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Bat-Sheva Dagan: differenze tra le versioni

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Dagan nel 2016

Bat-Sheva Dagan (nata Izabella Batszewa Rubinsztajn) (ebraico: בת שבע דגן); Łódź, 8 settembre 1925Bat-Yam, 25 gennaio 2024) è stata una scrittrice e psicologa polacca-israeliana, sopravvissuta ai campi di sterminio, educatrice infantile e portavoce della Shoah.

Fu imprigionata nel ghetto di Radom con i suoi genitori e due sorelle nel 1940. Dopo che i genitori e la sorella furono deportati e assassinati a Treblinka nell'agosto 1942, fuggì in Germania ; poi venne arrestata, imprigionata e deportata ad Auschwitz nel maggio 1943. Dopo aver trascorso venti mesi ad Auschwitz, sopravvisse a due marce della morte e fu liberata dalle truppe britanniche nel aggio 1945.

Fu l'unica sopravvissuta della sua famiglia. Lei e suo marito si stabilirono in Israele, dove insegnò all'asilo, Successivamente conseguì la laurea in consulenza di orientamento educativo e psicologia. Scrisse poi libri, poesie e canzoni per bambini e giovani adulti sui temi dell'Olocausto e sviluppò metodi psicologici e pedagogici per insegnare ai bambini cosa fosse l'Olocausto. Fu considerata in questo campo una pioniera.[1]

Biografia

Izabella (Batszewa) Rubinsztajn[2][3] nacque l'8 settembre 1925,[2] a Łódź, Polonia, da Szlomo-Fiszel Rubinsztajn, proprietario di un laboratorio tessile, e sua moglie Fajga, sarta.[1] Era l'ottava di nove fratelli - cinque maschi e quattro femmine - e crebbe in una tradizionale casa sionista.[1][4] Frequentò una scuola polacca e quando scoppiò la seconda guerra mondiale era una studentessa delle scuole medie.[5]

Uno dei suoi fratelli emigrò in Palestina prima della guerra.[1] Lo scoppio delle ostilità costrinse gli altri suoi fratelli e una sorella a fuggire in Unione Sovietica, mentre il resto della famiglia si trasferì nella città di Radom. Nel 1940[4] furono istituiti due ghetti in città (Radom Ghetto) e lei e la sua famiglia furono detenute nel "ghetto grande".[1]

Seconda Guerra Mondiale

Nel ghetto, Batszewa divenne un membro del gruppo giovanile ebraico clandestino Hashomer Hatzair.[2] Il loro capo consigliere, Shmuel Breslaw, la mandò con documenti ariani al ghetto di Varsavia per ottenere una copia del giornale clandestino del movimento Pod Prąd (Contro corrente) da Mordechai Anielewicz e portarla a Radom.[2][1][6]

Durante la liquidazione del "grande ghetto" nell'agosto 1942, i genitori e la sorella maggiore di Batszewa furono deportati e assassinati nel campo di sterminio di Treblinka. Lei e la sorella minore Sabina furono mandate nel "piccolo ghetto" di Radom. Le sorelle decisero di tentare la fuga separatamente, ma Sabina fu uccisa a colpi di arma da fuoco nel suo tentativo. Batszewa riuscì a fuggire e arrivò a Schwerin, in Germania, dove usò documenti falsi per ottenere un lavoro come domestica in una famiglia nazista.[1] Dopo alcuni mesi[2] fu scoperta, arrestata e imprigionata.[1] Nel maggio 1943 fu deportata nel campo di concentramento di Auschwitz e le venne tatuato il numero 45554.[1][4] Nel campo incontrò sua cugina, che lavorava come infermiera nell'infermeria della prigione e le trovò una lavoro lì. Quando Batszewa contrasse il tifo, sua cugina riuscì a darle medicine. Batszewa in seguito lavorò nel commando "Canada", smistando gli effetti personali delle vittime del campo.[1][6] Lei e le altre sette donne del suo commando collaborarono alla stesura di un giornale segreto, scritto su strisce di carta; leggevano il giornale nel loro giorno libero.

Mentre l'Armata Rossa si avvicinava ad Auschwitz nel gennaio 1945, lei fu evacuata con quella che era stata chiamata una marcia della morte verso i campi di concentramento di Ravensbrück e Malchow.[2][1][7] Sopravvisse a un'altra marcia della morte verso Lübz, dove fu liberata dalle truppe britanniche il 2 maggio 1945.[3][7] Fu l'unica dei suoi fratelli a sopravvivere alla guerra.[3]

Dopoguerra

Dopo la liberazione Batszewa si recò a Bruxelles. Lì incontrò il suo futuro marito, un soldato dell'esercito britannico, che le diede un visto per la Palestina.[1] Emigrò nel settembre 1945.[8] Lei e suo marito cambiarono il loro cognome da Kornwicz[3] a Dagan in Israele. [9] Abitarono a Holon[10] ed ebbero due figli.[1]

Dagan studiò al Seminario degli insegnanti Shein a Petah Tikva e successivamente lavorò per tre anni come insegnante di scuola materna a Tel Aviv e Holon.[5][8] Dopo la morte del marito nel 1958,[10] ottenne una borsa di studio dal Ministero dell'Istruzione e studiò all'Università Ebraica di Gerusalemme dal 1960 al 1963, conseguendo la laurea in consulenza educativa.[5][10] Nel 1968 intraprese un percorso di studi biennale negli Stati Uniti, conseguendo la laurea in psicologia alla Columbia University.[5]

Al ritorno in Israele, Dagan diventò la direttrice della sezione dell'asilo della divisione dei servizi psicologici del comune di Tel Aviv-Yafo.[3][5] Formulò metodi psicologici e pedagogici per insegnare l'Olocausto a bambini e giovani adulti.[9] Insegnò anche alla sua alma mater, lo Shein Teachers Seminary, e tenne conferenze sull'Olocausto negli Stati Uniti, in Canada e in Unione Sovietica.[10] In Israele diventò attiva nel ricordo dell'Olocausto, parlando allo Yad Vashem e nelle università. Negli anni '90 iniziò a scrivere libri per bambini sui temi dell'Olocausto.[10]

Dagan morì a Bat-Yam, Israele, il 25 gennaio 2024, all'età di 98 anni.[11]

Altre attività

All'inizio degli anni '80[5] Dagan prestò servizio come emissaria per l'Agenzia Ebraica in missione negli Stati Uniti, Canada, Messico, Inghilterra e Unione Sovietica.[3][8]

Dagan visitò Auschwitz cinque volte.[7][12] Nel gennaio 2016, donò al Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau un portafortuna in miniatura che disse di aver nascosto nella sua lettiera di paglia ad Auschwitz per tutto il tempo in cui era stata incarcerata lì. Il ciondolo, un paio di scarpe di cuoio che misurano circa 1 centimetro di lunghezza, era stato realizzato da una detenuta ebrea tedesca, che lo aveva poi regalato a Batszewa dicendo: "Lascia che ti portino verso la libertà".[13] Nel gennaio 2020, parlò ad una commemorazione ad Auschwitz della liberazione del campo avvenuta 75 anni prima.[12]

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m (EN) Torchlighters 2012: Bat-Sheva Dagan, in Yad Vashem, 2016. URL consultato il 15 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 17 giugno 2012).
  2. ^ a b c d e f Imagination: Blessed Be, Cursed Be, in Auschwitz-Birkenau Memorial and Museum, 17 febbraio 2010. URL consultato il 16 novembre 2016.
  3. ^ a b c d e f (HE) דגן בת-שבע [Dagan, Bat-Sheva], in Hebrew Writers Association in Israel. URL consultato il 19 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 20 novembre 2016).
  4. ^ a b c (EN) Gil Stern Shefler, Survivor lets go of rage, 67 years later, in The Jerusalem Post, 18 aprile 2012. URL consultato il 16 novembre 2016.
  5. ^ a b c d e f (HE) דגן בת-שבע [Dagan, Bat-Sheva], in Municipality of Holon. URL consultato il 19 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 20 novembre 2016).
  6. ^ a b (EN) Holocaust Survivor Testimony: Bat-Sheva Dagan (video), in Yad Vashem. URL consultato il 15 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 17 giugno 2012).
  7. ^ a b c (EN) 'I saw so many people go to their deaths', in BBC News, 26 gennaio 2005. URL consultato il 16 novembre 2016.
  8. ^ a b c (HE) בת שבע דגן (1925) [Batsheva Dagan], in Lexicon of Modern Hebrew Literature, Ohio State University. URL consultato il 18 novembre 2016.
  9. ^ a b (EN) Anna Janina Kloza, A Meeting with Batsheva Dagan in Białystok, in POLIN Museum of the History of Polish Jews, 30 maggio 2012. URL consultato il 18 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 20 novembre 2016).
  10. ^ a b c d e (HE) Adi Katz, נעים מאוד: בת שבע דגן [Felice di incontrarti: Bat-Sheva Dagan], in Motke, 21 marzo 2012. URL consultato il 19 novembre 2016.
  11. ^ (HE) חולון נפרדת מיקירת העיר בת שבע דגן, in gal-gefen, 25 gennaio 2024. URL consultato il 25 gennaio 2024.
  12. ^ a b (EN) Auschwitz 75 years on: Leaders and royals commemorate Holocaust, in BBC News, 27 gennaio 2020. URL consultato il 27 gennaio 2020.
  13. ^ (EN) Holocaust survivor Batszewa Dagan donates lucky charm to Auschwitz museum, in ABC News, 21 gennaio 2016. URL consultato il 16 novembre 2016.

Bibliografia

Collegamenti esterni