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* Riccardo Santangeli Valentini, [https://www.inasaroma.org/patrimonio/wp-content/uploads/2021/10/08-R.-SANTANGELI-VALENZANI-Pellegrini-senatori-e-papi.pdf ''Pellegrini, senatori e papi. Gli xenodochia a Roma tra il V e il IX secolo''], Rivista dell'Istituto Nazionale d'Archeologia e Storia dell'Arte, serie 3, nº 19/20 (1996/97), pp. 203-226 |
* Riccardo Santangeli Valentini, [https://www.inasaroma.org/patrimonio/wp-content/uploads/2021/10/08-R.-SANTANGELI-VALENZANI-Pellegrini-senatori-e-papi.pdf ''Pellegrini, senatori e papi. Gli xenodochia a Roma tra il V e il IX secolo''], Rivista dell'Istituto Nazionale d'Archeologia e Storia dell'Arte, serie 3, nº 19/20 (1996/97), pp. 203-226 |
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* BEWEB:<br/>Il monachesimo - Le origini del monachesimo a Roma sono legate all’iniziativa privata: Marcella, rimasta vedova, trasformò la sua casa sull’Aventino in monastero, e l’esempio fu subito seguito da molte altre matrone, tanto da far ritenere Roma «una piccola Gerusalemme» (cfr. Girolamo Ier. Epist. XXII = CSEL 54 143-211). Sisto III fonderà il monastero ad catacumbas accanto alla basilica nata sulla memoria degli Apostoli, mentre Leone Magno costruirà quello dedicato ai santi Giovanni e Paolo presso la tomba di san Pietro. Uno dei più antichi monasteri del Suburbio romano fu quello voluto da papa Ilaro (o Ilario, 461- 468) presso la tomba del martire Lorenzo. Sulla vita monastica cittadina fino al pontificato di Gregorio Magno si hanno a disposizione rare informazioni (cfr. le iscrizioni rinvenute a Sant’Agnese o a Sant’Agata). Fu proprio il suo pontificato (590- 604) a caratterizzarsi per la grande importanza data all’impiego di monaci in attività pastorali e amministrative (prima di essere eletto papa, egli conduceva vita monastica nella propria casa ad clivum Scauri, trasformata in un monastero), che portarono a sminuire il potente ufficio dell’arcidiacono, entrando così in tensione con il clero romano (cfr. il caso di San Pancrazio); la sua politica fu continuata, a fasi alterne, anche dai pontefici successivi. Fra il VII e l’VIII sec. si registrò a Roma anche la presenza del monachesimo greco (nella lista dell’806, di Leone III, vi appartengono ben cinque dei sette monasteri più importanti). Significativo lo sviluppo dei «monasteria diaconiae» (cioè la loro associazione con le diaconie: istituzioni fondate per iniziativa del papa o di privati per la distribuzione del cibo o per l’esercizio di altre opere di carità) e la loro incidenza nella liturgia e nella musica cittadina, a tal punto da associare gruppi di monasteri alle basiliche maggiori per la celebrazione degli uffici divini: presso l’episcopio lateranense vi erano il monastero di San Pancrazio, fondato nella seconda metà del VI sec., quello fondato da Onorio I (monasterium Honorii), quello di Santo Stefano e quello dei Santi Sergio e Bacco de forma. Quest’ultimo viene per la prima volta menzionato nella già citata lista di Leone III, che contava non meno di 47 monasteri a Roma e dintorni, più 23 «monasteria diaconiae», retti dal clero regolare per l’assistenza ai poveri e ai pellegrini. La presenza di queste istituzioni preposte al servizio del Patriarchio – monasteri, xenodochia (strutture riservate esplicitamente all’accoglienza degli stranieri; nell’area del Laterano doveva trovarsi lo xenodochium Valerii), diaconie (a esempio Santa Maria in Cosmedin, Sant’Angelo in Pescheria ecc.), hospitalia – caratterizzarono in modo indelebile lo spazio urbano romano. Sotto il pontificato di Adriano I (772-795) ogni giorno, presso il Patriarchio, venivano sfamati un centinaio di poveri, grazie ai prodotti che venivano custoditi nei magazzini del Laterano e provenienti dalla domusculta Capracorum, una delle aziende agricole pontificie che fornivano il necessario anche per il sostentamento del clero romano: «In usu et propria utilitate sanctae nostre Romane ecclesiae». |
* BEWEB:<br/>Il monachesimo - Le origini del monachesimo a Roma sono legate all’iniziativa privata: Marcella, rimasta vedova, trasformò la sua casa sull’Aventino in monastero, e l’esempio fu subito seguito da molte altre matrone, tanto da far ritenere Roma «una piccola Gerusalemme» (cfr. Girolamo Ier. Epist. XXII = CSEL 54 143-211). Sisto III fonderà il monastero ad catacumbas accanto alla basilica nata sulla memoria degli Apostoli, mentre Leone Magno costruirà quello dedicato ai santi Giovanni e Paolo presso la tomba di san Pietro. Uno dei più antichi monasteri del Suburbio romano fu quello voluto da papa Ilaro (o Ilario, 461- 468) presso la tomba del martire Lorenzo. Sulla vita monastica cittadina fino al pontificato di Gregorio Magno si hanno a disposizione rare informazioni (cfr. le iscrizioni rinvenute a Sant’Agnese o a Sant’Agata). Fu proprio il suo pontificato (590- 604) a caratterizzarsi per la grande importanza data all’impiego di monaci in attività pastorali e amministrative (prima di essere eletto papa, egli conduceva vita monastica nella propria casa ad clivum Scauri, trasformata in un monastero), che portarono a sminuire il potente ufficio dell’arcidiacono, entrando così in tensione con il clero romano (cfr. il caso di San Pancrazio); la sua politica fu continuata, a fasi alterne, anche dai pontefici successivi. Fra il VII e l’VIII sec. si registrò a Roma anche la presenza del monachesimo greco (nella lista dell’806, di Leone III, vi appartengono ben cinque dei sette monasteri più importanti). Significativo lo sviluppo dei «monasteria diaconiae» (cioè la loro associazione con le diaconie: istituzioni fondate per iniziativa del papa o di privati per la distribuzione del cibo o per l’esercizio di altre opere di carità) e la loro incidenza nella liturgia e nella musica cittadina, a tal punto da associare gruppi di monasteri alle basiliche maggiori per la celebrazione degli uffici divini: presso l’episcopio lateranense vi erano il monastero di San Pancrazio, fondato nella seconda metà del VI sec., quello fondato da Onorio I (monasterium Honorii), quello di Santo Stefano e quello dei Santi Sergio e Bacco de forma. Quest’ultimo viene per la prima volta menzionato nella già citata lista di Leone III, che contava non meno di 47 monasteri a Roma e dintorni, più 23 «monasteria diaconiae», retti dal clero regolare per l’assistenza ai poveri e ai pellegrini. La presenza di queste istituzioni preposte al servizio del Patriarchio – monasteri, xenodochia (strutture riservate esplicitamente all’accoglienza degli stranieri; nell’area del Laterano doveva trovarsi lo xenodochium Valerii), diaconie (a esempio Santa Maria in Cosmedin, Sant’Angelo in Pescheria ecc.), hospitalia – caratterizzarono in modo indelebile lo spazio urbano romano. Sotto il pontificato di Adriano I (772-795) ogni giorno, presso il Patriarchio, venivano sfamati un centinaio di poveri, grazie ai prodotti che venivano custoditi nei magazzini del Laterano e provenienti dalla domusculta Capracorum, una delle aziende agricole pontificie che fornivano il necessario anche per il sostentamento del clero romano: «In usu et propria utilitate sanctae nostre Romane ecclesiae». |
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*sugli xenodochia anche [https://www.srsp.it/Annate/ASRSP-121.pdf qui]. Francesca Romana Stasolla, ''A proposito delle strutture assistenziali ecclesiastiche: gli xenodochi'', pp. 5-45 |
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=== sull'organizzazione parrocchiale nel XII-XVI secolo === |
=== sull'organizzazione parrocchiale nel XII-XVI secolo === |
Versione delle 09:51, 13 ott 2024
PAGINA VUOTA
Storia della diocesi di Roma
Il Clerus urbis e la Romana Fraternitas
A partire dall'XI secolo si accentua quel processo, già iniziato nell'VIII secolo, che ha portato ad una distinzione nel clero della diocesi romana, tra clero palatino (o curiale o papale) e clero dell'urbe (clerus urbis). I primi erano dediti alle mansioni nella curia romana ed affiancavano il papa nel governo della Chiesa cattolica. I secondi invece avevano la responsabilità diretta del popolo, della cura delle anime e dell'amministrazione dei sacramenti. È soprattutto con l'XI secolo che cambia anche la figura del cardinale-presbitero, che, fino a quel momento, era a tutti gli effetti parroco della chiesa di cui portava il titolo. Ora invece il cardinale-presbitero, «non ha più una funzione all'interno del suo titolo, se non quella di un controllo saltuario e di un intervento nelle cerimonie più solenni», mentre la cura pastorale della parrocchia è affidata ad un membro del clerus urbis, in genere un arciprete,[1] che rilevò le funzioni che erano state dei cardinali-presbiteri[2]
I primi documenti che attestano l'esistenza di un clero urbano, distinto e autonomo rispetto al clero curiale, risalgono alla seconda metà dell'XI secolo.[3] Contestualmente cambia anche il concetto di Ecclesia romana, che passa ad indicare non più la chiesa della diocesi di Roma, ma i vertici della Chiesa cattolica, ossia il papa e il gruppo dei cardinali, predisposti al governo dell'intera Chiesa cattolica.[4]
Nel corso del XII secolo il clero urbano si trasformò in una vera e propria istituzione, organizzata in collegio, e raccolta attorno ad una società chiamata Romana Fraternitas,[5] fraternità romana, la cui prima attestazione risale al 1127.[6] Questa organizzazione, dotata di una propria autorità, aveva lo scopo di organizzare e governare il clero di città.[7] Per un certo periodo, la Romana Fraternitas ebbe sede nella chiesa di San Tommaso ai Cenci. A capo di questa associazione c'erano dei rectores, che avevano, tra i loro principali compiti, quelli di distribuire le offerte raccolte, di regolare le processioni e i funerali, di dirimere le controversie sorte tra le parrocchie o tra gli ecclesiastici, di far eseguire i decreti papali,[8] di regolare la disciplina del clero[9]. Nel corso del XIV secolo la giurisdizione dei rettori si estese fino a diventare un vero e proprio tribunale ecclesiastico.[10]
La Romana Fraternitas si consolidò con una sua propria costituzione, emanata da papa Bonifacio VIII il 27 febbraio 1303 con il titolo di Publicum privilegium Statutorum et ordinamentorum Almae Urbis Fraternitatis.[2] L'associazione perse di potere e di funzione nel corso dello stesso secolo, a partire da papa Giovanni XXII.[2]
La nascita del Vicarius in spiritualibus
La trasformazione del clero di Roma e la sua distinzione in clero papale e clero urbano toccò anche il vertice del presbiterio romano, il suo vescovo, il papa. «Lo stesso papa, pur rimanendo, naturalmente, il vescovo di Roma, non svolgeva più certe funzioni tipiche della sua cura pastorale, quali la celebrazione della liturgia stazionale. Il governo spirituale della città venne affidato al cardinale vicario, la cui figura sembra essere istituzionalizzata nel secondo decennio del XII secolo».[11]
Non di rado, in precedenza, il vescovo di Roma, per motivi particolari, come per esempio la sua assenza dalla città, affidava la sua cura ad un vicario. Ma i documenti che ne attestano l'esistenza non permettono di definire se questa "vicaria" riguardava il papa come vescovo della città o il papa come capo della cristianità.[12]
Secondo Brambilla, i primi documenti che rivelano l'esistenza di un vicarius urbis, un vicario della città, risalgono al pontificato di papa Innocenzo III, tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo,[13] con Ottaviano Poli dei conti di Segni, menzionato nel 1198, e Pietro Gallocia, documentato nel 1206 e 1207.[14] Questi vicari avevano giurisdizione unicamente in spiritualibus, ossia nelle cose che riguardavano la salute delle anime e solo all'interno delle mura cittadine.[15] La prima nomina ufficiale e esplicita di un vicario per la città è quella di Tommaso Agni, nominato con la bolla Romanus Pontifex da papa Urbano IV il 13 febbraio 1264.[16]
Nella bolla Licet ad cunctos di papa Niccolò IV (28 giugno 1288) vengono definiti con più chiarezza e precisione i compiti e i doveri dei vicari del papa; questa lettera è importante perchè i suoi contenuti saranno utilizzati quasi letteralmente nelle successive bolle di nomina dei vicari pontifici.[17] Il ruolo e le funzioni del vicario per la città subì un'ulteriore evoluzione con i pontefici successivi, in particolare Bonifacio VIII (bolla Ecclesiarum omnium, 28 aprile 1299),[18] Clemente V (bolla Licet ad cunctos, 16 giugno 1307),[19] Benedetto XII (bolla Quamvis Nos, 6 marzo 1335),[20] e altri ancora. A partire dalla fine del XIV secolo i vicari del papa dovettero prestare un giuramento di fedeltà.[21]
I vicari del papa ebbero anche il potere di indire e presiedere i sinodi diocesani, come nel caso di Stefano nel 1386, Giovanni nel 1390, Daniele nel 1431 e un ultimo al tempo di papa Pio II (1458-1464).[22] Con papa Alessandro VI, è affidata in modo stabile e definitivo al vicario anche la giurisdizione e la cura degli Ebrei di Roma, con la bolla del 12 giugno 1501; queste disposizioni furono ribadite da papa Giulio II.[23]
Infine, il 28 novembre 1558 Paolo IV stabilì con decreto concistoriale che la carica di vicario spettasse a un cardinale.[24]
L'organizzazione parrocchiale nel XII-XIV secolo
Fino al XII secolo era ancora in uso a Roma, almeno formalmente, la suddivisione del territorio diocesano in 7 regioni ecclesiastiche, che, secondo alcuni autori, erano derivate dalle 14 regioni di età augustea.[25] Ogni regione era costituita da diverse parrocchie, gli antichi tituli di epoca romana.[26] Risale alla fine del XII secolo uno dei più antichi e più completi cataloghi delle chiese di Roma, il catalogo di Cencio Camerario, contenuto del Liber Censuum, redatto nel 1192. In quest'elenco sono enumerate 294 chiese officiate da sacerdoti e altre 21 que sunt ignote et sine clericis, per un totale di 315 chiese.[27]
Lo sviluppo e la crescita dell'istituzione parrocchiale, concomitante con un aumento demografico della popolazione romana nel centro della città, ha portato nel XIII secolo ad una nuova organizzazione delle parrocchie, voluta dalla Romana Fraternitas, i cui rettori avevano suddiviso il terriorio diocesano in tre grandi settori, con sede nella basilica dei Santi XII Apostoli, nella chiesa di San Tommaso ai Cenci e in quella dei Santi Cosma e Damiano. Questa suddivisione è evidente nel cosiddetto catalogo di Torino, redatto nel al 1313, nel quale le oltre 400 chiese elencate[28] sono suddivise nei tre settori indicati.[29][30]
Alle grandi parrocchie, in particolare quelle che riguardavano le principali basiliche e titoli presbiterali cittadini, erano unite in affiliazione altre parrocchie minori, i cui confini sono sempre più spesso definiti e delimitati dalle bolle ponficie del XII e XIII secolo.[31] Queste parrocchie minori sono menzionate nei documenti coevi come capelle, ecclesiae suppositae, capelle de parrochia. Secondo Passigli, come è avvenuto in altre città italiane, anche a Roma «tra XIII e XIV secolo, con il crescere della popolazione, si ha il passaggio da cappelle a vere e proprie parrocchie con pieni diritti, a scapito di quelli della chiesa matrice».[32]
Bibliografia
Sull'elezione del vescovo di Roma
- Cf questo contributo, purtroppo manca il seguito, ossia le pagine 20-24 (recensione)
- qualche cosa si trova in questa voce (Papa della Treccani]
- circa l'organizzazione delle comunità cristiane romane nei primi secoli [1]
- T. Ortolan, Élection des Papes, Dictionnaire de théologie catholique, IV, Paris, 1911, coll. 2282-2319 (cf. pagina download da [2])
- cf. voce Conclave
Sull'organizzazione delle comunità cristiane romane nei primi secoli
- circa l'organizzazione delle comunità cristiane romane nei primi secoli [3]
Su monasteri e xenodochia a Roma nell'alto medioevo
- Riccardo Santangeli Valentini, Pellegrini, senatori e papi. Gli xenodochia a Roma tra il V e il IX secolo, Rivista dell'Istituto Nazionale d'Archeologia e Storia dell'Arte, serie 3, nº 19/20 (1996/97), pp. 203-226
- BEWEB:
Il monachesimo - Le origini del monachesimo a Roma sono legate all’iniziativa privata: Marcella, rimasta vedova, trasformò la sua casa sull’Aventino in monastero, e l’esempio fu subito seguito da molte altre matrone, tanto da far ritenere Roma «una piccola Gerusalemme» (cfr. Girolamo Ier. Epist. XXII = CSEL 54 143-211). Sisto III fonderà il monastero ad catacumbas accanto alla basilica nata sulla memoria degli Apostoli, mentre Leone Magno costruirà quello dedicato ai santi Giovanni e Paolo presso la tomba di san Pietro. Uno dei più antichi monasteri del Suburbio romano fu quello voluto da papa Ilaro (o Ilario, 461- 468) presso la tomba del martire Lorenzo. Sulla vita monastica cittadina fino al pontificato di Gregorio Magno si hanno a disposizione rare informazioni (cfr. le iscrizioni rinvenute a Sant’Agnese o a Sant’Agata). Fu proprio il suo pontificato (590- 604) a caratterizzarsi per la grande importanza data all’impiego di monaci in attività pastorali e amministrative (prima di essere eletto papa, egli conduceva vita monastica nella propria casa ad clivum Scauri, trasformata in un monastero), che portarono a sminuire il potente ufficio dell’arcidiacono, entrando così in tensione con il clero romano (cfr. il caso di San Pancrazio); la sua politica fu continuata, a fasi alterne, anche dai pontefici successivi. Fra il VII e l’VIII sec. si registrò a Roma anche la presenza del monachesimo greco (nella lista dell’806, di Leone III, vi appartengono ben cinque dei sette monasteri più importanti). Significativo lo sviluppo dei «monasteria diaconiae» (cioè la loro associazione con le diaconie: istituzioni fondate per iniziativa del papa o di privati per la distribuzione del cibo o per l’esercizio di altre opere di carità) e la loro incidenza nella liturgia e nella musica cittadina, a tal punto da associare gruppi di monasteri alle basiliche maggiori per la celebrazione degli uffici divini: presso l’episcopio lateranense vi erano il monastero di San Pancrazio, fondato nella seconda metà del VI sec., quello fondato da Onorio I (monasterium Honorii), quello di Santo Stefano e quello dei Santi Sergio e Bacco de forma. Quest’ultimo viene per la prima volta menzionato nella già citata lista di Leone III, che contava non meno di 47 monasteri a Roma e dintorni, più 23 «monasteria diaconiae», retti dal clero regolare per l’assistenza ai poveri e ai pellegrini. La presenza di queste istituzioni preposte al servizio del Patriarchio – monasteri, xenodochia (strutture riservate esplicitamente all’accoglienza degli stranieri; nell’area del Laterano doveva trovarsi lo xenodochium Valerii), diaconie (a esempio Santa Maria in Cosmedin, Sant’Angelo in Pescheria ecc.), hospitalia – caratterizzarono in modo indelebile lo spazio urbano romano. Sotto il pontificato di Adriano I (772-795) ogni giorno, presso il Patriarchio, venivano sfamati un centinaio di poveri, grazie ai prodotti che venivano custoditi nei magazzini del Laterano e provenienti dalla domusculta Capracorum, una delle aziende agricole pontificie che fornivano il necessario anche per il sostentamento del clero romano: «In usu et propria utilitate sanctae nostre Romane ecclesiae». - sugli xenodochia anche qui. Francesca Romana Stasolla, A proposito delle strutture assistenziali ecclesiastiche: gli xenodochi, pp. 5-45
sull'organizzazione parrocchiale nel XII-XVI secolo
- cf. mia cartella file pdf "di Carpegna Circoscrizioni", tratto da quest'opera - non lo trovo più online
- cf. voce Catalogo di Torino, per la bibliografia su questo elenco
- Susanna Passigli, Geografia parrocchiale e circoscrizioni territoriali nei secoli XII-XIV: istituzioni e realtà quotidiana, in Rome aux XIIIe et XIVe siècles. Cinq études réunies par Étienne Hubert, Rome, 1993, pp. 43-86 (archiviato dall'originale )
Sul Clerus urbis e la Romana Fraternitas
- libro non online di Carpegna Falconieri - recensione di 7 pagine qui (p. 299 del pdf)
- Tommaso di Carpegna Falconieri, «Romana Ecclesia» e «Clerus Urbis». Considerazioni sul clero urbano nei secoli centrali del medioevo, in Archivio della Società romana di storia patria, n. 122, 1999, pp. 85-104 (archiviato dall'originale )
- Tommaso di Carpegna Falconieri, Il clero di roma nel medioevo. Prime considerazioni, I quaderni del m.ae.s – Journal of Mediae Aetatis Sodalicium, vol. II, 1999, pp. 85-112
- Mariano Armellini, Le chiese di Roma dalle loro origini sino al secolo XVI, Roma, 1887, pp. 24-41
- Giovanni Ferri, La Romana Fraternitas, in Archivio della Società romana di storia patria, n. 26, 1903, pp. 453-466 (archiviato dall'originale )
- nella voce su BeWeb c'è una sezione dedicata alla Romana Fraternitas: cercare La Romana Fraternitas - Anche se l’istituzionalizzazione ...
Sul Vicarius in spiritualibus
- vedi bibliografia in Vicario generale per la diocesi di Roma
- Ambrogio M. Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario di Roma fino all'anno 1558, in Barnabiti Studi, n. 22, 2005, pp. 197-345 (archiviato dall'originale )
Sulla visita apostolica del 1825
- Francesca Falsetti, La Visita Apostolica per il giubileo del 1825. Uno strumento per verificare lo stato di conservazione e pianificare gli interventi di restauro della Roma sacra, in: “Si dirà quel che si dirà: si ha da fare il Giubileo”. Leone XII, la città di Roma e il giubileo del 1825, cura di Raffaele Colapietra e Ilaria Fiumi Sermattei, Genga, 2014, pp. 93-116
Sul concilio romano del 1725
- Maria Teresa Fattori, Il concilio provinciale del 1725: liturgie e concezioni del potere del papa a confronto, Cristianesimo nella storia, nº 29 2008/1, pp. 1-58
- Egidio Papa, Consensi e contrasti intorno al concilio romano del 1725. La Civiltà Cattolica, 1960, pp. 146-157
- Recensione al libro di Fiorani (visualizzazione parziale)
- vedi anche questo articolo
Sull'organizzazione parrocchiale XVI secolo e Stati delle Anime
- Fiorenza Germini, Due parrocchie romane nel Settecento: aspetti di storia demografica e sociale, Roma, 1992, pp. 25 e seguenti
- Domenico Rocciolo, Gli stati delle anime e la giurisdizione del cardinale Vicario a Roma in età moderna, in: «La riconta delle anime (1987–2008). Il sacro, il sociale e il profano nelle fonti nominative confessionali. Atti del Convegno (Trento, 3-4 aprile 2008)», a cura di Casimira Grandi, Roma, 2011, pp. 113-128
- Domenico Rocciolo, Gli Stati delle Anime di Roma, in: «Alla ricerca di "Ghiongrat". Studi sui libri parrocchiali romani (1600-1630)», a cura di Rossella Vodret, Roma, 2011, pp. 1-8
- Claudio Schiavoni, La concentrazione degli archivi delle parrocchie romane presso l'Archivio storico del Vicariato, in: «Archivi e archivistica a Roma dopo l'unità. Genesi storica, ordinamenti, interrelazioni. Atti del convegno, Roma, 12-14 marzo 1990», Roma, 1994, pp. 153-163
Note
- ^ Carpegna Falconieri, «Romana Ecclesia» e «Clerus Urbis», pp. 85-86
- ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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- ^ Carpegna Falconieri, «Romana Ecclesia» e «Clerus Urbis», pp. 97-98
- ^ Carpegna Falconieri, «Romana Ecclesia» e «Clerus Urbis», pp. 93-97
- ^ Armellini, Le chiese di Roma, pp. 20-39
- ^ Ferri, La Romana Fraternitas, p. 457
- ^ Carpegna Falconieri, «Romana Ecclesia» e «Clerus Urbis», pp. 98-99
- ^ Ferri, La Romana Fraternitas, p. 454
- ^ Ferri, La Romana Fraternitas, p. 461
- ^ Ferri, La Romana Fraternitas, pp. 461-462
- ^ Carpegna Falconieri, «Romana Ecclesia» e «Clerus Urbis», p. 100
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, pp. 253-255
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, pp. 255-259
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, p. 224
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, p. 267
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, p. 269
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, p. 275
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, pp. 279-281
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, pp. 283-285
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, p. 299
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, p. 309
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, p. 313
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, p. 331
- ^ Brambilla, Origine ed evoluzione dell'ufficio del cardinale vicario, pp. 335 e seguenti
- ^ Rïóne, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 10 ottobre 2024.
- ^ Passigli, Geografia parrocchiale e circoscrizioni territoriali, pp. 53-54
- ^ Armellini, Le chiese di Roma, pp. 39-44
- ^ Christian Hülsen, Il catalogo di Torino, in Le Chiese di Roma nel Medio Evo, Firenze 1927, pp.19-43
- ^ Armellini, Le chiese di Roma, pp. 45–59
- ^ Passigli, Geografia parrocchiale e circoscrizioni territoriali, pp. 54-56
- ^ Passigli, Geografia parrocchiale e circoscrizioni territoriali, pp. 56 e seguenti
- ^ Passigli, Geografia parrocchiale e circoscrizioni territoriali, pp. 60-61