Structogram1 - PianoDidattico Completo
Structogram1 - PianoDidattico Completo
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Apertura della sessione di Training
Introduzione e Autopresentazione dei Partecipanti
Benvenuto a cura del Trainer, ringraziare per la partecipazione (non è scontato trovare tempo da dedicare a
sé ed al proprio nutrimento concettuale, filosofico e formativo – ragione per cui molte persone, pur cercando
soluzioni e risposte, non dedicano spazio alla coltivazione delle giuste domande).
Informarsi e Formarsi è necessario per il ripristino e per l’accumulo energetico (sapere è potere).
Indagare le motivazioni legate ad una scelta di presenza di ogni singolo partecipante e sondare così il
messaggio trasferito ad ognuno di loro. Perché sono qui e cosa si aspettano dalla sessione?
Autopresentazione del trainer
Parlare di sé in un contesto pubblico non è solo auto-presentarsi di fronte ad un pubblico. La forza dello
sguardo dell’altro deve essere intercettata e sentita poiché è uno stimolo che differenzia la percezione che
abbiamo di noi stessi dalle percezioni che di noi creiamo ai nostri interlocutori.
L’attività di Trainer sollecita emozioni legate all’autostima ed alla migliore forma di espressione di sé che
rappresenta, soprattutto per il partecipante, il desiderio di sperimentare a sua volta quella condizione.
Qui si gioca buona parte della partita, che può essere vinta soltanto se vi è chiara la vostra “Reason Why”.
Structogram è essenziale per sollevare i pensieri più reconditi del partecipante, illuminandolo sulla possibile
prospettiva che può desiderare e costruire per sé, con il nostro aiuto e supporto.
L’obiettivo del corso consiste nel trasferire conoscenza utile all’uso di uno strumento, la cui funzione, come
per tutti gli strumenti, è quella di agevolare la realizzazione di una condizione che aumenti, produca e
restituisca benessere. (Esempio: lo schiaccianoci, diversamente dalle proprie mani, permette di sgusciare le
noci più agevolmente, anche se è possibile farlo con le mani, utilizzando più energia e rischiando qualche
piccolo danno collaterale 😉😉)
La produttività è innanzitutto uno stato dell’essere, ma questa evidenza è stata profondamente distorta
dall’era industriale. L’era industriale calcolava la produttività sull’analisi e la verifica di obiettivi quantitativi,
ponendo l’individuo “a latere” dei suoi reali bisogni, e con la specifica finalità di rispettare quantità, risultato
economico e scadenze. Il motto era: “Sei retribuito per “fare” in un dato tempo, e per seguire le disposizioni,
non per pensare, innovare, migliorare”. In questa condizione, l’individuo, rinunciando progressivamente alla
propria posizione di centralità e relegato ai margini della propria esistenza professionale, spinto dai precetti
dispositivi era come una pallina della roulette che, lanciata dal croupier, subisce per l’effetto di velocità e
forza centrifuga una spinta verso il bordo della ruota. Prende forma quindi il concetto-pretesa che è
necessario essere produttivi anche se non ci si “sente” affatto produttivi. Questo ritmo crescente, unito
all’esclusione, ha creato l’insostenibilità attuale della condizione di milioni di individui rispetto al lavoro ed ai
ruoli che il lavoro prescrive.
L’uomo, per la sua scarsa capacità di adattamento, ha iniziato con sempre maggiore ostinazione ad
influenzare il mondo intorno a sé per renderlo adatto a sé. Da qui il germe di quella che Peter Durker chiama:”
Era del knowledge working.”
Ecco che l’uomo vuole riposizionarsi al centro della propria esistenza e comincia ad utilizzare la “conoscenza”
per fronteggiare le situazioni che si presentano o per realizzare le condizioni che assicurano fattibilità
all’obiettivo. Tuttavia, prima di “conoscere cosa conoscere” in termini di obiettivo desiderato, è necessario
auto-conoscersi per individuare a cosa la nostra natura unica aspira.
Colui che ha trovato se stesso non può smarrire nulla in questo mondo. Zweig
Non suona strano il fatto che quando eravamo ragazzini, e andavamo a scuola, non vedevamo l’ora che
suonasse la campanella per dedicarci ad altro, ed oggi, che abbiamo tempo per fare altro, siamo alla ricerca
di quei contenitori che ci possano, attraverso la conoscenza, destrutturare e ristrutturare? (necessità di
formarsi).
C’è qualcosa che non andava allora, o che non va oggi? Forse qualcuno ha manomesso la ricetta di come per
ciascun individuo sia possibile realizzarsi. Sono stati nascosti gli ingredienti che conducono ad un’effettiva
condizione di armonia. (E/R/P =S)
Allora le prescrizioni che il contesto in cui viviamo ci “offre” (famiglia, amici, insegnati, lavoro) mancano di
qualche ingrediente se non ci è possibile rintracciare ed aderire al nostro più profondo significato di
benessere. Ed in mancanza di conoscenza, e quindi di orientamento, siamo “costretti” a fidarci di qualcosa o
di qualcuno che non siamo noi stessi. (Esempio avvocato, leggi che non sappiamo, ci affidiamo)
Conosci te stesso
Osservando il mondo attorno a noi, disponiamo in abbondanza di regole e istruzioni che ci indicano ciò che
è giusto e ciò che è sbagliato. Tuttavia, se ogni individuo è unico, lo è anche il suo “sistema di percezione”,
per cui, non è affatto insolito che ciò che è giusto per molti non lo sia affatto per noi e ciò che per molti è
riprovevole per noi è assolutamente normale. A volte, anzi, spesso, non sappiamo davvero distinguere
un’opportunità di scelta adatta a noi e quindi, ci sentiamo in balia di continue contraddizioni che ci fanno
perdere anche il nostro senso di identità rispetto al mondo, ai fatti ed alle altre persone. Non potendo
rintracciare in noi i driver della nostra unicità, siamo sottoposti ad una scelta di “modelli esterni” e così, ci
troviamo a scegliere di essere qualcosa o qualcuno che non in tutte le circostanze assomiglia a noi e a ciò che
sentiamo di essere. Definire noi stessi, pur essendo il compito più naturale, è diventato il compito più difficile
ed improbabile.
Così, adottando identità diverse, a seconda delle situazioni che ci troviamo a fronteggiare, anche quando ci
sembra di avere tutto, o di avere raggiunto tutto, c’è qualcosa dentro di noi che non torna, perché quello che
abbiamo ottenuto, una volta ottenuto, non ci appaga e non ci assomiglia.
Il vero paradosso sta nel cercare per tutta la vita di voler essere ciò che non siamo. (Utilizzare qualche
esempio o aneddoto, tipo Il Re Leone)
Parlare di problema o di soluzione, non significa nulla se non sappiamo cosa per un individuo corrisponde ad
un problema e cosa ad una soluzione. Questo disorientamento disgrega la nostra autostima. L’autostima è la
capacità di misurarsi, ad esempio di fronte ad un compito. Il punto non è imparare a fare il compito, perché
su quello possono riuscirci tutti, quanto riuscire a misurare il costo biologico che ha per noi lo svolgimento
del compito. Essere scollegati dalla propria identità biologica è sempre sfiancante.
Seneca scrisse: “Abbiamo un giudice dentro di noi, che sa tutto di noi, ed è spietato nel riferirci le nostre
omesse responsabilità”. Bisogna sapere ascoltarlo.” Il nostro giudice non fa altro che il suo compito ed
emette sentenze, su ciò che facciamo e sul perché lo facciamo, su ciò che non facciamo e sul perché non lo
facciamo. Semplicemente abbiamo paura di confrontarci con lui perché è “vero” e dunque spietato. Come se
non bastasse necessitiamo di decodificare i perché, sia relativi ai nostri comportamenti, sia relativi alle
sentenze che gli stessi producono dentro di noi.
Già sapere che non abbiamo l’enzima che permette di digerire un determinato concetto ci offre la possibilità
di non doverlo masticare. La nostra personalità e la nostra natura che tramite essa tenta di esprimersi
pienamente, si basa su un protocollo operativo “inviolabile” che se viene bypassato crea congestioni
sgradevoli.
Come già anticipato, il trainer può usare la seguente provocazione (usando discrezione e sensibilità)
argomentando il perché di tale provocazione, e sottolineando la “copertura della validazione scientifica” di
tale affermazione: “tra poche ore saprò di voi, senza nemmeno il bisogno di parlare con voi, più delle persone
che reputano di conoscervi e con le quali siete a contatto tutti i giorni. Tra poche ore vi apparirà chiaro,
riclassificando le vostre esperienze, come mai determinate cose le ricercavate o rifiutavate in maniera del
tutto inconsapevole perché prescritte nel vostro codice genetico della personalità” .
Ps: se sentite che tale provocazione non la potete sostenere agevolmente, perché non connaturata in voi,
cercate una forma più morbida per esprimere questo concetto fondamentale.
I vantaggi dell’autoconoscenza
Contrariamente a ciò che si crede osservando fatti e comportamenti, l’essere umano non è pigro. Basti
pensare che in vetta alla catena alimentare troviamo la tigre siberiana, identificata come l’animale più
aggressivo del pianeta e che l’uomo la caccia (anche a pancia piena), sembra sia arrivato il momento di capire
le reali regole del gioco.
Per come il nostro impianto cerebrale è strutturato, l’uomo ( inteso come sistema aperto) non è progettato
per fare cose complicate ed improbabili. I nostri cervelli cercano di farci sopravvivere, quindi ci tengono alla
larga da queste cose, dunque ci sentiamo motivati a fare cose che sono connaturate in noi, e quindi semplici.
La semplicità è il frutto distillato del nostro “impianto cerebrale” unico. Quello che per me è semplice per un
altro è complicato. I nostri cervelli sono progettati per fermarci a tutti i costi dal fare qualunque cosa che
possa farci del male. L’esitazione è un chiaro indizio sul fatto che ciò che stiamo valutando di voler fare è
respinto dal nostro sistema.
Per raggiungere l’autonomia l’uomo ha bisogno di mettere in ordine tutte le informazioni già presenti nella
propria memoria esperienziale. L’autonomia è la capacità di governarsi da sé, dandosi delle regole. Per
svolgere un compito non è richiesta solo conoscenza, ma la conoscenza di come viviamo noi stessi, in termini
di limiti o di opportunità, quel compito stesso.
Questa capacità di differenziazione ci offre due vantaggi: 1) Possiamo individuare tutti quei compiti che ci
daranno appagamento. 2) Possiamo sopportare meglio i compiti sgradevoli sapendo che sono tali non per
nostra incapacità ma perché non risuonano nelle nostre corde biologiche.
Immaginate:” Vi è stato regalato un puzzle di 10 mila pezzi ed iniziate ad accostarli gli uni agli altri. Giorno
dopo giorno vi dedicate al completamento del puzzle, e solo quando sembra che la fine sia raggiunta, solo lì,
in quel preciso istante, vi rendete conto che manca un pezzo, minuscolo, ma manca. Cosa pensate? Di fronte
a questa anomalia, sicuramente una insoddisfazione. Magari pensate di provvedere con un sotterfugio,
sostituendo il pezzo mancante con altro materiale della stessa colorazione che mostri al mondo esterno
l’opera completa. Ma un conto è che gli altri non la vedano, un conto è che noi sappiamo di quell’anomalia.
Osserveremo quel puzzle sempre con un senso di profonda frustrazione. Mirare alla realizzazione delle nostre
propensioni è fondamentale affinché qualcosa dentro di noi non resti incompiuto.
Frase Ippocrate
L’invito offerto da Ippocrate consiste nel capire meglio il cervello per capire meglio l’uomo. Per adempiere a
questo compito non è necessario capire il cervello nella sua completezza di funzionalità, ma scoprire gli ordini
e le funzioni principali. Ippocrate attribuì grande forza al cervello, in modo particolare alle emozioni, come la
gioia e il dolore, la felicità e la tristezza. Ciò che vediamo e pensiamo è influenzato dal nostro sistema
cerebrale. Ippocrate intuì che non solo tutto ha origine nel nostro cervello, ma là dove si generano emozioni
che ci danno gioia, crescono anche sentimenti che ci danno dolore. Significa che dentro di noi ci sono forze
contrastanti che non si possono governare, cioè accendere o spegnere come interruttori. Sarebbe possibile
imporsi di non voler più bene ad un figlio, o imporsi di volerne a qualcuno che gli abbia fatto del male?
Frase MacLean
MacLean si occupò del cervello come organo che gettava un ponte tra la fisicità e la scelta di un
comportamento.
Quando parliamo del cervello umano non abbiamo a che fare con un solo cervello, bensì con tre cervelli. Nel
corso della storia evolutiva biologica, il cervello umano si è sviluppato fino a raggiungere una grandezza
straordinaria. La tripartizione del cervello non deve essere considerata un’ipotesi, ma è un fatto che va preso
alla lettera. Il nostro cervello presenta tre piani, aventi tre diverse formazioni nervose, che sono nettamente
divisi l’uno dall’altro; tuttavia essi si influenzano reciprocamente in modo complesso e si completano dal
punto di vista funzionale.
MacLean utilizza la figura della palla triplice, le cui parti soffiando prendono forma una dietro l’altra. Si
possono considerare questi tre cervelli come tre computer biologici, ciascuno dei quali è in possesso della
propria intelligenza, del proprio senso del tempo, del proprio pensiero e delle ulteriori funzioni ad esso
appartenenti. I tre cervelli da un lato collaborano strettamente tra loro, ma dall’altro mantengono le proprie
peculiarità ben distinte. Quindi operano collaborando e contraddicendosi. Sono indipendenti ed
interdipendenti, come i soci di una stessa società.
• Tronco Cerebrale
• Diencefalo
• Neocorteccia
Ogni individuo dispone di tutti e tre i cervelli, ma, come in un consiglio di amministrazione, chi prende le
decisioni è il socio di maggioranza. La composizione societaria può essere molto variegata:
Perché la scelta è delegata al socio maggioritario? Perché ha più interessi di resa ma anche più costi, quindi
è coinvolto in prima linea in caso di opportunità e rischi. Ci appresteremo con l’autoanalisi a fare questo
lavoro.
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Il disco Structogram serve a rilevare con esattezza l’azione congiunta dei tre cervelli, la cui estensione delle
forze indica il nostro tratto di temperamento. Andremo a capire lo stimolo da chi dei tre viene raccolto per
prima, con quale ordine comunicano tra loro le tre parti, con quale stile e a chi spetta la decisione finale.
Come vedete il Disco presenta 36 tacche, suddivise in 3 aree di 12 tacche ciascuna, distinte da colori diversi
per ragioni di facilità di comprensione ma non solo. La scelta dei colori verde, rosso e blu nasce da un
vantaggio biologico: la cornea possiede i recettori proprio di questi tre colori. Fondamentale è capire che il
disco, essendo rotondo, trasferisce un senso di regolarità. Se una componente aumenta la propria
estensione, le altre devono per forza diminuire. Ogni forza presuppone limitazioni in altri ambiti. Ciò
corrisponde alla realtà: con quanta più forza un ambito cerebrale esercita la propria influenza, tanto più
debole sarà l’influenza delle altre forze. La prevalenza di uno degli ambiti attribuisce tipiche caratteristiche
al comportamento di un individuo. Non esiste la combinazione esatta, poiché ogni combinazione determina
in particolare misura la struttura di base della personalità con le sue sfumature assolutamente uniche e di
valore.
La capacità del trainer consiste nel guidare il partecipante ad eseguire il protocollo di autoanalisi. Questa è la
parte più importante perché anche se sono informazioni semplici, è altrettanto semplice fraintenderle.
(Limitarsi a leggere le slide o trovare una forma semplificativa, ma sempre a discrezione del trainer in base
all’aula).
Slide 11-13
Invitare il partecipante ad estrarre il disco di cartotecnica sul retro del libro 1, illustrando le funzioni del disco
e come occorre procedere attenendosi alle slide.
Slide 14-18
Nell’ invitare alla lettura il partecipante, troverete, in base al risultato della combinazione del disco, dei
riferimenti che ne spiegano il significato, in base alla gerarchia che viene a costituirsi delle diverse
componenti.
Verifica: Il Trainer deve disegnare una lavagna così come riportato nella slide 18, interrogare i partecipanti in
merito alla lettura svolta ed inserire il loro risultato nelle seguenti colonne.
Colonna ++
In questa colonna va assegnata la preferenza del partecipante qualora ciò che ha letto gli consente di
“sentire” piena accordanza con ciò che egli sente di essere.
Colonna +
Anche la preferenza assegnata a questa colonna indica sintonia tra quanto “sentito” e quanto evidenziato
nel corso della lettura, ma con meno intensità.
Colonna – e Colonna --
La colonne esprimono una divergenza tra ciò che è la risultanza della lettura rispetto all’idea che il
partecipante ha di sé. Molto spesso tale divergenza si può riscontrare in presenza di una “doppia dominante”
o di una “doppia seconda componente”. Ciò è dovuto alla presenza di forze con uguale intensità nel
perseguire obiettivi “antagonisti” e pertanto il partecipante viene stimolato in ugual misura da fattori esterni
ed interni che sono in conflitto tra loro, scegliendo opportunità comportamentali spesso in apparenza
contraddittorie. Se ad esempio abbiamo una doppia dominante BLU-VERDE, abbiamo allo stesso tempo due
strategie opposte in relazione alla socialità. La componente Blu suggerisce “distacco”, mentre la componente
Verde suggerisce “avvicinamento”. Generalmente sarà la circostanza che caratterizza la relazione a
determinare di volta in volta in modo diverso, il tipo di comportamento attivato come risposta. In questi casi,
il partecipante avrà la possibilità di rintracciare la “verità” della rappresentazione della sua Biostruttura nel
corso degli approfondimenti offerti dal Trainer in relazione alle preferenze di base dei singoli ambiti cerebrale
ed alla loro interazione. È anche possibile che il partecipante abbia sbagliato la modalità di esecuzione del
protocollo, per cui è sempre bene verificare durante lo svolgimento dell’Autoanalisi che ogni singolo
partecipante abbia capito come fare l’esercitazione e verificare se stia seguendo correttamente le scelte in
relazione ai quesiti posti dal protocollo.
Il training con lo Structogram non insegna nulla di completamente nuovo, ma piuttosto rende consapevoli i
partecipanti delle loro esperienze in relazione agli effetti che hanno prodotto. Nessun training può insegnare
ad una persona qualcosa di se stessa che non sia già presente nelle sue esperienze, anche se spesso soltanto
in maniera confusa, inconscia e non utilizzabile.
L’autoanalisi rende riconoscibile questo ordine. Ognuno dispone di una gran quantità di esperienze di vita
archiviate. Come mostra lo studioso del cervello Wilder Penfield, tale serbatoio di esperienze memorizzate è
molto più grande di quanto non lo sia la memoria consapevole. Spesso alla coscienza manca la chiave per
riconoscere un ordine e delle strutture nella grande quantità delle esperienze.
L’autoanalisi fornisce questa chiave che rende utilizzabili le proprie esperienze. Provoca quella situazione
esperienziale che fa esclamare: “ah ecco” e che ha luogo sempre nel momento in cui si riscontrano, tutto ad
un tratto ed inaspettatamente, dei collegamenti di cui prima non ci si rendeva conto.
Aumentando il grado di consapevolezza, aumenta anche la possibilità di imparare dalle proprie esperienze.
Secondo il grado dell’autoconoscenza, il training con lo Structogram porta la conferma di essere sulla strada
giusta, ad altri invece delle prospettive completamente nuove che aiutano ad eliminare modelli sbagliati.
Tuttavia ciò che dà a tutti è una maggiore chiarezza nell’autoconoscenza ed un’opportunità di ristabilire una
sintonia decisamente migliore tra la struttura della personalità predisposta ed il comportamento acquisito.
Questa opportunità di poter “differenziare” ciò che è innato da ciò che è “appreso” aiuta a sfruttare appieno
il proprio potenziale e non renderà mai insicuri ne potrà rivelarsi dannoso.
Vedendo molte più cose in una chiave diversa e più aderente al proprio sistema di percezione, il mondo
appare più chiaro, proiettandoci in un futuro di armonia anche in relazione alla determinazione ed al
raggiungimento dei nostri obiettivi.
MacLean scoprì che durante il suo sviluppo, il nostro cervello mantiene i suoi tratti fondamentali originatisi
in diverse epoche evolutive relative alla biologia del cervello.
Il nostro apparato cerebrale non si è dunque formato in un unico momento, ma si è sviluppato
progressivamente per fronteggiare esigenze di sopravvivenza che il contesto, evolvendo a sua volta,
richiedeva di valutare ed agire in modo diverso.
Il Tronco cerebrale (Contraddistinto dal colore verde) lo condividiamo con i Rettili; in ambito scientifico è
anche denominato “cervello rettile”. Ha sue specifiche caratteristiche e funzioni che vedremo tra un minuto.
Il Diencefalo, contraddistinto dal colore rosso lo condividiamo con i mammiferi predatori.
La Neocorteccia, contraddistinta dal colore blu, la condividiamo con i primati, con le scimmie.
Attenzione, I colori sono semplificazioni visive utili alla memorizzazione tramite la semplificazione del
concetto; non classifichiamo un individuo con i colori; non esiste il tipo blu, il tipo rosso o il tipo verde… ogni
essere umano è dotato di Tronco , diencefalo e neocorteccia; sono tre computer biologici che perseguono
un unico obiettivo, farci sopravvivere; ciò che li differenzia sono i programmi di funzionamento e quindi le
diverse strategie che perseguono per determinare questo importante obiettivo. Ma sempre, tutti e tre,
concorrono ad orientare, in base alla loro forza specifica, le scelte comportamentali.
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Tratteremo le caratteristiche di ognuno dei tre ambiti separatamente, in modo da facilitare la comprensione
delle loro grandi diversità e potenzialità; ricordiamoci però che i nostri comportamenti sono sempre
determinati dall’influenza di tutte e tre le componenti. A questo si aggiunge l’influenza dell’ambiente esterno,
che può, in determinati momenti, agevolare la nostra risposta naturale, in determinati altri limitarla e
sostituirla con il comportamento appreso dall’esperienza (anche se in conflitto con la nostra natura).
Andremo a vedere i meccanismi con cui ognuno dei tre ambiti cerebrali codifica e opera, con quali finalità e
che cosa questo aspetto determina in ambito comportamentale per l’individuo.
Avendo chiare le mappe individuali di riferimento ci sarà chiaro il tragitto e la corsia preferenziale che ognuno
percorre dal punto di vista percettivo e di risposta attraverso comportamenti tipici rivendicati da ciascun
ambito cerebrale.