Fascismo
Fascismo
società: tra loro c’erano reduci di guerra, lavoratori disillusi, piccoli borghesi come avvocati o
impiegati frustrati dal mancato riconoscimento economico e sociale. Questo diffuso senso di
frustrazione fu incanalato politicamente dai Fasci di combattimento, che fecero largo uso della
violenza: squadre armate di manganelli e olio di ricino agivano con brutalità, spesso trasportate in
camionette per intimidire e colpire gli avversari politici, soprattutto socialisti.
Nel 1919, alle elezioni politiche, i Fasci si presentarono come movimento ma non ottennero alcun
seggio: non avevano ancora una struttura partitica e non conquistarono voti significativi. In
quell’anno il Partito Comunista Italiano (PCI) non era ancora nato: nascerà nel 1921 da una
scissione del Partito Socialista Italiano (PSI), che nel 1919 invece ottenne un grande successo
elettorale. Questo rafforzò l’impressione che l’Italia stesse prendendo una direzione socialista.
Dopo il 1919, i Fasci sembravano destinati a scomparire, ma continuarono a usare la violenza come
strategia politica attraverso le “camicie nere”. Nel 1921 il movimento fascista si trasformò in Partito
Nazionale Fascista (PNF) e partecipò alle elezioni all’interno del cosiddetto “Blocco Nazionale”, un
listone elettorale voluto da Giolitti che comprendeva liberali, conservatori, cattolici popolari e
fascisti. Dall’altra parte, i socialisti si presentarono divisi: il PCI di Gramsci da un lato, il Partito
Socialista Riformista (ex Turati) dall’altro.
Nel 1921 i fascisti ottennero 35 deputati: un risultato che li convinse di non essere stati sconfitti. Fu
in questo contesto che si organizzò la Marcia su Roma, un’azione coordinata dalle squadre fasciste
– capeggiate dai ras come Dino Grandi – che partirono da Milano per attraversare varie città e
diffondere terrore. La marcia non fu effettivamente guidata da Mussolini, che assunse un
atteggiamento attendista (si dice abbia ironicamente detto: “Armiamoci e partite”), ma servì a
dimostrare che l’Italia non era socialista e che era possibile agire contro i socialisti.
Mussolini cercava nel frattempo di rassicurare la monarchia e la Chiesa: voleva dimostrare di non
essere né antimonarchico né anticattolico. Il punto di convergenza era l’ostilità verso i socialisti e la
paura che prendessero il potere, soprattutto dopo il successo dei bolscevichi in Russia. In tutta
Europa le borghesie temevano che anche da loro potesse esplodere una rivoluzione comunista.
Il fascismo ebbe quindi anche un appoggio dalle élite locali e dai ras, capi delle squadre d’azione
con potere reale sul territorio, spesso più estremisti dello stesso Mussolini. Il capo del governo,
Luigi Facta, durante la Marcia su Roma (ottobre 1922) chiese al re Vittorio Emanuele III di
dichiarare lo stato d’assedio per fermare i fascisti. Il re però rifiutò e Facta si dimise. Il re affidò
così l’incarico di formare un nuovo governo a Mussolini, sperando di poter usare il fascismo per
contenere il socialismo.
Secondo lo Statuto Albertino, il re poteva nominare chi voleva come capo del governo, ma ormai si
era affermata la prassi costituzionale secondo cui il re sceglieva chi aveva la maggioranza in
Parlamento. Il re violò questa consuetudine consapevolmente, anche se Mussolini non aveva la
maggioranza.
Mussolini iniziò a rafforzare il proprio potere istituendo organi ufficiali per legalizzare il
movimento: creò la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (camicie nere regolarizzate) e
il Gran Consiglio del Fascismo, organo di vertice del partito.
Il 3 gennaio 1925, Mussolini pronunciò in Parlamento un discorso che segnò l’inizio ufficiale della
dittatura, assumendosi la responsabilità morale dell’omicidio Matteotti. Seguirono le Leggi
Fascistissime (1925–1926), che:
1. Potenziarono i poteri del governo, svuotando il Parlamento;
2. Istituzionalizzarono il Gran Consiglio del Fascismo;
3. Concessero al capo del governo il potere di nominare i podestà, che sostituivano i sindaci
eletti;
4. Rafforzarono la figura del prefetto come rappresentante del governo centrale nei territori;
5. Imposero la chiusura di giornali oppositori e la censura;
6. Vietarono i sindacati non fascisti;
7. Siglarono il Patto di Palazzo Vidoni (1925), con cui Confindustria riconosceva come unico
interlocutore il sindacato fascista, escludendo di fatto i sindacati socialisti e cristiani.
Nel 1929 Mussolini firmò i Patti Lateranensi con la Chiesa cattolica e papa Pio XI, sanando la
frattura nata con la breccia di Porta Pia (1870) e il “non expedit”. La Chiesa riconobbe Mussolini
come "l'uomo della Provvidenza". I Patti prevedevano:
• Il riconoscimento della Città del Vaticano come Stato indipendente;
• Il risarcimento alla Chiesa per la perdita dello Stato Pontificio;
• L’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole;
• L’esenzione dei sacerdoti dal servizio militare;
• Il riconoscimento civile del matrimonio religioso;
• L’autonomia delle organizzazioni cattoliche (inizialmente).
Questi accordi dimostrano che il regime non fu pienamente totalitario: esistevano ancora il re, la
Chiesa e i carabinieri, che avrebbero potuto opporsi ma non lo fecero.