Storia Della Musica - La Notazione
Storia Della Musica - La Notazione
Storia Della Musica - La Notazione
Dall’antichità al Medioevo
La scrittura musicale nell’antichità
Per quanto concerne la durata, essa può essere determinata con esattezza grazie ai segni di superallungamento, dal
momento che essa non corrisponde più alla quantità breve e lunga di ciascuna sillaba. Nel caso di questo documento si
arriva fino a valori di tre tempi. Il tempo che si ottiene è di sei ottavi. Si noti anche come su una sola sillaba potevano
essere collocate più note (in questo caso fino a tre).
Al di sopra delle lettere dell’alfabeto ionico troviamo, infatti, i segni di durata: a partire dal IV secolo circa era
divenuta sempre più frequente la dissociazione della durata della nota dal sistema metrico dei versi. Fu così necessaria
un’ulteriore simbologia per indicare una lunga di due tempi (makrà dìchronos), = ; di tre tempi (makrà trìchronos)
= ; di quattro tempi (makrà tetràchronos) = ; di cinque tempi (makrà pentàchronos) = .
La notazione neumatica
Fra il VI e VII secolo, quando Gregorio Magno riordinò il canto liturgico, la notazione alfabetica fu
sostituita con quella neumatica, che utilizzava dei segni particolari detti, appunto, neumi.
I principali neumi usati erano: il punctum, la virga, il pes o podatus, la clivis, lo scandicus, il climacus, il
torculus, il porrectus. Erano piccole linee derivate dagli accenti e volte in su e in giù venivano disposte
sopra o sotto il rigo e collocate sopra le sillabe delle parole del testo da cantare. Erano dei segni tutt’altro
che precisi, si limitavano ad indicare il movimento ascendente o discendente della voce per richiamare
alle orecchie quelle melodie liturgiche che gli allievi della Schola Cantorum erano costretti ad imparare a
memoria.
Le note musicali partivano dal LA in quanto era considerato il suono più grave del sistema perfetto greco.
Nella notazione per musica vocale si fece, col tempo, sentire l’esigenza di riprodurre in maniera più
precisa i movimenti della voce così si iniziarono a tracciare delle linee in rosso sopra le parole che
rappresentavano la voce ferma. La prima linea indicava il DO, la seconda (aggiunta in un secondo
momento) indicava il FA; tuttavia, non era ancora ben chiaro il concetto di chiave per stabilire il
significato della linea.
Guido d’Arezzo e i modi ritmici
Col tempo i neumi assunsero una forma distinta e furono collegati da una linea in
cui dei segni particolari indicavano le chiavi di DO e FA. Fu grazie a Guido
d'Arezzo (995-1050) monaco benedettino nel monastero di Pomposa (Ferrara) che
ebbe inizio la notazione moderna. Egli infatti elaborò il tetragramma (un rigo
musicale di quattro linee) e denominò le note con le prime sillabe della prima
strofa dell'Inno a San Giovanni. La prima nota "UT" fu successivamente chiamata
"DO". Le sillabe e le note, così staccate dal contesto, venivano a creare una scala
di sei suoni detta esacordo.
Egli conservò i segni alfabetici usati come chiave di lettura della notazione, gli
stessi in uso ancora oggi, la cui trasformazione è frutto di una lenta evoluzione
dovuta alle interpretazioni dei vari copisti.
Lo sviluppo del contrappunto portò anche ad una maggiore precisione nello
stabilire la durata delle note, nacque così la notazione mensurale. Il primo
tentativo, quello dei modi ritmici si rifaceva a quello della metrica dell'antica
Grecia che alternava la combinazione di due valori: la longa e la brevis. La loro
diversa combinazione dava origine a sei modi ritmici.
Nel XIII sec. Francone da Colonia aggiunge due nuovi valori: la maxima o duplex
longa e la semibrevis. All'inizio del XIV sec., in Francia venne introdotto un
nuovo valore: la semibrevis minima. Seguirono poi la semiminima, la fusa e la
semifusa.
UT queant laxis
REsonare fibris «Affinché possano cantare
con voci libere
MIra gestorum
le meraviglie delle tue gesta
FAmuli tuorum i servi Tuoi,
SOLve polluti cancella il peccato
LAbii reatum dal loro labbro impuro,
Sancte Johannes o San Giovanni»
Si ebbero anche le prime pausa, un trattino verticale più o meno lungo in base alla
durata.
Le note non avevano sempre la stessa durata, ma variavano a seconda del modus (che
regola i rapporti tra longa e brevis), del tempus (che regola i rapporti tra brevi e
semibrevi) e della prolatio (che regola i rapporti tra semibrevi e minime).
Il tempus era distinto in perfetto e imperfetto.
La prolatio era maggiore o minore.
Nel XVII secolo apparve la stanghetta spezzabattuta e pian piano le note iniziarono ad
abbandonare la forma quadrata per diventare rotonde.
Tuttavia, ancora oggi si assiste ad una continua ricerca di nuovi sistemi di scrittura in
quanto le nuove produzioni sonore, come quella elettronica, richiedono tecniche di
composizione diverse da quelle del passato per tradurre graficamente i nuovi mondi
sonori.