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Immunità

Il documento analizza le immunità degli agenti diplomatici e consolari, evidenziando che queste immunità, riconosciute dal diritto internazionale, proteggono gli agenti diplomatici sia nella loro sfera privata che nelle loro funzioni ufficiali. Le immunità penali garantiscono che gli agenti non possano essere perseguiti penalmente durante il loro mandato, mentre le immunità civili impediscono loro di essere citati in giudizio per le loro attività private. Inoltre, si discute l'importanza della protezione della sede diplomatica e della corrispondenza diplomatica, sottolineando la responsabilità dello Stato accreditante nel garantire l'inviolabilità di questi spazi.
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Il documento analizza le immunità degli agenti diplomatici e consolari, evidenziando che queste immunità, riconosciute dal diritto internazionale, proteggono gli agenti diplomatici sia nella loro sfera privata che nelle loro funzioni ufficiali. Le immunità penali garantiscono che gli agenti non possano essere perseguiti penalmente durante il loro mandato, mentre le immunità civili impediscono loro di essere citati in giudizio per le loro attività private. Inoltre, si discute l'importanza della protezione della sede diplomatica e della corrispondenza diplomatica, sottolineando la responsabilità dello Stato accreditante nel garantire l'inviolabilità di questi spazi.
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L’IMMUNITÀ DEGLI AGENTI DIPLOMATICI E DEGLI AGENTI

CONSOLARI
Da Diritto.it

1. Agenti diplomatici e le loro immunità

All’ interno del corpo diplomatico ci sono delle distinzioni di rango, che,
però, ha importanza dal punto di vista del cerimoniale in mondo particolare.

Vi è la posizione, ovviamente, del capo della missione diplomatica –


l’ambasciatore – e dell’insieme dei componenti la missione diplomatica. È il
capo della sede diplomatica la persona autorizzata a comunicare
direttamente con gli organi centrali dello Stato accreditante o, meglio, può
essere definito quale portavoce del governo inviante. Egli è il soggetto con il
quale si dialoga praticamente a nome del proprio governo con quello
ricevente.

Normalmente, è un ambasciatore perché si è a livello maggiore della


carriera, ma non necessariamente per la ragione che si può avere un
incaricato d’affari a seconda del tono che lo Stato vuole attribuire alla sua
presenza nell’ altro Stato. Come si può constatare, la posizione dell’incaricato
d’affari è diversa da quella degli altri agenti diplomatici, dell’ambasciatore
oppure del ministro plenipotenziario o del ministro residente, per questa
mera ragione: l’incaricato d’affari è accreditato e ricevuto dal Ministero
degli Affari Esteri.

I protagonisti della ricevuta di accreditamento rispetto agli agenti diplomatici


sono i capi di Stato, mentre agli incaricati d’affari sono i ministri degli Affari
esteri. Esiste questa competenza specifica del ministro degli affari esteri in
materia. Per quanto concerne gli incaricati d’affari sono l’ultima
categoria degli agenti diplomatici.

Una volta che si acquista la qualità di agente diplomatico – quale che sia il
rango – si ha diritto ad un certo trattamento, in quanto il diritto
internazionale generale, successivamente codificato nella convenzione di
Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, riconosce l’obbligo allo Stato di
residenza una serie di vincoli di trattamento nei confronti degli agenti
diplomatici e della sede o della missione in genere.

Questo trattamento si risolve, appunto, nelle immunità fondamentalmente


ma non esclusivamente perla ragione che, ad esempio, il trattamento implica
anche il fatto che si devono assicurare le forniture di energia, le quali sono
necessarie per far funzionare la missione diplomatica, che si deve,
comunque, assi- curare la libertà di comunicazione fra il personale
dell’ambasciata e lo Stato inviante, non ci deve mai essere interferenza,
disturbo, interruzione nei collegamenti fra il governo inviante e gli agenti
diplomatici.

Le immunità, quindi, rappresentano la gran parte degli obblighi di


trattamento. Queste sono quelle che spettano – se si guarda la persona del
diplomatico – alla persona come tale, come privato perché quando l’agente
diplomatico, al contrario, agisce nella sua qualità, vede la sua attività o la
sua volontà riferita direttamente allo Stato di cui è organo. Attraverso di lui
parla lo Stato. Pone in essere i comportamenti propri dello Stato, egli è
strumento di volontà/attività dello Stato. Quando agisce nella sua veste
ufficiale, l’immunità c’è ugualmente, che non è quella dell’agente
diplomatico ma dello Stato straniero rispetto a comportamenti che ha posto
in essere in quanto organo dello Stato.

Le immunità a cui si ha riguardo, quando si parla di immunità diplomatiche,


almeno con riferimento alle immunità spettanti alla persona del diplomatico,
sono immunità che concernono la sfera privata dell’agente, il suo agire da
privato nell’ambito dello Stato. In questo senso il diritto internazionale gli
riconosce una serie di immunità a partire da quella penale. Qui, anzi, va
detto qualcosa di più. Mentre le immunità degli Stati stranieri sono immunità
che toccano il diritto sostanziale – lo Stato straniero non è tacito, vale a dire
che non è fra i destinatari delle norme considerate e, quindi, le immunità di
tipo processuale non è altro che un riflesso di quella di carattere essenziale –
le immunità dell’agente diplomatico, al contrario, hanno un valore
processuale, il che vuol dire che l’agente diplomatico resta destinatario delle
norme di carattere sostanziale. Ciò non sta ad indicare che l’agente
diplomatico, per esempio, non è destinatario delle norme penali che vedono
la commissione di reati e sottostà pure a quelle norme, certamente, o anche
alle norme di carattere civile, che concernono i suoi rapporti, soltanto fino a
quando dura la missione diplomatica e quindi finché egli riveste quella sua
qualità, l’agente diplomatico non può essere convenuto in giudizio per la
ragione che si ritiene, appunto, che il convenirlo in giudizio turbi l’esercizio
della funzione diplomatica, impedisce la legazione. Alla base c’è il cosi
detto ne impediatur legatio, che sta ad indicare che non vi deve essere
alcun impedimento od ostacolo all’esercizio della missione. Questa è la ratio
appunto delle immunità, ma ciò sta ad indicare che quando la persona
considerata cesserà di rivestire quella sua qualità potrà essere convenuto in
giudizio per fatti che sono accaduti precedentemente.
Questa è la ratio appunto delle immunità, ma ciò sta ad indicare che quando
la persona considerata cesserà di rivestire quella sua qualità potrà essere
convenuto in giudizio per fatti che sono accaduti precedentemente. Ecco
perché a volte può essere anche importante per la persona – una persona
alla quale cessa o sta per cessare il riconoscimento della qualità di agente
diplomatico – di lasciare il territorio dello Stato per la ragione che, se poi
rimane, si metterebbe a rischio e pericolo, nel senso che non sarà più
coperto dall’immunità e, pertanto, può assumere importanza per il fatto che
se vuole evitare di essere tradotto in giudizio per fatti per cui fino a quel
momento non poteva essere convenuto, allora gli converrà abbandonare il
territorio dello Stato accreditante, in quanto le immunità terminano col
cessare della sua qualità di diplomatico, esse hanno un carattere
esclusivamente processuale e non sostanziale, per cui se l’agente
diplomatico, ad esempio, avesse commesso un illecito, secondo la
valutazione fatta dagli organi giudiziari dello stato, non può essere
processato penalmente. Nel momento in cui cessa questa qualità – se è
suscettibile di essere catturato fisicamente da parte dello Stato sul cui
territorio è stato commesso il reato – viene arrestato e sottoposto a
processo e, eventualmente, condannato alla pena della detenzione.

Quindi, esiste una differenza fondamentale tra le immunità le quali sono


riconosciute allo Stato e quelle riconosciute alla persona dell’agente
diplomatico.

2. Immunità penale

Il diplomatico, sotto il profilo dell’immunità penale, fruisce di un’immunità


piena, larghissima, praticamente senza confini. L’agente diplomatico non
può mai essere sottoposto a processo penale. È una specie di privilegiato
sino a quando dura la sua qualità di agente diplomatico, questa è la così
detta inviolabilità personale dell’agente diplomatico, un concetto che
abbraccia pure l’impossibilità di essere sottoposto a processo.

La inviolabilità, in senso stretto, implica che lo Stato deve astenersi da


qualunque atto coercitivo diretto a privare l’agente diplomatico nella sua
libertà personale e non solo, ma deve pure fare in modo che egli sia
sottoposto contro eventuali tentativi di privarlo nella libertà personale,
cioè l’inviolabilità implica sia un obbligo negativo di astensione dall’agire nei
confronti dell’agente diplomatico sia un obbligo positivo di apprestare quelle
misure che sono idonee ad evitare che ci siano atti che si consumino nei suoi
riguardi e atti diretti a privalo della libertà personale. L’immunità penale
significa che, in pratica, non può essere sottoposto a procedimento penale di
alcun genere.

La inviolabilità investe anche la sede della missione diplomatica o


ambasciata perché è tutto l’insieme che deve essere protetto e a tutto
l’insieme che deve essere assicurata la possibilità di assolvere ai compiti che
sono propri della missione stessa e, quindi, anche rispetto alla sede
diplomatica esiste un obbligo negativo di astensione, per cui lo Stato
non deve esercitare alcun atto coercitivo nei confronti dell’edificio
dell’ambasciata, da un lato, e, dall’altro, un obbligo positivo, nel senso che
deve apprestare quelle misure idonee onde evitare che siano commessi atti
coercitivi, di forza, di violenza nei riguardi dell’intera missione diplomatica.

Questo tutto adeguato alle circostanze. Quando più si profila il pericolo che ci
siano azioni di turbamento della pace della sede diplomatica, dell’integrità o
della incolumità delle persone che sono ubicate all’interno dell’ambasciata,
tanto più si deve rafforzare la protezione che lo Stato deve offrire. Insomma,
lo Stato deve fare in modo che non si compiano mai atti di violenza nei
riguardi della sede della missione di uno Stato straniero stanziata sul lembo
territoriale dello Stato accreditante.

Si parlava, tradizionalmente, addirittura di extra-territorialità –


espressione antica riguardo alla sede diplomatica – perché è un termine che
appare ab- bastanza efficace nel mostrare come ci sia una specie di isola, in
cui non arrivavano le norme dello Stato o, meglio, l’autorità dello Stato come
se si trattasse di un lembo di territorio sottratto alle autorità dello Stato. Non
è esattamente così, ma è sotto l’autorità dello Stato, solo che l’autorità dello
Stato deve esercitarsi in una direzione precisa, anzi serve l’autorità dello
Stato perché proprio in quanto lo Stato esercita la sua autorità, esso deve
fare in maniera che non avvengano atti di autorità, esso deve fare in maniera
che non avvengano atti di violenza nei riguardi della sede diplomatica, cioè a
dire, lo Stato ha la responsabilità di assicurare affinché non si determinino
forme di violenza nei confronti della ambasciata.

La sovranità è, certamente, fuori discussione anche se c’è un lieto evento


della missione diplomatica come la nascita di una prole, non è che si sosterrà
che non è nato nel territorio dello Stato, è sempre nato nel territorio dello
Stato, quindi quella parte del lembo territoriale resta una parte del territorio
dello Stato.

Extraterritorialità, dunque, è un’espressione in realtà impropria, imprecisa,


approssimativa, forse sostanzialmente inesatta se dà l’idea che quella parte
di territorio non sia sotto l’autorità dello Stato e sia sottratta la sovranità. È
solo un termine sintetico per significare che esistono degli obblighi di
trattamento, i quali sono, appunto, quelli indicati: l’inviolabilità nei due
aspetti che essa presenta positivo e/o negativo. Questa è un’espressione di
comodo che è, ancoraggi, spesso usata per esprimere l’ampiezza di questa
immunità, ma che tecnicamente è un termine errato, per la ragione che la
sede ovvero il luogo in cui si trova la missione diplomatica di uno Stato
straniero non può considerarsi al territorio dello Stato locale, è un luogo nel
quale lo Stato locale incontra una serie particolarmente ampia e intensa di
limitazioni alla sovranità, ma ad ogni effetto giuridico fa parte integrante del
territorio, non è extra territorio. Per chiarire pare opportuno tracciare un
esempio. Se un delinquente, nottetempo, dopo aver commesso un furto, si
introduce in un’amba- sciata straniera presente a Roma, per sfuggire
alla cattura della autorità di polizia, non si è rifugiato all’estero, per cui non
occorrerà un procedimento c.d. di estradizione. Cioè, quelle garanzie che si
richiedono per l’estradizione non esistono per la persona, delinquente
comune, che si è rifugiata nella sede della missione diplomatica di un altro
Stato. In questa sede, si opererà semplicemente una consegna: cioè a dire
che la polizia dello Stato accreditante, in concerto con l’autorità dello Stato
straniero, si presenterà all’esterno della ambasciata e gli verrà consegnato il
responsabile del furto che si era rifugiato nella sede diplomatica. Si tratta di
una mera consegna come può essere quella che si determina se un
delinquente si introduce nella normale abitazione di un privato cittadino.

Esiste, in aggiunta, l’immunità come quella, con riguardo alla sede,


dell’immunità reale in contrapposizione all’immunità personale, che tocca
la persona dell’agente diplomatico, qui si ha, al contrario, la sede quale
bene.

Vi è anche l’inviolabilità della corrispondenza diplomatica, che come


strumento di collegamento fra il diplomatico e il governo inviante – il governo
dello Stato a cui l’agente diplomatico appartiene.

La c.d. valigia diplomatica – serie di bagagli in cui so- no racchiusi


documenti che interessano, attraverso cui operano mezzi di attivazione della
sede diplomatica, dell’agente diplomatico o dell’ambasciata nel suo insieme.

La valigia diplomatica (valise diplomatique) fruisce anche di questa


condizione privilegiata e questa sottrazione al controllo. Qui, si sono
opposti, in passato, dei problemi, cioè si aveva il sospetto che sotto la
copertura dell’immunità della valigia diplomatica ci fosse traffico o si
consumassero traffici illeciti come, ad esempio, l’introduzione di droghe o di
armi nel territorio dello Stato.

Gli sviluppi più recenti sono nel senso che è sempre possibile un controllo di
quelli elettronici che consente di verificare, per l’appunto, se vi sono
sostanze sospette, materiale la cui introduzione nel territorio dello Stato viola
le leggi dello Stato, senza contempo ingerire nella documentazione o nel
materiale che interessa la missione diplomatica e deve essere al riparo di
interferenze esterne. L’agente diplomatico ha diritto alla segretezza del
contenuto della sua valigia. Dove, però, il termine valigia non va inteso in
senso comune, ma qualunque contenitore più o meno piccolo o grande, che
porti in maniera palese, visiva il simbolo dello Stato e il carattere
diplomatico.

Nella valigia diplomatica, sebbene si conservano carte segrete o documenti,


sarebbe sacrilego aprirla. Quindi, è vero che la valigia diplomatica deve
avere tutte le immunità necessarie affinché qui possa dirsi ne impediatur
legatio, anche perché la documentazione fondamentale possa essere
trasportata per il corretto esercizio dell’ufficio diplomatico.

3. – Immunità civile

Oltre alle immunità di tipo penale di cui si è trattato nel precedente


paragrafo, vi sono anche quelle dalla giurisdizione civile che implicano
appunto che l’agente diplomatico non possa essere convenuto in cause civili
per l’attività che svolge come privato; se, ad esempio, l’agente diplomatico
effettua un acquisto di beni suoi personali e, quindi, agisce nell’ambito
della sua sfera privata o se avesse, per caso, una piccola attività
commerciale, per cui si potesse trovare coinvolto in vertenze di carattere
civile, non potrebbe essere convenuto davanti ai giudici dello Stato finché
dura la sua missione diplomatica ovvero la sua qualità di agente diplomatico;
anche se poi ci sono delle eccezioni come, ad esempio, si ritiene che le cause
aventi ad oggetto diritti reali su beni che sono ubicati nel territorio dello
stato, quelle possono vedere l’agente diplomatico convenuto e così anche le
cause successorie (queste sarebbero le eccezioni al principio della immunità
dalla giurisdizione civile).

Si discute, inoltre, sul punto se l’agente diplomatico possa agire in


riconvenzionale o, meglio, se si possa agire contro l’agente diplomatico
sebbene l’immunità mette l’agente diplomatico al riparo dal pericolo di
essere convenuto da iniziative giudiziarie prese da altri nei suoi riguardi, ma
egli può sempre agire in giudizio.
Dire che alle immunità dalla giurisdizione civile non implica che non possa
essere attore in un giudizio, cioè, prendere egli l’iniziativa giudiziaria nei
confronti di altri e allora si asserisce quanto segue: quando un diplomatico
prenda un’iniziativa, la parte convenuta potrebbe agire in
riconvenzionale, vale a dire proprio cogliere l’opportunità del fatto che è
stato lo stesso agente diplomatico che si è sottoposto alla giurisdizione dello
Stato per agire, a sua volta, la parte citata in giudizio nei riguardi dell’agente
diplomatico, in relazione, ovviamente, alla medesima causa. Questo
sembrerebbe che questa sia un’eccezione e cioè che sia possibile anche
agire in riconvenzione, visto che l’agente diplomatico ha adottato questa
iniziativa e allora ne subisce pure questa conseguenza negativa nei suoi
riguardi di permettere all’altra parte di agire a sua volta. Ma questo è un
punto che è abbastanza controverso se ammesso dalla convenzione di
Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, tuttavia, non è pacifico che in
questo punto la codificazione di Vienna codifichi ovvero non piuttosto
introduca una nuova limitazione alla immunità dalla giurisdizione dell’agente
diplomatico.

La stessa convenzione del 1961 asserisce, infatti, che l’agente diplomatico


gode dell’immunità dalla giurisdizione penale dello Stato accreditatario, gode
del pari dell’immunità dalla giurisdizione civile e amministrativa dello stesso,
salvo si tratti di azione reale su un immobile privato ubicato sul lembo
territoriale dello Stato accreditatario, purché l’agente diplomatico non lo
possegga per conto dello Stato accreditante ai fini della missione, entrando
in questo caso nel campo dell’immunità dello Stato straniero, e di un’azione
riguardante una successione, nella quale l’agente diplomatico figuri come
esecutore testamentario, amministratore, ereditario oppure legatario, a titolo
privato e non in nome dello Stato accreditante. Ancora una volta se si
verificasse questa ipotesi, si dovrebbe parlare di immunità dello Stato
straniero dalla giurisdizione e non dell’immunità dell’agente diplomatico.
Infine, di un’azione inerente un’attività professionale o commerciale qualsiasi
esercitata dall’agente diplomatico nello Stato accreditatario al di là
delle sue funzioni ufficiali. Questa immunità di cui si sta trattando, con le
eccezioni sancite nella convenzione del 1961, è l’immunità dal giudizio di
cognizione, cioè, giudizio diretto ad accertare l’esistenza di diritti od obblighi.
Esiste, in aggiunta, il processo di esecuzione, vale a dire diretto a realizzare
le pretese con concorso del giudice. Viene delineato, infatti, che alcuna
misura di esecuzione può essere adottata nei confronti dell’agente
diplomatico, tranne, nei suoi riguardi, in determinati casi, sanciti nell’articolo
31, paragrafo 1, capoversi a, b e c della Convenzione di Vienna sulle
Relazioni Diplomatiche del 1961, e purché l’esecuzione possa farsi senza che
sia menomata l’inviolabilità dell’agente diplomatico e la sua dimora.

Un altro punto da sottolineare concerne il fatto che esiste una immunità circa
la testimonianza, aspetto del trattamento che compete all’agente
diplomatico. Da qui si evince che l’agente diplomatico non è tenuto a
prestare alcuna testimonianza.

La norma sulla riconvenzionale è, poi, anche quella secondo cui lo Stato


accreditante ha la possibilità di manifestare l’intenzione di rinunciare
all’immunità giurisdizionale dell’agente diplomatico e di coloro che ne
godono, come i componenti della famiglia dell’agente diplomatico, i membri
del personale amministrativo, tecnico e via discorrendo. L’immunità, quindi,
è rinunciabile per volontà dello Stato. È lo Stato accreditante a rinunciare
all’immunità, rinuncia che deve essere espressa; questo sta ad indicare che
non si ammettono o non sono ammesse rinunce tacite, nel senso che se un
agente diplomatico o una persona che gode dell’immunità giurisdizionale,
che intraprenda una procedura, non può invocare questa immunità per
nessuna domanda riconvenzionale direttamente connessa alla domanda
principale. È questa introduzione, quindi, di ulteriore eccezione che viene
costituita dall’ammissibilità di domande riconvenzionali nei confronti
dell’agente diplomatico, quando questi abbia preso egli stesso l’iniziativa
giudiziaria ovvero abbia avviato un procedimento e, una volta che lo ha
promosso, si deve, in seguito, consentire al convenuto di agire, a sua volta,
sempre rispetto ad un’azione, la quale è direttamente legata all’azione
promossa dall’agente diplomatico. Vi è chi crede che questa sottolineatura,
in realtà, non rispetti il diritto internazionale consuetudinario o cogente, ma
sia, pertanto, una sorta di innovazione.

Lo sviluppo progressivo del diritto internazionale, di cui parla la Carta delle


Nazioni Unite, affianco alla codificazione e, quindi, si ha una norma di
sviluppo progressivo, è una norma introdotta. Se così fosse, questa norma
non potrebbe essere invocata nei riguardi di Stati che non abbiano ratificato
la Convenzione di Vienna del 1961 – questa è la differenza concreta – e si
comprende nei confronti di questi Stati la distinzione se si sia dinanzi ad
un jus cogens o ad un accordo convenzionale.

4. Immunità fiscale e tributaria

Esiste anche un’immunità che concernono i profili fiscali e l’immunità che


concerne i profili tributari.
La Convenzione di Vienna, seguendo abbastanza rigidamente il principio
della tutela della funzione, ha determinato un esenzione tributaria in un certo
assoluta in relazione ai locali della sede diplomatica.

Nella Convenzione di Vienna inerente le relazioni diplomatiche del 1961,


esistono delle norme che riguardano l’imposizione fiscale. Con riguardo
all’agente diplomatico, al contrario, l’esenzione viene sostanzialmente
determinata in ordine alle imposte dirette personali relative al reddito
percepito dallo Stato d’invio per lo svolgimento della propria funzione
pubblica, mentre sono esclusi benefici tributari relativi ai redditi o cespiti
estranei alla funzione, oltre alle imposte indirette circa l’acquisto di beni.

L’agente diplomatico, infatti, viene esentato da ogni tassa personale o


imposta reale dello Stato o della regione o del comune, tranne dalle imposte
indirette che ordinariamente sono incorporate nel prezzi delle merci e dei
servizi; dalle imposte e tasse sui beni immobili privati ubicati sul territorio
dello Stato accreditatario, salvo che l’agente diplomatico non li possegga
per conto dello Stato accreditante, ai fini della missione e dalle imposte di
successione riscosse dallo Stato accreditatario, riservate le disposizioni
dell’articolo 39, paragrafo 4, della Convenzione di Vienna del 1961,
queste sono delle eccezioni che sono un po’ parallele a quelle delle immunità
dalla giurisdizione civile come i beni immobili e le successioni. Non viene,
inoltre, esentato da imposte e tasse sui redditi privati che hanno la loro fonte
nello Stato accreditatario e dalle imposte sul capitale prelevato per
investimenti in imprese commerciali, situate nel detto Stato, come per
l’eccezione delle attività commerciali che l’agente diplomatico, eventual-
mente, svolga all’interno dello Stato; da imposte e da tasse percepite in
rimunerazione di determinati servizi resi e dalle tasse di registro, di
cancelleria, di ipoteca e di bollo per i beni immobili.

Tutte queste sono eccezioni al principio. Questo può considerarsi un settore


in cui vi sono molte eccezione, ma, in realtà, secondo l’opinione più diffusa, il
diritto internazionale generale obbliga ad esentare, in maniera esclusiva,
dalle imposte dirette personali e non dalle altre, anche se, poi, è usuale nei
rapporti fra Stati di essere più larghi nella concessione delle immunità, ma si
sostiene che lo si fa per ragioni di cortesia o di convenienza o di reciprocità
non per la ragione che si è vincolati da una norma generale. È uno di quei
casi in cui la prassi non di per sé solo indicativa di una consuetudine
esistente in quanto non è accompagnata dall’opinio iuris seu necessitati,
quindi, una prassi più liberale, nel senso di concessione di esenzioni maggiori
di carattere fiscale, non implica che lo si faccia obbedendo ad una norma
generale, ma lo si fa per ragioni di buoni rapporti con lo Stato. Questo è un
po’ il quadro delle immunità, con tutte queste eccezioni, che finisce con il
confortare quest’idea del contenuto piuttosto circoscritto della norma
sull’immunità tributaria.

5. Immunità al personale ufficiale della missione

Queste immunità, di cui si è trattato nel precedente paragrafo, non valgono


solo per l’agente diplomatico, ma, in genere, anche al personale ufficiale
della missione diplomatica e, inoltre, concerne anche i membri della famiglia
dell’agente diplomatico. Questi ultimi, che hanno un stretto rapporto
familiare con l’agente diplomatico, beneficiano dei privilegi e immunità,
secondo quanto sancito nella Convenzione di Vienna del 1961, purché non
siano cittadini dello Stato accreditatario.

Rispetto ai cittadini dello Stato accreditatario vi è un atteggiamento in


favore nettamente minore in quanto concerne la concessione di immunità
diplomatiche, per la ragione che (lì) si esalterebbe, effettivamente, il profilo
del privilegio di un cittadino nei confronti degli altri cittadini, ecco che le
esigenze di evitare questo prevale sulle esigenze di assicurare queste
immunità.

Oltre che alla famiglia, poi, c’è una estensione pure al c.d. personale
amministrativo e tecnico della sede della missione diplomatica. Non
soltanto, dunque, il personale ufficiale, cioè quello che coadiuva
strettamente il capo della missione diplomatica nell’esercizio della funzione
tipica, ma anche il personale ausiliario della ambasciata.

I membri del personale amministrativo e tecnico della missione e i membri


delle loro famiglie, infatti, che convivono con loro, godono, a patto che non
siano cittadini dello Stato accreditatario o non abbiano in esso la residenza
permanente, dei privilegi e delle immunità menzionati nella Convenzione di
Vienna del 1961, salvo che l’immunità giurisdizionale civile e
amministrativa dello Stato accreditatario, sancita nella stessa Convenzione
del 1961, non si applichi agli atti compiuti al di là dell’esercizio delle loro
funzioni. Essi godono altresì dei privilegi menzionati nel paragrafo 1
dell’articolo 36, per gli oggetti importati in occasione del loro primo
stabilimento. Quindi, l’immunità è circoscritta in definitiva, immunità dalla
giurisdizione civile ed amministrativa, per gli atti che sono esercizio delle
funzioni.

Quando si dice immunità per gli atti, che sono esercizio della funzione, non si
fa che applicare il criterio in base a cui gli atti che sono compiuti nella
veste ufficiale sono atti dello Stato e, pertanto, l’immunità è un’immunità
che finisce con l’identificare insieme all’immunità riconosciuta allo Stato
straniero come tale.

Quel principio, per cui l’organo dello Stato straniero opera come portatore
della volontà o dell’attività dello Stato straniero, implica, infatti, che
qualunque organo si trovi in quella condizione fruisca della immunità, ma
perché, in realtà, non è un’immunità che si riconosce alla sua persona, come
avviene per l’agente diplomatico quando agisce nell’ambito della sua sfera
personale, ma è un’immunità che si riconosce allo Stato e, quindi, è collegata
all’imputazione allo Stato della volontà ovvero dell’attività posta in essere
dell’organo straniero.

Questo è un discorso che poi vale in buona misura per il corso ad hoc; anche
lì le immunità consolari, le quali sono maggiormente ristrette di quelle
spettanti agli agenti diplomatici per la ragione che finiscono con l’essere
circoscritte all’attività che il console svolge nella sua veste ufficiale. Ma dire
questo significa solamente che si applica l’immunità dello Stato straniero,
quindi sono le immunità riconosciute allo Stato straniero per le attività che
pone in essere attraverso i suoi organi.

Che sia l’organo consolare, che sia un altro organo, che sia l’agente
diplomatico, che sia il personale amministrativo e/o tecnico della missione
diplomatica da questo punto di vista cambia poco per la ragione che il
principio fondamentale sta nel fatto che la volontà o l’attività posta in
essere da un organo dello Stato straniero è attività o volontà dello
Stato straniero, e, quindi, fruisce dell’immunità che compete allo Stato
straniero.

C’è, ancora, da aggiungere un’ulteriore estensione – addirittura questa anche


dubbia – ai domestici privati dei componenti dell’ambasciata, che non siano
cittadini dello Stato accreditatario. Questi sono esenti dalle imposte e
dalle tasse sui salari che ricevono in relazione ai servizi, ma sempre che sia
stranieri per il fatto che se sono cittadino pagano ugualmente le tasse. La
Convenzione di Vienna del 1961, infatti, è molto chiara quando dispone che i
domestici privati dei membri della missione, che non hanno la cittadinanza
dello Stato accreditatario e nemmeno la residenza permanente, vengono
esentati dalle imposte e tasse sugli stipendi che ricevono per la loro attività
domestica che prestano alla sede diplomatica. Per altri riguardi essi non
fruiscono dei privilegi e immunità, se non ammessa dal detto Stato.
Lo Stato accreditatario, in aggiunta, deve porre in essere la giurisdizione su
tali persone per non ostacolare, in modo eccessivo, l’adempimento delle
mansioni della sede diplomatica.

Così come sono esenti da tasse gli eventuali introiti dell’ambasciata e/o del
consolato per attività che interessano l’ordinamento dello Stato di
provenienza – pure quelli sono esenti dall’imposizione fiscale dello Stato
della sede – e qui sono esenti anche le retribuzioni che vengono corrisposte,
purché si tratti sempre di domestici che non siano in possesso della
cittadinanza dello Stato accreditatario.

Con questo solo limite, che si ritrova anche, per certi altri aspetti, i consoli di
carriera e i consoli onorari. Tra le due figure esistono delle differenze che
hanno ancora meno riconoscimento di privilegi, anche, tuttavia,
ammettendosi l’esercizio della giurisdizione su queste persone; questo
esercizio deve avere luogo in modo tale da non ostacolare in modo eccessivo
il compimento delle funzione della missione. Vi è, quindi, questa specie di
remora che deve accompagnare l’esercizio dalla giurisdizione e fare in modo
che l’esercizio non venga intralciato, il che è una cosa abbastanza arduo
verificarsi.

Esercitare la giurisdizione nei confronti di un domestico non è che possa


essere un grande impedimento, data la sua fungibilità. Sono forme così
tenue, sfumate di limitazione, che la stessa Convenzione di Vienna ha
ritenuto di introdurre.

In questa maniera si ha il quadro della situazione che investe le missioni


diplomatiche e si può dire che questo genere di trattamento sia pure con
alcune limitazioni, ma non di grande portata, concernono anche le
c.d. missioni speciali – per lo svolgimento di determinati compiti, al fine di
raggiungere degli scopi particolari – e poi anche le missioni o delegazioni
accreditate presso le organizzazioni internazionali.

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6. Agenti consolari e le loro immunità

Esistono altrettanto convenzioni che fanno un po’ il paio con quelle


di Vienna del 1961 e del 1963, le prime inerenti le relazioni diplomatiche e
le seconde concernenti le relazioni consolari.
Per quanto riguarda i consoli (di carriera e/o onorari), c’è un complesso
di immunità, ma che sono fondamentalmente immunità tendenti ad
assicurare la salvaguardia, la sottrazione alla giurisdizione delle attività
compiute nella veste ufficiale – quello di cui si argomentava
antecedentemente – non sono riconosciute al console in quanto soggetto
privato, che agisce nella sua sfera personale, ma al console in quanto
organo dello Stato a cui appartiene. Sono, quindi, forme di immunità dello
Stato straniero, riconosciute ad uno Stato straniero[14].

La tutela del console è più tenue sotto il profilo della inviolabilità


personale, per la ragione che, mentre per l’agente diplomatico è assoluta
tale inviolabilità, al contrario, il console può essere pure privato della libertà
personale per crimini gravi per atti che vanno oltre le sue forme della propria
funzione con atto dell’autorità giudiziaria e, quindi, il console non fruisce di
quella condizione di sottrazione alle misure coercitive e personale che,
invece, sono proprio dell’agente diplomatico, almeno per il tempo per cui
dura la missione diplomatica.

Dal punto di vista dell’inviolabilità della sede, merita puntualizzare una


considerazione che, rispetto ai con- soli e alla sede della missione consolare,
è possibile per casi di incendio o pericolo per l’incolumità pubblica, poiché la
forza pubblica dello Stato non dovrebbe mai poter entrare nella sede se non
c’è il consenso del capo della missione. Tale consenso è richiesto per iscritto,
per la ragione che non ci deve essere ombra di dubbio sul fatto appunto che
sia stato accordato, ma l’ipotesi dell’incendio e dell’incolumità
pubblica sono ipotesi che meritano ponderazioni separate e, nel caso dei
consoli, sono espressamente previste. E come se il consenso fosse presunto
per intervenire nella sede consolare, mentre per l’ipotesi dell’agente
diplomatico non è espressamente prevista, ma si ritiene in questo caso che –
specialmente nel caso dell’incendio – non possa non esserci un intervento
ben accolto da parte della missione diplomatica. C’è, poi, da considerare che
ipotesi del genere in fondo mettono in causa anche interessi dello Stato
ospite. L’incendio non è che interessi solo perché si può propagare e andare
oltre come danno nella sede della missione diplomatica e così pure
l’incolumità pubblica, per esempio, che si sviluppino forme di epidemia
all’interno dell’ambasciata o del consolato, allora, in questo caso appare un
interesse che trascende l’ambito della missione diplomatica o consolare.

A fronte di tutti questi vantaggi, che hanno i componenti della missione


diplomatica e consolare, esistono degli obblighi. Devono intanto
rispettare leggi e regolamenti dello Stato.
Il fatto che siano sottratti alla giurisdizione per il tempo per cui dura la
missione con quelle piccole aggiunte temporali, le quali si rendono
necessarie per perfezionare la procedura di accreditamento nel caso di
acquisto di agente diplomatico e per lasciare il territorio quando si perde tale
qualità, salvo queste piccole aggiunte, si fruisce di queste immunità dalla
giurisdizione – con riferimento in particolar modo allo agente diplomatico –,
ma a fronte della sussistenza e il godimento di tali immunità, non implica
certamente che l’agente diplomatico non debba rispettare le leggi e i
regolamenti dello Stato locale. Non si rammenti che si tratta di immunità che
hanno un carattere fondamentalmente processuale, cioè sono sottratte
all’esercizio della giurisdizione, non sottratte all’applicazione delle norme
sostanziali dello Stato, per cui il reato dell’agente diplomatico è sempre un
reato, in quanto previsto dalle norme penali sostanziali. Sebbene non possa
es- sere processato, perché bisogna rispettare la sua qualità di agente
diplomatico finché questa dura, ma non si può dire che l’agente
diplomatico sa sottratto alle norme penali dello Stato, il quale non abbia
commesso un reato che non sia nella condizione di compiere un reato,
perché non è destinatario di norme penali, ciò sarebbe errato.

L’agente diplomatico è sempre destinatario delle norme dello Stato locale


secondo quanto viene sancito nello articolo 41 paragrafo 1, secondo cui
senza pregiudizio “tutte le persone che godono di privilegi e immunità sono
tenute, senza pregiudizio degli stessi, a rispettare le leggi e i regolamenti
dello Stato accreditatario. Esse sono anche tenute a non immischiarsi
negli affari interni di questo Stato”, rispetto della sovranità altrui, ed era
particolarmente importante sottolinearlo, perché chi si trova nello Stato
straniero ed è a contatto abbastanza frequente con gli organi appunto dello
Stato ospitante, ha pure delle possibilità di influenza sulle determinazioni di
quegli organi e, quindi, era importante evidenziare che non vi deve essere un
tentativo nella direzione di immischiarsi negli affari locali.

Si rammenti di questa disposizione perché era su questa che si attaccava


il regime iraniano di Komeini, quando accusava gli Stati Uniti d’America di
aver violato le norme concernenti le relazioni diplomatiche.
Fondamentalmente, era questa la norma che si considerava violata da una
pratica di continue ingerenze delle autorità statunitensi negli affari interni
dello Stato dell’Iran, che si realizzava proprio attraverso l’azione della
missione diplomatica o del consolato a Teheran.

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