. (Paolo Buzzi)
  • Quando ti devo lasciare | Genova bella | mi sento mancare le forze | mi sento male (Giuseppe Marzari)
  • Questa città è un ottovolante. | Un intrigo di ponti e sopraelevate. | E ogni volta una nuova emozione | salta dal cuore alla testa | dalla pancia alla gola. (Claudio Baglioni)
  • Questa città ha musica e suoni suadenti | come le cantilene del suo dialetto. | Come un raggio che asciuga la pioggia | come una goccia che cade sul sole. (Claudio Baglioni)
  • Ritornerai come sempre | ritornerai accanto a me | ritornerai come sempre| ritornerai a Genova. (Timoria)
  • Se ripenso a te | a volte sai mi viene male | Italia mia | a Genova c'è un altro sole | non mi chiedere di spiegare | cosa provo quando devo ritornare. (Ex-Otago)
  • Sempre che torni sera | Per queste città dove le luci | Appena si staccano dai pali | E il mare brucia di là | Sul molo un'aria fiacca | Raccoglie il fischio della sirena. | Solo mi dico la mia pena e brillano | Agli occhi vaghi i lumi delle ville. | Troppo dolce il passaggio in queste terre, | Più sicura la morte, ad ogni viaggio | Non c'è speranza che resti sepolta. | Poi è la prima stella che si perde | Dietro le palme, più tardi un baleno | Verde che s'apre a uno schiocco di frusta. (Leonardo Sinisgalli)
  • Siamo saliti sin quassù [il Righi] a guardare | la città che si stende tra il confine | del mare e le montagne. | È come avvinta | da un suo sogno operoso, di cui giunge | l'indistinto brusio a noi che intenti | ne cerchiamo le strade, i campanili, | le piazze. Grigi tetti ci conducono | al porto irto di gru, ove lente salpano | navi e muovono lievi verso il largo, | con rauco grido [...] | le accompagna il cuore. (Elio Andriuoli)
  • Signore di questo porto | vedi mi avvicino anch'io | vele ancora tese | bandiera genovese | sono io. (Ivano Fossati)
  • Spirito ceruleo dei mari, ospite di ignote strade, | laggiù è un vascello; dinanzi gli sta una falce di luna, padrona dell'etere... | già il giorno ha oltrepassato delle rocce ultime la soglia. || Ma come un fuoco che cova, nel suo seno di zaffiro, | sulle terrazze, ammassando palazzi su palazzi, | sempre di Genova rosseggia l'anfiteatro purpureo. (Vjačeslav Ivanovič Ivanov)
  • Superba ardeva di lumi e cantici | nel mar morenti lontano Genova | al vespro lunare dal suo | arco marmoreo di palagi. (Giosuè Carducci)
  • Tra questa gente che osserva e si lamenta | pure Colombo è stato uno fra cento | e adesso in mare veleggia la rumenta[4] | strana, Genova || Io questa notte ti vorrei parlare | e invece parto per mandarti a dire | che tu sei bella, sì, ma da ricordare | bella più che mai. (Francesco Baccini e Fabrizio De André)
  • Via, mettiamo via | questa città | ne ho nostalgia | andando via | non è più mia | o forse non lo è stata mai | magari un po'. (Negramaro)
  • Vieni a mirar la cerula
    Marina tremolante;
    Là Genova torreggia
    Sul talamo spumante;
    Là i tuoi nemici imperano,
    Vincerli indarno speri...
    Ripara i tuoi pensieri
    Al porto dell'amor. (Simon Boccanegra)
  • Ah! ch'io parta! ch'io parta! E che un lontano | Giorno l'ultimo sonno in te laggiù | dorma | Genova | Sotto degli infrenati archi marini | Dell'alterna tua chiesa azzurra e bianca | Dove una fiamma pallida s'infranca | In arco eburneo a magici confini.
  • Già a frotte s'avventurano | I viaggiatori alla città tonante | Che stende le sue piazze e le sue vie: | La grande luce mediterranea | S'è fusa in pietra di cenere: | Pei vichi antichi e profondi | Fragore di vita, gioia intensa e fugace: | Velario d'oro di felicità | È il cielo ove il sole ricchissimo | Lasciò le sue spoglie preziose. [...] | Perdute nel crepuscolo tonante | Ombre di viaggiatori | Vanno per la Superba | Terribili e grotteschi come i ciechi.
  • O città fantastica, o gorgo di fremiti sordi!
  • O poesia siimi tu faro | Siimi tu faro e porterò un voto laggiù | Sotto degli infrenati archi marini | Dell'alterna tua chiesa azzurra e bianca | Là dove aurora fiammea s'affranca | Da un arco eburneo, a magici confini | Genova Genova Genova.
  • Sotto la torre orientale, ne le terrazze verdi ne la lavagna cinerea | Dilaga la piazza al mare che addensa le navi inesausto | Ride l'arcano palazzo rosso dal portico grande: | Come le cataratte del Niagara | Canta, ride, svaria ferrea la sinfonia feconda urgente al mare: | Genova canta il tuo canto!
  • Era un portone in tenebra | di scivolosa arenaria: | era, nell'umida sera promiscua, | il mio ingresso a Genova.
  • Ero a Livorno, alla Darsena. | irta di rimochiatori. | O, più tangibilmente, a Genova, | alla Commenda, insieme | con mio padre, curvo | sul bilico della sua partita | doppia... || Al netto, | ho visto soltanto Mirko, | compagno di sassaiole | a San Martino
  • Fors'era in me un sessuale | émpito di voler arricchire. | La Genova mercantile | dei vicoli – l'intestinale | tenebra dov'anche il mare, | se s'ode, pare insaccare | denaro nel rotolio | della risacca (ma io, | scusate, non mi so spiegare | troppo bene), il Male | in me sembrava inculcare | con spasimo quasi viscerale.
  • Forse era la mia vita | intera, che mi lambiva. | Ma entrato oltre la porta | verde, mai con più remora | m'era accaduto che Genova | (da me lasciata), morta | io già piangessi, e sepolta, | nel tonfo di quella porta. || Eppure io piansi Genova, | l'ultima volta, entrato.
  • Genova città pulita. | Brezza e luce in salita. | Genova verticale, | vertigine, aria, scale.
  • Genova che non mi lascia. | Mia fidanzata. Bagascia. | Genova ch'è tutto dire, | sospiro da non finire.
  • Genova di Sottoripa. | Emporio. Sesso. Stipa.
  • Genova di tramontana. | Di tanfo. Di sottana. | Genova d'acquamarina, | aerea, turchina.
  • Genova di tutta la vita. | Mia litania infinita.
  • Genova illividita. | Inverno nelle dita. | Genova mercantile, | industriale, civile.
  • Genova mia città fina: | ardesia e ghiaia marina.
  • La mia città dagli amori in salita, | Genova mia di mare tutta scale | e, su dal porto, risucchi di vita | viva fino a raggiungere il crinale | di lamiera dei tetti, ora con quale | spinta nel petto, qui dove è finita | in piombo ogni parola, iodio e sale | rivibra sulla punta delle dita | che sui tasti mi dolgono?...
  • Le case così salde nei colori | a fresco in piena aria, | è dalle case tue invano impara, | sospese nella brezza | salina, una fermezza | la mia vita precaria.
  • Con quella faccia un po' così, | quell'espressione un po' così | che abbiamo noi | prima di andare a Genova, | che ben sicuri mai non siamo | che quel posto dove andiamo | non c'inghiotte e non torniamo più.
  • Genova per noi | che stiamo in fondo alla campagna | e abbiamo il sole in piazza rare volte | il resto è pioggia che ci bagna. | Genova, dicevo, è un'idea come un'altra.
  • Lasciaci tornare ai nostri temporali, | Genova, ai giorni tutti uguali.
  • Ma quella faccia un po' così, | quell'espressione un po' così | che abbiamo noi mentre guardiamo Genova | ed ogni volta l'annusiamo, | circospetti ci muoviamo, | un po' randagi ci sentiamo noi.
  • Che ne sai tu del mare | genovese di sto cazzo | sempre appeso alle tue tasche. | Invece il mare è femmina | e non la puoi tradire | con le sue curve azzurre | a sfruculiare le terre... | e non lo puoi capire.
  • E in un berretto nero | la tua foto da ragazza | per poter baciare ancora Genova | sulla tua bocca in naftalina.
  • E sulla tua Genova sepolta | non una manciata di terra ma | una cascata di foglie secche | con la faccia di Marx. | Nella tua solitudine piena di facce | di bambini e soldati | ti sei mai chiesto | perché sfidare il mare?
  • implume e viola | a becco in su, stecchito sullo spigolo, | sterco di fianco, segno di vicolo, | livida pietra specchio della fonte | il cielo
  • la pipinara strilla sul cemento | ai bassi vani lacera la seta || quanto vorrei che fosse un bastimento | cullante, davanti a Genova cheta...
  • Livida l'aria di Genova, bagnato l'asfalto. Un po' di pioggia è caduta ma | l'acqua, negli interstizi delle lastre dei marciapiedi, sembra sorga da sotto. | I rii invisibili segnano le strade aperte verso il mare.
  • ma la pulsante Genova | spesso nel suo diario ha scritto | – rinascere! – | non una parola formale | o il vanverare sull'emergenza | ma il grido della sirena marina | contro la pochezza del sognato | stanca dell'angelo della pazienza | stanca dell'umiltà | della fila supina | che non vede più la beltà cittadina | la sua contagiosa necessità
  • vorrei a Genova arrivare | su una nave senza alcuna insegna | dopo aver scrutato costa costa | il profilo del mio paese | e ascoltato i cantori raccontare | la nobiltà di chi non ha cercato | la vivenza o la potestà terrena | col sangue servito a pranzo e a cena...
  • Allo sbocco della notte | t'apriva il treno esiti turchini, | fra una galleria e l'altra ti destano i paesotti addormentati, | dalla sua faccia greve emergeva brillante il mare. | E la stazione, il punto di partenza avvolto nel fumo, | la lunga camminata, gli scalini, di vico in vico | i tuoi passi sui tuoi passi, i segreti del cambiavalute | eternamente oscuri, | i volti, l'incerto oriente, | il truogolo sforacchiato sui bastioni, | la sacra mensa nascosta dalla tenda di porpora.
  • Dov'è il mio paese? [...] | A Genova alla Maddalena nei popolosi salotti | in cammino sotto i grandi uccelli d'azzurro | stagliati dai fastigi delle alte dimore | nello splendor dell'estate.
  • Tutto era bonomia e ispirava fiducia | come il colore del peperone. | Il negro americano, l'amicone pronto al riso, | deposto con fragore anticamente | dal mare alluvionale nel porto attraente | e ancora in giro per gli angusti carrugi, | le prostitute poliglotte le belle poppe | che sanno la lingua d'ognuno, | tutta la gente che inganna la vita nei quartieri bassi, | quella che sfida, quella che tace egualmente ostinata, | i palazzi con gli alti portoni chiusi, le alberature, |le gru stagliate, se si sale si vedono, | e, più in alto, il mare.
  • Genova città da capire | Genova aria da bere | Genova nuvole e sale | e vento a imperversare.
  • Genova da perder la via | solo vicoli e nicchie | che alla fine dei Giovi | ci si stappa le orecchie.
  • Genova è grigia | non ti sorride | è lontana, è interrotta | è il Bisagno | è troppo corta la pista | è un rumore continuo | a noi piace così | lo chiamiamo mugugno.

Proverbi

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  • Dovve i Zeneixi vàn, 'n'ätra Zena fan. (genovese)
Dove vanno i genovesi, fanno un'altra Genova.
  • Genova, prende e non rende. (toscano)
  • Milano la grande, Vinegia la ricca, Genova la superba, Bologna la grassa, Firenze la bella, Padova la dotta, Ravenna l'antica, Roma la santa. (toscano)
  • Chi vuol vedere Pisa vada a Genova. (italiano)
  • Genova, aria senza uccelli, mare senza pesci, monti senza legna, uomini senza onore e donne senza pudore. (italiano)
    Montagne senza legno, mare senza pesci, huomini senza fede e donne senza vergogna.
    Montagne senza legno, mare senza pesci, huomini senza fede, donne senza vergogna et cielo senza aqua.
    Mare senza pesce, donne senza bellezza, etc.
    Genova, aria senza uccelli, mare senza pesce, monti senza legna, uomini senza rispetto. (toscano)
    Mare senza pesce, montagne senza alberi, uomini senza fede e donne senza vergogna. (toscano)
    Quattru cosi havi Genua: mari senza pisci, muntugni senza ligna, fimmini senza vriogna e ricchizzi senza funnu. (siciliano)
    Quattro cose ha Genova: mare senza pesci, montagne senza legna, donne senza vergogna e ricchezze senza fondo.

Note

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  1. A indicare che se la poesia fosse genovese sarebbe un'arte molto ricca.
  2. Platone, Leggi, 803 b. Cfr. I, 2008, nota 65, p. 323
  3. in italiano nel testo originale
  4. "spazzatura" in dialetto genovese

Voci correlate

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Altri progetti

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