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Monte Giordano

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Fontana nel cortile del palazzo di Monte Giordano
Ingresso del palazzo su via Monte Giordano. Sulla sinistra l'edificio degli Orsini del ramo di Bracciano
Antico ingresso su via dei Gabrielli
Veduta di parte della corte interna di Monte Giordano

Monte Giordano è una piccola altura posta nel centro di Roma nel rione Ponte, nella Regio nota in passato come Scorteclaria, nei pressi di Ponte Sant'Angelo, formatasi probabilmente per l'accumulo di detriti provenienti dal non lontano antico scalo fluviale della statio marmorum di Tor di Nona.[1] È situata lungo la via omonima, prolungamento della via di Panìco, e prospiciente la via dei Coronari in prossimità di Piazza San Salvatore in Lauro; l'area è altresì delimitata dal vicolo Domizio[2] alla cui confluenza con via dei Coronari è posta la nota Immagine di Ponte, e da via della Vetrina.
Il sito rivestiva nel Medio Evo notevole valore strategico per essere collocato tra due arterie principali quali la via Recta e a ridosso della via Papalis, così detta essendo la strada che percorreva il Papa nelle Cavalcate di Possesso; quest'ultima oggi nota come via dei Banchi Nuovi e via del Governo Vecchio, percorreva piazza dell'Orologio (già piazza di Monte Giordano), ed insieme a via del Pellegrino costituiva la principale arteria che collegava la città al Vaticano.
Il palazzo è contraddistinto con il numero 582 nella Pianta o Nuova Topografia di Roma di Giovanni Battista Nolli.
Si vuole che il monte sia citato anche da Dante nel XVIII canto dell'Inferno (28-33).

Noto dalla metà del secolo XII come luogo fortificato di proprietà di Johannes Roncionis, detto signore di Raiano[3] sito in territorio Collinense (quasi certamente l'attuale Riano), ancora nella bolla di papa Alessandro III del 1177, ne veniva già attestata la presenza della chiesa di Santa Maria in Monticello appartenente al monastero di S. Elia di Falleri.[4] Nel secolo successivo il monte risultava di proprietà di Stefano Petri de Monte[5] ritenuto della famiglia Stefaneschi che vi possedeva la Turris Maior.[6]

Gli Orsini ne entrarono progressivamente in possesso tra il 1242 e il 1262,[7] divenendone poi gli unici proprietari. Il sito prese nome allora, probabilmente, dal cardinale Giordano (fratello del papa Niccolò III) o da Giordano Senatore di Roma nel 1339.[8] Dallo stesso periodo la località, ormai pienamente di proprietà di alcuni rami della famiglia che vi si erano insediati, fu nota anche come Mons Ursinorum, dalla cui dimora i rami della famiglia presero a distinguersi dagli altri con il nome di Orsini de Monte, rispetto agli Orsini de Campo residenti in Campo de' Fiori e agli Orsini de Ponte residenti in prossimità del vicino Ponte Sant'Angelo[9] o nell'omonimo castello.

La famiglia Orsini vi costruì nei secoli successivi un complesso edilizio fortificato di notevoli dimensioni[10] il cui antico accesso sarebbe stato quello sull'attuale via dei Gabrielli, dove si riunirono le abitazioni dei rami di Bracciano, di Monterotondo e di Pitigliano.[11] L'insieme, costituito così da più edifici distinti, fu tuttavia raramente abitato da membri della famiglia, che preferirono invece darlo in affitto ad ospiti di riguardo.

Nel 1477 il complesso fu sottoposto da membri della famiglia al vincolo di inalienabilità mediante l'istituzione di un fedecommesso[12] e sul finire dello stesso secolo[13] il complesso subì dei crolli nelle sue parti più antiche tanto che l'atrio di Monte Giordano si riempì di pietre e quant'altro era caduto. A causa della posizione assunta da Gentile Virginio Orsini durante la congiura dei Baroni nella notte tra 30 novembre e 1 dicembre 1485 le sue abitazioni a Monte Giordano vennero date alle fiamme; inoltre nei giorni della morte di papa Alessandro VI il complesso fortificato fu saccheggiato e incendiato dalle soldatesche di Cesare Borgia capitanate da Michelotto Corella.[14]

L'edificio dei duchi di Bracciano, aggettante sulla attuale via di Monte Giordano costituì, in particolare, una delle sedi di rappresentanza a Roma (insieme al Palazzo di Monte Cavallo, l'odierno Quirinale) del cardinale Ippolito II d'Este, che vi ospitò, tra gli altri, e a più riprese Bernardo Tasso e il figlio, il celebre Torquato. Il cardinale morì nel palazzo il 2 dicembre 1572 e, vestita di mitra e paramenti violacei, la salma fu esposta nella sala maggiore prima di essere traslata nella Chiesa di Santa Caterina dei Funari il giorno successivo.

Nella seconda metà del secolo XVI e agli inizi del successivo vi furono alcuni tentativi di alienare il complesso o parte di esso da parte di Franciotto Orsini e dei suoi famigliari del ramo di Monterotondo e di Alessandro Orsini del ramo di Bracciano, a cui si oppose anche il papa Clemente VIII con la sospensione del fedecommesso.[14]

Nel 1574 vi vennero ad abitare da Firenze Paolo Giordano Orsini, I duca di Bracciano e uno dei protagonisti del forte indebitamento della famiglia, a causa delle enormi spese di rappresentanza che comportavano la sua posizione sociale, e sua moglie, Isabella de' Medici, che fecero apportare delle modifiche alle stanze di quella che, seppur per breve periodo, fu la loro comune residenza.

Agli inizi del '600 gli eredi del ramo di Bracciano acquisirono l'adiacente edificio del ramo dei conti sovrani di Pitigliano che si erano trasferiti in Toscana, facendolo unire a quello di Bracciano mediante un arco, che sarà rimaneggiato nell'800, esaltando la monumentalità del nuovo accesso al complesso edilizio. Quanto all'edificio del ramo di Monterotondo, feudo ceduto ai Barberini nel 1646, questo era passato con Isabella Orsini per eredità ai conti di Carpegna per passare ai Tanari di Bologna.

Un altro ospite di rilievo fu il cardinale Maurizio di Savoia che, preso in affitto l'edificio a partire dal 1626, per qualche anno ne fece uno dei centri della vita mondana, culturale ed artistica di Roma. Nell'estate del 1637 il palazzo e la piazza antistante furono teatro delle fastose cerimonie organizzate dal cardinale per celebrare l'elezione di Ferdinando III d'Asburgo a imperatore del Sacro Romano Impero.

L'estinzione degli Orsini di Bracciano e i Gabrielli

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Flavio Orsini

Raccoltasi l'intera proprietà di quanto rimaneva del depauperato asse ereditario, al netto degli ingenti debiti accumulati dai componenti del casato, nelle mani di Don Flavio,[15] ultimo duca di Bracciano e Assistente al Soglio, privo di eredi, questi abitò a Monte Giordano con la seconda moglie, Marie Anne de La Trémoille, la quale non poco contribuì al dissesto finanziario mediante acquisti di opere d'arte (Bronzino, Tintoretto, Tiziano, Veronese, van Dyck e Dürer), mobili di pregio e tappezzerie al fine di arricchire gli ambienti del palazzo che diventò così centro intellettuale e mondano della città.[16]

Il complesso edilizio, nonostante gli inutili tentativi di risanamento finanziario, venne ceduto nel 1688, grazie all'intervento di un Commissario amministratore e della Congregazione dei Baroni, che nel 1696 si occuperà della cessione del ducato di Bracciano agli Odescalchi, ai marchesi romani Pietro e Antonio Gabrielli per 60.000 scudi. La transazione consentì agli Orsini di andare ad abitare nel quattrocentesco Palazzo Orsini a Pasquino presso piazza Navona, già appartenuto al ramo di San Gemini (discendenti da Francesco Orsini Prefetto di Roma), con un vitalizio annuo di 4000 scudi.

Placido Gabrielli

Insieme al palazzo venne alienata gran parte della ricca collezione d'arte e antichità della famiglia[17] che andò a costituire verso il finire del Seicento, ad opera di Pietro Gabrielli (1660-1734), protonotario apostolico e chierico di camera di Innocenzo XI, la nota collezione, in larga parte dispersa a seguito della condanna dello stesso per eresia e alla conseguente fuga nella Repubblica di Venezia.[18] Suo nipote, anch'egli di nome Pietro (1746-1824), fece restaurare l'insieme, incaricando l'architetto Francesco Rust di realizzare un nuovo braccio per collegare tutti gli edifici, ed affidando nel 1809 a Liborio Coccetti la realizzazione della decorazione interna secondo i canoni del Neoclassicismo e del "neopompeiano"[19], che vi rimase fino al 1816 anno della sua morte. Sospettato di simpatie napoleoniche, Liborio Coccetti visse nel palazzo per alcuni anni, in stato di volontaria reclusione, ospite del principe Pietro Gabrielli, che era stato maire adjoint (vicesindaco) di Roma durante il periodo francese: questo episodio sembra essere all'origine del dramma storico La Tosca di Victorien Sardou e quindi dell'omonima opera lirica di Giacomo Puccini.[20] Successivamente, nel corso dell'Ottocento, i Gabrielli ospitarono nel palazzo alcuni membri della famiglia Bonaparte, tra cui l'imperatrice Eugenia e il cardinale Luciano Luigi, che vi morì nel 1895.

La proprietà fu poi ceduta, nel 1888, dal principe Placido Gabrielli, figlio di Carlotta Bonaparte principessa di Canino, ai conti Taverna, per la somma di 1.800.000 franchi francesi.[21] Il complesso è quindi pervenuto sul finire del XX secolo per via ereditaria ai Gallarati Scotti.
Dal 1923 per oltre mezzo secolo ha ospitato la Biblioteca della Associazione di Studi Meridionali Giustino Fortunato.

  1. ^ Rodolfo Lanciani, Storia degli Scavi di Roma e le Notizie intorno alle Collezioni Romane di Antichità, a.1902, vol. I, p.9; Simon Swynfen Jervis & Dudley Dodd, Roman Splendour, English Arcadia: The Pope's Cabinet at Stourhead, a.2014, p.44.
  2. ^ Forse dal nome della prossima Porta Domitia, una posterula che si apriva nelle Mura Aureliane presso lo scalo marmorum, v. Case e torri medioevali a Roma: Documentazione, storia e sopravvivenza... di Lorenzo Bianchi, Maria Rosaria Coppola, Vincenzo Mutarelli, Mariella Piacentini, p. 359
  3. ^ Giovanni Runcio o Runcionis de Raiano era vivente nel 1151 quando fu testimone della cessione della metà del Tuscolo fatta dai Colonna a papa Eugenio III, v, Augustine Theiner, Codex diplomaticus S. Sedis, vol. I, p.15; L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, T. III p. 797. Secondo Antonio degli Effetti nel suo De' Borghi di Roma e luoghi convicini al Soratte... a.1675, pp.70-71, Giovanni di Roncione ottenne il castello dal Monastero di S. Paolo che possedeva pressoché l'intero territorio Collinense a cui, insieme al suo fratello minore Berardo, venne restituito nel 1159; p.71. Giovanni Runcio o di Roncione da taluni è fatto discendere da Guido di Leone di Reiano ritenuto della famiglia dei Bobone, v. Niccolo III... in "La Civiltà Cattolica", A. XXXXVI (1895), Serie XVI, Vol. II, Quaderni 1078 e 1080, pp. 425 e 657.
  4. ^ Christian Hulsen, Le chiese di Roma nel medioevo, cataloghi e appunti, 1927, p.350. La chiesa mantenne il titolo di S. Maria de monte Johannis Roncionis ancora nella prima metà del secolo XIV quando il monastero di S.Elia era passato sotto il controllo dell'Arcispedale di Santo Spirito in Saxia, v. A. Esposito Aliano, Un inventano di beni in Roma dell'Ospedale di S. Spirito in Sassia (a. 1322), in Archivio Società Romana di Storia Patria, a. XXX 3ª serie, a. XCIX, 1976, I-IV, n. 129, p.112. Successivamente andrà a far parte delle filiali della basilica di S. Lorenzo in Damaso quando nel sec. XV suole essere chiamata de Monte Iordano, e dal periodo di papa Pio V prenderà il nome di S. Simone e Giuda; Costantino Corvisieri, Delle posterule tiberine tra la porta Flaminia ed il ponte Gianicolense, in Archivio società romana di storia patria, I, 1878, pp. 111 e segg.
  5. ^ Forse il medesimo Pietro che era senatore nel 1192, v. Claudio De Dominicis, Membri del senato della Roma pontificia Senatori, Conservatori, Caporioni e loro Priori e Lista d'oro delle famiglie dirigenti (secc. X-XIX), p.14. Non è tuttavia da escludere che costui appartenesse alla discendenza dell'aristocratico Cencio di Stefano vissuto nell'XI secolo che aveva fortificato con una torre sin dalla metà del secolo XI quel lato di ponte Elio e che fu protagonista del rapimento nel 1075 di papa Gregorio VII tenuto prigioniero in una sua torre in Parione; famiglia che, da una citazione espressa nel testo di P. Galletti nel descrivere alcuni componenti di essa, raccolti in un documento del secolo XI dell'Abbazia di San Paolo fuori le mura riguardo al possesso di alcuni castelli, sembra da identificare con i De Ponte. v. Fedele Savio, Niccolò III (Orsini). 1277-1280. VIII. La Donazione di Castel S. Angelo, in Civiltà Cattolica, Anno XLV (1894), Serie XV, Vol. XII, Quad. 1064. p.147; Duchesne, Liber Pontificalis I, p. 337; voce Cencio in Dizionario Biografico degli Italiani; P. Galletti, Capena municipio de Romani, Roma 1756, p.69; Basilio Trifone, Le carte del monastero di S. Paolo f.l.m. di Roma dal sec. XI al XV, in Archivio della Regia Società Romana di Storia Patria, a. 1908, n.3-4, p.288, doc. n. VII del 1139; M. Thumser, Rom und der römische Adel in der späten Stauferzeit, Tubingen 1995, v. fam. De Ponte.
  6. ^ Gio. Domenico Franzini ipotizza che prima di essi vi abitassero gli "antichissimi Conti di Sabina", Descrittione di Roma antica e moderna. Nella quale si contengono chiese... Roma 1694, p.787
  7. ^ Umberto Gnoli, Topografia e toponomastica di Roma medievale e moderna, 1939, alle voci; e Carocci S., Una divisione dei possessi romani degli Orsini (1242-1262), in Archivio della Società Romana di Storia patria, a.1992
  8. ^ Pasquale Adinolfi, Roma nell'età di mezzo, Rione Ponte, Tomo V, P.3^, p.316.
  9. ^ v. Angelo Mercati, Nell'Urbe dalla fine di settembre 1337 al 21 gennaio 1338. Documenti seguiti da altre "Varia" in Archivio Segreto Vaticano; in Miscellanea Historiae Pontificiae, Roma 1945, p.15.
  10. ^ Kristin Triff, Two seventheeth-century plans of the Palazzo Orsini di Monte Giordano in Rome. In Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 1998, 511-523
  11. ^ Francesco Asso, Sull'origine dell'altura detta prima "Monte di Giovanni Roncione" poi "Monte Giordano", in Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura dell'Università di Roma”, 1 (1953), pp. 10-15
  12. ^ Finding Aid for the Orsini Family Papers, ca. 1150-1950 (bulk 1500-1900), p.903
  13. ^ Stefano Infessura fissa il giorno nel 16 agosto 1482, durante la guerra tra Sisto IV di cui gli Orsini erano partigiani e il Duca di Calabria, a causa di folgori che si abbatterono su Roma e che rovinarono anche la torre angolare di Palazzo Venezia, in Diaria Urbis Romae
  14. ^ a b P. Adinolfi, Roma nell'età di mezzo cit., ivi.
  15. ^ Assunte le redini dello stato avito alla morte del padre duca Ferdinando nel 1660, poteva infatti vantare i titoli di duca di Bracciano, principe di Nerola, marchese dell'Anguillara, principe del S.R.I., duca di San Gemini, con la signoria di decine di località; nonostante l'incameramento dei beni del ramo di Vicovaro avvenuto agli inizi del secolo e il ricco matrimonio con Ippolita Ludovisi, tentò inutilmente di risollevare le dissestate condizioni finanziarie con la vendita nell'arco di un decennio di più della metà dei suoi beni: parte dello stato di Bracciano con Anguillara e Trevignano, Oriolo, Ischia di Castro, Formello e Sacrofano, Campagnano, e vari altri feudi come Cerveteri, Nerola e Vicovaro ceduti dal fratello Lelio.
  16. ^ Archivio Storico Capitolino, Natale a Corte. Auguri dei sovrani europei agli Orsini di Bracciano. Flavio Orsini.. Roma 1988.
  17. ^ Federico Rausa, Le collezioni di antichità Orsini nel palazzo di Monte Giordano, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, Vol. 101 (2000), p.176
  18. ^ Dalma Frascarelli, Laura Testa. Arte e cultura nella quadreria romana di Pietro Gabrielli (1660-1734) a palazzo Taverna di Monte Giordano, Roma: Istituto Nazionale di Studi Romani, 2004
  19. ^ Paul Fleuriot de Langle, Connaissance des Arts, Paris, n. 177, nov. 1966
  20. ^ Alberto Arbasino. Marescialle e Libertini. Milano: Adephi, 2004
  21. ^ Fondazione Camillo Caetani. Il costume è di rigore. 8 febbraio 1875: un ballo a Palazzo Caetani, Roma: L'Erma di Bretschneider, 2002

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