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Libro Metodologia

Il documento esplora il concetto di futuro in relazione alla digitalizzazione e all'educazione, evidenziando come le nuove tecnologie influenzino il mondo del lavoro e le competenze richieste. Si discute l'importanza di preparare i giovani a immaginare futuri possibili attraverso l'educazione, enfatizzando la creatività e l'immaginazione come strumenti fondamentali. Inoltre, il volume presenta esperienze educative innovative che mirano a sviluppare le capacità degli studenti di affrontare le sfide del cambiamento e della sostenibilità.
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Libro Metodologia

Il documento esplora il concetto di futuro in relazione alla digitalizzazione e all'educazione, evidenziando come le nuove tecnologie influenzino il mondo del lavoro e le competenze richieste. Si discute l'importanza di preparare i giovani a immaginare futuri possibili attraverso l'educazione, enfatizzando la creatività e l'immaginazione come strumenti fondamentali. Inoltre, il volume presenta esperienze educative innovative che mirano a sviluppare le capacità degli studenti di affrontare le sfide del cambiamento e della sostenibilità.
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Introduzione

C'era una volta il futuro. Quello sognato e quello programmato, iscritto nella
trama del passato e costruito nell'agire del presente. Quello individuale, che
contribuisce alla costruzione dell'identità, entro cui prende forma. Quello collettivo,
che appartiene al singolo in quanto parte di una storia più ampia, de nita in uno
spazio e in un tempo, dai con ni anch'essi variabili. L'idea di futuro cambia in
funzione dei contesti sociali, culturali ed economici, geopolitici e
storici. La letteratura sociologica sul tema è ricca di ri essioni, che ne colgono
le diverse prospettive, a partire dalle molteplici angolazioni di riferimento.
Questo volume adotta il tema come pretesto per approfondire un parti-
colare aspetto della questione educativa di fronte alla digitalizzazione in corso.
C'era una volta il futuro. Oggi, in un usso di eventi interconnessi e globali e
nell'accelerazione dei cambiamenti culturali che accompagnano la di usione
delle tecnologie, la trama lineare dei percorsi, individuali e collettivi, si dissolve
verso una molteplicità di scenari possibili. Di futuri possibili. La crisi delle certezze
individuali e della ducia collettiva nel progresso fanno parte di questo
processo, così come il richiamo sempre più spinto alla responsabilità individua-
le nella de nizione dei futuri. Così come, inoltre, le diverse rappresentazioni
sociali del futuro dentro i mutati contesti. I futuri possibili, nella molteplicità
di aspetti che possono de nirli, sono qui intesi essenzialmente come futuri che
ciascun individuo può immaginare per sé, a partire dalle opportunità e dai vin-
coli del contesto sociale e culturale di riferimento.
C'era una volta il mondo del lavoro. Oggi compare l'universo dei lavori,
variegato e uido, tipico del nuovo secolo (Accornero 1997). Nel contesto di
digitalizzazione in corso, è frequente il richiamo a nuovi lavori che richiedono
nuove competenze, a tecnologie emergenti che ride niscono ruoli e professioni,
modalità organizzative e di produzione. L'orizzonte del futuro del lavoro muta
nell'accelerazione digitale, dietro l'attesa del prossimo cambiamento che modi.
Fichera ancora 'ultima e più recente prospettiva acquisita. E mentre sulla scene
si alternano posizioni duciose e catastro ste, si a erma - in ogni caso - una
nuova idea del lavoro, basata appunto su nuovi ruoli e nuove professioni, che
richiede persone diversamente formate (De Masi 2017). E nei vissuti individua.
li il lavoro si presenta già mutato, nei signi cati, nello spazio, nel tempo, nelle
fabbriche, negli u ci e, sempre di più dopo la pandemia del 2020, nelle case.
L'incontro tra il mondo della formazione e l'universo dei lavori è l'oggetto di queste
pagine, in una prospettiva che guarda al futuro come elemento
dell'immaginario sociale (Fabietti 2014).
Nel contesto dei mutamenti che accompagnano la digitalizzazione in corso, il
concetto di lavoro nel rapporto con gli scenari educativi non può che
guardare alle opportunità o erte dalle tecnologie emergenti e abilitanti. Entro
una prospettiva che richiama innanzitutto il cambiamento culturale e cognitivo
veicolato attraverso i nuovi mezzi.
La nuova possibilità di circolazione di informazioni, di conoscenze e di
dati resa possibile dagli scenari di rete è il primo riferimento. Sul piano cognitivo
introduce un nuovo approccio di conoscenza alla realtà sociale. Sul versante
culturale si nutre dei valori di apertura, di scambio e di condivisione che ne
rappresentano i presupposti nelle intenzioni dei padri fondatori di Internet. Da
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un punto di vista sociale, economico, politico tali valori prendono forma
nell'articolazione delle speci che condizioni ed incontrano tensioni opposte che
vanno nella direzione della censura, della chiusura, del controllo, del monopolio
delle stesse conoscenze. Nell'ultimo decennio, la società - delle reti (Castells
2000) o delle piattaforme (Van Dijck et al. 2018) - ampli ca tali tendenze.
Nella moltiplicazione delle interconnessioni tra gli individui, tra persone, dati e
tecnologie, mentre da logica delle piattaforme in ltra in ogni istituzione» (iu)
le possibilità di apertura o erte dalla Rete e quelle di chiusura dei network di-
vengono entrambe via via più evidenti e di portata più ampia, così come le
potenzialità su entrambi i fronti di democratizzazione e di controllo delle vite
individuali
Una ulteriore trasformazione dirompente che promette di cambiare radicalmente le
nostre vite è inoltre annunciata con la sempre maggiore - per il
momento non di massa - di usione delle tecnologie di produzione, a titolo di
esempio la stampa 3D. La nuova possibilità di tradurre il pensiero in bit e poi
in oggetto materiale; è l'ultimo tassello di un mutamento signi cativo sul ver.
sante cognitivo e culturale nel nostro rapporto con la realtà, sociale e sica.
Il mondo della formazione è al centro di questa trasformazione, che è ancora, a
ragione, de nibile nei termini della s da. Su un piano cognitivo, culturale e
organizzativo, in relazione alla de nizione di nuovi scenari che variamente si
costruiscono tra "brick e click"
Il panorama delle OER e dei MOOC - Open Educational Resources e
Massive Open Online Courses - rappresentano non solo l'esempio ma anche
l'evidenza di una straordinaria opportunità per gli scenari educativi. Su questo
fronte, l'emergenza pandemica ne ha reso evidente la rilevanza, svelando inoltre
divari nella prontezza a partecipare a - o anche ad organizzare, dal punto di vi-
sta delle istituzioni educative - ambienti di formazione costruiti nelle potenzialità e
nelle architetture della Rete.
Il contesto di iperconnessione contemporanea cambia il punto di essere
individuale (Bu ardi e de Kerckhove 2011) e il punto di incontro con l'altro.
Come scrive de Kerckhove (2015) oggi la connessione diviene rassicurazione
del fatto che siamo parte del mondo e che il mondo fa parte di noi. La "sensazione
del mondo" non si ferma, è sempre più ampia. Possiamo essere distanti e
vicini, allo stesso tempo, in una costante proiezione dal punto locale alla
dimensione globale. Una connessione che richiama una condizione di
"cittadinanza terrestre" (Morin 1999) e la necessità di nuovi saperi per l'educazione
del
futuro (ibidem).
La questione ecologica, intesa con Latour (2018) come "questione di an-
tropologia fondamentale", emergenza di una "nuova universalità" che si esprime
nella condizione terrestre quando si inizia a "sentire che il suolo sta venendo
meno", rappresenta una seconda area di ri essione nelle pagine di questo volume.
La s da della sostenibilità ambientale, sempre più consapevolmente
emergente a livello globale, richiama esigenze di adeguamento ai mutati scenari,
o re diverse opportunità di crescita economica o, per richiamare Morin
(2014), indica la via dell'unica possibilità di sopravvivenza.
Il secondo fronte attraverso cui questo volume guarda al futuro è dunque
quello dei futuri possibili a livello collettivo e sociale, prodotto degli immagina-
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ti emergenti e che riescono ad emergere. Occorre coltivare la varietà di idee di
futuro, sostiene 'antropologo indiano Arjun Appadurai, perché non possiamo
sapere da dove nascerà una grande idea.
A partire da questa premessa, il volume guarda alla s da educativa, di
fronte alla digitalizzazione, dalla angolazione delle opportunità di partecipazione
che esse o rono. È un piano che, nelle pagine che seguono, viene sviluppato
con riferimento alle potenzialità di apertura e di "democratizzazione"
delle conoscenze, delle innovazioni, delle produzioni - nel quadro di un'etica delle
possibilità (Appadurai 2014) che restituisce alle istituzioni formative il compito
di nutrire aspirazioni, sogni, prospettive di futuri possibili tra tutti gli individui.
Richiamando la metafora proposta da Antonio de Lillo (2007), di fronte
all'incertezza sul proprio futuro e alla di coltà di costruire un proprio pro-
getto di vita, i giovani reagiscono come "velisti" o come "sur sti". Il velista sa
governare la propria barca, ha una meta e segue una rotta, ha gli strumenti
tecnici e le nozioni necessarie per fronteggiare le di coltà della navigazione.
Anche per fare il sur sta occorre essere abili, ma si è più dipendenti dalla
forma, dall'altezza e dalla direzione dell'onda che si sta "cavalcando" e se si
usa una tavola non adatta a quel tipo di onda è pressoché inevitabile esserne
travolti. Fuor di metafora, l'obiettivo dei "velisti" è de nire la propria identità,
sapendo di avere risorse personali e familiari, disponendo di esempi nei
quali credono; tutto ciò consente loro di esprimere se stessi. Per contro
l'obiettivo dei "sur sti" è tirare avanti, restare in piedi sulla tavola in mezzo
alle onde. I due modelli culturali, come scrive de Lillo, mettono in luce di erenze
sociali e culturali interne alle nuove generazioni, di fronte alle quali si
rinforza la s da delle istituzioni educative. Le prospettive future sia dei velisti
che dei sur sti sono inevitabilmente connesse ai capitali sociali, culturali ed
economici di cui sono dotati (Bourdieu 1980). Cogliendo la metafora di de
Lillo, fornire le vele e accompagnare i giovani a gestirle tra i venti dei cambiamenti
è la strategia per giungere verso tappe e mete desiderabili, sul piano
individuale e collettivo.
Il volume presenta alcune esperienze educative, in ambito scolastico e
universitario, basate sul potenziale trasformativo del digitale (Blikstein 2013).
Tali esperienze sono proposte come pratiche in cui gli studenti possono
realizzare "più o meno ogni cosa" (Gershenfeld 2012) operando in un quadro
di possibilità che mostra loro l'ampiezza dei futuri immaginabili. Sia sul piano
personale, nella scoperta di poter tradurre le proprie idee in azioni. Sia sul
piano collettivo, con riferimento alle applicazioni sociali delle tecnologie nella
direzione di un futuro sostenibile
Abilitare i giovani a immaginare un futuro desiderabile, a intercettare
opportunità di cambiamento anche in risposta a bisogni emergenti (Bacigalupo
et al. 2016), e a individuare sé stessi come attori del cambiamento possibile,
rappresenta una delle s de dei sistemi educativi verso la pluralità dei futuri
possibili.
Questo volume prova ad articolare la complessità del tema mantenendo
come centrale il richiamo alla creatività e alla immaginazione degli studenti. In
tale direzione, l'ulteriore pretesto narrativo prende a prestito alcune favole di
Gianni Rodari, che introducono ciascun capitolo.
Il capitolo primo introduce le ri essioni attraverso la prospettiva teorica
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dell'etica delle possibilità di Appadurai, che consente innanzitutto di richiamare
un approccio in cui fantasia e immaginazione rappresentano un diritto cui
accedere e uno strumento per costruire diverse possibilità di futuri e una base per
una e ettiva democrazia. Intorno a tale tema, il capitolo si so erma sulla questione
digitale nei contesti educativi ed introduce inoltre il tema delle questioni
ecologiche e di cittadinanza terrestre, come s da globale e responsabilità di
ciascuno nel terzo millennio.
Il capitolo secondo si so erma sulla rivoluzione digitale della comunicazione, ed in
particolare sugli aspetti culturali che la caratterizzano. A partire dal-
la logica di apertura e dai valori di condivisione e di partecipazione, introduce
le prospettive di una possibile "democratizzazione delle innovazioni" (Anderson
2012) e le ambiguità emergenti della trasformazione digitale che prometteva di
cambiare il mondo. In questo contesto vengono inoltre introdotte alcune "s de
educative" basate sugli approcci makers.
Il capitolo terzo introduce il tema del rapporto tra scuola, lavoro e tecnologie
attraverso una preliminare, e sintetica, lettura di alcune disposizioni che,
dai Programmi scolastici del 1945 alle Nuove Indicazioni del 2012 evidenziano
la centralità del "lavoro", la ducia nel progresso scienti co e tecnologico, la
necessità di comprenderne le implicazioni per la condizione umana. Su tali re-
mi, sono richiamati alcuni risultati di una recente indagine condotta da Indire
sul monitoraggio della Riforma del secondo ciclo di istruzione, richiamando in
particolare la visione dei dirigenti scolastici e dei docenti in relazione alla didattica
laboratoriale. Il capitolo introduce inoltre il tema delle competenze per il
XXI secolo ed in particolare il framework Entrecomp per l'imprenditorialità.
Quest'ultimo richiama la capacità dell'individuo di trasformare le idee in azione, di
individuare le opportunità di innovazione e di rispondere alle s de del
cambiamento; di "vision", intesa come capacità di "immaginare un futuro
desiderabile" e di usare tale visione per guidare processi di cambiamento; di
motivazione e perseveranza; del pensiero
"etico e sostenibile"; della capacità collaborativa (cfr. Bacigalupo et al. 2016).
Tali temi sono stati approfonditi nel capitolo quarto, attraverso la presentazione di
alcuni modelli in ambito universitario, come il Contamination Lab,
e alcune pratiche che mettono in relazione il mondo della scuola con l'universo
dei lavori. Attraverso il richiamo ad una ulteriore precedente indagine, ci si sof-
ferma in particolare su alcune pratiche scolastiche che mettono in evidenza una
particolare angolazione della s da educativa dinanzi ai cambiamenti digitali e
culturali in atto. Quella di accompagnare i giovani a comprendere e a potenzia-
re le proprie capacità ideative e realizzative, a immaginare il futuro "intelligene
e "sostenibile", ad abilitare il cambiamento reso possibile dalle tecnologie
digitali, a pensare se stessi come attori di un cambiamento possibile. Il capitolo
si so erma, tra l'altro, sulla rappresentazione degli studenti coinvolti nelle attività e
si conclude con la presentazione di un caso particolare, quello di Bamba
Sissoko, simbolicamente preso a prestito come esempli cativo di una traiettoria
di possibili futuri basati sui valori di cittadinanza terrestre e di una nuova
universalità.
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1. Immaginare il futuro
1.1 Immaginari ineguali
Un giorno il piccolo Claudio giocava sotto il portone, e sulla strada passò un bel
vecchio con gli occhiali d'oro, che camminava curvo, appoggiandosi ad un
bastone,
e proprio davanti il portone il bastone gli cadde (Rodari 1962, p. 56).
Nella breve storia di Gianni Rodari, pubblicata nel 1962 nella raccolta
«Favole al telefono», il bambino prontamente raccoglie il bastone e lo porge al
vecchio, che sorridendo, mentre si allontana, gli dice che può tenerlo.
Claudio inizia a giocare: batte il puntale a terra due-tre volte e poi inforca il
bastone che, a sorpresa e nello stupore del bambino si trasforma in un
meraviglioso puledro nero con una stella bianca. Nel cortile che cambia
anch'esso per accogliere nuove scenogra e, il bastone si trasforma ancora e
diventa un cammello a due gobbe, un'automobile da corsa tutta rossa, un
motoscafo, un astronave. E così no a sera, quando il vecchio dagli occhiali
d'oro, di ritorno dal suo giro, torna sotto il portone. Arrossendo il piccolo gli
tende il bastone per restituirglielo. Ma il vecchio gli fa cenno di no: «Tienilo,
tienilo. Che cosa me ne faccio, ormai, di un bastone? Tu ci puoi volare, io
potrei solo appoggiarmi» (ivi, pp. 56-57).
La fantasia e l'immaginazione consentono di volare con «un bastone certamente
fatato». Forse non ad un anziano che con lo stesso strumento potrebbe
solo appoggiarsi, ma ad un giovane, come nella storia di Gianni Rodari, per-
mettono di dar forma a nuove realtà, forse o proprio per magia. Al di fuori del
mondo delle favole e nel contesto della condizione globale contemporanea,
seguendo le ri essioni di Arjun Appadurai)(2014) fantasia e immaginazione rap-
presentano un diritto cui accedere e uno strumento attraverso cui costruire
possibilità di futuri. «Risorse e sogni costantemente trasformati in strategie»
costituiscono, per l'antropologo indiano, "la migliore prova" di quello che ciò che
de nisce «politica delle possibilità» (ivi, p. 6). Il "futuro come fatto culturale"
può essere progettato e costruito, coltivando immaginazione e speranza, in
quanto diritto di tutti e come base per una e ettiva democrazia.
Per 'antropologo indiano si tratta innanzitutto di un'etica delle possibilità, che
valorizza le aspettative di ciascuno per dare forma a diverse immagini di
possibili futuri. L'etica delle possibilità è fondata dunque sull'inclusione di una
pluralità di prospettive e necessita di ambienti politici, sociali e culturali nei
quali l'immaginazione sia coltivata, allenata, garantita. La valorizzazione
dell'elemento culturale nella rappresentazione del futuro rappresenta un elemento
centrale nelle analisi di Appadurai, che muove dalla necessità di superare
«l'arti ciosa opposizione, creata dalle nostre de nizioni», tra la cultura e lo
sviluppo.
La prima, per oltre un secolo, è stata vista come qualcosa in qualche modo lega-
ta al passato. «In questo caso, abitudine, costume, retaggio e tradizione
costituiscono le parole chiave. D'altro canto lo sviluppo è sempre stato visto in
termini
di futuro. Progetti, speranze, scopi e obiettivi» (ivi, p. 146). Questa frattura tra
passato e futuro crea un con itto di aspirazioni, che cresce sulle diseguaglianze
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e le rinforza, vincolando chi è in situazioni deprivate a non poter immaginare il
futuro in modi diversi. Lo studioso codi ca l'orientamento al futuro come
dimensione culturale nei termini principalmente delle "aspirazioni". Ed in parti-
colar modo, della "capacità di aspirare", che
in nessuna società [...] è distribuita uniformemente. Si tratta di una sorta di meta-
capacità, per cui i relativamente ricchi e potenti godono invariabilmente di una più
completa capacità di aspirare. Che cosa signi ca questo? Signi ca che, quanto
meglio stai (in termini di potere, dignità e risorse materiali) tanto maggiore sarà
probabilmente la consapevolezza dei collegamenti fra la maggiore o minore
vicinanza
degli oggetti a cui aspiri (ivi, p. 258).
Immaginazione, speranza, capacità di aspirare sono dunque distribuite in
maniera ineguale, fondando su diseguaglianze materiali, sociali e cognitive.
La capacità di "navigare la mappa delle norme" e delle opportunità, di
individuare progettualità di vita e di perseguire gli obiettivi necessari, rappresenta
un elemento culturale costruito tra la forza della tradizione e la capacità di
riconoscere come percorribili nuove strade. «Particolarmente nella vita della
gente comune, il personale archivio di ricordi, sia materiale che cognitivo, non
riguarda solo o principalmente il passato, ma la fornitura di una mappa per
negoziare e forgiare nuovi futuri» (ivi, p. 396). L'esperienza passata ha un ruolo
decisivo nel de nire la capacità di immaginare il futuro, e riproduce pertanto le
diseguaglianze su cui si fonda. Chi dispone di maggiori risorse, infatti, ha avuto
più occasioni per esplorare la mappa delle opportunità, e, inoltre, di sperimentare
situazioni in cui ha desiderato e ottenuto. Ha «una riserva di esperienza
concernente i rapporti tra aspirazioni e risultati» (ivi, p. 247). La minore capacità di
orientamento dei poveri genera invece un «orizzonte di aspettative più
fragili» (ivi, pp. 258-259).
Pertanto la capacità di aspirare val pari di ogni capacità culturale complessa,
sopravvive e prospera con la pratica, la ripetizione, l'esplorazione, la congettura e
la confutazione» (ivi, p. 259). Essa però fornisce
anche l'orizzonte etico al cui interno le più concrete capabilities acquisiscono
signi cato, sostanza e sostenibilità» (ivi, p. 259-265).
Il futuro immaginato, come quadro che orienta la possibilità di cogliere
le opportunità del presente, è costruito sulle rappresentazioni sociali e
sull'immaginario cui si può accedere, sul passato e sulle condizioni di partenza,
sulle
norme culturali, su bisogni, motivazioni, habitus (Mandich 2012). Viene letto
a partire dalle sue relazioni con il presente ed è anticipato a partire dalle
rappresentazioni di ciò che sarà (Adam e Groves 2007 in Mandich 2012). Su
questo
versante, la dimensione degli immaginari possibili si mostra immediatamente
evidente. Una dimensione fattuale evidenzia però anche il «futuro di conseguenze
non volute», esito incessante dell'agire nel presente, frutto degli e etti
di aggregazione dell'agire individuale entro una concatenazione di e etti
indesiderati delle scelte, di cili da anticipare (Urry 2003). Qui si manifesta l'insieme
delle condizioni che imbrigliano tanto l'immaginazione quanto le prati-
che, tanto le scelte quanto i desideri. Una terza dimensione, come Mandich)
evidenzia, si esprime nei termini delle capacities e, seguendo Bourdieu) (1998, p.
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207), si de nisce come «esperienza ordinaria di preoccupazione e immersione
nel a venire» (ibidem). Il concetto di habitus, sistema di disposizioni incorporate
che mediano il rapporto degli individui con i diversi campi in cui sono colloca-
ti, orienta la capacità di guardare al futuro, la percezione e la valutazione delle
possibilità iscritte nella situazione presente. «Le di coltà di guardare al futuro
per alcuni è data, secondo Bourdien, dalla mancanza di quella base minima di
possibilità oggettive che è necessaria perché una qualche forma di anticipazione
pratica sia possibile» (Mandich 2012, p. 25).
A livello collettivo, il quadro culturale e il sistema di vincoli e opportunità che
limitano la capacità di immaginare futuri possibili si traducono in un
freno alla crescita sociale. Coltivare la speranza e l'immaginazione di ciascuno si
traduce nella possibilità, per la società in generale, di moltiplicare le possibilità
di crescita perché «non possiamo sapere da dove nascerà una grande idea»
(Appadurai 2017, p. 13).
Nutrire le capacità individuali di immaginare futuri possibili vuol dire,
quindi, anche coltivare spazi di democrazia nei quali alimentare «le idee di
buona vita» (Appadurai 2014, p. 398) nella direzione di un benessere allargato,
idea tanto universale nella sua dimensione generale quanto particolare nelle
espressioni locali entro cui prende forma, si riproduce, si trasforma. «Dobbiamo
vedere la capacità di aspirare come una capacità sociale e collettiva, senza di
cui parole come "empowerment", "voce" e "partecipazione" sono prive di
signi cato» (ivi, p. 397). In questa direzione, secondo Appadurai - che rivolge le
sue
analisi allo studio dei poveri della città di Mumbai (Bombay), - dovrebbe essere
promosso ogni sforzo per sostenere le attività di insegnamento e apprendimento
locali, per accrescere le abilità dei poveri di orientarsi nella mappa culturale
delle aspirazioni (ivi, p. 266). E evidente come le ri essioni dell'antropologo
indiano, che nascono in una comunità particolare siano estensibili ai diversi
contesti educativi e attraversino le molteplici forme di deprivazione.
In ogni ambito ed epoca l'immagine del futuro rappresenta un fonda-
mentale orizzonte di riferimento, con il quale confrontarsi, in maniera più o
meno esplicita ed evidente, nel solco della continuità e nella direzione dei
cambiamenti individuati come possibili. La costruzione delle biogra e individuali
prende forma anch'essa nell'articolazione tra le memoria del passato, le de nizioni
del presente e le prospettive del futuro.
Per i giovani delle società occidentali del terzo millennio si de nisce sempre
di più su un "tempo", accelerato, associato in maniera strutturata ad una velocità
che brucia il futuro sul nascere, comprimendo lo spazio temporale che lo distanzia
dal presente. L'accelerazione sociale a cui rinvia la centralità del «"presente
esteso"
rende [...] obsoleti i progetti a lungo termine» (Leccardi 2012, p. 40). È il caso so-
lo di richiamare che tale processo si iscrive nel generale declino della struttura
temporale della società industriale, con i suoi corollari di linearità e ducia nel
progresso (ii, Nowotny 1989). Lo stiramento spazio temporale della modernità
(Meyrowitz 1985, Giddens 1990), e la crisi delle certezze individuali (Bauman 1995)
rappresentano elementi che accompagnano il progressivo venir meno di un
orizzonte di senso nel quale le aspirazioni individuali e le prospettive di crescita
sociale apparivano invece «legittimate dall'aspettativa che fosse da società tutta a
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muoversi "in avanti", verso un futuro migliore» Jedlowski 2012, p. 7). La di usione
dell'istruzione di massa nel contesto della società industriale aveva alimenta-
to un orizzonte di speranze verso riscatti familiari e possibilità di mobilità sociale.
Il richiamo alla essibilità dei percorsi, sempre più nel nuovo millennio richiama
la responsabilità delle scelte nella de nizione dei percorsi di vita.
Una essibilità che può tradursi in precarietà dell'esistenza o in arricchimento
consapevole del bagaglio di esperienze. Molteplici fattori, di origine
culturale e sociale, contribuiscono a tali di erenti interpretazioni e alla
concatenazione di eventi e di esiti che ne discendono. Per quel che riguarda
scuola e
università, esse sembrano essere sia luogo di riproduzione delle diseguaglianze
sia di mobilità sociale (Ballarino e Bernardi 2020).
Al di là del contributo riconosciuto all'istruzione nel generale contrasto
alle diseguaglianze, esso sembra non incidere quando si guarda alle prospettive
occupazionali in relazione alle condizioni di partenza delle famiglie di origine.
In questo caso, infatti, resta forte il peso dei fattori culturali nel contribuire a
rinforzare i meccanismi di riproduzione delle condizioni delle famiglie di
provenienza (ibidem). Come spiegano Ballarino e Bernardi, «l'e etto diretto
della classe d'origine si ritrova infatti nell'attivazione delle risorse culturali,
sociali ed economiche ad esse associabili, tra le quali le di erenze nelle
aspirazioni e nelle motivazioni sembrano spingere gli individui originari delle
classi superiori a ricoprire posizioni migliori nel mercato del lavoro» (ivi, p.
166). E innanzitutto a desiderarle e a competere per ottenerle.
Prima di introdurre tale tema, è interessante proporre ancora qualche
immagine del futuro, in relazione alla complessità contemporanea e alle
trasformazioni che ne guidano le prospettive. La questione ecologica o re in
proposito alcuni spunti di ri essione.

1.2 Questioni ecologiche e cittadinanze terrestri


La questione ecologica è, da ben oltre mezzo secolo, tra i temi intorno ai quali
si intrecciano con evidenza timori e prospettive sul futuro, analisi del presente,
rivisitazioni critiche del passato.
La storia della plastica racconta con immediatezza le ambivalenti interpretazioni
delle applicazioni scienti che, dalla di usione degli anni Sessanta
agli appelli plastic free che nel periodo immediatamente precedente l'emergenza
pandemica Covid-19 si di ondono nel mondo.
Il chimico italiano Giulio Natta è ancora oggi riconosciuto come il "padre della
plastica", a partire dalle ricerche che nel 1963 gli valgono, insieme con
Karl Zieglet il premio nobel per gli studi nel campo della tecnologia dei poli-
meri e la scoperta del Polipropilene isotattico. Grazie alle ricadute applicative di
quelle scoperte, la plastica entra nelle case di tutto il mondo, trasformando
abitudini quotidiane e stili di vita e aprendo inoltre nuove frontiere nell'arte, nel
design e nella moda. Il mix di funzionalità ed estetica, di colori e di forma,
sembra interpretare le esigenze di accelerazione e serialità, in un mondo in cui
gli spazi domestici urbani e i tempi delle metropoli appaiono compressi e apro-
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no verso nuovi bisogni. Dagli anni del boom economico, di cui proprio la plastica
diviene simbolo, negli anni Sessanta la produzione industriale del materia-
le conduce alla sempli cazione di molte routine quotidiane e ad un abbatti-
mento dei costi di prodotti, prima riservati solo a cerchie ristrette di consuma-
tori. Il design che si de nisce nella plasticità, i colori sgargianti delle forme variabili,
la praticità del consumo cui il nuovo materiale rinvia, sono parte della
storia di quel decennio, che consacra il progresso mentre ne cerca nuove vie,
culminando nei movimenti sessantottini di tutto il mondo.
A partire dalla seconda metà del Novecento, la ducia nel progresso tecno-
scienti co progressivamente ha lasciato sempre più spazio a momenti e movimenti
di critica e di contestazione. Agli entusiasmi per le aspettative di sviluppo si sono
a ancate prima, e sovrapposte poi, paure e preoccupazioni per possibili esiti
negativi delle scoperte scienti che che sono parse, inoltre, sempre
più imprevedibili. Il carattere ambivalente della scienza è divenuto evidente, e
con esso la richiesta di spazi di negoziazione pubblica in ordine alle possibili
strade da percorrere.
Nel corso degli anni Ottanta la crescente preoccupazione in ordine alle
conseguenze inattese e indesiderate dello sviluppo scienti co e tecnologico
conduce al progressivo riconoscimento della partecipazione di citizens group ai
processi decisionali (Bucchi 2002). «L'attribuzione alla scienza di una maggiore
"responsabilità sociale", l'utilizzo dell'expertise scienti co nel controllo delle
stesse attività di ricerca e sviluppo, la costituzione di comitati misti in cui non-
esperti siedono accanto a scienziati e policy makers sono tra i risultati più visi-
bili di questo processo di crescente attenzione e partecipazione pubblica
(iut.p.167).
La nuova Big Science, sempre più impresa sociale ed economica che
necessita di nanziamenti e di consenso pubblico, si trova quotidianamente a
negoziare la propria rilevanza e accettabilità sociale con una pluralità di pubblici e
di contesti (ibidem). In un'epoca in cui la presenza della scienza e della tecnologia
è sempre più evidente e pervasiva nella nostra vita quotidiana, è sempre
più di usa l'esigenza di apertura della comunicazione scienti ca al più ampio
pubblico, protagonista e partecipe dei risultati della ricerca.
Alcuni eventi contribuiscono all'evidenza degli impatti degli sviluppi del-
le scienze e alimentano fantasie, paure, dibattiti etici. Due esempi possono esse-
re signi cativi in tal senso: la catastrofe di Chernobyl, nell'aprile 1986 e la do-
nazione del primo mammifero: la pecora Dolly, nel luglio 1996.
Il primo rappresenta non solo il più grande disastro nucleare, ma ha
l'e etto di una esplosione di s ducia a livello di massa, diviene «sinonimo
del lato oscuro della vita moderna e di come la tecnologia può fallire e di
quanto possono essere terribili le sue conseguenze» (UE, 2006). Il rapporto
che Greenpeace (2006) pubblica a vent'anni dal disastro ribadisce come la
contaminazione da materiale radioattivo determinata dall'esplosione della
centrale nucleare vicino la cittadina ucraina di Chernobyl, all'epoca parte
dell'Unione Sovietica, fu pari a circa cento volte l'e etto contaminante com-
binato delle bombe di Hiroshima e Nagasaki. «Conseguenze radiologiche (e
quindi sulla salute) di tale incidente nucleare continueranno a farsi sentire
per i secoli a venire» (ivi, p. 8). La clonazione della pecora battezzata Dolly è
una delle scoperte scienti che più importanti nel campo di studi sulle cellule
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staminali, apre la strada a progressi in campo medico-scienti co lasciando
intravedere molteplici applicazioni. Senza entrare nel merito della tecnica e
della ricerca nell'ambito della clonazione, ciò che interessa è invece ricordare
il dibattito etico che ha accompagnato, anche mediaticamente, l'evento. In
primis, intorno a fantasie e paure sulle prospettive di una possibile clonazione
umana. Dolly alimenta un immaginario di applicazioni più o meno vero-
simili e desiderabili nei diversi campi, scienti ci, tecnologici e commerciali.
Accompagna la transizione verso il terzo millennio, che sembra accogliere
come realizzabile ciò che la cinematogra a aveva ra gurato no a quegli anni
come fantascienza.
A cavallo del terzo millennio, sempre di più, le nuove frontiere del progresso delle
scienze e delle tecnologie ampliano l'orizzonte delle possibilità in
un quadro di ambivalenze che divengono anch'esse progressivamente più evi-
denti mostrandone la base di complessità. La consapevolezza della crisi ecologica
rocca ora in qualche modo tutti, e si mostra nel suo aspetto caratteristico,
come questione di antropologia fondamentale [..]. Richiede che si ri etta
simultaneamente su questioni politiche, scienti che, artistiche e loso che, il
che assomiglia [..] a ciò che ha rappresentato la questione sociale nel XIX seco-
lo (Latour in Manghi 201S).
Bruno Latour si so erma sulla profonda mutazione del nostro rapporto con il
mondo (Latour 2020).
La questione politica e quella scienti ca, quella sociale e quella ambienta-
le rappresentano facce della stessa medaglia. Appartengono, insieme, alla
perdita di orientamento". che si mostra nell'assenza di "un mondo comune" da
condividere. L'impressione è che siamo diventati - scrive Latour (ibidem)
quelli che avrebbero potuto agire trenta o quaranta anni fa. e non hanno fatto
quasi nulla. oltre che continuare ad oltrepassare limiti. L'instabilità del terreno
su cui i moderni hanno costruito la loro storia emerge nel "nuovo regime cli-
matico" e con l'entrata in scena di Gaia, che non è Globo, nè Madre Terra, nè
dea pagana, ma essere di cui è di cile prevedere le manifestazioni e che include
aspetti etici, politici, teologici, scienti ci, che mette in discussione tutti i lavori
specialistici che continuavano a immaginare un mondo sociale senza oggetti di
fronte a un mondo naturale senza umani, e senza scienziati per conoscerlo
(ibidem). Ci troviamo ora di fronte un
'essere climatico" che rende evidente l'esplosione delle diseguaglianze e richiede
una distribuzione di responsabilità. «E
la nozione stessa di suolo che sta cambiando natura, viene meno il suolo sogna-
co dalla globalizzazione [..]. Se non ci sono pianeta, terra, suolo, territorio su cienti
a ospitare il Globo della globalizzazione verso la quale tutti i Paesi han-
no preteso di dirigersi, allora più nessuno ha, per cosi dire, un tetto assicurato»
(Latour 2018, p. 13). né i migranti venuti dall'esterno che attraversano le frontiere
"al prezzo di immense tragedie" né i migranti dall'interno, che pur restando sul
posto si vedono "abbandonati dai propri paesi". Né i vecchi abitanti dei
paesi ricchi né i loro futuri abitanti, tutti costretti a cambiare stile di vita. I
primi perché oramai di fronte all'evidenza di un pianeta che non è in grado di
sostenere i modi della globalizzazione per come è stata de nita. I secondi in
quanto già costretti a lasciare "il loro vecchio suolo devastato" e i loro modi di
vivere. «Migrazioni, esplosioni di diseguaglianze e Nuovo Regime Climatico
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costituiscono un'unica minaccia» (ivi, p. 18), della quale sono espressione an-
che «quelle migrazioni prive di forme e di nazionalità» (ivi, pp. 18-19) come
'erosione, l'inquinamento, l'esaurimento delle risorse, la distruzione dell'ambiente:
«ma chi può vivere così? Nessuno, è vero. Né un uccello, né una cellula.
né un migrante, né un capitalista» (ivi, p. 19). La questione climatica, intesa
nell'accezione più ampia di relazioni tra gli esseri umani e le loro condizioni di
esistenza, rimanda per Latour ad uno scenario di mondializzazione-univoca, che
restringe invece che moltiplicare i punti di vista e che si de nisce a partire da
"'una vista limitata", che o re cioè una «unica visione, assolutamente provincia-
le, proposta da poche persone, che rappresentano interessi molti ristretti. limi-
tata a pochi strumenti di misura, a qualche standard e formulario» (ivi, pp. 21-
22). La questione climatica coinvolge abitudini e stili di vita, messi in discussione:
se la natura è diventata il territorio, non ha più senso parlare di "crisi ecologica", di
"problemi ambientali", di "biosfera" da ritrovare, da preservare, da proteggere. É
qualcosa di molto più vitale, esistenziale, e anche molto più facile da comprendere
perché molto più diretto. Quando vi si tira il tappeto da sotto i piedi, capite
immediatamente che dovete preoccuparvi del pavimento. Il problema è che un
attaccamento, uno stile di vita ci vengono sottratti, un suolo, una proprietà cedono
sotto i nostro passi (ivi, pp. 16-17).
La crescita delle diseguaglianze, l'ondata populista, la crisi migratoria, per
Latour rappresentano tre risposte «alla formidabile reazione di un suolo a ciò
che la globalizzazione gli ha fatto subire» (ivi, p. 32), in un movimento in cui la
reazione delle dire trascina quelle delle masse - e viceversa - «poiché entrambi
reagiscono a una reazione ben più radicale, quella della Terra che ha smesso di
incassare i colpi e li restituisce sempre più violentemente (iei, p. 31). LA
"nuova universalità" è, nella condizione terrestre, sentire che il suolo sta
venendo meno, scoprire in comune quale territorio sia abirabile e con chi
condividerlo (ibidem), realizzando due movimenti complementari che la prova
di quella modernizzazione che non ha trovato ospitalità in alcun pianeta, reso
contraddittori: rimanere "attaccati a un suolo da un lato” e globalizzarsi dall'altro
(ibidem). Per resistere a questa comune perdita di orientamento occorre “toccare
terra"
L'urgenza di una "comprensione" che ricollochi l'uomo nella natura è, da
una angolazione orientata all'educazione, tema di attenzione per Edgard Morin
(1999, 2014), nella prospettiva di «portare a compimento la missione storica
saper vivere-pensare-agire nel ventunesimo secolo» (Morin 2014, p. 107). Più
di una riforma, più di una rivoluzione: una metamorfosi dell'educazione (ibidem).
Identità e cittadinanza terrestre rappresentano per Morin concetti centra-
li nella civiltà planetaria contemporanea, esito di una mondializzazione che
coinvolge le relazioni tra gruppi umani e con la biosfera.
L'eredità del XX secolo, "eredità del progresso e delle barbarie", è per Edgard
Morin) doppia, nel contempo di nascita e di morte. «Il XX secolo ha
compiuto progressi inauditi in ogni ordine di conoscenza scienti ca, progressi
medici considerevoli nei farmaci e nella chirurgia, progressi emancipatori
nell'uso delle macchine industriali, personali (automobili), domestici (elettro-
domestici)» (Morin 1999, p. 70). L'idea del futuro di "progresso all'in nito"
tuttavia è crollata, abbiamo compreso che la scienza era ambivalente, che il
trionfo della democrazia non era assicurato, che lo sviluppo industriale poteva
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portare devastazioni culturali e ambientali, che la civiltà del benessere poteva
portare malessere (ivi, pp. 72-73).
L'idea di morte è una delle eredità del progresso, come "crescita della potenza di
morte" nelle guerre, nei massacri, nei fanatismi. E nei "nuovi pericoli"
con la possibilità di morte ecologica, da quando, «a partire dagli anni Sessanta
abbiamo scoperto gli e etti del nostro sviluppo tecnico urbano che degrada la
biosfera e minaccia di avvelenare irrimediabilmente il mondo vivente di cui
facciamo parte» (ivi, p. 71).
E tuttavia, nella morte della modernità - che si de niva attraverso la fede
incondizionata nel progresso, nella tecnica e nella scienza, nello sviluppo
economico (ivi, p. 73) - si ritrova anche, per il sociologo francese, un "discorso di
speranza" da costruire. Il genere umano si caratterizza per il possesso di «risorse
creative inesauribili, che lasciano intravedere la genesi della cittadinanza terrestre,
nuova creazione «della quale il XX secolo ha portato i germi e gli embrioni
[...]. L'educazione, che è nel contempo trasmissione del passato e apertura della
mente per accogliere il nuovo, è al centro di questa nuova missione» (ibidem).
Per esplorare tale possibilità e tale speranza, Morin guarda alle eredita positive del
Novecento, che risiedono nelle "contro-correnti rigeneratrici" che
hanno animato il secolo. Quella "ecologica" nasce insieme al sorgere di catastro
e non può che aumentare con il crescere del degrado. La "controcorrente
qualitativa" si manifesta come reazione all'uniformizzazione generalizzante
come ricerca della "qualità" in tutti gli ambiti, a partire dalla qualità della vita.
Le espressioni di una vita orientata alla poesia, all'amore e all'incanto
rappresentano la controcorrente che si oppone alla visione utilitaristica, a cui si
a anca la resistenza al consumo standardizzato, attraverso "la ricerca di una
intensità vissuta". E timidamente, si a acciano due deboli eredità del XX secolo. La
prima è la controcorrente che rivendica una etica di paci cazione contro le
violenze. La seconda è quella che si oppone alla tirannia del denaro e che cerca di
controbilanciare il pro tto con una etica della solidarietà (ivi, p. 74). Spinti
dalle controcorrenti e da tutte le aspirazioni deluse che hanno alimentato le
grandi speranze rivoluzionarie del XX secolo, (ibidem), per Morin si intravedo-
no molteplici inizi di trasformazione nel XXI secolo. «Ma la vera trasformazione
potrà compiersi solo quando tali correnti si trasformeranno a vicenda le une
con le altre, operando così una trasformazione globale che retroagisca sulle
trasformazioni di ciascuna» (ibidem).
Un ruolo rilevante, «nel gioco contraddittorio dei possibili» (ivi, p. 75)
è ricoperto dagli sviluppi ambivalenti delle tecnoscienze, che consentono sia
comunione sia distruzione: «hanno ristretto la Terra, permettono a tutti i
punti del globo di essere in comunicazione immediata, forniscono i mezzi
per nutrire l'intero pianeta e per assicurare a tutti gli abitanti un minimo di
benessere, ma hanno creato le peggiori condizioni di morte e di distruzione»
(ibidem).
É proprio nelle relazioni fra esseri umani, individui, gruppi, etnie e nazioni che, per
Morin, risiede la speranza del XXI secolo. Speranza nelle possibilità cerebrali
dell'essere umano, nella possibilità della mente umana di sviluppa-
re capacità ancora ignote dell'intelligenza, della comprensione, della creatività.
E «poiché le possibilità sociali sono in relazione con quelle cerebrali, nulla può
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assicurare che le nostre società abbiano esaurito le loro possibilità di
miglioramento e di trasformazione» (ivi, p. 76). Nelle esigenze di un mondo ristretto
e interdipendente, matura quello che appare il più generale ambito di speranza.
quello di una "cittadinanza terrestre", che richiede una coscienza e un sentimento
di reciproca appartenenza che ci leghi alla nostra Terra considerata come prima e
ultima Patria (...] dobbiamo imparare a "esserci"sul pianeta.
Imparare a esserci signi ca: imparare a vivere, a condividere, a comunicare, a
essere in comunione: è ciò che si imparava soltanto nelle e con le culture singolari.
Abbiamo bisogno ormai di imparare a essere, a vivere, a condividere, a
comunicare, essere in comunione anche in quanto uomini del pianeta Terra. Non
dobbiamo più essere solo di una cultura, ma anche terrestri (ivi, p. 77).
Nel riconoscimento della pluralità culturale, dei singoli gruppi e di tutte le
comunità, si ritrova per Morin l'articolazione tra passato, presente e molteplici
futuri. Questi ultimi si costruiscono infatti ritrovando le origini e ritornando ad
esse. «Ogni essere umano, ogni collettività deve irrigare la propria vita con una
circolazione incessante fra il passato, in cui radica la propria identità [...], il
presente, in cui a erma i suoi bisogni, e un futuro nel quale proietta le sue
aspirazioni e i suoi sforzi» (ivi, p. 79).
L'identità e la cittadinanza terrestre rappresentano dunque l'obiettivo
dell'educazione, per «trasformare la specie umana in vera umanità» (ivi, p. 80),
per la sopravvivenza e non per il progresso, in questa era planetaria e nel nostro
tempo, che è anche quello di Internet (Morin 2014).
La digitalizzazione dei processi riveste in questo scenario un ruolo signi cativo e
mostra le ambiguità di una condizione di connessione imperante, che
enfatizza la situazione paradossale descritta da Morin in cui le interdipendenze
risultano tanto evidenti quanto le "incomprensioni". La condizione di
iperconnessione sembra investire soprattutto le nuove generazioni, che subiscono
ineviabilmente anche le conseguenze del digital divide e delle nuove
disuguaglianze
sociali ad esso connesse.

1.3 Generazioni digitali tra iperconessioni e divari scolastici

Una delle evidenze del mondo connesso del terzo millennio è nel fatto che non
possiamo "staccare la spina". Una "speranza" è data dalla stessa condizione di
connessione permanente e quindi dalle possibilità che essa o re. Nei primi anni
Sessanta, l'interpretazione del progresso poteva ancora rappresentare le
tecnologie - benché "macchine per pensare" (Halacy 1962) - come parte di uno
scenario separato dagli uomini, e dalle quali poter “staccarsi":

1. Immaginare il futuro
Nel breve tempo trascorso da quando il primo calcolatore elettronico fece la sua
apparizione, queste macchine pensanti hanno fatto passi cosi fantastici e in tante
direzioni che la maggior parte di noi non si rende conto di quanto la nostra vita ne
sia già in uenzata (.]
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Le banche, per esempio, si servono di macchine complesse (..]. gli u ci postali
[..]. I calcolatori cominciano a controllare fabbriche, acciaierie, forni, stabilimenti
chimici e persino la fabbricazione dei gelati [..].
É confortante ricordare che saranno sempre gli uomini a dire al calcolatore che
cosa deve fare.
Nessun calcolatore governerà il mondo, più di quanto lo governano la sgranatrice
di cotone, la macchina a vapore o la televisione. Ed in qualsiasi situazione critica,
possiamo sempre staccare la spina dal muro, non vi pare? (ivi, p. 17).
Nella scena planetaria del terzo millennio, caratterizzata dall'emergere di nuove
consapevolezze e nuovi attori, umani e non umani, biologici e arti ciali, la
connessione diviene elemento centrale delle nostre relazioni con il mondo.
Staccare la spina diviene una opzione di cilmente contemplabile, a partire
dall'impossibilità di sottrarsi alle infrastrutture tecnologiche di rete e all'insieme
dei dati di cui facciamo parte.
L’espressione “platform society" enfatizza «'inestricabile relazione tra le
piattaforme online e le strutture sociali» (Van Dijck et al. 2018, p. 24) restituendo
una visione di un mondo connesso, «in cui le piattaforme sono penetrate no al
cuore della società, in uenzando istituzioni, transazioni economi-
che, pratiche sociali e culturali» (ibidem). Il mutamento, innanzitutto cultura-
le, introdotto con la di usione delle tecnologie digitali è evidente nelle pratiche
sociali e rimanda a nuove possibilità - e alla richiesta di nuove vie - di crescita e di
sviluppo, di inclusione e di partecipazione. Questi temi, in una prospettiva più
ampia, saranno oggetto del prossimo capitolo. In queste pagine,
invece, è interessante portare sulla scena i giovani, in quanto attori dei processi
educativi, del futuro, delle culture - digitali, locali, planetarie - che contribuiscono a
de nire.
Come noto, nei decenni a partire dai Settanta, si registra un prolungamento
complessivo dei tempi della giovinezza. Il generale ripensamento delle
tradizionali distinzioni nel ciclo di vita è il risultato di percorsi di istruzione più
lunghi e di un mercato del lavoro più di cile (de Lillo 2007, Gardner e Davis
2014), che condizionano le tradizionali tappe di ingresso nella fase adulta della
vita. A ciò corrispondono inoltre tentativi di riformulazione delle politiche
pubbliche, per allinearne la direzione rispetto alle nuove esigenze sociali, oltre
che una crescente attenzione in ambito scienti co: studiare i giovani vuole dire
studiare la società nel suo complesso tenendo conto delle esigenze di coloro che
abiteranno il suo futuro» (Brambilla 2002 p. 13).
Nello scenario contemporaneo, varie sono le de nizioni delle generazioni
nelle relazioni con le tecnologie, che muovono dalla condizione di nascita e
appartenenza ad un mondo abitato da strumenti digitali. Tra le più di use, quella
di Marc Prensky (2001) «Nativi digitali», contestata per le implicazioni
deterministiche che impediscono di cogliere che il potenziale trasformativo delle
tecnologie costituisce una vera e propria s da educativa (Livingstone 2009).
Senza entrare nel dettaglio delle diverse formulazioni, risulta interessante
so ermarsi sulla proposta di Howard Gardner e Katie Davis (2014, pp. 21-23),
per i quali oggi le generazioni possono essere de nite sulla base delle tecnologie
dominanti, la cui longevità orienta anche la pregnanza nel tempo della stessa
de nizione. Intorno al concetto di "app"
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e discutendo di identità, intimità e immaginazione, gli studiosi descrivono alcune
caratteristiche che rappresentano i giovani e il cambiamento che accompagna la
di usione dei media digitali.
La ri essione intreccia elementi di carattere cognitivo e psicologico, tecnologico e
sociale, necessariamente investe il campo educativo e ci aiuta ad introdurre
l'area di competenze codi cata nel framework Entrecomp per le competenze
imprenditoriali, la cui rilevanza nelle politiche educative dell'ultimo decennio è
signi cativamente cresciuta, e su cui ci so ermeremo nei prossimi capitoli.
Come a ermano Gardner e Davis (ivi, p. 19): i giovani di quest'epoca [...] sono
giunti a vedere il mondo come un insieme di
app e le loro stesse vite come una serie ordinata di app o forse, in molti casi, come
un'unica app... una super-app. Tutto ciò che un essere umano può desiderare
deve poter essere fornito da una app; se la app richiesta non esiste, deve essere
rapidamente inventata da qualcuno (magari dalla stessa persona che ne ha
bisogno); se nessuna app adatta può essere immaginata o inventata, allora il
desiderio (o la paura, il dilemma) semplicemente non ha importanza (o almeno non
dovrebbe averne).
In una vita quotidiana online che è spesso il risultato di procedure create da
altri (ma anche creabili da noi) ci imbattiamo nei paradossi «dell'azione e della
restrizione» (ivi, p. 33) le app ci rendono «liberi di esplorare nuove direzioni»
(ibidem) o possono trasformarci in «abili pantofolai incapaci di porre nuove
domande (ivi, p. 20), riguardo all'immaginazione «possono renderci pigi,
limitandoci all'imitazione, oppure possono o rirci nuovi modi di immaginare,
creare, realizzare, riprodurre (ibidem). Scenari ambivalenti che sul versante
educativo aprono a piste di erenti che possono tramutarsi, in base alla via che
prevale, nel sogno, oppure nell'incubo, di ogni costruttivista (ivi, p. 41), che in
generale possono generare visioni "distopiche o utopiche", spingendoci ad una
maggiore dipendenza dalle tecnologie o verso una maggiore attività (ivi, p.
176). Al di là delle ambivalenze, per Gardner e Davis, le opportunità che ;
nuovi media o rono nella s da educativa sono riconducibili a due
caratteristiche principali: da possibilità di progettare e dare forma a ogni
desiderata del proprio prodotto [...] e la capacità di utilizzare forme diverse di
comprensione, conoscenza, espressione e critica, ossia [....] forme di intelligenza
multipla» (ivi, p. 165).
Termini della s da che, nell'ottica del paradosso dell'azione e della restrizione,
esprimono un aspetto della forbice del digital divide educativo.
La promozione delle competenze necessarie per agire entro sistemi sempre più
interconnessi, ai diversi livelli della vita sociale e professionale rimanda al più
ampio obiettivo di inclusione sociale. Fuori dal mito della generazione Inter-
net, la s da delle istituzioni educative è quella di costruire una via del digitale,
tra le varie possibili, che coinvolga i giovani verso una direzione autodiretta e
partecipativa.
In questa cornice, il tema del divario digitale si colloca nell'ottica di una
gradazione di capacità d'uso. Più propriamente, si esprime nella capacità di
cogliere le opportunità o erte dalle nuove tecnologie, che riformula i
tradizionali termini binari - who havelwho have not - nella direzione di un
continuum di inclusione (Livingstone e Helsper 2007, pp. 673-682). I fattori
tecnologici giocano solo una parte nella collocazione su tale continuum, che
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risulta invece condizionato da elementi di carattere socio-culturale, il cui peso
nei di erenti usi del digitale rischia di esacerbare le diseguaglianze sociali.
In questa prospettiva, il focus si sposta sul gap tra gli usi base o avanzati
dei media digitali, sulle modalità di utilizzo e sulle diverse pratiche, sulle
competenze necessarie per ottimizzarne i vantaggi (Wey e Hindman 2011,
Livingstone e Helsper 2007), sulla "qualità di utilizzo" (Castells 2000), sulle dinami-
che di costituzione dei principali network online economici, sociali, politici,
culturali, e soprattutto su quelle di esclusione da tali reti, in quanto espressione
di «una delle forme più dannose di esclusione nella nostra economia e nella nostra
cultura» (ivi, p. 15). Come espresso e cacemente da Mulgan (in Castells
2000) «i network sono creati non solo per comunicare, ma per occupare posizioni,
per comunicare più degli altri» (ivi, p. 77).
Entro una prospettiva che osserva il ruolo della conoscenza come risorsa
associata con il potere e l'inclusione, Wey e Hindman (2011) esaminano la
relazione tra digital divide e knowledge gap, rilevando che "l'uso di erenziale di
Internet" è associato a scarti di conoscenza più ampi rispetto agli utilizzi dei
media tradizionali (ibidem). In questa direzione, la questione chiave rimane,
con le parole di Pippa Norris (2001) «se Internet rinforza o erode i divari tra le
nazioni, se esaspera o riduce le di erenze sociali all'interno dei paesi» (ivi, p. 3).
In ambito educativo, il primo divario riguarda la possibilità di usare le
ICT, a scuola e a casa, ed evolve verso di erenze nell'apprendimento tra studenti
più o meno abili nell'usare le tecnologie digitali (Lau 2014). In un contesto
caratterizzato da un generale ampio uso di Internet tra i giovani, le di erenze
sembrano riguardare le diverse modalità di utilizzo, per ni di conoscenza e
studio o di svago e intrattenimento. Inoltre, tra chi usa la Rete per studiare e
apprendere, si evidenziano modalità più o meno avanzate e consapevoli, che
possono facilitare o ostacolare gli stessi apprendimenti (ibidem).
Diversi studi hanno esplorato i di erenti usi di Internet, mostrando un
più ampio e diversi cato uso del web tra gli utenti de niti esperti (Hargittai
2010) ed evidenziando inoltre la rilevanza del livello di istruzione nel divario
d'uso dei media digitali (Wey e Hindmann 2011).
È proprio sul di erenziale di uso delle tecnologie digitali che il sistema di
istruzione può generare scarti signi cativi. Nella pluralità di fattori sociali, culturali
ed economici che nutrono le di erenze, la scuola sembra assumere un
ruolo rilevante nell'apertura a pratiche online diverse e nalizzate. Come mostrato
altrove (Bu ardi e Taddeo 2017, pp. 66-70), frequenti e diversi cate
opportunità di uso delle ICT in classe risultano correlate con un più ampio uso
di Internet per scopi creativi, partecipativi e di conoscenza anche al di fuori dei
contesti scolastici. In particolare, i ragazzi che in classe sono guidati verso l'uso
consapevole e creativo delle tecnologie digitali mostrano un più ampio uso del
computer e della Rete per creare e di ondere propri contenuti, ma anche per
collaborare, per organizzare e gestire gruppi online, per cercare nuove opportunità
di formazione e di conoscenza. Appaiono, in generale, all round users (Li-
vingstone e Helsper 2007), usano cioè Internet più degli altri per una ampia varietà
di scopi, compresi quelli di intrattenimento e partecipativi Venkins
2006), di apprendimento e di conoscenza, per socializzare e per risolvere problemi,
per comunicare, gestire l'informazione, collaborare, creare e di ondere
contenuti (Bu ardi e Taddeo 2017). Su questa via, che mostra la relazione tra
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le attività didattiche digitali in classe e una maggiore diversi cazione delle attività
condotte online dai giovani, si evidenzia una progressione nella capacità di
cogliere le opportunità della Rete per la quale il ruolo delle istituzioni educative
riveste un ruolo signi cativo.
E come scrivono Livingstone e Helsper (2007), la gradazione nel cogliere
i vantaggi della Rete contribuisce a spiegare perché le di erenze nell'uso di
Internet sono importanti, anche nelle più generali dinamiche di inclusione ed
esclusione.
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