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Storia d'Italia

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Template:Storiaitalia Per storia d'Italia si intende per convenzione la storia della regione geografica italiana e dei popoli che l'hanno abitata, dotata - al di là delle molteplici differenze culturali e delle successive trasformazioni politiche - di una specifica identità che l'ha condotta nei secoli a essere riconosciuta come un unico soggetto storico. In un'accezione più ristretta, per storia d'Italia si intende invece la storia dello stato unitario, ossia la storia del Regno d'Italia e della Repubblica Italiana, nonché degli eventi che condussero alla sua formazione, ossia la storia dell'espansione del Regno di Sardegna, tradizionalmente conosciuta come Risorgimento.


Preistoria e protostoria

Lo stesso argomento in dettaglio: Italia preistorica e protostorica.

Preistoria

Il popolamento del territorio italiano risale alla preistoria, epoca di cui sono state ritrovate importanti testimonianze archeologiche. L'Italia è stata abitata almeno a partire dal periodo Paleolitico. Tra i più interessanti siti archeologici italiani risalenti al paleolitico, si ricorda quello di Monte Poggiolo, presso Forlì e la Grotta dell'Addaura, presso Palermo, nella quale si trova un vasto e ricco complesso d’incisioni, databili fra l'Epigravettiano finale e il Mesolitico, raffiguranti uomini ed animali.

Tra i popoli insediatisi nel Neolitico, quando l'uomo da cacciatore divenne anche pastore e agricoltore, si ricordano gli antichi Camuni (in Val Camonica).

Etruschi e Genti Italiche

Cartina con i maggiori centri Etruschi, ed "espansione" della civiltà etrusca nel corso dei secoli

Le informazioni sulle genti abitanti la penisola in epoca preromana sono, in taluni casi, incomplete e soggette a revisione continua. Popolazioni di ceppo indoeuropeo, trasferitesi in Italia dall'Europa Orientale e Centrale in varie ondate migratorie (veneti, umbro-sabelli, latini, ecc.), si sovrapposero ad etnie pre-indoeuropee già presenti nell'attuale territorio italiano, o assorbendole, oppure stabilendo una forma di convivenza pacifica con esse.

Presumibilmente, queste migrazioni ebbero inizio in età del bronzo medio (e cioè attorno alla metà del II millennio a.C.) e si protrassero fino al IV secolo a.C. con la discesa dei Celti nella pianura padana. Fra i popoli di età preromana, meritano una particolare menzione gli Etruschi che, a partire dall'VIII secolo a.C., iniziarono a sviluppare una civiltà raffinata ed evoluta che influenzò notevolmente Roma e il mondo latino. Le origini di questo popolo non indoeuropeo, stabilitosi sul versante tirrenico dell'Italia centrale, sono incerte.

Secondo alcune fonti, la loro provenienza andrebbe ricercata in Asia Minore, secondo altre, avrebbero costituito una etnia autoctona. Certo è che, già attorno alla metà del VI secolo a.C., riuscirono a creare una forte ed evoluta federazione di città-stato che andava dalla Pianura Padana alla Campania e che comprendeva anche Roma ed il suo territorio. In Italia settentrionale, accanto ai Celti (comunemente chiamati Galli), vi erano i Liguri (originariamente non indoeuropei poi fusisi con i Celti) stanziati in Liguria e parte del Piemonte mentre nell'Italia nord-orientale vivevano i Veneti (paleoveneti) di probabile origine illirica o, secondo alcune fonti, provenienti dall'Asia Minore.

Nell'Italia più propriamente peninsulare accanto agli Etruschi, convivevano tutta una serie di popoli, in massima parte di origine indoeuropea, fra cui: Umbri in Umbria; Latini, Sabini, Falisci, Volsci ed Equi nel Lazio; Piceni nelle Marche ed in Abruzzo Settentrionale; Sanniti nell'Abruzzo Meridionale, Molise e Campania; Apuli, Messapi e Iapigi in Puglia; Lucani e Bruttii nell'estremo Sud; Siculi, Elimi e Sicani (non indoeuropei, probabilmente autoctoni) in Sicilia. La Sardegna era abitata, fin dal II millennio a.C., dai Sardi, risultato, forse, di un connubio tra le preesistenti popolazioni megalitiche presenti nell'Isola ed il misterioso popolo dei Shardana.

Alcune di queste popolazioni, stanziate nell'Italia meridionale e nelle isole, si troveranno a convivere, dall'VIII fino al III secolo a.C., con le colonie greche e fenicie (Puniche) successivamente assorbite dallo stato romano. Fra le popolazioni citate, oltre agli Etruschi, di cui si è già parlato, ebbero un ruolo importante in epoca preromana e romana i Sanniti, che riuscirono a costituire un'importante federazione in una vasta area dell'Italia appenninica e che contrastarono lungamente l'espansione romana verso l'Italia meridionale.

Nell'area laziale, invece, un posto a sé stante meritano i Latini protagonisti, insieme ai Sabini, della primitiva espansione dell'Urbe e forgiatori, insieme agli Etruschi ed ai popoli italici più progrediti (Umbri, Falisci, ecc.), della futura civiltà romana.

Storia antica

Fenici e Cartaginesi

Lo stesso argomento in dettaglio: Espansione cartaginese in Italia.

Primi stanziamenti Fenici nell'attuale territorio italiano sono datati attorno all'VIII secolo a.C. quando, dopo una iniziale fase di precolonizzazione del Mediterraneo occidentale e di fondazione di città come Utica e Cartagine, veri e propri colonizzatori si insediarono sulle coste della Sardegna e nell'area occidentale della Sicilia. Nascono Mozia (da cui più tardi Lilibeo), Palermo, Solunto in Sicilia e Sulci, Nora, Tharros, Bithia, Cagliari in Sardegna.[1]

Mentre in Sicilia l'installazione fenicia non incontrò grandi reazioni da parte degli autoctoni (a Monte Erice, per esempio, un tempio fu dedicato ad Astarte, dea-madre dell'area cananea, che veniva frequentato dai Fenici e dagli Elimi[2]), in Sardegna i Fenici, per la decisa resistenza che incontrarono, non riuscirono a controllare territori molto ampi lontano dalle loro città.

A metà del VI secolo, con la spedizione del semileggendario Malco iniziò il tentativo di conquista, vera e propria delle isole maggiori. Cartagine, a tre secoli dalla fondazione, aveva raggiunto i limiti di espansione lungo la costa settentrionale dell'Africa dove, a est aveva fermato la colonizzazione greca vincendo gli scontri con Cirene e verso ovest intratteneva ottimi rapporti con Numidi e Mauri. Le coste della Spagna erano ben controllate, Gli Etruschi non impensierivano i punici. Solo la Sicilia vedeva la costante migrazione e i continui insediamenti delle popolazioni della Grecia che lentamente ma sicuramente spinsero i Fenici nell'estrema punta occidentale dell'isola.

Dislocazione di alcuni insediamenti Cartaginesi e Greci nel 580 a.C.

Questa pressione demografica e -soprattutto- economica spinse Cartagine al tentativo di fermare i Greci o addirittura di conquistare l'intera Sicilia. Ciò avrebbe consentito il totale controllo dei due passaggi dal Mediterraneo Orientale a quello Occidentale. Una serie di interventi bellici nell'arco di due secoli (dal 550 a.C. al 275 a.C.) non portarono a grandi risultati. A fasi alterne le varie guerre greco-puniche allargarono la sfera di influenza cartaginese o greca in Sicilia senza che nessuno dei due popoli riuscisse a prevalere nettamente sull'altro. Tutto si concluse con lo scoppio della prima guerra punica che tolse ai Cartaginesi le aree siciliane e pose una pesante ipoteca su Siracusa, unico regno siceliota di qualche importanza.

Cartagine riuscì comunque a bloccare quasi completamente l'espansione greca nel Mediterraneo occidentale; dai greci furono inizialmente fondate solo Marsiglia, Alalia e Cuma; altre colonie sorsero più tardi. Per contro, in Sardegna, l'espansione cartaginese incontrò maggiori difficoltà per la resistenza offerta da parte delle fiere popolazione autoctone. Ciononostante, già intorno al 450 a.C., i Cartaginesi erano riusciti ad organizzare nell'isola un sistema abbastanza stabile di frontiere interne, sempre all'interno della loro politica imperialista nel contesto mediterraneo.

Lo sforzo bellico in Sardegna riuscì a rendere l'isola un vero e proprio possedimento, come il territorio della costa libica, dove l'imperio Cartaginese poté dirigere la produzione mineraria e agricola in relazione alle necessità puniche e non solo autoctone.

Nel corso del tempo i Cartaginesi giunsero quindi a chiudere le coste dell'isola in un vero e proprio cerchio di fortezze e colonie[3]. L'agricoltura sarda, era dedicata principalmente alla produzione di grano tanto che già nel 480 a.C. Amilcare, impegnato nella battaglia di Imera, fece venire dalla Sardegna in Sicilia i rifornimenti di grano per le sue truppe.Dallo pseudo-aristotelico De mirabilibus auscultationibus sappiamo che Cartagine proibiva la coltivazione di piante da frutto per spingere la monocultura del grano.[4]. L'artigianato sardo era fortemente condizionato dagli stili artistici e dalle commesse che i cartaginesi portavano nell'isola.

Cartagine entrò anche nella storia d'Italia peninsulare riuscendo ad allearsi con gli Etruschi per combattere i greci di Alalia, in Corsica, che si erano dati alla pirateria. Le Lamine di Pyrgi ci mostrano quanto fosse sentito l'influsso cartaginese sulle coste toscane e laziali. È del 509 a.C., infine, l'inizio di relazioni diplomatiche importanti fra Cartagine e Roma. La neonata Repubblica romana e i cartaginesi siglarono il primo dei Trattati Roma-Cartagine, il primo riconoscimento che Cartagine offrì a Roma e che segnò l'inizio di stabili relazioni fra le due città. Altri trattati vennero, nel tempo, conclusi; la loro formulazione segue, nell'ampliarsi e restringersi delle concessioni dei Cartaginesi ai Romani, l'alternarsi dell'evoluzione territoriale e di potenza dell'Urbe.

Lo stesso argomento in dettaglio: Trattati Roma-Cartagine.

Magna Grecia

Lo stesso argomento in dettaglio: Magna Grecia.
Tetradracma di Siracusa
Testa di Aretusa Auriga alla guida di una quadriga
Argento ca. 415-405 a.C.

Tra l'VIII ed il VII secolo a.C., coloni provenienti dalla Grecia cominciarono a stabilirsi sulle coste del sud Italia e della Sicilia. Le prime componenti stabilitesi in Italia furono quelle ioniche e quelle peloponnesiache: gli Eubei e i Rodii fondarono Cuma, Reggio Calabria, Napoli, Naxos e Messina, i Corinzi Siracusa (i quali a loro volta fonderanno la città di Ankon, l'odierna Ancona), i Megaresi Leontinoi, gli Spartani Taranto, mentre i coloni provenienti dall'Acaia fondarono Sibari e Crotone. Oltre a quelle sopra menzionate, altre importanti furono Metaponto, fondata anch'essa da coloni Achei, Heraclea e Locri Epizefiri.

L'importanza della colonizzazione greca per i popoli italici è dovuta al fatto che essi vennero così a contatto con forme di governo democratiche caratterizzate da forti responsabilizzazioni del cittadino, e con espressioni artistiche e culturali elevate; basti pensare ai filosofi e uomini di scienza dell'epoca, fra cui Pitagora ed Archimede, nati in Italia, ma di cultura greca.

I contrasti fra le colonie greche e gli indigeni furono frequenti, tuttavia i Greci cercarono di instaurare rapporti pacifici con le popolazioni locali, favorendo, in molti casi, un lento assorbimento delle stesse. La ricchezza e lo splendore delle colonie furono tali da far identificare l'Italia meridionale peninsulare dagli storici romani con l'appellativo di Magna Grecia. Nel III secolo a.C. tutte le colonie italiote della Magna Grecia e quelle siciliane furono assorbite nello Stato romano. Per molte di esse iniziò un fatale declino.

Roma (753 a.C. - 476 d.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia romana.
La scultura rappresenta la Lupa capitolina che allatta i gemelli Romolo e Remo, che furono aggiunti, probabilmente da Antonio del Pollaiolo, nel tardo XV secolo.

Secondo la tradizione, la città di Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C. da Romolo sul colle palatino. In realtà, già in precedenza erano sorti villaggi in quella posizione, fondamentale per la via di commercio del sale, ma solo alla metà dell'VIII secolo questi si unirono in una sola città. La zona era dotata, inoltre, di un buon potenziale agricolo, e la presenza dell'isola Tiberina rendeva facile l'attraversamento del vicino fiume Tevere.

Età regia (753 - 509 a.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Età regia di Roma.

Romolo instaurò nella città il regime monarchico: fino al 509 a.C., Roma fu retta, secondo la tradizione, da sette re,[5] che apportarono notevoli contributi allo sviluppo della società.

Ognuno dei primi quattro, infatti, operò in un diverso ambito dell'"amministrazione statale": il fondatore eponimo Romolo diede il via alla prima guerra di espansione contro i Sabini, originatasi dall'episodio del ratto delle Sabine, e associò al trono il re nemico Tito Tazio, allargando per primo le basi del neonato stato romano. Stabilì poi la suddivisione della popolazione in tre tribù e pose le basi per la ripartizione tra patrizi e plebei.

Il suo successore Numa Pompilio istituì i primi collegi sacerdotali, come quello delle Vestali, e riformò il calendario. In seguito, Tullo Ostilio riprese le ostilità contro i popoli vicini e sconfisse la città di Alba Longa, mentre il successore Anco Marzio operò nel campo dell'urbanistica: costruì il primo ponte di legno sul Tevere, fortificò il Gianicolo e fondò il porto di Ostia.

Ai primi quattro re, di origine latina, fecero seguito altri tre di origine etrusca: verso la fine del VII secolo, infatti, gli Etruschi, all'apogeo della loro potenza, estesero la loro influenza anche su Roma, che stava divenendo sempre più grande e la cui importanza a livello economico iniziava a farsi considerevole.

Era dunque fondamentale per gli etruschi assicurarsi il controllo su una zona che assicurava il passaggio delle rotte commerciali; comunque non si ebbe mai un reale controllo militare etrusco su Roma. Il primo re etrusco, Tarquinio Prisco, combatté contro i popoli confinanti, ordinò la realizzazione di numerose opere pubbliche, tra cui il Circo Massimo, la Cloaca Massima e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio e apportò, infine, anche alcuni cambiamenti in campo culturale.

Il suo successore, Servio Tullio, fu, secondo la leggenda, colui che ideò l'ordinamento centuriato, sostituendolo alla precedente ripartizione della popolazione; combatté anch'egli contro alcune delle principali città etrusche e latine limitrofe a Roma. Ultimo monarca a governare Roma fu Tarquinio il Superbo che fu allontanato dall'Urbe nel 510 a.C., secondo la leggenda con l'accusa di aver commesso violenze nei confronti della giovane Lucrezia; il patriziato romano, comunque, non era più disposto a sottostare al potere centralizzato del re, ma desiderava acquisire un'influenza, in campo politico, pari a quella che già rivestiva negli altri ambiti della vita civile.

Età repubblicana (509-58 a.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Romana.
La conquista dell'Italia

Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo ed il fallimento (determinato, secondo la leggenda, dalle eroiche azioni di Muzio Scevola, Orazio Coclite e Clelia) del suo tentativo di riprendere il potere con l'aiuto degli Etruschi condotti dal lucumone di Chiusi, Porsenna, fu instaurata, ad opera di Lucio Giunio Bruto, organizzatore della rivolta antimonarchica, la forma di governo della Repubblica. Essa prevedeva la spartizione tra più cariche dei poteri che prima erano appartenuti ad un uomo solo, il re: il potere legislativo fu assegnato alle assemblee dei comizi centuriati e del senato, e furono create numerose magistrature, consolato, censura, pretura, questura, edilità, che gestissero i vari ambiti dell'amministrazione. Tutte le cariche, alcune delle quali erano cum imperio, erano collegiali, in modo tale che si evitasse l'affermazione di singoli uomini che potessero accentrare il potere nelle loro mani.

Roma si trovò subito a lottare contro le popolazioni latine delle zone limitrofe, sconfiggendole nel 499 a.C.[6] nella battaglia del lago Regillo, e federandole a sé nella Lega Latina mediante la firma del foedus Cassianum, nel 493 a.C.[7] Combatté poi contro gli Equi e i Volsci, e, una volta sconfitti, si scontrò con la città etrusca di Veio, che fu espugnata da Marco Furio Camillo nel 396 a.C.

I primi anni di vita della Repubblica Romana furono notevolmente travagliati anche nell'ambito della politica interna, in quanto le gravi disuguaglianze sociali che avevano portato alla caduta del regno non erano state cancellate. I plebei iniziarono così una serie di proteste contro la classe dominante dei patrizi: nel 494 a.C., infine, si ritirarono in secessione sul colle Aventino. La situazione si risolse con l'istituzione della magistratura del tribunato della plebe e con il riconoscimento del valore legale delle assemblee popolari. Importanti acquisizioni furono anche la redazione, nel 450 a.C. da parte dei decemviri, delle leggi delle Dodici Tavole, che garantivano una maggiore equità in ambito giudiziario, l'approvazione della lex Canuleia, nel 445 a.C.

Nel 386 a.C., l'esercito romano fu sconfitto dai Galli guidati da Brenno, che penetrarono nell'Urbe e la sottoposero ad un rovinoso saccheggio.[8][9] Vent'anni dopo, nel 367 a.C., furono promulgate le leges Liciniae Sextiae, che costituivano un'ulteriore acquisizione di diritti da parte della plebe.

Ormai potenza egemone nell'Italia centrale, Roma cominciò a meditare un'espansione verso Sud; per premunirsi, inoltre, da eventuali defezioni degli alleati latini, stipulò nel 354 a.C. un'alleanza con i Sanniti, contro i quali, tuttavia, combatté pochi anni più tardi, in difesa della città di Capua. Il conflitto, apertosi nel 343 a.C., terminò nel 341 a.C. senza alcun sostanziale mutamento dello status quo. Tra il 340 e il 338 a.C., inoltre, Roma fu costretta a combattere una nuova e sanguinosa guerra contro i Latini, e ottenne la vittoria solo con grandissimi sforzi. Nel 327 a.C., poi, si riaprì il conflitto con i Sanniti: i Romani, dopo le sconfitte delle Forche Caudine e di Lautulae, riuscirono a volgere la situazione in loro favore, riportando una complessiva vittoria nel 304 a.C. Contro i Sanniti Roma combatté, infine, una terza guerra tra il 298 e il 290 a.C., al termine della quale ogni resistenza poteva dirsi annientata.

Consolidata la propria egemonia sull'Italia centro-meridionale, Roma arrivò a scontrarsi con le città della Magna Grecia e con la potente Taranto: con il pretesto di soccorrere la città di Turi, minacciata, Roma violò intenzionalemente un patto stipulato con Taranto nel 303 a.C., scatenando la guerra. Taranto invocò allora l'aiuto del re d'Epiro Pirro, che giunse in Italia nel 280 a.C. portando con sé un esercito composto anche da numerosi elefanti. L'epirota riuscì a sconfiggere i Romani a Heraclea e ad Ascoli, seppure a costo di gravissime perdite; decise dunque di consolidare il suo potere sul Sud dell'Italia, ma ottenne una sostanziale sconfitta in Sicilia, dove le colonie greche, preoccupate per le tendenze dispotiche di Pirro, si allearono con Cartagine e riuscirono a respingere l'invasore. L'epirota marciò dunque contro i Romani che, riorganizzatisi, erano tornati a minacciare Taranto, ma fu duramente sconfitto a Maleventum nel 275 a.C. e costretto a tornare oltre l'Adriatico. Taranto, dunque, fu nuovamente assediata e costretta alla resa nel 272 a.C.: Roma era così potenza egemone nell'Italia peninsulare, a sud dell'Appennino Ligure e Tosco-Emiliano.

Le Guerre Puniche e i conflitti in Oriente
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre Puniche, Guerre macedoniche e Guerra siriaca.

La conquista dell'Italia portò, inevitabilmente, allo scontro con l'altra grande potenza del Mediterraneo Occidentale: Cartagine. Le guerre che si scatenarono furono di inaudita ferocia e di notevole durata, ma videro infine il trionfo totale di Roma.

File:HannibalTheCarthaginian.jpg
Annibale Barca

Nel 264 a.C. Roma inviò un piccolo contingente in soccorso di Messina, con l'intento di assicurarsi il controllo dello stretto, fondamentale per il transito delle navi: i Cartaginesi, dunque, che ambivano anch'essi al controllo dell'isola, decisero di reagire con la guerra. Dopo una prima fase di scontri terrestri, in cui riuscì ad ottenere alcune vittorie, Roma decise di sfidare i Cartaginesi sul mare, e, approntata una flotta di navi dotate di corvi, sconfisse i nemici nella battaglia di Milazzo.

Nel tentativo di infliggere una decisiva sconfitta a Cartagine, Roma affidò al console Marco Atilio Regolo l'incarico di portare la guerra in suolo africano: sconfitta nuovamente la flotta nemica a Capo Ecnomo, il generale riuscì a sbarcare in Africa ma, dopo alcune vittorie iniziali, fu pesantemente sconfitto e costretto alla resa. Nel 241 a.C., dunque, Roma, approntata una nuova flotta guidata da Gaio Lutazio Catulo, sconfisse nuovamente i Cartaginesi preso le Isole Egadi: sottratto ai nemici il predominio sul mare i Romani poterono concludere anche le operazioni terrestri, espandendo il loro controllo su tutta la Sicilia, e costringendo Cartagine alla resa.[10]

Allontanato provvisoriamente il pericolo cartaginese, Roma si preoccupò di consolidare il proprio dominio riducendo la Sicilia in condizione di provincia e di estenderlo annettendo la Sardegna e la Corsica; sconfisse inoltre i pirati illirici che, tacitamente supportati dalla regina Teuta, infestavano le coste adriatiche e respinse un nuovo assalto dei Galli a Nord. Preoccupato dalla nuova espansione cartaginese nella penisola iberica, intanto, il Senato stipulò un nuovo patto con la potenza africana; quando tuttavia nel 218 a.C. il generale punico Annibale Barca attaccò la città di Sagunto, alleata di Roma, si decise di dichiarare nuovamente guerra a Cartagine. Annibale, allora, portando con sé un solido esercito e alcuni elefanti, valicò le Alpi e attaccò Roma da Nord, sconfiggendo le legioni presso il Ticino, la Trebbia e il Trasimeno. Dopo una fase di stallo, durante la quale Roma poté riorganizzarsi, dovuta alla politica attuata dal dictator Quinto Fabio Massimo, soprannominato Cunctator (temporeggiatore), le legioni romane al comando dei consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone marciarono nel 216 a.C. contro Annibale a Canne, ma furono duramente sconfitte.

Mentre numerose città si alleavano con i Cartaginesi e anche la Macedonia di Filippo V scendeva in guerra contro Roma, Annibale si attardò nel Sud Italia, mentre i Romani, seppure provati, poterono lentamente ricostituire le proprie forze: il console Publio Cornelio Scipione riuscì a sconfiggere ripetutamente i Cartaginesi in Spagna. In Italia i consoli Marco Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone sconfissero e uccisero il fratello di Annibale, Asdrubale, presso il Metauro, mentre si apprestava a portare rinforzi alle forze puniche in Italia. Contemporaneamente Roma otteneva numerose vittorie anche sul suolo italico, riconquistando le città che avevano defezionato per allearsi con Annibale. Stremato da un decennio di guerra e vistosi negare i rinforzi dalla madrepatria, lo stesso Annibale fu costretto a fare ritorno in Africa nel 203 a.C., dopo che Scipione, conquistata la Penisola Iberica e ristabilita la situazione in Italia era sbarcato nel territorio nemico per tentare di ottenere una vittoria definitiva. I due generali si scontrarono nel 202 a.C. a Zama, e l'esercito romano ottenne una sofferta ma decisiva vittoria. Cartagine, dunque, minacciata da vicino dalle forze nemiche, fu costretta a capitolare e ad accettare le condizioni di pace imposte da Roma.

Ormai potenza egemone del Mediterraneo occidentale, Roma poté presto dimostrare le sue mire espansionistiche a danno degli stati ellenistici dell'Oriente: nel 200 a.C., gli abitanti di Rodi e Pergamo inviarono a Roma, sentendosi minacciati dalla Macedonia di Filippo V, una richiesta di aiuto, e l'Urbe, inviato a sua volta un ultimatum a Filippo, decise di intervenire. Nel 197 a.C. il console Tito Quinzio Flaminino inflisse alle truppe macedoni una sconfitta definitiva presso Cinocefale, ed un anno più tardi proclamò ufficialmente la liberazione della Grecia dall'egemonia macedone.

I Greci, tuttavia, consci di dover respingere i Romani per non essere annessi al loro stato, preferirono allearsi con il sovrano seleucide Antioco III: Roma, dunque, nel 191 a.C., dichiarò guerra ad Antioco, e, dopo averlo sconfitto presso le Termopili nel 191 a.C. e presso Magnesia nel 188 a.C., lo costrinse a firmare una pace con cui cedeva a Roma alcune terre in Asia Minore.

Nel 171 a.C., il figlio di Filippo di Macedonia, Perseo, si sollevò nuovamente in armi contro i Romani, dando inizio alla terza guerra macedonica. Dopo alterne vicende, nel 168 a.C. l'esercito romano guidato da Lucio Emilio Paolo[11] sconfisse duramente la truppe di Perseo a Pidna, e Roma poté dividere il territorio macedone tra quattro repubbliche subalterne e tributarie.

Cartagine, intanto, fortemente provata dalle conseguenze della seconda guerra punica, era sottoposta ai continui attacchi del re numida Massinissa, alleato dei Romani, che approfittava della situazione per estendere sempre di più i propri possedimenti ai danni della stessa Cartagine. A Roma, dunque, giunsero ambasciatori dalla città africana, ma l'Urbe rifiutò di intervenire per mantenere la pace; nel 50 a.C. Cartagine fu dunque costretta a violare gli accordi di pace e a reagire con la forza a Massinissa. Il senato, quindi, sobillato da Catone il Censore, decise di attaccare Cartagine, e nel 147 a.C. si risolse ad inviare in Africa il console Publio Cornelio Scipione Emiliano: questi, dopo un lungo assedio, nel 146 a.C. espugnò e rase al suolo la città.

Contemporaneamente, nel 150 a.C. un tale Andrisco, sostenendo di essere figlio di Perseo, guidò una nuova rivolta di Greci e Macedoni contro Roma: dopo alcuni iniziali successi, tuttavia, le forze ribelli furono duramente sconfitte. Nel 146 a.C., infine, i Romani rasero al suolo Corinto. Con la sconfitta dei nemici contro cui combatteva da anni su entrambi i fronti, Roma era diventata padrona del Mediterraneo.

Le nuove conquiste, tuttavia, portarono anche notevoli cambiamenti nella società romana: i contatti con la cultura ellenistica, temuta e osteggiata dallo stesso Catone, modificarono profondamente gli usi che fino ad allora si rifacevano al mos maiorum, trasformando radicalmente la società dell'Urbe.

I Gracchi

Gli immensi territori che la Repubblica Romana aveva conquistato ebbero una serie di nefaste conseguenze per essa stessa e per l'Italia: in primis, l'enorme numero di schiavi che vi affluì, fece sì che questi soppiantassero del tutto i lavoratori, grazie al loro basso costo, dando via al fenomeno che vedeva i coltivatori diretti sempre più assorbiti dai latifondisti, con conseguenze devastanti sul piano economico e produttivo.

A tentare una riforma che ponesse un rimedio alla crisi fu, per primo, Tiberio Sempronio Gracco, che emanò una legge che limitava l'occupazione delle terre dello stato a 125 ettari e riassegnava le terre eccedenti ai contadini in rovina: una famiglia nobile poteva avere 500 iugeri di terreno, più 250 per ogni figlio, ma non più di 1000; i terreni confiscati furono distribuiti in modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 30 iugeri (7,5 ettari).

Colpendo in questo modo gli interessi delle classi aristocratiche, finì assassinato ma il Senato Romano non revocò le sue leggi, che comunque diedero qualche iniziale risultato. La riforma fu poi continuata dal fratello, Gaio Sempronio Gracco, che finì suicida braccato dagli stessi sicari del fratello.

Mario
Lo stesso argomento in dettaglio: Gaio Mario e Guerre contro Giugurta.

Dopo la morte dei due fratelli Gracchi, il malcontento del popolo nei confronti dell'aristocrazia si fece più forte. Ad alimentarlo contribuirono tanto la corruzione della classe senatoria quanto le elezioni consolari del 109 a.C., alle quali Gaio Mario, un popolare, si presentò con forti possibilità di vincere. Quinto Cecilio Metello Numidico, console precedente, si oppose a questa candidatura, sebbene Gaio Mario fosse un suo luogotenente nelle Guerre contro Giugurta solo perché questi non era di origine aristocratica. L'Assemblea si schierò dunque compatta con il candidato popolare, che così vinse facilmente.

Mario, una volta eletto, reclamò il posto di Quinto Cecilio Metello Numidico nella guerra giugurtina, e la guerra si concluse in pochi mesi, con il trionfo di Gaio Mario. Per sei anni, l'Assemblea gli confermò il mandato da console, durante i quali Mario si trovò a fronteggiare diverse minacce, in primis quella dei Cimbri e dei Teutoni, massacrati nella Aquae Sextiae ed in quella dei Campi Raudii, vicino Vercelli. Gaio Mario varò quindi una riforma dell'esercito, che da "esercito nazionale" divenne "esercito mercenario", poiché non fu più composto dai cittadini, ma da nullatenenti e disperati, che venivano regolarmente pagati e a cui venivano assegnate terre dopo ogni vittoria.

Ma nella politica, Gaio Mario ebbe meno fortuna: alleatosi con Lucio Appuleio Saturnino, tribuno della plebe, e con Gaio Servilio Glaucia, pretore, scoprì ben presto che la politica romana era troppo marcia: i due alleati, infatti, proposero ed ottennero di abbassare ancora il calmiere del grano, che mise in pericolo il bilancio dello Stato. Gaio Mario, così, fu costretto a liquidare i suoi amici, schierandosi con i conservatori. Il bagno di sangue che seguì lo rese impopolare ad entrambi gli schieramenti, e così si ritirò dalla vita politica, partendo per l'Oriente.

La guerra sociale
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra sociale.

Nel 91 a.C. fu eletto tribuno della plebe Marco Livio Druso, che propose tre riforme per salvare lo stato dalla crisi: distribuire nuove terre fra i poveri; ridare il monopolio nelle giurie al Senato Romano, dopo avervi aggiunto altri 300 membri; conferire la cittadinanza romana a tutti gli abitanti della provincia d'Italia. L'Assemblea approvò i primi due punti, ma non il terzo, che costò a Marco Livio Druso la vita: fu assassinato mentre spiegava i motivi della sua proposta.

Scoppiò così la guerra sociale: dopo secoli di unione a Roma, la provincia d'Italia non ci stava ad essere trattata ancora come una semplice provincia conquistata. La mancanza di rappresentanti in Senato e le due leggi, del 126 a.C. e del 95 a.C., che rispettivamente impediva agli italiani di provincia di emigrare a Roma e scacciava quelli che vi erano già, fecero il resto. Salvo in Etruria ed Umbria, la ribellione fu totale, ed ai cittadini si unirono anche gli schiavi, che fondarono una repubblica federale con capitale a Corfinium.

Roma chiamò Gaio Mario per fronteggiare l'ennesima guerra: questi reclutò un suo esercito e massacrò i ribelli, causando 300.000 morti. La pace che seguì fu quella di un cimitero: il Senato Romano propose la pace offrendo la cittadinanza romana ai ribelli ed agli abitanti di Etruria ed Umbria, come premio di fedeltà. I ribelli accettarono e la guerra sociale si concluse.

Silla
Lucio Cornelio Silla
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile tra Mario e Silla.

Lucio Cornelio Silla fu eletto console nell'88 a.C., poco dopo la fine della guerra sociale. Già noto al popolo ai tempi delle guerre contro Giugurta, e di quelle contro i Teutoni ed i Cimbri, durante le quali era stato luogotenente di Gaio Mario, aveva iniziato il proprio cursus honorum nel 99 a.C..

Nominato console, mentre stava per partire alla volta delle Guerre mitridatiche in Asia Minore, gli giunse la notizia che Gaio Mario stava per sostituirlo alla guida dell'esercito. Così corse a Nola, radunò l'esercito e lo portò a Roma, dove sconfisse Gaio Mario, che scappò nella provincia d'Africa.

Silla si nominò proconsole (che gli dava il controllo dell'esercito), fece eleggere due nuovi consoli (Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna), e finalmente partì per la provincia d'Asia.

La guerra civile

Appena partito Lucio Cornelio Silla, i due consoli erano già alle armi: i conservatori (optimates) capeggiati da Gneo Ottavio ed i democratici (populares) da Lucio Cornelio Cinna. Era la guerra civile.

Gneo Ottavio battè Lucio Cornelio Cinna, che fuggì nella provincia d'Africa, dove Gaio Mario si era ritirato. Questi allestì un nuovo esercito e mosse guerra a Gneo Ottavio, rimasto a Roma. Fu un massacro:

«Gneo Ottavio aspettò la morte con calma, seduto sul suo scranno di console. Le teste dei senatori, issati sulle picche, furono portate a spasso per le strade. Un tribunale rivoluzionario condannò migliaia di patrizi alla pena capitale. [...] Avvoltoi e cani mangiavano per le strade i cadaveri, cui si era rifiutata la sepoltura.»

La situazione non migliorò con la morte di Gaio Mario, che fu sostituito da Lucio Valerio Flacco. Assieme a Lucio Cornelio Cinna continuarono a spargere il terrore, finché Lucio Valerio Flacco non fu mandato in Oriente a deporre Lucio Cornelio Silla. Ma quando i due s'incontrarono, Silla riuscì a convincere Lucio Valerio Flacco a schierarsi con lui. Nell'83 a.C. arrivarono a Brindisium, e, contemporaneamente, a Roma, Lucio Cornelio Cinna fu ucciso dalla popolazione in rivolta.

Gaio Mario il Giovane, figlio di Gaio Mario, radunò un esercito tra i conservatori e si preparò allo scontro frontale: nella Battaglia di Porta Collina, oltre 50.000 uomini nelle schiera di Gaio Mario il Giovane furono uccisi ed altri furono imprigionati. La guerra civile era finita. Era il 27 gennaio dell'81 a.C..

La dittatura di Silla

Lucio Cornelio Silla divenne così dictator, e lo restò per 2 anni, durante i quali lasciò il segno in diversi modi:

  • inventò il culto della personalità, facendo coniare monete con la sua effigie ed introducendo nel calendario la festa della sua vittoria:
  • trattò Roma da semplice città conquistata, facendola presidiare da un esercito;
  • represse ogni forma di dissenso, uccidendo 40 senatori e 2600 cavalieri che avevano simpatie per Gaio Mario. Tra i proscritti c'era anche un giovane di nome Gaio Giulio Cesare, nipote di Gaio Mario, che si salvò grazie all'aiuto di amici in comune con una semplice condanna al confino;
  • estese la cittadinanza romana a tutti gli italiani, ed a molti Galli ed Iberi;
  • distribuì terre ai veterani del suo esercito;
  • abolì le distribuzioni gratuite di grano;
  • ristabilì la regola dei dieci anni di intervallo per chi concorreva al consolato per la seconda volta.
  • congedò l'esercito ed emanò una legge che vietasse a qualunque esercito di sostare in Italia.

Compiute queste riforme, decise, tra lo sbigottimento generale, di lasciare ogni carica e di ritirarsi a vita privata nella sua villa di Cuma. Quello stesso giorno, tornato ad essere un semplice cittadino, un passante lo inseguì ingiuriandolo e facendogli sberleffi. Lucio Cornelio Silla neppure si voltò, ma si limitò a dire ai pochi amici che lo accompagnavano:

«Che imbecille! Dopo questo gesto, non ci sarà più un dittatore al mondo disposto ad abbandonare il potere!»

La rivolta di Spartaco
Lo stesso argomento in dettaglio: Terza guerra servile.

Pochi anni dopo la morte di Silla, la situazione politica romana precipitò di nuovo nel caos: prima la ribellione della Spagna, che fu domata da Pompeo, poi la ben più grave rivolta degli schiavi, capeggiata da Spartaco.

Nel 73 a.C., infatti, un gruppo di quasi cento schiavi della scuola di Lentulo Batiato di Capua, si ribellarono e fuggirono. Nominato loro capo Spartaco, un gladiatore tracio, chiamarono nelle loro fila qualunque schiavo desideroso di libertà, ed in poco tempo il loro esercito arrivò a contarne settantamila.

Le prime battaglie sorrisero agli insorti, che batterono gli eserciti romani e mossero verso le Alpi. Persero una battaglia, ne vinsero un'altra, e si trovarono d'improvviso alle porte di Roma. Il Senato Romano mandò allora contrò i ribelli un esercito guidato da Crasso e composto dal fiore dell'aristocrazia romana, mentre dalla Spagna stava ritornando Pompeo: Spartaco preferì così affrontare apertamente l'esercito romano, e fu sconfitto in via definitiva, morendo in battaglia. I ribelli catturati vivi furono crocifissi lungo la Via Appia.

La Congiura di Catilina
Lo stesso argomento in dettaglio: Congiura di Catilina.

Di lì a poco, parve che la democrazia fosse tornata dopo la restaurazione di Silla. Ma poco dopo la partenza di Pompeo, emerse la possibile minaccia di Lucio Sergio Catilina. Questi era un aristocratico che si era schierato apertamente coi popolari, con un programma radicale, che prevedeva tra le altre cose, l'annullamento dei debiti per tutti i cittadini.

Catilina si presentò alle elezioni, ma perse. Radunò così a Fiesole un migliaio di seguaci, con i quali si presentò l'anno dopo nuovamente alle elezioni. Ma ancora una volta fu battuto da Cicerone, che lo accusò di aver organizzato un complotto per ucciderlo.

Il 7 novembre del 63 a.C. davanti al Senato Romano, Cicerone pronunciò il suo famoso discorso (le Catilinarie) che durò per tre giorni. Il 3 dicembre fu emesso un mandato d'arresto per Lentulo, Cetego ed altri presunti cospiratori, che il 5 dicembre furono giustiziati. L'unica voce del Senato che difendeva i sentenziati era quella di un giovane di nome Gaio Giulio Cesare. Alla fine della requisitoria, alcuni senatori tentarono di ucciderlo, ma Cesare riuscì a fuggire. Cicerone fece così eseguire la sentenza, mentre Caio Antonio, l'altro console, partì con un esercito contro Catilina.

Nella battaglia di Pistoia, che si combattè nel gennaio del 62 a.C., i sostenitori di Catilina si batterono con coraggio, ma furono sterminati. Lo stesso Catilina perse la vita.

Cesare (58 a.C.- 44 a.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Gaio Giulio Cesare.

Gaio Giulio Cesare, nipote di Mario, aveva già fatto carriera negli anni tumultuosi seguiti alla dittatura di Silla, ed era scampato ad un paio di agguati, come quello avvenuto mentre difendeva Catilina.

Quando Pompeo si trovò in contrasto con il Senato romano, Cesare ebbe la prontezza di proporgli il primo triumvirato: Pompeo avrebbe finanziato l'impresa, Crasso avrebbe prestato la sua influenza sulle classi ricche dell'alta borghesia, ed infine Cesare avrebbe fatto da garante per il popolo. L'aristocrazia fu tagliata così fuori dal potere.

Il primo Triumvirato
Lo stesso argomento in dettaglio: Primo triumvirato.

Cesare vince così facilmente le elezioni a console romano, mentre per l'aristocrazia salì Marco Calpurnio Bibulo. Cesare mantenne i suoi impegni: distribuì terre ai soldati di Pompeo (che era stato uno dei motivi di contrasto col Senato romano), e ne ratificò gli impegni in Oriente. Poi varò tutte le leggi proposte dai Gracchi, che ci avevano rimesso la vita. Inventò il primo quotidiano, chiamato Acta Diurna, in cui tutte le decisioni del Senato venivano spiegate, motivate e commentate. Essendo gratuito, ed affisso sui muri della città, il Senato romano si ritrovò così a dover dare conto all'intera popolazione delle sue scelte.

Dopo una serie di matrimoni combinati con gentes influenti della politica romana, Cesare, poco prima della scadenza del mandato, si fece nominare proconsole della Gallia Cisalpina e Narbonense: questo incarico gli conferì così il comando delle truppe a nord dell'Italia (la legge vietava che ce ne fossero a sud del Rubicone), rendendolo il padrone del paese.

Con le sue truppe a guardia dell'Italia, l'elezione a consoli di Aulo Gabinio e Lucio Calpurnio Pisone Cesonino (che gli dovevano l'appoggio) e di Publio Clodio Pulcro a tribuno della plebe (che gli doveva un'assoluzione), l'appoggio di Pompeo, i denari di Crasso, ed il Senato sotto controllo, Gaio Giulio Cesare si dedicò così alla conquista della Gallia.

La conquista della Gallia
Lo stesso argomento in dettaglio: Conquista della Gallia.

Cesare intervenne in Gallia chiamato a difenderla dalle stesse tribù alla vigilia di un'invasione di Elvezi e di Germani. Cercata e non trovata una soluzione diplomatica con Ariovisto, capo dei Germani, Cesare li affrontò in due battaglie campali: prima furono sbaragliati gli Elvezi, che tornarono in Rezia ed accettarono il vassallaggio a Roma; poi toccò ai Germani, che furono annientati ad Ostheim.

Cesare chiese così alla Gallia di accettare la sua protezione da future invasioni, ma le tribù rifiutarono, chiamando in aiuto i Belgi: questi furono a loro volta sterminati, e Cesare proclamò, prematuramente, la Gallia conquistata. Seguì una nuova invasione di Germani, ancora una volta annientati, ed una piccola spedizione di Cesare in Britannia, da cui però dovette ritornare per la rivolta delle tribù galliche, che per la prima volta si erano riunite sotto il comando di un solo uomo: Vercingetorige.

Dopo una serie di battaglie minori, Cesare si ritrovò circondato e ricorse alla mossa più audace: assediare Alesia, la città dove Vercingetorige aveva radunato l'esercito. Dopo sette giorni di assedio, senza ricevere rifornimenti (i 240.000 galli che erano arrivati furono respinti dalle legioni), Vercingetorige chiese la resa.

Dal Rubicone a Farsalo

Mentre Cesare conquistava la Gallia, Roma agonizzava: Crasso era stato ucciso a Carre, durante la guerra coi Parti che egli stesso aveva mosso; Pompeo non si mosse ed anzi sembrò voler approfittare dell'occasione che gli fornirono l'assassinio di Publio Clodio Pulcro, tribuno della plebe in carica per conquistare il potere.

Questi, infatti, era stato ucciso, e Pompeo fece presidiare dal suo esercito la città. Catturato e giustiziato l'assassino, l'esercito rimase a presidio dei punti strategici di Roma, condizione che lo rendeva unico padrone dell'Urbe. Subito dopo, Pompeo fece ripristinare la condizione di essere presenti in città per potersi candidare a console, che di fatto escludeva Cesare, il cui mandato scadeva il 1 marzo di quell'anno, il 49 a.C., dalle elezioni, che si trovava ancora in Gallia.

Cesare si trovò a scegliere tra due soluzioni: o sciogliere l'esercito e consegnarsi alla Repubblica, che lo voleva evidentemente morto, oppure marciare in armi fino a Roma per scacciare Pompeo ma ritrovandosi ad essere un pericoloso criminale (perché la legge non permetteva agli eserciti di bivaccare in territorio italiano).

Il 10 gennaio del 49 a.C. fu presa la decisione di varcare il Rubicone (che segnava il confine tra la Gallia Cisalpina e l'Italia), e quindi di marciare in armi verso Roma. La sua marcia fu incruenta: i volontari affluivano nel suo esercito da ogni città, ed il 16 marzo arrivò nella capitale, lasciando l'esercito fuori le sue mura.

Pompeo era intanto fuggito nell'Epiro, dove stava allestendo un esercito, mentre i suoi alleati occupavano le province di Spagna e d'Africa. Cesare attaccò prima gli alleati in Spagna, che furono abilmente battuti, poi puntò sull'Epiro, dove lo attendeva Pompeo, che fu annientato nella battaglia di Farsalo e fuggì in Egitto, per tentare un'ultima disperata resistenza.

Cleopatra e la fine del primo triumvirato

Tolomeo XIII, il re d'Egitto vassallo di Roma, per ingraziarsi Cesare, uccise a tradimento Pompeo, che cercava rifugio in quelal provincia. Cesare si recò subito in Egitto per recuperare il corpo di Pompeo, ma qui rimase coinvolto in un intrigo amoroso con la moglie e sorella di Tolomeo XIII, la regina Cleopatra VII. I malumori degli egizi e di parte dei soldati romani sfociarono in una rivolta, che Cesare riuscì a domare. Restò poi nove mesi in Egitto, dopo i quali Cleopatra VII diede alla luce un figlio: Cesarione.

Cesare quindi decise di ripartire per l'Italia: prima si recò in Asia Minore per combattere una ribellione di Farnace II, figlio di Mitridate VI, che fu annientata nella battaglia di Zela, poi sbarcò a Taranto con Cleopatra, il neonato Cesarione ed i suoi fedeli soldati.

Dall'Italia partì per Thapsus, nella provincia d'Africa, per combattere gli ultimi irriducibili seguaci di Pompeo. Sbarcò nell'aprile del 46 a.C. e vi trovò ad aspettarlo 80.000 uomini, comandati da Quinto Metello Scipione, Marco Porcio Catone Uticense, Tito Labieno e Giuba I, re di Numidia. Il 6 febbraio del 46 a.C. si ebbe così la battaglia di Tapso, che fu tremenda, e dove trovarono la morte quasi tutto l'esercito repubblicano ed i suoi comandanti. Solo Tito Labieno riuscì a scappare in Spagna, dove fu raggiunto e definitivamente sconfitto nella battaglia di Munda il 17 marzo del 45 a.C. assieme ai suoi sostenitori.

Le riforme e le idi di marzo
Lo stesso argomento in dettaglio: Tu quoque Brute fili mi.

Rientrato a Roma da trionfatore, fu nominato dictator a vita, e potè così iniziare la sua gigantesca opera riformista. I principali punti furono l'estensione della cittadinanza romana a tutti gli italiani ed una radicale riforma dei quadri della burocrazia e dell'esercito. Cercò, inoltre, di riempire i vuoti causati dalle guerre con nuovi elementi della borghesia rurale. Perdonò diversi alleati di Gneo Pompeo Magno, ed anzi li promosse a governatori di province. Ma preparava anche altre guerre: la vendetta contro i Parti, che avevano ucciso Crasso e la conquista della Germania Magna e della Scizia.

Tutti questi piani di guerra erano ancora in corso, quando il 15 marzo del 44 a.C. fu assassinato da un gruppo di congiurati capitanati da Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, che vedevano nelle loro fila anche Gaio Trebonio, Decimo Giunio Bruto Albino, Lucio Minucio Basilo e Servio Sulpicio Galba. I malumori repubblicani, infatti, non si erano ancora sopiti, ed i seguaci della Repubblica Romana vedevano in Cesare un aspirante re e credettero, eliminandolo, di restituire la sovranità al Senato e la libertà al popolo .

In realtà, i congiurati ottennero l'esatto opposto: il popolo era nettamente dalla parte di Cesare, e già il 18 marzo, quando si tennero i solenni funerali, i congiurati capirono che era meglio fuggire. All'apertura del testamento, si scoprì che Cesare aveva disposto la divisione del suo patrimonio (100 milioni di sesterzi) tra tutti i cittadini, mentre al municipium andavano i suoi beni immobili. Il resto era da dividere tra i tre nipoti, tra cui Caio Ottavio, nominato suo erede e perciò chiamato "Caio Giulio Cesare Ottaviano".

Marco Antonio, fidato luogotenente di Cesare, che era stato trattenuto con l'inganno fuori dal Senato il giorno della congiura per evitare potesse difendere l'amico, ne rimase deluso, e mandò sia Marco Giunio Bruto che Gaio Cassio Longino a governare due province lontane per sottrarli alla folla. Rimasto da solo, cercò di diventare il successore di Cesare, ma doveva così scontrarsi con Ottaviano, che saputo di essere erede stava rientrando dall'Apollonia, dove si trovava al momento dell'assassinio dello zio.

Augusto (43 a.C. - 14 d.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Augusto e Marco Antonio.

Ottaviano, appena rientrato dai Balcani, chiese a Marco Antonio di rispettare il testamento di Cesare e quindi di distribuire il tesoro ai cittadini; al rifiuto, si fece prestare i soldi necessari dagli amici dello zio e potè provvedere di persona. Marco Antonio diffuse quindi la notizia di un complotto del giovane contro di lui, ed armò due legioni per catturarlo. Il Senato si schierò con Ottaviano, il quale affrontò le legioni nemiche a Modena, sbaragliondole. Marco Antonio fuggì, ed Ottaviano tornò a Roma da eroe.

Si proclamò quindi console ed annullò l’amnistia ai congiurati che avevano ucciso Cesare, decretandone la condanna a morte. Infine, invitò Marco Antonio far parte del Secondo triumvirato, aggiungendo anche Marco Emilio Lepido, che ne sarebbe stato il garante per la neutralità.

Il Secondo Triumvirato
Lo stesso argomento in dettaglio: Secondo triumvirato e Battaglia di Filippi.
La guerra civile
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio.
La Pax Romana

Principi della Famiglia Claudia (14-69 d.C.)

Principi della Famiglia Flavia (69-96 d.C.)

Gli Imperatori adottivi (96-193 d.C.)

I Severi (193-235 d.C.)

La grande anarchia (235-312 d.C.)

Con la morte di Alessandro Severo, l'Impero romano attraversò un periodo di forte instabilità interna, detto anarchia militare; la causa di questa instabilità era dovuta al fatto che in questo periodo era l'esercito a eleggere l'Imperatore e ciò determinava che a volte una legione dell'esercito potesse nominare Imperatore imperatori non legittimi, detti usurpatori, che combattevano contro l'Imperatore legittimo per impadronirsi del potere. Questi conflitti interni indebolirono l'Impero, che nel frattempo doveva affrontare pure minacce esterne come i temibili Germani e i Sasanidi di Persia. Nonostante la forte debolezza interna l'Impero cedette ai barbari solo la Dacia e gli Agri Decumati in Germania.

Nel 260-270 circa l'Impero si era addirittura diviso in tre parti: l'Impero delle Gallie (governato da usurpatori tra cui Postumo e Tetrico) a ovest, l'Impero legittimo al centro (Italia e Africa) e il Regno di Palmira a est (governato dalla regina Zenobia). Tuttavia l'Impero si riprese in parte dalla crisi con l'ascesa dei cosidetti Imperatori illirici: uno di questi, Aureliano, sconfisse gli usurpatori delle Gallie e di Palmira riunificando così l'Impero (per questo ricevette il titolo onorifico di restitutor orbis). Dopo la morte di Caro e Numeriano, salì al trono nel 285 Diocleziano, che decise di porre fine alle lotte interne con un ingegnoso sistema, detto tetrarchia: essa consisteva nella divisione dell'Impero in quattro parti, ognuna governata da un cesare o un Augusto; i due Augusti erano i veri Imperatori mentre i due Cesari erano subordinati ai due Augusti; alla morte o all'abdicazione dei due Augusti diventavano Augusti i due Cesari che designavano altri due cesari; in questo modo si risolveva il problema della successione.

Tuttavia, nonostante le riforme di Diocleziano, l'Impero dopo l'abdicazione degli Augusti Diocleziano e Massimiano, affrontò un nuovo periodo di conflitti interni: infatti dal 306 al 324 si combattè una vera e propria guerra civile tra i vari Cesari e Augusti (Costantino, Massenzio, Galerio, Massimiano, Massimino Daia, Licinio, Severo). Alla fine la spuntò Costantino che riunificò così l'Impero.

Da Costantino ad Odoacre (312-476 d.C.)

L'Alto Medioevo

Lo stesso argomento in dettaglio: Italia medievale.

Nel 476 il re degli Eruli Odoacre, ultimo di una lunga schiera di condottieri germanici che nel periodo di decadenza dell'Impero romano d'Occidente avevano condotto le proprie orde in territorio italico, depose l'ultimo imperatore d'occidente, Romolo Augusto. Convenzionalmente, la data del 476 segna il passaggio dall'Antichità al Medioevo.

Inizialmente appoggiato dall'imperatore d'Oriente Zenone, che lo aveva insignito del titolo di dux Italiae ("duca d'Italia") per indicarlo - almeno formalmente - come suo rappresentante, Odoacre presto si proclamò, per la prima volta nella storia, rex Italiae ("re d'Italia"). Nel 489 Zenone invitò gli Ostrogoti, altro popolo germanico allora stanziato nel bacino del basso Danubio, a intervenire in Italia per scacciarne Odoacre, allentando in questo modo la pressione che esercitavano sulla sua stessa capitale, Costantinopoli. Gli Ostrogoti, guidati da Teodorico, sconfissero definitivamente Odoacre nel 493.

Il Regno ostrogoto (494-535)

Il Mausoleo di Teodorico a Ravenna
Lo stesso argomento in dettaglio: Regno ostrogoto.

Teodorico proseguì in gran parte la politica del suo predecessore e avversario, assegnando ai suoi Ostrogoti i compiti di sicurezza e di difesa e delegando ai Latini (o Romanici) le funzioni amministrative. Tra i collaboratori latini del sovrano si contarono anche i grandi intellettuali Cassiodoro e Boezio, anche se quest'ultimo cadde in seguito in disgrazia, venne imprigionato e fu infine ucciso.

La struttura latifondista della società e dell'economia italiana fu sostanzialmente preservata; la nuova ripartizione delle terre introdotta da Teodorico assegnò un terzo dei fondi ai conquistatori e i due terzi agli antichi abitanti. Durante il regno del sovrano germanico furono costruite nuove opere pubbliche, come il Mausoleo di Teodorico a Ravenna, e cercò, almeno nei primi anni, di mantenere pacifici i rapporti tra la maggioritaria Chiesa cattolica e gli aderenti al cristianesimo ariano, tra i quali si contava la maggior parte degli Ostrogoti e lo stesso re.

Alla morte di Teodorico (526) il trono passò al giovane nipote Atalarico, sotto la reggenza della madre Amalasunta, e in seguito al secondo marito della regina madre, Teodato (a sua volta nipote di Teodorico). Amalasunta perseguì una politica apertamente favorevole al cattolicesimo, che determinò una frattura tra il potere regio e la nobiltà gotica; la divisione favorì i progetti di riconquista dell'Italia del nuovo imperatore d'Oriente (ormai "imperatore bizantino"), Giustiniano, che nel 535 lanciò l'armata del generale Belisario contro gli Ostrogoti.

Dalla guerra gotica all'invasione longobarda (535-568)

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra gotica (535-553), Esarcato d'Italia e Longobardi.
L'impero bizantino durante il regno di Giustiniano. La penisola italiana venne inglobata totalmente nel 553

La riconquista giustinianea della penisola fu completata solo nel 553. Il conflitto si protrasse quindi per quasi un ventennio, devastando l'intera Italia tanto da portarla a una grave crisi demografica, economica, politica e sociale. I sovrani ostrogoti che si succedettero al comando (Teodato, Vitige, Totila, Teia), forti anche del sostegno fornito dai vicini Franchi e Burgundi, altri Germani stanziati in Gallia (l'odierna Francia), riuscirono a resistere a lungo agli attacchi dei Bizantini, a lro volta indeboliti da una rivalità tra i due comandanti, Belisario e Narsete. La definitiva sconfitta degli Ostrogoti nella Battaglia dei Monti Lattari, dove Narsete piegò Teia, portò l'intera Italia sotto la sovranità bizantina, ma gli anni seguenti furono funestati, oltre che da un aggravamento delle condizioni di vita dei contadini a causa della forte pressione fiscale, anche da una terribile pestilenza che spopolò ulteriormente la penisola (559-562).

L'Italia bizantina, indebolita e impoverita, non ebbe la forza di opporsi a una nuova invasione germanica, quella dei Longobardi capeggiati da Alboino. Tra il 568 e il 569 i Longobardi, che trovarono spesso appoggio tra la popolazione esasperata dalla fiscalità bizantina, occuparono gran parte dell'Italia centro-settentrionale. Questa regione, che da allora sarebbe stata detta Langobardia Major ("Langobardia Maggiore"), costituì il nucleo del Regno longobardo, con capitale Pavia, ma contingenti germanici si spinsero anche nell'Italia meridionale, dove costituirono i ducati della Langobardia Minor ("Langobardia Minore"): Spoleto e Benevento. L'intero Regno longobardo fu infatti ripartito in numerosi ducati, ampiamente autonomi rispetto al potere centrale.

Con la invasione longobarda l'Italia rimase quindi suddivisa in due grandi zone d'influenza. I Longobardi occuparono le aree continentali della penisola, mentre i Bizantini conservarono il controllo di gran parte delle zone costiere, incluse le isole. Fulcro delle province bizantine in Italia furono l'Esarcato d'Italia, corrispondente grosso modo all'odierna Romagna (detta Romania nel latino dell'epoca, proprio per sottolineare la sua appartenenza all'Impero Romano d'Oriente) con Ravenna capitale, e la limitrofa Pentapoli bizantina, serie di città fortificate lungo la costa adriatica. Il potere supremo era esercitato dal luogotenente generale dell'imperatore bizantino, l'esarca, che aveva poteri quasi assoluti - sia vicili, sia militari - e doveva rispondere del suo operato soltanto all'imperatore. Formalmente bizantina era anche di Roma con il suo contado (il Ducato romano), ma in realtà la città era governata in modo quasi del tutto autonomo dal papa, in un primo embrione del futuro Stato della Chiesa.

Il Regno longobardo (568-774)

La Corona Ferrea che cingeva il capo dei re d'Italia longobardi, oggi conservata nel duomo di Monza
Lo stesso argomento in dettaglio: Regno longobardo.

Il VI secolo

Dopo la morte di Alboino, vittima nel 572 di una congiura ordita dalla moglie Rosmunda, la corona fu affidata a Clefi. Tra i Longobardi il re era infatti generalmente eletto dall'assemblea del popolo in armi (Gairethinx), anche se non sarebbero mancati tentativi di rendere ereditaria la trasmissione del potere. A essere eletti re, comunque, erano in genere gli esponenti di alcuni gruppi famigliari, tanto che nel corso della storia longobarda figurano diverse dinastie.

Clefi estese ulteriormente i confini del regno e tentò di continuare la politica del suo predecessore, volta a spezzare gli istituti giuridico-amministrativi consolidatisi durante il dominio ostrogoto e bizantino attraverso l'eliminazione dell’aristocrazia latina, l'occupanzione delle sue terre e l'acquisizione dei suoi patrimoni. A differenza degli Ostrogoti, quindi, i Longobardi esautorarono del tutto l'elemento romanico, accentrando nelle mani dei duchi ogni potere. Nel 574 anche Clefi venne assassinato e per un decennio, detto Periodo dei Duchi, non fu nominato alcun successore e i duchi regnarono autonomamente sui loro possedimenti (574-584).

L'interregno ebbe termine quando i duchi si resero conto che, separati, non avrebbero saputo reggere alla pressione militare dei Bizantini e dei Franchi; la corona venne quindi assegnata ad Autari, figlio di Clefi. Il nuovo re respinse entrambe le minacce e rafforzò la stabilità del regno alleandosi con i Bavari. L'accordo fu siglato con le nozze del re con la principessa bavara Teodolinda; rimasta presto vedova (590), la regina si risposò con il duca di Torino Agilulfo, che subito dopo (591) fu proclamato re dei Longobardi. La coppia, fondatrice della dinastia Bavarese, regnò congiuntamente e rafforzò ulteriormente il regno, garantendone i confini esterni e ampliandone l'area a danno die Bizantini. Il potere centrale venne rafforzato a danno di quello dei duchi, che furono affiancata da funzionari di nomina regia (gli sculdasci), fu avviata una maggior integrazione con i Romanici, anche attraveso l'avvio della conversione dei Longobardi dall'arianesimo al cattolicesimo, e stimolata la produzione artistica, grazie all'abate evangelizzatore irlandese San Colombano, fondatore a Bobbio nel 614 della futura Abbazia di San Colombano; questo dopo l'Espansione del Cristianesimo in Europa tra V e VIII secolo.

Il VII secolo

La debole reggenza assunta alla morte di Agilulfo (616) da Teodolinda in nome del figlio Adaloaldo favorì l'opposizione della fazione più aggressiva dei duchi, ancora ariani e contrari alla poitica di pacificazione con i Bizantini e di integrazione con i Romanici. Nel 626 un colpo di Stato esautorò Adalaoaldo e portò sul trono l'ariano Arioaldo, che tuttavia dovette concetrare il suo impegno bellico a parare le minacce esterne portate dagli Avari a est e dai Franchi a ovest. Il suo successore Rotari, re dal 636 al 652, ampliò ulteriormente i domini longobardi, rafforzò l'autorità centrale anche sui duchi della Langobardia Minor e promulgò la prima raccolta scritta del diritto longobardo, l'Editto di Rotari. La nuova legislazione era d'ispirazione germanica, ma introduceva anche elementi desunti dal diritto romano e sostituì la faida (vendetta privata) con il guidrigildo (risarcimento in denaro stabilito dal re).

L'Italia longobarda e bizantina alla morte di Rotari (652)

La seconda metà del VII secolo fu caratterizzata dal prevalere dei sovrani della dinastia Bavarese (Ariperto I, Pertarito, Godeperto, Cuniperto), che ripresero la consueta politica di pacificazione con i Bizantini e di integrazione con i Romanici sudditi del regno, tanto da arrivare infine alla completa conversione dei Longobardi al cattolicesimo. La continuità dinastica fu tuttavia interrotta da tentativi di usurpazione ispirati dalle residue frange ariane: nel 662 il duca di Benevento, Grimoaldo, riuscì a esautorare Pertarito e a regnare per una decina d'anni con una pienezza di poteri maggiore di ogni suo predecessore; i suoi sudditi ne apprezzarono (come testimonia il grande storico longobardo Paolo Diacono) la saggezza legislativa, l'opera mecenatistica e il valore guerriero.

L'VIII secolo

L'VIII secolo si aprì con una grave crisi dinastica, che per più di dieci anni vide il Regno longobardo dilaniato da colpi di Stato, guerre civili e regicidi; soltanto nel 712, con l'ascesa al trono di Liutprando, l'Italia longobarda ritrovò compattezza. Quello di Liutprando è anzi considerato il periodo di maggior splendore del Regno longobardo, caratterizzato da pacificazione interna, fermezza del potere centrale, grande rilievo internazionale e creatività artistica (la cosiddetta "Rinascenza liutprandea").

Alla morte di Liutprando (744) il trono, dopo il brevissimo regno di Ildebrando, passò al duca del Friuli, Rachis. Definito "il re monaco", Rachis fu un sovrano debole, incapace di opporsi tanto alle spinte autonomiste dei duchi quanto alle pressioni esercitate dal papa e dai suoi alleati Franchi; nel 749 fu deposto e sostituito dal fratello Astolfo, che riprese la via dell'espansione territoriale a danno dei residui possedimenti bizantini. Sotto la sua guida il Regno longobardo toccò la massima espansione territoriale, arrivando a occupare l'intero Esarcato (compresa la capitale Ravenna), ma tanto potere preoccupò il pontefice, che vedeva minacciato direttamente il suo Ducato romano. Papa Stefano II invocò quindi l'aiuto del nuovo re dei Franchi, Pipino il Breve, che sconfisse Astolfo in due occasioni e lo costrinse a rinunciare alle sue conquiste.

Alla morte di Astolfo, nel 756, il trono passò a Desiderio, che ne proseguì la politica con maggior accortezza: puntò soprattutto sulla coesione interna del regno e favorì la massima integrazione con i Romanici e con la Chiesa cattolica, fino a costringere il papa ad accettare una forma di tutela da parte del re longobardo.

La conquista carolingia (774-814)

Carlo Magno in un dipinto di Albrecht Dürer
Lo stesso argomento in dettaglio: Impero carolingio.

Nel 771 papa Stefano III invocò l'intervento del nuovo re dei Franchi, Carlo Magno, contro Desiderio. La guerra tra Franchi e Longobardi si concluse nel 774 con la vittoria di Carlo, che assunse il titolo di Rex Francorum et Langobardorum ("Re dei Franchi e dei Longobardi") e unificò la parte dell'Italia che aveva conquistato (sostanzialmente la Langobardia Major) al suo Regno dei Franchi. Il papa riacquistò una piena autonomia, garantita da Carlo stesso, mentre a sud, nella Langobardia Minor, sopravvisse in piena indipendenza il longobardo Ducato di Benevento, presto elevato al rango di principato.

Nel 781 Carlo affidò l'Italia, sotto la sua tutela, al figlio Pipino. Il giovane sovrano avviò varie campagne di espansione verso nord, ma morì nell'810; pochi anni dopo morì anche il padre, Carlo Magno (814).

Il Regnum Italiae entro il Sacro Romano Impero (814-1002)

Lo stesso argomento in dettaglio: Regnum Italiae.

Il IX secolo

Dopo la morte di Pipino, il potere venne assunto dal suo figlio illegittimo Bernardo. Nell'817, però, suo zio l'imperatore Ludovico il Pio assegnò l'Italia al prprio figlio, Lotario I; Bernardo tentò la ribellione, ma venne imprigionato e a partire dall'822 il dominio di Lotario sulla penisola divenne effettivo. Tra i suoi provvedimenti, uno statuto sulle relazioni tra papa e imperatore riservò il potere supremo alla potenza secolare; Lotario emise inoltre varie ordinanze per favorire un governo efficiente dell'Italia. La morte di Ludovico, avvenuta nel 840 causò vari tumulti tra gli eredi; Lotario si scontrò più volte con i fratelli, venendo infine sconfitto.

Il titolo di re d'Italia venne inizialmente detenuto dai sacri romani imperatori (Ludovico II, Carlo il Calvo, Carlo III il Grosso), ma con l'indebolimento della compagine imperiale i territori del Regnum Italiae finirono in una sorta di anarchia feudale, dominata dai signori locali nonostante alcuni deboli monarchi si avvicendassero sul trono, arrivando anche talora a venire incoronati dal papa. Tra l'888 e il 924 il titolo, al quale tuttavia non corrispondevano reali poteri, fu conteso da fra numerosi feudatari locali, sia di origine italiana sia provenienti da regioni limitrofe: Berengario del Friuli, Guido da Spoleto, Lamberto da Spoleto, Arnolfo di Carinzia, Ludovico III il Cieco e Rodolfo II di Borgogna.

Il X secolo

Un momento di maggior solidità del Regnum fu il governo di Ugo di Provenza, che tra il 926 e il 946 regnò e cercò di risolvere le diatribe ereditarie sul titolo associandolo subito a suo figlio Lotario II. Questi però scomparve già nel 950, per cui gli successe il marchese d'Ivrea Berengario II, che a sua volta elesse come successore il figlio Adalberto. Berengario, temendo lotte e trame per il potere, fece perseguire la vedova di Lotario II, Adelaide, che si rivolse all'imperatore tedesco Ottone I, chiedendogli aiuto a fronte di quella che riteneva l'usurpazione della corona da parte di Berengario.

Ottone colse il pretesto e scese in Italia, già nelle sue mire per via delle vie di comunicazione che l'attraversavano, per la possibilità di avviare un confronto con l'Imperatore bizantino, che possedeva ancora numerosi territori nella penisola (costa adriatica, Italia meridionale) e per instaurare un rapporto diretto con il papa. Dopo aver sconfitto, Berengario entrò nella capitale Pavia, sposò Adelaide e si cinse della corona italiana nel 951, legandola a quella dell'Impero romano-germanico. Da allora la corona d'Italia fu istituzionalmente connessa a quella imperiale, per cui fu automaticamente ereditata dai successori di Ottone I (Ottone II e Ottone III) fino al 1002.

Lo Stato della Chiesa e il monachesimo

Lo stesso argomento in dettaglio: Stato della Chiesa e Monachesimo.

Durante l'intero Alto Medioevo la Chiesa cattolica fu l'unico potere che si dimostrò capace di conservare, tramandare e sviluppare la cultura latina, sia attraverso il monachesimo, sia mediante la creazione di un potere temporale concretizzatosi nel centro Italia con lo Stato della Chiesa e capace di conservare la propria autonomia.

Il cristianesimo fu uno dei più potenti collanti che, a partire dai regni romano-barbarici, permisero la convivenza e in seguito l'integrazione tra due mondi distanti tra loro: quello romanico e quello germanico. Favorito dalla condivisione della religione cristiana, dalla progressiva integrazione tra il diritto latino e il diritto germanico e dall'intersezione culturale tra gli elementi germanici di più recente insediamento in territorio italico e quelli di più antica formazione, di derivazione latina, nacque uno spirito propriamente europeo. Ovviamente tale fusione fu instabile e ci vollero secoli prima di trovare un equilibrio. Equilibrio che però, una volta raggiunto, portò ad apici di cultura e spiritualità, quali non solo le innovazioni tecnologiche, ma anche la fioritura delle università come luoghi di diffusione e di ricerca del sapere.

Nei secoli più travagliati, invece, l'eredità culturale classica era stata custodita prima con i monasteri cluniacensi, poi con quelli cistercensi. I monasteri medievali infatti si impegnarono a custodire il sapere di ogni tipo, dalla letteratura pagana (classici greci e latini) ai testi arabi di filosofia, matematica e medicina. È anche grazie alla lungimiranza dei monaci medievali che sono potuti fiorire i secoli dell'età moderna.

Il Basso Medioevo

La lotta per le investiture: Enirico IV e Gregorio VII (1073-1122)

La posizione ambigua dei vescovi-conti, vassalli dell'imperatore che avevano anche cariche religiose, creati da Ottone I portò il papato e l'impero a scontrarsi su chi li avrebbe dovuti nominare. Il Papato reclamava per sè il diritto di nominarli, in quanto vescovi mentre l'impero reclamava lo stesso diritto, in quanto vassalli. Alle origini della disputa, chiamata lotta per le investiture, vi era anche il Privilegium Othonis del 962, una legislazione secondo la quale l'elezione del Pontefice avrebbe dovuto avvenire soltanto col consenso dell'Imperatore. nel 1059 il Concilio Laternanense abolì questa legislazione.

La lottà entrò nel vivo con l'imperatore Enrico IV e il papa Gregorio VII. Quest'ultimo pubblicò nel 1075 il Dictatus Papae, documento nel quale sosteneva che solo il papa può nominare e deporre i vescovi. Enrico continuò nella sua politica e anzi, alle minacce di scomunica, convocò un sinodo a Worms nel quale dichiarava il papa deposto. Gregorio rispose scomunicando l'imperatore e dispensando quindi i suoi sudditi dal dovere di servirlo. Preoccupato da una rivolta di baroni che aveva approfittato della sua scomunica, Enrico si recò a Canossa dove il Pontefice si era rifugiato presso Matilde di Canossa e si umiliò pubblicamente invocando il perdono del Pontefice che ottenne (vedi umiliazione di canossa).

La lotta riprese nel 1080 quando Enrico venne di nuovo colpito da scomunica. Egli nominè subito un antipapa (Clemente III) e scese in Italia occupando Roma, ma il normanno Roberto il Guiscardo, alleato col Papa, lo costrinse alla ritirata. L'intervento normanno si traduss però in un saccheggio e Gregorio VII fu costretto a seguire il Guiscardo a Salerno dove morì nel 1085.

Mosaico rappresentante Ruggero II incoronato da Gesù re di Sicilia.

Il contenzioso continuò tra i successori del Papa e dell'Imperaiore fino al 1122 quando le due parti firmarono il concordato di Worms. Le lotte tra papa e imperatore erano però ben lungi dalla fine.

I Normanni nell'Italia meridionale (1030-1189)

Lo stesso argomento in dettaglio: Normanni.

I Normanni, popolo di avventurieri provenienti dalla Normandia, arrivò nel XI secolo nel sud Italia. Aiutando militarmente vari potenti locali in lotta tra di loro riuscirono ad avere piccoli possedimenti, prime tra tutte la Contea di Aversa,nel 1030, e la Contea di Melfi nel 1043. Allarmato dall'espansione normanna, papa Leone IX tentò di arginarla, ma fu sconfitto a Civitate nel 1053. Negli anni seguenti i Normanni si adoperarono per migliorere i rapporti con il papato e espansero ulteriormente i loro territori nel Meridione. Nel 1059 papa Niccolò II nel concilio di Melfi riconobbe i territori normanni e, anzì, affidò a Roberto il Guiscardo il titolo di duca di Sicilia nonostante l'isola fosse allora sotto il controllo degli Arabi.

Tra il 1061 e il 1091 Ruggero d'Altavilla, fratello di Roberto, inziò la conquista della Sicilia sconfiggendo a più riprese gli Arabi. Nel 1071, infine gli ultimi baluardi bizantini, Brindisi e Bari, caddero in mano normanna. Nel 1113 Ruggero II riuscì a riunire nelle sue mani tutti i possedimenti normanni creando uno stato fortemente accentrato simile per molti versi ai moderni stati nazionali.

La rinascita economica e la formazione dei Comuni (XI-XII secolo)

Lo stesso argomento in dettaglio: Comune (storia).

Intorno al XI secolo si ha in Europa la fine delle invasioni: i magiari sono definitivamente sconfitti, i saraceni smettono di saccheggiare le coste itliane e i normanni si stabilizzano in Normandia e nel sud Italia. A ciò si unisce una generale ripresa demogragfica e l'introduzione di nuove tecniche agricole come la rotazione triennale e l'aratro pesante che permettono di avere raccolti più abbondanti. La popolazione tende a trasferirsi dalle campagne alle città che divengono i nuovi centri della società. Si sviluppano l'artigianato e il commercio e conseguentemente la moneta assume un'importanza maggiore. I mercati tendono ad allargarsi e si forma dunque una nuova classe media di mercanti e banchieri che mal si concilia con le istituzioni feudali.

Così molte città del nord e del centro Italia tendono a staccarsi dalle istituzioni feudali e a divenire indipendenti dal potere imperiale. È questo il caso di città come Milano, Verona, Bologna, Firenze, Siena e di molte altre che si costituisco "liberi comuni". Inizialmente il comune è retto da un Consiglio generale (spesso chiamto Arengo) che elegge due consoli. Successivamente in molti comuni fu isituito il potestà, una persona, possibilmente stranierà che reggeva il comune e che si presumeva essere al di sopra delle parti. Spesso i cittadini si riunivano in corporazioni o arti in modo da tutelare e regolamentare gli apparteneti a una stessa categoria professionale.

Lo stemma della marina militare contenente gli stemmi dell quattro repubbliche marinare: nell'ordine quello di Venezia, di Genova di Amalfi e di Pisa.

Il protrarsi degli scontri tra impero e chiesa, la nascita di una borghesia mercantile, i cui interessi si opponevano frequentemente a quelli delle aristocrazie rurali, la lotta delle classi dirigenti urbane per acquisire quote di autonomia sempre più ampie, portò la società comunale del tempo a dar vita a tutta una serie di correnti e schieramenti spesso contrapposti. Particolare rilievo ebbero, a partire dal XII secolo e fino almeno agli ultimi decenni del XIV secolo, le fazioni dei Guelfi e Ghibellini; i primi sostenuti dall'autorità papale, i secondi da quella imperiale.

La nascita delle repubbliche marinare (1015-1114)

Lo stesso argomento in dettaglio: Repubbliche marinare.

Analogamente ai Comuni nell'entroterra si formano sulla costa le Repubbliche Marinare città che riescono ad affermarsi e a svilupparsi rendendosi indipendenti dal potere feudale tramite il commercio marittimo. Le principali furono Amalfi, Pisa, Genova e Venezia, ma di un certo spessore furono anche Ragusa ed Ancona.

Amalfi fu la prima a svilupparsi e per lungo tempo mantenne il monopolio commerciale con l'Impero Bizantino (di cui formalmente faceva parte). Fu la prima delle città occidentali ad adottare la bussola e la prima a satbilire un codice commerciale (le famose Tavole amalfitane). Lo sviluppo di Amalfi fu però stroncato dall'affermazione del regno normanno nel sud della penisola che, con la sua organizzazione fortemente accentrata, lasciò poco spazio allo sviluppo della città.

Genova e Pisa allontanitisi più tardi dal contesto feudale in cui erano inserite riuscirono ad imporre la loro egemonia sul Mar Tirreno scacciando, tra il 1015 e il 1091 i Saraceni dalla Sardegna e dalla Corsica: Nel 1115 Pisa riesce a scacciare gli Arabi dalle Isole Baleari. I rapporti tra Pisa e Genova, inizialmente ottimi andarono via via peggiorando nel corso del tempo fino a sfociare in una guerra aperta nel XIII secolo che si concluderà con la definitiva scofitta di Pisa.

Venezia, città fondata su di una laguna durante le invasioni barbariche doveva la sua stessa esistenza alla pratica commerciale. Entrata nell'orbita dell'impero Bizantino riuscì a conquistarsi, alla fine del IX secolo, una posizione di indipendenza. Venezia divenne presto un importante nodo commerciale in quanto era in ottimi rapporti con Bisanzio e già nell'Alto Medioevo commerciava il sale e le spezie con l'oriente. Nel 1082 Venezia riuscì ad ottenere dai Bizantini la libertà di commercio in tutto l'impero e l'esenzione dalle imposte commerciali. La città era governata da un Doge che veniva eletto tra le famiglie più ricche. Nel 1172 si formò il Maggior Consiglio composto da 480 membri rinnovabili annualmente.

Federico Barbarossa e la lotta con i comuni (1152-1189)

Nel 1152 fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero Federico I Hohenstaufen detto Barbarossa. Egli tentò di attuare una politica di restaurazione dell'antico potere imperiale venendo inevitabilmente in conflitto con il papato e con i comuni del nord italia che si erano guadagnati vaste autonomie.

Miniatura di Federico I Barbarossa

In due diete, presso Roncaglia nel 1154 e nel 1158 egli afferma gli antichi privilegi feudali sulle città che si erano rese di fatto indipendenti e ordina che siano ricondotte di nuovo sotto il potere imperiale. Per attuare questo programma manda dei messi imperiali in molti Comuni del nord Italia. In molte cittadine questi messi vengono scacciati provocando così la durissima reazione del Barbarossa che distrugge Crema (1159) e assedia Milano, aiutato da varie città lombarde come Como, Cremona e Pavia che colgono l'occasione di danneggiare la potente rivale. Dopo due anni d'assedio nel 1162 Milano fu costretta alla resa e rasa al suolo dalle forze imperiali. Il Barbarossa, inoltre, tentò con due assedi (1167 e 1173) la presa di Ancona, però senza mai riuscirvi.

Intanto nel 1159, tentando di influire nella nomina del successore di papa Adriano IV, si era inimicato il papato dando inizio a una nuova lotta. Federico nominò un antipapa (Vittore IV) in opposizione a quello scelto dai cardinali romani. Intanto si cominciano a formare leghe anti-imperiali tra i Comuni, appoggiate anche dal papato e da Venezia. Nel 1167 le due principali leghe anti-imperiali, capeggiate da Verona e da Cremona si fondono per formare la Lega lombarda. Contro di questa nel 1174 Federico Barbarossa scese di nuovo in Italia ma fu sconfitto rovinosamente nella Battaglia di Legnano (29 maggio 1176) che segnò la definitiva sconfitta dell'imperatore che nella pace di Costanza (1183) si vide costretto a riconoscere ampie autonomie ai Comuni.

Il Meridione dagli Svevi alla Guerra del Vespro (1189-1302)

Se la politica del Barbarossa aveva fallito miseramente nei comuni Italiani egli riuscì, tramite un'accorta politica matrimoniale, ad insediare sul trono del Regno di Napoli suo figlio Enrico IV costituendo così un'unità territoriale che andava dal Sud Italia alla Germania, chiudendo in una morsa il papato. All'improvvisa morte di Enrico nel 1197 il figlio di questi, Federico, fu preso in tutela dal pontefice Innocenzo III che sperava di farne un fedele alleato del papato e che si adoperava per restaurarne il potere. Salito al trono del regno di Napoli e dell'Impero nel 1220 Federico II continuò la politica accentratrice dei sovrani normanni firmando nel 1231 le Costituzioni di Melfi che accentravano il potere nelle mani del sovrano e riducevano la potenza dei feudatari.

Scomunicato da Gregorio IX per il mancato adempimento della promessa di una Crociata in Terra Santa, partì alla volta di Gerusalemme dove però riuscì a ottenere grosse concessioni per i cristiani con l'uso della diplomazia. Sfruttando l'evento, che appariva come uno scandalo, il pontefice riuscirà a costituire una lega anti-imperiale alla quale presero parte anche i Comuni italiani. La lottà andrà avanti tra alterne vicende fino alla morte dell'imperatore nel 1250.

Il papa, approfittando della situazione, cercò di insediare al trono del Regno di Napoli Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia. Carlo trovò però l'opposizione di Manfredi, figlio di Federico II che inizialmente ottenne una serie di successi, tanto che il partito ghibellino si affermò in molti comuni italiani, primo tra tutti Firenze: le milizie guelfe della città furono sconfitte a Montaperti (1260) dai Senesi, ghibellini, aiutati dalle truppe dello stesso Manfredi. Costui fu tuttavia sconfitto pesantemente a Benevento da Carlo d'Angiò provocando un improvviso crollo del partito ghibellino in tutta Italia.

La dominazione Angioina impose tasse potenti e mise in posti di comando numerosi baroni francesi, alienandosi presto le simpatie del popolo, che nel 1282 diede inizio a Palermo a una sanguinosa rivolta (Vespri siciliani). I rivoltosi chiamarono in loro aiuto Pietro III d'Aragona, che aveva sposato la figlia di Manfredi. Ebbe così inizio la cosiddetta Guerra del Vespro che si concluse soltanto nel 1302 con la Pace di Caltabellotta, in seguito alla quale la Sicilia sarebbe passata a un ramo cadetto della Casa d'Aragona. Il Regno di Napoli restò invece sotto la dominazione Angioina.

Firenze e i comuni toscani (1182-1302)

I primi comuni a svilupparsi in Toscana furono Lucca, Siena e Pisa. Lucca si era arricchita commerciando la lana con la Francia, Siena grazie alla sua posizione sulla via Francigena che portava i pellegrini dal Nord Europa a Roma. Inoltre si erano sviluppate le banche, come quella create dai Salimbeni.

Tra queste si va affermando, nei primi decenni del XIII secolo la città di Firenze, inizialmente centro economico secondario. Governata prima dagli aristocratici ghibellini, passò nel 1250 nelle mani dei guelfi. Nel 1260, come si è detto, i ghibellini fuoriusciti alleati con Siena e con Manfredi sconfissero i fiorentini a Montaperti e restaurarono il dominio aristocratico della città. Ma quando nel 1266 Manfredi fu sconfitto a Benevento la città passo definitivamente ai Guelfi.

Firenze iniziò allora una politica di prepotente espansionismo, sconfisse nel 1269 Siena e nella battaglia di Campaldino (1289) inflisse una clamorosa sconfitta ad Arezzo. Pistoia venne sottomessa e nel 1293 anche Pisa dovette adattarsi all'egemonia fiorentina.

Alla fine del XIII secolo ripresero le lotte interne tra i Guelfi Bianchi sostenuti dalla famiglia dei Cerchi e i Guelfi Neri, sostenuti dai Donati. Il conflitto sfociò in una guerra civile che si concluse nel 1302, con l'intervento del papa Bonifacio VIII con l'esilio dei Bianchi (tra cui anche Dante Alighieri). A questo periodo risale anche la riforma di Giano della Bella che aumentava il numero delle Arti e istituiva il Gonfaloniere di Giustizia, rappresentante del popolo posto a salvaguardia degli interessi dei ceti più umili.

La rinascita culturale nei Comuni

Durante il XIII e il XIV secolo, parallelamente a una generale ripresa economica, si ebbe una rinasci culturale notevole che portò alla formazione della lingua italiana volgare. Tra coloro che contribuirono a questa rinascita ricordiamo Iacopone da Todi che scrisse delle famose Laude e soprattutto Francesco Petrarca che affiancò a varie opere scritte in latino alcune importanti composizioni in volgare italiano tra cui il Canzoniere. Questi i particolare fu promotore di una riscoperta del classicismo che sarà proseguita dagli intellettuali rinascimentali.

In quegli anni si sviluppò a Firenze una nuovo crrente culturale: il Dolce Stil Novo che rappresentava per certi versi la continuazione e l'evoluzione del vecchio Amor cortese dei romanzi cavallereschi. I principali esponenti di tale corrente furono Guido Cavalcanti, Guido Guinizzelli ma soprattutto e Dante Alighieri che rivoluzionò in modo profondo la letteratura italiana e che produsse opere come la Vita Nova e la Divina Commedia, universalmente riconosciuta come uno dei capolovori letterari di ogni tempo e che viene ancora oggi studiata approfonditamente nelle scuole italiane.

Da ricordare è anche il contributo del fiorentino Giovanni Boccaccio che scrisse il Decameron. In questa opera egli racconta di alcuni giovani che per fuggire alla peste si rifugiano nelle campagne vicino a Firenze e delle cento storie, molto spesso a carattere faceto, che si raccontano per passare il tempo. Anche questa è da annoverarsi tra le più gradi opere delle letteratura italiana e, al pari delle altre sopra indicate, contribuì alla nascita di un volgare italiano, o più propriamente, di un dialetto fiorentino che sarebbe poi diventato la base dell'attuale lingua italiana.

Forte è anche la fioritura dell'arte, con artisti come Giotto, Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Arnolfo di Cambio e Jacopo della Quercia. Anche qui Firenze (affiancata comunque degli altri toscani) si dimostra un centro culturale attivo oltre che un centro politico importante.


Il declino del Papato e dell'Impero (1302-1414)

L'importanza dell'impero nel mondo politico medioevale, e in particolare in quello italiano, era notevolmente calata dopo la sconfitta di Federico Barbarossa a Battaglia di Legnano nel 1176 e quella di Manfredi nel 1266 a Benevento, che avevano segnato la fine del potere politico dell'impero rispettivamente nel Nord e nel Sud Italia.

Enrico VII di Lussemburgo tentò dopo la sua ascesa al soglio imperiale nel 1308 di restaurare l'antico potere imperiale in Italia trovando però la fiera opposizione del libero comune di Firenze di papa Clemente V e di Roberto d'Angiò. La sua discesa in Italia con la conseguente incoronazione come Imperatore del Sacro Romano Impero (titolo vacante dalla morte di Federico II, durante il cosiddetto grande interregno) rimmarrà quindi un gesto puramente simbolico. Nel 1313 muore mentre si trova ancora in territorio italiano deludendo così coloro che avevano sperato in una unificazione del suolo italiano sotto la sua bandiera.

Anche il Papato, l'altra grande istituzione medioevale, attraversa un periodo di crisi. Entrambe quese istituzioni si vedono costrette ad accettare la crescente influenza degli Stati nazionali, supportati dalla sempre più potente classe borghese, e la crisi del sistema feudalesimo. Bonifacio VIII asceso al soglio pontificio nel 1296, cercherà di restaurare il potere papale scontrandosi però con Filippo IV il Bello, re di Francia. Nel punto culminante del conflitto Filippo scese in Italia e, con un gesto impensabile qualche secolo prima, imprigionò il papa ad Anagni (1303) dove sembra che abbia ricevuto addirittura uno schiaffo (Schiaffo di Anagni). Nel1305, Clemente V spostò a sede papale ad Avignone dove resterà per i successivi settanta anni. I papi avignonesi restarono succubi dei r di Francia e non mancarono di destare scandalo tra i loro contemporanei. Nel 1377 si aprirà lo Scisma d'occidente in seguito al ritorno a Roma di papa Gregorio XI: alla sua morte infatti i cardinali romani elessero al soglio pontifico urbano VI mentre i cardinali francesi Clemente VII. Lo scisma si compicherà ancor più dopo il Concilio di Pisa (1409) che, nel tentativo di unificare di nuovo la cristianità, elesse un altro papa. L'Europa era divisa tra i seguaci dei due (poi tre) "papi" fino alla definitiva fine dello scisma avvenuta col Concilio di Costanza (1414).

Lo scisma aveva mostrato la debolezza di una istituzione che era stata un punto di riferimento fondamentale nei secoli passati. Così mentre dal punto di vista culturale il papa perdeva un'egemonia quasi millenaria dal punto di vista politico la Cattività avignonese e lo Scisma favorirono il distacco definitivo del Ducato di Urbino, già iniziato sotto Guido da Montefeltro e la nascita per breve tempo di una repubblica romana tra il 1347 e il 1354 guidata da Cola di Rienzo. Questi dopo essersi impadronito del potere tentò di organizzare una repubblica simile a quella romana ma alla fine della sua carriera sconfinò nel delirio e venne linciato dai suoi stessi concittadini che lo avevano sostenuto.


Il regno di Napoli tra Angioini e Aragonesi (1309-1442)

Lo stesso argomento in dettaglio: Regno di Napoli.
Alfonso I di Napoli

Gli angioini, ottenuto il dominio su tutto il Mezzogiorno d'Italia, esclusa la Sicilia, stanziarono a Napoli la sede del potere regio e conservarono nel nuovo regno l'assetto amministrativo di origine sveva, con giustizierati e universitates. Le ultime regalie del napoletano furono però perse, quali il diritto del sovrano di nominare degli amministratori regi nelle diocesi con sedi vacanti[12]. Con Roberto d'Angiò a Napoli fiorirono le scienze umanistiche: egli istituì una scuola di teologi scolastici e commissionò importanti traduzioni dal greco, da Aristotele a Galeno, per la biblioteca di Napoli. Furono anche gli anni in cui fiorì la cultura greca di Calabria, grazie alla quale il neoplatonismo e la cultura ellenistica entrarono nella tradizione italiana, dal Petrarca a Pico della Mirandola.

Morto Roberto, seguirono anni di incertezze politiche. Scoppiò una guerra di successione fra Giovanna I di Napoli e Carlo di Durazzo, finché il regno non finì per breve tempo nelle mani di Luigi II d'Angiò. Ladislao I infine, figlio di Giovanna, riconquistò Napoli e, sfruttando le incertezze politiche, intraprese una guerra contro lo Stato Pontificio e i comuni toscani, arrivando ad occupare buona parte dell'Italia centrale: il Regno di Napoli acquisiva per breve tempo buona parte della penisola italiana.

Nel 1414 però Ladislao morì e il regno tornò presto nei confini originari. Prese il suo posto al trono Giovanna II, l'ultima sovrana angioina nel napoletano; non avendo avuto eredi diretti, Giovanna adottò un aragonese come figlio, Alfonso V d'Aragona, diseredandolo poi del regno, in favore di Renato d'Angiò. Alla morte di costei Alfonso rivendicò il diritto di successione e dichiarò guerra a Napoli. Col sostegno del ducato di Milano in breve tempo tutto il Mezzogiorno fu conquistato da Alfonso V d'Aragona, che divenne intanto Alfonso I di Napoli, col titolo di Rex Utriusquae Siciliae. Costui, come poi suo figlio Ferrante, contribuì ampiamente all'ammodernamento del territorio dominato sul modello economico aragonese, tramite il sostegno giuridico della transumanza, i fori boari, il contrasto dei privilegi feudali e l'adozione del napoletano come lingua di stato.


La sottomissione degli Stati italiani fra 500 e 700

L'Italia nel 1499

Le invasioni francesi (1494-1516)

Agli inizi del XVI secolo l'Italia divenne meta di invasioni da parte di stati stranieri. La Francia fu il primo tra questi a tentare la conquista della penisola. Nel 1494 il re Carlo VIII decise di varcare le Alpi e diede quindi inizio alle guerre d'Italia. L'obiettivo del sovrano transalpino era la conquista del Regno di Napoli, su cui vantava un diritto, in quanto erede degli angioini, e controllare Milano e Genova e la sua flotta.

Il re francese scese quindi indisturbato lungo la penisola, incoraggiato anche dal signore di Milano Ludovico Sforza, e raggiunse Napoli nel febbraio del 1495, occupandola. Preoccupati per la propria indipendenza e l'eccessivo potere che Carlo VIII poteva assumere, vari stati italiani, tra cui Venezia, Stato Pontificio e Ducato di Milano, oltre all'Austria, si unirono in una lega, che sconfisse le truppe francesi nella Battaglia di Fornovo. Il sovrano transalpino fu quindi costretto a rientrare in patria senza aver ottenuto gli obiettivi che si era prefisso.

Il passaggio di Carlo VIII causò, comunque, la cacciata dei Medici da Firenze e la creazione di una repubblica, su cui aveva grande influenza il frate domenicano Girolamo Savonarola.

Nel 1498, poi, la salita al trono francese di Luigi XII riportò le ambizioni espansionistiche francesi sulla penisola italiana. Ludovico Sforza, intanto cercò di costruire un'alleanza che comprendesse Milano, Firenze e Napoli, lasciando esclusa Venezia. La Serenissima strinse allora un accordo con la Francia nel tentativo di contenere la politica espansionistica lombarda. Questo prevedeva la cessione a Venezia di Cremona e altri territori limitrofi in cambio dell'aiuto prestato al sovrano francese per la conquista di Milano.

Nel luglio del 1499 iniziarono quindi le operazioni militari e in breve le truppe franco-venete costrinsero il duca alla fuga. Il successivo tentativo di Sforza di re-impossessarsi dei propri possedimenti portò alla sua caduta definitiva: venne catturato a Novara e condotto in Francia, dove morì prigioniero nel 1508.

Luigi XII, intanto, propose al re di Spagna Ferdinando II d'Aragona un'alleanza contro il Regno di Napoli. I due sovrani conquistarono in breve tempo lo stato nemico, ma cominciarono subito gli scontri per la divisione dei territori. Alla vittoria spagnola seguì poi il Trattato di Lione, in base al quale veniva riconosciuto ai francesi il possesso del Ducato di Milano e agli spagnoli quello dell'Italia meridionale.

Scontro tra Spagna e Francia

I primi anni videro anche l'espansione dello Stato Pontificio, grazie a varie campagne intraprese dal papa Giulio II, il quale nel 1506 conquistò Bologna e Perugia. Si dovette al papa stesso la sottomissione della penisola italica a potenze straniere, in quanto nel 1512, quando scacciò i francesi oltre le Alpi, si dovette alleare con altre potenze, in primo luogo la Spagna. Lo scontro tra francesi e spagnoli per il dominio della penisola continuò infatti negli anni, culminando nella battaglia di Pavia del (1525), vinta dai celebri tercios castigliani, ed il crollo delle posizioni francesi in una Regione chiave come la Lombardia, iniziò, di fatto, l'egemonia spagnola in Italia ratificata, una trentina d'anni più tardi, dalla pace di Cateau-Cambrésis. La Spagna esercitò da allora, e per oltre un secolo e mezzo, il dominio diretto su tutta l'Italia meridionale ed insulare, sul Ducato di Milano e sullo Stato dei Presidi nel sud della Toscana. Lo Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana, la Repubblica di Genova ed altri stati minori furono costretti di fatto ad appoggiare la politica imperiale spagnola. Il Ducato di Savoia, tendente a convertirsi in ago della bilancia fra Francia e Spagna divenne nella realtà dei fatti un campo di battaglia fra queste due potenze. Solo la Repubblica Veneta riuscì a conservare una relativa indipendenza che però non fu sufficiente a preservarla da una lenta ma inesorabile decadenza. Dopo la pace di Utrecht (1713), l'eredità degli Asburgo di Spagna fu raccolta dal ramo austriaco di questa grande famiglia che riuscì ad insediarsi stabilmente in Lombardia e successivamente anche in Toscana (con gli Asburgo-Lorena). Nei primi decenni del XVIII secolo i sovrani d'Austria si impossessarono anche del Regno di Napoli, ceduto nel 1734, dopo la disfatta di Bitonto, ai Borboni di Spagna.

L'età moderna

In età moderna, l'Italia, e, più in generale, tutta l'Europa meridionale, ebbe a soffrire dello spostamento delle grandi rotte commerciali dal Mediterraneo all'Atlantico, chiaramente percepibile a partire dagli ultimi decenni del '500. Le devastazioni belliche a seguito della guerra dei trent'anni colpirono soprattutto l'Italia settentrionale: il principale di questi scontri che vide contrapposti gli interessi imperiali a quelli francesi fu la guerra di successione di Mantova e del Monferrato. La forte pressione fiscale esercitata dalla Spagna sui suoi domini, dovuta alle esorbitanti spese di guerra, invece si fece sentire con gravissime conseguenze in tutto il meridione ed in Lombardia, mentre i vuoti lasciati dalla grave pestilenza del 1630 ebbero effetti devastanti sull'economia italiana del tempo. È un dato di fatto che fin dal quarto decennio del XVII secolo quasi tutta l'Italia era passata ad essere un'area con gravi problemi di sottosviluppo economico, politicamente amorfa, socialmente disgregata. Fame e malnutrizione regnavano incontrastate in molte regioni peninsulari e nelle due isole maggiori.

Il declino culturale dell'Italia non marciò di pari passo con quello politico, economico e sociale. È questo un fenomeno riscontrabile in molti paesi, Spagna compresa. Se nel '500 il rinascimento italiano produsse i suoi frutti più maturi e si impose all'Europa del tempo, l'arte ed il pensiero barocchi, elaborati a Roma a cavallo fra '500 e '600 avranno una forza di attrazione ed una proiezione internazionale non certo inferiori. È comunque un dato di fatto che ancora per tutta la prima metà del '600 ed oltre, l'Italia continuò ad essere un paese vivo, capace di elaborare un pensiero filosofico (Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Paolo Sarpi) e scientifico (Galileo Galilei, Evangelista Torricelli) di altissimo profilo, una pittura sublime (Caravaggio), un'architettura unica in Europa (Gianlorenzo Bernini, Borromini, Baldassare Longhena, Pietro da Cortona) ed una musica, sia strumentale (Arcangelo Corelli, Girolamo Frescobaldi, Giacomo Carissimi) che operistica (Claudio Monteverdi, Cavalli) che fece scuola. A questo proposito ricordiamo che il melodramma è una tipica creazione dell'età barocca.

Attorno agli anni '30 del XVIII secolo, si assiste ad una timida ripresa dell'economia italiana che si consolidò, soprattutto nel meridione, nei decenni successivi. L'illuminismo, nato in Inghilterra, ma diffusosi in Italia attraverso l'intermediazione dei philosophes francesi iniziò a far sentire i suoi benefici influssi nel nord (Parma) come a Napoli e in Sicilia, dove regnò uno dei più grandi sovrani europei del tempo: il futuro Carlo III di Spagna. L'Austria, che, come abbiamo già visto, si era sostituita alla Spagna come potenza egemonica in Italia, soprattutto nella sua parte centro-settentrionale, fu governata da alcuni monarchi particolarmente capaci, Maria Teresa e Giuseppe II in particolare, che introdussero in Lombardia, nel Trentino e nella regione di Trieste (la futura Venezia Giulia) delle riforme atte a fomentare lo sviluppo economico e sociale di quelle terre.

L'Italia sotto il dominio napoleonico

Lo stesso argomento in dettaglio: Età napoleonica.
L'Italia nel 1803

Verso la fine '700 sulla scena politica italiana si affacciò Napoleone Bonaparte. Questi nel 1796, comandò, come generale, la campagna italiana, al fine di far abbandonare al Regno di Sardegna la Prima coalizione, creata contro lo stato francese, e per far arretrare gli austriaci.

Gli scontri iniziarono il 9 aprile, contro i piemontesi e nel breve volgere di due settimane Vittorio Amedeo III di Savoia fu costretto a firmare l'armistizio. Il 15 maggio poi il generale francese entrò a Milano, venendo accolto come un liberatore. Successivamente respinse le controffensive austriache e continuò ad avanzare, fino ad arrivare in Veneto nel 1797. Qui si verificò anche un episodio di ribellione a causa dell'oppressione francese chiamato Pasque Veronesi, che tenne occupato Napoleone per circa una settimana. Con il diretto intento di danneggiare il pontefice fu proclamata nel 1797 la Repubblica Anconitana con capitale Ancona che fu poi unita alla Repubblica Romana: il tutto ebbe però breve durata, poichè nel 1800 lo Stato Pontificio fu ripristinato.

A ottobre del 1797 venne firmato il Trattato di Campoformio con il quale la Repubblica di Venezia fu annessa allo stato austriaco, causando quindi la delusione dei patrioti italiani. Il trattato riconobbe anche l'esistenza della Repubblica Cisalpina, la quale comprendeva Lombardia, Emilia-Romagna oltre a piccole parti di Toscana e Veneto, mentre il Piemonte venne annesso alla Francia provocando qualche moto di ribellione. Nel 1802 venne poi denominata Repubblica Italiana, con Napoleone Bonaparte, già Primo Console della Francia, in qualità di Presidente.

Napoleone con la corona ferrea

Il 2 dicembre 1804 Napoleone fu incoronato Imperatore dei Francesi. In conformità col nuovo assetto monarchico francese Napoleone divenne anche Re d'Italia, tramutando la Repubblica italiana in Regno d'Italia. Questa decisione lo mise in contrasto con l'Imperatore del neonato Impero austriaco Francesco II che, essendo prima di tutto Imperatore dei Romani, risultava de iure pure Re d'Italia. La situazione si risolse con la guerra contro la Terza coalizione: l'Austria venne sconfitta (2 dicembre 1805) e il trattato di Presburgo (26 dicembre 1805) pose di fatto fine al Sacro Romano Impero che verrà però sciolto solo nel 1807.

L'anno successivo Bonaparte riuscì a conquistare il Regno di Napoli affidandolo al fratello e consegnandolo nel 1808 a Gioacchino Murat. Inoltre Napoleone riservò alle sorelle Elisa e Paolina i principati di Massa, Carrara e Guastalla. Proprio nel 1808 il Regno d'Italia subì un ampliamento con le annessioni di Toscana e Marche.

Nel 1809, Bonaparte occupò Roma, in seguito a contrasti con il papa, che l'aveva scomunicato, e per mantenere in efficenza il proprio stato[13], relegandolo prima a Savona e poi in Francia. Nella conquista della Russia, che Napoleone intraprese nel 1811, fu determinante l'appoggio degli abitanti della penisola italiana, ma questa si risolse con una sconfitta e molti italiani trovarono la morte. Dopo la fallimentare campagna di Russia gli altri stati europei si riorganizzarono, coalizzandosi tra loro e sconfiggendo Bonaparte a Lipsia. I suoi stessi alleati, primo tra tutti Murat, lo abbandonarono alleandosi con l'Austria.[14] Ormai abbandonato dagli alleati e sconfitto a Parigi il 6 aprile 1814 Napoleone fu costretto ad abdicare e venne mandato in esilio all'Isola d'Elba. Sfuggito alla sorveglianza riuscì a ritornare in Francia e a riprendere il potere. Guadagnò nuovamente l'appoggio di Gioacchino Murat, il quale tentò di esortare, senza successo, gli italiani a combattere con il Proclama di Rimini. Sconfitto Bonaparte, anche Murat venne battuto e ucciso. I regni creati in Italia scomparvero ed iniziò quindi il periodo storico della Restaurazione.

La Restaurazione

Con la Restaurazione ritornarono sul trono gran parte dei sovrani precedenti al periodo napoleonico. Vennero uniti Piemonte, Genova e Nizza, oltre alla Sardegna che andarono a creare lo Stato di Savoia, mentre Lombardia, Veneto, Istria e Dalmazia andarono all'Austria. Si ricostituirono i ducati di Parma e Modena, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli tornò ai Borboni.

Il Regno di Sardegna

Lo stesso argomento in dettaglio: Regno di Sardegna.
Il regno di Sardegna

La storia d’Italia è indissolubilmente legata alla storia dello Stato che la unificò sotto un’unica guida, il Regno di Sardegna. Fu creato sulla carta da Papa Bonifacio VIII nel 1297, con la denominazione di “Regno di Sardegna e Corsica”[15] per risolvere la crisi politica e diplomatica tra corona d'Aragona e ducato d'Angiò sulla Sicilia (la guerra del vespro). La realizzazione concreta del Regno di Sardegna vedrà dapprima la guerra dei catalano-aragonesi contro i pisani.

Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia si sposarono a Valladolid il 17 ottobre 1469, con un accordo conosciuto anche come la concordia di Segovia. Nel 1475, i due sovrani avevano giurato di non fondere le due corone in un unico Stato e ciascuna entità conservò le sue istituzioni e le sue leggi: entrambi infatti si fregiavano del titolo di Re di Sardegna. Con il matrimonio della loro figlia Giovanna con Filippo d'Asburgo e la nascita di Carlo V, la corona passò alla dinastia austriaca, prima di Spagna, poi da quelli d’Austria (1708). A seguito della guerra di successione spagnola e del trattato dell’Aia (20 febbraio 1720) la corona passò a Vittorio Amedeo II di Savoia.

Lo Stato si estinse nel 1861 con la proclamazione del Regno d'Italia da parte del suo XXIV e ultimo sovrano, Vittorio Emanuele II di Savoia.

I Savoia


Lo stesso argomento in dettaglio: Casa Savoia.
Vittorio Amedeo II, quindicesimo ed ultimo Duca di Savoia, poi incoronato re di Sicilia e di Sardegna

Umberto Biancamano nel 1032 ottenne dall'imperatore Corrado II la signoria della Savoia, della Moriana e d'Aosta. Attraverso varie successioni ereditarie, i Savoia ingrandirono nel tempo i loro territori a cavallo tra le Alpi Occidentali. Prima conti, poi duchi, nel 1416 ottennero pure il titolo nominale (senza territori) di re di Gerusalemme lasciato in eredità da Carlotta di Lusignano.

Riuscirono abilmente nel XVII e nel XVIII secolo a difendersi dalle mire espansionistiche del regno di Francia mantenendo tenacemente la loro autonomia. Da quando poi Emanuele Filiberto di Savoia spostò la capitale da Chambéry a Torino per meglio difendersi dagli attacchi nemici, la dinastia prese le redini della storia piemontese mantenendo il dominio sul ducato prima e sul Regno di Sardegna poi, fino alla unità d'Italia.

Nel 1720, con l'istituzione sovrana vennero a pieno titolo annoverati fra le grandi casate d'Europa, fregiandosi dei titoli di: Re di Cipro, di Gerusalemme, d'Armenia; duchi di Savoia, di Monferrato, Chablais, Aosta e Genova; principi di Piemonte ed Oneglia; marchesi di Saluzzo, Susa, Ivrea, Ceva, Maro, Oristano, Sezana; conti di Moriana, Genova, Nice, Tenda, Asti, Alessandria, Goceano; baroni di Vaud e di Faucigny; signori di Vercelli, Pinerolo, Tarantasia, Lumellino, Val di Sesia; principi e vicari perpetui del Sacro Romano Impero in Italia.

Il 17 marzo 1861 ottennero la corona di Re d'Italia. Nel 1936 Vittorio Emanuele III di Savoia fu proclamato Imperatore d’Etiopia, e nel 1939 Re d’Albania.

I moti carbonari

Lo stesso argomento in dettaglio: Carboneria.
L'arresto di Pellico e Maroncelli da parte delle forze austriache

Dopo la Restaurazione, che aveva portato al ritorno degli antichi sovrani e alla cessione di regioni italiane all'Austria portarono alla nascita di forti ideali patriottici. Nacque così la Carboneria e si diffuse proprio nelle regioni cedute agli austriaci e in Romagna, grazie anche a Piero Maroncelli.

I primi moti carbonari nella penisola italiana vi furono nel 1820-21 e colpirono il Regno di Napoli nel luglio 1820 e il Piemonte nel marzo 1821. A Napoli il sovrano fu costretto a cedere la costituzione, obiettivo dei carbonari, ma l'intervento degli austriaci riportò tutto come prima, e stessa cosa nel Regno di Sardegna. Contemporaneamente in Lombardia e Veneto vi furono molti processi, i più famosi al conte Federico Confalonieri, a Silvio Pellico e Piero Maroncelli.

Nonostante le sconfitte subite la carboneria continuò ad esistere e si ripresentò sulla scena politica nel 1830, in particolare nel Ducato di Modena e nello Stato Pontificio, venendo per la seconda volta repressa. Il risultato fu il decadimento della carboneria e la nascita della Giovine Italia, movimento anch'esso segreto fondato da Giuseppe Mazzini nel 1831.

Dopo aver trovato una discreta adesione Mazzini decise di organizzare i primi moti in terra sabauda, ma questi vennero scoperti ancor prima di iniziare e fallirono. Nonostante ciò il Re Carlo Alberto di Savoia cambiò la sua linea politica e alcuni anni dopo, nel 1848 concesse la costituzione, nota come Statuto Albertino, temendo reazioni pericolose alla monarchia. Prima di questo si verificarono altri tentativi. Il più noto è quello dei Fratelli Bandiera, italiani appartenenti alla marina austriaca che tentarono di sollevare il sud, ma vennero catturati, anche grazie alla popolazione che li riteneva briganti, e fucilati.

Risorgimento

Lo stesso argomento in dettaglio: Risorgimento.

Prima guerra d'indipendenza

Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra di indipendenza italiana.
Monumento a Carlo Cattaneo, protagonista delle Cinque Giornate di Milano

Dopo le campagne napoleoniche, spinte nazionali e nazionalistiche appoggiate dai Savoia, che videro in queste l'opportunità di allargare il proprio Regno di Sardegna, portarono ad una serie di guerre di indipendenza contro l'Impero Austro-Ungarico.

Nel 1848 cominciarono a manifestarsi varie insurrezioni nei domini sottoposti agli austro-ungarici, in particolare a Venezia e Milano, famose appunto le cinque giornate di Milano, che si conclusero il 22 marzo con la vittoria della popolazione locale e l'abbandono da parte del maresciallo austriaco Radetzky della città.

Visti i successi ottenuti dalle due città Carlo Alberto di Savoia decise di entrare in azione il 23 marzo dando inizio alla prima guerra di indipendenza italiana. Oltre al Re di Sardegna parteciparono alla guerra altri vari stati italiani, come lo Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie, che fornirono uomini per la guerra. L'inizio del conflitto fu favorevole agli stati italici, con varie vittorie, a Pastrengo, la Battaglia di Santa Lucia a Verona, poi Peschiera e Goito. Ma il papa ritirò le sue truppe dal conflitto temendo una reazione religiosa austriaca che avrebbe potuto provocare uno scisma. In questa azione fu seguito dal Re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone. Rimasero quindi a combattere i volontari e gli austriaci poterono rafforzarsi e con una potente controffensiva ripresero gran parte delle città perse e il 4 agosto Carlo Alberto firmò l'armistizio. Dopo una breve tregua nel marzo 1849 venendo presto sconfitto. Fu quindi costretto ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Tra le città che si erano ribellate al dominio austriaco l'anno precedente l'unica a resistere fu Venezia, caduta però nell'agosto 1849 per un'epidemia di colera.

La prima guerra di indipendenza si concluse con la vittoria austriaca e i Savoia non riuscirono ad ampliare i propri possedimenti nel tentativo di riunificare la penisola.

Seconda guerra d'indipendenza

Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra di indipendenza italiana.
Vittorio Emanuele II di Savoia, il primo Re d'Italia di casa Savoia

Nel 1852 divenne primo ministro del Regno Sabaudo Camillo Benso Conte di Cavour, il quale attuò numerose riforme economiche al fine di rendere lo stato di Sardegna più moderno, aumentando le ferrovie, ampliando il porto di Genova e favorendo la nascita dell'industria, fino ad allora inesistente nel Paese.

Nel 1855 il Regno di Sardegna, sotto indicazione di Cavour, partecipò alla guerra di Crimea, inviando 15 000 uomini. Questa partecipazione permetté al regno sabaudo di essere presente al congresso di Parigi l'anno seguente e il primo ministro attaccando il comportamento austriaco e creandosi simpatie tra inglesi, francesi e prussiani.

Ricevuti pareri favorevoli all'azione da Napoleone III nel 1858 i due strinsero un accordo segreto a Plombières, con il quale i francesi avrebbero sostenuto i Savoia in caso di attacco austriaco a patto che fossero gli austriaci ad attaccare. I due però avevano scopi opposti: Cavour riteneva che controllando la parte più sviluppata d'Italia avrebbe di fatto controllato l'intera penisola, mentre Napoleone III era convinto che avendo sotto il suo dominio i due terzi della penisola, avrebbe di fatto controllato anche il Piemonte.

Garibaldi nel 1866

Adottando un comportamento provocatorio nei confronti degli austriaci Cavour riuscì nell'intento di farsi dichiarare guerra, dando inizio alla seconda guerra di indipendenza italiana, che iniziò il 29 aprile 1859. Gli austriaci, sotto la guida del maresciallo Ferencz Gyulai, inizialmente invasero il Piemonte, senza incontrare resistenze. Un contrordine proveniente da Vienna impose poi il ritiro in Lombardia. L'arrivo di Napoleone III, il 14 maggio, diede il via alle operazioni militari. Il 20 maggio si ebbe il primo e vero scontro a Montebello, che vide la vittoria franco-italica. Dieci giorni dopo i piemontesi riportarono un'altra vittoria a Palestro, sotto la guida stessa di Vittorio Emanuele II. I francesi, invece, batterono gli austro-ungarici a Turbigo e Magenta. Il 5 giugno venne poi presa Milano. Nei giorni successivi gli austriaci vennero respinti in Veneto e, a questo punto, Napoleone III cominciò le trattative, a insaputa dei piemontesi, che terminarono con la cessione della Lombardia. Gli accordi di Plombières, prevedevano però la conquista del Veneto e Cavour deluso tentò, senza successo di convincere il re a continuare da solo. Terminata la seconda guerra di indipendenza alcuni ducati vollero unirsi allo stato sabaudo ed erano Modena, Parma, Emilia, Romagna e Toscana. Gli accordi di Plombières prevedevano però la cessione di Nizza e della Savoia, cosa che provocò varie proteste, in quanto non era stata mantenuta la promessa di conquistare anche il Veneto.

Il Regno di Sardegna comprendeva a questo punto Piemonte, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana, mentre rimanevano escluse Umbria, Marche e Lazio, sottoposti al dominio pontificio, oltre al sud.

Venne così organizzata nel 1860 la spedizione dei Mille, che sotto la guida di Giuseppe Garibaldi conquistò il sud e contemporaneamente i Piemontesi discesero da nord e riuscirono ad unificare sotto i Savoia gran parte della penisola con lo storico incontro di Taverna della Catena tra il Re Vittorio Emanuele II e il Generale Giuseppe Garibaldi, il 26 ottobre 1860.

Mancavano ancora Veneto e Friuli, Roma, Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia. Il parlamento sardo decise allora di proclamare nel 1861 il Regno d'Italia consegnando la corona a Vittorio Emanuele II ai sui eredi. Lo statuto albertino venne esteso a tutto il Regno.

Terza guerra d'indipendenza

La battaglia di Custoza
Lo stesso argomento in dettaglio: Terza guerra di indipendenza italiana.

Per conquistare Veneto e Friuli nel 1866 il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Austria alleandosi con la Prussia e dando così iniziò alla terza guerra di indipendenza. Le sconfitte però furono molte, le più famose a Custoza e Lissa. Gli unici successi vennero ottenuti da Garibaldi. La vittoria prussiana, però, fu d'aiuto all'Italia, che poté quindi richiedere l'annessione di Veneto e Friuli.

Mancava Roma e per due volte Giuseppe Garibaldi ne tentò la conquista con i suoi volontari: nel 1862 e nel 1867, venendo fermato nel primo caso dalla truppe italiane, nel secondo dall'esercito francese, che anche nel 1862 aveva costretto l'esercito regio a intervenire.

La guerra con la Prussia contro la Francia e la sconfitta di Napoleone III portarono ad una mossa militare da parte dell'Italia contro Roma, che il 20 settembre 1870 venne conquistata grazie alla Breccia di Porta Pia. Si venne però a determinare una profonda frattura tra Stato italiano e Chiesa, formalmente sanatasi con i Patti Lateranensi del 1929.

L'Italia liberale (1861-1914)

Lo stesso argomento in dettaglio: Regno d'Italia (1861-1946).
Bandiera nazionale del Regno d'Italia

Lo stato italiano nacque nel 1861 dopo l’esito della seconda guerra d'indipendenza e dopo i plebisciti degli altri territori conquistati. Con la prima convocazione del Parlamento italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17 marzo, Vittorio Emanuele II fu il primo re d'Italia (1861-1878).

La popolazione, rispetto l’originario Regno di Sardegna, quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di Sardegna, esso fu infatti una monarchia costituzionale. Il neonato Stato quindi si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, le casse statali vuote per le spese belliche, di creazione una moneta unica per tutta la penisola, e più in generale problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite. A questi problemi, se ne aggiungevano altri, come ad esempio l’analfabetismo e la povertà diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture.

Il questione che tenne banco nei primi anni della riunificazione d’Italia fu la questione meridionale ed il brigantaggio antisabaudo delle regioni meridionali (soprattutto tra il 1861 e il 1869). Il problema era noto come la "questione meridionale". Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall'ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma (questione romana).

La destra storica

Lo stesso argomento in dettaglio: Destra storica.
Ritratto di Marco Minghetti

La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo stato (per il quale si scelse un modello centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza.

In politica estera, la Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la Francia, anche se le due nazioni si scontrarono in diverse questioni, prime fra tutte l'annessione del Veneto e la presa di Roma.

Nel 1876 il governo venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento (rivoluzione parlamentare). Ebbe così inizio l'epoca della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Finiva un'epoca: solo pochi anni dopo, Vittorio Emanuele II morì, e sul trono gli successe Umberto I.

La sinistra storica

Lo stesso argomento in dettaglio: Sinistra storica.
Agostino Depretis

La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il suffragio, e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale coll'intervento diretto dello stato nell'economia.

Per ciò che concerne la politica estera Depretis abbandonò l'alleanza con la Francia, a causa della conquista da parte dello stato d'oltralpe della Tunisia. L’Italia entrò quindi nella Triplice Alleanza, alleandosi con la Germania e l’Impero Austro-Ungarico. Favorì lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

L’epoca giolittiana

Lo stesso argomento in dettaglio: Età giolittiana.
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Giovanni Giolitti

Dal 1901 al 1914 la storia e la politica italiana fu fortemente influenzata dai governi guidati da Giovanni Giolitti.

Come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica Crispina aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed è questo primo confronto con le parti sociali che si evidenziò la ventata di novità che Giolitti portò nel panorama politico a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Non più repressione autoritaria, bensì accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché non violenti né politici, collo scopo (riuscito) di portare i socialisti nell'arco parlamentare.

Gli interventi più importanti di Giolitti furono la legislazione sociale e sul lavoro, il suffragio universale, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria

In politica estera, ci fu il riavvicinamento dell’Italia alla Triplice intesa di Francia, Regno Unito e Russia. Fu continuata la politica coloniale nel Corno d'Africa, e dopo la guerra italo-turca, furono occupate Libia e Dodecaneso. Giolitti fallì nel suo tentativo di arginare il nazionalismo come aveva costituzionalizzato i socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale e quindi l'ascesa del fascismo.

L'avventura coloniale

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero coloniale italiano.

Il Corno d'Africa

Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo italiano e Campagna d'Africa orientale .
File:Italian East Africa.jpg
Stemma dell'Africa Italiana.

L'inizio del regno vide l'Italia impegnata anche in una serie di guerre di espansione coloniale. L'occupazione cominciò nel novembre 1869 con il padre lazzarista Giuseppe Sapeto che, avviò le trattative per l'acquisto della Baia di Assab. Il governo egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel 1882 dopo tre tentativi. L’iniziativa fu appoggiata dai governi di sinistra di Agostino Depretis e da una compagnia private guidata da Raffaele Rubattino. Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno diventò ufficialmente italiano.

Oltre all'acquisizione di Assab da parte della società Rubattino, lo stato italiano cercò di occupare il porto di Zeila, a quel tempo controllato dagli egiziani, ma con esito negativo. Quando gli egiziani si ritirarono dal Corno d'Africa nel 1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la Gran Bretagna per l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab formò i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso. Dal 1890 assunsero la denominazione ufficiale di Colonia Eritrea.

L’interesse per la fondazione di colonie italiane continuò anche durante i governi di Francesco Crispi. La città di Massaua diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. Agli inizi degli anni '80 questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, dancale, somale e oromo, autonome oppure soggette a dominatori. All’epoca i signori della zona erano gli egiziani (lungo le coste del mar Rosso), alcuni sultanati (i più importanti furono gli Harar, gli Obbia, e i Zanzibar), emiri o capi tribali. Diverso il caso dell'Etiopia, allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè Imperatore) Giovanni IV, ma con la presenza di un stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da Menelik II.

Attraverso i commercianti e gli studiosi italiani che frequentavano la zona, già dagli anni Sessanta, l'Italia cercò di dividere i due Negus al fine di penetrare, prima politicamente e poi militarmente, all'interno dell’Etiopia. Tra i progetti ci fu l'occupazione della città santa di Harar, l'acquisto di Zeila dai britannici e l'affitto del porto di Chisimaio, posto alla foce del Giuba, in Somalia. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente.

Umberto I, Re d'Italia dal 1878 al 1900

Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano di Aden con i i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su Migiurtina. Nel 1892 il Sultano di Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla società commerciale "Filonardi". Il Benadir, sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'Omo, e per ottenere il protettorato sulla città di Lugh.

A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV in una guerra contro i dervisci sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di Asmara, sulla base di precedenti accordi fatti con Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere Negus Neghesti, cioè “Re di Re” (“Imperatore”). Con il trattato che seguì, Menelik accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l’interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un protettorato e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi.

La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concretizzò con la campagna d'Africa Orientale (1895-1896) e terminò con la sconfitta di Adua (1 marzo 1896). Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al colonialismo europeo del XIX secolo. Anche dopo questa cocente sconfitta la politica coloniale nel Corno d’africa continuò con il protettorato sulla Somalia, dichiarata colonia nel 1905.

Dalla Sirte al Ciad

Uno dei tentativi di creare un Impero coloniale oltre il Corno d’Africa era quello di un’espansione che andasse dal mare Mediterraneo al golfo di Guinea. Il progetto non venne mai esplicitato pubblicamente, ma fu chiaro durante le trattative per il Trattato di Versailles (1919), dopo la prima guerra mondiale, che causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare questa intenzione, avendo già formale possesso della Libia, il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del Camerun e cercò di ottenere, come compenso per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia all'Italia. Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla Francia e l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba, oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e ed il Ciad, possedimento francese.

Una delle richieste italiane durante il Trattato di Versailles dopo la prima guerra mondiale fu quella di annettere la Somalia Francese e il Somaliland in cambio della rinuncia alla partecipazione nella ripartizione delle colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Il tentativo non ebbe seguito. Fu l'ultima manovra dello “stato liberale”, prima del fascismo, relativa alla penetrazione nel Corno d'Africa.


Colonie italiane

Eritrea (1884 - 1941)

Lo stesso argomento in dettaglio: Eritrea italiana.
Menelik II, imperatore d'Abissinia (oggi Etiopia) dal 1889 al 1913

L'area del mar Rosso fu una delle zone che suscitò il maggior interesse dei governi della Sinistra italiana.

Primo nucleo della futura colonia Eritrea fu l'area commerciale stabilita dalla società Rubattino nel 1870 presso la baia di Assab. Abbandonata per quasi dieci anni, fu poi acquistata dallo stato italiano agli inizi degli anni Ottanta e assieme al porto di Massaua, occupato nel 1884, compose i possedimenti italiani del mar Rosso.

Con il Trattato di Uccialli i possedimenti italiani vennero estesi nell'entroterra fino alle sponde del fiume Mareb. Di conseguenza il 1 gennaio 1890 fu istituzionalizzato il possesso di quei territori con la creazione di una colonia retta da un Governatore e avente capoluogo la città di Asmara (climaticamente più confortevole per gli italiani rispetto a Massaua).

La massima espansione dei suoi confini fu raggiunta agli inizi del 1896, quando il Governatore della colonia, Oreste Baratieri dovette tramutare in realtà il progetto di occupazione dell'entroterra etiopico. Nel 1894 aveva fatto occupare la città sudanese di Cassala, allora possedimento derviscio, mentre nel 1895 durante la campagna d'Africa Orientale, occupò ampie zone del Tigray, comprendenti la città di Axum. A seguito della sconfitta nella battaglia di Adua, i confini della colonia ritornarono ad essere quelli stabiliti dal Trattato e tali rimasero fino alla guerra d'Etiopia.

Primo governatore non militare fu Ferdinando Martini a quel tempo convinto sostenitore della necessità per lo stato italiano di possedere colonie. A costui toccò il compito di ristabilire contatti pacifici con l'Etiopia, di migliorare i rapporti fra italiani e popolazioni indigene e di creare un corpo di funzionari che portasse avanti l'amministrazione della colonia. Fu grazie alla sua politica che la colonia ebbe degli Ordinamenti Organici e dei codici coloniali.

La Somalia (1890 - 1941)

Lo stesso argomento in dettaglio: Somalia Italiana.

La prima penetrazione italiana in Somalia fu stabilita nel sud del paese africano tra il 1889 e il 1890 come protettorato. Fu dichiarata colonia nel 1905. Nel giugno 1925 la sfera di influenza italiana venne estesa fino ai territori dell'Oltregiuba e le isole Giuba, fino ad allora parte del Kenya inglese e cedute come ricompensa per l'entrata in guerra a fianco degli Alleati durante la prima guerra mondiale.

Tientsin, Cina (1901 - 1943)

Lo stesso argomento in dettaglio: Concessione italiana di Tientsin.

Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito all'Italia una concessione commerciale nell'area della città di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. La concessione italiana, di 46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dal Celeste impero alle potenze europee. Dopo la fine della prima guerra mondiale la concessione austriaca nella stessa città fu inglobata in quella italiana. I termini di tale concessione vennero ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che inglobò la concessione) nel 1943. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i quartieri commerciali italiani a Shanghai, Hankow e Pechino, furono formalmente soppressi con il trattato di pace del 1947.

Libia (1911 - 1943)

Lo stesso argomento in dettaglio: Libia italiana.

Dopo una breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911, l'Italia acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito degli accordi del Trattato di Losanna. Le mire italiane sulla Libia, vennero appoggiate dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel territorio in funzione anti-inglese. Con il fascismo, alla Libia venne attribuito l'appellativo di quarta sponda, quando in realtà per gran parte degli anni '20 fu impegnata in una sanguinosa pacificazione della colonia (durante la quale si fece ricorso ai gas asfissianti e alle deportazioni di massa).

Il Dodecaneso (1912 - 1943)

Lo stesso argomento in dettaglio: Dodecaneso.

Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della guerra in Libia contro l'Impero Ottomano, l'Italia decise di occupare dodici isole del mar Egeo sottoposte al dominio turco: il cosiddetto Dodecaneso. A seguito del Trattato di Losanna, l'Italia poté mantenere l'occupazione militare delle dodici isole fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con la resistenza libica, per cui l'occupazione dell'area nel mar Egeo venne mantenuta nei fatti fino al 21 agosto 1915, giorno in cui l'Italia, entrata nella prima guerra mondiale assieme le forze dell'Intesa, riprese le ostilità contro l'Impero Ottomano.

Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche e francesi.

Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo greco all'interno del Trattato di Sèvres del 1919, si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo della parte sud-ovest dell'Anatolia (Occupazione italiana di Adalia), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino carbonifero di Adalia. La sconfitta dei greci nella guerra contro la Repubblica di Turchia nel 1922, rese impossibile l'accordo e l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a quando, con il Trattato di Losanna del 1923, l'amministrazione dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.

Saseno (1914-1920)

L'isola di Saseno fu occupata il 30 ottobre 1914 dal Regno d'Italia, fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, il 18 settembre 1920, grazie ad un accordo italo-albanese (accordo di Tirana del 2 agosto 1920, in cambio delle pretese italiane su Valona) e ad un accordo con la Grecia, entrò a far parte dell'Italia che la voleva per la sua posizione strategica.

Fece prima parte della provincia di Zara (dal 1920 al 1941), poi nel 1941 entrò a far parte della provincia di Cattaro (Dalmazia). Occupata dai Tedeschi nel settembre del 1943 e dai partigiani albanesi nel maggio del 1944, l'isola venne restituita all'Albania per effetto del Trattato di Parigi del 10 febbraio (1947).

Oggi sull'isola esiste un deposito e una caserma della Guardia Costiera aperta nel 1997 per reprimere i traffici illeciti tra l'Italia e l'Albania e restano le installazioni (incluso un faro e varie fortificazioni) costruite durante la precedente occupazione italiana.

Fatti di sangue durante il dominio coloniale italiano

Lo stesso argomento in dettaglio: Crimini di guerra italiani.

A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia [16], durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi[17]) alcune atrocità e crimini contro l'umanità[18][19].

L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918)

L'iniziale neutralità

Lo stesso argomento in dettaglio: Neutralità italiana (1914-1915).
Armando Diaz

Nella prima guerra mondiale l'Italia rimase inizialmente neutrale, per poi scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la firma del segreto Patto di Londra.

L’accordo prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, ed in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo fino al Brennero (Alto Adige), la Venezia Giulia, l'intera penisola istriana, con l'esclusione di Fiume, una parte della Dalmazia.

Per quanto riguarda i possedimenti coloniale l'Italia avrebbe conquistato l'arcipelago del Dodecaneso (occupato, ma non annesso a colonia dopo la guerra italo-turca), la base di Valona in Albania , il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, nonché un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania (l'Italia in Africa possedeva già Libia, Somalia ed Eritrea).

1915

Lo stato italiano decise di entrare in guerra il 24 maggio 1915.

L'Isonzo vicino a Caporetto

Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna, che aveva come obiettivo il raggiungimento di Vienna passando per Lubiana[20]. All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, Riccardo di Giusto.

Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le Alpi, dallo Stelvio al mare Adriatico. Lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli Isonzo, in direzione di Lubiana. Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra posizione simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine. Nelle ultime battaglie dell’Isonzo, combattute alla fine del 1915, le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, equivalenti a circa un quarto delle forze mobilitate.

1916

La cartolina di un soldato al fronte alla famiglia

L’inizio del 1916 fu caratterizzato dalla quinta battaglia dell'Isonzo che non portò ad nessun risultato. In scontri che seguirono gli austro-ungarici sfondarono in Trentino, occupando l’altopiano di Asiago. Questa offensiva fu fermata a fatica dall’Esercito italiano che reagì con una controffensiva respingendo il nemico fino all’altopiano del Carso. Lo scontro fu chiamato battaglia degli Altipiani.

Il 4 agosto 1916 fu conquistata Gorizia che, pur non essendo di importanza strategica, fu presa a caro prezzo (20.000 morti e 50.000 feriti). Anche le ultime tre battaglie combattute nell’anno non portarono a nessun guadagno strategico a fronte però di 37.000 morti e 88.000 feriti.

Oltre la conquista di Gorizia, l’unico guadagno territoriale fu l’avanzamento del fronte di qualche chilometro in Trentino.

1917

Un bastione eretto durante la guerra nei pressi di Plezzo

Il 18 agosto 1917 iniziò la più imponente offensiva italiana nel conflitto, con 600 battaglioni e 5.200 pezzi d’artiglieria (a fronte, rispettivamente dei 250 e 2.200 austriaci). Nonostante lo sforzo la battaglia non portò a nessuna acquisto territoriale né tantomeno alla conquista di postazioni strategie. Ingente fu il prezzo pagato con il sangue (30.000 morti, 110.000 feriti e 20.000 tra dispersi o prigionieri).

Nell’ottobre 1917 la Russia abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione comunista. Le truppe degli Imperi Centrali furono spostate dal fronte orientale a quello occidentale.

Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l’avanzata.

Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2a Armata comandato dal generale Luigi Capello. Il generale Capello e Luigi Cadorna da tempo avevano il sospetto di un probabile attacco, ma sottovalutarono le notizie e l'effettiva capacità offensiva delle forze nemiche. Gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. L’unica armata che resistette al disastro[21] fu la 3a, guidata da Emanuele Filiberto di Savoia, cugino di Re Vittorio Emanuele III.

Mappa dell'avanzata austro-ungarica tedesca in seguito alla rotta italiana

La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l’Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, in Trentino. I 350.000 soldati dislocati lungo il fronte si diedero a una ritirata disordinata assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone invase. Ingenti furono le perdite di materiale bellico. Inizialmente si tentò di fermare la ripiegamento portando il nuovo fronte lungo il fiume Tagliamento, con scarso successo, poi al fiume Piave, dove , l'11 novembre 1917, la ritirata ebbe fine anche grazie al diniego di Re Vittorio Emanuele III alla proposta di indietreggiare fino al Mincio.

A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso il 29 ottobre 1917, indicò, in modo errato e strumentale «la mancata resistenza di reparti della II armata» come la motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito austro-ungarico. In seguito Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del Piave.

La disfatta portò alcune conseguenze: Cadorna venne rimosso dall'incarico e sostituito dal maresciallo Armando Diaz nel ruolo di capo di stato maggiore. Oltre a Cadorna perse il posto anche il generale Luigi Capello, ritenuto principale responsabile della sconfitta. Un’altra effetto della disfatta l’ elevato malcontento nelle truppe. I disordini furono frequenti, e molti si concludevano con sommarie fucilazioni.

1918

Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva del Piave e Battaglia di Vittorio Veneto.
Schema della Battaglia di Vittorio Veneto nel 1918 risultata decisiva per la vittoria italiana nella guerra

La severa disciplina di Cadorna, i lunghi mesi in trincea e il disastro di Caporetto avevano fiaccato l'esercito. Per i militari più religiosi furono anche determinanti le parole di papa Benedetto XV sull'”inutile strage”. Diaz, per fronteggiare questi problemi e per raggiungere la vittoria, cambiò completamente strategia. Innanzitutto alleggerì la disciplina ferrea. Secondariamente, essendo il nuovo fronte meglio difendibile di quello lungo l’Isonzo, puntò ad azioni mirate alla difesa del territorio nazionale, piuttosto che a sterili ma sanguinosi contrattacchi. Ciò il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto per la vittoria finale. Già nel 1917 furono chiamata alle armi la classe dei nati nel 1899 (i cosiddetti “Ragazzi del '99”).

Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta.

L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella battaglia del solstizio (15 - 23 giugno 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per impegnare le riserve austro-ungariche ed impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.

«La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S. M. il Re Duce Supremo, l'Esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. [...]
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.»

Da Vittorio Veneto, il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a Trento mentre i bersaglieri sbarcarono a Trieste, chiamati dal locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa. Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa e Fiume. Quest'ultima pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato, sulla base dei principi wilsoniani, l'unione della città all'Italia. L'esercito italiano forzò comunque la linea del Trattato di Londra intendendo occupare anche Lubiana, ma fu fermato poco oltre Postumia dalle truppe serbe. I cinque reparti della Marina entravano a Pola. Il giorno seguente venivano inviati altri mezzi a Sebenico che diventava la sede principale del Governo Militare della Dalmazia.

L' ultimo caduto italiano è stato il caporalmaggiore Giuseppe Pezzarossa di 19 anni appartenente alla 1º Sezione Mantova, colpito da una pallottola in fronte alle ore 15 a sud di Udine.

L’esito del conflitto

Il Sacrario Militare di Redipuglia

L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria ed alcuni territori del Friuli ancora irredenti. Queste regioni avevano fatto parte, fino ad allora, della Cisleitania nell'ambito dell'Impero Austro-Ungarico (ad eccezione della città di Fiume, incorporata nel Regno d'Italia nel 1924 e posta in Transleitania).

Il prezzo fu altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un totale 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.[22] [23] [24] Le conseguenze sociali ed economiche furono pesantissime: l'Italia con la sua economia basata sull' agricoltura perse una grossa fetta della sua forza-lavoro causando la rovina di moltissime famiglie.

Tuttavia, l'Italia non vide riconosciuti i diritti territoriali acquisiti sulla Dalmazia con l'intervento a fianco degli alleati: in base al Patto di Londra con cui aveva negoziato la propria entrata in guerra, l'Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia settentrionale incluse le città di Zara, Sebenico e Tenin. Tuttavia, in base al principio della nazionalità propugnato dal presidente americano Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell'isola di Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse all'Italia.

Il Fascismo

Le origini

Il fascio littorio, simbolo del fascismo.

Dopo la Grande Guerra la situazione interna italiana era precaria: il trattato di pace firmato a Versailles non aveva portato a nessun vantaggio importante all’Italia. Non furono accolte nemmeno le richieste più moderate.

Le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte.

Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti s'insinuò il il timore di una possibile rivoluzione comunista, sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari dalle forze armate.

Nascita del fascismo

Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del Trattato di Pace, si infiammò ed alimentò il mito della vittoria mutilata, emersero le organizzazioni di reduci ed in particolare quelle che raccoglievano gli ex-arditi (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte.

Con la fine della I guerra mondiale ed essendo l'Italia risultata vittoriosa nel conflitto, alla conferenza di pace di Parigi richiese che venisse applicato alla lettera il patto (memorandum) di Londra, che preveda l’annessione anche della Dalmazia così non fu a causa del parere contrario del presidente americano Wilson. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal Danubio. Il risultato fu che le potenze dell'Intesa alleate dell'Italia opposero un rifiuto e ritrattarono quanto promesso nel 1915.

Incontro tra Benito Mussolini e Gabriele D'Annunzio, il poeta attivo nella Prima Guerra Mondiale ed anche nella lotta per l'indipendenza di Fiume

L'Italia fu divisa sul da farsi, e Vittorio Emanuele Orlando abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. Le potenze vincitrici furono così libere di disegnare il nuovo confine orientale dell'Italia senza che essa presenziasse, e applicarono il trattato di Londra secondo il loro giudizio; la Dalmazia, che pure fu occupata militarmente dall'Italia dalla fine della prima guerra mondiale alla prima conferenza di pace di Parigi, fu assegnata al neonato regno dei Serbi, Croati, e Sloveni, la Jugoslavia.

Fu questo il contesto nel quale il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano il primo fascio di combattimento, adottando simboli che sino ad allora avevano contraddistinto gli arditi, come le camicie nere e il teschio.

Il nuovo movimento espresse la volontà di "trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana" autodefinendosi partito dell'ordine riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei "fasci di combattimento" si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari.

Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe dovuto rappresentare la "terza via".

Gli anni dello squadrismo

Devastazione di una sede socialista con falò sulla strada delle carte e suppellettili ivi rinvenute (1921)

Nel movimento, oltre agli arditi, confluirono anche futuristi, nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. Appena 20 giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate squadre d'azione si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista L'Avanti!, devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Era l'inizio della guerra civile.

Nel giro di qualche mese le squadre fasciste si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze dei movimenti politici rivoluzionari contrapposti di fascismo e bolscevismo che iniziarono a contendersi il campo, sotto lo sguardo di uno stato pressoché incapace di reagire tanto agli scioperi e alle occupazioni delle fabbriche da parte bolscevica, quanto alle "spedizioni punitive" degli squadristi.

Il 12 novembre 1921 nasceva il Partito Nazionale Fascista (PNF), trasformando il movimento in partito e accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il PSI aveva superato di poco i 200.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti emiliani e toscani. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ras furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del manganello e dell'olio di ricino, o addirittura commettendo omicidi che restavano il più delle volte impuniti. In questo clima di violenze, alle elezioni del 15 maggio 1921 i fascisti ottennero a sorpresa 45 seggi.

Marcia su Roma e primi anni di governo

Un momento della marcia su Roma

Dopo il Congresso di Napoli, in cui 40.000 camicie nere inneggiarono a marciare su Roma, Mussolini diede seguito ai suoi piani insurrezionali contro il debole governo italiano: il momento pareva propizio, ed un forte contingente di 50.000 squadristi venne radunato nell'alto Lazio e condotto da un quadrumvirato, composto da Italo Balbo (uno dei ras più famosi), Emilio De Bono (comandante della Milizia), Cesare Maria De Vecchi (un generale non sgradito al Quirinale) e Michele Bianchi (segretario del partito fedelissimo di Mussolini che, invece, rimase prudentemente a Milano), mosse contro la Capitale, il 26 ottobre 1922. Mentre l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista (con Badoglio principale sostenitore della linea dura) il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d'emergenza, costringendo alle dimissioni il presidente del consiglio Luigi Facta ed il suo governo. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il 28 ottobre, senza incontrare alcuna resistenza ed effettuando anche qualche azione violenta contro i comunisti e i socialisti della città.

Il 30 ottobre, dopo la marcia su Roma, il re incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Il capo del fascismo lasciò Milano per Roma, ed immediatamente si mise all'opera. A soli 39 anni Mussolini diveniva presidente del consiglio, il più giovane nella storia dell'Italia unita.

Il nuovo governo comprendeva elementi dei partiti moderati di centro e di destra e militari, e - ovviamente - molti fascisti.

Fra le prime iniziative intraprese dal nuovo corso politico vi fu il tentativo di "normalizzazione" delle squadre fasciste - che in molti casi continuavano a commettere violenze -, provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche riduzioni della spesa pubblica, la riforma della scuola (Riforma Gentile), la firma degli accordi di Washington sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di Iugoslavia circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in Dalmazia.

Il fascismo diventa dittatura

Giacomo Matteotti

In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (c.d. "Legge Acerbo") che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. Il listone guidato da Mussolini ottenne il 64,9% dei voti.

Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso.

L'opposizione rispose a questo avvenimento ritirandosi sull'Aventino (Secessione aventiniana), ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di Roma. Uomini quali Ivanoe Bonomi, Antonio Salandra e Vittorio Emanuele Orlando esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito ma Vittorio Emanuele III appellandosi allo Statuto Albertino replicò: «Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato» e quindi non intervenne.

Ciò che accadde esattamente la notte di San Silvestro del 1924 non sarà forse mai accertato. Pare che una quarantina di consoli della Milizia, guidati da Enzo Galbiati, ingiunsero a Mussolini di instaurare la dittatura minacciando di rovesciarlo in caso contrario.[senza fonte] Il 3 gennaio 1925 alla Camera Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti:

«Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.»

Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime.

La crisi economica

Stemma di Stato durante il fascismo.

Il primo grosso problema che la dittatura dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della prima guerra mondiale portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e ad un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo stato.

Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i debiti di guerra contratti con Stati Uniti e Gran Bretagna. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla lira, che si svalutò pesantemente nei confronti di dollaro e sterlina.

Le mosse per contrastare la crisi non si fecero attendere: venne messo in commercio un tipo di pane con meno farina, venne aggiunto alcool alla benzina, vennero aumentate le ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la tassa sul celibato, vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli.

La conciliazione con la Chiesa

I partecipanti e firmatari dei Patti lateranensi

L'11 febbraio 1929 furono firmati i Patti lateranensi, che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e lo Stato della Città del Vaticano.

Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato dalla così detta legge delle Guarentigie approvata unilateralmente dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di Roma, questa legge non venne mai riconosciuta dai pontefici.

Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in Italia non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo preferiva di gran lunga all'ideologia comunista.

Alla soglia del potere Mussolini affermò (giugno 1921) che «il fascismo non pratica l'anticlericalismo» e alla vigilia della marcia su Roma informò la Santa Sede che non avrebbe avuto nulla da temere da lui e dai suoi uomini.

Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di stato in Italia, fu istituito l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della Santa Sede.

Imprese propagandistiche

Italo Balbo

All'inizio degli anni '30 la dittatura si era ormai stabilizzata ed era fondata su radici solide. I bambini, così come tutto il resto della popolazione, erano inquadrati in organizzazioni di partito, ogni opposizione era stroncata sul nascere, la stampa era profondamente asservita al fascismo.

Fu in questo clima che vennero organizzate diverse imprese aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel mediterraneo e la prima trasvolata dell'Atlantico meridionale (1931), nel 1933 il quadrumviro della marcia su Roma, Italo Balbo, organizzò la seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale per commemorare il decennale dell'istituzione della Regia Aeronautica (28 marzo 1923). A bordo di 25 idrovolanti SIAI-Marchetti S.55X dal 1 luglio al 12 agosto 1933 Balbo e i suoi uomini compirono la traversata fino a New York e ritorno attraversando tutte le maggiori nazione europee e buona parte degli Stati Uniti. Per l'epoca fu un'impresa epica che diede al giovane ferrarese una fama addirittura superiore a quella di Mussolini.

Gli anni del consenso

Nell' 1929 l'autarchia entrò anche nel linguaggio. Furono infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione scritta ed orale: ad esempio chiave inglese diventò chiave morsa, cognac diventò arzente, ferry-boat diventò treno-battello pontone. Conseguentemente vennero rinominate tutte le città con nome francofono dell'Italia nord-occidentale e con nome tedescofono dell'Italia nord-orientale: secondo la toponomastica fascista, per fare un paio di esempi, Courmayeur diventò Cormaiore e Kaltern diventò Caldaro. Inoltre si scoprì che anche l'uso del lei aveva origini straniere, perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del lei con il voi, capeggiata dal segretario del partito Achille Starace.

L'11 ottobre 1935 l'Italia venne sanzionata per l'invasione dell'Etiopia. Le sanzioni in vigore dal 18 novembre consistevano in:

  • Embargo sulle armi e sulle munizioni
  • Divieto di dare prestiti o aprire crediti in Italia
  • Divieto di importare merci italiane
  • Divieto di esportare in Italia merci o materie prime indispensabili all'industria bellica

Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte ad embargo mancano petrolio e i semilavorati.

In realtà fu soltanto la Gran Bretagna a osservare le regole imposte dalle sanzioni. La Germania hitleriana così come gli Stati Uniti furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque bene. La Russia rifornì di nafta l'esercito italiano per tutta la durata del conflitto, ed anche la Polonia si dimostrò piuttosto aperta.

In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La Gran Bretagna venne etichettata col termine di perfida Albione, e le altre potenze furono etichettate come nemiche perché impedivano all'Italia il raggiungimento di un posto al sole. Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'autarchia, secondo la quale tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato. Tutto ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie prime venne sostituito: il tè con il carcadè, il carbone con la lignite, la lana con il lanital (la lana di caseina), la benzina con il carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne abolito perché «fa male» e sostituito con il "caffè" d'orzo.

La guerra civile in Spagna

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile spagnola.
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FIAT C.R.32 del XVI Gruppo Autonomo "cucaracha" scortano un S.M.81 in una missione di bombardamento.

Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile fra le sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del 1936, e la Falange, una forza ideologicamente paragonabile al fascismo che grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle mani di Francisco Franco.

Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e Hitler fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la Seconda Repubblica Spagnola erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi.

Ciò che spinse Mussolini a lanciarsi in un'impresa senza alcun reale tornaconto fu probabilmente la possibilità di offrire agli italiani reduci dalla conquista dell'Etiopia un'altra avventura bellica.[senza fonte]

L'Italia si scopre francamente razzista

Il 14 luglio 1938 il fascismo scrisse una delle pagine più vergognose della storia d'Italia: in quel giorno infatti fu pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali il "Manifesto della razza". In questa sorta di tavola redatta da cinque cattedratici (Arturo Donaggio, Franco Savorgnan, Edoardo Zavattari, Nicola Pende e Sabato Visco) e da cinque assistenti universitari (Leone Franci, Lino Businco, Lidio Cipriani, Guido Landra e Marcello Ricci) venne fissata la «posizione del fascismo nei confronti dei problemi della razza».

I dieci imperativi categorici erano:

  1. Le razze umane esistono
  2. Esistono grandi razze e piccole razze
  3. Il concetto di razza è un concetto puramente biologico
  4. La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza ariana e la sua civiltà è ariana
  5. È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici
  6. Esiste ormai una pura "razza italiana"
  7. È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti
  8. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte e gli Orientali e gli Africani dall'altra
  9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana
  10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo

Con questo manifesto si dava il via a quel processo che portò alla promulgazione delle leggi razziali.

L'alleanza con la Germania Nazista

Dal 1938 in Europa si iniziò a respirare aria di guerra: Hitler aveva già annesso l'Austria e i Sudeti e con la successiva Conferenza di Monaco gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la Cecoslovacchia, mentre Mussolini dopo l'Etiopia stava cercando nuove prede per non perdere il passo dell'alleato d'oltralpe.

La vittima designata venne trovata nell'Albania. In due soli giorni (7-8 aprile 1939) con l'ausilio di 22.000 uomini e 140 carri armati Tirana fu conquistata.

Il 22 maggio tra Germania e Italia venne firmato il Patto d'acciaio. Tale patto assumeva che la guerra fosse imminente, e legava l'Italia in una alleanza stretta con la Germania. Alcuni membri del governo italiano si opposero, e lo stesso Galeazzo Ciano, firmatario per l'Italia, definì il patto una «vera e propria dinamite»

L'Impero

Lo stesso argomento in dettaglio: Africa Orientale Italiana.
L'Impero coloniale italiano nel 1940, nel momento di massima espansione.

A partire dal 1926-27 l'Albania entrò gradualmente nella sfera d'influenza dell'Italia ma solo nell'aprile del 1939 fu occupata militarmente da questo paese che le impose come sovrano Vittorio Emanuele III.

Nel 1928, inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in Etiopia, divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più importante, però, avvenne a Ual Ual, nel 1934, e Mussolini lo usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo stato etiopico.

Mussolini, quindi, nel gennaio 1935 prese accordi con il ministro degli esterni francese, Pierre Laval per assicurarsi un sostegno diplomatico contro l'Etiopia.[25] Pochi mesi più tardi la società delle nazioni riconobbe la buona fede di entrambi i Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a Cagliari non erano soddisfatti.

Il 2 ottobre del 1935, poi Mussolini dichiarò guerra all'Etiopia (Guerra d'Etiopia) e il giorno successivo iniziarono le operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle basi eritree, sotto il comando di De Bono, che da quelle somale, sotto al guida di Graziani. Contemporaneamente la Società delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno stato membro, con pesanti ripercussioni sull’economia italiana[26]. In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le truppe abissine. A novembre Pietro Badoglio sostituì De Bono e il 7 maggio 1936 l'Etiopia venne sconfitta ed entrò a fare parte del Regno d'Italia, divenuto Impero. Vittorio Emanuele III assunse infatti il titolo di “Imperatore d'Etiopia”.

La guerra d’Etiopia e la nascita dell'Impero

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra d'Etiopia.

Il fascismo cercò innanzitutto di presentarsi in maniera diversa nei confronti dell'Etiopia cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente Haile Selassie. Tale accordo si concretizzò nel 1928. In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore Jacopo Gasparini cercò di ottenere un protettorato sullo Yemen e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba, ma Mussolini non volle inimicarsi la Gran Bretagna e fermò il progetto.

A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni '20, Mussolini manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello di Negus Neghesti).

Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941.

Le colonie durante il fascismo

Vittorio Emanuele III, Re d'Italia dal 1900 al 1946 ed Imperatore d'Etiopia dal 1936 al 1943

Durante il fascismo l’Eritrea fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore Jacopo Gasparini, che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. La colonia Eritrea venne inglobata nell'Africa Orientale Italiana nel 1936, diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame. Nel 1941 la colonia venne occupata, insieme al resto dell'Africa Orientale Italiana, dalle truppe britanniche.

All'inizio della seconda guerra mondiale, nel maggio 1940 le truppe italiane occuparono la Somalia britannica (Somaliland), che fu amministrativamente incorporata nella Somalia italiana. Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi occuparono tutta la Somalia italiana e riconquistarono anche il Somaliland. Dopo l'invasione da parte delle truppe alleate nella seconda guerra mondiale la Somalia Italiana fu consegnata all'Italia in amministrazione fiduciaria decennale nel 1950.

Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di Libia, nome utilizzato 1.500 anni prima da Diocleziano per indicare quei territori. L'Italia perse il controllo sulla Libia, quando le forze italo-tedesche si ritirarono in Tunisia nel 1943. Dopo la fine della guerra, la Libia venne provvisoriamente amministrata dalla Gran Bretagna fino al conseguimento definitivo dell'indipendenza nel 1951.

Negli anni Venti e Trenta l'amministrazione del dodecaneso da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di lingua greca, con la presenza di una minoranza turca ed ebraica. Nel settembre 1943 dopo l'Armistizio di Cassibile, i soldati del Terzo Reich occuparono le isole. L'8 maggio del 1945 le forze britanniche presero possesso dell'isola di Rodi e tramutarono il Dodecaneso in un protettorato. Con il Trattato di Parigi (1947), gli accordi fra Grecia e Italia stabilirono il possesso formale delle isole da parte dello stato greco, che assunse pieno controllo amministrativo solamente nel 1948.

Durante il regime fascista fu ampliati i possedimenti coloniali. Oltre a Eritrea, Somalia, Libia, dodecaneso e la concessione di Tientsin, entrarono nella sfera d’influenza italiana la già citata Etiopia, l’Albania.

Etiopia (1936 - 1941)

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero Italiano d'Etiopia.

L'Abissinia (l'odierna Etiopia) fu conquistata dalle truppe italiane, comandate dal Generale Pietro Badoglio dopo la guerra del 1935-1936. La vittoria fu annunciata il 9 maggio 1936, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d'Etiopia, Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a Badoglio fu concesso il titolo di Duca di Addis Abeba.

Con la conquista dell'Etiopia, i possedimenti italiani in africa orientale (Etiopia, Somalia ed Eritrea) furono unificati sotto il nome di Africa Orientale Italiana A.O.I., e posti sotto il governo di un Viceré.

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Il Generale Guglielmo Nasi e le sue ultime truppe ottenero gli onori militari dagli inglesi a Gondar (Etiopia), nel Novembre 1941

L'Etiopia fu la colonia italiana, insieme all'Eritrea, più interessata dalla costruzione di nuove strade, grandi infrastrutture (ponti, ecc.) e anche dalla sistemazione delle città, specie della capitale Addis Abeba secondo un piano regolatore prestabilito (nuovi quartieri, una nuova ferrovia). La breve presenza italiana, di soli 5 anni, e le difficoltà di pacificazione della zona, non permise la sistemazione totale della città, che sarebbe dovuta essere il fiore all'occhiello del colonialismo italiano. Tuttavia, quale membro della Lega delle Nazioni, l'Italia ricevette la condanna internazionale per l'occupazione dell'Etiopia, che era uno stato membro.

Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi sconfissero gli italiani ed occuparono l'Etiopia, anche se alcuni focolai di resistenza italiana si mantennero attivi a Gondar fino all'autunno del 1941. Inoltre si ebbe anche una guerriglia italiana durata fino al 1943. Gli inglesi reinsediarono il deposto Negus, Haile Selassie, esattamente cinque anni dopo la sua cacciata.

Albania (1939 - 1943)

Lo stesso argomento in dettaglio: Occupazione italiana del Regno di Albania.

L'Albania era sotto la sfera di influenza italiana dagli anni venti, e l'isola di Saseno davanti Valona era parte integrante del Regno d'Italia dai tempi della Pace di Parigi (1919). Dopo alterne vicende, l'Albania venne occupata militarmente da truppe italiane nel 1939. Alla base di questa decisione, vi fu il tentativo di Mussolini di controbilanciare l'alleanza con la sempre più potente Germania nazista di Hitler, dopo l'occupazione dell'Austria e della Cecoslovacchia. L'invasione dell'Albania, iniziata il 7 aprile 1939 fu completata in cinque giorni. Il re Zog si rifugiò a Londra.

Vittorio Emanuele III ottenne la corona albanese, e venne insediato un governo fascista guidato da Shefqet Verlaci. Le forze dell'esercito albanese vennero incorporate in quello italiano.

Nel 1941 vennero uniti all'Albania il Kosovo, alcune piccole aree del Montenegro ed una parte della Macedonia ( territori già iugoslavi).

La resistenza contro l'occupazione italiana inizió nell'estate 1942 e si fece più violenta e organizzata nel 1943: nell'estate del 1943 le montagne interne erano difatti sotto il controllo diretto della resistenza albanese guidata da Enver Hoxha. Nel settembre 1943 dopo la caduta di Mussolini, il controllo sull'Albania venne assunto dalla Germania nazista.

L'Italia nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1945)

Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra mondiale.

1940

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Mezzi motorizzati inglesi distrutti da un attacco aereo italiano nel Somaliland

Nel 1940 l'Italia fu alleata con la Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale contro Francia e Regno Unito, dichiarando nel 1941 guerra alla Unione Sovietica e con l'Impero giapponese agli Stati Uniti d'America. Mussolini credeva infatti in una guerra lampo a favore della Germania di Hitler da cui poter trarre vantaggi come alleato. Il 10 giugno 1940 l'Italia entrò quindi in guerra. I primi scontri ebbero luogo il 21 giugno sulle Alpi, contro la Francia, ormai attacatta dai tedeschi con la tattica del blitzkrieg, che portò allo stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese, riportando i confini a prima del 1850, con l'esclusione di Nizza. Tra agosto e settembre cominciarono le operazioni nell'Africa. Il 3 agosto venne attaccata la Somalia britannica, che venne conquistata il 19 agosto. Contemporaneamente, a nord, le truppe comandate dal generale Rodolfo Graziani attaccarono gli inglesi stanziati in Egitto e si spinsero fino a Sidi el Barrani. Nello stesso momento lo stato maggiore fascista concentrò le sue mire espansionistiche in Grecia. Più volte bloccati dalla Germania durante l'estate nell'ottobre del 1940 gli italiani cominciarono a muoversi verso la penisola. Pensando di non trovare alcuna resistenza le truppe italiane avanzarono, ma tra novembre e dicembre i greci, aiutati anche dagli inglesi, passarono all'azione e costrinsero gli italiani a ritirarsi in Albania. Anche la flotta italiana subì alcune perdite tra gli uomini e il parziale affondamento della Corazzata Cavour e il danneggiamento di altre due navi a causa di un attacco dell'aviazione inglese al porto di Taranto. Intanto la situazione peggiorò anche in Africa.

La corazzata Cavour parzialmente affondata nella Notte di Taranto dall'aviazione inglese

Gli insuccessi in Grecia portarono poi, il 4 dicembre alle dimissioni dal ruolo di capo di Stato Maggiore Pietro Badoglio, che venne sostituito dal generale Ugo Cavallero. Pochi giorni dopo, tra il 10 e l'16 dicembre gli inglesi iniziarono un'offensiva in Nord Africa, sconfiggendo le truppe italiane e riprendendosi Sidi el Barrani e la Baia di Sollum.

1941

Nel febbraio 1941 gli inglesi sconfissero nuovamente gli italiani, in Egitto penetrando anche in Libia nella regione della Cirenaica. Contemporaneamente si registrarono i primi insuccessi anche nelle colonie del corno d'Africa, culminati il 20 maggio con la resa del Duca d'Aosta dopo la battaglia sull'Amba Alagi. In questa occasione all'esercito italiano gli fu reso l'onore delle armi da parte dei britannici. Nel marzo ripresero poi le operazioni in Grecia, ma nonostante gli sforzi fatti da Cavallero, l'esercito italiano venne nuovamente sconfitto e questo fatto causò la fine della Guerra parallela, così chiamata da Mussolini.[27] Nell'aprile, quindi gli sforzi militari italiani si diressero verso la Jugoslavia al fine di anticipare i nazisti, senza ottenere grandi risultati. L'11 aprile i tedeschi si impossessarono dell'area balcanica, concedendo allo stato fascista di mettere nominalmente a capo dello stato croato un rappresentante di casa Savoia. L'influenza italiana si limitò solamente alle zone costiere e, in base ad accordi con il capo del governo croato Ante Pavelic, l'Italia avrebbe avuto per 25 anni il dominio del litorale della Croazia.[28]

L'intervento tedesco nei Balcani fece rinviare la campagna in Russia, in quanto i nazisti avevano interesse a proteggere dagli inglesi gli stati satelliti. Nel giugno 1941, comunque venne intrapresa la campagna militare, con l'Operazione Barbarossa. Il governo italiano decise un'ampia partecipazione delle proprie truppe, temendo di avere un ruolo sempre più marginale nella guerra, mandando in azione il CSIR al comando del generale Giovanni Messe. Contemporaneamente l'arrivo di Erwin Rommel in Libia vide un netto miglioramento della situazione, ma con il passare dei mesi la scarsità di rifornimenti dovuti all'affondamento di questi da parte degli inglesi stanziati a Malta fece arretrare nuovamente il fronte. In Russia il CSIR vinse alcune battaglie, ma, a partire da ottobre, l'inverno causò vari problemi ai soldati italiani, non muniti di sufficienti protezioni contro il freddo.

1942

I granatieri difendono Roma il 9 settembre del 1943

Nel 1942 le operazioni italiane si concentrarono in Unione Sovietica e Africa. In entrambi i fronti, grazie alle truppe tedesche si ebbero frequenti successi: in Russia si conquistarono vasti territori e si arrivò a controllare durante l'estate anche Stalingrado, mentre nel nord Africa Rommel si spinse in Egitto, conquistò varie città, più importante delle quali Tobruch, facendo prigionieri molti inglesi, ma a causa degli attacchi dell'aviazione anglo-americana e dei rinforzi sempre meno frequenti si arrivò ad una sconfitta nella battaglia di El Alamein, che segnò la fine delle speranze dell'Asse di conquistare l'Egitto ed i campi petroliferi del Medio Oriente. A seguito di questa sconfitta cominciò la ritirata e gli italiani, non muniti di mezzi veloci vennero sconfitti dagli inglesi, con le divisioni Ariete e Littorio che vennero quasi completamente annientate dalla controffensiva.

La situazione peggiorò poi anche in Russia con l'avvicinarsi dell'inverno, infatti Mussolini non si era curato di rafforzare l'equipaggiamento delle truppe italiane appartenenti all'ARMIR,[29] ex CSIR. Già nell'estate vi erano state pesanti decimazioni nell'esercito italiano e nel dicembre 1942 cominciano le prime pesanti sconfitte, seguite dalla ritirata.

1943

Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Sociale Italiana.
Lo sbarco americano a Gela
1943:due donne, nell'Italia meridionale che trasportano brocche d'acqua sulla testa

Le sconfitte sia sul fronte africano che su quello russo causarono in Italia vari scioperi e un calo di consensi nei confronti del fascismo e di Mussolini. Intanto, in Africa, proseguì la resistenza delle truppe italiane, mentre in Russia procedeva la ritirata. A maggio venne presa Tunisi, ultimo baluardo dell'esercito regio italiano e poche settimane più tardi anche le isole di Lampedusa e Pantelleria, dando inizio all'Operazione Husky.

Le difficoltà militari colpirono anche Mussolini. Il 24 luglio si riunì il Gran Consiglio del Fascismo e il mattino seguente il duce venne sfiduciato. Vittorio Emanuele III decise quindi di sostituirlo a capo del governo con Pietro Badoglio. Proprio mentre si trovava a colloquio con il re, Mussolini venne arrestato: il monarca aveva fatto circondare l'edificio dai carabinieri, e il duce viene portato a Ponza, in carcere. Successivamente fu trasferito a La Maddalena e sul Gran Sasso. Intanto il nuovo capo del governo Badoglio annunciò il continuo della guerra a fianco dei tedeschi, ma contemporaneamente stava trattando l'armistizio con gli Alleati, che venne firmato il 3 settembre e reso pubblico l'8.

Il giorno successivo il re e Badoglio fuggirono da Roma, andando in Puglia, sotto la protezione di inglesi e americani. Sempre in questi giorni le truppe italiane, che non avevano ordini precisi (e nella coscienza popolare l'8 settembre viene ricordato come il giorno del "Tutti a casa"), vennero catturate dai soldati tedeschi e molti componenti dell'esercito finirono prigionieri.

Il 12 settembre un reparto speciale tedesco liberò Mussolini, che venne incaricato di formare un nuovo regno nel nord Italia.

Il Paese si trovò così diviso in due: il Regno del Sud a fianco degli alleati contro la Germania e la Repubblica Sociale Italiana, formata dai reduci fascisti. Di fatto, erano entrambi due stati-fantoccio, rispettivamente degli anglo-americani e dei tedeschi. In questo quadro drammatico, nacquero però le prime formazioni partigiane, che soprattutto nel centro-nord diedero vita al primo nucleo dell'Italia libera; tutte le formazioni si schierarono contro i fascisti, responsabili della guerra, ma non tutte contro la monarchia. Gli stessi partigiani si divisero, dando inizio così alla guerra civile italiana.

Nascita dei partigiani

Lo stesso argomento in dettaglio: Brigata partigiana.

I partigiani della resistenza italiana si divisero in tre grandi gruppi:

  • i partigiani azzurri
  • i partigiani rossi
  • i partigiani verdi

Gli altri gruppi minori furono le Brigate bianche e le Brigate Matteotti.

Tutte le formazioni partigiane riconobbero, nella diversità dei loro ideali (da ex-ufficiali a comunisti, da cattolici a monarchici), l'obiettivo comune di cacciare dalla Penisola Mussolini ed il fascismo, considerati i responsabili del disastro che aveva colpito la nazione.

La Resistenza

Lo stesso argomento in dettaglio: Resistenza Italiana.

Con un paese troncato in due, occupato da diversi eserciti impegnati in una lotta all'ultimo sangue, gli italiani si ritrovarono in una posizione decisamente difficile. Nel Sud, la situazione era leggermente migliore, perché gli anglo-americani lasciarono un minimo di libertà alle popolazioni, seppur litigando continuamente sulle azioni da intraprendere nei confronti del paese a guerra finita. Al Nord, la situazione era difficile ed ingarbugliata. Da un lato, c'era uno stato fantoccio della Germania nazista, che di libertà non ne lasciava neppure a Mussolini, dall'altro i partigiani, che al di là delle ideologie, lottano per l'obbiettivo comune che era la fine del fascismo prima e della guerra poi. Ma quando questi si trovarono a combattere contro altri italiani, mandati da Mussolini a fianco dei tedeschi per frenare l'avanzata alleata, nacque una vera e propria guerra civile, che ha avuto forti strascichi anche molti anni dopo la fine della guerra. Sicuramente, è indubbio che chi combatté nelle file della Repubblica Sociale Italiana era dalla parte dei nazisti, ma bisogna ricordare che, di quei giovani, molti non avevano semplicemente "aderito" al fascismo, ma vi erano "nati" dentro. Non avevano mai conosciuto altro regime che quello fascista, e si trovarono, così, plasmati dalla propaganda nera, e dunque senza scelta. È in quest'ottica che si parla di "Guerra Civile".

1944

Umberto di Savoia, "Luogotenente del Regno" dal 5 giugno 1944. Fu Re d'Italia dal 9 maggio 1946 al 13 giugno dello stesso anno

L’11 gennaio 1944 furono fucilati a Verona, dopo un drammatico processo pubblico, degli ex gerarchi fascisti Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, a seguito della condanna a morte che il tribunale decretatò a tutti coloro che il 25 luglio 1943 avevano votato la sfiducia a Mussolini nell’ordine del giorno proposto da Dino Grandi al Gran Consiglio del Fascismo.

Il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani sbarcarono nell’Italia centrale, nella zona compresa tra Anzio e Nettuno. L'attacco, comandato dal Maggiore Generale John P. Lucas, aveva lo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla Linea Gustav e di liberare Roma. La lunga battaglia che ne derivò è comunemente conosciuta come “battaglia di Anzio”.

Il 24 marzo i nazisti compirono l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Fu un massacro, eseguito a Roma ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia per un attacco eseguito da partigiani contro le truppe germaniche ed avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana site nei pressi della via Ardeatina, sono diventate un monumento a ricordo dei fatti e sono oggi visitabili.

Nel maggio 1944 si accresce la sottomissione della Repubblica Sociale Italiana nei confronti della Germania nazista. Il Trentino-Alto Adige, la provincia di Belluno e Tarvisio sono annesse al Terzo Reich.

Il 5 giugno 1944, il giorno dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nomina il figlio Luogotenente Generale del Regno in base agli accordi tra le varie forze politiche che formano il Comitato di Liberazione Nazionale, che prevedono di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto, dunque, esercita di fatto le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimane a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a Salerno.

1945

Grazie agli approvvigionamenti ottenuti nell’inverno tra il 1944 ed il 1945 in primavera gli alleati poterono lanciare l’offensiva contro l’esercito tedesco sfondando in più punti la linea gotica portando gli alleati alla liberazione il 21 aprile 1945 di Bologna. L' arrivo degli alleati a Milano fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal CNL il 25 aprile, questa data sarà poi scelta come festività nazionale per ricordare la liberazione.

Le truppe nazi-fasciste capitolarono il 29 aprile 1945, ed il 2 maggio il comando tedesco firmò a Caserta la resa delle sue truppe in Italia e per procura anche la resa formale dei reparti della RSI.

Epilogo del conflitto e costo della guerra

Nell'aprile del 1945 le forze nazi-fasciste vennero sconfitte anche con il consistente contributo delle forze partigiane, formate da ex-militari sbandati dopo l'armistizio ma anche da donne, ragazzi ed anziani, e con un forte supporto delle popolazioni, che costò spesso gravi massacri per rappresaglia da parte delle forze occupanti.

La fine della guerra vide l'Italia in condizioni critiche: i combattimenti risalendo la penisola ed i bombardamenti aerei avevano ridotto molte città e paesi a cumuli di macerie, le principali vie di comunicazione erano interrotte, il territorio era occupato dalle truppe angloamericane, ad eccezione dell' area triestina che venne velocemente occupata dai partigiani titini per un periodo i sei mesi, ritirandosi solo a seguito di un ultimatum alleato. Il numero di italiani morti a causa della guerra fu molto elevato: sono stimati tra 415000 (di cui 330000 militari e 85000 civili) [30] e 443000 morti [31], stimando che la popolazione italiana all'inizio del conflitto fosse di 43.800.000 persone si arriva conteggiare circa una vittima ogni 100 italiani.

Dalla fine della guerra fino agli anni '50 avvenne anche l'esodo istriano durante il quale circa gran parte della popolazione di lingua italiana (in quantità stimata tra un minimo 200.000 e un massimo 350.000 persone, [32]) abbandono' i territori istriani e dalmati, occupati dagli yugoslavi rifugiandosi come profughi in Italia.

L'Italia repubblicana

Nascita della repubblica

Dopo la fine della guerra in Italia lo scontento popolare, soprattutto nell' Italia settentrionale, nei confronti della monarchia, in particolare, di Vittorio Emanuele III era elevatissimo. Questi tentò di salvare il potere regio abdicando in favore del figlio Umberto II, tuttavia il 2 giugno del 1946 un referendum istituzionale sancì la fine della monarchia e la nascita della Repubblica Italiana; in contemporanea vennero eletti i delegati all'Assemblea Costituente. Per la prima volta in Italia, per questa occasione, anche la donne ebbero il diritto al voto.

Il 1 luglio Enrico de Nicola viene nominato il primo Presidente della Repubblica Italiana.

File:AlcideDeGasperi.jpg
Alcide De Gasperi

Il primo Presidente del Consiglio dei Ministri fu Alcide De Gasperi, della Democrazia cristiana e, salvo poche eccezioni, dal 1946 al 1993 la Presidenza del Consiglio fu democristiana. Il 25 giugno 1946 cominciarono ufficialmente i lavori dell'Assemblea Costituente con Giuseppe Saragat alla presidenza e la nuova costituzione repubblicana entrò in vigore il 1 gennaio 1948.

Nel frattempo erano stati firmati nel 1947 i Trattati di Parigi con i quali formalmente e definitivamente fu siglata la pace con le potenze alleate e vennero sancite le conseguenze dell'ingresso e sconfitta nella Seconda guerra mondiale, con mutilazioni nazionali territoriali: l'Istria e la Dalmazia cedute alla nascente Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia, il Dodecaneso alla Grecia, il colle di Briga ed il colle di Tenda alla Francia, l' Isola di Saseno all' Albania, il pagamento dei danni di guerra alla URSS e la perdita di tutti i possedimenti coloniali italiani.

Sul piano della cultura questo fu un periodo particolarmente felice per la letteratura italiana ed ancor di più per il cinema con la nascita del neorealismo.

Gli anni della ricostruzione

Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte dell'Uomo Qualunque, Piano Marshall, Legge truffa e Legge Merlin.

(Indicativamente dal 1946 al 1958).

Poster del Piano Marshall

In questi anni si tentò di riparare i danni provocati prima dal fascismo e poi dalla guerra. L'Italia diventò un grande cantiere, anche grazie agli aiuti del Piano Marshall. In contemporanea si verificarono evoluzioni nella politica e nel costume.

Nel 1949 l'Italia aderì alla NATO (North Atlantic Treaty Organization).

Nel 1950 nacque la Cassa del Mezzogiorno, con l'obiettivo di colmare il divario economico tra il nord ed il sud del Paese (la cosiddetta Questione meridionale era ormai riconosciuta).

Nel 1954 fu firmato il Memorandum di Londra con il quale il Territorio libero di Trieste veniva suddiviso in due zone, una assegnata all'Italia ed una alla Jugoslavia.

Nel 1955 l'Italia venne ammessa alle Nazioni Unite. Il 1957 vide anche la nascita della Comunità Economica Europea, il primo passo verso la realizzazione dell'Unione Europea.

Gli anni del "miracolo economico"

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage del Vajont.

(Indicativamente dal 1958 al 1963).

In questi anni l'economia italiana, insieme alla società ed alla famiglia, fu trasformata dal cosiddetto miracolo economico.

L'unità nazionale italiana si stava consolidando, ma persistevano episodi di separatismo, tra i quali fu la Notte dei fuochi del 1961 in Alto Adige.

Le cifre del miracolo economico

Tra il 1958 e il 1963 l'economia italiana, ma anche la società e le famiglie italiane si trasformarono completamente in seguito al cosiddetto miracolo economico.

In questi anni il Prodotto interno lordo, che fino al 1958 era cresciuto in media del 5.5%, crebbe nei sei anni successivi del 6.3%. Tale crescita rappresentò un record nella storia del paese. Il reddito pro-capite passò da 350000 lire a 571000 lire. Tra il 1958 e il 1959 gli investimenti lordi crebbero del 10% e tra il 1961 e il 1962 l'incremento fu del 13%. Questi numeri ridussero sensibilmente il divario storico con i grandi Paesi europei: Inghilterra, Germania e Francia.

La crescita del reddito pro capite produsse l'aumento dei consumi individuali che registrarono una crescita media di cinque punti percentuali l'anno. La domanda di beni durevoli (automobili, elettrodomestici, ecc. ) raggiunse una crescita annua pari al 10.4%.

Importanti cambiamenti ci furono anche nell'alimentazione, grazie alla diffusione del frigorifero, che permettendo una prolungata conservazione del cibo modificava anche le abitudini della spesa quotidiana degli italiani. Questo elettrodomestico fino al 1955 rappresentava un bene di lusso; dieci anni dopo il frigorifero era presente nel 30% delle case degli italiani. Come gli elettrodomestici, anche le automobili e le motociclette divennero beni accessibili per un gran numero di italiani. Si affermarono marchi come: Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Autobianchi, Gilera, e Piaggio.

L'industria registrò una crescita pari all'84% tra il 1953 e il 1961. A testimonianza di tale crescita può essere considerato questo dato: nel 1947 Candy produceva una lavatrice al giorno, nel 1967 una ogni 15 secondi. La produzione industriale raggiunse tali livelli sia grazie alle nuove tecnologie di produzione che arrivavano in gran parte dagli Stati Uniti, sia anche grazie ad una manodopera con bassi salari.

L'elevata disponibilità di manodopera era dovuta ad un forte flusso di migrazione dalle campagne alle città e dal sud verso il nord. Chi si trasferiva, dal sud al nord o dalle campagne verso le città, spesso si trovava in condizioni economiche disperate. Tali condizioni portavano ad accettare condizioni di lavoro pesanti e mal retribuite.

All'aumento dell'industrializzazione si verificò la diminuzione del peso delle attività agricole nel bilancio globale dell' economia del paese. Tra il 1954 e il 1964 in tutta Italia vi fu una diminuzione di 3 milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. Il peso dell'agricoltura si ridusse del 10.8% del Prodotto interno lordo.

Antonio Segni inaugura l'Autostrada del Sole, il 4 ottobre 1964, a bordo della Lancia Flaminia 335 presidenziale.

Questo notevole sviluppo fu possibile anche grazie all'intervento dello Stato nell'economia che intervenne con politiche economiche di stampo Keynesiano. L'intervento del governo avvenne soprattutto attraverso l'aumento della spesa pubblica e la creazione di società a partecipazione statale. Fondamentale fu l'intervento dello Stato nella realizzazione di alcune infrastrutture necessarie per lo sviluppo del mercato. In tale ambito un importante ruolo fu ricoperto dall'IRI [33] che intervenne sostanzialmente nella costruzione della rete autostradale (costituì la Società Autostrade) e nel potenziamento del settore dei trasporti, sia automobilistico, sia navale e aereo (costituzione dell'Alitalia).

Infine, contribuì alla crescita dell'Italia un fattore esterno, cioè, la creazione del Mercato comune europeo (MEC), preceduta dalla creazione nel 1951 della Comunità europea del carbone e dell'acciaio e la creazione della CEE nel 1957, a cui l'Italia aderì immediatamente. Con la creazione del MEC vi fu l'apertura delle frontiere europeee ai commerci, col conseguente aumento delle esportazionie scambi commerciali europei.

Il boom economico provocò, anche, l'aumento del divario economico tra il nord e il sud d'Italia. Il tentativo di ridurre tale squilibrio con la Cassa per il Mezzogiorno non diede risultati soddisfacenti.

In conclusione c'è da dire che, grazie al miracolo economico, l'Italia uscì dall'arretratezza in cui versava. Tuttavia un prezzo alto fu pagato soprattutto da chi, per vivere, fu costretto ad abbandonare la propria terra d'origine per trasferirsi nelle grandi città industriali.

Il sessantotto e la contestazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Il Sessantotto e La contestazione.

(Indicativamente dal 1963 al 1969).

In seguito al boom economico la stratificazione sociale della popolazione era cambiata, l'urbanizzazione creata dai flussi migratori interni aveva aumentato la concentrazione della popolazione, esisteva ormai un ceto medio e si cominciava a delineare un prototipo di italiano medio.

Nel 1964 la giovane Repubblica italiana rischiò un colpo di stato con il Piano Solo.

Lavagna in una scuola occupata 1968

Il 1968 vide l'Italia trasformarsi radicalmente sul piano sociale, in seguito alle migliorate condizioni di vita dovute al boom economico degli anni precedenti, e il sorgere di movimenti radicali, soprattutto comunisti, di giovani e operai, che portarono profonde modifiche al costume, alla mentalità generale e particolarmente alla scuola.


Il dualismo dei termini rispecchia la tendenza italiana ad indicare gli eventi con date. Ciò che fuori d'Italia fu contestazione in Italia viene solitamente definito 68.

Gli anni '70

Lo stesso argomento in dettaglio: Anni di piombo.
Aldo Moro e Amintore Fanfani, definiti i due "cavalli di razza" della Democrazia cristiana.

Negli anni '70 alcuni dei numerosi movimenti politici, sorti negli anni precedenti, si estremizzarono e degenerarono nel terrorismo rosso, accompagnato da quello nero. A dicembre 1970 ci fu ancora un tentativo di colpo di stato da parte dell'estrema destra, il Golpe Borghese. Nell'estrema sinistra rimasero tristemente celebri le Brigate Rosse, dette anche BR, che rapirono e/o gambizzarono numerosi esponenti del mondo culturale e politico italiano considerati "reazionari"; l'episodio più eclatante si ebbe nel 1978 quando rapirono e assassinarono il Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, proprio nel momento in cui il Presidente del Consiglio incaricato, Giulio Andreotti, stava tentando di far nascere un governo con l'appoggio del PCI.

Verso la fine degli anni '70 lo Scandalo Lockheed anticipava un degrado della politica che negli anni successivi avrebbe portato a svariate inchieste giudiziarie.

Gli anni '80

Lo stesso argomento in dettaglio: Accordo di villa Madama.
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Bettino Craxi nel 1979

Cominciano quelli che Montanelli chiamerà anni di fango.

La scoperta, all'inizio degli anni '80, della loggia massonica P2 mise in nuova luce molti dei misteri italiani. Il presidente del consiglio Arnaldo Forlani si dimise per lo scandalo che seguì.

In questi anni ci fu anche un declino del potere dei sindacati e del PCI.

Crebbe la disaffezione dei cittadini per la politica.

Dal punto di vista sociale furono gli anni del riflusso, con un ritorno delle persone dalle piazze al privato. Aumentò, in altre parole, l'individualismo, unito al consumismo in un edonismo consumista.

Nel febbraio 1984 il Presidente del Consiglio Bettino Craxi firmò con il Vaticano un protocollo aggiuntivo ai Patti lateranensi del 1929. Tale protocollo verrà ratificato dalla legge 206 del 1985.

La caduta del Muro di Berlino nel 1989 ebbe ripercussioni anche in Italia, assumendo il significato di un crollo ideale dell'alternativa al capitalismo. L'anno successivo il PCI deliberò il proprio scioglimento, costituendo una nuova forza politica che abbandonava la tradizione comunista, il Partito Democratico della Sinistra. Una minoranza del partito, contraria al cambio di linea, costituì invece il Partito della Rifondazione Comunista.

Seconda Repubblica

Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda Repubblica (Italia).

Mani pulite

Nel 1992 le indagini di Mani pulite sul fenomeno dilagante delle tangenti (lo scandalo venne chiamato "Tangentopoli"), portarono al coinvolgimento di numerosi esponenti nazionali e locali di tutto il pentapartito, che alle elezioni amministrative del 1994 fu duramente punito dall'indignazione degli elettori. Lo scandalo decretò la fine dei tradizionali partiti di governo: il Partito Socialista Italiano collassò sotto il peso delle accuse giudiziarie, la Democrazia Cristiana si sciolse nel gennaio del '94, mentre i repubblicani, i socialdemocratici e i liberali agonizzavano o chiudevano la loro parabola politica.

Il nuovo panorama politico

Nel caos politico derivato dalla disintegrazione dell'ordine precedente emergeva un nuovo partito costituito dall'imprenditore Silvio Berlusconi, Forza Italia, che si poneva come alternativa al vecchio sistema pur inglobando alcuni dei suoi protagonisti, e otteneva un forte successo alle elezioni del 1994, con due distinte coalizioni, al Nord con la Lega Nord, e al Centro Sud con il MSI (non ancora Alleanza Nazionale). Della coalizione facevano parte anche il CCD e partiti minori. Le due coalizioni ottennero la maggioranza assoluta alla Camera, ma non al Senato.

Berlusconi e Prodi

In questa fase, definita "Seconda Repubblica", si consolida il principio del bipolarismo e l'alternanza fra i governi dei due schieramenti di centrosinistra e centrodestra: dal 1996 al 2001 i governi dell'Ulivo, dal 2001 al 2006 quelli della Casa delle Libertà e dal 2006 quello dell'Unione, una nuova coalizione dei partiti di centro-sinistra. Con le nuove elezioni indette dopo la caduta del governo dell'Unione, il 13 e il 14 aprile aprile 2008 sale al potere la coalizione di centro-destra, composta dal PdL (Popolo della Libertà, risultato della lista unica di candidati tra FI, AN e altri partiti minori), dalla Lega Nord e dal Movimento per l'Autonomia. All'opposizione vi sono solo la coalizione tra PD (Partito Democratico, nelle cui liste sono inclusi anche i Radicali Italiani) e Italia dei Valori, e l'UdC (Unione di Centro, formata dall'UDC, dalla Rosa per l'Italia e da altri partiti minori).

Per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana non sono presenti in parlamento rappresentanti dei partiti socialisti (riuniti alla vigilia delle elezioni nel Partito Socialista unitario) e comunisti (riuniti ne La Sinistra L'Arcobaleno assieme alla Federazione dei Verdi, anch'essa rimasta fuori dal Parlamento).

Note

  1. ^ Cfr. S. Moscati, Italia Punica, Rusconi, Milano, 1995
  2. ^ Cfr. S. Moscati, Italia Punica, cit.
  3. ^ Cfr. F. Barreca, La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari, 1986
  4. ^ Cfr. S. Moscati, Italia Punica, cit. p. 150-151
  5. ^ È il numero tramandato dai racconti degli storici antichi, tra cui Tito Livio, nel libro I della sua opera Ab Urbe condita.
  6. ^ Secondo altre fonti la battaglia fu combattuta nel 496 a.C.
  7. ^ Secondo altre fonti, la firma del trattato fu istantaneamente successiva alla battaglia del Regillo.
  8. ^ La tradizione storiografica romana racconta della frase Vae victis pronunciata da Brenno in quell'occasione, e del retto comportamento di Furio Camillo, che impedì che Roma fosse riscattata mediante il pagamento di un oneroso tributo.
  9. ^ La memoria di quest'evento rimase sempre particolarmente viva, e, in occasione del grande incendio di Roma nel 64 d.C., furono in molti a ricordare quello dei Galli di Brenno (Tacito, Annali, XV, 41, 2).
  10. ^ Polibio, Storie, I, 62, 7.
  11. ^ Si tratta del figlio del console omonimo che fu sconfitto e trovò la morte a Canne.
  12. ^ Galasso G., Storia d'Italia Vol XV, Utet, Torino 1995
  13. ^ Dalle grandi rivoluzioni alla Restaurazione, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.342.
  14. ^ Dalle grandi rivoluzioni alla Restaurazione, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.349.
  15. ^ L'intitolazione relativa alla Corsica scomparirà dalle monete e dai documenti di cancelleria aragonesi già nel corso del XIV secolo (vedi: F. Sedda, La vera storia della bandiera dei sardi, Cagliari, 2007, p. 55 e segg.) e definitivamente anche dalle intitolazioni regie allorché il regno di Aragona si unirà a quello di Castiglia nella corona di Spagna, nel 1479
  16. ^ Antonicelli, Franco. Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945 p. 67
  17. ^ Mockler, Anthony. Haile Selassie's War: The Italian-Ethiopian Campaign, 1935-1941pag. 48
  18. ^ Angelo Del Boca. Italiani, brava gente?, Editore Neri Pozza, 2005.
  19. ^ Angelo Del Boca. A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell'occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini, Baldini Castoldi Dalai, 2007
  20. ^ L'età dell'imperialismo e la Prima guerra mondiale, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.683.
  21. ^ Puntata del "La grande storia" dal tiolo "Casa Savoia" andata in onda su Rai Tre
  22. ^ G. Mortara, La Salute pubblica in Italia durante e dopo la Guerra, Yale University Press, New Haven, 1925.
  23. ^ D. A. Glei S. Bruzzone G. Caselli, The effects of war losses on mortality estimates for Italy - A first attempt (L'effetto delle perdite di guerra nella stima della mortalità in Italia - Un primo tentativo)[1]
  24. ^ Dati Censimento Istat[2]
  25. ^ Langer, William L. ed., An Encyclopaedia of World History. Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990.
  26. ^ Da “Tesi on-line
  27. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.147.
  28. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.147.
  29. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.194.
  30. ^ Giulio De Martino, La mente storica: orientamenti per la didattica geo-storico-sociale, Liguori Editore Srl, 2005, ISBN 8820739054
  31. ^ Secondo il rapporto Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45,compilato nel 1957 da Roma: Istituto Centrale Statistica i morti militari furono 291,376, di cui 204,346 prima dell'armistizio (66,686 morti in battaglia o per ferite, 111,579 dispersi certificati morti e 26,081 morti per cause non belliche) e 87,030 dopo l'armistizio (42,916 morti in battaglia o per ferite, 19,840 dispersi certificati morti e 24,274 morti per cause non belliche), i prigionieri morti sono inclusi in questo elenco. I civili morti sono stati 153,147 (123,119 dopo l'armistizio) inclusi 61,432 in attacchi aerei (42,613 dopo l'armistizio). Per ulteriori approfondimento si veda qui. A questi vanno aggiunti 15,000 soldati africani coscritti. Sono incluse le 64,000 vittime delle repressioni e genocidi nazisti (tra cui 30,000 prigionieri). I morti militari dopo l'armistizio includono 5,927 schierati con gli alleati, 17,166 partigiani e 13,000 della Repubblica Sociale Italiana. 1,000 persone del popolo rom e 8,562 ebrei morirono.
  32. ^ A tutt'oggi non vi e' accordo fra gli storici su una piu' accurata valutazione del numero di profughi Sintesi di un testo di Ermanno Mattioli e Sintesi di un testo dello storico Enrico Miletto
  33. ^ La cui creazione risaliva al 1933

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In spagnolo

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