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Fascismo

Dopo la Prima guerra mondiale, l'Italia visse un periodo di frustrazione sociale che portò alla nascita del fascismo, con i Fasci di combattimento che utilizzarono la violenza per guadagnare potere. Nel 1921, il movimento si trasformò nel Partito Nazionale Fascista e, dopo la Marcia su Roma nel 1922, Mussolini divenne capo del governo, avviando una dittatura che si consolidò attraverso leggi repressive e accordi con la Chiesa. Il regime fascista adottò politiche economiche corporativiste e si avvicinò alla Germania nazista, culminando in leggi razziali nel 1938.
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Dopo la Prima guerra mondiale, l'Italia visse un periodo di frustrazione sociale che portò alla nascita del fascismo, con i Fasci di combattimento che utilizzarono la violenza per guadagnare potere. Nel 1921, il movimento si trasformò nel Partito Nazionale Fascista e, dopo la Marcia su Roma nel 1922, Mussolini divenne capo del governo, avviando una dittatura che si consolidò attraverso leggi repressive e accordi con la Chiesa. Il regime fascista adottò politiche economiche corporativiste e si avvicinò alla Germania nazista, culminando in leggi razziali nel 1938.
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Dopo la Prima guerra mondiale, molti italiani si ritrovarono senza un ruolo chiaro nella nuova

società: tra loro c’erano reduci di guerra, lavoratori disillusi, piccoli borghesi come avvocati o
impiegati frustrati dal mancato riconoscimento economico e sociale. Questo diffuso senso di
frustrazione fu incanalato politicamente dai Fasci di combattimento, che fecero largo uso della
violenza: squadre armate di manganelli e olio di ricino agivano con brutalità, spesso trasportate in
camionette per intimidire e colpire gli avversari politici, soprattutto socialisti.
Nel 1919, alle elezioni politiche, i Fasci si presentarono come movimento ma non ottennero alcun
seggio: non avevano ancora una struttura partitica e non conquistarono voti significativi. In
quell’anno il Partito Comunista Italiano (PCI) non era ancora nato: nascerà nel 1921 da una
scissione del Partito Socialista Italiano (PSI), che nel 1919 invece ottenne un grande successo
elettorale. Questo rafforzò l’impressione che l’Italia stesse prendendo una direzione socialista.
Dopo il 1919, i Fasci sembravano destinati a scomparire, ma continuarono a usare la violenza come
strategia politica attraverso le “camicie nere”. Nel 1921 il movimento fascista si trasformò in Partito
Nazionale Fascista (PNF) e partecipò alle elezioni all’interno del cosiddetto “Blocco Nazionale”, un
listone elettorale voluto da Giolitti che comprendeva liberali, conservatori, cattolici popolari e
fascisti. Dall’altra parte, i socialisti si presentarono divisi: il PCI di Gramsci da un lato, il Partito
Socialista Riformista (ex Turati) dall’altro.
Nel 1921 i fascisti ottennero 35 deputati: un risultato che li convinse di non essere stati sconfitti. Fu
in questo contesto che si organizzò la Marcia su Roma, un’azione coordinata dalle squadre fasciste
– capeggiate dai ras come Dino Grandi – che partirono da Milano per attraversare varie città e
diffondere terrore. La marcia non fu effettivamente guidata da Mussolini, che assunse un
atteggiamento attendista (si dice abbia ironicamente detto: “Armiamoci e partite”), ma servì a
dimostrare che l’Italia non era socialista e che era possibile agire contro i socialisti.
Mussolini cercava nel frattempo di rassicurare la monarchia e la Chiesa: voleva dimostrare di non
essere né antimonarchico né anticattolico. Il punto di convergenza era l’ostilità verso i socialisti e la
paura che prendessero il potere, soprattutto dopo il successo dei bolscevichi in Russia. In tutta
Europa le borghesie temevano che anche da loro potesse esplodere una rivoluzione comunista.
Il fascismo ebbe quindi anche un appoggio dalle élite locali e dai ras, capi delle squadre d’azione
con potere reale sul territorio, spesso più estremisti dello stesso Mussolini. Il capo del governo,
Luigi Facta, durante la Marcia su Roma (ottobre 1922) chiese al re Vittorio Emanuele III di
dichiarare lo stato d’assedio per fermare i fascisti. Il re però rifiutò e Facta si dimise. Il re affidò
così l’incarico di formare un nuovo governo a Mussolini, sperando di poter usare il fascismo per
contenere il socialismo.
Secondo lo Statuto Albertino, il re poteva nominare chi voleva come capo del governo, ma ormai si
era affermata la prassi costituzionale secondo cui il re sceglieva chi aveva la maggioranza in
Parlamento. Il re violò questa consuetudine consapevolmente, anche se Mussolini non aveva la
maggioranza.
Mussolini iniziò a rafforzare il proprio potere istituendo organi ufficiali per legalizzare il
movimento: creò la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (camicie nere regolarizzate) e
il Gran Consiglio del Fascismo, organo di vertice del partito.
Il 3 gennaio 1925, Mussolini pronunciò in Parlamento un discorso che segnò l’inizio ufficiale della
dittatura, assumendosi la responsabilità morale dell’omicidio Matteotti. Seguirono le Leggi
Fascistissime (1925–1926), che:
1. Potenziarono i poteri del governo, svuotando il Parlamento;
2. Istituzionalizzarono il Gran Consiglio del Fascismo;
3. Concessero al capo del governo il potere di nominare i podestà, che sostituivano i sindaci
eletti;
4. Rafforzarono la figura del prefetto come rappresentante del governo centrale nei territori;
5. Imposero la chiusura di giornali oppositori e la censura;
6. Vietarono i sindacati non fascisti;
7. Siglarono il Patto di Palazzo Vidoni (1925), con cui Confindustria riconosceva come unico
interlocutore il sindacato fascista, escludendo di fatto i sindacati socialisti e cristiani.
Nel 1929 Mussolini firmò i Patti Lateranensi con la Chiesa cattolica e papa Pio XI, sanando la
frattura nata con la breccia di Porta Pia (1870) e il “non expedit”. La Chiesa riconobbe Mussolini
come "l'uomo della Provvidenza". I Patti prevedevano:
• Il riconoscimento della Città del Vaticano come Stato indipendente;
• Il risarcimento alla Chiesa per la perdita dello Stato Pontificio;
• L’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole;
• L’esenzione dei sacerdoti dal servizio militare;
• Il riconoscimento civile del matrimonio religioso;
• L’autonomia delle organizzazioni cattoliche (inizialmente).
Questi accordi dimostrano che il regime non fu pienamente totalitario: esistevano ancora il re, la
Chiesa e i carabinieri, che avrebbero potuto opporsi ma non lo fecero.

Politica economica fascista


All’inizio Mussolini, ex socialista rivoluzionario, applicò politiche liberiste per attirare l’appoggio
dei grandi industriali. Dopo il 1925, però, il regime adottò un’impostazione corporativista:
lavoratori e datori di lavoro venivano organizzati per settori e mediati dallo Stato, che si presentava
come garante della "pace sociale". In questo contesto vennero vietati gli scioperi e i sindacati non
fascisti.
La Battaglia del grano fu una delle campagne economiche del regime: per raggiungere
l'autosufficienza alimentare, molti terreni furono convertiti alla coltivazione del grano, a discapito di
pascoli e colture più diversificate. La campagna ebbe un successo parziale: aumentò la produzione
di grano, ma impoverì l'agricoltura italiana.
Con la Quota Novanta, Mussolini decise di rivalutare artificialmente la lira, fissando il cambio a
90 lire per una sterlina (contro le 145 precedenti). Questa politica deflazionistica, volta a dare
prestigio alla moneta nazionale, ridusse i salari reali dei lavoratori ma aumentò il potere d'acquisto
della borghesia.
Con la crisi del 1929, il regime adottò politiche keynesiane: grandi lavori pubblici, bonifiche
(come quelle che portarono alla nascita di città come Arborea e Carbonia), costruzione di quartieri
come l’EUR, per stimolare la domanda interna. Per sostenere le imprese in crisi furono creati due
enti:
• IMI (Istituto Mobiliare Italiano): forniva prestiti alle imprese in difficoltà;
• IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale): lo Stato acquistava aziende in crisi,
nazionalizzandole temporaneamente.
Il regime ottenne consenso anche nel ceto medio, che vide aumentare il proprio tenore di vita. Alle
elezioni plebiscitarie, con voto non libero, si raggiunsero percentuali altissime di partecipazione e di
approvazione (98% affluenza, 99% “sì”).
Rapporti con Hitler e antisemitismo
Nel 1933 Hitler salì al potere in Germania. Nonostante l’Italia non avesse una tradizione antisemita
(la comunità ebraica era esigua), Mussolini iniziò ad avvicinarsi alla Germania nazista, anche per
ambizioni coloniali. Dopo la guerra in Libia, Mussolini volle “riconquistare” l’Etiopia: la campagna
del 1935-1936 fu brutale, con crimini di guerra e uso di armi chimiche. La reazione internazionale
fu durissima: la Società delle Nazioni impose sanzioni economiche. Mussolini, per risposta,
proclamò l’autarchia: l’Italia doveva essere autosufficiente dal punto di vista economico, evitando
importazioni.
Il fascismo mirava a essere totalitario: il partito doveva controllare ogni aspetto della vita pubblica
e privata. Furono create organizzazioni di massa:
• Opera Nazionale Balilla, per l’educazione dei bambini;
• Gioventù Universitaria Fascista (GUF);
• Opera Nazionale Dopolavoro, con attività ricreative accessibili anche ai poveri;
• Figli della Lupa, per i più piccoli;
• La radio e il cinema erano controllati dall’EIAR e dall’Istituto Luce;
• L’Agenzia Stefani, agenzia stampa, venne affidata a uomini di regime.
Nel 1931 Mussolini obbligò tutti i professori a giurare fedeltà al fascismo. Chi non firmava veniva
licenziato, incarcerato o mandato in esilio.
Nel 1931 proibì anche le associazioni cattoliche non riconducibili al regime, come i circoli
catechistici. Pio XI reagì con l'enciclica “Non abbiamo bisogno”, in cui denunciava la violazione
dei Patti Lateranensi.
Intellettuali come Croce si opposero al regime. Nel 1925 Gentile pubblicò il Manifesto degli
intellettuali fascisti; in risposta, Croce redasse il Manifesto degli intellettuali antifascisti,
diventando uno dei pochi a non subire conseguenze gravi grazie alla sua autorevolezza.

Il fascismo nel contesto internazionale


Il fascismo italiano ispirò regimi simili:
• In Spagna, nel 1923, il regime di Miguel Primo de Rivera, e dal 1939 al 1975 quello di
Francisco Franco;
• In Portogallo, la dittatura salazarista durò fino alla Rivoluzione dei garofani (1974-75).
Nel 1937 Mussolini si alleò ufficialmente con Hitler con il Patto d’Acciaio. L’Italia fascista si
avvicinava sempre più al modello totalitario tedesco, fino alle leggi razziali del 1938.

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