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RDC 2024

Il documento analizza il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo, evidenziando le sue origini nel 1997 con l'ascesa di Laurent Kabila e le conseguenze della guerra civile che ha causato oltre quattro milioni di morti. Viene discusso il ruolo di vari gruppi ribelli e le difficoltà nel raggiungere accordi di pace, come quelli di Lusaka e Pretoria, nonché la situazione attuale dei diritti umani e dei rifugiati. Infine, si sottolinea l'importanza delle risorse minerarie e delle spese militari nel contesto del conflitto e della cooperazione internazionale.

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Il documento analizza il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo, evidenziando le sue origini nel 1997 con l'ascesa di Laurent Kabila e le conseguenze della guerra civile che ha causato oltre quattro milioni di morti. Viene discusso il ruolo di vari gruppi ribelli e le difficoltà nel raggiungere accordi di pace, come quelli di Lusaka e Pretoria, nonché la situazione attuale dei diritti umani e dei rifugiati. Infine, si sottolinea l'importanza delle risorse minerarie e delle spese militari nel contesto del conflitto e della cooperazione internazionale.

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Supplemento al n° 12/2024 di “ IRIAD Review” - Mensile dell’ Istituto di

Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD) ISSN 2611-3953


Guerre e aree di

Quadro del conflitto


Q

Vittime
crisi

Rifugiati

Diritti Umani

Trasferimento di armi

Spese militari

Repubblica Democratica del Congo

Via Paolo Mercuri 8 - 00193 Roma tel.


(+39) 06 36000343
email: [email protected]; [email protected]
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
del Congo

INDICE

Sommario
INDICE ........................................................................................................................................................... 1
Introduzione ................................................................................................................................................... 2
Quadro del conflitto ....................................................................................................................................... 4
Situazione successiva agli accordi di Sun City ................................................................................................ 7
Nord Kivu ..................................................................................................................................................... 11
“Ritorno alla democrazia”? ......................................................................................................................... 13
I maggiori gruppi di ribelli attivi nelle regioni nord-orientali della Repubblica Democratica del
Congo ............................................................................................................................................................... 16
I Mayi Mayi ................................................................................................................................................. 17
Consiglio nazionale per la difesa del popolo .............................................................................................. 17
Interahamwe ............................................................................................................................................... 17
Ex Far – FDLR ............................................................................................................................................... 17
2021 - 2024 ................................................................................................................................................. 19
Vittime .......................................................................................................................................................... 20
Risorse contese............................................................................................................................................ 22
Rifugiati......................................................................................................................................................... 23
Diritti umani ................................................................................................................................................. 26
Trasferimenti di armi .................................................................................................................................... 31
Embarghi e sanzioni .................................................................................................................................... 33
Relazioni bilaterali con l’Italia ..................................................................................................................... 35
Cooperazione italiana ................................................................................................................................. 37
Trasferimenti di armi nei paesi coinvolti nel conflitto.................................................................................. 38
Operazioni di peacekeeping ........................................................................................................................ 42
Altre operazioni........................................................................................................................................... 44
Forze Armate ............................................................................................................................................... 45
Spese militari ................................................................................................................................................ 48

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
del Congo

Introduzione

Il territorio della RDC corrisponde più o meno al bacino del fiume Congo. Nella
parte centrale del paese il clima è equatoriale, nelle zone periferiche diviene più mite.
Il principale gruppo etnico è quello bantu (Luba, Lunda, Kongo, Mongo), ma sono
comunque presenti nel paese più di 200 etnie diverse. Nel cuore della foresta
tropicale è presente anche una minoranza pigmea.
Sebbene ricca di materie prime, l’economia del Congo rimane molto arretrata a
causa della mancanza di infrastrutture, dell’inefficienza e della corruzione della
pubblica amministrazione e dei conflitti che da lungo tempo travagliano il paese. Le
attività agricole assorbono la maggior parte della forza lavoro. L’allevamento è diffuso
ma poco produttivo.

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
del Congo

Capitale Kinshasa
Superficie 2.344.858 kmq
Popolazione 102.262.808 (2023)
Tasso di crescita 3,11% (stima 2024)
Densità 45 ab/kmq (stima 2024)
Popolazione urbana 47,4% (stima 2023)

Composizione etnica Oltre 200 gruppi etnici africani, di cui la maggioranza è Bantu; i quattro
gruppi più numerosi - Mongo, Luba, Kongo (tutti Bantu) e Mangbetu-
Azande (Camiti) - costituiscono circa il 45% della popolazione.
Età 0-14 anni: 45,7% - 15-64 anni: 51,8% - 65 anni e oltre: 2,5% (stima 2024)

Mortalità infantile 57,4 morti/1.000 nati vivi (stima 2024)


Speranza di vita 62,6 anni (stima 2024)

Lingue Francese (ufficiale), Lingala (lingua commerciale), Kingwana (dialetto del


Kiswahili o Swahili), Kikongo, Tshiluba
Alfabetizzazione [Definizione: età 15 anni e oltre che possono leggere e scrivere in francese,
lingala, kingwana o tshiluba.]

80% della popolazione totale.


Religione Cristiani 93,1% (cattolici romani 29,9%, protestanti 26,7%, altri cristiani
36,5%), kimbanguisti 2,8%, musulmani 1,3%, altri (include settori sincretici
e credenze indigene) 1,2%, nessuno 1,3%, non specificato 0,2% (stima
2014).
Forma di governo Repubblica semipresidenziale

Economia PIL: 66,38 miliardi di USD (2023)


Tasso di crescita annuale: 6,2% (2023)
PIL pro capite: 556 USD (2023)
Risorse minerarie Cobalto, Rame, Coltan, Diamanti, Oro, Zinc, Ferro, Manganese, Tungsteno,
Piombo, Cromo, Nichel.
Moneta Franco congolese

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
del Congo
Fonti:
- Calendario Atlante De Agostini 2012, Istituto geografico De Agostini, Novara
www.volint.it/schede/paesi/congo.htm;
- www.indexmundi.com;
- www.cia.gov;
- http://www.acleddata.com/wp-content/uploads/2014/10/ACLED-Country-Report_DR-
Congo_December- 2013_updated.pdf
- data.worldbank.org
- it.tradingeconomics.com

Quadro del conflitto


La "grande guerra africana", che da anni ormai sconvolge la regione dei Grandi Laghi,
ha le sue origini nel 1997, con l’ascesa al potere di Laurent Désiré Kabila che, sostenuto
da ribelli e dal governo del Ruanda e dell’Uganda, ha posto fine all’ultratrentennale
dittatura di Mobutu. Il 16 maggio 1997 Kabila, appoggiato dal suo partito Alliance of
Democratic Forces for the Liberation of Congo-Zaire (ADFL), si proclama
presidente, assume pieni poteri legislativi, esecutivi e militari e cambia il nome del
paese da Zaire a Repubblica Democratica del Congo (RDC). Tuttavia,
contemporaneamente, cominciano le proteste e le denunce sui violenti metodi
utilizzati da Kabila e dai suoi seguaci per conquistare e mantenere il potere.1 La rivolta
contro Kabila ha inizio nell’agosto del 1998, dopo la decisione del presidente
di espellere le truppe ruandesi che lo avevano sostenuto nell’ascesa e che ancora
gli garantivano la sua permanenza al potere contro gruppi armati non-governativi a lui
ostili. Con l’inizio della rivolta, sei paesi africani vengono coinvolti nel conflitto e
operano direttamente nella Repubblica Democratica del Congo: Angola, Namibia e
Zimbabwe si schierano con le truppe governative della RDC; gli oppositori di Kabila si
dividono invece in più gruppi in contrasto tra loro. Il Mouvement de Liberation
Congolais (MLC) e il Rassemblement Congolais pour la Democratie-Mouvement de
Liberation (RCD-ML) sono sostenuti dall’Uganda, mentre il Ruanda si schiera con i
ribelli del Rassemblement Congolais pour la Democratie-Goma (RCD-G, Congolese

1 Nell'autoproclamarsi Capo dello Stato della Repubblica democratica del Congo, ripristinando il nome che lo Zaire
ebbe sino all'ottobre 1971, il leader dei ribelli zairesi Laurent-Desir Kabila ha praticamente cancellato un trentennio di
mobutismo (termine derivante dal periodo dittatoriale instaurato in Congo nell’aprile del 1965). Dalla sua indipendenza,
il 30 giugno 1960, fino ad oggi, il Paese africano ha cambiato nome diverse volte. Il 15 maggio 1961 il Congo belga
diventa Repubblica federale del Congo e il 24 novembre1965 il generale Mobutu assume il potere con un colpo di stato,
dando il via al suo lungo regno e si autoproclama Presidente della Repubblica democratica del Congo. Nel giugno1966,
la capitale Leopoldville prende il nome di Kinshasa. Nel quadro della politica di africanizzazione del Paese, il 27 ottobre
1971 la Repubblica democratica del Congo diventa Repubblica dello Zaire e il fiume Congo prende il nome di Zaire. Due
Paesi si chiameranno d'ora in poi Congo: l'ex Zaire, che diviene Repubblica democratica del Congo, e la Repubblica del
Congo, ex colonia francese la cui capitale è Brazzaville

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Rally fordelDemocracy-Goma).
Congo Alla fine del 1998 i ribelli arrivano a controllare più di un
terzo dell’intero territorio congolese: il MLC e il RCD-ML occupano i territori a nord-
est, mentre il RCD-TG occupa la parte centrale e le zone a est e sud-est. Tuttavia,
l’offensiva dei ribelli, quando ormai è sul punto di far cadere il governo centrale, è
bloccata dal fronte africano pro-Kabila, lasciando il paese spaccato in due aree: la
prima, che comprende la parte nord-orientale, nelle mani del blocco ruandese-
ugandese, e la seconda, nella zona sud-occidentale, sotto il controllo delle forze
filogovernative.
Nel luglio del 1999, le sei nazioni africane coinvolte nel conflitto (RDC, Zimbabwe,
Angola, Namibia, Ruanda e Uganda) e tutti i gruppi ribelli firmano gli accordi di Lusaka,
con lo scopo di porre fine alla guerra civile. Tre sono i punti centrali degli accordi:
l’accordo inter-congolese, che tenta di risolvere la questione interna tra le forze ribelli
e il governo congolese, arrivando ad un negoziato che consenta di ridefinire le basi
istituzionali del paese; il ritiro dal suolo congolese di tutti gli eserciti stranieri, sotto il
controllo di una “peacekeeping force” creata ad hoc dalle Nazioni Unite, sulla base del
capitolo VII della Carta ONU; il disarmo e la smobilitazione di quelle che gli accordi
chiamano “forze negative”, ossia tutte quelle milizie irregolari che da tempo
rappresentano un fondamentale sostegno per il potere centrale di Kinshasa e una
costante minaccia per gli stati confinanti.
Gli accordi di Lusaka sono tuttavia ripetutamente violati: le parti si accusano
reciprocamente di non rispettare gli accordi e gli scontri all’interno del paese
continuano. Alla fine del 1999 la situazione è considerata tanto difficile da far pensare
che il più piccolo incidente possa riaprire le ostilità.
L’assassinio del presidente Kabila il 16 gennaio 2001 e la presa del potere da parte
del figlio, Joseph Kabila, dà finalmente un forte slancio al tentativo di porre fine al
conflitto iniziato nel 1998. Il vecchio Kabila rifiutava ogni collaborazione con le Nazioni
Unite o con l’Inter-Congolese Dialogue, nel quale i leaders dei movimenti ribelli e i
rappresentanti dei partiti di opposizione avrebbero dovuto incontrarsi per discutere il
futuro del paese; il figlio, invece, accetta di collaborare con entrambe e realizza
importanti riforme politiche ed economiche. Per la prima volta dalla firma
dell’accordo di pace di Lusaka si fanno passi concreti verso la pace: Joseph Kabila
intraprende un dialogo più aperto con i ribelli e il cessate-il-fuoco viene rispettato per
tutto il 2001.
Nel luglio 2002 con gli accordi di Pretoria, Uganda e Ruanda si impegnano a ritirare
le proprie truppe dal territorio congolese.
Il punto più critico dell’accordo consisteva, da un lato, nella reintegrazione dei
soldati ribelli nell’esercito o nella loro smobilitazione e, dall’altro, nel coinvolgimento
nel processo di riconciliazione nazionale delle fazioni ribelli più piccole che hanno
partecipato al conflitto e che potrebbero minare questa fase di transizione con
dispute locali.
A causa di tali difficoltà, nel novembre 2002, la missione delle Nazioni Unite
(avviata nella prima metà del 2001 e formata da 4500 uomini) e il governo congolese
decidono di estendere i termini dell’accordo di Pretoria di altri tre mesi, perché il
compito di disarmare tutti i ribelli nelle regioni orientali, compresi i ribelli ruandesi
hutu, si presentava particolarmente complesso. Kofi Annan propose di aumentare il
contingente militare della MONUC nella regione con l’esplicito intento di difendere la
popolazione civile –mandato di cui la MONUC non dispone- e la sicurezza delle

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
frontiere deltra Congo, Ruanda, Burundi e Uganda.
Congo
Il 16 dicembre del 2002 MLC, RCD-N e RCD-ML firmano l’immediato cessate-il-fuoco
per l’area nord-est del paese. Il governo di Joseph Kabila, i due movimenti di ribelli,
MLC e RDC-Goma, e i partiti di opposizione definiscono il quadro di una transizione
verso la pace che prevede la formazione di un governo ad interim presieduto dallo
stesso Kabila e in cui le altre parti sono rappresentate da un vicepresidente ciascuna
(quindi 4), i due gruppi di ribelli sopra-citati, la fazione del presidente e l’opposizione
politica non-armata. La durata prevista per tale governo è di due anni, al termine dei
quali sono previste elezioni nazionali democratiche (per la prima volta dal 1960, anno
dell’indipendenza del Paese dal Belgio).
Il 3 aprile 2003, a Sun City, 362 delegati ratificano gli accordi di pace raggiunti
a Pretoria, adottando ufficialmente la nuova Costituzione. Il documento firmato, il cui
nome, “The Final Act”, è emblematico, mira a concludere definitivamente i lunghi
negoziati di pace. È significativo sottolineare l’assenza alla cerimonia di firma del
Presidente della Repubblica Kabila e di Jean-Pierre Bemba, leader dell’MLC, sostituiti
nella sottoscrizione del patto dal Ministro degli Esteri congolese e dal Segretario
Generale dell’MLC. Hanno presenziato, però, alla cerimonia alcuni Capi di Stato
africani e il principale promotore del negoziato intracongolese, il sudafricano Thabo
Mbeki.
La guerra civile che, dal 1998 agli accordi di Sun City, ha colpito il Congo causando
oltre quattro milioni di morti, per la maggior parte civili, è considerato il conflitto più
devastante dalla Seconda Guerra Mondiale (per questa ragione il “Grande Gioco
congolese” è stato denominato anche “Guerra Mondiale Africana”).
Secondo l'accordo, Joseph Kabila resta in carica per la fase di transizione (che
dovrebbe durare da due a tre anni), coadiuvato da quattro vice, in rappresentanza dei
due maggiori gruppi armati (RCD-Goma e MLC), dell'attuale governo e dell'opposizione
politica. Alla fine della fase di transizione si terranno le prime elezioni democratiche.
Alcune questioni rimangono però ancora irrisolte: in particolare, non viene
ratificato l'accordo sulla composizione delle nuove Forze Armate, che dovranno
essere integrate da elementi provenienti dai vari gruppi ribelli. I rappresentanti di
RCD-Goma e MLC esprimono inoltre dubbi sulle misure di sicurezza della capitale
Kinshasa, dove dovranno trasferirsi per esercitare i propri compiti istituzionali.
Il ritiro degli eserciti stranieri dal territorio congolese non significa la fine della loro
influenza sugli ex-alleati nella Repubblica Democratica congolese: l’Uganda continua
ad essere legato all’MLC, il Ruanda all’RDC, Angola, Zimbabwe, Namibia e Ciad
mantengono il loro appoggio al governo di Kabila, mentre il Burundi continua a
mantenere alcune forze nel Paese per combattere i ribelli hutu.
Al centro degli interessi del Dialogo Intracongolese vi è il controllo delle ingenti
risorse di oro, diamanti, coltan, petrolio, cobalto, uranio e legnami pregiati delle
regioni confinanti con Uganda, Ruanda e Burundi. Per questa ragione rimane difficile
credere al dichiarato scopo di un intervento stabilizzatore perpetrato dai Paesi
coinvolti direttamente o indirettamente nel conflitto congolese: il mantenimento di
una presenza militare sul territorio non riesce a celare la concreta possibilità di curare i
propri interessi nello sfruttamento delle risorse ed i pretesti utilizzati dai vari Stati
coinvolti per intervenire sul territorio congolese sono vari.
Per meglio capire la situazione preesistente agli accordi di Sun City e la difficoltà di
una loro completa attuazione, analizziamo i rapporti tra Repubblica Democratica del

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Congo (RDC) ed i vari paesi coinvolti nel conflitto congolese.
del Congo

RDC – LIBIA. Nel dicembre 2002 Kinshasa rivolge pesanti accuse a Tripoli per
l’appoggio che le truppe libiche avrebbero fornito all’MLC di Bemba nel tentativo di
conquista di territori nel nord-est del Paese, al confine con la Repubblica Centroafricana
(CAR), Sudan e Uganda. Tale denuncia è stata portata al cospetto del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU in quanto si ritiene che l’ingerenza libica negli affari congolesi
costituisca una minaccia effettiva per l’accordo di condivisione del potere.
Gheddafi, nella prima metà del 2001, invia centinaia di uomini a sostegno dell’MLC
e delle truppe di Ange Felix Patasse, all’epoca Presidente della CAR, impegnate nel
soffocare una rivolta militare. È, pertanto, evidente il legame dell’MLC con la Libia di
Gheddafi che tenterebbe di espandere la sua sfera d’influenza politico-economica
sulla Repubblica Democratica del Congo nel momento in cui gli eserciti degli altri paesi
si stanno ritirando dal suo territorio.
Nonostante il segretario dell’MLC smentisca l’esistenza di un accordo tra il
movimento e la Libia, appare piuttosto probabile l’affermazione di tale legame
soprattutto in quella fase dei negoziati in cui i movimenti avversari di Kabila avevano
interesse a massimizzare il loro peso contrattuale attraverso un rafforzamento delle
proprie milizie.

RDC – UGANDA: Nell’aprile del 2003, l’Uganda, a seguito del massacro di migliaia di
persone appartenenti all’etnia Hema, filo-ugandesi, da parte delle milizie tribali di
etnia Lendu che si trovano nel nord est della RDC, invia nuove truppe ugandesi nel
territorio congolese. Il leader dell’Unione Patriottica Congolese (UPC), ex alleato degli
ugandesi durante la guerra civile, accusa l’Uganda di aver sostenuto i ribelli Lendu.
Immediata la smentita degli ugandesi che affermano il loro arrivo sul territorio a fatti
compiuti.
Tale strage è divenuta oggetto di discussione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU,
dal momento che Amnesty International ha rilanciato le accuse di responsabilità dei
militari ugandesi che avrebbero distribuito armi agli assalitori per fomentare gli scontri
e giustificare la propria presenza sul territorio. È stato, pertanto, richiesto l’intervento
del TPI, Tribunale Penale Internazionale.

RDC – RUANDA: Anche il Ruanda cerca di restare sul territorio congolese accusando
la Repubblica Democratica del Congo e l’Uganda di supportare le milizie Interahamwe
e gli Hutu (milizie contrarie al governo ruandese) che, in seguito al genocidio del 1994,
si sono rifugiati in Congo.

Situazione successiva agli accordi di Sun City

L’area orientale continua, tuttavia, a rimanere una zona “calda” e gli accordi di Sun
City sembra non considerino le province dell’Ituri e del Kivu. Quest’ultima è
scenario di contrasti tra esercito ruandese, RCD-G e milizie etniche Mayi Mayi ora a
fianco del governo.
Nella provincia dell’Ituri, controllo sul territorio e responsabilità sulla violazione dei
diritti umani sono imputabili all’MLC, ai suoi alleati ugandesi e alle formazioni di etnia

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Hema edelLendu,
Congo armate dai governi stranieri e in conflitto tra di loro. Date le continue
violazioni degli accordi pacificatori e l’impossibilità d’instaurare un’autorità politica e
amministrativa, la Commissione per la Pacificazione dell’Ituri (CPI) viene sciolta a
pochi mesi dalla nascita.
Per tutto il 2004-2005 l’Union de Patriotes Congolais –UPC- Hema, capeggiata da
Thomas Lubanga e un tempo alleata con l’esercito ugandese, l’Uganda People’s
Defense Force –UPDF-, inizia ad avviare congiuntamente all’RCD-G, alleata ruandese,
un ritiro delle truppe dall’Ituri. Tuttavia, nonostante questo passo avanti, nasce una
nuova milizia ribelle, il Front pour l’Integration e la Pacification di Ituri –FIPI-, i cui
membri appartengono ad etnie diverse come quelle di Hema e Lendu che, al di fuori
del FIPI, sono in conflitto tra loro. È facile comprendere come questa neonata milizia
faccia riferimento all’Uganda: nel marzo 2003, Lubanga e il “suo” UPC, ormai
indipendente dall’Uganda, sono stati costretti a ritirarsi dalla città di Bunia a beneficio
delle milizie regolari ugandesi che hanno così consolidato le proprie posizioni
nell’area.
La manipolazione dei conflitti tra etnie diverse è ancora una volta strumento di
legittimazione della presenza di Kampala sul territorio congolese.
L’intervento dei soldati uruguayani della MONUC non è stato sufficiente a fermare
il conflitto etnico che ha seguito il ritiro dell’UPDF dal territorio e ciò è dovuto a più
fattori: la MONUC era sprovvista dell’autorizzazione all’utilizzo della forza armata per
salvaguardare l’incolumità dei civili (mandato che fa riferimento al Capitolo Settimo
della Carta delle Nazioni Unite) e non possedeva mezzi sufficienti a far fronte ad una
situazione di emergenza di tale portata.
Il tentativo fallimentare della MONUC di arginare i conflitti etnici in atto nell’Ituri
ha richiamato una maggior attenzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU che, a fine
maggio 2003, ha approvato la Risoluzione 1484, vale a dire l’autorizzazione alla
formazione di una forza multinazionale distinta dalla MONUC, posta direttamente
sotto il controllo del Segretario Generale e sotto il comando francese: la IEMF, Interim
Emergency Multinational Force, chiamata anche Operazione Artemis, costituita da
1400 uomini forniti per metà dalla Francia e, per il resto, da Belgio, Germania, Gran
Bretagna, Svezia, Sudafrica, Pakistan e Nigeria. Tale formazione è stata sostenuta
dall’Unione Europea che sta tentando di creare una forza europea di reazione rapida
indipendente dalla NATO. Alla presenza della IEMF, ritiratasi da Bunia nel settembre
2003, che ha senza dubbio contribuito a frenare gli scontri tra Hema e Lendu, è
seguito l’intervento di nuove truppe ONU (MONUC-II: 4800 uomini provenienti da
Bangladesh, India, Nepal, Pakistan e Uruguay) autorizzate ad agire sotto il Capitolo
Settimo (Risoluzione 1493/2003 adottata dal Consiglio di Sicurezza il 28 luglio 2003
unitamente alla proroga del mandato ONU in Congo). Se da un lato, la MONUC-II, alla
quale è dovuta anche l’attuazione di un embargo sulle armi, si è potuta avvalere
dell’esperienza maturata dalla IEMF per guadagnarsi la fiducia degli abitanti di Bunia,
dall’altra non è riuscita a evitare la sfiducia della popolazione –soprattutto Lendu-
delle zone limitrofe in cui il massacro non è stato ancora arrestato.
Secondo l’ultimo rapporto di International Crisis Group, datato 13 maggio 2008,
tuttavia, grazie alla presenza delle forze di pace delle Nazioni Unite, il rischio di una
ripresa delle violenze nell’Ituri sarebbe limitato, soprattutto perché la maggioranza dei
gruppi armati risulterebbe smantellata. Mentre si avvicinano le elezioni fissate per il
2009, rimangono comunque da risolvere importanti questioni che potrebbero

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
metteredelinCongo
pericolo il processo di pacificazione della regione. Pericoloso fattore di
tensione tra i gruppi etnici presenti in Ituri è la questione dell’accesso alla terra,
problema che sta all’origine del conflitto interetnico e che potrebbe aggravarsi con il
ritorno di numerosi sfollati nelle loro case. Attualmente sembra che manchino principi
di legalità chiari che regolamentino l’accesso alla terra, così come non esiste un
controllo sulle risorse naturali della regione che diventa così appannaggio dei clan
mafiosi. Altro fattore di tensione è la condotta dell’esercito regolare che, mentre si
prosegue al disarmo dei gruppi ribelli, si è reso responsabile di numerose violazioni
dei diritti umani. In relazione a questo va segnalato che in tutto il paese il regime di
impunità che sembra proteggere i responsabili di crimini di guerra e di crimini contro
l’umanità, per la debolezza del governo nazionale e l’incapacità di assicurare i
colpevoli ai tribunali internazionali, accresce la sfiducia della popolazione nel processo
di pacificazione ed aumenta il rischio, nelle zone più calde, di una ripresa degli scontri.
Gli accordi di pace sono stati ulteriormente minacciati il 2 giugno 2004: il
capoluogo del Sud Kivu, Bukavu, nei pressi della linea di confine col Ruanda, cade nelle
mani di militari ribelli guidati da Laurent Nkunda e dal colonnello Jules Mutebusi,
ex ufficiali del nuovo Esercito congolese, appartenenti all’RCD-G, ora schierato a
fianco del governo di unità nazionale.
I ribelli dichiarano che lo scopo della loro azione è quello di reagire alla persecuzione
contro i Banyamulenghe, popolazione di etnia Tutsi d’origine ruandese (motivazione
addotta anche nel 1996 e nel 1998, dovendo celare il reale intento di contrastare i
criminali Hutu oltreconfine e assicurarsi il controllo delle risorse della zona orientale).
La persecuzione dei Banyamulenghe viene smentita dalla MONUC, ma, scongiurato il
conflitto con il Ruanda, il 13 agosto 2004, nella zona confinante con la RDC del Burundi,
si verifica un ulteriore attacco contro civili Banyamulenghe nel campo profughi di
Gatumba. Questi ultimi, fuggiti dai disordini scoppiati nella RDC nel corso dell’ultimo
anno, sono stati ripetutamente oggetto di un massacro selettivo che ha lasciato
incolumi i profughi Hutu. L’FNL, Forces pour la Liberation National, unica formazione
ribelle di Hutu burundesi, capeggiati da Palipehutu, che ha respinto l’accordo di pace
firmato col governo nel 2000, si è assunta la responsabilità di tale eccidio.
Anche le milizie della ex FAR, Forces Armées Ruandaise, giunte dalla RDC e
supportate dalle Forze armate della RDC, FARDC, sono state accusate dai vertici
militari burundesi di una collaborazione con l’FNL. Il 7 settembre 2004
l’organizzazione Human Rights Watch ha chiarito quanto accaduto tramite la
redazione di un rapporto sull’eccidio: le indagini porterebbero in luce il fatto che
l’autore dell’eccidio sarebbe l’FNL probabilmente aiutato da alcuni congolesi di etnia
Mayi Mayi e di altre fazioni secondarie. Benché non si sia ancora giunti all’analisi
ultima dell’indagine ONU, l’ambasciatore spagnolo ONU, Juan Antonio Yá-ez-
Barnuevo, già nel settembre 2004 parla di una corresponsabilità nei fatti di Gatumba.
In seguito all’attacco del 2 giugno 2004, la tensione nel Sud Kivu non si è più placata:
i contrasti tra l’Esercito regolare congolese e i ribelli cacciati da Bukavu non sono
ancora stati sedati, l’esodo dei congolesi che abbandonano il Sud Kivu continua nel
tentativo di trovare rifugio nel vicino Burundi e, in parte, anche in Ruanda, mentre
rimane una forte concentrazione di truppe ai confini ruandesi. Nel dicembre 2004
Kabila accusa le autorità del Ruanda di voler minare il processo di transizione e le
elezioni previste per giugno del 2005, cercando di creare instabilità nel Paese. Nello
stesso mese, la MONUC riesce ad interrompere gli scontri tra esercito congolese e

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
dissidenti creando una zona cuscinetto ottenuta tramite l’eliminazione di quattro
del Congo
campi di miliziani, uno in Kivu e tre in Ituri.
Rimane irrisolto il problema dell’afflusso di armi; nel luglio 2003, in seguito a
pressioni civili e internazionali, il Consiglio di Sicurezza ONU ha deciso l’embargo delle
armi per le regioni dell’Ituri, del Nord e del Sud Kivu, ma dopo pochi giorni gli USA
hanno eliminato l’embargo decennale del Ruanda, limitando, di fatto, l’efficacia delle
disposizioni ONU. Finché l’embargo non sarà esteso a tutta la regione dei Grandi Laghi
sarà difficile sbloccare la situazione di conflitto tra le diverse forze in campo.
Il 14 maggio 2005 viene approvata la modifica al testo costituzionale introducendo
dei limiti al potere del Presidente che non potrà essere eletto per più di due mandati
consecutivi, e riconoscendo come cittadini con pari diritti tutti quelli nati nel Paese
dopo il 1960. Ciò garantirebbe la fine delle discriminazioni tribali rispetto alla
cittadinanza.
Il 28 aprile 2005 la Commissione elettorale indipendente chiede ed ottiene di
posticipare di sei mesi le elezioni pattuite per giugno 2005. Le elezioni si sono tenute
nel luglio 2006. Al ballottaggio, nell’ ottobre 2006, sono andati il Presidente uscente
Joseph Kabila e l’ex ribelle Jean-Pierre Bemba. Il 29 ottobre 2006 Joseph Kabila è stato
confermato Capo di Stato e di Governo con il 58,5% dei voti. Tutti i ricorsi presentati
dal candidato sconfitto Jean-Pierre Bemba, sono stati respinti dalla Corte Suprema.
Il periodo elettorale è stato caratterizzato da numerose violazioni dei diritti umani,
tra cui sparizioni forzate, arresti arbitrari, violenze a sfondo etnico, uso eccessivo della
forza da parte delle forze di sicurezza nel disperdere proteste politiche, e restrizioni
delle libertà di espressione e di riunione. L’annuncio dei risultati del primo turno delle
elezioni presidenziali il 20 agosto ha innescato scontri nelle strade della capitale
Kinshasa tra i soldati delle milizie fedeli al presidente di transizione Joseph Kabila e i
sostenitori del vicepresidente Jean- Pierre Bemba in cui sono rimaste uccise 23
persone. Gli scontri si sono trasformati, nel marzo 2007, in aperto conflitto nelle
strade di Kinshasa. Dopo tre settimane di violenza, durante le quali ha trovato rifugio
presso l’ambasciata sudafricana, Jean-Pierre Bemba lascia il paese e ripara in
Portogallo.
Nel gennaio 2011 è stata attuata una modifica della costituzione, riguardante il
sistema elettorale. A febbraio la residenza presidenziale e il campo militare di Kinshasa
sono attaccati nel corso di quello che il governo definisce un colpo di stato. Seguono
un’ondata di arresti di individui originari di una regione situata nel nord della
Repubblica Democratica del Congo, l’Equateur. A causa di svariate difficoltà
(modifiche del sistema elettorale, ritardi nel calendario e problemi logistici) si
accrescono le tensioni tra maggioranza e opposizione. Intanto l’esercito continua le
proprie operazioni contro le forze straniere, in particolare nei settori settentrionale e
orientale, causando un ulteriore sfollamento di civili.
Nel luglio 2012 le forze ribelli avanzano verso Goma e, secondo fonti ONU, queste
forze sarebbero appoggiate dal Ruanda. La città di Bunagana cade sotto il controllo
dei ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) formato da ex ribelli del disciolto
Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) e a fine luglio il governo decreta
la chiusura della dogana di Bunagana, la più a nord della regione orientale del Nord
Kivu, al confine con l’Uganda.

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Nord Kivu del Congo

Nel 2006, nel Nord Kivu, si accendono scontri tra le truppe del generale ribelle
Laurent Nkunda2, appoggiato dai leader tutsi, e l’esercito regolare. Dopo le elezioni il
presidente Kabila tenta di avviare trattative con Nkunda per un progressivo reintegro
delle sue truppe nell’esercito regolare, ma i negoziati falliscono. I leader tutsi, infatti,
preoccupati di ritorsioni e vendette nei loro confronti, minacciano di negare
l’appoggio al generale Nkunda. Per tutto il 2007 si assiste ad una recrudescenza degli
scontri. Il 23 gennaio 2008 vengono siglati gli Accordi di Goma tra governo, ribelli di
Nkunda e milizie Mai Mai. Gli accordi prevedono un cessate il fuoco tra le parti, il
ritiro delle truppe da determinate zone chiave e la creazione di una zona cuscinetto
sotto il controllo delle Nazioni Unite. Inoltre, è prevista un’amnistia per i combattenti
che esclude, però, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità. Nonostante l’accordo
di gennaio fosse stato salutato con cauto ottimismo, tra gennaio e luglio 2008 l’Onu
ha registrato più di 200 violazioni del cessate il fuoco e l’ultimo rapporto di agosto
2008 parla di riarmo delle forze ribelli nella regione. Proprio alla fine di agosto, infatti,
i combattimenti nella regione tra le milizie del gen. Nkunda, miliziani hutu Mai Mai ed
esercito regolare riprendono su vasta scala. In seguito alla ripresa degli scontri,
centinaia di migliaia di profughi (250.000 secondo l’Onu), si sono mossi in direzione di
Goma, la città più importante del Nord Kivu, causando un’emergenza umanitaria che
il personale delle Nazioni Unite, le varie ONG e le agenzie umanitarie si dichiarano
impreparate a sostenere. Nei mesi successivi ad agosto ed in particolare nell’ottobre
2008 l’offensiva del CNDP (Congrès national pour la defense du peuple) di Nkunda
sembra avere la meglio sulle forze armate nazionali (FARDC) e alla fine del mese le
truppe ribelli sono a pochi chilometri da Goma. Le truppe ONU intensificano gli sforzi
per contenere l’avanzata dei ribelli, ma i caschi blu si trovano in chiara difficoltà anche
per l’inaspettata debacle dell’esercito regolare congolese. Frattanto l’Unione Europea
discute sulla possibilità di un intervento, ma la proposta di Francia e Belgio di
predisporre una missione militare viene bocciata e si decide di proseguire sulla strada
dell’iniziativa diplomatica. Arrivati alle porte di Goma i ribelli hanno dichiarato una
tregua unilaterale che, tuttavia, secondo i testimoni non sarebbe mai stata rispettata.
Con l’esercito regolare allo sbando, tocca alle milizie Mai Mai sferrare un’offensiva
contro le truppe del generale Nkunda che, tuttavia, mantengono le posizioni e

2 Laurent Nkunda è un ex generale delle forze armate della Repubblica Democratica del Congo attualmente a capo
del Congrès National pour la Defense du Peuple, gruppo armato attivo nel Nord Kivu vicino alla fazione Tutsi e al
governo ruandese. Tra il 1994-1995 durante il genocidio ruandese militò nel partito Tutsi Ruandan Patriotic Front, fu al
fianco di Laurent-Desirè Kabila (padre dell’attuale presidente della RDC) contro Mobutu nel primo conflitto congolese
e nel secondo conflitto fu Maggiore nel Congolese Rally for Democracy, partito Tutsi vicino a Ruanda, Uganda e
Burundi. Durante il governo di transizione diventa Colonnello e nel 2004 viene promosso Generale; tuttavia, è proprio
in questo periodo che si ritira con parte delle truppe nella regione del Nord Kivu e inizia la sua azione di opposizione
armata al governo della RDC retto da Joseph Kabila. Nel 2007 fonda il Congrès National pour la Defense du Peuple,
partito politico armato di opposizione al governo, in difesa della minoranza Tutsi del Nord Kivu, che, secondo alcuni
osservatori, conterebbe tra le sue fila circa 10.000 miliziani. Sfruttando la debolezza del governo centrale nella
regione, Nkunda avrebbe stabilito nei territori di Masisi e Rutshuru, oltre che il suo quartier generale, anche una sorta
di struttura di governo, creando istituzioni e infrastrutture. Dal settembre 2005 è accusato di crimini di guerra e
indagato dalla Corte Penale Internazionale. Nkunda accusa le Nazioni Unite di ignorare gli attacchi delle truppe
governative e delle milizie Hutu riparate in Nord Kivu dopo il genocidio ruandese, nei confronti della popolazione
Tutsi.

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
contrattaccano
del Congo dichiarando addirittura di puntare sulla capitale Kinshasa. Intanto il 3
novembre 2008 un primo convoglio ONU di aiuti umanitari raggiunge Rutshuru,
roccaforte dei ribelli alle porte di Goma. L’inadeguatezza delle Nazioni Unite nel
gestire la situazione è, tuttavia, sotto gli occhi di tutti e la missione MONUC è da più
parti criticata. Secondo diversi osservatori internazionali, la missione avrebbe fallito
innanzitutto nel far rispettare gli accordi del 2007, in secondo luogo nella protezione
della popolazione civile che ha continuato ad essere vittima di violenze da parte di
tutte le fazioni in lotta ed infine nel contrasto alle truppe ribelli. Vanno comunque
rilevate le difficoltà insite nella natura stessa della missione di pace per la quale, ad
esempio, l’uso della forza deve essere limitato e dovrebbe essere finalizzato alla
protezione dei civili sotto immediata minaccia di violenza fisica. Inoltre, nonostante
con più di 16.000 uomini impiegati, Monuc sia la missione ONU con il più importante
dispiegamento di forze, soltanto 6.000 unità sono dispiegate nel Nord Kivu. Dopo la
proposta della Gran Bretagna di mettere a disposizione propri uomini per coadiuvare
il personale MONUC, il Consiglio di Sicurezza ha preso in considerazione alcune misure
da adottare per aumentare l’efficacia della propria azione. Il 5 novembre 2008 viene
diffusa la notizia che i caschi blu avrebbero l’ordine di far fuoco sui ribelli qualora
riprendano l’avanzata verso Goma e inoltre il Consiglio delle Nazioni Unite annuncia
un imminente aumento del numero di uomini impiegati. Frattanto viene fissato per
venerdì 7 novembre 2008, a Nairobi, un vertice internazionale sulla situazione nel
Nord Kivu a cui partecipano ONU, Unione Africana, i presidenti del Kenya,
dell'Uganda, della Tanzania, del Burundi e del Sudafrica, oltre che il Presidente della
Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, e quello del Ruanda, Paul Kagame.
Dopo un anno di relativa stabilità, nell'autunno del 2008 sono riesplosi gli scontri
tra l'esercito regolare (FARDC) e le milizie del CNDP (Congrès National pour la Défense
du Peuple) del generale Laurent Nkunda (tutsi filo-ruandesi), scontri che hanno
provocato oltre 250.000 sfollati nel Nord Kivu e nelle province confinanti. Nel gennaio
del 2009 le parti in lotta hanno improvvisamente trovato un accordo, anche a causa
della sostituzione di Laurent Nkunda con il suo luogotenente Bosco Ntaganda,
accordo in seguito al quale è scattata un'operazione congiunta FARDC/CNDP/Esercito
Ruandese contro il FPLR (fuoriusciti hutu) nei pressi del Lago Edoardo (Nord Kivu).
Nonostante il fragile accordo la situazione resta comunque molto tesa, sia a causa del
protrarsi delle operazioni militari, sia perché gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno
dimostrato l'incapacità delle FARDC (e della MONUC) di mantenere l'ordine nell'Est
del paese, incoraggiando diversi raggruppamenti minori a riprendere la lotta armata
contro il Governo Centrale. Nel distretto dell'Haut Uélé è ripresa (novembre 2008)
l'attività dei ribelli ugandesi del LRA, che hanno attaccato diversi centri urbani di
medie dimensioni (Dungu, Doruma, Faradje) provocando l’esodo di circa 100.000
sfollati. Anche in questo caso è scattata un'operazione congiunta FARDC/UPDF
(l'esercito ugandese) contro i ribelli, conclusasi il 14 marzo 2009 senza risultati
concreti per la sicurezza della regione (si segnalano infatti nuovi attacchi del LRA). La
MONUC, che dispiega in RDC circa 17.000 effettivi, è rimasta tagliata fuori sia dalla
gestione della crisi sia dalle operazioni antiguerriglia che sono state organizzate a
inizio 2009. Nello stesso anno sono stati riposizionati alcuni reparti dall'Ituri e da altre
regioni ritenute relativamente tranquille, verso il Kivu e l'Haut Uélé.
Le del novembre 2011, hanno visto la rielezione alla presidenza di Joseph Kabila. Le
prossime elezioni sono previste per il 2016, anche se il presidente Kabila, attraverso

12
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
una proposta di modifica alla legge elettorale, vorrebbe posticiparle, prolungando in
del Congo
questo modo la sua permanenza al potere. È bene notare che Kabila è giunto al suo
secondo mandato e quindi per la costituzione congolese non può essere più rieletto.
La riforma che l’attuale presidente vorrebbe fare, infatti, è stata non a caso definita
dall’opposizione «un colpo di stato costituzionale». Il testo redatto da Kabila, adottato
con 337 deputati a favore, 8 contrari e 24 astenuti, ha provocato le proteste di
molti membri dei tre partiti principali dell’opposizione (ossia l'Unione per la
Democrazia e il Progresso Sociale, il Movimento per la Liberazione del Congo e
l'Unione per la Nazione congolese), che hanno esortato gli abitanti della capitale
Kinshasa a insorgere.
L’appello più forte è stato fatto da Bruxelles dallo storico oppositore di Kabila,
Etienne Tshisekedi, il quale ha chiesto alla comunità internazionale di proteggere la
popolazione congolese dalle possibili conseguenze.
Le crisi sanitarie più recenti hanno aumentato la capacità di tali zone di attrarre
importanti somme di aiuti internazionali. Ad esempio, tra il 2018 ed il 2020,
l'epidemia di Ebola ha favorito l'arrivo nel Nord Kivu, da parte dell'OMS, di oltre 270
milioni di dollari per una popolazione di circa 1 milione di abitanti (!). Più
recentemente, l'epidemia di COVID-19 per l'istante e ha favorito l'arrivo di oltre 80
milioni di dollari. Tali aiuti finanziari allo sviluppo hanno sostenuto la crescita di
importanti settori in tutte le tre Province in questione, dall'accesso all'acqua e
all'educazione, alla sanità, alla gestione dei conflitti eccetera. Ne è un caso esemplare
l'impegno della Cooperazione italiana che negli ultimi anni di attività nel Paese ha
finanziato oltre 70 fontane per la distribuzione di acqua potabile nei quartieri meno
serviti della città di Goma. Inoltre, l'impegno allo sviluppo da parte degli attori
internazionali, dalla Banca Africana di Sviluppo all'Unione Europea, ha permesso il
finanziamento di interi assi stradali, di centrali per la produzione elettrica e l'avvio di
progetti agricoli. Si tratta ora di aiutare le popolazioni locali a beneficiare di questi
importanti sviluppi portati dagli aiuti internazionali, affinché' gli effetti benefici non
siano a vantaggio esclusivo di poche zone ad alta urbanizzazione.
A dicembre 2020 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la Risoluzione 2556, che
rinnova di un anno, fino al 20 dicembre 2021, il mandato della MONUSCO.

Fonti : www.peacereporter.net; www.equilibri.net; www.warnews.it; www.allAfrica.com;


www.crisisgroup.org; www.bbc.co.uk; www.repubblica.it; www.lemonde.fr ; www.asca.it ; www.nigrizia.it;
www.amnesty.it; www.cia.gov.; www.nigrizia.it

“Ritorno alla democrazia”?

Il 19 settembre 2016 l’opposizione, guidata da Etienne Tshisekedi, ha convocato una


manifestazione per invitare il presidente Kabila (al potere dal 2001) a lasciare
l’incarico alla scadenza del mandato, prevista per il 20 dicembre. Le proteste sono
degenerate con l’intervento della polizia: il 20 settembre, le sedi di tre partiti
d’opposizione sono state date alle fiamme e all’interno di uno degli edifici sono stati
trovati dei cadaveri carbonizzati, ma il numero complessivo delle vittime resta incerto.
Il 20 settembre sarebbe stato l’ultimo giorno utile per annunciare la data delle

13
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
elezionidel
presidenziali
Congo successive. Al contrario, la commissione elettorale ha optato per
un ulteriore rinvio per prolungare il mandato di Kabila3. L’impossibilità di garantire
elezioni libere ed eque è stata giustificata dal mancato aggiornamento delle liste
elettorali: secondo la commissione elettorale, almeno 42 milioni di nuovi elettori
potevano essere aggiunti attraverso la revisione, la quale avrebbe però richiesto dai
dieci ai 18 mesi. Inoltre, lo slittamento della data delle elezioni è stato formalizzato
anche dall’accordo del 18 ottobre tra le forze della maggioranza ed una parte
dell’opposizione; tuttavia, il patto non è stato sottoscritto dal Rassemblement, che
riunisce i sostenitori dell’ex candidato presidenziale Étienne Tshisekedi e quelli di
Moïse Katumbi, ex governatore della provincia del Katanga4.
Dopo le innumerevoli proteste che si sono susseguite per evitare che Kabila si
ripresentasse alle elezioni e le centinaia di vittime coinvolte, le votazioni stabilite per
il 23 dicembre 2018 sono state nuovamente posticipate al 30 dicembre, alimentando
ulteriormente il rischio di un’escalation di violenza5.
Contrariamente ad ogni aspettativa, i risultati elettorali resi pubblici il 10 gennaio
hanno indicato come prescelto dalla maggioranza Félix Tshisekedi, figlio
dell’oppositore Etienne Tshisekedi, con una legittimità molto contestata. Pochi giorni
dopo il voto, infatti, la portavoce della conferenza episcopale congolese (Cenco) aveva
dichiarato che dalle urne era emerso un chiaro vincitore (nell’ottica di molti
l’oppositore Martin Fayulu), ma che non poteva rivelare i risultati di tali sondaggi
perché la commissione elettorale era il solo ente autorizzato a promulgare
informazioni6. Tali sospetti sugli esiti elettorali hanno lasciato pensare a una
potenziale interferenza di Kabila, dove quest’ultimo, nonostante avesse formalmente
designato Shadary come suo successore, si sarebbe alleato con Tshisekedi al fine di
dare spazio all’opposizione, ma solo apparentemente7.
La situazione del paese resta quindi in sospeso: i congolesi volevano che Kabila si
mettesse da parte dopo essersi aggrappato illegalmente al potere alla fine del
secondo mandato, ma i risultati delle elezioni hanno dimostrato che la scelta di
Tshisekedi costituisce comunque l’opzione meno rischiosa per l’ex presidente.
La cerimonia di insediamento di Tshisekedi è avvenuta il giorno 24 gennaio 2019. Al
termine di un negoziato lungo sette mesi tra le piattaforme politiche del neoeletto
Presidente Tshisekedi e dell'ex Presidente Kabila, detentore della maggioranza in
Parlamento, a fine agosto 2019 era stata nominata la nuova compagine governativa.
Dei 65 membri del neo Governo, il Fronte Comune per il Congo (FCC) di Joseph
Kabila occupa la maggior parte delle posizioni (42 membri contro i 23 nominati dalla
piattaforma elettorale chiamata Cohalition for Change - CACH- di Tshisekedi, leader
dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale - UDPS, mantenendo il controllo
sulla Giustizia, nonché sulla Difesa. La piattaforma CACH del Presidente Tshisekedi ha
ottenuto l'Interno, oltre al Ministero degli Affari Esteri (che è ora guidato da Marie
Tumba Nzeza).
Il Presidente Tshisekedi, pur rallentato dalla coabitazione imposta dall'ex

3
https://www.internazionale.it/notizie/2016/09/22/proteste-kinshasa-kabila
4 https://www.internazionale.it/notizie/2016/12/19/congo-kabila-fine-mandato
5
https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2018/12/21/kinshasa-democrazia-elezioni
6
https://www.internazionale.it/bloc-notes/francesca-sibani/2019/01/10/elezioni-repubblica-
democratica-del-congo
7
https://www.internazionale.it/bloc-notes/francesca-sibani/2019/01/10/elezioni-repubblica-
democratica-del-congo
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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Presidente Kabila, ha sin dall’inizio del suo mandato cercato di imporre il proprio
del Congo
disegno politico di cambiamento attraverso una serie di iniziative che facevano leva
su alcune delle problematiche non risolte dal regime precedente: il malcontento
popolare per la diffusa povertà, l'isolamento internazionale in cui era
progressivamente caduto il Paese e la perdurante violenza nelle regioni dell’Est. La
popolazione ha accettato di buon grado l’investitura di Tshisekedi il quale si è
guadagnato il pubblico apprezzamento per aver liberato diversi prigionieri politici, per
aver permesso il rientro in patria degli oppositori in esilio (in primis Moise Katumbi) e
per aver promesso il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione
attraverso misure quali la gratuità dell’insegnamento scolastico e delle cure mediche
di base, il miglioramento dei salari e delle condizioni di vita dei militari.
Permane molto complessa la situazione interna del Paese. In primo luogo, il
Presidente Tshisekedi ha grandi difficoltà ad imporre la sua visione politica in uno Stato
che, nonostante lo abbia democraticamente scelto a fine 2018, era rimasto
fermamente in mano all’ex Presidente Kabila, il quale durante il suo regime quasi-
ventennale è riuscito ad inserire i suoi uomini di fiducia nelle posizioni chiave
dell’amministrazione statale, paralizzando di fatto la transizione democratica voluta
dal popolo congolese, e limitando il margine di manovra del Governo. Questa natura
“bicefala” dell’attuale scena politica congolese si riflette nel panorama istituzionale,
contraddistinto da un esecutivo (formalmente di coalizione tra le formazioni
politiche di Tshisekedi e Kabila) progressivamente in mano al Presidente Tshisekedi,
ed un Parlamento controllato da Kabila grazie alla maggioranza dei seggi ottenuta dal
suo partito (il Fronte Comune per il Congo – FCC) durante le ultime consultazioni
elettorali. L’equilibrio tra i due uomini politici resta fragile e condizionato dalle
numerose divergenze che impediscono l’adozione delle varie riforme politiche.
Nell’autunno 2020, a seguito delle forti tensioni dovute alle continue
contrapposizioni politiche tra Tshisekedi e Kabila sulle varie proposte di riforme,
Tshisekedi ha avviato un mese di consultazioni con tutti i partiti politici (ad esclusione
dei partiti associati a Kabila, che hanno rifiutato di prendervi parte) conclusesi a
dicembre, annunciando l'intenzione di voler ricercare una nuova maggioranza in
Parlamento e poter così dar vita ad un nuovo governo a lui fedele. Da queste
consultazioni (volte ad emarginare Kabila) è scaturita un'escalation di incidenti in tutto
il Paese fino all'assalto al palazzo sede del Parlamento nazionale da parte dei militanti
del Partito di Tshisekedi decisi a chiedere le dimissioni della Presidente della Camera,
figura garante delle posizioni dell'ex Capo di Stato.
A fine 2020, Tshisekedi ha finalmente visto maturare i primi frutti delle
consultazioni e della propria determinazione politica: la mozione di sfiducia
presentata dal suo Partito contro la Presidente della Camera e contro tutto il suo
Gabinetto è stata votata dalla maggioranza, segnale di un inatteso ribaltamento del
quadro generale delle forze politiche in Parlamento a vantaggio di Tshisekedi.
Forte di questi primi successi, Tshisekedi ha annunciato la rottura definitiva con
la coalizione delle forze di Kabila (responsabili - a suo giudizio -
dell'immobilismo in cui versa la RDC), nominando un incaricato di ricercare una
nuova maggioranza in Parlamento che raggruppi tutti i partiti politici pronti a
sostenere la propria agenda sotto l'ombrello di una "Unione sacra della Nazione".
L'annuncio della rottura della coalizione e la riuscita sfiducia del Presidente della
Camera bassa hanno colto di sorpresa la coalizione di partiti del Presidente emerito

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Kabila (FCC), logorata dalle lotte interne e dalle defezioni dei molti passati dalla parte di
del Congo
Tshisekedi.
Il 27 gennaio 2021 l’Assemblea nazionale ha infine approvato una mozione di
sfiducia nei confronti del primo ministro Sylvestre Ilunga e del suo Governo, con 367
voti favorevoli e sette contrari. Ilunga, sostenitore dell’ex presidente Kabila, ha in
seguito rassegnato le sue dimissioni. A febbraio 2021 viene nominato Premier Sama
Lukonde Kyenge, precedentemente a capo della compagnia mineraria statale
Gecamines e figura politica vicino a Tshisekedi.
Il 2 marzo 2021, Modeste Bahati Lukwebo è eletto presidente del Senato, dove
succede al pro-Kabila Alexis Thambwe Mwamba. L'elezione di Lukwebo segna un
ulteriore passo verso l'effettivo controllo delle istituzioni da parte del presidente
congolese.

I maggiori gruppi di ribelli attivi nelle regioni nord-orientali della Repubblica Democratica
del Congo

Nella parte Est del Congo orientale si contano oltre un centinaio di gruppi armati
attivi per il controllo delle ingenti risorse naturali (pietre preziose e oro, cobalto,
coltan, legname, minerali, manganese, avorio ecc.), dove il percepibile vuoto del
Governo di Kinshasa – incapace di garantire sicurezza e stabilità nell’immenso
territorio della RDC - viene colmato da Autorità paramilitari e gruppi ribelli, sovente
con la complicità delle Autorità politico militari degli altri Paesi limitrofi (in primis
Ruanda, Uganda e Burundi). Nell’area del “Grande Kivu” (comprendente le province
dell’Ituri, del Nord e del Sud Kivu, al confine tra RDC, Uganda, Ruanda e Burundi) 13
milioni di persone vivono in situazione di grave precarietà (su una popolazione totale
di 100 milioni).
Secondo il “Country-Report – Dicembre 2013” di ACLED (Armed Conflict Location &
Event Dataset) la Repubblica Democratica del Congo è il secondo paese più violento in
relazione al numero dei conflitti. Dal 2011, infatti, come si evince dal grafico, la
violenza è aumentata significativamente nel paese.

Graf. n° 1 - Conflittualità e connessa mortalità in RD Congo, gennaio 2001 –


settembre 2013

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
del Congo

Fonte: ACLED

I Mayi Mayi

I Mayi Mayi sono divisi in vari gruppi senza un unico leader. Anche per questo
motivo non hanno avuto un interlocutore a Kinshasa, pesando, quindi, poco sia nelle
negoziazioni per la pace sul finire della seconda guerra della Repubblica Democratica
del Congo (1998- 2003), sia nella fase di transizione alla democrazia (a partire dal
2004). Si tratta, comunque, di guerrieri tradizionali che si oppongono alla presenza di
stranieri nel loro territorio (la parte Est dell’RDC). Da stime delle Nazioni Unite si
evince che nel nord e nel sud del Kivu vivono 30mila Mayi Mayi. Le loro attività
principali sono la caccia e l’agricoltura. Negli ultimi 15 anni, i Mayi Mayi si sono scontrati
con tutti gli eserciti e le guerriglie che hanno attraversato il Kivu.

Consiglio nazionale per la difesa del popolo


Sono i guerriglieri dell’ex generale dell’esercito congolese Laurent Nkunda il
quale dal 2004, sostenendo di difendere gli interessi dei banyamulenge, ossia i tutsi
congolesi, si è posto fuori dal processo di transizione dell’RDC. I banyamulenge,
partendo dal Ruanda, cominciarono ad arrivare in Rd Congo due secoli fa. Con
l’indipendenza dell’Rd Congo, i tutsi divennero congolesi, senza tuttavia essere
considerati tali dagli abitanti del Kivu. Va infine ricordato che tutsi ruandesi, per
sfuggire al conflitto etnico, arrivarono a più riprese nel Kivu negli anni 1959, 1961,
1963-64, 1973.

Interahamwe

Sono i principali oppositori del regime di Kagame e di Laurent Nkunda, leader del
filoruandese Consiglio nazionale per la difesa del popolo. Estremisti hutu ruandesi,
implicati nel genocidio del 1994 in Ruanda, fuggiti in Rd Congo dopo che l’Esercito
patriottico ruandese (Apr), il movimento di guerriglia di Paul Kagame, muovendo
dall'Uganda, conquistò il potere a Kigali nell’estate del 1994.

Ex Far – FDLR

Le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda sono ciò che è rimasto delle ex
Forze armate ruandesi (Far) di Juvénal Habyarimana, il presidente ruandese morto
nell’attentato del 6 aprile 1994 che fece saltare il suo jet privato nel cielo di Kigali;
insieme a lui morì l’allora presidente burundese Cyprien Ntaryamira. L’attentato
innescò il genocidio ruandese che, nell’arco di tre mesi, costò la vita a non meno di

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
500miladeltutsi e hutu moderati.
Congo
ACLED riporta un ampio elenco di attori non governativi nel conflitto nella
Repubblica Democratica del Congo. Tra questi troviamo gli APCLS, gli ADF-NALU,
l’FDLR, varie fazioni degli FRPI, gli LRA, degli Mayi Mayi e degli NDC. I militari congolesi
(FARDC) sono impegnati in offensive contro molti di questi gruppi, nello specifico gli
ADF, APCLS, FDLR e FRPI. A tal proposito ricordiamo Operation Sokola 2, (lanciata nel
febbraio 2015), che è stato lo scenario più drammatico delle FARDC contro gli FDLR.
Nella rinnovata Operazione Sokola1 l’offensiva contro gli ADF a marzo 2015 e
l'offensiva contro il FRPI nell'area Walendu Bindi a maggio 2015 , le attività degli ADF
e dell'FRPI sono rimaste relativamente marginali in un primo momento. Questo
suggerisce una strategia di non impegno, seguito da un incremento nei mesi successivi
(vedi grafo). Al contrario, l'Operazione Sokola 2 si rivolge contro l’FDLR, dato
l’ncremento rapido e drammatico delle attività da parte dell’FDLR a causa di
un’intensificazione degli scontri con le Forze delle FARDC (vedi grafo), così come
alcuni casi di rappresaglia contro i civili nei mesi successivi. La tendenza più
significativa è, però, il calo dell'attività delle varie fazioni Mayi Mayi (vedi grafo).
L'attività in questo periodo ha anche incluso un numero di attacchi contro i civili, che
hanno suscitato risposte da forze delle FARDC, con conseguente aumento di scontri con
milizie Mayi Mayi tra ottobre e dicembre 2014.

Grafo n° 2 : Numero dei conflitti scaturiti dai ribelli più attivi nella Repubblica
Democratica del Congo, da Ottobre 2014 a Settembre 2015.

Fonte: http://www.acleddata.com/wp-content/uploads/2015/10/ACLED_Conflict-Trends-Report-No.42- October-


2015_pdf.pdf

Fonti: http://www.nigrizia.it/notizia/repubblica-democratica-del-congo-guerra-senza-tregua#origini2
http://www.acleddata.com/wp-content/uploads/2015/10/ACLED_Conflict-Trends-Report-No.42-October-
2015_pdf.pdf
http://www.radiookapi.net/actualite/2015/02/28/rdc-larmee-lance-loffensive-contre-les-fdlr-au-nord-kivu

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
http://www.irinnews.org/report/99538/briefing-adf-nalu-militia-in-drc
del Congo

2021 - 2024
Dal 2021, la situazione politica e di sicurezza nella Repubblica Democratica del
Congo (RDC) è in costante peggioramento. Il conflitto, che coinvolge non solo gruppi
armati locali ma anche attori internazionali, ha dato origine a una grave crisi
umanitaria e a una crescente frustrazione tra la popolazione. La crisi colpisce
soprattutto le regioni orientali del paese, come il Nord e Sud Kivu, ma le sue
conseguenze politiche e sociali si riflettono su tutto il territorio nazionale.
Un elemento cruciale di questo conflitto è la ricomparsa del gruppo ribelle M23
(March 23 Movement), che, dopo essere stato apparentemente sconfitto nel 2013, ha
ripreso le armi in una nuova offensiva. Il M23 ha accusato il governo congolese di non
rispettare gli accordi di pace del 2013, che avrebbero dovuto garantire una maggiore
integrazione delle forze di sicurezza Tutsi congolesi. Da quando è al potere, nel 2019,
il presidente Félix Tshisekedi si è impegnato a contenere l’avanzata del M23, che ha
rapidamente guadagnato terreno in aree strategiche del Nord Kivu. Nonostante le
promesse di riportare sicurezza e stabilità, le violenze sono aumentate. Le operazioni
militari del governo contro l’M23 hanno ottenuto qualche successo, ma non sono
riuscite a porre fine al conflitto, e le forze di pace delle Nazioni Unite (MONUSCO)
sono state criticate per la loro inefficacia nel proteggere i civili.
Anche il coinvolgimento di paesi limitrofi come il Rwanda e l'Uganda, accusati di
sostenere il M23, ha contribuito ad aggravare il conflitto. Le relazioni tra la RDC e il
Rwanda sono particolarmente tese, con Kinshasa che accusa Kigali di supportare il
gruppo ribelle, alimentando l’instabilità nell’Est del paese. Il Rwanda, dal canto suo,
sostiene che il governo congolese non abbia fatto abbastanza per contenere le milizie
ruandesi e proteggere le minoranze Tutsi, soprattutto nella regione del Kivu.
L’Uganda, storicamente legato ad alcuni gruppi ribelli, è stato anch'esso accusato di
supportare varie fazioni armate, aggiungendo ulteriore complessità alla risoluzione
della crisi.
Oltre al M23, la RDC ospita numerosi altri gruppi armati, motivati dal controllo
delle risorse naturali o da conflitti etnici. Tra i più pericolosi ci sono le Forze
Democratiche Alleate (ADF), legate a gruppi jihadisti, che hanno intensificato gli
attacchi, specialmente nelle province di Ituri e Nord Kivu. Questi gruppi finanziano le
loro attività con il traffico illegale di minerali come coltan, cobalto, oro e diamanti,
presenti in abbondanza nella regione, seminando terrore tra la popolazione civile e
compiendo gravi violazioni dei diritti umani, tra cui rapimenti, massacri e abusi
sessuali.
Il presidente Tshisekedi, eletto nel 2019 con promesse di rinnovamento e lotta alla
corruzione, si è trovato ad affrontare una realtà complessa e instabile. Malgrado i
tentativi di contrastare i gruppi ribelli, la sua amministrazione è stata giudicata
incapace di garantire la sicurezza nelle aree più colpite. La delusione popolare si è
espressa in numerose proteste contro il governo e contro le Nazioni Unite, criticate
per l’inefficacia nel contenere le violenze.
In risposta alla crisi, Tshisekedi ha cercato di costruire alleanze diplomatiche, come
quella con la Comunità dell'Africa Orientale (EAC), che ha avviato iniziative per
mediare tra le varie fazioni in lotta. Tuttavia, la situazione sul campo non è migliorata

19
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
e la RDCdelrimane
Congo terreno di scontro per forze armate locali e gruppi ribelli sostenuti da
attori esterni, tra cui Stati e multinazionali in cerca di minerali preziosi.
Le risorse naturali della RDC, come coltan, cobalto e oro, sono al centro del
conflitto: invece di portare benessere, hanno alimentato la violenza. Molti dei gruppi
armati finanziati dal controllo delle miniere illegali alimentano la guerra, mentre la
corruzione radicata, che coinvolge sia il governo che le forze armate, ostacola una
gestione equa delle risorse che potrebbe realmente beneficiare la popolazione.
A dicembre 2023 si sono tenute le elezioni presidenziali, che hanno visto
Tshisekedi ottenere un secondo mandato. Tuttavia, l'opposizione, guidata da figure di
rilievo come Martin Fayulu e Moïse Katumbi, ha denunciato presunti brogli elettorali,
affermando che il processo è stato opaco e i risultati manipolati, una critica
ulteriormente alimentata dalla sfiducia diffusa nella CENI (Commissione Elettorale
Nazionale Indipendente), già accusata in passato di mancanza di imparzialità.

Fonti :
www.reuters.com
www.bbc.com
www.aljazeera.com
www.africacenter.org
www.globalwitness.org
www.hrw.org
www.crisisgroup.org
www.unhcr.org

Vittime

Oltre 3,5 milioni di morti, di cui circa 500.000 uccisi nei combattimenti e circa 3
milioni morti per carestie provocate dalla guerra. I profughi sono circa 3 milioni e sono
costituiti prevalentemente da donne e bambini. Nel 2003, alle violenze etniche
scatenate a nord-est del Paese sono attribuibili circa un migliaio di morti. Centinaia di
vittime risultano dagli scontri del marzo 2007 tra forze governative e guardia armata
di Jean-Pierre Bemba.
A causa della proposta di modifica alla legge avanzata da Kabila, sono stati tanti i
congolesi ad insorgere. Secondo l’associazione per i diritti umani congolese Fidh, i
morti degli scontri sono 42. Le istituzioni congolesi, invece, non sono d’accordo con
questa stima e parlano di 15 vittime.
Il portavoce del governo Lambert Mende sostiene che la Fidh sia “manipolata” da
terzi, agendo, quindi, dietro indicazione di «un gruppo di congolesi» in esilio. Come
riportato sempre dalla Misna, non è chiaro se il riferimento fosse diretto anche a
Tshisekedi, dato che quest’ultimo è a Bruxelles per ragioni di salute.
Secondo uno studio condotto dal quotidiano britannico The Guardian, il conflitto
nella Repubblica Democratica del Congo continua a causare la morte di circa 45,000
persone (la metà delle quali sono bambini) ogni mese. L’International Rescue
Committee ha dichiarato che, dall’inizio della guerra civile nel 1998, circa 5,4 milioni
di persone sono morte a causa della malnutrizione e malattie guaribili legate al
deterioramento sociale ed economico8.

8 https://www.theguardian.com/world/2008/jan/22/congo.chrismcgreal
20
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Nel report “The State of the World’s Children”, pubblicato nel gennaio del 2018,
del Congo
l’Unicef ha dichiarato che la Repubblica Democratica del Congo è uno degli 11 paesi
dove il 20% dei bambini muore prima del compimento dei 5 anni di vita: nel 2017, circa
9,7 milioni di bambini di età inferiore a 5 anni sono morti a causa di malattie o
mancanza di cibo9.
La diffusione del virus dell’ebola costituisce un’altra considerevole causa di decesso
nella RDC. Dall’inizio della nuova epidemia, dichiarato il 1° agosto 2018, più di 740
persone (il 30% delle quali bambini) sono state contagiate dalla malattia. Tra queste
sono stati registrati 460 decessi, con un tasso di letalità superiore al 60%10. Si tratta
della decima epidemia in territorio congolese dalla prima apparizione del virus nel
1976, nonché della seconda epidemia di ebola più virulenta della storia, dopo quella
che uccise più di 11,000 persone nell’Africa dell’Ovest nel 2014. La situazione è resa
ancora più grave dal fatto che il virus tocca una regione in preda alle violenze delle
milizie sui civili, il Nord Kivu. Tra le difficoltà incontrate dai medici e dalle ong vi è
infatti la resistenza opposta alle vaccinazioni e alle sepolture in condizioni di sicurezza
da parte delle comunità locali, in quanto lontane dalle pratiche tradizionali applicate
da generazioni11.
La trasmissione dell’ebola è stata inoltre utilizzata come pretesto politico da parte
degli oppositori di Kabila, che l’hanno presentata agli occhi della popolazione come
una manovra del regime per ritardare le elezioni. Tutto ciò ha aumentato la sfiducia
popolare nei riguardi delle vaccinazioni – in aggiunta ai numerosi fenomeni di
corruzione diffusi tra gli operatori sanitari – rendendo la risposta all’epidemia
ulteriormente complessa12.
Nel 2020, i partner dell’UNHCR hanno registrato un numero record di 2.000 civili
uccisi nelle tre province orientali (1.240 nell’Ituri, 590 nel Nord Kivu e 261 nel Sud
Kivu). La maggior parte di questi attacchi è stata attribuita a gruppi armati.
Omicidi e rapimenti hanno continuato a verificarsi nel 2021 nel Nord Kivu, dove gli
attacchi sono stati condotti anche ai danni di civili sfollati. Il 24 gennaio, un gruppo
armato ha assassinato due uomini e ne ha feriti in modo grave altri sei nel corso di
un’incursione in un campo di sfollati nel territorio di Masisi, nel Nord Kivu.
A febbraio 2021, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha
espresso “profonda apprensione” per le continue atrocità commesse da gruppi armati
nell’area orientale del Paese. L’Unhcr ha registrato un numero record di 2.000 civili
uccisi nelle tre province orientali (1.240 nell’Ituri, 590 nel Nord Kivu e 261 nel Sud
Kivu) nel 2020. Inoltre, si sarebbero registrati negli ultimi 2 anni in totale 5 milioni di
sfollati interni (il 91% dei quali donne e bambini), di cui quasi 2 milioni soltanto nella
provincia del Nord Kivu (principale area degli attacchi delle ADF)13.
Da ultimo, l’Ambasciatore Luca Attanasio è tragicamente deceduto a seguito ad un
attacco armato (insieme ad un carabiniere della sua scorta, Vittorio Iacovacci) mentre

9
https://www.theguardian.com/world/2008/jan/22/congo.chrismcgreal
10 https://www.unicef.it/doc/8836/epdemia-ebola-in-congo-740-persone-contagiate.htm

11
https://www.lapresse.ca/international/afrique/201902/08/01-5214100-ebola-en-rdc-plus-de-
500-morts-en-six- mois.php
12
https://www.lemonde.fr/afrique/article/2019/03/14/en-rdc-comment-ebola-est-devenu-une-
maladie- politique_5436156_3212.html?xtmc=republique_democratique_du_congo&xtcr=23
13
https://www.unhcr.org/it/notizie-storie/notizie/unhcr-esprime-forte-preoccupazione-per-le-
atrocita-commesse-da- gruppi-armati-nella-repubblica-democratica-del-congo-orientale/
21
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
si trovava nei pressi della città di Goma il 22 febbraio 2021 per visitare, su invito del
del Congo
Direttore Generale del World Food Programme (WFP), i campi di intervento
umanitario nel Nord e Sud Kivu e per svolgere una missione consolare nelle città di
Goma e Bukavu, dove si contano circa un centinaio di connazionali.
Oltre 5,5 milioni di persone sono state uccise o ferite dal conflitto dalla fine degli
anni '90, con una continua escalation dal 2021. Circa 3.000 morti civili annuali dal
2021 al 2024, principalmente nelle regioni di Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri. Le violenze
etniche, i massacri e le violazioni dei diritti umani, tra cui abusi sessuali e rapimenti,
sono diffuse.
Le forze armate congolesi hanno perso oltre 1.500 soldati tra il 2021 e il 2024. 55 i
morti tra le forze di pace delle Nazioni Unite (MONUSCO).

Fonti:
www.peacereporter.com
www.nigrizia.it/notizia/la-rivolta-congolese-contro-kabila
www.nrc.no
www.voanews.com
www.concern.org.uk

Risorse contese

La RDC possiede ricchezze enormi – rame, oro, diamanti, cobalto, coltan,


manganese, ecc. - ed un patrimonio agronomico non sfruttato, dove oggi vengono
utilizzati solo il 5% dei suoi 80 milioni di ettari di terreno coltivabile. Le risorse sono
principalmente concentrate nei territori del Katanga del Grande Kivu. L’enorme
ricchezza congolese in termini di risorse non si traduce tuttavia in benessere per la
popolazione e stabilità. Al contrario, proprio le 4 province del Katanga – che
producono oltre il 70% di tutte le esportazioni della RDC – sono da sempre
attraversata da tensioni per il controllo del potere e del commercio; si tratta di
tensioni anche causate dalle rivalità tra le varie etnie.
Le miniere, nonostante le scarse infrastrutture, continuano a rappresentare il
principale motore di crescita dell’economia a causa dei lenti progressi nella
diversificazione delle attività produttive del Paese. Esse rappresentano circa il 98%
delle esportazioni totali del Paese e contribuiscono maggiormente alle entrate
governative. Nelle miniere artigianali perdura, inoltre, il problema del lavoro minorile,
in parte tollerato dalle autorità, coscienti che senza miniere artigianali l’economia
della regione sarebbe in ginocchio.
Un articolo di “Nigrizia” (aprile 2015) riporta che gli introiti derivanti dal
contrabbando illegale di risorse naturali (che dal nuovo rapporto del Programma delle
Nazioni Unite per l’Ambiente si aggirerebbero intorno a un valore di 1 miliardo e 200
mila dollari all'anno; 722- 862 milioni, se si esclude il traffico dei diamanti) finanziano
diversi gruppi armati nella parte orientale della RDC, alimentando il conflitto che dura
da venti anni.
Bisogna inoltre menzionare la presenza di risorse come il cacao, il caffè, il cotone,
l’olio di palma, il tè, la gomma, lo zucchero, la corteccia di china, e ancora mais, riso,
patate e anacardi. Tuttavia, queste ricchezze non vengono redistribuite equamente,

22
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
ed i guadagni ricavati finiscono negli apparati politici esteri14.
del Congo
Tra il 2021 e il 2024, le risorse contese della RDC sono rimaste al centro del
conflitto, con gruppi armati, forze governative e attori internazionali che si
contendono il controllo delle ricchezze minerarie del paese. La RDC è il principale
produttore mondiale di cobalto, minerale fondamentale per le batterie agli ioni di litio
impiegate in dispositivi elettronici e veicoli elettrici. Il controllo delle miniere di
cobalto è una delle cause principali del conflitto, con gruppi armati che finanziano le
proprie attività attraverso il traffico illegale di questo prezioso minerale.
Oltre al cobalto, la RDC è uno dei maggiori produttori di coltan, essenziale per la
produzione di condensatori elettronici, anche questo sfruttato illegalmente e causa di
violenti scontri. Le miniere di oro e diamanti, diffuse nelle province dell’Ituri, Nord e
Sud Kivu, sono sotto il controllo di diversi gruppi armati, che utilizzano i profitti per
sostenere le proprie operazioni militari.

I principali gruppi ribelli, come l’M23, le ADF e altre milizie etniche, che controllano
questi traffici, impongono tasse ai minatori locali e usano la violenza per mantenere il
dominio. La corruzione radicata nelle istituzioni governative e nelle forze armate ha
contribuito ad ostacolare una gestione equa e trasparente di queste risorse. Anche
diverse multinazionali sono accusate di essere complici nello sfruttamento illegale
delle risorse, approfittando della situazione di instabilità. Paesi come la Cina, tramite
aziende attive nel settore minerario congolese, sono al centro delle critiche per il loro
presunto ruolo nell’aggravare il conflitto.
L'estrazione illegale delle risorse, spesso sostenuta da reti internazionali di traffico,
resta un grave ostacolo alla stabilità e allo sviluppo della RDC.

Fonti:
SIPRI, Yearbook 2006, pag.21
www.volint.it/schede/paesi/congo.htm http://it.peacereporter.net/conflitti/paese/379
http://www.nigrizia.it/notizia/la-maledizione-delle-risorse-insanguinate
www.hrw.org

Rifugiati
Più di 1 milione e 600.000 sfollati si sono spostati all’interno del Paese,
mentre
410.000 hanno vissuto come rifugiati nei Paesi vicini. Tra agosto e dicembre 2007 il
conflitto nel nord Kivu ha causato 170.000 sfollati che si sono aggiunti ai circa 200.000
determinati dal costante clima di insicurezza dalla fine del 2006. La perdurante
situazione di insicurezza ha inoltre continuato a limitare l’accesso agli aiuti umanitari
in molte zone orientali della RDC. A questo proposito il 25 aprile 2008 l’UNHCR ha
annunciato la sospensione degli aiuti umanitari in Nord Kivu per il riaccendersi degli
scontri.
Con il riaccendersi di numerosi scontri tra truppe governative e gruppi di disertori
durante i mesi di aprile e maggio del 2012, è fortemente incrementato il flusso di

14
https://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2017/04/24/news/congo_la_situazione-
163802622/
23
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
rifugiatidel
inCongo
arrivo dalla RDC nell’Uganda sud-occidentale. Gli operatori dell’Unhcr (Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) hanno visitato la cittadina di confine
di Bunagana in Uganda e hanno avviato le operazioni di trasferimento dei rifugiati
dalla zona di confine al campo di transito di Nyakabande. E, arrivati al campo, hanno
ricevuto assistenza umanitaria di base.
I medesimi combattimenti hanno costretto migliaia di persone a fuggire anche
all’interno della Repubblica Democratica del Congo, registrando la presenza di almeno
12 mila sfollati tra Jomba e Bwesa, nella provincia del Kivu settentrionale. La
maggioranza di questi profughi ha ricevuto accoglienza ed ospitalità presso le
abitazioni dei locali della zona o ritrovando conforto e riparo negli edifici scolastici.
Un ulteriore flusso di rifugiati congolesi ha continuato ad attraversare il confine con
il Ruanda, trovando riparo nel campo di passaggio di Nkamira.
Secondo l’ultimo sopralluogo di Amnesty International, è chiaro come la
dispersione di un alto numero numero di individui e la loro fuga durante i
combattimenti abbiano comportato un’incapacità immediata di gestire il fenomeno e
la difficoltà da parte delle associazioni e organizzazioni internazionali presenti sul
territorio di garantire condizioni di vita dignitose. Restano infatti sfollate 1,57 milioni di
persone all’interno della RDC, compreso un milione nel Nord e nel Sud Kivu.
Nel luglio 2012 la RDC, l’Uganda e l’Unhcr, hanno concordato il rimpatrio volontario
di 32.000 rifugiati congolesi che vivevano in Uganda.
Inoltre, numerosi cittadini congolesi hanno continuato a essere espulsi dall’Angola
verso la RDC, dove avevano subito violazioni dei diritti umani, compreso lo stupro.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, sono presenti nel
mondo 493.494 rifugiati congolesi di cui la maggior parte si trova in Kenya, Mozambico
e Tanzania. Per quanto concerne, invece, gli sfollati interni si contano oltre 2,7 milioni.
Altresì, i congolesi richiedenti asilo in uno dei 44 stati censiti dalle statistiche UNHCR
fanno collocare la Rdc tra i primi venti paesi per numero di richieste.
Inoltre, la RDC è anche un paese che ospita diversi rifugiati provenienti dal Ruanda,
dal Burundi e dalla Repubblica Centroafricana. In relazione a quest’ultimo Stato, ad
agosto 2014 si contano 70.000 rifugiati provenienti da questo paese.

24
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Fonte: http://www.unhcr.org/cgi-bin/texis/vtx/page?page=49e45c366&submit=GO
del Congo

Secondo il Report Annuale dell’UNHCR del 2017, 685,000 rifugiati provenienti dalla
Repubblica Democratica del Congo hanno cercato asilo nei paesi limitrofi, oltre a 4,5
milioni di sfollati interni alla fine del 201715. A causa della mancanza di soluzione al
conflitto, durante la prima metà del 2018 circa 686,100 rifugiati sono partiti dalla RDC,
stabilendosi prevalentemente in Uganda (69,400) e una piccola parte in Burundi
(5,000). La RDC è al quarto posto per gli sfollati interni, con un totale 347,800 soltanto
nei primi mesi del 201816. Nell’ottobre del 2018, è stato stimato che hanno fatto
ritorno nella regione del Kasai circa 200,000 congolesi, mentre ulteriori arrivi sono
stati registrati nella vicina provincia del Kasai centrale. Questi rimpatri sono stati la
conseguenza di un ordine di espulsione emesso dalle autorità angolane nei confronti
dei migranti congolesi, mettendo a rischio di crisi umanitaria la già fragile regione del
Kasai17. L’inizio del 2019 ha visto il ritorno di scontri etnici tra le comunità Banunu e
Batende, nella RDC occidentale, causando diversi morti e circa 150 feriti. Nel caos
degli scontri, 16,000 persone sono state costrette a fuggire in Congo- Brazzaville,
causando il più elevato afflusso di rifugiati provenienti dalla RDC in quasi dieci anni18.
Secondo l’UNHCR, la popolazione congolese sarebbe la seconda tra le più
bisognose di una soluzione permanente per il rimpatrio ed il reinsediamento (163,400
persone), nell’ambito di una crisi umanitaria senza precedenti19.
Dall’inizio del 2020, oltre 250.000 persone - la maggior parte delle quali bambini -
sono sfollate a causa dell’intensificarsi delle violenze nella provincia dell'Ituri, nella
Repubblica Democratica del Congo. La recrudescenza delle ostilità mette ancora più
sotto pressione i servizi di assistenza umanitaria in una delle regioni più povere del
paese africano, insicure e flagellate da malattie. Dalla fine del 2019 circa 200.000 civili
sono fuggite dalle aree di Djugu, Mahagi e Irumu, e hanno cercato rifugio presso
comunità locali e siti per sfollati estremamente sovraffollati a Bunia, capitale dell'Ituri,
e dintorni. La situazione umanitaria è particolarmente precaria a Djugu dove il 70%
degli operatori umanitari hanno dovuto sospendere le operazioni a causa del
peggioramento delle condizioni di sicurezza. Circa 25.000 nuovi sfollati si sono
sistemati in campi con scarso accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari.
Tra il 2021 e il 2024, la Repubblica Democratica del Congo ha vissuto una delle crisi
umanitarie più gravi al mondo. Nel 2024, a causa dell'insicurezza continua e di un
preoccupante ritorno della violenza generata dai gruppi armati non statali nei due
anni precedenti, quasi 6 milioni di persone sono sfollate internamente nelle province
orientali di Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu e Tanganyika. Sono oltre 522.000 i rifugiati e
richiedenti asilo nella RDC e oltre 1 milione i rifugiati e richiedenti asilo congolesi nei
paesi limitrofi come Uganda e Ruanda.
Questa emergenza è aggravata dall'estrema povertà della RDC, che secondo le

15 http://reporting.unhcr.org/sites/default/files/gr2017/pdf/03_Africa.pdf
16 https://www.unhcr.org/statistics/unhcrstats/5c52ea084/mid-year-trends-2018.html

17
https://www.unhcr.it/news/rientri-massa-dallangola-cittadini-congolesi-potrebbero-generare-crisi-
umanitaria.html
18
https://www.unhcr.it/news/16-000-persone-costrette-fuggire-congo-brazzaville-causa-degli-
scontri-inter- comunitari-nella-repubblica-democratica-del-congo.html
19
https://www.unhcr.org/statistics/unhcrstats/5c52ea084/mid-year-trends-2018.html
25
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
classifiche del Fondo Monetario Internazionale è l'undicesimo paese più povero del
del Congo
mondo nel 2023.
L'insicurezza alimentare è a livelli drammatici, con 26 milioni di persone, al 2023,
che soffrono di malnutrizione e dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere.
Tuttavia, l'assistenza di organizzazioni come l’UNHCR e il Programma Alimentare
Mondiale rimane insufficiente a causa della scarsità di fondi e delle difficoltà di
accesso alle aree più colpite.
Anche la missione di pace delle Nazioni Unite, la MONUSCO, ha avuto un impatto
limitato, suscitando frustrazione tra la popolazione che si sente non protetta. La crisi
nella RDC ha anche conseguenze regionali, aggravando le tensioni con Paesi
confinanti come il Ruanda e mettendo sotto pressione le risorse già scarse dei Paesi
che ospitano rifugiati.

Fonti:
http://rapportoannuale.amnesty.it/sites/default/files/Congo,%20Repubblica%20Democratica%20del.pdf
www.amnesty.it;
http://www.unhcr.it/news/dir/24/view/1231/uganda-aumenta-il-flusso-di-rifugiati-dal-congo-
orientale- 123100.html
www.unhcr.it;
http://archivio.internazionale.it/paesi/repubblicademocraticadelcongo
http://viedifuga.org/repubblica-democratica-del-congo/ http://www.unhcr.org/cgi-
bin/texis/vtx/page?page=49e45c366&submit=GO www.internal-displacement.org
www.unhcr.org

Diritti umani
Esecuzioni extra giudiziali, torture e rapimenti, perpetrati da tutte le parti in lotta,
continuano a caratterizzare la guerra civile in RDC. Gli sviluppi più drammatici del
conflitto si sono riscontrati nella crudeltà delle tecniche di guerra, che hanno
particolarmente colpito la popolazione civile e le fasce più deboli della società. La
guerra si è segnalata anche per l’alto numero di "bambini-soldato" (dai 12 ai 16 anni)
coinvolti, sia tra le forze governative che nelle file opposte.
Diverse migliaia di bambini sono rimaste al seguito di forze o gruppi armati. Nella
regione orientale della RDC, dove permane una situazione di insicurezza, i bambini
hanno seguitato a essere arruolati, anche quelli che solo da poco erano stati
smobilitati. Alcuni sono stati arruolati con la forza e altri sono stati costretti a riunirsi
ai gruppi armati perché il governo non ha provveduto a fornire loro assistenza
adeguata una volta rientrati nelle comunità. La maggior parte dei ragazzi smobilitati e
rientrati nelle loro comunità è stata solo minimamente sostenuta e protetta nel
ritorno alla vita civile e non ha ricevuto adeguate opportunità nell’istruzione e
nell’orientamento. Non è stato previsto alcun meccanismo per assicurare agli ex
bambini-soldato protezione una volta ritornati nelle comunità e molti ragazzi sono
rimasti a rischio di essere nuovamente arruolati.
Gli stupri di donne e ragazze da parte delle forze di sicurezza e dei gruppi armati
sono rimasti molto diffusi in tutte le zone della RDC. Poche donne hanno avuto
accesso ad adeguate cure mediche per le conseguenze delle ferite subite o delle
malattie contratte. Le donne e le ragazze stuprate soffrono per la diffusa

26
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
discriminazione
del Congo sociale nei loro confronti e il rifiuto da parte delle loro famiglie e delle
comunità.
Atti di tortura e maltrattamenti commessi dalle forze di sicurezza del governo e dai
gruppi armati sono stati denunciati in tutto il Paese. Arresti arbitrari, detenzioni illegali,
anche in stato di incommunicado (ossia senza possibilità di comunicare all’esterno,
senza conoscere i capi di imputazione e senza assistenza legale) e in prigionie segrete
(a volte equivalenti a sparizioni forzate) e detenzioni prolungate senza processo sono
rimaste pratica comune. Condizioni di vita estremamente dure sono state riportate
nella maggior parte dei centri di detenzione e delle prigioni, in molti casi configuratesi
come trattamento crudele, inumano e degradante.
Difensori dei diritti umani continuano a ricevere minacce anonime di morte e a
essere perseguitati dalle autorità.
Secondo il Rapporto 2008 di Amnesty, l’esercito nazionale, le forze di polizia e di
intelligence continuano ad operare con scarso o nessun rispetto dei diritti umani
tanto che è loro attribuita la maggior parte delle violazioni riportate. Causa di questa
situazione sono la scarsa disciplina e la scarsa autorità di comando di queste forze
unitamente al costante clima di impunità. Inoltre, è in gran parte fallito il programma
di governo di reintegro di ex combattenti nell’esercito regolare. In tale contesto la
protezione dei civili nelle zone orientali dove il conflitto è ancora acceso dipende
unicamente dalle forze di pace della missione MONUC, che risultano tuttavia
insufficienti. Uccisioni illegali a danno di civili sono imputabili tanto alle forze
governative, quanto a quelle ribelli.
Durante gli scontri scoppiati a Kinshasa in seguito alle elezioni presidenziali
dell’ottobre 2006 tra le forze governative e la guardia armata dello sconfitto Jean-
Pierre Bemba, degenerati in vero e proprio conflitto nel marzo 2007, entrambe le
fazioni avrebbero fatto uso di armi pesanti all’interno di quartieri residenziali,
causando centinaia di vittime civili. Sempre a seguito dei suddetti scontri sono
avvenuti numerosi arresti di persone della stessa etnia di Jean-Pierre Bemba o anche
soltanto provenienti dalla sua stessa regione d’origine, l’Equateur. Tortura e
maltrattamenti, così come pestaggi e stupri in custodia, a danno degli arrestati sono
pratica comune.
Il livello degli stupri e delle violenze sessuali nell’intero paese ed in particolare nel
settore orientale da parte di forze governative, gruppi ribelli e contingenti stranieri è
allarmante anche per l’estrema brutalità degli atti commessi. L’esclusione sociale e la
stigmatizzazione delle vittime unitamente all’impunità nei confronti dei carnefici
aumenta la gravità della situazione. L’allarme per l’escalation di violenze sessuali nella
RDC è, non a caso, una delle principali motivazioni che hanno condotto il Consiglio di
Sicurezza ONU, nel giugno 2008, all’adozione della risoluzione 1820 sullo stupro come
arma di guerra.
Nonostante sia aumentato l’impegno del governo nel promuovere inchieste
e processi nazionali, soprattutto militari, per punire i responsabili di crimini di guerra e
crimini contro l’umanità, e nonostante sia assicurata la collaborazione con la Corte
Penale Internazionale, il grado di impunità rimane elevato. A giugno 2007, in un
processo caratterizzato da interferenze politiche, una corte militare ha assolto tutti gli
imputati per la strage avvenuta nel 2004 a Kilwa, nella provincia del Katanga.
Ancora nel 2012 la situazione è caratterizzata da un alto livello di impunità per i
membri delle forze armate; qualche progresso è stato compiuto, ma le violazioni

27
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
continuano su larga scala e le inchieste e i processi rimangono irrisori. Nove membri
del Congo
delle forze armate congolesi, tra cui un ufficiale, sono stati giudicati colpevoli di
crimini contro l’umanità, in particolare stupro, per fatti commessi il primo gennaio a
Fizi nel Sud Kivu. Questo rimane ancora uno dei pochi casi di repressione di tali
crimini. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, queste azioni rimangono impunite e
pertanto continuano non solo le violazioni, ma anche le intimidazioni verso chi sporge
denuncia.
Le autorità governative continuano ad imporre limitazioni al mondo
dell’informazione e a reprimere con la forza le manifestazioni di protesta.
Molti giornalisti denunciano intimidazioni, persecuzioni, arresti arbitrari. Diversi
sono anche rimasti uccisi in seguito alle loro dichiarazioni.
Emittenti radiofoniche e televisive sono poi state raggiunte da ordinanze di
sospensione e i locali sono stati oggetto di incursioni violente di matrice politica.
A luglio 2012 Thomas Lubanga è la prima persona ad essere condannata dalla Corte
Penale Internazionale (in 10 anni di attività): 14 anni di carcere per aver utilizzato
bambini-soldato tra il 2002 e il 2003.
Nel 2015, in RDC, si riaccendono contesti delicati che, secondo Amnesty
International, in questi anni non hanno trovato soluzione. Dal sito di Michela
Giuffrida, giornalista professionista e eurodeputato del gruppo S&D (Alleanza
Progressista di Socialisti e Democratici), si apprende che, nel mese di luglio 2015,
durante proteste pacifiche promosse da molti esponenti civili contro le modifiche la
costituzione che farebbe rimanere Kabila ancora al potere, vi sono stati arresti
arbitrari e limitazioni di diritti umani. Nello specifico, si segnala la vicenda di due
attivisti, Yves Makwambala e Fred Bauma, che continuano a rimanere in stato di
detenzione per motivi politici.
Le autorità hanno continuato a reprimere le espressioni pubbliche di dissenso e i
raduni pacifici organizzati dalla società civile, specialmente le proteste legate alla crisi
politica e alle elezioni, sottoponendo i partecipanti ad intimidazioni ed arresti
arbitrari. Il 31 luglio 2018, oltre 100 persone (tra cui 11 giornalisti congolesi e di altre
nazionalità) sono state arrestate durante le manifestazioni organizzate dal
movimento “Lutte pour le changement” (Lucha), per chiedere la pubblicazione del
calendario elettorale. Tali proteste sono spesso gestite dal governo con un uso
eccessivo della forza: il 15 settembre 2018, a Kamanyola, la polizia ha aperto il fuoco
su un gruppo di rifugiati burundesi che protestavano contro la detenzione e
l’espulsione di quattro rifugiati da parte dei servizi d’intelligence della RDC, causando
circa 40 morti e oltre 100 feriti20.
Secondo il report annuale di Human Rights Watch, nel corso del 2018 più di 140
gruppi armati erano attivi nelle regioni del Nord Kivu e Sud Kivu, continuando ad
attaccare civili e gruppi etnici contrari al regime. Molti dei comandanti di questi gruppi
armati sono stati inoltre artefici di crimini di guerra, tra cui pulizie etniche, stupri e
reclutamenti di bambini. Solo nel 2018 le forze di sicurezza congolesi avrebbero ucciso
più di 883 civili e rapito circa 1,400 persone con richieste di riscatto. La fine del 2018
ha assistito lo scoppio di episodi di violenza a stampo etnico anche nella regione di
Mai-Ndombe, precedentemente un’area pacifica, provocando centinaia di morti21.

20
https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2017-2018/africa/repubblica-
democratica-del-congo/
21
https://www.hrw.org/world-report/2019/country-chapters/democratic-republic-congo
28
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
La polizia
del Congoe l’esercito congolesi hanno compiuto centinaia di esecuzioni
extragiudiziali, stupri, arresti arbitrari e atti d’estorsione. Tra febbraio e aprile 2018,
sono stati pubblicati su Internet filmati che mostravano soldati che uccidevano
sommariamente presunti seguaci di Kamuena Nsapu, inclusi minori22. Nel giugno
2018, la Corte d’appello della CPI ha accusato il precedente vicepresidente congolese
Jean-Pierre Bemba di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella
Repubblica centrafricana, vicina della RDC. Il processo contro il capo delle milizie
Ntabo Ntaberi Sheka, che prese parte alla missione onusiana per il mantenimento
della pace in RDC (MONUSCO), si è aperto il 27 novembre: Sheka possedeva un
mandato di arresto dal 2011 per crimini contro l’umanità e violenze di massa23. A
luglio, Kabila ha promosso i due generali Gabriel Amisi e John Numbi, nonostante
fossero entrambi implicati da tempo in violazioni di diritti umani e oggetto di sanzioni
da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea24.
I diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo sotto il presidente Felix
Tshisekedi hanno subito una flessione nel 2020, sullo sfondo dei guadagni ottenuti
durante il suo primo anno di mandato. Le autorità congolesi hanno dato un duro colpo
a manifestanti pacifici, giornalisti e politici, mentre usavano lo stato di emergenza
temporaneamente imposto a causa della pandemia di Covid-19 come pretesto per
frenare le proteste.
Tra marzo e luglio, quando i grandi raduni pubblici sono stati vietati dallo stato di
emergenza volto a fermare la diffusione della Covid-19, le forze di sicurezza hanno
usato una forza eccessiva e spesso letale per disperdere le manifestazioni.
Il 9 luglio, mentre in diverse città si svolgevano proteste di massa contro la nomina
di un nuovo presidente della commissione elettorale, la polizia ha ucciso almeno un
manifestante nella capitale, Kinshasa, e due nella città meridionale di Lubumbashi.
Altre decine sono state ferite. Nei giorni successivi, i corpi di quattro membri del
partito politico di Tshisekedi sono stati trovati a Lubumbashi - tre galleggiavano in un
fiume - in apparenti omicidi.
I difensori dei diritti umani hanno affrontato minacce, intimidazioni, arresti
arbitrari e detenzioni sia da parte delle autorità statali sia dei gruppi armati. Il premio
Nobel Denis Mukwege ha ricevuto minacce di morte per la sua richiesta di giustizia
per gravi crimini.
Attacchi ai civili da parte di gruppi armati e forze governative hanno ucciso
almeno 1.300 civili tra ottobre 2019 e giugno 2020, secondo l'Alto commissario delle
Nazioni Unite per i diritti umani. Altre centinaia di persone sono state uccise nella
seconda metà dell'anno. In molti casi, gli aggressori armati erano responsabili di
violenze sessuali contro donne e ragazze.25
Durante la repressione, ad aprile 2020, di una setta religiosa separatista la polizia
della Repubblica Democratica del Congo ha ucciso almeno 55 persone, un bilancio
equivalente a più del doppio di quello riportato dal Ministero dell’Interno ai tempi
dell’accaduto. È quanto ha dichiarato, martedì 19 maggio, l’organizzazione per la
difesa dei diritti umani Human Rights Watch. L’ONG ha accusato le autorità di aver

22
https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2017-2018/africa/repubblica-
democratica-del-congo/
23
https://www.hrw.org/fr/world-report/2019/country-chapters/325564
24
https://www.hrw.org/fr/world-report/2019/country-chapters/325564
25
https://www.ecoi.net/en/document/2043554.html
29
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
utilizzato
deluna “forza eccessiva” durante le operazioni contro il gruppo Bundu dia Kongo
Congo
(BDK), il cui leader aveva esortato i seguaci a cacciare altri gruppi etnici dalla loro area
di riferimento, nell’Ovest del Paese.26
Dal 2021 al 2024, la situazione dei diritti umani nella RDC si è deteriorata
notevolmente, con gravi violazioni legate sia ai conflitti armati sia alla repressione di
attivisti e giornalisti. Nelle province orientali come Nord Kivu e Sud Kivu, le continue
violenze da parte di gruppi ribelli e forze governative hanno intensificato il fenomeno
delle violazioni di diritti umani. Sono documentati casi di esecuzioni extragiudiziali,
rapimenti e violenze su larga scala, che comprendono violenze sessuali su donne e
bambini, spesso nei campi per sfollati. Ad esempio, nel solo primo trimestre del 2023,
Nord Kivu ha registrato oltre 38.000 casi di violenze sessuali, un incremento del 37%
rispetto all'anno precedente, secondo UNICEF e Medici Senza Frontiere.
Le libertà di espressione e di associazione sono pesantemente limitate. Attivisti per
i diritti umani e membri dell’opposizione sono stati frequentemente detenuti,
aggrediti o minacciati per il loro lavoro. Le autorità hanno introdotto leggi che
penalizzano la diffusione di informazioni considerate false, colpendo il lavoro di
giornalisti e attivisti. I tentativi di manifestazioni pacifiche sono stati spesso repressi in
modo violento, con episodi di uccisioni durante la gestione delle proteste da parte
delle forze armate. Solo nel 2024, almeno 387 attivisti e 67 giornalisti hanno subito
minacce o violenze fisiche.
In risposta a queste violazioni, la RDC ha approvato nel 2023 una legge per la
protezione dei difensori dei diritti umani, ma la sua applicazione è stata limitata, con
poche indagini sui crimini contro attivisti. L’ONU e Amnesty International hanno più
volte espresso preoccupazione per la sicurezza degli operatori umanitari e dei
difensori dei diritti umani nel paese, chiedendo un intervento efficace per garantire la
giustizia e la protezione della popolazione civile.
La situazione dei diritti umani nelle miniere è rimasta gravemente problematica,
con numerose segnalazioni di sfruttamento e violazioni. La produzione di cobalto e
coltan, minerali essenziali per le tecnologie moderne, ha comportato condizioni di
lavoro disumane, sfruttamento di minori e gravi rischi per la salute. Si stima che oltre
centinaia di migliaia di persone, inclusi decine di migliaia di bambini, lavorino nelle
miniere di cobalto della RDC, spesso in condizioni estremamente precarie e con
compensi inferiori a 2 dollari al giorno.
Infine, la domanda crescente di questi minerali, guidata dall’industria delle batterie
e dalle pressioni per l’energia pulita, non solo alimenta la violenza nelle regioni
minerarie, ma danneggia anche l'ambiente attraverso la deforestazione e
l'inquinamento atmosferico, compresi gli elevati livelli di emissioni di anidride
carbonica prodotti dalle miniere. Le comunità locali, impoverite e marginalizzate,
continuano a pagare il prezzo umano e ambientale del conflitto per queste risorse,
senza beneficiare delle ricchezze estratte.

Fonti:
www.amnesty.it; www.nigrizia.it
http://www.michelagiuffrida.it/proposta-di-risoluzione-sui-diritti-umani-nella-rdc-e-per-il-
rilascio-degli-attivisti- yves-makwambala-e-fred-bauma/;

26 https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/05/19/rep-dem-del-congo-hrw-accusa-la-
polizia-aver-ucciso-55- membri- setta-separatista/

30
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
http://www.nigrizia.it/notizia/diritti-umani-calpestati-in-africa
del Congo
www.medicisenzafrontiere.it
www.amnesty.ch

Trasferimenti di armi
I paesi intervenuti nel conflitto riforniscono le fazioni che rispettivamente essi
sostengono, ma ci sono pochissime informazioni sull’effettiva portata del loro
appoggio o sul tipo di armi che essi forniscono. Le forze governative, per esempio,
ricevono armi dall’Angola e dallo Zimbabwe. I ribelli, invece, si riforniscono
soprattutto attraverso il Burundi, il Ruanda e l’Uganda.
Ma anche altri paesi, per ragioni prettamente economiche, vendono o hanno
venduto armi alla RDC: Georgia, Ucraina, Francia, Cina e Libia. Tra il 2000 e il 2007 in
particolare hanno venduto armi alla RDC: Belgio, Ucraina, Libia, Georgia ed il SIPRI
riporta anche dei paesi sconosciuti (vedi tabella). Esperti dell’ONU hanno scoperto che,
nella parte controllata dalle forze governative, una compagnia mineraria, la Oryx
Natural Resources, intrattiene relazioni di lavoro con Avient Air, una società che
fornisce servizi e materiali militari e che ha come clienti lo Zimbabwe e la RDC.
Nell’aprile 2002 Avient Air ha concluso la vendita di sei elicotteri da combattimento al
governo della RDC.
Rimane irrisolto il problema dell’afflusso di armi nel settore orientale; nel luglio
2003, in seguito a pressioni civili e internazionali, il Consiglio di Sicurezza ONU ha
deciso l’embargo delle armi per le regioni dell’Ituri, del Nord e del Sud Kivu, ma dopo
pochi giorni gli USA hanno eliminato l’embargo decennale del Ruanda, limitando, di
fatto, l’efficacia delle disposizioni ONU. Il governo stesso è stato accusato di aver
gravemente violato l’embargo a luglio non avendo dichiarato alle Nazioni Unite
l’importazione di un carico di carri armati, mezzi blindati per il trasporto di truppe e
quantitativi di munizioni attraverso il porto di Matadi. Finché l’embargo non sarà
esteso a tutta la regione dei Grandi Laghi sarà difficile sbloccare la situazione di
conflitto tra le diverse forze in campo. Nel 2006 esperti di Control Arms hanno
rinvenuto armi di produzione statunitense, greca, cinese e russa in possesso di gruppi
armati ribelli, tutte con ogni probabilità entrate in Congo dai paesi limitrofi. Tra i
materiali rinvenuti dai ricercatori di Control Arms figurano:
proiettili per fucili ad alta precisione prodotti dalla Federal Cartridge Company
statu- nitense
- proiettili per fucili prodotti dalla Pyrkal Greek Powder & Cartridge Company alla
fine degli anni ’80
un fucile d’assalto R4 prodotto in Sudafrica
fucili d’assalto made in China.
Si ritiene che circa il 60% delle armi usate in RDC siano AK/47. Un’inchiesta della
BBC di aprile 2008 dimostrerebbe inoltre il coinvolgimento di peacekeepers pachistani
e indiani in un traffico di armi, oro e avorio con i ribelli del Nord Kivu.

Trasferimenti di armi alla RDC tra il 2000 e il 2014

31
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
(in milioni
del di US$)
Congo
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
Belgio 14
Bulgaria 1
Georgia 69
Ghana 19
Serbia 1
Ucraina 19 17 151 9
USA 28
Paese 18 18 13
ignoto
Totale 88 18 14 19 17 18 41 151 10 1

Fonte: elaborazione su dati SIPRI - Arms Transfers Database

Secondo il SIPRI Arms Transfer Database, nel 2015 e nel 2016 la RDC avrebbe
ricevuto da Cina, Bulgaria e Ucraina veicoli blindati ed artiglieria, per un valore totale
di 45 milioni di dollari statunitensi27.
Trasferimenti di armi alla RDC tra il 2015 e il 2020
(in milioni di US$)

2015 2016 2017 2018 2019 2020 Totale


Bulgaria 1 1
Ciina 1 1
Ucraina 43 43
USA 1 6 7
Totale 2 43 1 6 52
Fonte: SIPRI Arms Transfer Database

In tre delle città dove la repressione delle marce dei laici cristiani è stata più
violenta dal gennaio 2018, i proiettili ritrovati nei pressi delle chiese colpite sarebbero
delle munizioni di fabbricazione cinese per kalashnikov. A causa dell’embargo
onusiano in vigore dal 2003, dal 2008 concernente esclusivamente i gruppi armati non
statali, lo stato congolese può acquistare il materiale bellico che vuole, ma i paesi
implicati nella vendita hanno l’obbligo di notificarlo al Consiglio di sicurezza. Tuttavia,
nonostante le restrizioni, i gruppi armati sono riusciti ugualmente a procurarsi del
materiale bellico dallo stato congolese in maniera spesso indiretta, sfuggendo al
controllo delle strutture onusiane28.
Inoltre, nel 2017 la società serba Mile Dragic avrebbe fornito un milione di proiettili
di gomma (ufficialmente non letali) al governo congolese, uccidendo – secondo la
polizia- un’attivista impegnata in una protesta il 25 febbraio 2018. Dopo l’attacco del
21 gennaio 2018 sono state rinvenute delle granate marcate con il codice dell’impresa
svizzera Brügger & Thomet. Tuttavia, la Svizzera si è dichiarata all’oscuro di tale
fornitura di armi, così come la società brasiliana Condor, la quale avrebbe anch’essa
fornito lo stesso tipo di granate non letali. Ad eccezione della Bielorussia e dell’Ucraina,
gli altri stati coinvolti nel rifornimento di armamenti alla RDC negli ultimi due anni non

27
SIPRI Arms Transfer Database
28
http://www.rfi.fr/afrique/20180301-armes-repression-rdc-fournisseurs-vente-armes
32
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
hanno effettuato
del Congo alcuna notifica al Consiglio di sicurezza, continuando a sfuggire al
controllo imposto dall’embargo29.
Dal 2021 al 2024, la RDC ha ricevuto armamenti da diversi paesi e attori
internazionali. La situazione è complessa, con vari fornitori di armi sia per il governo
congolese che per gruppi armati. I principali fornitori di armi al governo della RDC
includono paesi come la Cina, che ha fornito droni e altre tecnologie militari, oltre a
Russia e Ucraina, che hanno contribuito con armi pesanti come carri armati e sistemi
di difesa.
In parallelo, gruppi armati non statali, tra cui quelli attivi nelle regioni orientali
come le province di Kivu, hanno ricevuto supporto da attori stranieri. La Cina ha
anche negoziato accordi per fornire armi a forze locali coinvolte nel conflitto in
cambio di accesso alle risorse minerarie, in particolare il cobalto. Le Nazioni Unite,
attraverso un embargo sulle armi, hanno cercato di limitare il flusso di armi verso
gruppi non governativi, ma la situazione è rimasta complicata, con continui scambi
clandestini e accordi tra paesi vicini, come l'Uganda, che ha acquistato armi per
operazioni dentro i confini congolese.
In generale, l'approvvigionamento di armi alla RDC è stato una combinazione di
acquisti legittimi per l'esercito regolare e traffici illeciti che alimentano gli scontri.

Fonti:
SIPRI, Yearbook 2006, Yearbook 2008; SIPRI 2012 IISS, The Military Balance 2002-2003, pag.
330.
Amnesty International, A Catalogue of Failure: G8 Arms Exports and Human Rights Violations,
18 maggio 2003; www.amnesty.it
http://armstrade.sipri.org/armstrade/html/export_values.php
www.sipri.org

Embarghi e sanzioni

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite S/Res/1807(2008) del


31 marzo 2008 ha rimosso, unitamente alle restrizioni finanziarie e di
movimento di
determinati soggetti, l'embargo sulle forniture di armamenti, già disposto
inizialmente con la risoluzione S/Res/1493 (2003) ed ampliato successivamente con la
S/Res/1596 (2005), nei confronti delle autorità governative del paese, mantenendo
viceversa il divieto di fornitura verso tutti i soggetti non governativi. Eccezioni sono
previste per la missione MONUC, per il personale ONU e per equipaggiamenti militari
non letali.
Per sua parte l'Unione Europea ha adottato da ultimo la posizione comune
2008/369/PESC, che ha modificato, in linea con la risoluzione ONU, il preesistente
embargo sulle forniture di armi di cui alla posizione comune 2005/440/CFSP,
mantenendo il congelamento di fondi e la restrizione di ammissione nei confronti di
determinate persone (soggetti che operano in violazione dell'embargo, leaders delle
milizie congolesi, dei gruppi armati stranieri attivi nel paese e delle strutture di
reclutamento o che utilizzano minori nel conflitto armato).
I regolamenti (CE) 889/2005 e 1183/2005 (quest'ultimo più volte emendato nella

29
http://www.rfi.fr/afrique/20180301-armes-repression-rdc-fournisseurs-vente-armes
33
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
lista delle persone ed enti soggetti a restrizioni finanziarie) implementano sul piano
del Congo
normativo tali disposizioni nella parte relativa alle restrizioni concernenti la fornitura
di determinati servizi ed il congelamento di fondi e risorse economiche.
Il Consiglio dell’Unione Europea, visto il trattato sul funzionamento dell'UE e il
regolamento (CE) n. 1183/2005 del Consiglio, del 18 luglio 2005, che istituisce misure
restrittive specifiche nei confronti delle persone che violano l'embargo sulle armi per
quanto riguarda la Repubblica Democratica del Congo30, in particolare l'articolo 9,
paragrafi 1 e 4, ha adottato un nuovo regolamento considerando che è opportuno
modificare l'allegato I del regolamento (CE) n. 1183/2005.
Con la Risoluzione 2293 del 2016, le Nazioni Unite hanno riaffermato il principio
della Risoluzione 1807 del 2008, imponendo agli stati di evitare il rifornimento, la
vendita o trasferimento diretto e indiretto di armi e materiale connesso, nonché di
assistenza e formazione per attività di tipo militare alle entità non-governamentali
implicate in attività militari sul territorio della RDC. Tuttavia, è prevista un’eccezione
per quanto riguarda il rifornimento di armi, assistenza o formazione militare destinato
al governo congolese ed una specifica autorizzazione del Comitato del Consiglio di
sicurezza per la RDC per i trasferimenti destinati agli attori non statali di natura
privata31.
Il 29 maggio 2017, l’Unione Europea ha adottato delle misure restrittive con
effetto immediato (tra cui il divieto di entrare nell'UE, il congelamento dei beni e
l'interdizione di avere a disposizione risorse economiche) nei confronti di membri
dell’amministrazione statale della RDC, con l’accusa di aver contribuito a gravi
violazioni dei diritti umani. Il ministro delle comunicazioni e dei media (portavoce del
governo) è stato inserito in elenco perché coinvolto nella politica repressiva verso i
media, contraria al diritto alla libertà di espressione e d'informazione e fattore di
ostacolo allo svolgimento pacifico delle elezioni32. Il 10 dicembre 2018, il Consiglio
dell’UE ha prorogato tali misure sino al 12 dicembre 2019, con l’obiettivo di stimolare
l’organizzazione di un processo elettorale credibile ed inclusivo33, poi prorogate
ulteriormente fino al 12 dicembre 2021, sulla base di una valutazione della situazione
nel paese.
Dal 2021 al 2024, la situazione della RDC ha visto un'intensificazione delle sanzioni
internazionali, in particolare da parte delle Nazioni Unite. Il Consiglio di Sicurezza ha
rinnovato le misure restrittive contro il paese, inclusi divieti su armi, assistenza
militare e trasferimenti di materiali legati ai gruppi armati. Le sanzioni si sono
concentrate principalmente sull'area delle armi, per contrastare
l'approvvigionamento ai gruppi ribelli e promuovere la stabilità nella regione
orientale, segnato da conflitti come quello del M23.
Nel 2024, è stato rinnovato il regime di sanzioni, che include il divieto di trasferire
armi o assistenza militare non solo ai gruppi armati ma anche, in parte, al governo
congolese, pur consentendo una certa fornitura di equipaggiamenti per rafforzare la
capacità di difesa contro i ribelli.
Le sanzioni includono misure finanziarie che limitano il trasferimento di fondi a

30 GU L 193 del 23.7.2005, pag. 1.

31
https://www.grip.org/fr/node/1513
32
https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2017/05/29/rdc-sanctions/
33
https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2018/12/10/drc-council-extends-
sanctions-for-one-year/
34
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
individui
deleCongo
gruppi legati alla violenza e alla destabilizzazione della regione.

Fonte: www.exportstrategico.org
http://www.esteri.it/mae/politica_estera/20140512_congo_regolamento_esecuzione_n1275_
2014_consiglio_ 1122014.pdf
press.un.org

Relazioni bilaterali con l’Italia

Relazioni politiche

L’Italia segue con attenzione gli sviluppi della situazione nella Repubblica
Democratica del Congo ed opera in maniera attiva in numerosi consessi
internazionali.
A livello diplomatico, dopo gli eventi che hanno procurato una grave instabilità
politica nel Paese e minato fortemente la situazione dei diritti umani, la posizione
dell’Italia si era progressivamente irrigidita, anche a seguito dell’interruzione da parte
delle Autorità congolesi della procedura di accreditamento del nostro Ambasciatore
designato a Kinshasa. I successivi segnali di apertura del Paese nei confronti dell’Italia
e il lavoro della nostra Ambasciata a Kinshasa hanno nondimeno permesso un
miglioramento delle relazioni bilaterali. Nell’ottobre 2019 la cerimonia di
presentazione delle credenziali da parte dell’allora Ambasciatore d’Italia Luca Attanasio
al Neopresidente Tshisekedi ha riconfermato il clima di amicizia e cordialità tra i due
Paesi. Tshisekedi si è felicitato di come la decisione
italiana di elevare la presenza diplomatica al rango di Ambasciatore sancisca
definitivamente il ritorno alla normalizzazione dei rapporti bilaterali.
Il 25 ottobre 2018 l’allora Ministro degli Affari Esteri Okitundu ha preso parte alla
Conferenza Italia-Africa organizzata dalla Farnesina ed ha incontrato in tale occasione il
suo omologo Moavero.
Il 22 febbraio 2021, l’Ambasciatore Luca Attanasio si trovava nei pressi della città di
Goma per visitare, su invito del Direttore Generale del World Food Programme (WFP),
i campi di intervento umanitario nel Nord e Sud Kivu e per svolgere una missione
consolare nelle città di Goma e Buka-vu, dove si contano circa un centinaio di
connazionali. Il convoglio WFP su cui viaggiava l’Ambasciatore è stato attaccato da
uomini armati di armi leggere. L’Amb. Attanasio è deceduto insieme ad un carabiniere
della sua scorta, Vittorio Iacovacci, a seguito dell’attacco. Sulla dinamica sono in corso
accertamenti.
Il Ministro degli Esteri Di Maio ha immediatamente avuto una telefonata con la sua
omologa Marie Nzeze, nella quale si è confermato massimo sostegno delle Autorità
congolesi per fare luce sulla tragica vicenda. L’indomani l’Ambasciatore Patrick
Luabey, Inviato Speciale del Presidente Tshi-sekedi, si è recato a Roma per portare al
PdC Draghi un messaggio personale dello stesso Presidente.

Candidature

Le Autorità di Kinshasa hanno confermato formalmente il proprio sostegno sia alla


candidatura dell’Italia al Consiglio dei Diritti Umani ONU per il triennio 2019-2021, le

35
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
cui elezioni hanno avuto luogo a New York nell’ottobre 2018, sia alla candidatura del
del Congo
nostro Paese al Consiglio dell’ITU, le cui elezioni si sono tenute a Dubai dal 20 ottobre
al 16 novembre 2018. Entrambe le elezioni hanno avuto esito positivo per l’Italia.
A gennaio 2020 le Autorità della RDC hanno formalizzato il sostegno alla candidatura
della Prof.ssa Ida Caracciolo a membro del Tribunale Internazionale per il Diritto del
Mare (ITLOS) per il manda-to 2020-2029.
A luglio 2020 la RDC ha confermato il sostegno alla candidatura del Dott. Nicola
FALVELLA alla carica di Delegato per l'Europa in seno al Comitato esecutivo
dell'INTERPOL.

Relazioni economiche

La tendenza del nostro interscambio commerciale con la RDC è altalenante. Per


quanto riguarda il volume complessivo dell’interscambio, dopo il picco del 2013, anno
in cui ha raggiunto 590 milioni di euro, si è registrata una contrazione fino al 2015 ed
è tornato a crescere nei due anni successivi: +53,21% nel 2016 (195 milioni di euro) e
+37,4% nel 2017 (268 milioni di euro). Nel 2018, in linea con tale andamento
ondulatorio, si è registrato un nuovo incremento delle esportazioni, arrivate a 65,2
milioni di euro e un contestuale decremento delle importazioni, diminuite a 204,1
milioni di euro. Nel 2019 le esportazioni hanno registrato un lieve decremento pari al
-2,2%. Le importazioni sono aumentate del 26,4% portando l’interscambio totale a
oltre 321,8 milioni di euro e contribuendo ad ampliare il saldo negativo per l’Italia. Nei
primi sei mesi del 2020 l’interscambio ha totalizzato 124 milioni di euro, registrando
un calo delle esportazioni (-44%) e delle importazioni (-26,8%) rispetto al primo
semestre del 2019.
Le esportazioni italiane sono costituite prevalentemente da autoveicoli, motori,
generatori e trasformatori elettrici, macchine per impieghi speciali e per impiego
generale, macchine agricole. Le importazioni italiane, invece, sono per il 99%
costituite da metalli di base preziosi e altri metalli non ferrosi (rame), prodotti di
coltura permanenti (caffè) e legname.
I settori che potrebbero potenzialmente interessare gli imprenditori italiani sono
quelli delle infrastrutture, dell’agroindustria, dell'esportazione di alimentari e
dell'industria alimentare, dell'arredamento, del legname, della costruzione di
minicentrali elettriche, della moda, dell'edilizia.
Nel Paese operano diverse imprese italiane, tra le quali si vanno ricordate DELTA, il
gruppo TREVI e l’azienda RENOVO per il settore energetico; il Gruppo FS attraverso la
propria società di ingegneria Italferr, Piaggio e Figli, GIMACO nel settore infrastrutture
e trasporti; Inalca (Gruppo Cremonini) ed un consorzio di imprese italiane costituito
da SIM, SOVIMP e CRONO nel settore agroalimentare. Inoltre, la società italiana
MUZURI SANA ha stipulato - con una società cinese di trasporti - una joint venture per
il trasporto del rame estratto dalla più grande miniera al mondo (anch'essa di
proprietà cinese e sita in RDC), mentre GEASOLAR ha siglato una JV con una società
cinese per la costruzione di un parco solare nel sud del Paese, volto a fornire elettricità
alle miniere nella regione del Katanga. Leonardo S.p.A. coordina e gestisce in loco, per
conto della MONUSCO delle Nazioni Unite, un importante attività di "patrolling" aereo
delle zone di confine del Paese.
A luglio 2020, Snam e Ansaldo Energia hanno riportato alla nostra Sede a Kinshasa

36
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
l’interesse a sviluppare un progetto per l’installazione di turbine a gas capaci di
del Congo
fornire ognuna 180/190 MW nella zona mineraria di Kolwezi (provincia di Lualaba, nel
Katanga). L’investimento iniziale ammonterebbe a 350 milioni di dollari.

Cooperazione italiana

La Repubblica Democratica del Congo, nonostante non figuri tra i Paesi prioritari
per la Cooperazione Italiana, è stata beneficiaria di interventi a partire dal 1982,
soprattutto nei settori dell’agricoltura, dei trasporti, della sanità e
dell’approvvigionamento idrico, per un valore totale superiore a 82 milioni di euro. A
partire dal 1998, la strategia della Cooperazione Italiana si è rivolta progressivamente
alla fornitura di aiuti umanitari, sia sul canale bilaterale sia su quello multilaterale.
Inoltre, tra il 2003 e il 2011 l’Italia ha cancellato complessivamente debiti accumulati
dal Paese per 1 miliardo di dollari (trattasi in particolare di crediti vantati da SACE o
crediti d’aiuto).
Sul piano delle attività di cooperazione allo sviluppo a livello bilaterale, negli anni
più recenti non è più stata prevista alcuna nuova iniziativa di sviluppo a dono da parte
del MAECI, non essendo un Paese prioritario e non essendovi capienza finanziaria in
programmazione. È stato inoltre chiuso nel 2018 l’ufficio della Cooperazione italiana a
Goma, proprio nel momento in cui la Comunità internazionale sembra incrementare
gli aiuti nell’est della RDC.
L’ultima iniziativa bilaterale nel Paese è stata il programma per lo “Sviluppo della
zona sanitaria di Matadi”, conclusasi nel 2014, per circa 3,4 milioni di euro. L’obiettivo
dell’iniziativa è stato il miglioramento sia del livello di copertura sanitaria sia del livello
della qualità delle cure erogate alla popolazione della zona di Matadi, onde
contribuire a migliorare lo stato di salute della popolazione del Basso Congo,
assicurare l’equa accessibilità e la qualità dei servizi sanitari essenziali.
Allo stato attuale, risulta una sola iniziativa di emergenza umanitaria della
Cooperazione italiana in corso nel Paese e trattasi di un’iniziativa “sul canale
bilaterale” (la cui attuazione è affidata alla competente Sede AICS di Nairobi con il
concorso delle OSC) del valore di 1 milione di euro di euro, le cui attività sono iniziate
solamente nel novembre 2020. L’iniziativa, della durata prevista di 24 mesi (fino a
novembre 2022), è centrata nel settore della salute materno-infantile, igiene e
protezione delle persone più vulnerabili, ed è realizzata dalla OSC “AVSI” (in
partenariato con la OSC “VIS”) nella città di Goma (Nord Kivu), e dalla OSC “CISP” nella
regione del Kasai centrale.
Inoltre, è stato autorizzato un contributo finanziario del valore di 1 milione di euro
in favore del World Food Programme (WFP) per la realizzazione del progetto
"Rafforzamento della sicurezza alimentare delle popolazioni congolesi nella provincia
del Kasai", della durata di 18 mesi. Tuttavia, allo stato attuale, sono tuttora in corso le
procedure di autorizzazione all’erogazione del contributo da parte di AICS; il
contributo non è pertanto stato ancora erogato e, di conseguenza, le attività del WFP
non sono ancora state avviate. Il progetto si pone l’obiettivo di ridurre l’impatto
dell’insicurezza alimentare sulle persone che vivono nelle regioni del Kasai e del Kasai
Centrale. Le attività previste includono: distribuzione di generi alimentari e contrasto
alla malnutrizione; l’accesso a strumenti e tecnologie agricole, a sistemi di irrigazione,
formazione e informazione per migliorare le tecniche di produzione; la costruzione di

37
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
magazzini per le famiglie e per le organizzazioni di produttori; la riabilitazione e la
del Congo
costruzione di mercati e la riabilitazione di strade secondarie di accesso agricolo.
Infine, si ricorda che nel 2019 la Cooperazione italiana ha allocato contributi di
emergenza per un totale di 800.000 euro per attività di contrasto alla diffusione del
virus Ebola (campagna di vaccinazione, azione di squadre sanitarie mobili,
realizzazione di sepolture "sanitizzate) nelle regioni nord-orientali del Paese. In
particolare, 500.000 euro a favore della FICROSS (a valere sul Fondo Bilaterale di
Emergenza, autorizzato lo scorso 16/05/2019) e 300.000 euro a favore
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (a valere sul Fondo Bilaterale di Emergenza
presso l’organismo, autorizzato lo scorso 12/07/2019). L’OMS ha ufficialmente
dichiarato, lo scorso 18 novembre 2020, l’epidemia di Ebola in RDC “sconfitta”. Allo
stato attuale, le attività dei predetti organismi risultano terminate.
Di significativa importanza è anche l’attività delle numerosissime Organizzazioni
della Società Civile (OSC) italiane operanti in RDC, tra le quali si ricordano: CESVI, CISS,
COE, COOPI, CISP, AUCI, Amici dei Bambini, IAHM, Comunità di Sant’Egidio, Incontro
tra i Popoli.
Le relazioni tra l'Italia e RDC restano orientate verso la cooperazione. L'Italia è uno
dei principali partner europei della RDC, con una presenza storica di aziende italiane,
in particolare nel settore energetico e delle infrastrutture. Eni, ad esempio, è attiva in
Congo dal 1968, operando principalmente nel settore petrolifero e del gas. Altre
aziende italiane, come Renco, SAIPEM e MSC, sono coinvolte in progetti in vari ambiti,
inclusi quelli legati alla logistica e al rimboschimento.
Nel 2023, durante la visita della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l'Italia ha
ribadito il suo impegno per una cooperazione paritaria con l'Africa, compresa la RDC,
nell'ambito del Piano Mattei, un'iniziativa per lo sviluppo sostenibile del continente.

Fonti:
www.eccoclimate.org
www.ambkinshasa.esteri.it

Trasferimenti di armi nei paesi coinvolti nel conflitto

Burundi

Il Burundi ha acquistato armi soprattutto in Belgio e in Francia, ma anche in Cina. Dai


registri ufficiali dal 2000 risulta acquirente soprattutto dell’Ucraina.
Dal 6 agosto 1996 otto stati africani (Repubblica Democratica del Congo, Eritrea,
Etiopia, Kenya, Ruanda, Tanzania, Uganda e Zambia) mettono in atto un embargo
contro il Burundi. L’embargo viene tolto il 23 gennaio 1999.
In una conferenza organizzata dalla Caritas e dal Centro missionario di Bologna
(1998), un esponente di Human Right Watch ha denunciato che il Ruanda, la Tanzania
e l’ex-Zaire permettono ai ribelli di stabilire basi sui propri territori e consentono che
armi dirette al Burundi transitino sui loro territori nazionali.
Nel 2016, il Burundi ha importato veicoli corazzati di seconda mano dagli Stati
Uniti, per un valore di 2 milioni di dollari US.

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
del Congo
Fonti: “La Voce di Ferrara Comacchio”, aprile 2000. SIPRI, Yearbook 2006; Yearbook 2008;
Campagna d’informazione “Grida Burundi”-Bologna; SIPRI Arms Transfer Database

Ruanda

Fino al 1990, le FAR (Forces Armées Ruandaises) hanno ricevuto materiale bellico
da parte del Belgio. Ma il maggior fornitore di armi del Ruanda è stata la Francia, che
ha venduto materiale bellico al paese africano anche durante il genocidio del 1994,
violando l’embargo dell’ONU. Le FAR hanno importato armi anche dal Sudafrica e da
alcuni paesi dell’est europeo, grazie all’aiuto dell’Egitto e della Francia, ma anche
dallo Zaire e dalla Cina. Dalla fine degli anni ’90 ad oggi la Russia risulta essere il
maggior fornitore di armi assieme al Sud Africa. Anche lo SPLA (Sudan Peolpe’s
Liberation Army) avrebbe fornito armi al Ruanda.
Embarghi e sanzioni: L’embargo sulle armi deciso dalle Nazioni Unite che era in
vigore dal 1994 è stato abolito nel luglio 2008 con risoluzione del Consiglio di
Sicurezza.
Tra il 2017 e il 2018, il Ruanda ha ricevuto materiale bellico in forma di veicoli
corazzati, artiglieria e missili da parte dei governi della Cina e della Turchia, per un
valore totale di 11 milioni di dollari statunitensi34.
Nel 2019, il Ruanda ha ricevuto dalla Slovacchia due RM-70 122mm.
Nel 2020 il Ruanda ha stipulato un contratto da 10,1 milioni di dollari con ATI
Engineering Services LLC di Johnstown, Pennsylvania, per l'acquisto di due aeromobili
Cessna C-208 EX Grand Caravan, che saranno utilizzati a supporto delle operazioni di
soccorso mediche nel contesto delle missioni di peacekeeping ONU.

Fonte: “LA VOCE di Ferrara Comacchio”, aprile 2000; SIPRI, Yearbook 2008.; www.peacereporter.net

Uganda

I dati del Military Balance riportano, per gli anni 1998-2000, la vendita all’Uganda
di ventotto MIG-21/23 da attacco da parte della Russia e di novanta carri armati T54
da parte della Bulgaria: Inoltre nello stesso arco di tempo la Bielorussia ha venduto
all’Uganda dieci carri armati T55 e la Polonia sette MIG-21 da attacco per un valore di
1,5 milioni di dollari l’uno.
L’Italia nel 1997 ha venduto all’Uganda armi leggere e di piccolo calibro e
munizioni per un valore di 1360 milioni di lire.
Dal 2000 al 2007 i maggiori fornitori dell’Uganda sono, nell’ordine, Bielorussia,
Israele e Ucraina.
Secondo il rapporto sul commercio di armi pubblicato dal SIPRI, nel 2016 l’Uganda
costituiva il terzo paese importatore di armi in Africa (6,2%), assorbendo circa il 15%
delle importazioni nell’area dell’Africa subsahariana35.
Tra il 2016 e il 2018, l’Uganda ha importato velivoli e veicoli blindati da parte di
Francia, Sud Africa e Stati Uniti, per un valore di 23 milioni di dollari statunitensi.

34 SIPRI Arms Transfer Database

35 http://www.nigrizia.it/notizia/shopping-darmi

39
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
Nel 2019 l’Uganda ha stipulato un contratto da 21 milioni di dollari con l’azienda
del Congo
turca Katmerciler, oggetto di tale affare sono i 30 veicoli blindati Hizir (APC) che sono
stati consegnati allo stato africano nel 2020.

Fonti: IISS, The Military Balance 2002-2003, pagg. 330-331. SIPRI, Yearbook 2000, pag. 354; Yearbook
2008; Maurizio Simoncelli, (a cura di), Armi leggere, guerre pesanti. Il ruolo dell’Italia nella produzione e
nel commercio internazionale, Rubettino Editore, 2000, pag. 192; SIPRI Arms Transfer Database

Angola

Alla fine del bipolarismo est-ovest, si assiste ad una deregolamentazione del mercato
delle armi da parte della Russia e dei vecchi alleati dell’URSS. Le riserve di armi e le
industrie belliche di questi paesi esportano armi in moltissimi paesi. L’Angola è uno dei
tanti paesi africani che costituiscono il mercato delle vendite delle repubbliche ex
sovietiche. Ma queste ultime non sono le sole: tra il 1991 e il 1992 una ditta spagnola
ha inviato materiali alla polizia angolana equipaggiata, secondo osservatori, anche con
fucili israeliani. Nel 1993 missili contraerei e blindati, trasportati da aerei
dell’Uzbékistan ma provenienti dalla Corea del Nord, sono giunti in Angola. Nello
stesso anno: il Portogallo ha inviato armi alle forze di sicurezza; armi ceche sono state
inviate, insieme a materiali russi, su navi tedesche; missili sono stati venduti dal
Brasile. Lo stesso Brasile l’anno successivo ha spedito in Angola sei aerei da
ricognizione. La Nigeria avrebbe venduto fucili tedeschi, lo Zimbabwe munizioni e
bombe, il Sudafrica fucili. Infine, armi sono state vendute dal Regno Unito, dalla
Bulgaria, dall’Ucraina e forse anche dalla Francia. L’UNITA avrebbe ricevuto forniture
di armi anche da parte degli USA.
L’Italia ha venduto all’Angola armi leggere e di piccolo calibro. Secondo i dati
dell’ISTAT questo il volume delle esportazioni in migliaia di lire:

1997 1999
1.113 14.518

È importante ricordare che non tutte le vendite di armi leggere e di piccolo calibro
risulta nelle relazioni che il Governo italiano, in base alla legge 185/90 sul commercio
degli armamenti, è tenuto a presentare al Parlamento. Le armi in questione sono,
infatti, classificate sotto la voce “armi ad uso civile” e, per questo, non rientrano nella
sfera di applicazione della legge 185.
Dal 2000 al 2007 i maggiori fornitori di armi per l’Angola risultano essere,
nell’ordine, Bielorussia, Slovacchia e Russia. Nell’arco degli ultimi 3 anni, tuttavia, sono
Olanda e Israele ad aver venduto il maggior numero di armi allo stato centroafricano.
Secondo il rapporto dell'Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma
(Sipri), l’Angola è stato il secondo maggiore importatore di armamenti nell’area
dell’Africa subsahariana nel periodo 2014-201836. Tra i maggiori fornitori troviamo:
Bielorussia, Bulgaria, Cina, Israele, Italia, Russia, Sud Africa, Regno Unito e Stati Uniti, i
quali avrebbero esportato nel paese un totale di 325 milioni di dollari US in forma di
veicoli corazzati, artiglieria, navi, sensori ed aeromobili.

36
http://www.nigrizia.it/notizia/armi-commercio-mondiale-cresciuto-del-78-in-nordafrica-piu-20
40
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
In particolare,
del Congo le esportazioni di armi italiane nell’Angola sono passate da un valore
di 72mila euro nel 2015 a 88,7 milioni di euro nel 2016, posizionando il paese al
tredicesimo posto nella classifica dei paesi acquirenti37.
Tra il 2017 e il 2020 l’Angola ha ricevuto velivoli aerei da Cina e Russia, nello
specifico, tra il 2017 e il 2019 ha ordinato 12 caccia Su-30K dalla Russia, e tra il 2018 e
il 2020, ha ricevuto dalla Cina 12 aerei da addestramento K-8. L'Angola non ha
acquistato molte attrezzature in passato dalla Cina, affidandosi invece alla Russia.

Fonti: “LA VOCE di Ferrara Comacchio”, aprile 2000; Maurizio Simoncelli, (a cura di), Armi leggere,
guerre pesanti. Il ruolo dell’Italia nella produzione e nel commercio internazionale, Rubettino Editore,
2000, pagg. 192-197; SIPRI, Yearbook 2008; SIPRI Arms Transfer Database

Zimbabwe

Lo Zimbabwe ha acquistato dall’Italia, tra il 1996 e il 1997, sei aerei leggeri da


addestramento e antiguerriglia Sf-260 E/F Siai Marchetti. Per quanto riguarda le armi
leggere e di piccolo calibro, secondo quanto riportato dai dati ISTAT, questo il volume
delle esportazioni italiane in Zimbabwe tra il 1997 e il 1999:

Esportazioni italiane di armi di piccolo calibro, esplosivi e munizioni (espressi in


migliaia di lire):
1996 1997 1998 1999
38.198 95.828 1.456 1.300

Nel 1999 la Francia ha consegnato allo Zimbabwe 23 veicoli blindati da


combattimento ACMAT.
Dal 2000 al 2007 sono Cina, Libia e Ucraina, praticamente a pari merito i maggiori
fornitori dello Zimbabwe; tuttavia, nell’arco degli ultimi tre anni è decisamente la Cina
a fornire il maggior numero di armi.
Embarghi e sanzioni: La posizione comune 2004/161/CFSP, estesa di validità fino al
20 febbraio 2009 dalla posizione 2008/135/PESC, ha disposto il divieto di fornire
allo Zimbabwe armamenti ed attrezzature utilizzabili per la repressione interna,
nonché di prestare assistenza tecnica e finanziaria connessa con attività e materiali
militari destinata a qualsiasi soggetto, entità o organismo del paese africano.
Il regolamento comunitario 314/2004, emendato da ultimo con il regolamento
702/2008, oltre a prevedere il divieto di prestazione di determinati servizi ed il
congelamento di fondi finanziari, dispone il divieto di esportazione di materiali ed
attrezzature utilizzabili per la repressione interna di cui all'allegato allo stesso
regolamento.
Il 20 febbraio 2015, l’Unione Europea ha rinnovato per un altro anno (fino al 20
febbraio 2016) le sanzioni contro lo Zimbabwe. Tra le misure confermate sono stati
inclusi il divieto di viaggio e il congelamento dei beni nei confronti del presidente

37 http://www.nigrizia.it/notizia/cresce-lexport-bellico-italiano-ma-non-in-africa

41
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
di sua moglie38.
Mugabedele Congo
Malgrado i divieti imposti dalla comunità internazionale, nel decennio 2008-2017
(in particolare nell’anno 2016) il Regno Unito ha esportato armamenti di vario tipo
allo Zimbabwe per un valore di £291.000, generando un risentimento generale per il
duplice utilizzo di tali armamenti, spesso impiegati per la violenta repressione operata
dal governo di Mugabe39.

Fonti: IISS, The Military Balance 2002-2003, pagg. 330-331; Maurizio Simoncelli, (a cura di),
Armi leggere, guerre pesanti. Il ruolo dell’Italia nella produzione e nel commercio
internazionale, Rubettino Editore, 200, pagg. 190-197; SIPRI Yerabook 2008;
www.exportstrategico.org.

Operazioni di peacekeeping

MONUC/ MONUSCO

L’operazione Onu nella RDC viene istituita nel 2000 con Risoluzione del Consiglio di
Sicurezza n. 1291 del 24 febbraio. Inizialmente il mandato della missione, che
prevedeva un impiego di personale militare di 5.537 unità, tra cui 500 osservatori,
consisteva nel controllare l’attuazione degli Accordi di Lusaka del 1999 e vigilare sul
cessate il fuoco. Dopo la risoluzione 1565 del 1° ottobre 2004, visto l’evolversi e il
complicarsi della situazione sul campo, l’operazione assume nuovi e più complessi
compiti, oltre ad aumentare il personale impiegato. In primo luogo, il nuovo mandato
prevede che i peacekeepers si occupino della sicurezza della popolazione civile e
svolgano operazioni di disarmo e smobilitazione dei gruppi armati irregolari e
collaborino al loro reintegro e rimpatrio. La risoluzione 1797 del 30 gennaio 2008
autorizza il personale MONUC ad assistere le autorità congolesi nell’organizzazione e
nello svolgimento delle elezioni della seconda metà del 2008. Ad ottobre 2008 sono
impiegati nella missione 16.475 militari, 719 osservatori militari, 562 volontari, 304
unità di polizia, 3.150 civili. Dopo l’offensiva dei ribelli di ottobre/novembre 2008 il
Consiglio di Sicurezza ha valutato l’opportunità di aumentare ulteriormente il numero
di militari impiegati nella missione, rafforzando in particolare i contingenti dispiegati
nel Nord Kivu.
Nel 2010, con la Risoluzione 1925 adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite del 28 maggio 2010 è stata istituita MONUSCO (United Nations Organization
Stabilization Mission in the Democratic Republic of the Congo) con il compito di
proteggere la popolazione locale e promuovere il consolidamento dell’autorità statale
in tutto il territorio nazionale; la missione è stata prorogata fino al giugno 2011. La
missione subisce un’ulteriore proroga, con la Risoluzione 1991 del 28 giugno 2011,
fino al 30 giugno 2012.
Il ministro degli esteri congolesi ha chiesto, in marzo 2015, la rimozione delle forze
di pace delle Nazioni Unite sostenendo che la RDC è pronta ad assumersi la “piena
responsabilità per la sua sicurezza”. Queste parole si scontrano con quelle avanzate

38
https://www.internazionale.it/notizie/2015/02/20/l-unione-europea-rinnova-le-sanzioni-contro-lo-
zimbabwe
39
https://aoav.org.uk/2018/uk-arms-sales-to-zimbabwe/
42
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
dalla società civile e dei diritti umani del paese che vorrebbero invece che l’ONU
del Congo
rafforzasse il proprio mandato sul territorio, soprattutto per garantire, secondo
l’emittente Aljazeera, elezioni pacifiche nel 2016.
Su proposta del governo francese, il 27 marzo 2018 il mandato della missione
MONUSCO è stato rinnovato all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza, prorogandone la
durata fino a marzo 2019. Il testo presentato da Parigi ha messo l’accento sulla
necessità da parte delle Nazioni Unite di garantire lo svolgimento delle elezioni in
condizioni di quanto più possibile trasparenza, apertura e sicurezza, oltre che
sull’urgenza di far fronte alle varie crisi umanitarie che affliggono la Repubblica
Democratica del Congo40.
A dicembre 2020 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la Risoluzione 2556, che
rinnova di un anno, fino al 20 dicembre 2021, il mandato della MONUSCO (circa 17.500
unità di personale, dato di dicembre 2020). La risoluzione conferma i due obiettivi
strategici di MONUSCO: protezione dei civili e sostegno alla stabilizzazione e al
rafforzamento delle istituzioni dello Stato e alle riforme nei settori della sicurezza e
della governance. Nel gennaio 2021, il Segretario Generale delle Nazioni Unite,
Antonio Guterres, ha designato Bintou Keita (62 anni, nata in Guinea) come nuova
Rappresentante Speciale e capo della MONUSCO.
La popolazione congolese lamenta tuttavia una certa passività da parte dei militari
della MONUSCO che - nonostante il mandato di “robust peacekeeping” ricevuto dal
Consiglio di Sicurezza che autorizza anche operazioni offensive – sembra essersi
rassegnata ad esercitare una presenza meramente “dissuasiva”. Nel corso degli anni,
si sono verificati numerosi episodi di rivolte popolari anti-MONUSCO, durante le quali
polizia ed esercito hanno aperto il fuoco contro i manifestanti e si sono riscontrati atti
vandalici contro i compound della Missione.
Il 25 giugno 2020, il Consiglio di Sicurezza aveva altresì adottato all'unanimità la
risoluzione 2528, che rinnova di un anno, fino al 1° luglio 2021, il regime di sanzioni
verso individui ed entità congolesi, nonché il mandato del relativo Gruppo di Esperti
(GoE), fino al 1° agosto 2021.
Si segnala che Leonardo S.p.A. coordina e gestisce in loco, per conto della
MONUSCO, un importante attività di "patrolling" aereo delle zone di confine del
Paese.
La MONUSCO ha affrontato un crescente dibattito riguardo alla sua presenza nel
paese. Nel 2023, il governo della RDC ha richiesto una riduzione anticipata e
accelerata della missione, citando l'inefficacia di MONUSCO nel proteggere i civili
dalle milizie e dai gruppi armati che operano principalmente nell'est del paese.
A novembre 2023, è stato firmato un piano di disimpegno tra il governo congolese
e MONUSCO, stabilendo un ritiro graduale e responsabile della missione, con un
piano che prevede la riduzione della forza di circa 2.350 soldati entro metà 2024. La
decisione è stata presa nonostante le preoccupazioni internazionali circa la sicurezza
del paese e l'eventuale aumento della violenza, con un ritiro previsto per il 2024. La
missione, attiva in Congo dal 1999, ha avuto il compito di stabilizzare la regione, ma
ha visto crescere le critiche sulla sua efficacia nel garantire la sicurezza della
popolazione civile.
Nel 2024 viene sospeso il ritiro della MONUSCO. La missione della Rd Congo

40 https://www.tpi.it/2018/03/27/repubblica-democratica-congo-onu-rinnovo-missione-pace/

43
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
sospende il suo ritiro, iniziato a febbraio, senza alcuna nuova tempistica fissata per la
del Congo
fase conclusiva delle operazioni, prevista inizialmente entro la fine dell’anno. Si è
dichiarato che, in considerazione della continua aggressione del Rwanda nel Nord
Kivu, la seconda fase di ritiro delle truppe della MONUSCO, dopo una valutazione
congiunta, sarebbe stata attuata quando le condizioni lo avessero consentito.

Fonte: www.monuc.org; http://monusco.unmissions.org/; www.amensty.it ;


http://www.nigrizia.it/notizia/r-d- congo-kinshasa-vuole-il-ritiro-della-missione-monusco;
www.peacekeeping.un.org

EUFOR CONGO

Si tratta di un’operazione militare dell’Unione Europea in supporto alla missione


MONUC durante il periodo elettorale. Il 25 aprile 2006 il consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite con risoluzione 1671 ha autorizzato l’impiego temporaneo di forze UE
in supporto a quelle operanti nell’ambito della missione ONU in RDC. Il comando
dell’EUFOR doveva agire in stretta collaborazione con quello MONUC. L’operazione si è
conclusa con successo il 30 novembre 2006.
EUFOR nel 2003 aveva condotto l’operazione “Artemide” in Bunia, nel Congo
orientale.

Fonte: www.consilium.europa.eu

Altre operazioni

EUPOL Kinshasa/ EUPOL RD CONGO

Operazione di polizia condotta dalla UE a Kinshasa tra aprile 2005 e giugno 2007 per
coadiuvare le forze di polizia nazionali nel mantenimento dell’ordine durante la
transizione democratica e in particolare nel periodo elettorale del 2006.
Dal 1° luglio 2007 è stata sostituita da EUPOL RD CONGO che ha il compito specifico
di assistere le autorità congolesi nel programma di riforma della polizia nazionale.
Nell’ottobre 2010, il belga Jean Paul Rikir è stato nominato nuovo comandante di
EUPOL RD CONGO.

EUSEC RD CONGO

Operazione UE di assistenza alle autorità congolesi nel processo di riforma del


sistema di sicurezza nazionale con lo scopo di avviare la promozione di politiche
compatibili con i diritti umani, il diritto internazionale umanitario e attente alle
questioni di genere, alle problematiche riguardanti l’infanzia e per stabilire un sistema
legale trasparente e corretto. Nell’ottobre 2010 è stato nominato il nuovo Comandate
della missione; si tratta del Generale portoghese António Martins. Il mandato della

44
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
missionedelèCongo
stato prorogato fino al 30
settembre del 2012.
A settembre 2015 il Ministro della difesa Nazionale Aimé Ngoi Mukena ha
incontrato il colonnello Johan De Laere. Nel corso dell’incontro è stato presentato un
nuovo piano EUSEC in Rdc. Secondo quanto scritto nell’articolo di “Infos Infos” scritto
da Alfred Lukambil, il colonnello Laere ha sottolineato che l’Unione europea in
materia di riforma nel settore della sicurezza (ESUC) non solo investirà di più nella
formazione riguardante le scuole e le accademie militari, ma mirerà anche ad
assicurare la coesione dell’azione dell’Unione Europea inerente la riforma di Sicurezza
in Rdc.

Fonti: www.consilium.europa.eu
http://eeas.europa.eu/csdp/missions-and-operations/eusec-rd-
congo/documents/20150922-le-nouveau-plan- de-eusec-presente-a-ngoi-mukena_fr.pdf

Forze Armate

Il conflitto nella RDC si combatte soprattutto con armi piccole. Le forze governative
hanno una fanteria fornita solo di armi leggere. Poche delle armi pesanti comprate
dalla RDC (o, prima del 1997, dallo Zaire) dagli anni ’60 ad oggi sono utilizzate nel
recente conflitto. Sebbene le forze straniere, in particolare quelle che appoggiano il
governo, utilizzino aerei da combattimento e da trasporto, elicotteri, veicoli corazzati
e artiglieria, quest’uso è molto limitato. Nessuno dei paesi intervenuti nel conflitto ha
un grande arsenale munito di maggiori sistemi d’arma, né ne ha importati su larga
scala, negli ultimi anni.
Molto diffusi sono i Kalashnikov, i fucili a ripetizione, i lanciarazzi, le mine, i mortai,
strumenti adatti per guerre tra fazioni.
Nel 2001 le forze armate ugandesi sono state accusate di aver utilizzato mine
antiuomo nella RDC. L’Uganda, firmataria dell’APM (Anti-Person Mine) Convention,
ha negato le accuse.
Fonte: SIPRI, Yearbook 2006

2012 - Totale Forze armate governative (stime) 10.000 Esercito 8.000


Marina 800
Forze aeree 1200

Forze di opposizione (stime)

THE RALLY FOR CONGOLESE DEMOCRACY 23.000


Congolese Rally for Democracy-Liberation Movement (RCD-ML) 2-3.000
Congolese Rally for Democracy-Goma (RCD-Goma) 20.000 MOVEMENT FOR THE
LIBERATION OF THE CONGO (MLC) 18.000
CONGRES NATIONAL POUR LA DEFENSE DU PEUPLE (CNDP guidato dal Generale
Laurent Nkunda) 10.000 secondo alcuni esperti, 3/5000 secondo il GRIP

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
(Groupedelde recherche et d’information sur la paix et la securitè).
Congo
FORCES DEMOCRATIQUES DE LIBERATION DU RUANDA (FDLR) 10.000 secondo
alcuni esperti, 3/5000 secondo il GRIP.
Coalition of Congolese Patriots (PARECO): N.D. Democratic Liberation Force of
Ruanda (FDLR) : 3000 Mai Mai : N.D.
Mouvement de Liberation Congolais (MLC) : 18.000
National Congress of Defence of the People (CNDP/ANC) : N.D. Patriotic Resistance
Front in Ituri (FRPI); N.D
The Rally for Congolese Democracy (RCD) : 20.000 Lord’s Resistance Army ; 1.500

Forze straniere (stime)

In supporto del Governo


ANGOLA 2.000
ZIMBABWE >8.500

In supporto dell’opposizione
BURUNDI 1.000
RUANDA 15-20.000
UGANDA 3.000

Forze ONU
UN (MONUC) Osservatori: 719; Soldati: 16.475; Polizia: 304; Civili: 3150
UN (MONUSCO) Osservatori: 760; Soldati: 19.815; Polizia: 391; Civili: 1050

2015 - Forze armate


Militari operativi: 152,00
Riservisti: 1,500

Sistemi terrestri
Carri armati: 250
Mezzi corazzati: 210
Artiglieria autotrasportata: 100

Forze aeree Caccia/Intercettori: 2


Aeri d’attacco: 6 Aerei da trasporto: 36 Elicotteri: 27
Elicotteri d’attacco: 8

Forze marittime

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
ForzadelTotale
CongoNavale: 20 Guardacoste: 1

Fonti:
IISS The Military Balance 2010, pag. 303-304;
IISS The Military Balance 2012, pag. 483-484
www.monuc.org ;
http://monusco.unmissions.org/
http://www.globalfirepower.com/country-military-strength-detail.asp?country_id=democratic-
republic-of-the- congo

Secondo il Military Balance 2019, la RDC possiede le più grandi forze armate
dell’Africa Centrale. Tuttavia, a causa delle dimensioni del paese e il basso livello di
formazione e rifornimento di armi, tali truppe sono incapaci di mantenere sicurezza
nel territorio. Le forze armate, che hanno incorporato diversi gruppi armati non statali,
si trovano costantemente a scontrarsi con il problema delle lealtà contrastanti,
aumentando la necessità di un miglioramento dei processi di formazione e
reclutamento.

2019 – Personale militare Forze attive: 134.250 Forze centrali: 14.000


Esercito: 103.000
Guardia Repubblicana: 8.000
Forza navale: 6.700
Forze aeree: 2.550
Forze straniere: (Tutti gli stati membri della MONUSCO); Algeria, Bangladesh,
Belgium, Benin, Bhutan, Bolivia, Bosnia-Herzegovina, Burkina Faso, Cameroon, Canada
(Operation Crocodile), China, People’s Republic of, Czech Republic, Egypt, France,
Ghana, Guatemala, India, Indonesia, Ireland, Jordan, Kenya, Malawi, Malaysia, Mali,
Mongolia, Morocco, Nepal, Niger, Nigeria, Pakistan, Paraguay, Peru, Poland, Romania,
Russia, Senegal, Serbia, South Africa (Operation Mistral), Sweden, Switzerland,
Tanzania, Tunisia, Ukraine, United Kingdom, United States, Uruguay, Zambia.

2021 – Personale militare


Forze attive: 135.000

Sistemi terrestri Carri armati: 145


Mezzi corazzati: 200
Artiglieria autotrasportata: 16

Forze aeree Caccia/Intercettori: 2


Aeri d’attacco: 4 Aerei da trasporto: 10 Elicotteri: 34
Elicotteri d’attacco: 8

Forze marittime
Forza Totale Navale: 20 Guardacoste: 16

Le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) nel 2024 sono

47
Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
composte da circa 207.580 soldati, di cui circa 166.580 sono attivi e 31.000 sono
del Congo
riservisti. La forza si suddivide tra l'esercito, la marina e l'aviazione, con l'esercito che
rappresenta la maggior parte delle forze, con circa 140.000 soldati. La marina ha circa
6.500 membri e l'aviazione circa 4.000. Il personale paramilitare è stimato in 10.000
unità. L'esercito congolese è impegnato principalmente nel contrastare le numerose
milizie locali e gruppi armati nella regione orientale del paese, come nel Nord Kivu e
nell'Ituri, aree fortemente instabili.

Fonti: IISS The Military Balance 2019; www.globalfirepower.com

Spese militari
Spese militari (milioni $ USA, costanti al 2022)

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
88 69 ... ... 112 185 217 236 222 160 172
2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
270 309 392 438 397 568 485 383 330 381 394

2021 2022 2023


328 371 761

Spese militari in percentuale del PIL

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
1.2% 0.2% ... ... 0.9% 1.3% 1.4% 1.4% 1.2% 0.8% 0.7%
2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
0.9% 0.9% 1.1% 1.1% 1.0% 1.3% 1.1% 0.8% 0.6% 0.7% 0.7%

2021 2022 2023


0.5% 0.6% 1.2%

Fonti:
SIPRI, Yearbook 2015, p.374 SIPRI, Yearbook 2015, p.388 Global Fire Power 2019
SIPRI Military Expenditure Database

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Categoria: Guerre e aree di crisi – Repubblica Democratica
del Congo
Aggiornamenti precedenti:

luglio 2007 a cura di Eliana Gargiulo novembre 2008 a cura di Nicola Cicolin marzo
2011 a cura di Angelo Caddia.
dicembre 2012 a cura di Annamaria Biagia Romano e Emanuela Malatesta febbraio
2016 a cura di Elisangela Annunziato
aprile 2019 a cura di Susanna Capretti
aprile 2021 a cura di Arnaldo Casasoli

Ultimo aggiornamento: a cura di Violetta Pagani, novembre 2024.

IRIAD REVIEW. Studi sulla pace e sui conflitti.


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Mensile dell’IRIAD (Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo)
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Disarmo)

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