Storia - Programma Intero-1 UUbVq
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STORIA
CAPITOLO 13 – LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E LA QUESTIONE SOCIALE ...................................................1
PARAGRAFO 1: LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE .........................................................................................................1
Prima fase di sviluppo economico...........................................................................................................................1
Seconda fase di sviluppo dell’industria ...................................................................................................................1
La nascita dei monopoli..........................................................................................................................................2
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Mezzi di trasporto e vie di comunicazione ..............................................................................................................2
Capitalismo finanziario e la mondializzazione del mercato .....................................................................................2
La “lunga depressione”, si entra in un periodo di recessione ...................................................................................3
STORIA E TECNOLOGIA .....................................................................................................................................................3
Scoperte e invenzioni che cambiarono la vita quotidiana .......................................................................................3
Dal telegrafo al telefono................................................................................................................................................................. 3
L’elettricità ...................................................................................................................................................................................... 4
La chimica ....................................................................................................................................................................................... 4
Scienza, alimentazione e medicina ................................................................................................................................................ 4
PARAGRAFO 2: LO SVILUPPO DEI COMMERCI E LA PUBBLICITÀ ..................................................................................................4
La società di massa ................................................................................................................................................4
CAPITOLO 14 – STATI-NAZIONE E NUOVI EQUILIBRI ......................................................................................................5
PARAGRAFO 2: LA PRUSSIA DI BISMARK E L’UNIFICAZIONE DELLA GERMANIA..............................................................................5
CAPITOLO 15 – I PROBLEMI DELL’ITALIA UNITA: DESTRA E SINISTRA A CONFRONTO ...................................................7
PARAGRAFO 1: I PROBLEMI ECONOMICI E SOCIALI DELL’UNIFICAZIONE .......................................................................................7
PARAGRAFO 2: IL GOVERNO DELLA DESTRA STORICA ..............................................................................................................7
PARAGRAFO 3 - 4: L’ANNESSIONE DI ROMA E DEL VENETO .....................................................................................................8
PARAGRAFO 5: IL GOVERNO DELLA SINISTRA STORICA E L’AVVIO DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE ..........................................................8
PARAGRAFO 7: LA POLITICA ESTERA ITALIANA E LE ASPIRAZIONI COLONIALI .................................................................................9
PARAGRAFO 8: DA CRISPI ALLA CRISI DI FINE SECOLO ...........................................................................................................10
CAPITOLO 16 – L’IMPERIALISMO E IL MONDO EXTRA-EUROPEO.................................................................................11
PARAGRAFO 1: L’IMPERIALISMO......................................................................................................................................11
Conquista di una nuova colonia............................................................................................................................12
LA PRIMA GUERRA MONDIALE ....................................................................................................................................12
GLI ANTEFATTI - PARAGRAFO 1.2 + PAGINA 19 ..................................................................................................................12
LA PRIMA RIVOLUZIONE RUSSA (1905) – PARAGRAFO 2.3 ....................................................................................................14
SI ARRIVA ALLA GUERRA – PARAGRAFO 4.1 + 4.2................................................................................................................14
L’ITALIA GIOLITTIANA – CAPITOLO 3 .................................................................................................................................16
I progressi sociali e lo sviluppo industriale dell’Italia – paragrafo 3.1....................................................................16
La politica interna tra socialisti e cattolici – paragrafo 3.2....................................................................................17
La politica estera e la guerra di Libia – paragrafo 3.3 ...........................................................................................17
L’ITALIA DALLA NEUTRALITÀ ALLA GUERRA – PARAGRAFO 4.3 ................................................................................................18
1915-1916: LA GUERRA DI POSIZIONE – PARAGRAFO 4.4 ....................................................................................................19
Il sistema delle trincee ..........................................................................................................................................19
IL FRONTE INTERNO E L’ECONOMIA DI GUERRA – PARAGRAFO 4.5 ...........................................................................................20
DALLA CADUTA DEL FRONTE RUSSO ALLA FINE DELLA GUERRA (1917-1918) – PARAGRAFO 4.6 ....................................................20
La disfatta di Caporetto........................................................................................................................................21
© Giacomo Savazzi – Andrea Cappone 5^BI – 2017/2018
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maggiore duttilità, che lo rende più facile da lavorare. Queste sue caratteristiche portano allo
sviluppo di nuovi strumenti operativi, alla costruzione di edifici con strutture metalliche ( come
Tour Eiffel) e la sostituzione delle rotaie di ferro con quelle in acciaio molto più durature. Questo
metallo porta anche un incremento ulteriore delle attività estrattive sollecitate dalla continua
richiesta di ferro e carbone;
Scoperta di nuove fonti di energia, come il petrolio, che porta poi alla diffusione dei motori a
combustione a scapito di quelli a vapore della prima rivoluzione industriale. Altre fonti di
energia usate da chi non possedeva il petrolio era la forza idrica trasformata poi in energia
elettrica.
La nascita dei monopoli
Lo sviluppo dell’industria porta le piccole fabbriche, che non riescono a sostenere, soprattutto in
campo economico, la concorrenza, a chiudere facendo largo così alla nascita di poche ma colossali
imprese con l’obbiettivo di battere la concorrenza, ridurre i costi e aumentare i guadagni. Per fare
ciò le imprese cercano di ottenere il monopolio su determinati prodotti o settori produttivi
portando così la nascita delle trust e dei cartelli.
La trust più importante in questo periodo è quella sul petrolio, ormai fonte di energia primaria,
detenuta inizialmente solo dagli Stati Uniti. L’America ha così il potere di decidere il prezzo del
petrolio fino a che vengono scoperti grandi giacimenti pure in Medio Oriente (Libia, Arabia) e si crea
così una concorrenza tra i due e il prezzo iniziò a vacillare. Più il prezzo del petrolio era elevato più
la rivoluzione industriale poteva avanzare visto che coloro che investivano nello sviluppo erano
soprattutto i possessori di grandi capitoli e in questo periodo i più ricchi sono proprio i magnati del
petrolio. Il petrolio diventa così la cartina di tornasole del mondo del 900 ma anche del nostro poiché
dal prezzo del petrolio si evincono i periodi di benessere e depressione economica.
Nel mondo attuale il prezzo del petrolio è mantenuto basso con lo scopo di ridimensionare nel loro potere i paesi del
Medio Oriente, anche se le nazioni produttrici di petrolio non riescono più a investire nell’innovazione e così si viene
meno alla concorrenza.
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sfruttamento delle colonie, soprattutto in Asia e Africa. Le attività commerciali furono favorite
anche dell’adozione da parte di molti stati del sistema monetario aureo dove il valore della moneta
era basato sul prezzo dell’oro e di conseguenza i prezzi ovunque erano legati al valore dell’oro.
Si inizia così ad andare verso la globalizzazione dell’economia, presente tutt’oggi.
La “lunga depressione”, si entra in un periodo di recessione
Fra il 1873 e il 1896 si verifica una lunghissima crisi mondiale chiamata “lunga depressione”. Il
fattore che portò a questa crisi fu l’ingente aumento di merci disponibili sul mercato mondiale a
prezzi più vantaggiosi rispetto ai prodotti locali. I mercati locali entrano in un periodo di crisi e
richiedono a gran voce l’abbandono del liberalismo (politica del libero mercato) a favore del
protezionismo e delle barriere doganali. Ciò va a favore dei produttori ma danneggia i consumatori
che subiscono una crescita dei prezzi su generi alimentari e non. Un altro fattore che portò alla crisi
fu la scoperta di giacimenti di oro in Africa. Con il massiccio afflusso di oro in Europa il suo valore
diminuisce e di conseguenza, visto che l’Europa adottò il sistema monetario aureo, anche il valore
della moneta diminuisce. L’Europa entra in un periodo di inflazione, con conseguente aumento dei
prezzi, e il potere di acquisto del singolo diminuisce.
Si entra in un fase di recessione dove le nazioni europee inizialmente cercano di cambiare mercanti
provando a vendere in stati extraeuropei anche se questa soluzione dura poco vista l’arretratezza e
la povertà di tali stati. Si decide così di passare a un nuovo tipo di produzione: la produzione bellica,
che comprende armi, infrastrutture per trasporto, divise. Tutto ciò in vista di una guerra (prima guerra
mondiale del 1914) scatenata dal malcontento di coloro che si sono visti diminuire il loro potere di
acquisto. Questo ciclo che porta alla guerra si ripete sia per la prima che per la seconda guerra
mondiale.
Ciclo che porta alla guerra:
1. Crescita finanziaria e benessere economico;
2. Stagnazione e recessione del mercato;
3. Malcontento dei cittadini;
4. Inizio produzione bellica perché si presenta come la più redditizia in vista di una guerra;
5. Inizio guerra scatenata dal malcontento generale.
Storia e tecnologia
Scoperte e invenzioni che cambiarono la vita quotidiana
Nel corso dell’Ottocento, nei campi più svariati, si ebbe una serie di importanti scoperte scientifiche,
che ebbero un impatto diretto e profondo sulla vita quotidiana. Si assistette alla creazione di nuovi
prodotti e servizi che contribuirono a creare nuovi settori industriali e commerciali e nuove
opportunità di lavoro.
Dal telegrafo al telefono
Dall’invenzione del motore elettrico e della dinamo trassero origine nuove idee e alcune applicazioni
pratiche, che permisero a Guglielmo Marconi (1874–1937) di realizzare la radiotelegrafia, e quindi
il modo di trasmettere la voce umana senza l’aiuto dei fili.
Inoltre, ci fu l’invenzione del telefono, da parte di Antonio Meucci (1808–1889), emigrato negli Stati
Uniti nel 1833, dove, nel 1871, aveva ottenuto, per un suo sistema telefonico, un brevetto
temporaneo da rinnovare annualmente, in attesa di quello permanente, per il quale era in mancanza
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di soldi. Ma nel 1876 Alexander Graham Bell (1847–1922) brevettò un’invenzione analoga e fondò
un’azienda che avrebbe dominato il mercato americano della telefonia per oltre un secolo. Ci fu un
dubbio sul fatto che Bell avesse sviluppato ricerche autonome o se avesse conosciuto l’invenzione
dell’italiano. Nel 2002 la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha riconosciuto a Meucci
l’invenzione del telefono.
L’elettricità
L’americano Thomas Edison (1847–1921) nel campo della produzione progettò la prima centrale
idroelettrica, che sfruttava, con una turbina, l’energia prodotta dall’acqua nelle cascate del Niagara
e avrebbe avuto applicazione in paesi scarsamente forniti di altre fonti energetiche ( come carbone e
petrolio).
Nel campo della distribuzione realizzò a New York, nel 1882, la prima rete che portava energia
elettrica nelle case di 59 utenti.
Nel campo dell’applicazione e del consumo inventò, nel 1880, la lampadina.
Tra tutti i brevetti di Edison vi fu anche il fonografo ( dispositivo che consente di ascoltare suoni incisi su un
disco), che aprì la strada all’industria musicale.
La chimica
Tra i principali artefici del progresso chimico ricordiamo August Hoffman (1818–1892), che riuscì a
isolare l’anilina, base di tutte le sostanze coloranti. La scoperta fu commercializzata dall’inglese
William Henry Perkin (1838–1907), che ideò un procedimento per produrre su scala industriale
coloranti per tessuti.
Il torinese Antonio Sobrero (1812–1888) individuò la nitroglicerina, usata poi da Alfred Nobel
(1833–1896) per la messa a punto della dinamite.
Scienza, alimentazione e medicina
Il francese Louis Pasteur (1822–1895) studiò il metodo di pastorizzazione (processo di fermentazione
del latte e del vino), usato ancora oggi.
In ambito medico, il fisico tedesco Wilhelm Rontgen (1845–1923) nel 1895 scoprì i “raggi X”.
Nel 1898 i coniugi Pierre e Marie Curie rivelarono al mondo l’esistenza della radioattività e
identificarono due nuovi elementi chimici: il radio e il polonio.
Paragrafo 2: Lo sviluppo dei commerci e la pubblicità
La società di massa
La straordinaria crescita industriale rende possibile la produzione a prezzi contenuti di molti beni
allora considerati di lusso e accessibili a pochi ceti sociali. I principali acquirenti ormai non sono solo
i borghesi e gli impiegati, ma ormai anche gli operai, che cominciano a recepire salari migliori grazie
alle lotte condotte a loro favore, diventano consumatori di beni non di prima necessità.
L’aumento dei salari rimane sempre a favore del settore industriale che si vede ampliare di molto il
suo mercato con l’ingresso di uno dei ceti più numerosi, il proletariato.
Tutto questo (industrializzazione, l’aumento dei salari e quindi del benessere sociale) porta alla nascita della
società di massa dove ogni individuo perde la sua individualità e diventa parte della massa e segue
il pensiero della massa.
Altri fattori che porteranno alla nascita della società di massa, oltre a ciò descritto prima, sono:
L’accomunamento della domanda visto che ormai tutti richiedono gli stessi beni;
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Lo sviluppo dei grandi magazzini (attuali centri commerciali) dove si poteva comprare di tutto a
prezzi accessibili. Nascono anche nuovi sistemi di pagamento come il pagamento a rate che
permette a chiunque di acquistare prodotti che di per sé non riuscirebbe;
L’affermazione della pubblicità, supporto del mercato, il cui compito era quello di invogliare la
gente all’acquisto. Il mezzo principe di diffusione della pubblicità furono i giornali ormai alla
portata di tutti grazie alla crescita industriale.
La formazione di un nuovo ceto, il ceto impiegatizio (colletti bianchi), che si trovava tra l’operaio
e il borghese. I membri di tale ceto erano in grado di vivere una vita molto dignitosa e potevano
permettersi di spendere anche in beni non di prima necessità.
La nascita della società di massa porta conseguenze positive come l’accesso a beni anche non di
prima necessità da parte di sempre più persone, anche operai. Dall’altra parte porta alla perdita di
individualità e alla omologazione del pensiero di chi appartiene alla massa.
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trono spagnolo sia ora che in futuro. Guglielmo I non accetta la proposta e nel 1870 scoppia la
guerra. A dichiararla furono proprio i francesi sicuri di una facile vittoria ma alla fine il loro esercito
crollò in pochi giorni sotto la pressione dei ben organizzati e avanzati reparti tedeschi che avevano
a disposizione, in oltre, cannoni a retrocarica prodotti dalla Krupp (importante acciaieria tedesca motore
bellico della 2 guerra mondiale). Napoleone III viene imprigionato costretto prima a cedere l’Alsazia e la
Lorena poi ad abdicare rendendo la Francia una repubblica. Come conseguenza della vittoria
prussiana nasce il nuovo Impero germanico e nel 1870, nella reggia di Versailles, Guglielmo I viene
eletto Kaiser nel 2° Reich. Nasce così un impero basato sulla potenza militare e con obbiettivo il
predominio dell’Europa prima in mano alla Francia.
1. Primo Reich del X secolo sotto il comando i Carlo Magno.
2. Secondo Reich del XIX secolo (1870–1918) sotto il comando di Guglielmo I di Hohenzollern.
3. Repubblica di Weimar del XIX secolo (1918–1933).
4. Terzo Reich del XX secolo (1933–1945) sotto il comando di Adolf Hitler.
La società tedesca, nata nel nuovo impero della Germania unita, era basata sui principi imposti dalla
società prussiana come il dominio della forza militare e la burocrazia. In Germania si afferma così
una società irreggimentata dove ciascuno, a partire dall’operaio fino alla più alta carica politica, ha
un suo ruolo specifico e deve prestare fedeltà alla Stato (agisce come un soldato). Questa è la differenza
principale tra l’Italia (contro lo Stato) e la Germania (a suo favore).
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soprattutto i ceti contadini del Sud oppressi anche dall’aumento dei prezzi, emigrano verso
l’America. Questa emigrazione porta svantaggi all’Italia come la riduzione della manodopera, ma,
grazie alle rimesse degli emigrati, l’economia italiana riesce comunque a progredire. Con rimesse
degli emigrati intendo i soldi che gli emigrati dall’America mandavano alla famiglia rimasta in Italia.
Queste rimesse portano anche a una riduzione dell’analfabetismo e a un progresso sociale perché
gli emigrati, dopo essersi resi conto, durante il loro soggiorno nel nuovo mondo, di quanto sia
importante l’istruzione, raccomandano i figli rimasti in Italia di studiare. La politica protezionista
italiana è basata sull’aumento dei dazi doganali, con conseguente diminuzione delle importazioni,
e investimento del capitale nella produzione interna a favore delle esportazioni. Al momento, però,
l’Italia non possiede i fondi necessari per sostenere questo sviluppo e si deve affidare ai capitali
esteri, provenienti soprattutto da Germania e Francia, investiti nel mercato italiano come tentativo
di ripresa dopo la lunga depressione del 1873-1896. Dall’altra parte, l’aumento delle tariffe doganali
determinò una difficoltà nei rapporti commerciali con gli altri paesi europei, soprattutto con la
Francia dove l’Italia esportava molti prodotti e, a sua volta, la Francia esportava molti prodotti in
Italia. Con l’aumento dei dazi a sfavore del commercio francese, la Francia decide di applicare sui
prodotti italiani venduti nello stato una tariffa doppia rispetto ai prodotti di altri stati. A sua volta
l’Italia fa lo stesso e tra le due nazioni inizia una vera e propria guerra delle tariffe. Gli effetti furono
disastrosi e colpirono soprattutto il settore primario italiano, molto attivo nel commercio estero. I
rappresentati di tale settore erano soprattutto di contadini meridionali che, ritrovandosi in una
situazione di estrema miseria, favoriscono la migrazione verso l’America.
La Sinistra, come abbiamo visto, punta soprattutto sullo sviluppo industriale a scapito
dell’agricoltura rappresentata soprattutto dalla popolazione meridionale sfavorita in questo
periodo in ambito economico e, di conseguenza, culturale. La nascita di nuove banche in grado di
fornire credito e la presenza di capitali stranieri favorì lo sviluppo industriale italiano e creò le
condizioni necessarie per il superamento della piccola industria verso una produzione a livello
globale. Anche il settore economico, grazie a una più flessibile politica protezionistica richiesta dagli
stessi produttori, riesce a svilupparsi. Verso la fine dell’800, un po’ in ritardo, anche l’Italia comincia
un processo di sviluppo da nazione basata sull’agricoltura verso il concetto di nazione moderna
basata sull’industria e sul commercio a livello globale.
Paragrafo 7: La politica estera italiana e le aspirazioni coloniali
L’Italia, dopo aver perso l’appoggio storico della Francia a causa della questione romana e della
successiva guerra delle tariffe, si trova in un pericoloso isolamento. Depretis cerca l’appoggio di
altre nazioni e inizia una politica di avvicinamento alla Germania di Bismark, al tempo grande
investitore nel mercato italiano, e di conseguenza all’Austria, già alleata della Germania nella
Duplice Alleanza. Il 20 maggio 1882 l’Italia firma il patto della Triplice Alleanza insieme a Germania
e Austria. Grazie a questo patto, l’Italia si garantisce un appoggio militare da parte di Germania e
Austria e si libera da qualunque rivendicazione austriaca verso i territori italiani.
Questa conquista permette a Depretis di puntare sulla politica estera e sull’espansione coloniale,
sostenuta anche dall’opinione pubblica italiana visto che, a causa dell’aumento demografico
italiano, trovare nuovi territori capaci di accogliere e dare lavoro sarebbe molto utile. Depretis punta
alle coste eritree sul mar Rosso, valorizzate dal canale di Suez e, grazie al supporto della Germania,
che occupa la maggior parte dei territori dell’Africa centrale, l’Italia acquista, dalla compagnia
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Rubattino, il porto di Massau. Ottenuto il porto, l’Italia invia molte truppe militare per iniziare una
colonizzazione dei territori interni in direzione dell’Etiopia. Tale avanzata incontra però a Dogali
una forte opposizione da parte delle truppe del negus (imperatore dei territori etiopi) e una colonna
dell’esercito italiano viene sconfitta.
Paragrafo 8: Da Crispi alla crisi di fine secolo
L’evento di Dogali ebbe un forte eco in Italia e l’opinione si divise: alcuni richiedevano l’abbandono
della politica coloniale mentre altri favorivano l’invio di nuovo truppe per una riscossa italiana. In
quello stesso periodo muore Depretis e sale al governo Francesco Crispi nel 1887. Crispi dimostrò
un atteggiamento autoritario e interventista che lo portava ad essere un grande ammiratore di
Bismark e sostenitore della Triplice Alleanza. Crispi emanò una legge a favore di una nuova riforma
elettorale che permise a chiunque possedesse un livello di alfabetizzazione di votare e rimosse il
suffragio censitario, inoltre, in ambito di politica interna, con la legge Zanardelli, abolì la pena di
morte. In ambito coloniale, inviò consistenti rinforzi in Africa e riuscì ad arrivare ad un accordo con
il negus etiope. Nel 1889, infatti, Italia e Etiopia firmano il Trattato di Uccialli che definiva i limiti
delle zone italiane in territorio etiope e stabiliva il protettorato dell’Italia su tutta l’Etiopia.
Successivamente, a causa di un frainteso sul testo del trattato che imponeva all’Etiopia di trattare,
sia politicamente che economicamente, solo con l’Italia, i rapporti tra le due potenze tornarono tesi
fino alla rottura nel 1896 con la battaglia di Adua e la sconfitta italiana.
Nel 1892 il governo Crispi cade a causa dell’opposizione dei proprietari terrieri del Sud travolti dalla
guerra delle tariffe e da una conseguente diminuzione delle esportazioni. Nel 1892 sale al governo
Giovanni Giolitti, appartenente alla Sinistra moderata, fino al 1893. Giolitti decide di accostare per
il momento la politica coloniale a favore di quella interna minata dalle rivolte e dagli scioperi dei
braccianti del Sud. In politica interna Giolitti dimostra una grande diplomazia e cerca di andare
incontro alle richieste dei lavoratori meridionali, oppressi dal peso insopportabile della miseria, e
non reprime le rivolte con la violenza, come suggeritogli dai proprietari terrieri. Così Giolitti, nel
1892, riesce a sedare le rivolte dei Fasci Siciliani e le rivolte degli estrattori di marmo a Carrara ma,
a causa di questa sua politica democratica interna, perde il sostegno dei proprietari agrari.
A rendere ancora più difficile la posizione del governo saranno due avvenimenti:
La strage di italiani nelle saline di Peccais in Francia: l’odio tra le due nazioni, portato anche
dalla guerra delle tariffe, fece scoppiare in Francia una vera e propria “caccia all’italiano” che
provocò molti morti e feriti;
Lo scandalo della Banca Romana italiana: la Banca Romana, una della banche avente il diritto
di battere moneta, aveva mostrato delle irregolarità nell’emissione di moneta e, per far fronte
alla ridotta produzione di contante, aveva anche messo in circolazione banconote false.
Giolitti, coinvolto nello scandalo della Banca Romana, fu costretto a dimettersi nel 1893. A Giolitti
succedette il governo Crispi che governò in Italia fino al 1896. Crispi, a differenza di Giolitti,
ristabilisce l’ordine interno attraverso metodi repressivi sciogliendo i Fasci Siciliani, istigatori degli
scioperi, soffocando le agitazioni a Carrara e sciogliendo il Partito Socialista, a favore delle rivolte
popolari. Una volta risolti i problemi interni, Crispi si focalizza sulla politica coloniale e sulla
conquista del territorio Etiope il cui negus, Menelik, dopo il trattato di Uccialli, rifiutava qualunque
accordo con l’Italia. Crispi investe nella politica coloniale e manda molte truppe in Etiopia solo che,
nel 1896 ad Adua, le truppe italiane subiscono una sonora sconfitta. Crispi, di fronte alla sua seconda
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disfatta in Etiopia, si dimette e il nuovo capo del governo firma un trattato di pace per cui l’Italia
avrebbe mantenuto l’Eritrea ma non avrebbe più tentato espansioni in Etiopia.
Tra il 1896 e il 1900 l’Italia vive un periodo di forti agitazioni operaie e contadine, intensificate dalla
situazione economica di arretratezza presente nella nazione. In questo periodo il governo assume
una posizione reazionaria tanto da, nel 1898, ordinare al generale Bava Beccaris di sparare sulla
folla milanese scesa nelle strade per ribellarsi. Questo atto porterà, nel 1900, all’omicidio di
Umberto I, re d’Italia, da parte di Gaetano Bresci, ritornato in Italia dopo l’emigrazione in America
con il preciso scopo di assassinare il rappresentante di quel governo che permise a Bava Beccaris di
fare ciò che fece e vendicare i morti di Milano. Alla morte di Umberto I sale al potere il figlio Vittorio
Emanuele III che dà il compito di formare il governo a Giuseppe Zanardelli. Zanardelli assegna a
Giolitti il ruolo di ministro degli interni e in questo modo inizia una nuova fase della vita politica
italiana più aperta alla comprensione dei problemi sociali del popolo, proprio come voleva il
pensiero diplomatico e democratico di Giolitti.
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inglesi),
campi di concentramento adibiti inizialmente al lavoro forzato e successivamente, per
proposta di Hitler nel 1942, allo sterminio di intere popolazioni. Un campo di lavoro, a differenza
di un campo di sterminio, offriva manodopera a costo zero e, di conseguenza, un altissimo profitto
mentre, un campo di sterminio, a livello economico, oltre a non generare profitto, risulta una
grande perdita di risorse.
L’istituzione dei campi di concentramento portò coloro che assistevano agli sfruttamenti (coloni
arrivati dalla nazione colonizzatrice) ad abituarsi a tali violenze subite dal popolo colonizzato mettendo
in atto una distanza simbolica tra loro e le violenze consumate nei lager: il colone non si vuole
sporcare le mani e “accusa” coloro che fisicamente attuano la violenza anche se indirettamente è
il suo nazionalismo e la sua voglia di profitto ad alimentare la politica coloniale.
Motivazioni di carattere economico ed ideologico portano, in un primo tempo, all’affermarsi
dell’Imperialismo ma, con la caduta anche del mercato coloniale, si arriva alla guerra.
Conquista di una nuova colonia
La conquista di una nuova colonia poteva avvenire in due modi:
In modo diretto quando lo stato colonizzatore interviene sul piano politico nello stato
conquistato imponendo le sue leggi e i suoi rappresentanti. Questo tipo di controllo,
soprattutto nelle colonie più arretrate, porta risvolti positivi anche alla colonia a cui viene
trasmesso un certo grado di civilizzazione;
In modo indiretto quando lo stato colonizzatore non interviene in alcun modo sul piano politico
ma solo su quello economico, dedicandosi soltanto allo sfruttamento economico della colonia
senza nessun risvolto a suo favore.
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evenienza, ma stringono un accordo per cui il protettorato marocchino va alla Francia mentre la
Germania ottiene alcuni territori del Congo francese (territori necessari per l’espansionismo in Libia
dell’Italia).
Tra il 1910 e 1914, invece, l’attenzione si sposta sulla penisola balcanica, quindi nell’impero turco-
ottomano, presa di mira dalle mire espansionistiche austriache interessate agli sbocchi marittimi di
questo territori che in qualche modo collegava l’oriente all’occidente. L’Austria riesce ad annettere
ai suoi possedimenti la Bosnia-Erzegovina ma tale inizia irritò particolarmente la Serbia che invece
cercava di riunire in un solo stato, grazie anche all’appoggio della Russia, gli slavi e gli iugoslavi. Nel
1912 la situazione crolla e la Serbia, supportata dalla Russia, dà il via alla prima guerra balcanica
che sarà un successo anche perché la Turchia si vede colpita sia da serbi che dà gli italiani in Libia.
Le due nazioni stringono una pace (Trattato di Londra) che però dura poco e si arriva a una seconda
guerra balcanica in cui la Turchia cerca di recuperare i territori persi senza successo.
Il bilancio delle guerre risulta comunque negativo sia per l’Austria fermata nel suo espansionismo
in Turchia e contrasta da una Serbia più forte che mai, sia per la Russia sconfitta nel suo tentativo
di conquista degli stretti turchi (come lo stretto dei Dardanelli) tanto bramati.
Ormai sempre più vicini al conflitto, la scintilla che farà esplodere questa polveriera preparata nei
minimi dettagli, sarà l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austriaco, e
della moglie Sofia durante una visita a Sarajevo, capitale della Bosnia, il 28 giugno 1914. A
commettere l’omicidio fu Gavrilo Princip, studente serbo membro di una società patriottica a favore
di una “Grande Serbia”, progetto ostacolato dalla mire espansionistiche austriache. Dopo questo
evento gli stati europei, anche se pronti, non pensano alla guerra ma sarà il sovrano austriaco a
cercarla con un ultimatum, inviato a Belgrado, in cui richiedeva che l’amministrazione della giustizia
della Serbia passasse all’Austria. La Serbia, che si vedrebbe portar via la libertà faticosamente
ottenuta nelle guerre balcaniche, rifiuta e il 28 luglio 1914 l’Austria dichiara guerra alla Serbia e
inizia la Prima Guerra Mondiale. Come vediamo sarà l’Austria a dichiarare guerra, a cui arriverà poi
il supporto della Germania ma non dell’Italia che, vedendo la Triplice Alleanza come un semplice
patto difensivo in cui l’Italia offriva il suo aiuto solo in caso di difesa di una delle nazioni colpite, non
entra subito in guerra. La Germania, invece, entra subito in azione nel 1914 mettendo in atto il piano
Schlieffen, preparato nel 1905, basato su una guerra lampo con cui la Germania avrebbe
velocemente sconfitto i francesi sul fronte occidentale per poi dedicare tutte le forze al fronte
orientale. L’obbiettivo di questo piano era di non mantenere due fronti aperti
contemporaneamente. La Germania, per colpire la Francia alle spalle e eseguire un attacco sorpresa,
decide di passare dal Belgio violando il patto di neutralità che legava le due nazioni. La Germania
però, inaspettatamente, trova in Belgio una accanita resistenza che rallenta per due settimane le
truppe tedesche e da tutto il tempo alle truppe francesi per prepararsi allo scontro. L’esercito
tedesco, una volta sconfitta la resistenza belga, si scontra con le truppe francesi che sconfiggono i
tedeschi nella battaglia della Marna riuscendo a respingerli fino al fiume Aisne dove si stabilizzerà il
fronte occidentale. Ora la battaglia sul fronte si trasformerà da battaglia di movimento a battaglia
di posizione all’interno delle trincee. Queste guerre sono definite anche guerre di logoramento
perché perde il primo che esaurisce le risorse sia economiche che umane (soldati). Una volta
stabilizzata la situazione sul fronte orientale, la Russia sfrutta il momento di debolezza tedesca e
nell’agosto 1914 attacca la Germania sul fronte orientale. La Germania, grazie al grande terreno
pianeggiante che separa i due stati, ha tutto il tempo per prepararsi al conflitto e infatti, nell’agosto
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1914, sconfigge i russi sia a Tannenberg che nei laghi Masuri stabilizzando così anche il fronte
orientale. Sempre nel 1914 il conflitto si sposta anche in mare infatti inizia una guerra navale tra la
flotta tedesca e quella inglese nel zone del Pacifico e dell’Atlantico con l’obbiettivo di tagliare i
commerci dell’altra nazione e i conseguenti rifornimenti provenienti dalle colonie. Durante questa
guerra nell’oceano viene affondato un transatlantico americano, la Lusitania; questa notizia avrà
poi molto eco nelle Americhe e sarà uno dei motivi che porterà l’America all’ingresso nel conflitto.
Solo alla fine nel 1914, la Germania vede aperti tre fronti in cui è coinvolta: il fronte marittimo contro
gli inglesi, il fronte occidentale contro i francesi e il fronte orientale contro i russi. In breve altre
nazioni come Giappone e Turchia si uniscono al conflitto e, nel giro di pochi mesi, la guerra assunse
dimensioni mondiali. Nel 1915 la Germania vedrà aprirsi un quarto fronte meridionale contro l’Italia.
L’Italia Giolittiana – capitolo 3
I progressi sociali e lo sviluppo industriale dell’Italia – paragrafo 3.1
Dal 1901 al 1903, in Italia, sale al governo Giuseppe Zanardelli, membro della sinistra liberale e
autore del codice penale Zanardelli che, nel 1889, abolì la pena di morte, scelto come capo del
governo da Vittorio Emanuele III, successore di Umberto I, per inaugurare questo nuovo periodo di
apertura alle richieste sociali. Con il governo Zanardelli inizia un nuovo periodo caratterizzato da
una maggiore apertura verso le richieste sociali che la popolazione portava agli occhi del governo
attraverso scioperi e agitazioni. Zanardelli, grazie anche all’appoggio di Giolitti come ministro degli
interni, decise di non soffocare più questi scioperi nel sangue, come fece Crispi e il governo del
1896–1900 caratterizzato dall’eccidio di Bava Beccaris, ma cercò di venire incontro a quelle che
erano le richieste della popolazione afflitta dalla crisi economica. Nel 1903, per problemi di salute,
Zanardelli è costretto a dimettersi e il suo incarico va a Giovanni Giolitti per la seconda volta, dopo
il governo del 1892, a capo del governo italiano, fino al 1913; questo periodo del secondo governo
Giolitti sarà identificato come età Giolittiana. Dal punto di vista della politica interna, Giolitti, che
condivide la visione democratica di Zanardelli, cerca di tutelare e aiutare, attraverso alcune riforme
sociali, la parte più debole della società, ovvero i lavoratori, perché convinto che un progresso di
questo ceto sociale porterà a un progresso per l’intero paese. Tra le riforme sociali più importanti
di questo periodo abbiamo:
Il diritto di sciopero, già presente nel codice Zanardelli ma mai preso in considerazione;
Riforme a favore dei lavoratori anziani, infortunati e invalidi (come la Cassa Nazionale) e a tutela del
lavoro di donne e bambini;
L’obbligatorietà scolastica fino a 12 anni;
Il diritto a un giorno di riposo settimanale;
L’indennità parlamentare, ovvero un compenso ai deputati per le spese da sostenere durante
il loro incarico;
Migliori retribuzioni con conseguente aumento di richieste di beni, anche non di prima
necessità;
Distribuzione gratuita del chinino, vaccino alla malaria;
L’orario massimo di lavoro (riforma richiesta dalla Welfare).
Grazie a tutte queste riforme, presenti ancora oggi, l’Italia fu in grado di raggiungere un
determinante livello di benessere economico-sociale generale. L’obiettivo di queste riforme era
quello di assicurare l’ordine pubblico-sociale, evitando lo scatenarsi di ulteriori rivolte, per ottenere
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una stabilità sociale e un conseguente progresso economico. L’Italia, nel periodo del governo
Giolitti, vedrà una notevole crescita economica (favorita sia dalla situazione di benessere sociale che dalla
rimesse degli emigranti necessarie per far girare l’economia) che darà un grande impulso alla economica
soprattutto del nord Italia. La favorevole situazione finanziaria accrebbe a sua volta il risparmio e
quindi i depositi di denaro presso le banche; le banche, favorite da questa situazione, investirono
nel settore agricolo e in quello industriale. Abbiamo un grande sviluppo dell’industria chimica,
meccanica, tessile, alimentare, idroelettrica ma anche automobilistica, rappresentata dalla F.I.A.T.,
nata a Torino nel 1899 dall’idea di Giovanni Agnelli.
La politica interna tra socialisti e cattolici – paragrafo 3.2
Nel 1912, sempre sotto il governo Giolitti, viene emanata una nuova riforma elettorale che amplia
il suffragio a tutti gli uomini con più di 30 anni e a coloro con più di 21 anni in grado di leggere e
scrivere o aver preso parte al servizio militare, aumentando notevolmente il numero di elettori. Nel
1912, però, il governo Giolitti si vede attaccato su due fronti: da una parte dai conversatori e
nazionalisti che non credono Giolitti in grado di dare all’Italia il rango nazionale che si merita, vista
comunque la politica “morbida”; dall’altra parte, invece, abbiamo i partiti socialisti di orientamento
rivoluzionario. In questa situazione di crisi Giolitti si rende conto che l’unica possibilità è cercare
l’aiuto dei cattolici, estromessi dalla vita politica nel 1870 con la riforma no-expedit voluta dal papa.
Dalla sua parte il papa Pio IX, vedendo l’insorgere dei partito socialisti di ideologia atea e
anticlericale, aveva già alleggerito la riforma no-expedit permettendo il ritorno in politica dei
cattolici. Nel 1913, con il patto Gentiloni, verrà sancita una alleanza tra Giolitti e il partito cattolico:
il partito cattolico si impegnava a votare i deputati liberali della lista di Giolitti, il quale promise
l’abbandono delle politiche anticlericali (legge sul divorzio e divieto di insegnamento della religione cattolica
nelle scuole). Con questo patto tornano i cattolici nella vita politica.
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territori della Tripolitania e della Cirenaica, successivamente rinominati Libia, in cambio del disarmo
dell’esercito nelle isole del Dodecaneso e nello stretto dei Dardanelli.
L’occupazione della Libia non porterà poi all’Italia i vantaggi che molti si aspettavano visto che
questo territorio, prevalentemente desertico, si dimostrò povero di materie prime e, di
conseguenza, privo di lavoro. Solo dopo la seconda guerra mondiale e dopo l’indipendenza della
Libia si scopriranno immensi giacimenti di petrolio!
L’Italia dalla neutralità alla guerra – paragrafo 4.3
Nel 1913, a causa degli scarsi voti ottenuti nelle elezioni, il governo Giolitti cade. Motivo di questa
caduta fu soprattutto la sua politica democratica votata a mantenere l’ordine pubblico-sociale che,
in questo momento di nascita dei primi movimenti nazionalistici che vogliono per l’Italia un
significante rango nella politica internazionale, non basta più. Nel 1914, dopo la caduta del governo
Giolitti che ritornerà solo nel primo dopo guerra, viene dichiara la neutralità nella guerra scatenata
dall’Austria perché si vede la Triplice Alleanza come un semplice patto difensivo, e non offensivo.
L’Italia fa ciò soprattutto perché non reputa più conveniente mantenere gli accordi della Triplice
Alleanza necessari, nel periodo di imperialismo italiano, per il tentativo di conquista dell’Etiopia. Il
vero problema è l’Austria che ha ancora aperto con l’Italia il problema delle terre irredenti (Trentino
e Venezia-Giulia), terre geograficamente dell’Italia ma ufficialmente in possesso degli austriaci,
necessarie per terminare il processo di unificazione italiano.
Mentre il governo cerca di ottenere dagli austriaci i territori irredenti in cambio della neutralità,
nella nazione si vengono a creare due schieramenti:
Neutralisti: opposti alla guerra, composti da cattolici, votati alla pace, e socialisti per i quali il
popolo non doveva essere trattato come un’arma. Si diffuse anche l’idea che l’Italia poteva
trarre vantaggio dalla neutralità vendendo armamenti alla altre nazioni coinvolte;
Interventisti: a favore della guerra, composti dai nazionalisti, in cerca della supremazia Italia in
Europa, e dagli irredenti, coloro che invece cercano di ottenere le terre irredenti e concludere
l’unificazione dell’Italia. Elemento di spicco dei nazionalisti è Gabriele D’Annunzio;
Agli interventisti si uniranno poi i socialisti usciti dal partito, tra cui Benito Mussolino. Benito
Mussolini, ex socialista della prima ora, grazie alla sue capacita oratorie e nel solo, era diventato un
giornalista e direttore del giornale “Avanti!”, il quotidiano del partito. Nel 1914, a 31 anni, Mussolini
viene cacciato dal partito socialista per le sue idee interventiste e decide di unirsi al movimento degli
interventi, in cerca della guerra come inizio di una nuova era più giusta e nascita di una società
nuova (idea alla base del Futurismo). Gli interventisti, capeggiati da Mussolini e D’Annunzio, iniziano così
i loro comizi nelle piazze in cui si confrontano direttamente con il pubblico. Questa fu la prima volta
che venne usato questo nuovo sistema di propaganda in cui il politico si confronta con il popolo.
Intanto, a livello internazionale, l’Intesa cerca di portare l’Italia dalla sua parte. Alla fine il governo,
in cerca della riconquista dei territori irredenti, accetta la proposta dell’intesa e, nell’aprile 1915,
firma il patto di Londra in cui l’Italia offre il suo immediato appoggio all’Intesa contro gli austriaci
mentre l’Intesa, in caso di vittoria, riconoscerà all’Italia i territori irredenti più la Dalmazia e le isole
del Dodecaneso. Una volta firmato il patto, che rimarrà segreto fino al 1917, l’impegno deve
diventare concreto quindi l’Italia deve entrare al più presto in guerra. Per fare ciò è necessaria
l’approvazione del Parlamento che, a causa della parte neutrale, non riesce a mettersi d’accordo.
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Così il governo Salandra (attuale primo ministro), per trascinare non solo l’opinione politica ma anche i
deputati neutrali, appoggia gli interventi e i loro comizi. Nelle cosiddette “radiose giornate di
maggio” gli interventi organizzano numerosi comizi nelle piazze italiane che vedono come principale
oratore Gabriele D’Annunzio. Grazie a ciò l’opinione pubblica muta e, dopo aver ottenuto
l’approvazione dal parlamento, il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria. Si apre così il
quarto fronte, il fronte delle Alpi.
1915-1916: la guerra di posizione – paragrafo 4.4
Al termine del primo anno del conflitto, la guerra lampo progettata dai tedeschi aveva fallito e il
fronte occidentale si era stabilizzato lungo il fiume Aisne e inoltre si erano stabilizzati il fonte
orientale, contro i russi, e quello marittimo, contro gli inglesi. Nel 1915, con l’ingresso dell’Italia in
guerra, il comando dell’esercito italiano passa al generale Luigi Cadorna. L’esercito italiano formato
per il conflitto erano composto da molti uomini provenienti da tutte le regioni, addestrati, armati e
pronti per la guerra. Essendo questo il primo conflitto in cui l’Italia partecipa a livello nazionale, dopo
l’unificazione, il problema più grande era la comunicazione: i soldati, provenienti da diverse regione
ognuna ancora con la propria lingua, non si capivano tra di loro e non comprendevano gli ordini
degli ufficiali, educati scolasticamente e acculturati ma non in grado di gestire un esercito; lo stesso
vale per i generali. Questo sarà uno dei problemi che porteranno, successivamente, i soldati a
disertare. Motivo principale della diserzione in realtà sarà la paura del fronte che rappresenta per
molti la morte; questa paura porterà anche all’utilizzo di metodi estremi, come spararsi a una gamba
o gettarsi acido sugli occhi, per tornare a casa e abbandonare il fronte. L’esercito italiano inizia così,
nel 1915, la sua avanzata che lo porta, a costo di ingenti perdite, al di là del confine austriaco fino
alla Gorizia, dove è costretto ad arrestarsi per la resistenza mostrata dagli austriaci. Tra il giugno e
il dicembre del 1915 ci furono le quattro battaglie dell’Isonzo che si risolsero con ingenti perdite e
modesti risultati da entrambi le parti. Si crea qui, nel 1915, il quarto fronte, il fronte alpino che vede
gli eserciti italiani e austriaci scontrarsi in una dura guerra di posizione sulle alpi.
Il 1916 sarà un anno di conflitti molto duro perché caratterizzato da ingenti perdite di soldati,
difficoltà di approvvigionamento delle risorse primarie e pochissimi mutamenti degli equilibri
bellici. Le battaglie più importanti furono quella del Verdun e della Somme, sul fronte francese che
si risolsero in stragi e nessun risultato concreto. Continua anche la guerra navale e sottomarina tra
Inghilterra e Germania con l’obbiettivo di tagliare i contatti con le colonie della nazione avversaria.
Durante questa guerra navale viene affondato il transatlantico Lusitania da un sottomarino tedesco
perché si pensava trasportasse rifornimenti per gli inglesi. In realtà il Lusitania trasportava solo
persone, per lo più americane, e questo attacco provocò una vera e propria strage. Sul fronte
italiano, nel maggio 1916, gli austriaci organizzano un potente attacco per cercare di chiudere al
più presto il fronte alpino e andare in soccorso della Germania. Questo attacco austriaco, chiamato
Strafexpedition (spedizione punitiva), ebbe all’inizio successo ma, con l’arrivo dei russi in soccorso
dell’Italia, l’Austria arrivò sull’orlo della sconfitta evitata solo grazie all’aiuto della Germania.
Il sistema delle trincee
Nate come rifugio provvisorio, le trincee erano dei fossati che, con il tempo, si fecero sempre più
ampi e sofisticati, con a disposizione ospedali da campo, posti di comando ma anche ferrovie per il
trasporto di merci e persone. Le trincee si fecero anche sempre più profonde per ospitare sempre
più persone costrette a vivere in una situazione igienico sanitaria terribile, esposti al freddo e alle
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intemperie. Questi uomini vivevano lunghissimi momenti di stallo, sotto la minaccia del fuoco
nemico, spezzati solo dall’ordine di tentativo di assalto: l’uscita dalla trincee per l’assalto era un
momento terribile perché ci si rendeva conto che si era diventati bersagli facili per il nemico
dall’altra parte! La guerra di posizione combattuta nelle trincee durante la prima guerra mondiale
rappresenta fisicamente la situazione di stallo vissuta dai paesi in guerra.
Il fronte interno e l’economia di guerra – paragrafo 4.5
Sin dal 1915, con la disfatta della guerra lampo, la guerra si era trasformata in una guerra di
posizione, combattuta nelle trincee, e di logoramento, quindi basata sulle disponibilità materiali
(viveri, armi, munizioni) e umane (soldati!) della nazione. Per sostenere queste guerre di logoramento le
nazioni bellicose furono costrette a modificare la loro attività economia che ora doveva essere
rivolta solo verso la guerra. Era gestita in modo sempre più attento anche la popolazione, “bene”
ora necessario, che costituiva il “fronte interno” del paese. In poco tempo, comunque, le nazioni si
trovano alla prese con una carenza di beni bellici primari, come armi, munizioni e viveri. Situazione
aggravata anche dalla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime a causa del blocco
navale costituito da Germania e Inghilterra. Per affrontare questo problema i paesi adottarono una
politica sempre più rigida sospendendo i diritti civili dei lavoratori ( come gli scioperi) a favore di una
maggiore produzione, iniziando a razionare il cibo e a chiudere, attraverso i “prestiti di guerra”,
direttamente alla popolazione i finanziamenti necessari per sostenere il conflitto. Sul fronte, invece,
la guerra stava ormai logorando gli animi dei soldati che non vedevano via di scampo dal conflitto,
se non la morte. Si moltiplicarono le richieste di diserzione e di autolesionismo, punito con la morte
o la prigionia.
Dalla caduta del fronte russo alla fine della guerra (1917-1918) – paragrafo 4.6
Il 1917 sarà un anno decisivo per il conflitto perché caratterizzato da eventi che modificano gli
equilibri alla base del esso. Fattore scatenante della distruzione degli equilibri creatisi sarà l’uscita
della Russia dal conflitto: la Russia, a causa del prolungarsi della guerra e della conseguente
situazione di crisi, sarà colpita, nel febbraio 1917, da una seconda rivoluzione, detta “d’ottobre”,
che porta all’abdicazione dello zar Nicola II e all’istaurazione di un governo rivoluzionario
comunista comandato dai Bolscevichi. Subito il nuovo governo richiede il ritiro della Russia dal
conflitto e, nel dicembre 1917, si arriva all’armistizio di Brest-Litovsk e successivamente viene
firmata la resa della Russia, costretta a cedere ai tedeschi la Polonia. Con l’armistizio viene chiuso il
fronte orientale e la Germania può concentrare le forze sugli altri fronti ancora aperti: tra il 23 e 24
ottobre del 1917 gli austriaci, favoriti dal supporto dell’esercito tedesco tornato dal fronte orientale,
attaccano l’Italia sbaragliando il suo esercito in pochi giorni nella battaglia di Caporetto. Nell’aprile
1917, mentre l’Intesa si trova in una grave situazione a favore dell’Alleanza, intervengono gli Stati
Uniti nel conflitto a fianco della Intesa. Gli USA fecero giungere in Europa enormi quantità di viveri,
beni bellici primari e uomini contribuendo in modo decisivo al rientro dell’Intesa nel conflitto. D’altra
parte non va dimenticato che tale intervento determinò un forte indebitamento da parte
dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti, non solo per il rilevante sostegno bellico ottenuto ma
anche a causa della commercializzazione in Europa di prodotti finiti americani, non producibili a
livello europeo perché l’industria ormai si era modificata verso una produzione bellica. L’America,
in questo momento di crisi economica apertasi nel 1870, trova in Europa il suo “mercato
extraeuropeo”.
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Nel 1918 Germania e Austria, anche se afflitte da gravi problemi interni, tentano una offensiva
lampo sui rispettivi fronti per chiudere la guerra prima dell’arrivo dei rifornimenti americano. Sul
fonte occidentale, i tedeschi, nella primavera del 1918, attaccano i francesi costringendoli ad
arretrare fino alla Marna dove il fronte si stabilizza e non riesce più ad avanzare a causa della
resistenza delle truppe francesi comandate dal generale Ferdinando Foch. Sul fronte italiano,
invece, furono gli stessi italiani a prendere l’iniziativa attaccando il fronte austriaco a Vittorio
Veneto il 24 ottobre 1918, anniversario della disfatta di Caporetto. L’esercito, guidato dal generale
Armando Diaz subentrato a Cadorna, in poco giorni sconfigge l’esercito austriaco costringendo alla
ritirata. Dopo tale sconfitta l’Austria, afflitta anche da rivoluzioni interne che portano alla
proclamazione della repubblica il 12 novembre, il 3 novembre 1918 firma l’armistizio a Villa Giusti.
Anche la Germania, a causa di rivoluzioni interne che portarono alla abdicazione di Guglielmo II e
alla proclamazione della repubblica di Weimar, chiese l’armistizio l’11 novembre 1918. Come
possiamo notare la Germania, anche se ancora in grado di portare avanti una guerra, implode ed è
costretta ad abbandonare il conflitto: questa sconfitta disonorevole, mai accettata, sarà alla base
della seconda guerra mondiale.
La disfatta di Caporetto
A Caporetto, tra il 23 e il 24 ottobre del 1917, l’esercito italiano viene sbaragliato dall’offensiva
austro-tedesca. Di fronte a questa sconfitta, il general Cadorna, in una lettera ufficiale, scaricato
tutta la colpa sui soldato “rivoltosi”, che si rifiutarono di combattere e abbandonarono il fronte. In
realtà questa mancanza di coraggio da parte dei soldati nasce dalla sfiducia negli ufficiali e in tutti
coloro che dovevano dare gli ordini: Caporetto rappresenta l’insofferenza di un popolo in divisa
che non ne può più dei suoi comandanti.
L’esercito italiano, storicamente, non è mai stato comandato in modo corretto; gli alti gradi sono
sempre stati incapaci di mettere in atto una valida strategia bellica scaricando il peso delle loro
incompetenza sui soldati in prima linea. Come prova di ciò possiamo affermare che, con le dimissioni
di Cadorna e l’arrivo di Armando Diaz, le truppe, guidate in modo corretto, furono il grado di
sbaragliare il fronte austriaco a Vittorio Veneto costringendo l’Austria all’armistizio. Va anche detto
che l’esercito fu in grado di ottenere tali risultati solo sotto il comando del generale Diaz che cercava
sempre di motivare i suoi uomini dando un senso al loro sacrifico e, come nel caso della battaglia a
Vittorio Veneto, promise anche ai soldati una ridistribuzione delle terre.
I trattati di pace e il nuovo volto dell’Europa – Paragrafo 6.2
La conferenza di pace tra le varie nazione si svolse a Parigi, nella reggia di Versailles, e in alcune
località dei dintorni. Tra i trattati più importanti abbiamo il Trattato di Versailles con la Germania e
il Trattato di Saint-Germain per le questioni italiane: il Trattato di Versailles costituì una sonora
umiliazione per la vinta Germania costretta ad affrontare ingentissime perdite territoriali, anche a
favore della rinata Polonia ora stato sovrano, pesanti clausole militari, che portano alla riduzione
dell’esercito e della flotta navale, e sanzioni economiche a favore di tutte le nazioni vincitrici più il
Belgio, “profanato” durante le battaglie sul fronte occidentale. Durante la stipulazione dei trattati,
però, le nazioni vincitrice commisero gravi errori che portano alla nascita di un sentimento di
rivincita tedesca:
Obbligarono le nazioni vinte ad accettare le clausole imposte senza diritto di discussione;
Richiesero sanzioni tanto elevate da impedire la ripresa economica della nazione.
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Le questioni riguardanti l’Italia furono regolate con il Trattato di Saint-Germain, firmato nel
settembre del 1919: in base al trattato, l’Austria fu costretta a restituire le terre irredenti del
Trentino e del Venezia-Giulia più l’Alto Adige, l’Istria il bacino dell’Isonzo. L’Italia non ottenne però
tutte le terre pattuite nel trattato di Londra del 1915, in particolare la Dalmazia e la città di Fiume.
Questa “vittoria mutilata”, così definita dai giornali dell’epoca, portò alla nascita di sentimenti
nazionalisti che ebbero gravi conseguenze! A causa di tale trattato il territorio austro-asburgico fu
diviso in vari stati. Al suo posto nacquero quattro stati indipendenti: l’Austria, formata dai territori
rimasti, l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Iugoslavia.
La rivoluzione russa
L’impero russo alla fine del XIX secolo
In Russia si aveva un territorio multietnico, dove non era permessa alcuna opposizione, a causa della
monarchia assoluta. Si hanno le campagne molto arretrate: 90% della terra coltivabile in mano a
poche famiglie aristocratiche, inoltre, l’abolizione della servitù (1861) non fu un miglioramento.
I contadini trovarono sostegno nel movimento populista, il quale si diffuse dal secondo Ottocento
e portò le seguenti caratteristiche:
Rifiuto dell’industrializzazione;
Contadini protagonisti della rivoluzione;
Abbattimento dello Stato, da sostituire con comunità agricole;
Terrorismo come metodo di lotta compiuto con atti individuali.
Lo sviluppo industriale favorì la formazione di un movimento socialista, il Partito Operaio
Socialdemocratico Russo (1898), diviso in due correnti:
Menscevichi, vogliono una politica di riforme, accettando l’alleanza con la borghesia, dove le
elezioni politiche sono uno strumento per raggiungere il potere;
Bolscevichi, guidati da Lenin, i quali vogliono la rivoluzione per creare una società comunista
senza divisioni in classi, né proprietà privata, con la collettivizzazione dei mezzi di produzione.
Il partito deve avere un ruolo guida, con gli operai protagonisti della rivoluzione.
Il progressivo crollo del potere zarista
1905
Grave crisi in seguito alla guerra contro il Giappone;
Proteste e scioperi che si trasformarono in un movimento di rivolta anti zarista;
A Pietroburgo fu creato il primo soviet dei lavoratori;
Lo Zar Nicola II concesse il Parlamento (la Duma), che non ebbe mai un ruolo effettivo.
1915
L’entrata in guerra fece precipitare la situazione;
Meno produzione di grano e alimenti nelle città, maggiori prezzi: popolazione stremata;
Nuova ondata di scioperi nelle città più importanti della Russia.
SOVIET, in russo “consiglio”:
Organismi elettivi fondati su un principio di democrazia diretta;
Con la rivoluzione del 1917 divennero gli organismi di base dello Stato comunista e “sovietico”;
Dopo la rivoluzione il potere fu assunto dai comunisti, e i soviet ebbero solo funzione di facciata.
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L’URSS di Lenin
C’era la necessità di risolvere la crisi della produzione agricola e industriale. Nel Marzo 1921 fu varo
della NEP (Nuova Politica Economica), con la quale:
Si dà più spazio all’iniziativa privata di contadini e industriali;
Una parte del raccolto andava allo Stato e una parte ai contadini;
Controllo da parte dello Stato delle fabbriche che avevano più di 20 dipendenti.
Tutto ciò porta ad un aumento della produzione agricola e al ritorno di quella industriale ai livelli
dell’ante guerra. Si ebbe anche una breve ripresa delle campagne, che ripiombarono nella carestia
e nella fame con la politica economica di Stalin.
Con la NEP, Lenin abbandonò il principio, già indicato da Marx, dell’abolizione della proprietà
introdotto prima della guerra civile.
La lotta per la successione
Lenin morì nel gennaio 1924. Si aprì lo scontro per la successione tra Stalin e Trockij.
Trockij è nato nel 1879 in Ucraina, deportato nel 1899 in Siberia per la sua politica marxista. È
riuscito a scappare e si rifugiò a Londra, dove conobbe Lenin. Nel 1905 si distinse nella direzione del
Soviet di Pietroburgo, e durante la guerra civile guidò l’Armata Rossa alla vittoria. Fu un convinto
sostenitore della rivoluzione permanente, ossia della sua diffusione in altri Paesi. Espulso dal partito
e dall’URSS nel 1929, fu raggiunto in Messico da un sicario di Stalin e ucciso nel 1940.
Nel 1926 Stalin assunse il potere e dal 1927 divenne il padrone del partito e dello Stato.
Stalin è nato nel 1879 nel Caucaso, aderì ai bolscevichi, dove raggiunse posizioni di prestigio. Fu
costretto all’esilio, ma rientrò in patria nel 1917. Dopo la rivoluzione divenne il segretario
organizzativo del partito e sostenne la teoria del socialismo in un solo Paese. Nel suo testamento
politico, Lenin giudicò Stalin un uomo pericoloso che aveva troppo potere nelle mani. Fu proprio
con questo potere che ebbe la meglio su Trockij.
L’URSS di Stalin
L’URSS doveva diventare una grande potenza, e per fare ciò Stalin puntò sullo sviluppo industriale,
sacrificando l’agricoltura. Fu varo del primo piano quinquennale nel 1928, con il quale attuò uno
sviluppo dei settori metallurgico, siderurgico e meccanico, e tra il 1928 e il 1939 l’URSS divenne una
grande potenza industriale. Per sostenere questo sviluppo si curò l’istruzione del personale, ma si
impose alla popolazione un razionamento dei consumi. Tutti dovevano sacrificarsi per dimostrare la
superiorità del comunismo sul capitalismo, così si ebbe l’imposizione di salari bassi e il divieto di
sciopero. Ci fu, inoltre, nel 1928, l’abolizione della NEP e la reintroduzione della collettivizzazione,
con la quale le campagne subirono pesanti carestie e ci furono milioni di morti per fame.
Vennero create le aziende collettive:
Kolkoz, cooperative in cui i contadini lavoravano la terra dello Stato con la concessione di un
piccolo appezzamento di terra;
Sovkoz, aziende interamente statali.
Ci furono dure repressioni di qualsiasi opposizione da parte dei contadini, deportati nei gulag. Alla
fine degli anni Trenta lo Stato controllava tutte le campagne.
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Nello stesso tempo, anche a costo di aumentare il deficit pubblico, varò una serie di grandi lavori
pubblici atti a risollevare le aziende e a diminuire la disoccupazione. Roosevelt riuscì a portare avanti
questo piano economico grazie a un politica fiscale molto rigida che pesava soprattutto sui ceti più
abbienti.
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della Germania, e lo tenne come ostaggio in attesa dei liquidi dovuti. Questa azione militare diede
il colpo di grazia alla nazione e alimentò il nazionalismo tedesco e le correnti di estrema destra.
Paragrafo 10.2 – Hitler e la nascita del nazionalsocialismo
In questo clima rovente, si costruì a Monaco, nel 1919, il partito dei lavoratori tedeschi, di estrema
destra, di cui faceva parte anche Adolf Hitler. Hitler, grazie alla sua intraprendenza e capacità
oratorie, allargò in partito e nel 1920 lo trasformò in partito nazionalsocialista dei lavoratori,
abbreviato, partito nazista. L’emblema del partito era la croce uncinata o svastica. Il partito
comprendeva anche una sua struttura paramilitare, la SA, un reparto d’assalto contraddistinto da
una camicia bruna, e la SS, reparto incaricato della protezione di Hitler. Il movimento seguì l’esempio
degli squadristi fascisti e mise in atto l’uso sistematico della violenza contro i militanti di sinistra,
soprattutto comunisti, con l’obbiettivo di istaurare in Germania un regime autoritario. Come
vediamo anche il partito nazista, come quello fascista, presenta due facce: la prima è quella
violenta, votata alla repressione con la forza di tutte le personalità considerate pericolose per il
futuro regime, e la seconda è quella legale, legata all’attività in parlamento. Con questo ideale, nel
1923, Hitler, alla testa del SA, tentò un colpo di stato contro il governo regionale bavarese,
residente a Monaco. Questo secondo putsch della destra fu un ulteriore fallimento e portò
all’incarcerazione di Hitler per 5 anni.
Intanto la Germania iniziava lentamente a rialzarsi e ciò grazie soprattutto all’intervento diretto
degli Stati Uniti tramite il piano Dawes del 1924. Tale piano fece affluire ingenti capitali a sostegno
della ripresa industriale tedesca. Grazie alla ripresa industriale la Germania fu ora in grado di
risarcire le nazioni europee per i debiti di guerra, nazioni a loro volta debitrici nei confronti degli
Stati Uniti. Il piano Dawes, però, legò a doppio nodo l’economia statunitense con quella tedesca.
Per tale motivo, nel 1929, la crisi statunitense e il crollo della borsa si abbatterono durante anche
sulla Germania, ora non più sostenuta da alcun capitale estero. Ciò comportò il fallimento
dell’industria e l’aumento vertiginoso della disoccupazione. Le masse popolari, esasperate dalla
situazione di crisi, trovarono sfogo nel più sfrenato nazionalismo mentre gli stessi aristocratici e
borghesi si affidarono all’estrema destra come mezzo di repressione di manifestazioni e scioperi, in
questo periodo incalzanti. Con un clima del genere, il nazionalsocialismo di Hitler, uscito dal carcere
dopo aver scontato solo un anno della sua pena, prevalse sui partiti moderati di Weimar. Hitler
riuscì ad ottenere l’appoggio della grande industria e dell’alta finanza, promettendo loro ingenti
capitali in caso di istaurazione del regime autoritario. Anche l’esercito prese le parti di Hitler perché
ancora legato al modello governativo prussiano. Hitler si propose come palatino del prestigio
nazionale offeso dalle altre nazioni europee durante i trattati di pace di Versailles. Grazie al consenso
intorno al programma e l’uso efficace della violenza politica, il partito nazista nelle elezioni del 1930
diventa il secondo partito del paese per poi ottenere la prima pozione con le elezioni del 1932. Nel
marzo di quello stesso anno Hitler si candida come presidente tedesco ma subisce una pesante
sconfitta dall’attuale presidente Paul Ludwig Hindenburg. Hindenburg tentò di strumentalizzare il
partito nazista e utilizzarlo a suo favore, visto il forte ascendente che esercita sulle masse, come
fece Giolitti con i fascisti. Subito però il partito si dimostrò non strumentalizzabile e, dopo la vittoria
elettorale del 1932, lo stesso presidente Hindenburg fu costretto ad assegnare il ruolo di cancelliere
a Hitler, con l’incarico di formare il nuovo governo. Era il 3 gennaio 1933.
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tedesca, la cui purezza doveva essere preservata a qualunque costo. Questa ideologia portò Hitler
a mettere in atto un vero e proprio processo di purificazione dei territori tedeschi atto a limitare la
presenza di altre razze e ampliare lo spazio vitale della unica razza superiore, quella ariana.
Il razzismo tedesco individuò il principale nemico nella popolazione ebraica, considerata l’origine di
tutti i mali del mondo tra cui il liberalismo, la democrazia, il comunismo etc. Il regime mise in atto
una progressiva e spietata persecuzione degli ebrei che sfociò nel 1935 nelle leggi di Norimberga,
leggi che legalizzarono la persecuzione contro il popolo ebraico. Punti chiave erano:
Privazione della cittadinanza tedesca;
Impossibilità di contrarre matrimoni con altri cittadini tedeschi;
Obbligatorietà di esibire la stella di David sugli abiti per essere riconosciuti;
Nel novembre 1938 sì arrivò poi alla famosa Notte dei cristalli, notte tra il 9 e il 10 novembre i cui
l’odio razziale istillato dal regime sfociò nella distruzione di molti negozi, sinagoghe e abitazioni di
residenti ebrei. Questa ideologia fu alimentata anche da ragioni materiali visto che la persecuzione
degli ebrei permise ai tedeschi di mettere le mani sui loro patrimoni guadagnati tramite l’attività
commerciale.
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all’interno dell’economia, facendo cadere così i capi saldi del sistema liberale, già minati dalla
politica protezionista di Volpi. Furono create due istituzioni: l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) che
concedeva fondi pubblici alle aziende sull’orlo del collasso, e l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale)
attraverso il quale lo stato acquistava pacchetti di azioni di aziende molto importanti e se ne
rendeva proprietario.
Il massiccio intervento dello stato in ambito economico portò successivamente all’imposizione di
una politica autarchica, politica il cui scopo era ottenere per l’Italia la totale autosufficienza
economica e industriale dall’estero. L’economia italiana doveva ora essere in grado di soddisfare in
modo autonomo le esigenze dei cittadini senza affidarsi nemmeno all’importazione di materie
prime dall’estero. Le prime manifestazioni dell’autarchia le abbiamo nel 1925 con l’imposizione del
protezionismo anche se tale sistema politico si consolidò solo dopo il 1937. Una economia di
isolamento così rigida contribuì a potenziare l’apparato industriale italiano ma ebbe effetti negativi
sul livello di vita dei cittadini, ora costretti ad acquistare prodotti di qualità minore e a un prezzo
più elevato. Sempre a sostegno della politica autarchica, il fascismo mise mano anche nel settore
delle opere pubbliche, portando avanti quelle che furono definite Battaglie. Tra le più importanti
abbiamo la battaglia del grano, a proposito delle campagne, votata allo sviluppo del settore
agricolo, soprattutto cerealicolo. Un’altra fu la battaglia della palude, atta alla bonifica delle zone
incolte e malsane. Il regime si impose anche nell’ambito sociale con la battaglia detta demografica:
l’obbiettivo era favorire l’aumento della popolazione nella convinzione che la potenza militare di
una stato dipendesse dal numero di abitanti. A tal proposito furono favorite con sgravi fiscali le
famiglie più numerose mentre vennero sanzionati i cittadini non ancora coniugati.
Paragrafo 11.4 – I rapporti tra chiesa e fascismo
Il fascismo, in quanto dittatura antidemocratica, si era sempre mostrato ostile nei confronti dei
cattolici. Tale ostilità rese il regime un totalitarismo imperfetto perché, ostacolato dalla chiesa, non
riuscì mai a ottenere il controllo totale sulla popolazione. Mussolini, consapevole comunque della
situazione, decise di scendere a patti con la chiesa e firmare i Patti lateranensi nel 1929. Questi patti
includevano un trattato, che comprendeva anche una convenzione finanziaria, e un concordato: il
trattato stabiliva che la religione cattolica fosse l’unica religione dello stato e il pontefice avesse
pieno controllo sullo stato del Vaticano. Con questa prima affermazione l’Italia mutò da stato
aconfessionale a stato confessionale. La convezione finanziaria prevedeva una forte somma di
denaro da garantire alla Santa Sede per risanare i danni subiti nel 1870 con la breccia di Porta Pia.
Il concordato, invece, dava alla chiesa la possibilità di professare liberamente il culto in tutto lo
stato, introduceva l’insegnamento della religione nelle scuole e riconosceva gli effetti civili di un
matrimonio cattolico. L’accordo tuttavia non eliminò del tutto i contrasti tra regime e cattolicesimo.
I fascisti, da totalitaristi, non potevano accettare una istituzione come il cattolicesimo con cui
spartirsi l’educazione e possiamo dire l’indottrinamento dei giovani. Nasce così una vera e propria
concorrenza tra regime e associazioni cattoliche, capeggiate da l’Azione cattolica, associazione di
rilievo al tempo. Questi contrasti furono in parte sedati ma mai chiusi del tutto.
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ceppo indoeuropeo. Tali lingue sono dette ARI e i popoli che la parlano sono detti ARIANI. Si passò
poi all’identificazione somatica: in questa campo era prediletto il canone greco che professava la
bellezza interiore e esteriore. Si arrivò infine all’identificazione spirituale che, come enunciò Joseph
Arthur de Gobineau, riteneva la razza bianca più creativa e elevata intellettualmente.
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Ribbentrop, patto di non aggressione necessario per la futura spartizione della Polonia. Tale
patto venne sovrascritto da tedeschi anche per evitare l’errore commesso nella prima guerra
mondiale: aprire due fronti contemporaneamente. Hitler decise così di coprirsi le spalle e
concentrare le sue attenzioni verso la Francia.
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La Germania, dopo la conquista della Francia, cercò di consolidare i risultati ottenuti avanzando una
richiesta di pace all’Inghilterra, prontamente rifiutata da Winston Churchill, nuovo primo ministro
contrario alla politica dell’appeasement del suo predecessore Chamberlain. La Germania proseguì
allora sulla via della guerra e diede il via al progetto Leone Marino. Hitler voleva partire dai porti
sulla Manica per attaccare via terra la Gran Bretagna. Prima di fare ciò però doveva preparare il
territorio per l’attacco neutralizzando la RAF (Royal Air Force). L’8 agosto 1940 inizia l’operazione e
migliaia di aerei della Luftwaffe iniziano a bombardare il territorio partendo da centri nevralgici
come industrie, città, basi militari. La Gran Bretagna riuscì comunque a resistere perché sostenuta
dagli Stati Uniti e in grado di prevedere l’arrivo degli aerei tedeschi con il radar. Dopo la caduta di
trentamila aerei della Luftwaffe, Hitler fu costretto a ritirare ogni offensiva. Con l’insuccesso
dell’operazione si decise di estendere il Patto d’Acciaio anche al Giappone con la firma a Berlino del
Patto tripartito e la conseguente nascita dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo (settembre 1940). Tale patto
prevedeva l’impegno della costruzione di un ordine nuovo per il pianeta, concepito su basi razziali.
L’obiettivo era il dominio su tutti i paesi europei e asiatici diviso in: Europa continentale alla
Germania, Mediterraneo all’Italia e continente asiatico al Giappone.
Paragrafo 13.2 – La svolta del 1941, la guerra diventa mondiale
Intanto in Italia Mussolini non vuole essere secondo alla potenza militare tedesca e, per tale motivo,
diede il via a una guerra parallela in Grecia, da condurre autonomamente rispetto all’alleato, il 28
ottobre 1940, anniversario della marcia su Roma. La campagna militare, voluta per estendere il
dominio italiano sul Mediterraneo, si rivelò un fallimento a causa dell’impreparato esercito italiano
sbaragliato dai greci con l’auto dei britannici. Hitler a questo punto fu costretto a intervenire per
evitare la caduta dell’Italia e impedire l’avanzata britannica; passando dalla Iugoslavia i tedeschi
penetrarono in Grecia e costrinsero i britannici alla resa. Le azioni offensive italiane non ebbero
successo nemmeno in Africa dove le forze britanniche riuscirono a superare il confine egiziano per
penetrare in Libia e conquistare i territori della Cirenaica (gennaio 1941). Anche in questo caso Hitler
fu costretto a intervenire per far abbandonare alle truppe britanniche i territori libici. Comunque
l’Africa orientale e i territori della Somalia, Eritrea ed Etiopia caddero in mano inglese e venne posta
fine all’impero voluto dal duce.
Hitler invece, dopo aver conquistato la maggior parte dei territori dell’Europa, punta all’Unione
sovietica, grande nemico soprattutto ideologico ma in questo momento alleato dopo il patto
Molotov-Ribbentrop. L’obiettivo del nazismo era la distruzione del bolscevismo e la conquista di
uno dei territori più estesi dell’Europa per poi passare all’ultimo nemico, la Gran Bretagna. Hitler
inoltre voleva attaccare il prima possibile la Russia per paura di essere tradito per primo da Stalin
che si pensava in contatto con Churchill. Ha inizio così il 22 giugno 1941 l’operazione barbarossa.
Anche Mussolini vuole partecipare alla spedizione e invia a supporto delle truppe tedesche 200.000
uomini che costituirono l’Armata italiana in Russia (Armir). L’operazione fu studiata dallo stesso
Hitler fin nei minimi dettagli: l’idea era quella di distruggere i centri nevralgici russi con l’intervento
della Luftwaffe per poi passare all’attacco da terra, come si voleva fare per la conquista
dell’Inghilterra. Obbiettivo dell’esercito erano le città di Mosca, centro del potere, Stalingrado, ricca
di pozzi petroliferi, e Leningrado, importante centro economico. L’avanzata italo-tedesca riscontrò
un iniziale successo dovuto al sostegno delle popolazioni dell’Ucraina, Lituania e Estonia, che
vedevano nei tedeschi la soluzione al dominio russo, e all’impreparazione dell’esercito sovietico,
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colto di sorpresa dal voltafaccia tedesco e sprovvisto di alti ufficiali dopo l’epurazione dell’esercito
portata avanti da Stalin. L’esercito sovietico comunque riuscì a fuggire alla morsa tedesca e si ritirò
nell’interno con la tattica della terra bruciata, adottata già ai tempi di Napoleone, e incitando la
popolazione a opporre resistenza all’avanzata nazi-fascista. L’inverno precoce e la resistenza portata
avanti dalla popolazione, supportata anche da aiuti britannici, rallentò di molto l’avanzata tedesca
e permise ai sovietici di riorganizzare gli armamenti tramite lo sfruttamento delle fabbriche belliche
precedentemente spostate negli Urali per sfuggire ai bombardamenti della Luftwaffe. Nel 1942
l’Unione sovietica passa al contrattacco e riesce a impedire la sua sottomissione al governo nazista.
Hitler, rallentato dalla coraggiosa resistenza sovietica, venne sconfitto perché sottovalutò la forza
della popolazione bolscevica, considerata da lui inferiore. Fondamentale per la resistenza russa
rimangono comunque gli aiuti provenienti dagli Stati uniti che, il 10 marzo 1940, anche se ancora in
piena politica isolazionista, con la legge degli affitti e prestiti offrono un aiuto, per ora puramente
logistico, a quelle nazioni giudicate vitali per gli interessi statunitensi, nazioni quali la Russia,
l’Inghilterra, la Grecia etc. Roosevelt si rese poi contro di quanto fosse fondamentale la caduta del
nazismo e, per tale motivo, il 14 agosto del 1941 incontra Churchill con cui sovrascrive la Carta
atlantica, dichiarazione congiunta il cui obbiettivo finale è la distruzione della tiranni tedesca.
Il Giappone, intanto, decide di alzare il tiro, soprattutto nei confronti della Cina, con obbiettivo la
costruzione di una grande Asia sotto egemonia nipponica. Dinanzi l’espansionismo nipponico gli
USA decidono di interrompere le forniture di petrolio e acciaio e aggiungere la Cina alla legge degli
affitti e prestiti, dichiarandosi così sua alleata. Tale presa di posizione da parte degli Stati Uniti
suscita l’ira del Giappone, ira che scoppia poi il 7 dicembre del 1941 con l’attacco a Pearl Harbour,
base navale statunitense situata nelle isole delle Hawaii e di importanza strategica per la nazione
perché base di approvvigionamento per tutta la flotta. L’attacco nipponico causò la morte di migliaia
di soldati e la caduta di molte navi perché sfruttò attacchi kamikaze, attacchi suicida che portano il
pilota a schiantarsi in modo volontario sul suo obbiettivo. Davanti all’attacco a sorpresa portato
avanti dal Giappone senza una vera e propria dichiarazione di guerra, gli USA, di tutta risposta, l’8
dicembre dichiarano guerra non solo al Giappone ma a tutte le potenze dell’Asse. La guerra assunse
così proporzioni di carattere mondiale!
Paragrafo 13.3 – L’inizio della controffensiva alleata (1942-1943)
L’Asse comunque, anche davanti alla minaccia statunitense, riesce a portare avanti una nuova
offensiva: nel 1942 i giapponesi riuscirono a conquistare le zone militarmente più importanti
dell’Estremo Oriente arrivando a minacciare anche India e Australia. In Africa, invece, il generale
tedesco Rommel riesce a mantenere la situazione invariata mentre in Russia l’esercito tedesco si
avvicina minaccioso a Stalingrado. Le truppe alleate trovarono comunque validissimo sostegno da
parte degli Stati Uniti che, con un incredibile sforzo produttivo, riuscirono a mobilitare ben
14.000.000 di uomini e relativi approvvigionamenti di tutti generi per le truppe. L’Asse tentò di
fermare l’avanzata statunitense tramite una guerra sottomarina, ma senza successo visto che le
perdite non erano mai superiori al loro sviluppo industriale.
I primi segni di inversione di tendenza a favore degli alleati si ebbero sul fronte russo dove i nazisti
diedero vita a una vigorosa offensiva a danno di Stalingrado, città di importanza strategica perché
ricca di petrolio e acciaio, nel luglio del 1942. La feroce resistenza portata avanti dagli abitanti
sovietici, ma soprattutto dagli abitanti del Caucaso, trasformarono lo scontro in una vera e propria
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guerra urbana che permise loro di resistenze 180 giorni prima dell’arrivo dell’esercito. La armate
rosse, nella controffensiva del novembre 1942, si trovarono di fronte le forze della Wermacht ormai
decimate e indebolite dalla fame e dal freddo. Hitler comunque diede ordine di resistenze a oltranza
ma, nel febbraio del 1943, Friedrich von Paul, a capo dell’operazione russa, fu costretto ad
arrendersi al nemico. Sin dal gennaio comunque parte del contingente aveva iniziato a ritirarsi. Tra
questi soldati abbiamo anche il corpo di spedizione italiano, Armir, che, scarsamente equipaggiato
e costretto a combattere una guerra a cui si sentiva estraneo, dovette subire una disastrosa ritirata
in cui molti caddero o per la fatica o per gli attacchi nemici. Gli americani nel frattempo avevano
iniziato la controffensiva anche in Estremo Oriente, nei territori occupati dai giapponesi:
fondamentali furono le vittorie americane di Midway e di Guadalcanal. In Africa settentrionale
invece gli inglesi riuscirono a sfondare il fronte nemico a El-Alamein riuscendo così, all’inizio del
1943, a recuperare tutta l’area dell’Africa del Nord.
Paragrafo 13.4 – La caduta del fascismo e la guerra civile in Italia
Nel gennaio del 1943 Roosevelt e Churchill si incontrarono per la seconda volta in Marocco, a
Casablanca, dove decisero di aprire un secondo fronte in Europa, oltre a quello sovietico, per
alleggerire in questo modo anche le pressioni su Stalin. L’idea era quella di sfruttare l’Africa, ora in
mano agli alleati, per sbarcare sulle coste siciliane e attaccare l’Italia, bersaglio facile perché
stremata dalla guerra e vicino alla caduta del fascismo vista l’evidente perdita di consenso
soprattutto da parte dei poteri forti (borghesia, industriali etc.), mai stati d’accordo con le decisioni
prese da Mussolini in merito alla seconda guerra mondiale. A seguito della conferenza, il 10 luglio,
le truppe anglo-americane sbarcarono in Sicilia mentre le forze aeree bombardavano i centri
nevralgici, ma anche civili, delle città di Roma e Frascati, centri del potere nazista in Italia. In questo
attacco fu distrutto il quartiere San Lorenzo di Roma causando molti morti. Sulla scia di questi
eventi, nella notte tra il 24 e il 25 luglio, con approvazione a maggioranza da parte del Gran consiglio
Fascista, il regime cadde e fu ristabilito lo Statuo albertino e restituito il comando dell’esercito al
re. Mussolini il 25 luglio fu costretto a dimettersi per poi essere imprigionato. L’evento scatenò
l’entusiasmo degli italiano che vedevano nel regime la causa della terribile situazione bellica che
erano costretti a sopportare.
Con la caduta di Mussolini viene eletto nuovo capo di governo Pietro Badoglio. Badoglio iniziò subito
a prendere contatti segreti con gli anglo-americani, che ormai avevano conquistato la Sicilia, per
arrivare poi, il 3 settembre del 1943, alla firma dell’armistizio a Cassabile. La notizia venne diffusa
l’8 settembre alla radio dallo stesso Badoglio suscitando lo stupore degli italiani, non minimamente
al corrente dell’accaduto. Il risultato immediato di questa iniziativa fu quello di far precipitare l’Italia
nel caos mentre Badoglio e il re si rifugiavano a Brindisi sotto la protezione dei nuovi alleati. Tale
condotta creò un vuoto di potere a favore dei tedeschi che nel settembre fecero scattare il piano
Alarico, già preparato in previsione di uno sbarco degli alleati in Sicilia: il 10 settembre i nazisti
occuparono Roma e il 12 settembre liberarono Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, per poi
condurlo in Germania. Il duce, ormai burattino di Hitler, dichiarò di voler riprendere le ostilità al
fianco dei tedeschi e istituì la Repubblica sociale italiana (RSI), detta di Salò, che si professava
continuatrice del regime fascista perché ancora basata sul Programma di San Sepolcro. I soldati
italiani oltre frontiera, invece, alla notizia dell’armistizio, furono imprigionati e deportati dagli ex
alleati tedeschi, come avvenne ad esempio nell’isola greca di Cefalonia in cui erano presenti ancora
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compartimenti militari italiani dopo il tentativo di assedio voluto da Mussolini nel 1940. Inizia così
una drammatica fase che segnerà in paese anche negli anni a venire. La nazione si vede priva di una
guida politica, invasa da due eserciti contrapposti ma anche lacerata nella sua unità nazionale da
una cruenta guerra civile che vedeva contrapposti i repubblichini, fedeli al governo di Salò e
schierati con i tedeschi a difesa del fascismo, e i partigiani, gruppi spontanei di combattenti
antifascisti schierati con gli alleati contro le truppe nazifasciste. Iniziò così nell’Italia centro-
settentrionale la Resistenza che ebbe carattere di guerra di liberazione (dall’invasore nazista) e di
guerra civile tra antifascisti e nazifascisti. Le formazioni partigiane, la maggior parte collegate alle
principali forze politiche anti-nazifascismo, si erano organizzate in un fronte unito, il Comitato di
Liberazione Nazionale (CLN), creato il 9 settembre 1943 con presidente Ivanoe Bonomi. Il CLN si
schierava dalla parte degli alleati con l’obbiettivo di liberare l’Italia dallo spettro nazifascista. Sei
partiti si schierano dalla parte del CLN. Partiti di spicco furono quello comunista e democrazia
cristiana, partecipi della lotta politica del dopoguerra.
Gli Alleati, intanto, iniziarono a risalire verso nord liberando le città meridionali dal dominio nazista.
Unica città che si liberò da sola fu Napoli: Napoli, nel settembre del 1943, insorse spontaneamente
e in soli quattro giorni costrinse le forze tedesche alla fuga. Dopo i primi successi la guerra ristagnò
sulla linea Gustav, che correva dal Tirreno, al confine tra Lazio e Campagna, fino all’Adriatico, nei
pressi di Pescara. Centro dei conflitti fu la città di Cassino la cui abbazia e relativi manoscritti sugli
imperatori meridionali vennero persi a causa dei bombardamenti. Nel 1944 gli americani tentarono
uno sbarco alle spalle della linea, ad Anzio, vicino Roma, ma furono subito intercettati dalle forze
tedesche e le operazioni militari si bloccarono fino alla primavera. Nella primavera del 1944, infatti,
l’avanzata degli alleati riprende: il 4 giugno viene liberata Roma, Umberto di Savoia prende il posto
del padre Vittorio Emanuele III e il generale Badoglio cede la sua posizione di presidente a Ivanoe
Bonomi, capo del CLN. Le truppe anglo-americane proseguirono così la loro avanzata riuscendo a
liberare anche Firenze nella fine di agosto. L’avanzata però si blocco di nuovo nel settembre sulla
linea Gotica, linea difensiva preparata dai tedeschi e che univa Tirreno e Adriaco da Massa-Carrara
a Pesaro. La situazione rimase in stallo per tutto l’inverno del 1944-1945.
Paragrafo 13.5 – La vittoria degli alleati
Mentre in Italia la guerra ristagnava sulla linea Gustav, verso la fine del 1943, a Teheran (Iran),
Churchill, Roosevelt e Stalin si riunirono per organizzare l’apertura di un altro importante fronte,
quello della Francia settentrionale, necessario per riconquistare la nazione e crearsi una via
d’accesso verso Berlino. Gli anglo-americani si impegnarono sul fronte settentrionale francese
mentre Stalin si impegnò con una controffensiva da est, in modo da stringere la Germania in una
morsa. Il progetto di invasione della Francia, chiamato operazione Overlord prese il via il 6 giugno
del 1944, due giorni dopo la liberazione di Roma: gli alleati sbarcarono sulle coste di Cherbourg, in
Normandia, e, grazie all’enorme quantità di soldati, navi e mezzi impiegati, riuscirono a infrangere
la dura resistenza tedesca, appostata sulla costa, dietro la grande linea fortificata eretta sulla Manica
(Vallo atlantico). Grazie anche a un secondo sbarco nella Provenza, nel settembre, la Francia fu
liberata e affidata al governo di Charles De Gaulle. Quasi contemporaneamente, sul fronte
orientale, l’Armata rossa, uscita vittoriosa dall’assalto tedesco, giunse al confine con la Polonia e
iniziò a liberare gli stati baltici dirigendosi verso Berlino. La morsa che stringeva la Germani diveniva
così sempre più stretta! All’inizio del 1945, con le sorti del conflitto nelle mani degli Alleati, Stalin,
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dare vita, nel 1949, al Comecon, organismo nazionale con il compito di promuovere la ricostruzione
sociale ed economica dell’Europa dell’est.
Paragrafo 14.4 – 1945-1954: la guerra fredda in Asia e la corsa agli armamenti
Uno dei momenti di maggior tensione della guerra fredda di ebbe in Corea, dal 1910 possedimento
giapponese che, al termine del conflitto mondiale, si vide occupata a nord dai sovietici e a sud dagli
americani. Il paese venne così diviso in due lungo il 38° parallelo: Corea del Sud, con capitale Seul,
retta da un regime nazionalista dittatoriale appoggiato dagli Usa, e Corea del Nord, con capitale
Pyongyang, guidata dal partito comunista di Kim Il-Sung, appoggiato dai sovietici. Nel 1950 i coreani
del Nord, forti dell’appoggio di Urss e Cina, decisero di invadere la Corea del Sud, occupando Seul.
Gli Stati Uniti diedero il via all’intervento militare dando inizio a un conflitto che caratterizzò i tre
anni a venire e rischiò di sfociare in uno scontro diretto tra Urss e Usa con l’impiego delle armi
nucleari. L’armistizio ebbe nel 1953 e riconfermò la situazione precedente. Da allora la Corea non si
è ancora riunificata. La guerra comunque portò le due superpotenze ad accelerare la corsa agli
armamenti per non essere sopraffatti. Questo continuo sforzo militare, oltre a richiedere ingenti
spese a scapito dei problemi economici e sociali del paese, mise le due potenze in una situazione di
stallo: la paura della capacità distruttiva della potenza nemica diede vita a una specie di equilibrio
nel terrore, che dette luogo a una preparazione bellica affannosa e soggetta a continui
aggiornamenti per realizzare armi sempre più sofisticate in grado di incutere terrore al nemico.
Nel frattempo, in Europa, i due blocchi si erano stabilizzati. Nel 1951 entrarono nella NATO Grecia
e Turchia e addirittura, nel 1954, Germania Occidentale, riarmatasi dopo gli eventi della guerra di
Corea, per paura che potesse giungere fino in Europa. La replica sovietica di fronte alle mosse del
blocco occidentale fu la stipula, nel 1955, di una alleanza con tutti i paesi dell’Est, sovrascritta con
il Patto di Varsavia. Naturalmente a capo dell’alleanza c’era l’Urss.
Paragrafo 14.5 – la “coesistenza pacifica” e le due crisi
Nel 1953 si ebbe una svolta nei rapporti tra Usa e Urss, che ebbe come conseguenza un
allentamento della tensione tra i due blocchi. Infatti morì Stalin, a cui susseguì Nikita Krusciov.
Krusciov, a differenza di Stalin, parlò di coesistenza pacifica fra comunismo e capitalismo. Questa
modifica di condotta venne confermata nel corso del XX congresso del Partito comunista, del 1956,
in cui Krusciov non negò i meriti del suo predecessore nella trasformazione del paese da arretrato a
moderno, tuttavia, mise in luce la tendenza dittatoriale assunta dal regime e il culto della personalità
imposto da Stalin. Venne annunciata così una destalinizzazione del sistema sovietico sia in politica
interna che in politica estera. In particolare scioglie il Kominform ma il processo rimase comunque
incompiuto perché i gulag non vennero smantellati fino al 1960, anzi, rimasero, anche se ridotti,
ancora in funzione. Questo mutamento di prospettiva nella politica estera sovietica prese il nome
di disgelo. Il periodo di transizione dell’Urss fa nascere nei paesi satellite, soprattutto Ungheria e
Polonia, la speranza di staccarsi dal regime, speranza subito vanificata dallo stesso Krusciov che
intervenne con i carri armati nei paesi dissidenti.
La politica della coesistenza pacifica ebbe ulteriore sviluppo con le elezioni presidenziali statunitensi
del 1960 che videro primeggiare il candidato democratico John Fitzgerald Kennedy. La politica di
Kennedy era basata sul tema della nuova frontiera, la volontà di avanzare sul terreno politico,
scientifico e sociale. Per quando riguarda la politica interna, il programma prevedeva un forte
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impegno nei settori cruciali della vita nazionale, quali: disoccupazione, educazione, integrazione
razziale etc. In politica estera, invece, la nuova frontiera riguardava soprattutto i rapporti con
l’Unione Sovietica, seguendo la via della coesistenza pacifica indicata da Krusciov. Rimase
comunque aperta la competizione tra le due nazione per quanto riguarda la corsa allo spazio: dopo
il primi successi sovietici, come il primo satellite e il primo uomo nello spazio, l’Usa volle recuperare
il ritardo con obbiettivo lo sbarco sulla Luna.
Nel 1961, intanto, una nuova crisi internazionale scoppiò in Germania, minacciando la coesistenza
pacifica. La Germania in questo momento era divisa in Germania occidentale, nelle mani degli
alleati Usa, Francia e Inghilterra, e Germania orientale, in mano sovietica. Per quanto riguarda
Berlino, i tedeschi erano liberi di passare da una all’altra parte della città. Ciò porta, negli anni dal
1945 al 1961, a una migrazione di massa verso la parte occidentale. Tale migrazione costrinse il
governo sovietico a chiudere il confine tra le due fazioni. Nell’agosto del 1961 venne eretta una
barriera di filo spinato poi sostituita da lastre di cemento che formarono un muro di 155 km, il Muro
di Berlino. Tale muro divenne un ostacolo alla libertà di circolazione e simbolo della divisione del
mondo in due blocchi. Il muro cadrà poi solo nel 1989.
Altra crisi, ben più grave, esplose nel 1962 a Cuba, liberata dall’influenza degli Stati Uniti nel 1958
grazie a una rivoluzione popolare portata avanti da Ernesto “Che” Guevara e Fidel Castro, che
assunse il potere nel 1959. Castro portò avanti una serie di riforme radicali come: la confisca dei
grandi possedimenti terrieri da distribuire ai cittadini, nazionalizzazione delle raffinerie di petrolio
etc. Tali misure andarono incontro agli interessi economici degli Usa che dichiararono l’embargo e
la chiusura dei rapporti con l’isola. In politica estera, Castro iniziò a intrattenere intensi rapporti
commerciali con l’Urss tanto da dichiarare, nel 1961, la sua intenzione di portare avanti a Cuba uno
sviluppo politico di stampo comunista. Krusciov credette di poter sfruttare la situazione, creando
nell’isola una base missilistica, che avrebbe dovuto controbilanciare quelle americane poste in Italia
e Turchia. Nel 1962 gli Usa lanciarono così un ultimatum, che portò a un passo dalla guerra atomica:
Krusciov acconsentì allo smantellamento della basi a Cuba, in cambio dell’impegno degli Usa a
rinunciare a ogni intervento nell’isola e a ritirare i missili posti in Europa.
L’anno successivo, nel novembre 1963 a Dallas, Texas, Kennedy venne assassinato. L’ipotesi più
plausibile è che i mandanti fossero tra coloro che si sentivano danneggiati dalla sua politica
progressista, quini conservatori, esuli cubani etc. Poco tempo dopo anche Krusciov cadde, e venne
sostituito da Leonid Breznev, perché non si mostrò in grado di raggiungere quasi nessuno degli
obbiettivi prefissatosi, quali: il superamento degli Stati Uniti nella produzione di beni di consumo, la
costruzione di una base missilistica a cuba, il ritiro degli occidentali da Berlino ovest etc. Vennero
così a mancare i due primi difensori della coesistenza pacifica tra i due blocchi.
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con solo due milioni di scarto, sancì la nascita della repubblica. Contemporaneamente venne eletta
a suffragio universale anche l’Assemblea costituente, incaricata di procedere alla stesura della
nuova Costituzione, succeditrice dello Statuto Albertino, emanato nel 1848. I risultati furono a
favore dei deputati della Democrazia cristiana (35%) ma anche il PCI e il PSI ottennero buone
percentuali (20.5% e 19%). Cosa da notare è che PCI e PSI, insieme, potevano superare la DC!
il 28 giugno 1946 fu proclamata ufficialmente la repubblica con a capo, provvisoriamente, Enrico De
Nicola. I lavori per la Costituzione saranno poi finiti solo nel dicembre 1947 per emanarla il 1 gennaio
1948. Nodo più difficile della Costituzione fu l’articolo 7 dedicato ai rapporti tra chiesa e stato: la DC
propose l’utilizzo dei Patti Lateranensi, siglati nel 1929 dai fascisti. Gli altri schieramenti si
dimostrarono contrari ma la PCI fece questa concessione alla DC per raggiungere una pacificazione.
Il 10 febbraio 1947, a Parigi, Alcide De Gasperi fu costretto a firmare, senza discussioni, il trattato
di pace imposto dalle potenze vincitrici. Nemmeno la cobelligeranza post-resa e l’impegno dei
partigiani giocò a favore della penisola. L’Italia dovette cedere alla Francia molti territori quali Briga,
Tenda, Moncenisio etc. Alla Iugoslavia parte del Venezia Giulia e dichiarare Trieste territorio libero.
Anche le colonie, quali le Isole del Dodecaneso e la Libia, dovettero essere cedute dall’Italia: la Libia,
in particolare, divenne nazione indipendente nel 1950 e poi monarchia nel 1952.
Paragrafo 18.2 – Gli anni del centrismo e della guerra fredda
Nel 1947, dopo il trattato di pace a Parigi del febbraio, De Gasperi attuò una svolta moderata in
senso filoamericano e anticomunista, aderendo così al blocco occidentale. De Gasperi fu costretto
a fare ciò per usufruire degli aiuti economici americani, necessari per la ricostruzione. Davanti alla
sottomissione del governo alla dottrina Truman, il PCI e il PSI passarono all’opposizione. Si chiuse
così in via definitiva il periodo della collaborazione dei partiti antifascisti, iniziato nel 1943 con la
nascita del CLN. Grazie agli aiuti americani De Gasperi poté avviare una decisa azione di risanamento
economico e lotta all’inflazione, grazie anche all’aiuto di Luigi Einaudi. In questo clima di dissenso
tra i due principali blocchi politici, il 18 aprile 1948, si tennero le prime elezioni politiche
repubblicane per la creazione della prima Camera dei deputati e del primo Senato. Alle elezioni la
DC ottenere il 48.5% dei voti contro il 31% ottenuto da PCI e PSI, unitisi nel Fronte democratico
popolare. Questa vittoria della DC fu decisa anche dalla vicende della politica internazionale alleata
che imprimeva forti pressioni in senso anticomunista con minaccia la sospensione degli aiuti del
piano Marshall, ora indispensabili per l’Italia, in caso di vittoria della sinistra. Il 18 aprile 1948 iniziò
così il predominio democratico, contro l’opposizione capeggiata dal PCI. De Gasperi, incaricato dal
nuovo presidente della repubblica, Luigi Einaudi, di creare il nuovo governo, strinse un’alleanza
quadripartita con repubblicani, liberali e socialdemocratici per dare vita alla fase politica italiana del
Centrismo, caratterizzata da un governo di centro e non verso una o l’altra fazioni estremiste. Questi
stretti rapporti con gli alleati porteranno poi l’Italia ad aderire, nel 1949, al Patto Atlantico e alla
Nato. Con la vittoria elettorale della DC, il clima molto teso nato dallo scontro ideologico tra le varie
fazioni impiegate nella propaganda, non fu completamente sedato, anzi, sfociò nel luglio del 1948
in un attentato, da parte di un estremista di destra, nei confronti di Palmiro Togliatti, leader del PCI,
che ne uscì solamente ferito. Con l’attacco a Togliatti, contadini e operai diedero il via a uno sciopero
generale che sarebbe sfociato in insurrezione se i dirigenti del PCI non avessero tranquillizzato le
masse.
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La DC riuscì a governare fino al 1953 perseguendo una politica fedele al modello Occidentale
americano. La discesa di questo governo centrista, però, iniziò nel 1951, quando la DC registrò un
primo preoccupante calo dei voti. Vista la situazione, per mantenere le sinistre lontane dal governo
e rimanere alleato degli Stati Uniti, De Gasperi emanò, prima delle elezioni del 1953, una nuova
legge elettorale che prevedeva un premio di maggioranza, cioè l’assegnazione del 65% dei seggi, al
partito o coalizione che avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta ( 50%). Anche se la sinistra si
impose davanti a quella che definì una legge truffa, il governo riuscì a farla passare. I risultati delle
elezioni videro la coalizione della DC raggiungere il 49,85%, non abbastanza per ottenere il premio
di maggioranza. Questa ulteriore sconfitta segnerà la caduta del governo centrista di De Gasperi.
Paragrafo 18.3 – La ricostruzione economica
Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia si trovò ad affrontare l’enorme impegno della
ricostruzione e ripresa economica. Il quadro era drammatico: le principali città, quali Milano,
Torino, Bologna, Genova etc., erano in larga parte ridotte in rovina e la maggior parte delle
infrastrutture per la comunicazione erano andate distrutte. La disoccupazione aveva raggiunto indici
inquietanti e il carovita continuava a salire. Questa situazione portò a una tremenda inflazione,
causata anche dall’emissione eccessiva di am-lira, biglietti stampati dagli americani e coperti
dall’oro dello stato italiano. Aiuto concreto alla ricostruzione venne dagli Stati Uniti, interessati alla
rapida ripresa economica dell’Europa sia perché mercato estero fondamentale sia per evitare una
presa di posizione dei comunisti, vista la situazione favorevole. Gli Stati Uniti intervennero prima,
tra il 1943 e il 1945, con generi alimentari e materie prime, per poi, nel 1948 con il piano Marshall,
con interventi molto più consistenti e organici ( soldi).
Altra riforma necessaria fu la riforma agraria: De Gasperi, già nel 1948, manifestò l’intenzione di
eliminare i latifondi improduttivi, lasciati incolti dai proprietari terrieri, per ridistribuirli ai contadini
del sud e diminuire la disoccupazione. Tale iniziativa, però, trovò il dissenso delle forze conservatrici
e non venne mai attuata. I contadini insorsero e, tra 1949 e il 1950, occuparono ampie arre di
territorio incolto, rivendicandolo. Il governo al quel punto fu costretto a trovare una soluzione
approvando diverse leggi che permisero la ridistribuzione della sola metà delle terre che il piano
inizialmente prevedeva. Visto che il livello di disoccupazione rimase comunque molto alto, nel 1950,
venne istituita, la Cassa del Mezzogiorno, volta a sostenere lo sviluppo economico e produttivo del
sud Italia. Per ridurre la disparità tra Nord e Sud venne varato anche il piano decennale di
incremento e sviluppo, di Enzo Vanoni, il cui obbiettivo era ottenere un incremento della
produzione e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tale piano, a causa della morte del suo ideatore,
non fu mai attuato!
Come vediamo, elemento portante della ricostruzione è l’intervento diretto dello Stato in campo
economico: in questo periodo post-bellico nacquero, infatti, molte imprese pubbliche soprattutto
nel campo siderurgico, dell’energia elettrica, dei trasporti e delle comunicazioni. Il governo si
impegno nella costruzione e riorganizzazione di diversi enti quali: l’Istituto per la Ricostruzione
Industriale (IRI), fondato nel 1933, l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), l’Ina-Casa, per il rilancio
dell’edilizia popolare.
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