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Il documento riguarda l'audizione del professor Mario Draghi sul futuro della competitività europea, presentata al Parlamento europeo nel marzo 2025. Draghi sottolinea l'importanza di un'azione coordinata tra gli Stati membri per affrontare le sfide economiche e geopolitiche, evidenziando la necessità di aumentare la produttività e garantire la sicurezza. Il rapporto propone una strategia industriale e misure per colmare il divario di innovazione, decarbonizzare l'economia e rafforzare la governance dell'UE.

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Il documento riguarda l'audizione del professor Mario Draghi sul futuro della competitività europea, presentata al Parlamento europeo nel marzo 2025. Draghi sottolinea l'importanza di un'azione coordinata tra gli Stati membri per affrontare le sfide economiche e geopolitiche, evidenziando la necessità di aumentare la produttività e garantire la sicurezza. Il rapporto propone una strategia industriale e misure per colmare il divario di innovazione, decarbonizzare l'economia e rafforzare la governance dell'UE.

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XIX Legislatura

17 marzo 2025

Audizione del professor


Mario Draghi in merito al
Rapporto sul futuro della
competitività europea

Roma, 18 marzo 2025


XIX LEGISLATURA

Documentazione per le Commissioni


AUDIZIONI E INCONTRI IN AMBITO UE

Audizione del professor Mario Draghi in merito al


Rapporto sul futuro della competitività europea

Roma, 18 marzo 2025

SENATO DELLA REPUBBLICA CAMERA DEI DEPUTATI


SERVIZIO STUDI UFFICIO RAPPORTI CON L’UNIONE
SERVIZIO DEGLI AFFARI INTERNAZIONALI EUROPEA
UFFICIO DEI RAPPORTI CON LE ISTITUZIONI
DELL’UNIONE EUROPEA

N. 113 N. 15
SERVIZIO STUDI
TEL. 06 6706 2451 - [email protected] - @SR_Studi
Dossier n. 113

SERVIZIO DEGLI AFFARI INTERNAZIONALI


Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell’Unione Europea
TEL. 06 6706 5785 – [email protected]

UFFICIO RAPPORTI CON L’UNIONE EUROPEA


TEL. 06 6760 2145 - [email protected] - @CD_europa - europa.camera.it.
Dossier n. 15

La documentazione dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati
è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei
parlamentari. Si declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini
non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a
condizione che sia citata la fonte.
INDICE

INTRODUZIONE...................................................................................... 1
L’intervento di Draghi al Parlamento europeo in occasione della
Settimana Parlamentare europea ................................................................ 2

CAPITOLO 1 - IL PUNTO DI PARTENZA: UN NUOVO PAESAGGIO PER


L’EUROPA.............................................................................................. 5

Le principali aree di intervento .................................................................. 6


Una nuova strategia industriale per l’Europa ............................................. 8
Preservare l’inclusione sociale ................................................................... 9

CAPITOLO 2 - COLMARE IL DIVARIO DI INNOVAZIONE...................... 11


Il programma per colmare il divario di innovazione ................................ 12
Colmare il divario di competenze ............................................................ 17

CAPITOLO 3 - UN PIANO COMUNE PER LA DECARBONIZZAZIONE E LA


COMPETITIVITÀ................................................................................... 21

Ridurre i prezzi dell’energia ..................................................................... 22


Accelerare la decarbonizzazione attraverso un approccio
tecnologicamente neutrale ........................................................................ 24

CAPITOLO 4 - AUMENTARE LA SICUREZZA E RIDURRE LE


DIPENDENZE ........................................................................................ 31

Aumentare gli investimenti ...................................................................... 31


Ridurre le vulnerabilità esterne ................................................................ 32
Rafforzare la capacità industriale per la difesa e lo spazio ...................... 35

CAPITOLO 5 - FINANZIAMENTO DEGLI INVESTIMENTI ...................... 39


Mobilitare i finanziamenti pubblici e privati su scala .............................. 39

CAPITOLO 6 - RAFFORZARE LA GOVERNANCE ................................... 43


Riorientare il lavoro dell’UE .................................................................... 43
Nuovo QFP dell’UE ................................................................................. 44
Controllo di sussidiarietà e ruolo dei parlamenti nazionali ...................... 45
Accelerare il lavoro dell’UE..................................................................... 45
Semplificare le norme .............................................................................. 46

APPROFONDIMENTO: I DAZI IMPOSTI DAGLI USA............................... 49


I dazi sulle importazioni negli Stati Uniti ................................................ 49
Le competenze dell’Unione europea in materia di dazi e scambi
commerciali .............................................................................................. 49
I dazi imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni di acciaio e alluminio
dall’Unione europea ................................................................................. 52
Dati sul commercio UE-USA ................................................................... 54
Impatto potenziale di dazi reciproci sull’Italia ......................................... 55

APPENDICE: IL RAPPORTO LETTA SUL FUTURO DEL MERCATO


UNICO .................................................................................................. 61
INTRODUZIONE

Il 9 settembre 2024 Mario Draghi ha illustrato, in una conferenza


stampa congiunta con la Presidente della Commissione europea, il
rapporto “Il futuro della competitività europea”. Draghi ha poi
presentato il rapporto al Parlamento europeo il 17 settembre.
L’incarico di predisporre il rapporto è stato conferito a Draghi dalla
Commissione europea (v. discorso della Presidente von der Leyen sullo stato
dell'Unione 2023). Parallelamente, la Commissione ha dato mandato a Enrico
Letta di predisporre un rapporto sul futuro del mercato unico. Il rapporto
Letta (v. infra) è stato presentato in occasione del Consiglio europeo
straordinario del 17-18 aprile 2024.

Negli orientamenti politici per la Commissione europea 2024-2029, si


indica a volontà di seguire le raccomandazioni del rapporto nel nuovo
mandato della Commissione. Anche le lettere di incarico indirizzate dalla
Presidente von der Leyen a ciascun commissario recano l’invito ad
attingere, per le parti di competenza, alla visione ed alle proposte del
rapporto Draghi.

Il rapporto è articolato in due parti:


1. la prima, “Parte A”, suddivisa in una prefazione e sei capitoli,
espone la Strategia di competitività per l’Europa nel suo
complesso;
2. la seconda, “Parte B”, suddivisa in due sezioni, dedicate,
rispettivamente, a determinate politiche settoriali (dieci capitoli) e
orizzontali (cinque capitoli) dell’UE, contiene un’analisi
approfondita di ciascuna di esse, indicando gli obiettivi da
raggiungere e proponendo le iniziative da adottare.

Il presente dossier riporta anzitutto una sintesi del recente intervento


di Draghi alla settimana parlamentare europea svoltasi a Bruxelles il 17 e
18 febbraio 2025, nel quale sono ripresi e precisati, anche alla luce
dell’evoluzione del contesto geopolitico, diversi passaggi del rapporto.
Il dossier descrive quindi sinteticamente i principali contenuti della
Parte A seguendone l’articolazione in 6 capitoli tematici (e riportando,
laddove necessario, a fini integrativi, alcune proposte indicate nella Parte
B).

1
Sono altresì indicate, di volta in volta, anche le iniziative già presentate
dalla nuova Commissione europea per dare attuazione ad indicazioni
contenute nel rapporto.

A questo riguardo, si rileva che Bussola per la competitività dell’UE -


presentata dalla Commissione europea lo scorso 29 gennaio - delinea gli
elementi principali del nuovo modello di competitività europea che la
Commissione intende attuare, riprendendo, sia a livello di impostazione
che a livello di azioni prioritarie proposte del rapporto Draghi.

Il dossier riporta infine, anche in relazione agli ulteriori fattori indicati


da Mario Draghi nel corso del suo intervento dello scorso 17 febbraio, le
decisioni adottate o preannunciate dall’Amministrazione USA in materia
di dazi sui prodotti importanti dall’UE, nonché le misure poste in essere
da quest’ultima.

L’intervento di Draghi al Parlamento europeo in occasione


della Settimana Parlamentare europea

In occasione della Settimana parlamentare europea 2025,


organizzata dal Parlamento europeo e dal Parlamento polacco a Bruxelles
il 17 e 18 febbraio 2025, Draghi ha tenuto un intervento che, come
accennato, sviluppa diverse proposte e indicazioni del rapporto presentato
a settembre.
La “Settimana parlamentare europea” riunisce parlamentari europei e degli
Stati membri, nonché dei paesi candidati e osservatori, per discutere di questioni
economiche, di bilancio, occupazionali e sociali1.
In tale occasione, Draghi ha sostenuto che l’urgenza di intraprendere il
cambiamento radicale prospettato dal rapporto è diventato ancora più
forte, tra l’altro per i seguenti motivi:
1) i progressi nell'intelligenza artificiale che si stanno ancora
verificando, per la maggior parte, al di fuori dell'Europa, in Cina
e negli Stati Uniti soprattutto;
2) i prezzi del gas naturale e dell'energia, che restano elevati e sono
ancora due o tre volte superiori a quelli degli Stati Uniti;

1
Per conto del Parlamento italiano hanno partecipato alla riunione i senatori Terzi di
Sant’Agata, Garavaglia, Zaffini e Testor e i deputati Dell’Olio, Matera e Schifone.

2
3) i dazi imposti dalla nuova amministrazione statunitense all’UE
che, a suo avviso, resterà probabilmente da sola a garantire la
sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa.

Per affrontare le suddette sfide, la cui entità supera la dimensione dei


singoli paesi, Draghi ha richiamato l’importanza di “agire sempre di più
come se fossimo un unico Stato” mettendo in piedi un grado di
coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori, governi e parlamenti
nazionali, Commissione europea e Parlamento europeo, nonché di agire
con una risposta rapida, “perché il tempo non è dalla nostra parte, con
l’economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce”.
Draghi ha tra l’altro ribadito anche l’importanza di creare le condizioni
affinché le aziende innovative crescano in Europa, piuttosto che
rimanere piccole o trasferirsi negli Stati Uniti; a tal fine ha chiesto di
abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare
le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato
sul capitale azionario.
Ha altresì richiamato alcuni concetti espressi già nel suo rapporto.
In particolare, ha ribadito che la decarbonizzazione - molto importante
per conseguire l’indipendenza energetica dell’Europa e combattere il
cambiamento climatico - non può significare, per l’Europa, perdere posti
di lavoro verdi a causa del fatto conquistano quote di mercato le aziende
dei paesi che garantiscono un maggiore sostegno statale. Draghi ha tra
l’altro affermato, a titolo di esempio, che non si può imporre la fine del
motore endotermico se in parallelo non si impone con la stessa forza
l’installazione e il dispiegamento delle infrastrutture di ricarica.
In merito alla difesa, ha osservato che la frammentazione della
capacità industriale lungo linee nazionali impedisce la scala necessaria e
sul fatto che i sistemi di difesa nazionali non sono né interoperabili né
standardizzati.
Ha infine ribadito la centralità del settore manifatturiero europeo che
impiega circa 30 milioni di persone, rispetto ai 13 milioni degli Stati Uniti.

Circa le esigenze di finanziamento per il rilancio della competitività, ha


sottolineato che la stima contenuta nel rapporto di 750/800 miliardi di
euro all'anno è prudente. Le risorse necessarie potrebbero essere anche
maggiori.
Ha chiarito che è necessario emettere titoli di debito e che questo debito
comune deve essere, per definizione, sovranazionale, perché alcuni Paesi

3
non dispongono di spazio fiscale sufficiente nemmeno per i propri
obiettivi.
Il fabbisogno di finanziamenti potrebbe essere minore se si mettono in
atto alcune importanti riforme, come il potenziamento del mercato
interno, la semplificazione di determinate normative, la revisione delle
regole concorrenza e la creazione di un mercato unico dei capitali.
In conclusione, ha affermato Draghi, rivolgendosi in particolare ai
governi nazionali, non si può dire no a tutto, al debito comune, al
mercato interno, ai mercati dei capitali, ma bisogna scegliere una strada.
Altrimenti bisogna ammettere di non essere all’altezza di mantenere i
valori fondamentali dell’UE.

4
CAPITOLO 1 - IL PUNTO DI PARTENZA: UN NUOVO
PAESAGGIO PER L’EUROPA

Il rapporto Draghi parte dalla premessa che, pur avendo basi adeguate
ad essere un'economia altamente competitiva, l'UE registra una crescita
ridotta a causa del rallentamento della produttività.
Negli ultimi due decenni la crescita economica UE è stata costantemente più
bassa di quella degli USA, mentre la Cina ha recuperato rapidamente terreno.
Richiamando i grafici sottostanti, il rapporto sottolinea in particolare che si è
aperto un ampio divario nel PIL tra l’UE e gli Stati Uniti, guidato
principalmente da un rallentamento più pronunciato della produttività in
Europa. Le famiglie europee ne hanno pagato il prezzo in termini di perdita del
tenore di vita: su base pro capite, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi
il doppio negli Stati Uniti rispetto all’UE dal 2000.

5
Questa tendenza è stata aggravata negli ultimi anni dal venir meno di tre
condizioni esterne favorevoli all’Europa: la rapida crescita del commercio
mondiale, per cui le aziende dell’UE affrontano una maggiore concorrenza
dall’estero e un minore accesso ai mercati esteri; la brusca perdita del più
importante fornitore di energia dell’UE, la Russia; la messa in discussione, nei
nuovi assetti geopolitici, dell’ombrello di sicurezza degli USA che aveva
permesso all’UE di destinare ad altre priorità il budget per la difesa.

A fronte di questo scenario, il rapporto sostiene che l’obiettivo


principale di un’agenda per la competitività deve essere quello di
aumentare la produttività, nonché di rafforzare la sicurezza,
prerequisito per una crescita sostenibile.
Ciò è essenziale, per un verso, se si vogliono mantenere i punti di
forza del modello socio-economico europeo che ha permesso di
coniugare alti livelli di integrazione economica e sviluppo umano con
bassi livelli di disuguaglianza, e se l’Unione intende, per altro verso,
conseguire gli obiettivi ambiziosi che si è posta, quali gli alti livelli di
inclusione sociale, neutralità delle emissioni di CO2 e maggiore rilevanza
geopolitica.
L’aumento di produttività, pertanto, “è una sfida esistenziale per
l'UE”, preservando i valori di equità e inclusione sociale, come
sottolineato da Draghi nel rapporto e ribadito in occasione della
presentazione dello stesso innanzi al Parlamento europeo; senza di esso,
“col tempo diventeremo inesorabilmente meno prosperi, meno uguali,
meno sicuri e, di conseguenza, meno liberi di scegliere il nostro destino”.
Il rischio è che l’UE debba scegliere a quali, tra gli obiettivi e addirittura
tra i valori fondamentali stabiliti nei Trattati e alla base dell’integrazione
europea (come democrazia, libertà, pace, equità e prosperità in un
ambiente sostenibile), rinunciare. Ove ciò si verificasse, secondo Draghi,
essa “avrà perso la sua ragione d'essere”.

Le principali aree di intervento

Il rapporto identifica 3 aree principali di intervento per l’UE al fine di


rilanciare la crescita e gestire tre grandi trasformazioni in atto,
digitalizzazione, decarbonizzazione e cambiamenti geopolitici:
1) correggere il rallentamento della crescita della produttività,
colmando il divario di innovazione (innovation gap) nei confronti

6
di USA e Cina. Ritiene che l’innovazione possa diventare il nuovo
motore della crescita europea e rappresentare lo strumento con
cui mantenere la leadership manifatturiera e sviluppare nuove
tecnologie rivoluzionarie e che l'intelligenza artificiale (IA) offra
all'Unione un’occasione importante per correggere i suoi fallimenti
in termini di innovazione e produttività (solo 4 delle prime 50
aziende tecnologiche al mondo sono europee) e ripristinare il
proprio potenziale manifatturiero;
2) ridurre i prezzi elevati dell'energia (le aziende dell’UE devono
ancora affrontare prezzi dell’elettricità che sono 2-3 volte quelli
degli Stati Uniti, mentre i prezzi del gas naturale pagati sono 4-5
volte superiori), continuando, al contempo, il processo di
decarbonizzazione e di transizione a un’economia circolare.
Ritiene che l’UE possa assumere un ruolo di guida nelle nuove
tecnologie pulite e nelle soluzioni di circolarità, a condizione che
tutte le politiche europee siano in sintonia con gli obiettivi di
decarbonizzazione. Il rapporto propone pertanto un piano
congiunto per la decarbonizzazione e la competitività;
3) reagire dinanzi a un contesto geopolitico meno stabile,
aumentando la sicurezza, tenuto altresì conto del fatto di non
poter più contare come prima sugli Stati Uniti, e riducendo le
dipendenze, che stanno diventando vulnerabilità. Chiede, tra
l’altro, una vera e propria "politica economica estera" e una forte e
indipendente capacità industriale di difesa e propone un piano per
gestire le dipendenze e rafforzare gli investimenti nella difesa.

In queste aree il rapporto chiede un maggior coordinamento:


- tra gli Stati membri affinché si evitino duplicazioni, standard
incompatibili e mancata considerazione delle esternalità (tra cui
quella particolarmente dannosa dell’impatto negativo sul mercato
unico quando i paesi più grandi e con maggiore spazio fiscale
possono fornire un sostegno molto più generoso degli altri - v.
figura sottostante sugli aiuti di Stato);
- tra gli strumenti di finanziamento;
- tra le varie politiche, come avviene negli Stati Uniti e in Cina dove
le politiche industriali comprendono strategie che combinano
politiche fiscali per incentivare la produzione interna, politiche

7
commerciali per penalizzare i comportamenti anticoncorrenziali
all’estero e politiche economiche estere per garantire le catene di
approvvigionamento.

Una nuova strategia industriale per l’Europa


Il rapporto giudica indispensabile varare una nuova strategia
industriale per l’Europa, fondata su 4 elementi costitutivi:
 la piena attuazione del mercato unico;
Il rapporto afferma di non contenere un capitolo appositamente dedicato al
mercato unico in quanto il rapporto Letta ha già analizzato sistematicamente
le principali sfide che il mercato unico deve affrontare e fornito
raccomandazioni.
 la stretta interazione tra politiche industriali e politiche di
concorrenza e commerciali dell’UE;
Riguardo queste ultime, il rapporto chiede, tra l’altro, che l’uso di misure
commerciali sia pragmatico e allineato con l’obiettivo generale di aumentare
la crescita della produttività dell’UE e sia bilanciato con gli interessi dei
consumatori, nonché che vi sia un maggiore coordinamento delle decisioni
dell’UE in materia di investimenti diretti esteri.
 il finanziamento (v. infra il capitolo 5);
 la riforma della governance dell'UE (v. infra il capitolo 6).

8
Preservare l’inclusione sociale

Il primo capitolo si conclude raccomandando un approccio europeo in


grado di garantire che la crescita della produttività e l'inclusione sociale
vadano di pari passo. Ciò con particolare riguardo alla acquisizione delle
competenze dei cittadini, ad una politica di coesione coerente con la
spinta verso una maggiore innovazione, al completamento del mercato
unico e ad una maggiore attenzione alle conseguenze dei cambiamenti
sociali in atto.
Il rapporto afferma che l'UE deve prendere esempio dagli USA in
termini di crescita della produttività e innovazione, senza acquisire gli
svantaggi del modello sociale statunitense.

9
10
CAPITOLO 2 - COLMARE IL DIVARIO DI INNOVAZIONE

Il secondo capitolo del rapporto approfondisce la questione del divario


di innovazione, specie nelle tecnologie avanzate, tra l’UE e alcuni
competitors, USA e Cina su tutti. Il rapporto ricorda che in Europa, a
causa della situazione demografica sfavorevole, la domanda interna non
sarà più sostenuta dall’aumento della popolazione; per guidare la crescita,
l’UE dovrà fare affidamento sulla produttività trainata dallo sviluppo
delle tecnologie emergenti.
In questo contesto la tecnologia digitale rappresenta il fattore chiave
del crescente divario di produttività tra UE e USA.
Il rapporto evidenzia che l’Europa non ha capitalizzato la prima rivoluzione
digitale guidata da Internet e ora è anche in ritardo nelle tecnologie digitali
rivoluzionarie. Circa il 70% dei modelli di IA di base è stato sviluppato negli
USA e solo 3 "hyperscaler" statunitensi rappresentano oltre il 65% del mercato
cloud globale ed europeo. Il più grande operatore cloud europeo rappresenta solo
il 2% del mercato UE. Il calcolo quantistico è destinato a essere la prossima
grande innovazione, ma 5 delle prime 10 aziende tecnologiche a livello mondiale
in termini di investimenti quantistici hanno sede negli USA e 4 in Cina (nessuna
nell'UE).
Il rapporto ritiene, tuttavia, che l'Europa abbia ancora l'opportunità di
capitalizzare le future ondate di innovazione digitale, a cominciare dall'IA
generativa, una tecnologia in evoluzione in cui le aziende europee
possono ritagliarsi una posizione di leadership in segmenti selezionati. Il
rapporto sostiene quindi che l'integrazione "verticale" dell'IA
nell'industria europea (ad es. nei settori farmaceutico e automobilistico,
dove l'UE è leader globale) rappresenta un fattore critico per sbloccare
una maggiore produttività. Occorre, tuttavia, fare attenzione alle
competenze dei lavoratori per scongiurare il rischio che l’IA indebolisca
il modello sociale europeo.
L'Europa detiene, ad es., una posizione forte nella robotica autonoma,
ospitando circa il 22% dell'attività mondiale, e nei servizi di IA, ospitando circa
il 17% dell'attività.

11
Il programma per colmare il divario di innovazione
Il rapporto propone un programma per colmare il divario di
innovazione dell’Europa ed individua le azioni principali per affrontare i
fattori di debolezza che ostacolano l’innovazione stessa.
Alla base della posizione di debolezza dell’Europa nel campo delle tecnologie
digitali vi è una struttura industriale statica, che produce un circolo vizioso di
bassi investimenti e bassa innovazione, definito “la trappola della tecnologia
intermedia”. Ciò, secondo il rapporto, è in gran parte dovuto a debolezze lungo
il “ciclo di vita dell’innovazione” che impediscono a nuovi settori e aziende
concorrenti di emergere. Tutto ciò ostacola il passaggio dall’innovazione alla
commercializzazione.
Nel rapporto si ricorda che i primi 3 investitori in R&I in Europa sono
aziende automobilistiche. Lo stesso accadeva negli Stati Uniti all’inizio degli
anni 2000, con l’auto e il settore farmaceutico in testa, ma ora i primi 3 sono tutti
nel settore tecnologico.

Riforma del programma quadro di R&I


In primo luogo, il rapporto chiede di riformare il prossimo
programma quadro di R&I dell’UE in termini di orientamento
(numero minore di priorità condivise), allocazione degli stanziamenti (più
risorse per finanziare l’innovazione dirompente e trasformazione del
Consiglio europeo dell'innovazione - CEI - in una vera e propria “agenzia
di tipo ARPA” che possa sostenere progetti ad alto rischio), governance
(project manager e persone con una comprovata esperienza in prima linea
nell’innovazione; processi di adesione più rapidi e meno burocratici) e
dotazione finanziaria (budget raddoppiato: 200 miliardi di euro per 7
anni).

12
Il rapporto sostiene che il sostegno del settore pubblico alla R&I è
inefficiente a causa della mancanza di un focus sull’innovazione dirompente e
della frammentazione dei finanziamenti. Nell’UE i governi spendono
complessivamente un importo simile a quello degli USA per la R&I in
percentuale del PIL, ma solo un decimo della spesa avviene a livello europeo.

Il programma per la R&I dell’UE 2021-2027, Orizzonte Europa, ha un budget


di quasi 100 miliardi di euro distribuito su troppi campi, con un accesso
eccessivamente complesso e non sufficientemente focalizzato sull’innovazione
dirompente. Lo strumento chiave UE per sostenere le tecnologie radicalmente
nuove con bassi livelli di maturità (Pathfinder del CEI) ha un budget di 256
milioni di euro per il 2024, rispetto ai 4,1 miliardi di dollari dell’Agenzia di
ricerca per i progetti avanzati della difesa (DARPA) statunitense e ai 2 miliardi
di dollari delle altre agenzie “ARPA”, ed è gestito principalmente da funzionari
dell’UE. La maggior parte degli Stati membri non è poi in grado di raggiungere
le dimensioni necessarie per fornire infrastrutture tecnologiche e di ricerca
all’avanguardia a livello mondiale, il che limita la capacità di R&I. Il CERN e
l’EuroHPC dimostrano invece l’importanza del coordinamento nello sviluppo di
grandi progetti infrastrutturali di R&I.

Unione per la Ricerca e l’Innovazione


In secondo luogo, al fine di migliorare il coordinamento della R&I
pubblica tra gli Stati membri, il rapporto propone di istituire un’Unione
per la Ricerca e l’Innovazione e lanciare un “Piano d’azione europeo
per la ricerca e l’innovazione”, elaborato dagli Stati membri insieme alla
Commissione, alla comunità dei ricercatori e alle parti interessate del
settore privato.

13
Consiglio europeo della ricerca e programma CER
In terzo luogo, si raccomanda di raddoppiare il sostegno alla ricerca
fondamentale attraverso il Consiglio europeo della ricerca (CER),
aumentando in modo significativo il numero di beneficiari di borse di
studio senza diluire l’importo, e di introdurre un programma “CER per
le istituzioni”, basato sull’eccellenza e altamente competitivo, per fornire
le risorse necessarie alle istituzioni accademiche e pensare a nuovo regime
per i ricercatori di punta (posizione di “cattedra UE”), nonché per attrarre
e trattenere i migliori studiosi accademici assumendoli come funzionari
europei, da supportare con un nuovo quadro UE per i finanziamenti
privati.
Il rapporto dichiara che in Europa non ci sono abbastanza istituzioni
accademiche che raggiungono i massimi livelli di eccellenza e che i ricercatori
in Europa sono meno integrati nei “cluster” dell’innovazione (reti di università,
start-up, grandi aziende e venture capitalist) responsabili di un’ampia quota dei
successi commerciali nei settori high-tech. L’Europa non ha nessun “cluster” di
innovazione tra i primi 10 a livello globale, mentre gli Stati Uniti ne hanno 4 e
la Cina 3.

Transizione dall’invenzione alla commercializzazione


In quarto luogo, il rapporto propone una serie di misure per sostenere
la transizione dall’invenzione alla commercializzazione: tra queste, un
nuovo schema per una condivisione equa e trasparente delle royalty;
l’adozione di un brevetto unitario in tutti gli Stati membri dell’UE; una
valutazione approfondita dell’impatto della regolamentazione digitale e
di altro tipo sulle piccole imprese e la possibilità per le start-up
innovative di adottare un nuovo statuto giuridico a livello europeo
(“Impresa Europea Innovativa”).

Finanziamenti alle imprese innovative


Ulteriori misure proposte hanno lo scopo, invece, di generare un
aumento significativo dei finanziamenti di capitale e del debito
disponibili per le start-up e lo scale-up. Tra queste, espandere gli
incentivi per i “business angel” e gli investitori di capitale di avviamento;
valutare la necessità di eventuali ulteriori modifiche ai requisiti
patrimoniali nell’ambito della direttiva Solvency II (con l’obiettivo di
stimolare gli investimenti istituzionali in aziende innovative in determinati

14
sottosettori); aumentare il bilancio del FEI e ampliare il mandato del
Gruppo BEI per consentire il co-investimento in imprese che richiedono
volumi di capitale più elevati, consentendogli di assumere maggiori rischi
per contribuire al “crowd-in” degli investitori privati.
A giudizio del rapporto, la frammentazione del mercato unico e gli ostacoli
normativi e giurisdizionali impediscono a molte aziende europee, specie
giovani e nel settore digitale, di diventare mature e redditizie, spingendole a
cercare finanziamenti da società di venture capital statunitensi e fare scale-up
sul mercato USA. Tra il 2008 e il 2021, quasi il 30% degli ‘unicorni’ fondati in
Europa - start-up che sono state valutate più di 1 miliardo di dollari - hanno
trasferito la loro sede all’estero, la maggior parte negli Stati Uniti. Tra l’altro,
afferma il rapporto, molte leggi dell’UE adottano un approccio
precauzionale, dettando pratiche commerciali specifiche ex ante per
scongiurare potenziali rischi ex post (l’AI Act, ad esempio, impone ulteriori
requisiti normativi ai modelli di IA per scopi generici che superano una soglia
predefinita di potenza computazionale). L’UE è infine in ritardo nella fornitura
di infrastrutture all’avanguardia indispensabili per consentire la
digitalizzazione dell’economia.

Ulteriori interventi per l’intelligenza artificiale


Il rapporto chiede altresì all’UE di aumentare in modo significativo la
capacità di calcolo dedicata all’addestramento e allo sviluppo algoritmico
dei modelli di IA nei centri HPC e di finanziare l’espansione di
EuroHPC con ulteriori capacità cloud e di archiviazione per supportare
l’addestramento dell’IA in più sedi. Ritiene utile sviluppare un “modello
federato di IA” basato sulla cooperazione tra infrastrutture pubbliche e
private e raccomanda la creazione di un quadro di riferimento a livello
europeo che consenta di fornire “capitale di calcolo” del settore pubblico
alle PMI innovative in cambio di rendimenti finanziari.
Nella “corsa ai chip per l’IA” a livello globale le aziende europee più piccole
e meno finanziate potrebbero faticare a competere, afferma il rapporto, in quanto
si stima che l’addestramento dei sistemi di IA di nuova generazione potrebbe
presto costare fino a 1 miliardo di dollari e raggiungere i 10 miliardi di dollari
entro la fine del decennio. Allo stesso tempo, l’implementazione dell’IA
richiederà connessioni più veloci, a bassa latenza e più sicure, ma la
frammentazione del mercato europeo rende i costi fissi di investimento nelle reti
più onerosi per gli operatori dell’UE rispetto alle aziende su scala continentale
negli Stati Uniti o in Cina.

15
Sempre con riferimento all’IA, l’UE dovrebbe promuovere il
coordinamento intersettoriale e la condivisione dei dati per accelerare
l’integrazione dell’IA nell’industria europea. Innanzitutto, le aziende
dell’UE dovrebbero essere incoraggiate a partecipare a un “Piano di
priorità verticale per l’IA” con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo
dell’IA nei seguenti dieci settori strategici: automotive, manifattura
avanzata e robotica, energia, telecomunicazioni, agricoltura, aerospazio,
difesa, previsioni ambientali, farmaceutica e sanità.
I partecipanti al piano beneficerebbero di finanziamenti UE per lo sviluppo
dei modelli e di una serie specifica di esenzioni in materia di concorrenza e
sperimentazione dell’IA (che dovrebbe essere incoraggiata attraverso l’apertura,
il coordinamento e l’armonizzazione a livello di UE di “regimi Sandbox per
l’IA” nazionali per le aziende partecipanti).

Mercato digitale transatlantico


Data la posizione dominante dei fornitori statunitensi, l’UE, secondo il
rapporto, deve trovare una via di mezzo tra la promozione dell’industria
cloud domestica (per ragioni di sovranità europea) e la garanzia di
accesso alle tecnologie di cui ha bisogno. Il rapporto raccomanda tra
l’altro di adottare politiche di sicurezza dei dati a livello europeo per la
collaborazione tra fornitori di cloud dell’UE e extra-UE, introdurre
standard obbligatori per gli appalti del settore pubblico e negoziare, al di
fuori dei segmenti di mercato “sovrani”, un “mercato digitale
transatlantico” a bassa barriera, che garantisca la sicurezza della catena
di approvvigionamento e le opportunità commerciali per le aziende
tecnologiche dell’UE e degli USA a condizioni eque e paritarie.

Mercati delle telecomunicazioni


Il rapporto sostiene poi la necessità di facilitare il consolidamento del
settore delle telecomunicazioni per ottenere tassi di investimento più
elevati nella connettività. L’iniziativa principale raccomandata è quella di
definire i mercati delle telecomunicazioni a livello dell’UE, anziché a
livello degli Stati membri, e di aumentare il peso degli impegni in materia
di innovazione e investimenti nelle norme dell’UE per l’autorizzazione
delle fusioni. La regolamentazione ex ante a livello nazionale dovrebbe
essere ridotta a favore di un’applicazione ex post per la concorrenza nei
casi di abuso di posizione dominante.

16
Il rapporto propone tra l’altro di armonizzare le norme e i processi di
concessione delle licenze a livello europeo e di definire le caratteristiche di
progettazione delle aste a livello Ue per contribuire a creare dimensioni di scala,
nonché di istituire un organismo europeo con la partecipazione di soggetti
pubblici e privati per sviluppare standard tecnici omogenei per
l’implementazione di API di rete ed edge computing.

R&I per il settore farmaceutico


L’ultimo elemento del programma è sostenere ed espandere la R&I per
il settore farmaceutico, tra l’altro accelerando la digitalizzazione dei
sistemi sanitari e dello Spazio europeo dei dati sanitari, aumentando le
capacità di sequenziamento del genoma nell’UE, presentando un piano
strategico per il periodo post-2026 e fornendo indicazioni chiare e
tempestive sull’uso dell’IA nel ciclo di vita dei farmaci. Parallelamente, le
autorità di regolamentazione dovrebbero puntare ad aumentare l’attrattiva
dell’UE per la conduzione di studi clinici e ad accelerare l’accesso ai
mercati per i nuovi farmaci. I finanziamenti UE dovrebbero riorientarsi su
un numero limitato di poli di innovazione di prim’ordine nelle scienze
della vita per i medicinali per terapie avanzate.
Il rapporto ricorda che la spesa totale del settore pubblico dell’UE per la R&I
nel settore farmaceutico è meno della metà di quella degli Stati Uniti, mentre gli
investimenti privati totali in R&I nell’UE sono circa un quarto di quelli degli
Stati Uniti.

Colmare il divario di competenze


Il rapporto sostiene la necessità di rivedere l’approccio dell’UE alle
competenze, rendendolo più strategico, orientato al futuro e focalizzato
sulle carenze di competenze emergenti. Raccomanda in particolare:
 il miglioramento dell’uso della skills intelligence, mediante un uso
più intenso dei dati per comprendere e agire sulle carenze di
competenze esistenti;
 una maggiore reattività dei sistemi di istruzione e formazione alle
mutevoli esigenze di competenze e alle carenze di competenze
individuate dalla skills intelligence;

17
 un sistema comune di certificazione per rendere facilmente
comprensibili, dai potenziali datori di lavoro in tutta l’UE, le
competenze acquisite attraverso i programmi di formazione;
 un ripensamento dei programmi dell’UE dedicati all’istruzione e alle
competenze, in modo che i fondi stanziati possano avere un impatto
maggiore;
 interventi specifici per affrontare le carenze più gravi di competenze
tecniche e STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics).
Propone di lanciare un nuovo Programma di acquisizione delle
competenze tecnologiche per attrarre talenti tecnologici dall’esterno
dell’UE, adottato a livello europeo e cofinanziato dalla Commissione e
dagli Stati membri.
A giudizio del rapporto, la persistente carenza di competenze in diversi
settori e occupazioni di cui soffre l’economia europea (v. grafico sottostante),
sia per i lavoratori poco qualificati che per quelli altamente qualificati,
costituisce un ostacolo all’innovazione e all’adozione di tecnologie; potrebbe
altresì potenzialmente ostacolare la decarbonizzazione, che richiederà nuove
competenze e profili professionali. Tale carenza è dovuta al declino dei sistemi
di istruzione e formazione che non riescono a preparare la forza lavoro ai
cambiamenti tecnologici. Inoltre, gli investimenti UE hanno inoltre dato
risultati relativamente scarsi a causa di diversi fattori: la mancanza di volontà da
parte degli Stati membri, responsabili delle politiche per le competenze, di
andare oltre forme blande di coordinamento; l’insufficiente coinvolgimento
industriale nello sviluppo di competenze specifiche per il lavoro; la mancanza di
valutazioni sistematiche; l’uso insufficiente della “skills intelligence”, ovvero
l’uso di informazioni affidabili, granulari e comparabili sulle esigenze in termini
di competenze.

18
Per affrontare il tema della carenza di competenze e della manodopera il 5
marzo 2025 la Commissione ha presentato una apposita comunicazione
sull’Unione delle competenze. Tale iniziativa si pone l’obiettivo di garantire
che i lavoratori possano ricevere l’istruzione e la formazione necessarie e le
imprese europee possano accedere a forza lavoro qualificata.

19
20
CAPITOLO 3 - UN PIANO COMUNE PER LA
DECARBONIZZAZIONE E LA COMPETITIVITÀ

Il terzo capitolo del rapporto approfondisce gli aspetti connessi alla


necessità dell’Europa di affrontare alcune scelte fondamentali su come
portare avanti il proprio percorso di decarbonizzazione preservando,
tuttavia, la posizione competitiva della sua industria. A tal fine, l’Europa
dovrà introdurre una strategia mista che combini diversi strumenti e
approcci politici per i vari settori.
L’attuazione della strategia richiederà un piano comune per la
decarbonizzazione e la competitività, in cui tutte le politiche siano
allineate agli obiettivi dell’UE e siano considerate quattro casistiche
generali:
 nei settori in cui lo svantaggio dell’Europa in termini di costi è
troppo grande per poter affrontare la concorrenza, è
economicamente sensato importare la tecnologia necessaria,
diversificando il più possibile i fornitori per limitare le
dipendenze;
 nei settori in cui l’UE ha preoccupazioni per il Paese di
produzione (per proteggere i posti di lavoro dalla concorrenza
sleale), ma non per la provenienza della tecnologia sottostante,
una combinazione efficace di politiche consisterebbe
nell’incoraggiare gli investimenti diretti esteri (IDE) all’interno
dell’UE, adottando al contempo misure commerciali volte a
compensare il vantaggio in termini di costi ottenuto grazie alle
sovvenzioni estere;
 nei settori in cui l’UE ha interesse strategico nel garantire che le
aziende europee mantengano know-how e capacità produttive
rilevanti per poter aumentare la produzione in caso di tensioni
geopolitiche, si dovrebbe puntare ad aumentare la “bancabilità”
a lungo termine dei nuovi investimenti in Europa, ad es.
applicando requisiti di contenuto locale, e a garantire un livello
minimo di sovranità tecnologica;
 nei “settori nascenti”, in cui l’UE ha un vantaggio innovativo e
un elevato potenziale di crescita futura, un approccio consolidato
consiste nell’applicare una gamma completa di misure aventi

21
effetti di distorsione sul commercio fino a quando il settore non
arriva a un livello tale da permettere di ritirare tali protezioni.

Nel rapporto vengono individuate quindi aree prioritarie sulle quali


dovranno concentrarsi gli sforzi dell’UE, incluse, in particolare, la
riduzione dei prezzi dell’energia, lo sfruttamento delle opportunità
industriali offerte dalla transizione verde e la creazione di condizioni
paritarie nei settori che devono affrontare obiettivi di decarbonizzazione
più rigorosi rispetto alla concorrenza estera o che sono più esposti alla
concorrenza sleale dall’estero.

Lo scorso 26 febbraio la Commissione europea ha presentato la


comunicazione sul “patto per l'industria pulita” (Clean Industrial Deal), un
ambizioso piano operativo volto a sostenere la competitività e la resilienza
dell’industria dell’UE e ad accelerare la decarbonizzazione, garantendo nel
contempo un futuro sicuro all'industria manifatturiera in Europa. Il patto aiuterà
inoltre a conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo.

Ridurre i prezzi dell’energia


L’UE dovrà perseguire l’obiettivo della riduzione dei costi
dell’energia per gli utenti finali, accelerando la decarbonizzazione nel
settore energetico in modo efficiente mediante il ricorso a tutte le
soluzioni disponibili.
Nel rapporto si sottolinea come gli alti costi dell’energia in Europa siano un
ostacolo alla crescita e influenzino gli investimenti delle imprese molto di più
che in altre grandi economie. La decarbonizzazione offre all’Europa
l’opportunità di ridurre i prezzi dell’energia e di assumere un ruolo guida nelle
tecnologie pulite (“clean tech”), diventando al contempo più sicura in termini
energetici.

In particolare, si raccomanda di:


 ridurre la volatilità dei prezzi del gas naturale, rafforzando gli
acquisti congiunti, almeno per il GNL, per sfruttare il potere di
mercato dell’Europa e ridurre la sua esposizione al mercato spot,
incoraggiando un progressivo abbandono dell’approvvigionamento
legato agli spot. L’UE dovrebbe altresì stabilire partenariati a

22
lungo termine con partner commerciali affidabili e diversificati
nel quadro di una vera e propria strategia comune per il gas. In
particolare, le autorità di regolamentazione dovrebbero essere in
grado di applicare limiti alle posizioni finanziarie e tetti dinamici
in circostanze in cui i prezzi spot o dei derivati dell’energia nell’UE
divergono notevolmente da quelli globali;
Il potere contrattuale collettivo potenziale dell’UE non è infatti
sfruttato a sufficienza e si basa eccessivamente sui prezzi spot,
nonostante l’Ue sia il più grande importatore mondiale di gas e GNL.
Il gas naturale inoltre continuerà a far parte del mix energetico europeo
nel medio termine, anche se gli scenari suggeriscono che il fabbisogno di
gas dell’UE diminuirà dell’8%-25% entro il 2030.
 istituire un regolamento commerciale comune che si applichi sia
ai mercati spot che a quelli dei derivati e garantire una vigilanza
integrata dei mercati dell’energia e dei derivati sull’energia,
nonché rivedere l’esenzione per le “attività ausiliarie” per garantire
che tutte le entità commerciali siano soggette alla stessa vigilanza e
agli stessi requisiti;
La maggior parte delle attività di trading nei mercati europei del gas
viene svolta da poche società non finanziarie. Il rapporto riferisce che
dati recenti presentati dall’ESMA suggeriscono che esiste una
concentrazione significativa sia a livello di posizioni che di sedi negoziali
e che nel 2022 la concentrazione è aumentata durante la maggiore
impennata dei prezzi del gas naturale. Le entità finanziarie regolamentate
sono soggette a norme di condotta e prudenziali, mentre molte delle
società che negoziano derivati su merci possono contare su esenzioni.

 scindere la remunerazione delle energie rinnovabili e del


nucleare dalla produzione da combustibili fossili basandosi sugli
strumenti introdotti nell’ambito del nuovo assetto del mercato
dell’energia elettrica, come i PPA e i CfD bidirezionali, ed
estenderli progressivamente a tutti gli asset rinnovabili e nucleari
in modo armonizzato.
Anche con la progressiva riduzione della dipendenza dell’UE dal gas
naturale e con l’aumento degli investimenti nella produzione di energia
pulita, le norme UE di mercato non scindono completamente il prezzo
dell’energia rinnovabile e nucleare dai prezzi più alti e volatili dei
combustibili fossili, impedendo agli utenti finali di cogliere appieno i
benefici dell’energia pulita. Il ricorso a soluzioni contrattuali a lungo

23
termine, come i mercati degli accordi di compravendita di energia
elettrica (PPA) o i contratti per differenza (CfD), può contribuire a
ridurre la correlazione tra il prezzo marginale fissato e il costo
dell’energia per gli utenti finali, altrimenti i benefici derivanti da un
dispiegamento accelerato delle energie rinnovabili potrebbero essere
limitati.
 abbassare la tassazione energetica adottando un livello massimo
comune di sovrapprezzo in tutta l’UE (comprese le imposte, i
prelievi e gli oneri di rete).
Il rapporto ricorda che la riforma della legislazione UE in questo settore
è soggetta all’unanimità, ma propone anche di prendere in
considerazione la cooperazione tra un sottogruppo di Stati membri o
linee guida sulla tassazione dell’energia.

Elemento chiave del citato patto per l’industria pulita è il piano d’azione per
un’energia a prezzi accessibili, presentato dalla Commissione il 26 febbraio
scorso (la versione in lingua italiana non risulta disponibile al momento della
redazione del presente bollettino).
Il piano prevede misure a breve termine per abbassare i costi dell'energia,
completare l'Unione dell'energia, attirare investimenti e prepararsi meglio a
potenziali crisi energetiche.

Accelerare la decarbonizzazione attraverso un approccio


tecnologicamente neutrale

Il rapporto individua come ulteriore obiettivo centrale l’accelerazione


della decarbonizzazione in modo efficiente dal punto di vista dei costi
adottando un approccio tecnologicamente neutrale, che includa tutte le
soluzioni disponibili, e in particolare le energie rinnovabili, il nucleare,
l’idrogeno, la bioenergia e la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio della CO2.
Tale approccio dovrebbe essere sostenuto da una massiccia
mobilitazione di finanziamenti sia pubblici che privati sulla base delle
proposte presentate nel capitolo sugli investimenti. Si raccomanda in
particolare di:
 semplificare e snellire le autorizzazioni e i processi
amministrativi per accelerare la diffusione delle energie

24
rinnovabili, le infrastrutture di flessibilità e le reti, attraverso
diverse possibili opzioni idonee a ridurre i ritardi nelle
autorizzazioni per nuovi progetti energetici.
Si propone, tra l’altro, di estendere le misure di accelerazione e la
regolamentazione di emergenza alle reti di distribuzione del calore, ai
generatori di calore e alle infrastrutture per l’idrogeno e per la cattura e
lo stoccaggio della CO2; di concentrarsi maggiormente sulla
digitalizzazione dei processi di autorizzazione nazionali in tutta l’UE;
di affrontare la mancanza di risorse delle autorità di autorizzazione e
di utilizzare aggiornamenti mirati della legislazione ambientale
rilevante dell’UE per fornire esenzioni limitate (in tempo e portata) alle
direttive ambientali dell’Unione fino al raggiungimento della neutralità
climatica. Come altre possibili soluzioni vengono indicate l’attuazione
sistematica della legislazione vigente, nonché rendere le zone di
accelerazione per le energie rinnovabili e le valutazioni ambientali
strategiche la regola per espandere le rinnovabili, sostituendo le
valutazioni individuali per progetto;
Il rapporto sottolinea come, senza un aumento della rapidità di
erogazione di autorizzazioni per l’installazione, la maggior offerta di
finanziamenti per diffondere l’energia pulita non potrà produrre i risultati
desiderati, tra cui una più rapida installazione di nuova capacità,
considerato anche che i tempi di autorizzazione variano notevolmente da
uno Stato membro all’altro.
 istituire un “28° regime”, vale a dire un quadro giuridico speciale
al di fuori dei 27 diversi quadri giuridici degli stati membri, per gli
interconnettori considerati importanti progetti di comune
interesse europeo (IPCEI), in modo da ridurre la durata delle
procedure nazionali e integrarle in un unico processo, evitando che
i progetti siano bloccati da singoli interessi nazionali. Si sottolinea
anche la necessità che il prossimo QFP rafforzi lo strumento
dedicato al finanziamento delle interconnessioni e si propone di
creare un coordinatore europeo permanente incaricato di
assistere nell’ottenimento dei permessi necessari;
Elemento centrale per accelerare la decarbonizzazione sarà sbloccare il
potenziale dell’energia pulita attraverso un’attenzione collettiva
dell’UE alle reti. Senza un aumento significativo della capacità di
generazione e di rete l’Europa potrebbe trovarsi limitata anche nel
digitalizzare maggiormente la produzione, dato che addestrare ed

25
eseguire modelli di intelligenza artificiale e gestire i centri dati sono
attività ad alta intensità energetica.
 sviluppare la governance necessaria per un’autentica Unione
dell’energia;
 destinare una quota maggiore dei proventi del sistema ETS alle
industrie ad alta intensità energetica (EII) e utilizzare tali
proventi anche per sostenere la decarbonizzazione del settore dei
trasporti.
Durante la transizione si raccomanda, infatti, di garantire pari condizioni
a livello globale per le EII e gli operatori dei trasporti e, per sostenere
finanziariamente la decarbonizzazione dei trasporti, si propone di
rendere disponibile un paniere di opzioni che potrebbe includere i CfD,
combinando sovvenzioni dell’UE con il sostegno della BEI e delle
banche di promozione nazionali, e modelli Regulatory Asset Based per
gli investimenti nelle infrastrutture ferroviarie (ad alta velocità). L’UE
dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di posticipare
l’eliminazione graduale delle quote gratuite del sistema ETS per le
EII se l’implementazione del CBAM risultasse inefficace. In generale
il finanziamento della decarbonizzazione in tutta l’UE dovrebbe basarsi
su strumenti comuni, competitivi e semplici, come i contratti per
differenza sul carbonio o le aste competitive della Banca europea
dell’idrogeno;
Le industrie ad alta intensità energetica soffrono, infatti, non solo gli alti
prezzi dell’energia, ma anche la mancanza di sostegno pubblico per
realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e investire in combustibili
sostenibili. Nonostante le massicce esigenze di investimento delle EII e
la difficoltà di investire in settori “difficili da abbattere”, in Europa il
sostegno pubblico alla transizione è limitato, mentre in altre regioni le
EII, pur non avendo gli stessi obiettivi di decarbonizzazione né
richiedendo investimenti simili, beneficiano di un sostegno statale più
generoso. La Cina, ad es., fornisce oltre il 90% dei 70 miliardi di dollari
di sovvenzioni globali nel settore dell’alluminio, così come ingenti
sovvenzioni per l’acciaio. La decarbonizzazione rappresenta anche uno
svantaggio competitivo per le parti “più difficili da abbattere” del settore
dei trasporti (aviazione e trasporto marittimo). Affinché l’UE guidi la
decarbonizzazione delle EII sono necessarie risorse finanziarie
sufficienti. La decarbonizzazione, infatti, costerà complessivamente 500
miliardi di euro alle quattro maggiori EII (chimica, metalli di base,
minerali non metalliferi e carta) nei prossimi 15 anni, mentre per le parti
più “difficili da abbattere” del settore dei trasporti (marittimo e aereo) il

26
fabbisogno di investimenti è di circa 100 miliardi di euro all’anno dal
2031 al 2050.
 riorientare il sostegno alla produzione di tecnologie pulite,
concentrandosi sulle tecnologie in cui l’UE è in una posizione di
vantaggio o che costituiscono un’opportunità strategica per
sviluppare la capacità interna. A livello nazionale si raccomanda di
introdurre una quota minima esplicita per la produzione locale
di prodotti e componenti selezionati negli appalti pubblici, nelle
aste CfD e in altre forme di acquisto di produzione locale,
combinata con criteri stabiliti a livello europeo per orientare la
produzione locale verso le soluzioni più innovative e sostenibili.
Per le “industrie nascenti” si raccomanda agli Stati membri di
pianificare le prossime licitazioni e procedure di appalto pubblico
per fungere da “cliente di lancio” per le nuove tecnologie;
 sfruttare il forte posizionamento dell’UE nel settore della
tecnologia pulita e perseguire opportunità di investimento in altri
Paesi per ampliare il mercato di diffusione delle tecnologie che la
regione sta sviluppando, come i processi a emissioni quasi zero per
la produzione di materiali. Allo scopo, si raccomanda, tra l’altro, di
stabilire partenariati industriali con paesi terzi sotto forma di
accordi di offtake lungo la catena di fornitura o di coinvestimenti in
progetti di produzione e allo stesso tempo di applicare misure
commerciali in quelle situazioni in cui aziende europee altrimenti
produttive sono minacciate da una concorrenza sponsorizzata dallo
Stato;
La politica commerciale è considerata fondamentale per combinare
decarbonizzazione e competitività, mettere in sicurezza le catene di
approvvigionamento, far crescere nuovi mercati e compensare la
concorrenza sponsorizzata dallo Stato. L’Europa ha un forte
potenziale innovativo per soddisfare la crescente domanda interna e
globale di soluzioni energetiche pulite. Per quanto debole
nell’innovazione digitale, essa è infatti leader nell’innovazione
tecnologica pulita. Tuttavia, non è garantito che il fabbisogno di
tecnologie pulite dell’UE sarà soddisfatto dall’offerta comunitaria, data
la crescente capacità cinese. La tecnologia cinese può comunque
rappresentare la via più economica per raggiungere alcuni degli obiettivi
dell’UE, tra cui quello di ricavare almeno il 42,5% dell’energia che
consuma da fonti rinnovabili entro il 2030.

27
 sviluppare un piano d’azione industriale per il settore
automobilistico.
Il settore automobilistico, secondo il rapporto, è un esempio centrale di
mancata pianificazione da parte dell’UE, che applica una politica
climatica senza una politica industriale. Nonostante l’obiettivo di
azzerare le emissioni entro il 2035 porterà di fatto a mettere gradualmente
fine alle nuove immatricolazioni di veicoli con motori a combustione
interna e favorirà la rapida penetrazione dei veicoli elettrici sul mercato,
l’UE non ha dato seguito a queste ambizioni con una spinta
sincronizzata verso la conversione della catena di fornitura. Le
aziende europee, di conseguenza, stanno già perdendo quote di mercato.
La quota di mercato delle case automobilistiche cinesi per i veicoli
elettrici in Europa è passata dal 5% nel 2015 a quasi il 15% nel 2023,
mentre la quota di case automobilistiche europee nel mercato dell’UE dei
veicoli elettrici è scesa dall’80% al 60%. Nel breve termine, l’obiettivo
principale per il settore dovrebbe essere quello di evitare una
delocalizzazione radicale della produzione fuori dall’UE o la rapida
acquisizione di impianti e aziende europei da parte di produttori
esteri sovvenzionati dallo Stato, proseguendo allo stesso tempo la
decarbonizzazione. Le tariffe compensative recentemente adottate dalla
Commissione contro le aziende automobilistiche cinesi che producono
batterie per i veicoli elettrici contribuiranno a creare condizioni di parità
in questo senso, tenendo anche conto dei reali aumenti di produttività in
Cina;

28
Il Dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica europea è
stato lanciato dalla Commissione il 30 gennaio 2025. Il Piano d’azione
industriale dell’UE per il settore automobilistico è stato invece presentato il
5 marzo 2025 e si pone l’obiettivo di affrontare la competizione globale legata
all’innovazione e alla leadership nelle tecnologie future, alla transizione pulita e
alla decarbonizzazione, nell’ottica di rispettare gli standard di emissione di CO2
previsti.

 basare i trasporti su un nuovo approccio unificato alla pianificazione


a livello europeo e nazionale, incentrato sull’armonizzazione e
sull’interoperabilità, oltre che sulla coesione. Si raccomandano quindi
un coordinamento più approfondito con le industrie di rete adiacenti
(energia e telecomunicazioni) e nuovi incentivi nel bilancio UE per gli
Stati membri affinché rimuovano gli ostacoli all’integrazione e
garantiscano interoperabilità e concorrenza in tutti i segmenti dei
trasporti quando questi obiettivi vanno oltre l’applicazione del diritto UE.
Il rapporto riferisce che i trasporti sono responsabili di un quarto di tutte
le emissioni di gas serra e, a differenza di altri settori, le emissioni di CO2
prodotte dai trasporti sono ancora superiori a quelle del 1990. Inoltre i
trasporti fanno parte del piano della Commissione per l’obiettivo
climatico 2040, ma sono esclusi dai piani nazionali obbligatori per
l’energia e il clima degli Stati membri. Questo mancato coordinamento
si traduce, ad esempio, in un quadro normativo preciso e vincolante per
case automobilistiche e logistica aziendale, il che aumenta la domanda di

29
veicoli elettrici e di infrastrutture di ricarica, senza obbligare in modo
analogo i fornitori di energia a offrire un accesso alla rete stabile, potente
e dalla capacità sufficiente. La transizione verso la mobilità sostenibile è
ulteriormente ostacolata dalla mancata interoperabilità delle
infrastrutture, nonché dalla limitata adozione della digitalizzazione.
La mancanza di una pianificazione a livello UE per la competitività dei
trasporti riduce la capacità per l’UE di sfruttare le possibilità relative al
ruolo cruciale che i trasporti possono svolgere nella decarbonizzazione
dell’economia dell’UE.

Nella sezione relativa all’energia, contenuta nella parte B del rapporto, si


propone anche di mantenere l'approvvigionamento nucleare e accelerare lo
sviluppo del “nuovo nucleare” (compresa la catena di approvvigionamento
nazionale).

30
CAPITOLO 4 - AUMENTARE LA SICUREZZA E RIDURRE LE
DIPENDENZE

Il quarto capitolo del rapporto approfondisce il tema fondamentale della


dipendenza dell’Europa dall’esterno in una serie di ambiti - dalle
materie prime critiche (“critical raw materials”, “CRM”) alle tecnologie
avanzate - mettendo in luce il rischio che essa si tramuti in vulnerabilità,
specialmente in situazioni di frammentazione del commercio lungo linee
geopolitiche. In particolare, si osserva che il deterioramento delle relazioni
geopolitiche crea anche nuove esigenze di spesa per la difesa e la
capacità industriale di difesa.

Aumentare gli investimenti


Nel rapporto si evidenza la necessità di recuperare il ritardo
accumulato in termini di spesa per la difesa e di ricostituire le scorte
esaurite, comprese quelle donate per sostenere la difesa dell’Ucraina
contro l’aggressione russa, predisponendo ulteriori investimenti.
Grazie al prolungato periodo di pace in Europa e all’ombrello di sicurezza
degli Stati Uniti, solo 10 Stati membri spendono oggi una cifra equivalente o
superiore al 2% del PIL in linea con gli impegni della NATO, sebbene le spese
per la difesa siano in aumento. Nel giugno 2024 la Commissione ha stimato che
nel prossimo decennio saranno necessari investimenti aggiuntivi per la difesa
pari a circa 500 miliardi di euro.

31
Il grafico sottostante mostra l’andamento della spesa per la difesa nei paesi dell’UE dal
1960 ad oggi.

Nel rapporto si sottolinea che diventare più indipendenti crea un “costo


assicurativo” per l’Europa, in termini di necessità di investimenti
significativi, controbilanciato da una maggiore autonomia decisionale.
Per evitare un potenziale compromesso tra indipendenza e costi –
considerato che l’aumento della sicurezza delle CRM richiede
investimenti nel settore estrattivo, nella lavorazione, nello stoccaggio e nel
riciclo – sarà essenziale la cooperazione europea. Ciò significa
concordare in anticipo le priorità e i requisiti della domanda. Lo stesso
vale per la difesa e lo spazio: nel rapporto si chiarisce che tutti gli Stati
membri diventeranno più sicuri se l’industria europea della difesa sarà in
grado di soddisfare nuove richieste e sviluppare nuove tecnologie e se
l’UE manterrà un accesso autonomo allo spazio.

Ridurre le vulnerabilità esterne


Secondo il rapporto, l’UE deve sviluppare inoltre una vera e propria
“politica economica estera” basata sulla messa in sicurezza delle risorse
critiche.

Materie prime critiche


In primo luogo si prospetta la necessità di una rapida e piena
attuazione da parte dell’UE della normativa sulle materie prime
critiche e la sua integrazione con una strategia globale che includa tutte

32
le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici,
dall’estrazione alla lavorazione e al riciclo.
Nel rapporto si sottolinea come l’accesso alle CRM sia fondamentale per
l’industria automobilistica e delle tecnologie pulite. L’offerta è però
altamente concentrata nelle mani di pochi fornitori, soprattutto per quanto
riguarda la lavorazione e la raffinazione, il che crea due rischi principali per
l’Europa: la volatilità dei prezzi, che ostacola le decisioni di investimento;
l’utilizzo delle CRM come arma geopolitica, poiché gran parte dell’estrazione
e della lavorazione è concentrata in Paesi con cui l’UE non è strategicamente
allineata.

In particolare, per rafforzare la posizione dell’UE nella fase di


approvvigionamento, si propone di creare una piattaforma europea per
le materie prime critiche, in grado di sfruttare il potere di mercato
dell’Europa aggregando la domanda per l’acquisto congiunto di tali
materiali (secondo il modello utilizzato in Corea del Sud e Giappone) e
coordinando il processo negoziale di acquisti congiunti con i Paesi
produttori.
Parallelamente, si raccomanda che l’UE sviluppi ulteriormente la sua
“diplomazia delle risorse” per le CRM. Le proposte, in particolare,
includono:
 il potenziamento del Global Gateway (che promuove gli
investimenti nei Paesi terzi) per concentrarsi sulle esigenze
strategiche dell’UE e lo sviluppo di strategie congiunte con altri
acquirenti di Paesi strategicamente allineati, ad esempio attraverso
un Club delle materie prime critiche G7+ (che comprende
Giappone, Corea del Sud e Australia);
 sviluppare l’attività mineraria in mare profondo, sostenibile dal
punto di vista ambientale.
Le stime indicano che i fondali marini contengono moltiplicatori delle
riserve terrestri conosciute, ad esempio per rame, titanio, manganese,
cobalto, nichel ed elementi delle terre rare.

Ancora, si evidenzia la necessità che l’UE sfrutti il potenziale delle


risorse nazionali attraverso l’estrazione, il riciclo e l’innovazione dei
materiali alternativi. In particolare, si raccomanda di:

33
 istituire un vero mercato unico dei rifiuti e della circolarità;
 promuovere la ricerca e l’innovazione in materiali o processi
alternativi, per sostituire le materie prime critiche.

Industrie strategiche
Per quanto riguarda le industrie strategiche, secondo il rapporto, l’UE
dovrebbe perseguire una strategia coordinata per rafforzare la capacità
produttiva interna e proteggere le infrastrutture di rete fondamentali.
In particolare, la relazione raccomanda di lanciare una strategia
comune basata su quattro elementi:
 finanziare l’innovazione e creare laboratori di prova in
prossimità dei centri di eccellenza esistenti;
 fornire sovvenzioni o incentivi fiscali per R&S alle aziende
“fabless” attive nella progettazione di chip e alle fonderie in
segmenti strategici selezionati;
 sostenere il potenziale innovativo dei chip tradizionali;
 coordinare gli sforzi dell’UE nel back-end del packaging
avanzato 3D, nei materiali avanzati e nei processi di finitura.

Semiconduttori
Inoltre, nel rapporto si propone uno stanziamento di bilancio UE
centralizzato specifico per i semiconduttori, sostenuto da un nuovo
IPCEI “a corsia preferenziale”. L’uso di questo strumento
comporterebbe un cofinanziamento dal bilancio dell’UE e tempi di
approvazione più brevi per i progetti sui semiconduttori.
Si sottolinea, infatti, la necessità di evitare un approccio frammentato che
potrebbe portare ad un debole coordinamento delle priorità e dei requisiti della
domanda, a una mancanza di economia di scala per i produttori interni e, di
conseguenza, a una minore capacità di investimento nei segmenti più innovativi
dei semiconduttori. A tal proposito, viene rammentato che dopo il regolamento
europeo sui chip sono stati annunciati investimenti complessivi nell’impiego
industriale di circa 100 miliardi di euro.

34
Telecomunicazioni
Per quanto riguarda le telecomunicazioni, si raccomanda di rafforzare
la sicurezza nell’approvvigionamento tecnologico, favorendo il ricorso
a fornitori di fiducia dell’UE per l’assegnazione dello spettro in tutte le
future gare d’appalto e promuovendo i fornitori di apparecchiature di
telecomunicazione con sede nell’Unione come strategici nelle trattative
commerciali.

Rafforzare la capacità industriale per la difesa e lo spazio


Uno degli obiettivi che il rapporto Draghi individua nel settore della
difesa e dello spazio è rafforzare la capacità industriale. Di seguito le
proposte avanzate.

Aggregazione della domanda e integrazione degli asset industriali


della difesa
Secondo il rapporto è prioritario attuare nel breve termine la strategia
per l’industria europea della difesa, aumentando in modo sostanziale
l’aggregazione della domanda tra gruppi di Stati membri, nonché la
quota di acquisti congiunti per la difesa.
Si osserva, infatti, che la frammentazione dell’industria europea della difesa,
oltre a limitarne la portata e ostacolarne l’efficacia operativa sul campo, pone
due principali problemi: l’assenza di una industria di scala, con possibili crisi
di approvvigionamento se gli Stati membri dovessero aumentare in modo
significativo la spesa; la mancanza di standardizzazione e all’interoperabilità
dei materiali.

Si raccomandano, poi, ulteriori passi volti sviluppare nel medio


termine una politica industriale di difesa dell’UE che supporti
l’integrazione strutturale transfrontaliera dei mezzi di difesa e
l’integrazione e consolidamento selettivi della capacità industriale
dell’Unione con l’obiettivo esplicito di aumentarne portata,
standardizzazione e interoperabilità. La politica di concorrenza dell’UE
dovrebbe consentire tale consolidamento. Inoltre, con l’aumento della
spesa per la difesa dell’UE, tali obiettivi dovrebbero essere sostenuti da
principi di preferenza comunitaria rafforzati negli appalti,

35
assicurando che una quota minima della domanda si concentri nelle mani
di aziende europee.

Nella parte “B” del rapporto si evidenzia la necessità di interventi volti


a migliorare le competenze a livello dell'UE per la politica industriale di
difesa, quali:
 la definizione di un nuovo e più snello modello di governance tra
gli organi dell'UE (Commissione, Servizio europeo per l'azione
esterna e Agenzia europea per la difesa), conferendo alla
Commissione un ruolo di coordinamento nel campo della politica
industriale della difesa;
 l’istituzione di un Commissario per l'industria della difesa;
 l’affidamento ad un'autorità industriale di difesa centralizzata
dell'UE della programmazione e dell’approvvigionamento
congiunto della difesa dell'UE, cioè l'approvvigionamento
centralizzato per conto degli Stati membri;
 la revisione delle norme e delle procedure interne dell'UE per il
processo decisionale nel campo della politica industriale della
difesa, volta a semplificare ed accelerare l'azione politica, in
particolare nelle situazioni di crisi.

Incremento degli investimenti e rafforzamento della cooperazione e


della condivisione delle risorse per R&S per la difesa
Nel rapporto si sottolinea l’esigenza di misure pertinenti a sostenere
le PMI innovative del settore della difesa. Si sottolinea, inoltre, che la
R&S nel settore della difesa è una categoria di spesa che richiede un
approccio unico, attuabile mediante l’aumento dei finanziamenti europei
e la loro concentrazione su iniziative comuni. Secondo il rapporto,
diversi segmenti nuovi o tecnicamente complessi – come i droni, i missili
ipersonici, le armi a energia diretta, l’intelligenza artificiale per la difesa e
la flotta da guerra per fondali marini e spazio – richiedono un
coordinamento paneuropeo. Al riguardo, si raccomanda di predisporre
nuovi programmi a duplice uso e una proposta di progetti europei di
difesa di interesse comune.

36
L’UE investe circa 1 miliardo di euro all’anno in R&S per la difesa, mentre
la maggior parte degli investimenti avviene a livello di Stati membri. In
particolare, il rapporto sottolinea che l’industria della difesa dell’UE soffre di un
deficit di capacità su due fronti: la domanda complessiva è più bassa (la
spesa aggregata per la difesa nell’UE è circa un terzo di quella degli Stati Uniti);
la spesa dell’UE è meno focalizzata sull’innovazione.

Norme di governance e di investimento nel settore spaziale europeo


Secondo il rapporto è necessario intervenire in tale ambito sia mediante
l’aggiornamento delle norme di governance e di investimento, sia
tramite un maggiore coordinamento della spesa pubblica all’interno di
un mercato unico dello spazio, per garantire standard comuni e
armonizzare i requisiti di licenza negli Stati membri. Le proposte
avanzate in tale settore strategico sono:
 la progressiva eliminazione del principio del ritorno geografico,
in forza del quale l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) investe in
ciascuno dei paesi membri un importo simile al contributo
finanziario del paese all’agenzia attraverso contratti industriali per
programmi spaziali;
 l’istituzione di un fondo industriale spaziale multifunzionale;
 il sostegno delle priorità strategiche comuni per la ricerca e
l’innovazione spaziali mediante un crescente coordinamento,
nuovi finanziamenti e una maggiore messa in comune di risorse
per lo sviluppo di nuovi grandi programmi comuni dell’UE;
 come per il settore della difesa, il sostegno alla crescita delle PMI,
delle start up e delle scale-up spaziali innovative dell’UE mediante
un migliore accesso ai finanziamenti e l’introduzione di norme
europee di preferenza mirate.

Inoltre, nella parte “B” del rapporto viene illustrata una serie di
proposte specifiche ulteriori, tra cui:
 sfruttare sinergie tra le politiche industriali dello spazio e della
difesa;
 definire un quadro politico dell'UE per i lanciatori al fine di
garantire un accesso autonomo allo spazio;

37
 promuovere l'accesso ai mercati spaziali internazionali per
garantire, in particolare, un accesso equo agli appalti internazionali.
 istituire e rendere operativa la “diplomazia spaziale dell'UE” per
promuovere gli interessi strategici dell'UE e aiutare le imprese
dell'UE a esportare nei mercati spaziali nuovi ed emergenti.
Il rapporto ricorda tra l’altro che il settore spaziale europeo soffre di un forte
divario di investimenti rispetto ai suoi principali rivali e che, sebbene l’UE
abbia sviluppato un settore spaziale di prim’ordine, ha perso la sua posizione di
leader sul mercato dei lanciatori commerciali e dei satelliti geostazionari.

38
CAPITOLO 5 - FINANZIAMENTO DEGLI INVESTIMENTI

Il fabbisogno finanziario necessario all’UE per raggiungere i suoi


obiettivi è stimato nel rapporto, come anticipato, in almeno 750-800
miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui (secondo le ultime
stime della Commissione), pari al 4,4-4,7% del PIL dell’UE nel 2023
(per fare un confronto, gli investimenti del Piano Marshall nel periodo
1948-51 equivalevano all’1-2% del PIL dell’UE). La quota di investimenti
dell’UE dovrebbe passare dall’attuale 22% circa del PIL a circa il 27%,
invertendo un declino pluridecennale nella maggior parte delle grandi
economie dell’Unione.
Il rapporto ricorda che si è aperto un divario considerevole e persistente tra
gli investimenti produttivi privati nell’UE e negli USA, che non è stato
compensato dall’aumento degli investimenti pubblici, anch’essi calati dopo la
grande crisi finanziaria e mantenutisi sempre più bassi nell’UE rispetto agli USA
in termini di quota del PIL. Inoltre, anche se nel 2022 i risparmi delle famiglie
UE erano pari a 1.390 miliardi di euro, rispetto agli 840 miliardi degli Stati
Uniti, esse dispongono di una ricchezza assai inferiore rispetto alle famiglie
statunitensi, specie a causa dei minori ritorni sulle loro attività che ricevono dai
mercati finanziari.

La sfida è quindi quella di sbloccare gli investimenti, sia pubblici che


privati, anche mediante incentivi fiscali. Lo stimolo agli investimenti
privati avrà un certo impatto sulle finanze pubbliche, ma gli aumenti di
produttività potranno ridurre i costi di bilancio.
Ad es., un aumento del 2% del livello di produttività totale dei fattori dell’UE
nell’arco di dieci anni potrebbe già essere sufficiente a coprire fino a un terzo
della spesa di bilancio (sovvenzioni agli investimenti e investimenti pubblici)
necessaria per attuare il piano.

Mobilitare i finanziamenti pubblici e privati su scala

Secondo il rapporto, una delle ragioni principali della minore efficienza


dell’intermediazione finanziaria in Europa risiede nel fatto che i mercati
dei capitali rimangono frammentati e i flussi di risparmio verso gli stessi
sono inferiori.

39
Permangono tre principali problemi: 1) l’UE non dispone né di un’unica
autorità di regolamentazione del mercato dei valori mobiliari né di un unico
regolamento per tutti gli aspetti della negoziazione; 2) l’ambiente postnegoziale
per la compensazione e il regolamento in Europa è di gran lunga meno unificato
rispetto a quello statunitense; 3) i regimi fiscali e d’insolvenza degli Stati membri
restano sostanzialmente non allineati. I mercati dei capitali dell’UE sono inoltre
poco forniti di capitali a lungo termine rispetto ad altre grandi economie,
soprattutto a causa dello scarso sviluppo dei fondi pensione.

Unione dei mercati dei capitali e ruolo dell’ESMA


Il rapporto invoca anzitutto la costituzione di una vera e propria Unione
dei mercati dei capitali (UMC). In questo contesto chiede di trasformare
l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) in
Autorità di regolamentazione unica e comune per tutti i mercati
mobiliari dell’UE, simile alla Securities and Exchange Commission
statunitense. La governance e i processi decisionali dell’ESMA
andrebbero modificati secondo linee analoghe a quelle del Consiglio
direttivo della BCE, distaccandoli il più possibile dagli interessi nazionali
degli Stati membri dell’UE.
Ritiene altresì fondamentale armonizzare i quadri in materia di
insolvenza e creare un’unica piattaforma di controparte centrale e un
unico depositario centrale di titoli per tutte le operazioni in titoli. Reputa
inoltre necessario incanalare meglio i risparmi delle famiglie verso
investimenti produttivi attraverso prodotti di risparmio a lungo termine
(pensioni).

Settore bancario
In merito alla capacità di finanziamento del settore bancario, il rapporto
sostiene che l’UE deve rilanciare la cartolarizzazione e completare
l’Unione bancaria.
Nell’UE i prestiti bancari sono ancora la principale fonte di finanziamento
esterno per le imprese. Tuttavia le banche sono solitamente mal attrezzate per
finanziare le imprese innovative: non hanno le competenze per selezionarle
e monitorarle e hanno difficoltà a valutarne le garanzie (in gran parte
intangibili), soprattutto rispetto agli angel financier, ai venture capitalist e ai
fornitori di private equity. Le banche europee soffrono anche di una redditività
inferiore a quella degli omologhi statunitensi e mancano di economia di scala

40
rispetto alle loro controparti negli USA a causa dell’Unione bancaria incompleta.
Devono inoltre affrontare ostacoli normativi specifici che ne limitano la capacità
di erogazione dei prestiti. In particolare, non possono fare affidamento, nella
stessa misura degli omologhi statunitensi, sulla cartolarizzazione (ovvero di
una tecnica finanziaria attraverso cui strumenti finanziari non divisibili - ad es. i
prestiti immobiliari - vengono trasformati in strumenti finanziari divisibili e
trasferibili. I crediti vengono trasferiti ad una cd. “società veicolo”
specificamente costituita abilitata ad emettere titoli che, come garanzia, avranno
proprio quei prestiti che hanno generato il credito. La società veicolo
(cessionaria) a sua volta vende i titoli obbligazionari agli investitori e versa al
cedente il corrispettivo economico così ottenuto.

Circa il primo punto, raccomanda alla Commissione di presentare una


proposta di adeguamento dei requisiti prudenziali per le attività
cartolarizzate e di creare una piattaforma dedicata alla
cartolarizzazione.
I requisiti patrimoniali devono essere ridotti per alcune categorie semplici,
trasparenti e standardizzate per le quali non riflettono i rischi effettivi.
Parallelamente, l’UE, a giudizio del rapporto, dovrebbe rivedere le regole di
trasparenza e di dovuta diligenza per le attività cartolarizzate, che sono
relativamente elevate rispetto ad altre classi di attività e ne riducono l’attrattiva.
Una piattaforma dedicata alla cartolarizzazione contribuirebbe ad approfondirne
il mercato, specie se sostenuta da un sostegno pubblico mirato (ad es., garanzie
pubbliche ben concepite per la tranche subordinata di prima perdita).
Circa il secondo, ritiene che un passo minimo verso il completamento
dell’Unione bancaria sarebbe la creazione per le banche europee con
importanti operazioni transfrontaliere di una giurisdizione separata,
indipendente dagli Stati membri dal punto di vista della regolamentazione,
della vigilanza e della gestione delle crisi.

Pilastro della competitività nel bilancio UE


Il rapporto raccomanda di istituire, nel prossimo QFP, un “pilastro
della competitività” per indirizzare i finanziamenti dell’UE verso i
progetti prioritari individuati nell’ambito del Quadro di coordinamento
della competitività (v. infra il paragrafo sulla governance). Propone di
raggruppare e ridurre sostanzialmente il numero di tutti i programmi di
finanziamento, istituendone appositi per colmare il divario di
investimenti delle aziende tecnologiche in fase di scale-up nell’UE,

41
nonché per le capacità produttive in alcuni casi, come la tecnologia pulita.
Propone di rafforzare la flessibilità del bilancio, raccomanda di aumentare
l’entità della garanzia dell’UE per il programma InvestEU e chiede al
Gruppo BEI di farsi carico di più progetti ad alto rischio e di più grandi
dimensioni.
Secondo il rapporto, il bilancio dell’UE è esiguo (poco più dell’1% del PIL
dell’UE), non è destinato alle priorità strategiche dell’UE ed è frammentato
in quasi 50 programmi di spesa, nonché denota una scarsa propensione al
rischio. Inoltre, il rimborso dei prestiti dell’UE nell’ambito di NGEU inizierà
nel 2028 e rappresenterà 30 miliardi di euro all’anno. Senza una decisione sulle
nuove risorse proprie, l’effettivo potere di spesa dell’UE verrebbe
automaticamente ridotto dai rimborsi degli interessi e del capitale.

Emissione di debito comune


Il rapporto afferma che l’UE dovrebbe orientarsi verso l’emissione
regolare di asset comuni sicuri tra gli Stati membri e contribuire
all’integrazione dei mercati dei capitali. In particolare, l’UE dovrebbe
continuare a emettere strumenti di debito comuni sulla base del
modello NextGenerationEU (NGEU) in ragione del quale la
Commissione assume, a nome dell'UE, prestiti sui mercati finanziari per
fornire sovvenzioni e prestiti a sostegno delle riforme e degli investimenti
negli Stati tramite i Piani nazionali per la ripresa e la resilienza.
Il debito comune verrebbe utilizzato per finanziare progetti di
investimento congiunti (ad esempio nelle reti e negli interconnettori
nonché per l’acquisto congiunto di materiali militari e la R&I per la difesa)
che aumenteranno la competitività e la sicurezza dell’Unione. Allo stesso
tempo, gli Stati membri potrebbero considerare di aumentare le risorse a
disposizione della Commissione rinviando il rimborso di NGEU per
finanziare programmi incentrati sull’innovazione e sull’aumento della
produttività.
Pur avendo un precedente ben consolidato nel finanziamento del NGEU,
l’emissione di tali asset su base più sistematica richiederebbe, secondo il
rapporto, un insieme più forte di norme di bilancio che garantiscano che
all’aumento del debito comune corrisponda un percorso più sostenibile del
debito nazionale. L’emissione dovrebbe inoltre rimanere specifica per ogni
missione e progetto.

42
CAPITOLO 6 - RAFFORZARE LA GOVERNANCE

Secondo il rapporto, il rafforzamento dell’UE richiede la modifica dei


Trattati, sebbene alcuni obiettivi possano essere conseguiti anche a
regime vigente mediante aggiustamenti mirati.
In particolare, si propone un rinnovato partenariato europeo, basato su
tre obiettivi generali: riorientare il lavoro dell’UE; accelerare l’azione e
l’integrazione dell’Unione; semplificare le norme.
Il rapporto osserva che le norme decisionali dell’UE si basano su una logica
interna valida (raggiungere il consenso o almeno un’ampia maggioranza), ma
appaiono lente e macchinose. Inoltre, non si sono sostanzialmente evolute con
l’allargamento dell’UE e con l’aumento dell’instabilità globale che anche
l’Unione deve affrontare.

Riorientare il lavoro dell’UE


Quadro di coordinamento della competitività
Il rapporto raccomanda di istituire un nuovo “Quadro di
coordinamento della competitività” che riguarderebbe tutte le politiche
economiche (a esclusione della sorveglianza della politica di bilancio, che
continuerebbe ad essere regolamentata dall’esercizio del Semestre
europeo) rilevanti per le priorità strategiche a livello UE. Queste ultime
andrebbero definite all’inizio di ogni ciclo politico e adottate dal Consiglio
europeo. In particolare, si propone:
 la suddivisione del Quadro di coordinamento della competitività in
Piani d’azione per la competitività per ciascuna priorità strategica,
con obiettivi, governance e finanziamenti definiti;
 la riduzione al minimo della burocrazia e il coinvolgimento di
un’ampia gamma di stakeholder (Stati membri, esperti tecnici,
settore privato, istituzioni e agenzie dell’UE) mediante la
governance dei Piani d’azione;
 il riconoscimento alla Commissione di un mandato per le azioni
orizzontali e le competenze esclusive dell’UE;

43
 la previsione, in settori specifici dell’economia, di un nuovo assetto
che riunisca la Commissione, l’industria e gli Stati membri, nonché
le agenzie settoriali competenti.

Nuovo QFP dell’UE


Al consolidamento dei vari meccanismi di coordinamento dell’UE
dovrebbe corrispondere quello delle sue risorse di bilancio, che
andrebbero concentrate sul finanziamento di beni pubblici fondamentali
per le priorità strategiche dell’UE. In tale ambito si propone:
 la definizione, come anticipato, nell’ambito del prossimo QFP
dell’UE di un “pilastro della competitività” con finanziamenti
destinati alla realizzazione dei piani d’azione;
 un migliore sfruttamento del potere di spesa degli Stati membri,
che collettivamente equivale a quello di altre grandi economie;
 l’aggiunta al QFP delle dotazioni preassegnate a livello nazionale
per incentivare e cofinanziare progetti industriali
multinazionali che possano essere attivati da un sottogruppo di
Stati membri interessati ove necessario;
 l’utilizzo di due strumenti rinnovati: un nuovo IPCEI
(Importanti Progetti di Interesse Comune Europeo) di
competitività che consenta di concedere aiuti di Stato per progetti
transfrontalieri, comprese le infrastrutture industriali, e una nuova
impresa comune di competitività per creare rapidamente
partenariati pubblico-privati tra la Commissione, gli Stati membri
interessati e le aziende.

La Commissione ha annunciato che le proposte legislative saranno


presentate a luglio 2025, per concedere alle Istituzioni dell’UE un tempo
adeguato per conseguire un accordo che permetta al nuovo bilancio di essere
operativo dal 1° gennaio 2028. Tradizionalmente, infatti, i negoziati sul bilancio
a lungo termine sono lunghi e complessi. Nel frattempo, il 12 febbraio scorso la
Commissione ha comunque pubblicato la comunicazione “La strada verso il
prossimo quadro finanziario pluriennale” con cui delinea i primi orientamenti
per la progettazione del prossimo QFP post-2027. La Commissione ritiene
sussistano le condizioni per ripensare profondamente il bilancio dell’UE al
fine di renderlo più mirato, semplice, incisivo, flessibile e in grado di riflettere

44
e realizzare le priorità strategiche dell'UE. Contestualmente, la Commissione
ha lanciato un ampio processo consultivo.

Controllo di sussidiarietà e ruolo dei parlamenti nazionali

Secondo il rapporto, il riorientamento delle politiche implica anche un


maggior rigore da parte dell’UE nell’applicazione del principio di
sussidiarietà e nell’esercizio di un maggiore “autocontrollo”. Pertanto,
raccomanda l’avvio di un’indagine a livello europeo per analizzare le
ragioni dell’esercizio “passivo” del controllo del principio di sussidiarietà
da parte dei Parlamenti nazionali affinché, sulla base delle conclusioni
raggiunte, si possa rafforzarne la capacità amministrativa.
L’attività legislativa della Commissione – prosegue il rapporto – è
cresciuta eccessivamente, anche a causa del controllo passivo del
principio di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali. Ad esempio,
dei 39 Parlamenti o Camere nazionali dell’UE, solo dieci (di sette Stati
membri) - tra cui la Camera dei deputati e il Senato italiani - hanno
emesso pareri motivati nell’ambito dell’esame della sussidiarietà nel 2023.
Si ricorda che nel corso della legislatura corrente la XIV Commissione
politiche dell’UE della Camera dei deputati ha approvato 8 pareri motivati, due
dei quali confermati anche col voto dell’Assemblea. La 4a Commissione politica
dell’Unione europea del Senato ne ha approvati 4.
Inoltre, le istituzioni UE dovrebbero applicare il principio di
“autolimitazione” nella definizione delle politiche, sia filtrando meglio
le iniziative future sia razionalizzando l’acquis esistente.

Accelerare il lavoro dell’UE


Il rapporto auspica l’estensione della regola della maggioranza
qualificata delle votazioni del Consiglio a un maggior numero di settori,
anche mediante il ricorso agli strumenti previsti dagli Trattati:
 la cosiddetta clausola “passerella”, che dovrebbe essere sfruttata
per generalizzare il voto a maggioranza qualificata in tutti gli ambiti
politici del Consiglio;
 la cooperazione rafforzata (articoli 20 TUE e 329 TFUE), che
offre due importanti garanzie, il consenso del Parlamento europeo

45
e il controllo giurisdizionale della Corte di giustizia dell’UE, e che
si basa su una proposta della Commissione.
Inoltre, come ultima risorsa, si dovrebbe prendere in considerazione la
cooperazione intergovernativa, al di fuori dei Trattati, anche il rapporto
riconosce che ciò crea quadri giuridici paralleli e implica l’assenza della
legittimazione democratica assicurata dal PE, del controllo giudiziario
della CGUE e dal coinvolgimento della Commissione nella preparazione
dei testi.
Infine, come chiarito nella parte “B” del rapporto, il crescente successo
dell'uso dell'art.122 TFUE per sostenere un'azione rapida UE in tempi di
crisi suggerisce che l'UE potrebbe estenderne l'uso e chiarirlo attraverso
un patto interistituzionale.
Alcune misure, che sono state recentemente adottate per fronteggiare la
pandemia e la crisi energetica, si sono basate sull'art. 122 TFUE; tra queste, il
regolamento del Consiglio che ha fissato l'obiettivo per gli Stati membri di
ridurre il consumo di gas naturale del 15% su base volontaria o obbligatoria se
la situazione lo richiede o il regolamento del Consiglio che ha istituito una
piattaforma di acquisto congiunto di gas.

Semplificare le norme
Il rapporto analizza i tre principali ostacoli regolamentari che le
aziende europee devono affrontare in relazione al crescente peso della
normativa.
Esse devono in particolare: conformarsi all’accumulo o alle frequenti
modifiche apportate alla normativa Ue nel corso del tempo; affrontare un
onere aggiuntivo a causa del recepimento nazionale, ad es. quando gli Stati
membri “sovraregolamentano” la normativa dell’UE (cd. gold plating) o
attuano norme con requisiti e standard divergenti da un Paese all’altro;
sopportare nel caso delle PMI e delle piccole imprese a media
capitalizzazione un onere proporzionalmente maggiore rispetto alle
aziende più grandi.

Il rapporto pertanto raccomanda di:


1) nominare un nuovo vicepresidente della Commissione per la
semplificazione con il compito di snellire l’acquis, adottando al

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contempo una metodologia unica e chiara per quantificare il costo
del nuovo “flusso” normativo;
L’incarico di coordinare l’azione della Commissione al riguardo è stato
poi conferito dalla Presidente von der Leyen al Commissario designato
Valdis Dombrovskis, competente per economica, competitività e
semplificazione.
2) di ridurre del 25% gli obblighi di rendicontazione previsti dalla
normativa UE e di impegnarsi a un’ulteriore riduzione fino al
50% per le PMI;
3) sottoporre tutte le nuove proposte in elaborazione a un test di
competitività rinnovato, con una metodologia chiara e solida per
misurare l’impatto cumulativo, includendo i costi di conformità e
gli oneri amministrativi.
L’11 febbraio 2025 la Commissione ha pubblicato una comunicazione
sull'attuazione e la semplificazione (“Un'Europa più semplice e più rapida”,
COM(2025)47), in cui dichiara l’intendimento di “ridurre drasticamente il carico
normativo per i cittadini, le imprese e le amministrazioni nell’UE” tramite una
“semplificazione di portata inedita, volta a offrire possibilità nuove, favorire
l’innovazione e stimolare la crescita”.
Il 26 febbraio 2025 sono stati presentati i primi due pacchetti legislativi
omnibus (Omnibus 1 e Omnibus 2). In estrema sintesi, le proposte mirano a:
rendere l'informativa sulla sostenibilità più accessibile ed efficiente, tra l’altro
esentando circa l’80 per cento delle imprese; semplificare gli obblighi di dovuta
diligenza per sostenere pratiche commerciali responsabili e il meccanismo di
adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), esonerando i piccoli
importatori; ottimizzare il ricorso a programmi di investimento quali InvestEU,
il FEIS e altri strumenti finanziari preesistenti.

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APPROFONDIMENTO: I DAZI IMPOSTI DAGLI USA

I dazi sulle importazioni negli Stati Uniti


Il 1° febbraio 2025 il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato
l’imposizione di dazi addizionali del 25% sulle importazioni da Canada e
Messico, introdotti il 3 febbraio ma sospesi l’indomani per trenta giorni, e
del 10% su quelle dalla Cina, entrati in vigore con efficacia immediata. Il
10 febbraio è stata decisa l’introduzione o il ripristino di dazi del 25% su
tutte le importazioni americane di alluminio e acciaio, operativo dal 12
marzo nei confronti dell’UE (cfr. l’apposito paragrafo di questo capitolo).
Il 12 febbraio 2025 è stato prospettato lo sviluppo di un Fair and
Reciprocal Plan, volto, tra le altre cose, all’aggiustamento delle attuali
tariffe doganali americane in modo che siano reciproche rispetto agli
altri paesi.
L’annuncio considera alcuni esempi al riguardo, tra cui le importazioni
nell’UE di automobili dagli USA, cui si applica una tariffa del 10%,
nettamente superiore a quella imposta nel caso inverso, pari al 2,5%.
La mancanza di reciprocità è considerata dalla nuova amministrazione come
una delle cause del deficit commerciale americano e viene riferita non soltanto
ai dazi doganali ma anche a tasse che colpiscono le esportazioni americane. Ad
esempio, viene evidenziato che l'imposta sul valore aggiunto si applica anche ai
beni venduti da imprese extra-UE sul territorio europeo, mentre negli USA
esistono soltanto tasse statali di entità minore.

Le competenze dell’Unione europea in materia di dazi e


scambi commerciali
Le questioni relative ai dazi e agli scambi commerciali con i Paesi terzi
ricadono in due settori, l’Unione doganale e la politica commerciale
comune, che, in base all’articolo 3, par 1, lettere a) e e) del TFUE, sono
di competenza esclusiva dell’UE.
In tali settori, come stabilito dall’art. 2, par. 1, del medesimo Trattato,
soltanto l'UE può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti,
inclusi in linea di principio gli accordi internazionali. Gli Stati membri
possono legiferare autonomamente solo se autorizzati dall'UE oppure per
dare attuazione agli atti dell'Unione medesima.

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L’Unione doganale (istituita sin dal 1968), in base all’art. 28 del TFUE,
si estende al complesso degli scambi di merci e comporta, oltre al divieto,
fra gli Stati membri, dei dazi doganali e di qualsiasi tassa di effetto
equivalente, “l'adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti
con i paesi terzi”. I dazi della tariffa doganale comune (TDC) sono
stabiliti, secondo l’art. 31, dal Consiglio su proposta della Commissione.
La TDC viene fissata annualmente, per ogni singola voce o bene della cd.
“nomenclatura combinata”, da un regolamento del Consiglio ed è amministrata
dalla Commissione. La tariffa tiene conto anche dei Paesi e territori di origine
dei beni, secondo gli accordi commerciali dell’Ue vigenti. La modifica dei dazi
della TDC, pertanto, può essere disposta a seguito di un accordo internazionale
multilaterale o bilaterale.

Strutturalmente connessa alla creazione dell’unione doganale è la


politica commerciale comune, come si evince anche dall’articolo 206 del
TFUE, in base al quale l'UE, tramite l'unione doganale “contribuisce
nell'interesse comune allo sviluppo armonioso del commercio mondiale‚
alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali e
agli investimenti esteri diretti, e alla riduzione delle barriere doganali e di
altro tipo”.
In base all’articolo 207, la politica commerciale comune è fondata su
principi uniformi‚ in particolare per quanto concerne le modificazioni
tariffarie‚ la conclusione di accordi tariffari e commerciali relativi agli
scambi di merci e servizi, e gli aspetti commerciali della proprietà
intellettuale‚ gli investimenti esteri diretti, l'uniformazione delle misure di
liberalizzazione‚ la politica di esportazione e le misure di protezione
commerciale‚ tra cui quelle da adottarsi nei casi di dumping e di
sovvenzioni. La politica commerciale comune è condotta nel quadro dei
principi e obiettivi dell'azione esterna dell'Unione, di cui costituisce una
delle componenti.
Per la negoziazione e la conclusione di accordi con uno o più Stati terzi o
organizzazioni internazionali in materia di politica commerciale comune la
Commissione presenta raccomandazioni al Consiglio, che l’autorizza ad avviare
i negoziati necessari; i negoziati sono condotti dalla Commissione stessa, in
consultazione con un comitato speciale (cd. Comitato per la politica
commerciale) designato dal Consiglio e nel quadro delle direttive che il
Consiglio stesso può impartirle. Inoltre, la Commissione deve riferire

50
periodicamente al comitato speciale e al Parlamento europeo sui progressi dei
negoziati.
Il Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione relativa alla
conclusione dell'accordo; è richiesta la previa approvazione del Parlamento
europeo nei casi specificamente indicati dall’articolo 218 del TFUE.
Le deliberazioni del Consiglio per la negoziazione e la conclusione degli
accordi commerciali sono adottate a maggioranza qualificata, salvi i casi di
voto all’unanimità previsti, in presenza di alcune condizioni, nei settori degli
scambi di servizi, degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e degli
investimenti esteri diretti.
Malgrado il carattere esclusivo della competenza dell’UE in materia,
alcuni accordi commercial devono essere conclusi in forma mista, vale a
dire anche dagli Stati membri (cd. accordi misti), secondo i principi
affermati dalla Corte di giustizia (ad esempio nel caso in cui gli oneri
finanziari di un accordo internazionale siano imputati direttamente ai
bilanci degli Stati membri o qualora esso contenga, accanto a disposizioni
di carattere commerciale, disposizioni che rilevano per la competenza
degli Stati stessi).

Strumenti di reazione dell’UE ai dazi imposti da Paesi terzi


L’UE dispone, nel quadro delle competenze in materia doganale e
commerciale sopra richiamate, di diversi strumenti di reazione
all’introduzione o all’aumento unilaterale di dazi da parte di un Paese
terzo, come gli Stati Uniti, riportati in via sintetica nella scheda tematica
predisposta dai Servizi del Parlamento europeo,
La prima possibile linea d'azione dell'UE consiste nel negoziare al fine
di aggiungere un accordo con il Paese terzo.
In mancanza di accordo, l'UE può imporre tariffe di riequilibrio sulle
merci provenienti dal Paese terzo e/o presentare un reclamo
all'Organizzazione mondiale del commercio se ritiene che esso stia
violando le regole della medesima.
L’UE può infine attivare, ove ritenga che ne sussistono i presupposti, le
misure previste dal regolamento (UE) 2023/2675, sulla protezione
dell’Unione e dei suoi Stati membri dalla coercizione economica da parte
di paesi terzi

51
Secondo tale regolamento, si ha coercizione economica allorché un paese
terzo applica o minaccia di applicare una misura che incide sugli scambi o sugli
investimenti al fine di impedire od ottenere la cessazione, la modifica o
l’adozione di un particolare atto da parte dell’UE o di uno Stato membro,
interferendo in tal modo nelle loro legittime scelte sovrane.

I dazi imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni di acciaio e


alluminio dall’Unione europea
Dal 12 marzo 2025, come indicato in premessa, gli Stati Uniti
applicano dazi fino al 25% sulle importazioni dall'Unione europea di
acciaio, alluminio e di determinati prodotti contenenti acciaio e alluminio.
Le misure adottate dagli Stati Uniti consistono in 3 elementi chiave:
1) ripristino delle tariffe di giugno 2018 sui prodotti in acciaio e
alluminio; riguardavano diversi tipi di prodotti semilavorati e
finiti, come tubi di acciaio, fili metallici e fogli di stagno;
2) aumento delle tariffe imposte sull'alluminio dall'originale 10%
al 25%;
3) estensione delle tariffe ad altri prodotti, in particolare: prodotti
in acciaio e alluminio, come prodotti per la casa tipo utensili da
cucina o infissi per finestre; prodotti che sono solo in parte
realizzati in acciaio o alluminio, come macchinari, attrezzature da
palestra, alcuni elettrodomestici o mobili.
Inoltre, il Segretario al Commercio degli Stati Uniti dovrebbe istituire, entro
il 12 maggio 2025, un sistema in base al quale gli Stati Uniti continueranno
ad ampliare l'elenco dei prodotti derivati da acciaio e alluminio soggetti a dazi
aggiuntivi fino al 25%.

Secondo le stime della Commissione europea, i dazi interesseranno un


totale di 28 miliardi di euro di esportazioni UE, che corrispondono a
circa il 5% delle esportazioni totali di merci UE verso gli Stati Uniti;
inoltre, sulla base degli attuali flussi di importazione, gli importatori
statunitensi dovranno pagare fino a 6 miliardi di euro in dazi doganali
aggiuntivi.

52
Le contromisure dell’Unione europea
La Presidente von der Leyen ha espresso profondo rammarico per
le misure adottate dell’amministrazione Trump e ha annunciato che l’UE
adotterà contromisure “forti ma proporzionate” - per un valore totale
di 26 miliardi di euro, in linea con il valore complessivo delle misure
statunitensi -, restando, nel contempo, aperta al dialogo e ai negoziati.

Tali contromisure, secondo quanto comunicato dalla Commissione,


saranno introdotte in due fasi:
1) il 1° aprile 2025, le misure di riequilibrio del 2018 e del 2020
saranno automaticamente ripristinate, una volta scaduta la loro
sospensione il 31 marzo. Per la prima volta saranno implementate
integralmente e saranno applicate su prodotti che vanno dalle barche
al liquore bourbon alle motociclette.
Tali contromisure, secondo stime della Commissione, rispondono al danno
economico arrecato alle esportazioni di acciaio e alluminio dell'UE per un
valore di 8 miliardi di euro.
2) l'imposizione di un nuovo pacchetto di misure aggiuntive che
entreranno in vigore entro metà aprile, dopo la consultazione degli
Stati membri e delle parti interessate e che dovrebbero rispondere ai
nuovi dazi statunitensi che interessano oltre 18 miliardi di euro di
esportazioni UE.
La Commissione ha avviato una consultazione con le parti interessate il 12
marzo proponendo diversi prodotti industriali e agricoli su cui applicare le
contromisure, che includono, tra l’altro, prodotti in acciaio e alluminio, prodotti
tessili, pelletteria, elettrodomestici, utensili per la casa, materie plastiche,
prodotti in legno, pollame, manzo, alcuni frutti di mare, noci, uova, latticini,
zucchero e verdure (l'elenco è pubblicato sul sito web della DG TRADE). La
consultazione si concluderà il 26 marzo. A quel punto la Commissione valuterà
i contributi, predisporrà una bozza di atto di esecuzione e consulterà gli Stati
membri in merito. La base giuridica per questo atto sarà il regolamento di
esecuzione (regolamento (UE) n. 654/2014), poiché le misure degli Stati Uniti
sono considerate come misure di salvaguardia. Il processo seguirà la procedura
di comitatologia, in base alla quale gli Stati membri saranno invitati ad approvare
le misure proposte prima che vengano adottate. A metà aprile dovrebbe
concludersi il processo di adozione ed entrare in vigore l'atto che impone le
contromisure.

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Dati sul commercio UE-USA
Gli Stati Uniti sono il principale partner dell'UE per l'esportazione e il
secondo per l'importazione di merci. Sono altresì il partner più importante
dell'UE sia per l'importazione che per l’esportazione di servizi.
Gli scambi complessivi bilaterali di beni e servizi hanno raggiunto,
secondo i dati Eurostat, circa 1600 miliardi di euro nel 2023 (circa 4,4

miliardi al giorno).
Il totale degli scambi bilaterali di merci è stato pari a 851 miliardi di
euro: l'UE ha esportato 503 miliardi di merci verso il mercato statunitense,
mentre ne ha importate 347 miliardi, con un surplus di 157 miliardi di
euro.
Il totale degli scambi bilaterali di servizi ammonta a 746 miliardi di
euro nel 2023: l'UE ha esportato 319 miliardi di euro di servizi verso gli
Stati Uniti, mentre ne ha importati 427 miliardi; ciò si è tradotto in un
disavanzo commerciale dei servizi pari a 109 miliardi di euro per l'UE.
L’UE ha dunque registrato nel 2023 un surplus complessivo di 48
miliardi, pari a circa il 3% del volume totale degli scambi di beni e servizi.
Dati più dettagliati sugli scambi commerciali tra le due parti sono riportati
nella infografica dei servizi del Parlamento europeo.

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Impatto potenziale di dazi reciproci sull’Italia
Nella Nota sull’andamento dell’economia italiana, pubblicata lo scorso
14 marzo, l’ISTAT osserva che nel 2024, “oltre il 48% del valore
dell’export italiano è stato indirizzato al di fuori dell’Ue, una quota
superiore a quelle tedesca, francese e spagnola. Tra i principali partner
commerciali, gli Stati Uniti hanno assorbito circa il 10% delle vendite
all’estero dell’Italia, e più di un quinto di quelle di prodotti italiani
destinati ai mercati extra europei”.
L’analisi svolta da ISTAT, pertanto, “suggerisce che l’applicazione dei
dazi preannunciati dall’amministrazione statunitense nei confronti
dell’UE potrebbe avere effetti rilevanti sul nostro paese”.
In una nota del Centro Studi di Confindustria si osserva
preliminarmente che l’impatto complessivo dei dazi preannunciati
dall’Amministrazione Trump è difficile da stimare in quanto dipende da
molte variabili: la distribuzione dei dazi per paese/prodotto, l’aliquota e la
durata dei dazi, l’elasticità della domanda al prezzo dei prodotti, la
reazione del tasso di cambio, l’esposizione ai dazi dei partner commerciali.
Occorre inoltre tenere conto dell’eterogeneità e l’asincronia degli effetti
dell’annuncio dei nuovi dazi a livello internazionale, tenendo conto che essi
alimentano l’incertezza, frenando gli scambi di merci, servizi e capitali
produttivi e determinano effetti sono potenzialmente molto distorsivi, lungo
molteplici canali di trasmissione.
Ad avviso di Confindustria, l’Italia e l’Europa si prefigurano considerevoli
rischi, accanto, tuttavia, ad alcune opportunità, in termini di quote di mercato
potenzialmente contendibili nel mercato USA liberate dal decoupling con la
Cina.

Con specifico riguardo all’Italia, la nota sottolinea che gli USA sono
la prima destinazione extra-UE dell’export italiano di beni e di servizi
e la prima in assoluto per gli investimenti diretti all’estero.
Nel 2024 le vendite di beni italiani negli USA sono state pari a circa 65
miliardi di euro, generando un surplus vicino a 39 miliardi.
Gli investimenti diretti dell’Italia verso gli Stati Uniti ammontano a quasi 5
miliardi all’anno, il 27% del totale (media 2022-2023); 1,5 miliardi annui,
invece, i flussi dagli USA in Italia. Le multinazionali americane sul territorio

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italiano sono le prime per numero di occupati (più di 350mila nel 2022),
contribuendo per più di un quinto al valore aggiunto nazionale e alla spesa in
ricerca e sviluppo.
Quasi tutti i settori manifatturieri italiani godono di un surplus
commerciale con gli Stati Uniti. Macchinari e impianti (primo settore
esportatore), farmaceutica, autoveicoli e altri mezzi di trasporto,
alimentari e altri beni manifatturieri generano, insieme, quasi tre quarti
del surplus italiano con gli USA (dati 2023).
Il settore primario, invece, registra un deficit, alimentato soprattutto
dagli acquisti di gas naturale, che hanno contribuito a sostituire le forniture
russe (per quasi 7 miliardi di euro in Italia e 70 in Europa nel 2023).

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L’export italiano è più esposto della media UE al mercato USA: 22,2%
delle vendite italiane extra-UE, rispetto al 19,7% di quelle UE. Tra i
settori maggiormente esposti spiccano le bevande (39%), gli autoveicoli e
gli altri mezzi di trasporto (30,7% e 34,0%, rispettivamente) e la
farmaceutica (30,7%).
Viceversa, l’import italiano è meno dipendente della media UE dalle
forniture USA: 9,9% rispetto a 13,8% degli acquisti extra-UE. I comparti
più dipendenti sono il farmaceutico (38,6%) e le bevande (38,3%), che lo
sono anche dal lato dell’export. Ciò evidenzia la profonda integrazione di

57
queste filiere produttive ed il loro elevato rischio in caso di dazi e
ritorsioni.
L’esposizione italiana agli USA aumenta se si considerano anche le
connessioni produttive indirette, cioè le vendite di semilavorati che sono
incorporati in prodotti per il mercato USA. In base a stime del Centro Studi
Confindustria, è attivata direttamente e indirettamente dal mercato USA una
quota significativa delle vendite totali (estere e domestiche) del farmaceutico
(17,4%) e degli altri mezzi di trasporto (16,5%). Seguono gli autoveicoli, i
macchinari e impianti, gli altri manifatturieri, pelli e calzature. Per il totale
manifatturiero, il peso degli USA come mercato di destinazione è pari a circa il
7% delle vendite (5% da flussi diretti e il restante da connessioni indirette).

Per individuare i prodotti più a rischio di eventuali dazi USA, il Centro


Studi di Confindustria simula tre criteri granulari di selezione, in base a: i)
esposizione delle esportazioni; ii) livello di surplus bilaterale; iii)
strategicità dei prodotti secondo la logica USA di sicurezza economica.
I primi settori per tutti e tre i criteri (esposizione, surplus e strategicità),
sia per l’Italia che per l’Europa, sono quelli della chimica e del
farmaceutico.
La Nota osserva al riguardo che “i solidi legami produttivi tra le due sponde
dell’Atlantico potrebbero essere un deterrente alla rincorsa tariffaria”.

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Altri prodotti italiani per cui è rilevante il mercato americano, secondo
i criteri di esposizione e surplus, comprendono anche mezzi di trasporto,
macchinari e alimentari e bevande: settori merceologici con alta
propensione all’export, per i quali la domanda statunitense si è rafforzata
negli ultimi anni, quindi altrettanto potenzialmente uno strumento di
negoziazione per l’amministrazione USA.
La figura seguente, contenuta nella medesima Nota, indica il numero e
la tipologia prodotti italiani più esposti merceologicamente verso il
mercato USA.

La figura seguente, contenuta nella medesima Nota, indica invece il


numero e la tipologia prodotti italiani più esposti in quanto hanno
costantemente realizzato un surplus commerciale superiore al 1milione di
euro dal 2021 al 2023.

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Infine, la figura seguente, contenuta nella medesima Nota, indica invece
il numero e la tipologia prodotti italiani più esposti in quanto strategici per
gli USA.

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APPENDICE: IL RAPPORTO LETTA SUL FUTURO DEL
MERCATO UNICO

Il rapporto Letta – presentato in occasione del Consiglio europeo


straordinario del 17 e 18 aprile 2024 e predisposto su mandato del
Consiglio dell’UE, in accordo con la Commissione europea, per dare
seguito alle conclusioni del Consiglio europeo del 29 e 30 giugno 2023 –
colloca l'analisi dello stato e delle prospettive del mercato unico nel
contesto della sua dimensione geopolitica attuale, profondamente
cambiata rispetto a quando il mercato unico è stato lanciato e che deve
necessariamente tenere conto dei grandi cambiamenti degli ultimi anni,
incluso l'impatto della pandemia e della guerra in Ucraina.

Ciò premesso, il rapporto indica 4 settori principali da collocare al


centro del mercato unico nei prossimi anni; nell’analisi di Letta, essi
rappresentano asset strategici europei e sui quali in futuro dovrebbe
prevalere la dimensione unionale su quella nazionale. Si tratta dei settori
seguenti:
1) difesa: non rientra nelle competenze dell’UE, ma sta assumendo
un’importanza strategica crescente, anche nel settore industriale;
2) energia: rappresenta un settore nel quale è necessaria una maggiore
integrazione europea e sono sempre più cruciali le interconnessioni;
3) telecomunicazioni: in questo settore nel quale, secondo l’analisi di
Letta, il mantenimento delle competenze a livello nazionale e la
frammentazione del mercato europeo in 27 mercati nazionali non
ha permesso di mantenere il passo di alcuni mercati esteri, come
quelli cinese e statunitense, e di tutelate adeguatamente i
consumatori. Letta ricorda che la Cina ha una media clienti per
operatore di 400 milioni, gli USA di 100 milioni, mentre l’Unione
europea, che non è riuscita a fare economie di scala sul piano
continentale, solo di 5 milioni;
4) finanza: l’Unione europea presenta un quadro frammentato anche
in questo settore, dove sono ancora incomplete l’unione bancaria e
l’unione dei mercati di capitali e uno scarso collegamento tra
finanza e innovazione spinge molte start-up innovative europee e
molti risparmi europei verso destinazioni estere, in particolare
verso gli Stati Uniti.

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Il rapporto sottolinea altresì l’importanza di finanziare
adeguatamente le transizioni verde e digitale. Allo scopo, sostiene che
uno degli obiettivi da perseguire è quello di collegare più intimamente il
mercato unico con l’unione dei mercati dei capitali, soprattutto allo
scopo di coinvolgere maggiormente il settore privato e il risparmio privato
nel finanziamento delle suddette transizioni, riflettendo altresì sulla
possibilità di creare uno strumento simile ai crediti d’imposta utilizzati
dall’Inflation Reduction Act statunitense, nonché di costruire un vero e
proprio pilastro di finanza europea comune che consenta investimenti
più grandi degli IPCEI e promuova la politica industriale europea,
incoraggiando l'espansione (scale up) degli operatori economici europei.
In tale contesto, inoltre, il rapporto si occupa dei rapporti tra mercato
unico e commercio internazionale, rimarcando l’esigenza di assicurare,
nel contempo, apertura ai mercati esteri e accordi di libero scambio e
protezione dalla concorrenza sleale esterna.
Importanza cruciale è riservata alla politica di coesione e alla collegata
politica di allargamento. Letta sottolinea due aspetti in particolare: a) il
concetto di “freedom to stay”, ossia l’esigenza di evitare che si creino
all'interno di alcuni Stati membri, o all'interno di singole regioni di alcuni
Stati membri, situazioni che obblighino le persone, soprattutto i giovani, a
partire; b) l’impegno per evitare che le regioni più povere paghino i costi
dell’adesione di nuovi Stati membri all’UE.
Il rapporto si sofferma infine sul tema, anch’esso particolarmente
importante, dell'enforcement delle regole del mercato unico.

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