AU015
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17 marzo 2025
N. 113 N. 15
SERVIZIO STUDI
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Dossier n. 113
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condizione che sia citata la fonte.
INDICE
INTRODUZIONE...................................................................................... 1
L’intervento di Draghi al Parlamento europeo in occasione della
Settimana Parlamentare europea ................................................................ 2
1
Sono altresì indicate, di volta in volta, anche le iniziative già presentate
dalla nuova Commissione europea per dare attuazione ad indicazioni
contenute nel rapporto.
1
Per conto del Parlamento italiano hanno partecipato alla riunione i senatori Terzi di
Sant’Agata, Garavaglia, Zaffini e Testor e i deputati Dell’Olio, Matera e Schifone.
2
3) i dazi imposti dalla nuova amministrazione statunitense all’UE
che, a suo avviso, resterà probabilmente da sola a garantire la
sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa.
3
non dispongono di spazio fiscale sufficiente nemmeno per i propri
obiettivi.
Il fabbisogno di finanziamenti potrebbe essere minore se si mettono in
atto alcune importanti riforme, come il potenziamento del mercato
interno, la semplificazione di determinate normative, la revisione delle
regole concorrenza e la creazione di un mercato unico dei capitali.
In conclusione, ha affermato Draghi, rivolgendosi in particolare ai
governi nazionali, non si può dire no a tutto, al debito comune, al
mercato interno, ai mercati dei capitali, ma bisogna scegliere una strada.
Altrimenti bisogna ammettere di non essere all’altezza di mantenere i
valori fondamentali dell’UE.
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CAPITOLO 1 - IL PUNTO DI PARTENZA: UN NUOVO
PAESAGGIO PER L’EUROPA
Il rapporto Draghi parte dalla premessa che, pur avendo basi adeguate
ad essere un'economia altamente competitiva, l'UE registra una crescita
ridotta a causa del rallentamento della produttività.
Negli ultimi due decenni la crescita economica UE è stata costantemente più
bassa di quella degli USA, mentre la Cina ha recuperato rapidamente terreno.
Richiamando i grafici sottostanti, il rapporto sottolinea in particolare che si è
aperto un ampio divario nel PIL tra l’UE e gli Stati Uniti, guidato
principalmente da un rallentamento più pronunciato della produttività in
Europa. Le famiglie europee ne hanno pagato il prezzo in termini di perdita del
tenore di vita: su base pro capite, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi
il doppio negli Stati Uniti rispetto all’UE dal 2000.
5
Questa tendenza è stata aggravata negli ultimi anni dal venir meno di tre
condizioni esterne favorevoli all’Europa: la rapida crescita del commercio
mondiale, per cui le aziende dell’UE affrontano una maggiore concorrenza
dall’estero e un minore accesso ai mercati esteri; la brusca perdita del più
importante fornitore di energia dell’UE, la Russia; la messa in discussione, nei
nuovi assetti geopolitici, dell’ombrello di sicurezza degli USA che aveva
permesso all’UE di destinare ad altre priorità il budget per la difesa.
6
di USA e Cina. Ritiene che l’innovazione possa diventare il nuovo
motore della crescita europea e rappresentare lo strumento con
cui mantenere la leadership manifatturiera e sviluppare nuove
tecnologie rivoluzionarie e che l'intelligenza artificiale (IA) offra
all'Unione un’occasione importante per correggere i suoi fallimenti
in termini di innovazione e produttività (solo 4 delle prime 50
aziende tecnologiche al mondo sono europee) e ripristinare il
proprio potenziale manifatturiero;
2) ridurre i prezzi elevati dell'energia (le aziende dell’UE devono
ancora affrontare prezzi dell’elettricità che sono 2-3 volte quelli
degli Stati Uniti, mentre i prezzi del gas naturale pagati sono 4-5
volte superiori), continuando, al contempo, il processo di
decarbonizzazione e di transizione a un’economia circolare.
Ritiene che l’UE possa assumere un ruolo di guida nelle nuove
tecnologie pulite e nelle soluzioni di circolarità, a condizione che
tutte le politiche europee siano in sintonia con gli obiettivi di
decarbonizzazione. Il rapporto propone pertanto un piano
congiunto per la decarbonizzazione e la competitività;
3) reagire dinanzi a un contesto geopolitico meno stabile,
aumentando la sicurezza, tenuto altresì conto del fatto di non
poter più contare come prima sugli Stati Uniti, e riducendo le
dipendenze, che stanno diventando vulnerabilità. Chiede, tra
l’altro, una vera e propria "politica economica estera" e una forte e
indipendente capacità industriale di difesa e propone un piano per
gestire le dipendenze e rafforzare gli investimenti nella difesa.
7
commerciali per penalizzare i comportamenti anticoncorrenziali
all’estero e politiche economiche estere per garantire le catene di
approvvigionamento.
8
Preservare l’inclusione sociale
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10
CAPITOLO 2 - COLMARE IL DIVARIO DI INNOVAZIONE
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Il programma per colmare il divario di innovazione
Il rapporto propone un programma per colmare il divario di
innovazione dell’Europa ed individua le azioni principali per affrontare i
fattori di debolezza che ostacolano l’innovazione stessa.
Alla base della posizione di debolezza dell’Europa nel campo delle tecnologie
digitali vi è una struttura industriale statica, che produce un circolo vizioso di
bassi investimenti e bassa innovazione, definito “la trappola della tecnologia
intermedia”. Ciò, secondo il rapporto, è in gran parte dovuto a debolezze lungo
il “ciclo di vita dell’innovazione” che impediscono a nuovi settori e aziende
concorrenti di emergere. Tutto ciò ostacola il passaggio dall’innovazione alla
commercializzazione.
Nel rapporto si ricorda che i primi 3 investitori in R&I in Europa sono
aziende automobilistiche. Lo stesso accadeva negli Stati Uniti all’inizio degli
anni 2000, con l’auto e il settore farmaceutico in testa, ma ora i primi 3 sono tutti
nel settore tecnologico.
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Il rapporto sostiene che il sostegno del settore pubblico alla R&I è
inefficiente a causa della mancanza di un focus sull’innovazione dirompente e
della frammentazione dei finanziamenti. Nell’UE i governi spendono
complessivamente un importo simile a quello degli USA per la R&I in
percentuale del PIL, ma solo un decimo della spesa avviene a livello europeo.
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Consiglio europeo della ricerca e programma CER
In terzo luogo, si raccomanda di raddoppiare il sostegno alla ricerca
fondamentale attraverso il Consiglio europeo della ricerca (CER),
aumentando in modo significativo il numero di beneficiari di borse di
studio senza diluire l’importo, e di introdurre un programma “CER per
le istituzioni”, basato sull’eccellenza e altamente competitivo, per fornire
le risorse necessarie alle istituzioni accademiche e pensare a nuovo regime
per i ricercatori di punta (posizione di “cattedra UE”), nonché per attrarre
e trattenere i migliori studiosi accademici assumendoli come funzionari
europei, da supportare con un nuovo quadro UE per i finanziamenti
privati.
Il rapporto dichiara che in Europa non ci sono abbastanza istituzioni
accademiche che raggiungono i massimi livelli di eccellenza e che i ricercatori
in Europa sono meno integrati nei “cluster” dell’innovazione (reti di università,
start-up, grandi aziende e venture capitalist) responsabili di un’ampia quota dei
successi commerciali nei settori high-tech. L’Europa non ha nessun “cluster” di
innovazione tra i primi 10 a livello globale, mentre gli Stati Uniti ne hanno 4 e
la Cina 3.
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sottosettori); aumentare il bilancio del FEI e ampliare il mandato del
Gruppo BEI per consentire il co-investimento in imprese che richiedono
volumi di capitale più elevati, consentendogli di assumere maggiori rischi
per contribuire al “crowd-in” degli investitori privati.
A giudizio del rapporto, la frammentazione del mercato unico e gli ostacoli
normativi e giurisdizionali impediscono a molte aziende europee, specie
giovani e nel settore digitale, di diventare mature e redditizie, spingendole a
cercare finanziamenti da società di venture capital statunitensi e fare scale-up
sul mercato USA. Tra il 2008 e il 2021, quasi il 30% degli ‘unicorni’ fondati in
Europa - start-up che sono state valutate più di 1 miliardo di dollari - hanno
trasferito la loro sede all’estero, la maggior parte negli Stati Uniti. Tra l’altro,
afferma il rapporto, molte leggi dell’UE adottano un approccio
precauzionale, dettando pratiche commerciali specifiche ex ante per
scongiurare potenziali rischi ex post (l’AI Act, ad esempio, impone ulteriori
requisiti normativi ai modelli di IA per scopi generici che superano una soglia
predefinita di potenza computazionale). L’UE è infine in ritardo nella fornitura
di infrastrutture all’avanguardia indispensabili per consentire la
digitalizzazione dell’economia.
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Sempre con riferimento all’IA, l’UE dovrebbe promuovere il
coordinamento intersettoriale e la condivisione dei dati per accelerare
l’integrazione dell’IA nell’industria europea. Innanzitutto, le aziende
dell’UE dovrebbero essere incoraggiate a partecipare a un “Piano di
priorità verticale per l’IA” con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo
dell’IA nei seguenti dieci settori strategici: automotive, manifattura
avanzata e robotica, energia, telecomunicazioni, agricoltura, aerospazio,
difesa, previsioni ambientali, farmaceutica e sanità.
I partecipanti al piano beneficerebbero di finanziamenti UE per lo sviluppo
dei modelli e di una serie specifica di esenzioni in materia di concorrenza e
sperimentazione dell’IA (che dovrebbe essere incoraggiata attraverso l’apertura,
il coordinamento e l’armonizzazione a livello di UE di “regimi Sandbox per
l’IA” nazionali per le aziende partecipanti).
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Il rapporto propone tra l’altro di armonizzare le norme e i processi di
concessione delle licenze a livello europeo e di definire le caratteristiche di
progettazione delle aste a livello Ue per contribuire a creare dimensioni di scala,
nonché di istituire un organismo europeo con la partecipazione di soggetti
pubblici e privati per sviluppare standard tecnici omogenei per
l’implementazione di API di rete ed edge computing.
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un sistema comune di certificazione per rendere facilmente
comprensibili, dai potenziali datori di lavoro in tutta l’UE, le
competenze acquisite attraverso i programmi di formazione;
un ripensamento dei programmi dell’UE dedicati all’istruzione e alle
competenze, in modo che i fondi stanziati possano avere un impatto
maggiore;
interventi specifici per affrontare le carenze più gravi di competenze
tecniche e STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics).
Propone di lanciare un nuovo Programma di acquisizione delle
competenze tecnologiche per attrarre talenti tecnologici dall’esterno
dell’UE, adottato a livello europeo e cofinanziato dalla Commissione e
dagli Stati membri.
A giudizio del rapporto, la persistente carenza di competenze in diversi
settori e occupazioni di cui soffre l’economia europea (v. grafico sottostante),
sia per i lavoratori poco qualificati che per quelli altamente qualificati,
costituisce un ostacolo all’innovazione e all’adozione di tecnologie; potrebbe
altresì potenzialmente ostacolare la decarbonizzazione, che richiederà nuove
competenze e profili professionali. Tale carenza è dovuta al declino dei sistemi
di istruzione e formazione che non riescono a preparare la forza lavoro ai
cambiamenti tecnologici. Inoltre, gli investimenti UE hanno inoltre dato
risultati relativamente scarsi a causa di diversi fattori: la mancanza di volontà da
parte degli Stati membri, responsabili delle politiche per le competenze, di
andare oltre forme blande di coordinamento; l’insufficiente coinvolgimento
industriale nello sviluppo di competenze specifiche per il lavoro; la mancanza di
valutazioni sistematiche; l’uso insufficiente della “skills intelligence”, ovvero
l’uso di informazioni affidabili, granulari e comparabili sulle esigenze in termini
di competenze.
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Per affrontare il tema della carenza di competenze e della manodopera il 5
marzo 2025 la Commissione ha presentato una apposita comunicazione
sull’Unione delle competenze. Tale iniziativa si pone l’obiettivo di garantire
che i lavoratori possano ricevere l’istruzione e la formazione necessarie e le
imprese europee possano accedere a forza lavoro qualificata.
19
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CAPITOLO 3 - UN PIANO COMUNE PER LA
DECARBONIZZAZIONE E LA COMPETITIVITÀ
21
effetti di distorsione sul commercio fino a quando il settore non
arriva a un livello tale da permettere di ritirare tali protezioni.
22
lungo termine con partner commerciali affidabili e diversificati
nel quadro di una vera e propria strategia comune per il gas. In
particolare, le autorità di regolamentazione dovrebbero essere in
grado di applicare limiti alle posizioni finanziarie e tetti dinamici
in circostanze in cui i prezzi spot o dei derivati dell’energia nell’UE
divergono notevolmente da quelli globali;
Il potere contrattuale collettivo potenziale dell’UE non è infatti
sfruttato a sufficienza e si basa eccessivamente sui prezzi spot,
nonostante l’Ue sia il più grande importatore mondiale di gas e GNL.
Il gas naturale inoltre continuerà a far parte del mix energetico europeo
nel medio termine, anche se gli scenari suggeriscono che il fabbisogno di
gas dell’UE diminuirà dell’8%-25% entro il 2030.
istituire un regolamento commerciale comune che si applichi sia
ai mercati spot che a quelli dei derivati e garantire una vigilanza
integrata dei mercati dell’energia e dei derivati sull’energia,
nonché rivedere l’esenzione per le “attività ausiliarie” per garantire
che tutte le entità commerciali siano soggette alla stessa vigilanza e
agli stessi requisiti;
La maggior parte delle attività di trading nei mercati europei del gas
viene svolta da poche società non finanziarie. Il rapporto riferisce che
dati recenti presentati dall’ESMA suggeriscono che esiste una
concentrazione significativa sia a livello di posizioni che di sedi negoziali
e che nel 2022 la concentrazione è aumentata durante la maggiore
impennata dei prezzi del gas naturale. Le entità finanziarie regolamentate
sono soggette a norme di condotta e prudenziali, mentre molte delle
società che negoziano derivati su merci possono contare su esenzioni.
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termine, come i mercati degli accordi di compravendita di energia
elettrica (PPA) o i contratti per differenza (CfD), può contribuire a
ridurre la correlazione tra il prezzo marginale fissato e il costo
dell’energia per gli utenti finali, altrimenti i benefici derivanti da un
dispiegamento accelerato delle energie rinnovabili potrebbero essere
limitati.
abbassare la tassazione energetica adottando un livello massimo
comune di sovrapprezzo in tutta l’UE (comprese le imposte, i
prelievi e gli oneri di rete).
Il rapporto ricorda che la riforma della legislazione UE in questo settore
è soggetta all’unanimità, ma propone anche di prendere in
considerazione la cooperazione tra un sottogruppo di Stati membri o
linee guida sulla tassazione dell’energia.
Elemento chiave del citato patto per l’industria pulita è il piano d’azione per
un’energia a prezzi accessibili, presentato dalla Commissione il 26 febbraio
scorso (la versione in lingua italiana non risulta disponibile al momento della
redazione del presente bollettino).
Il piano prevede misure a breve termine per abbassare i costi dell'energia,
completare l'Unione dell'energia, attirare investimenti e prepararsi meglio a
potenziali crisi energetiche.
24
rinnovabili, le infrastrutture di flessibilità e le reti, attraverso
diverse possibili opzioni idonee a ridurre i ritardi nelle
autorizzazioni per nuovi progetti energetici.
Si propone, tra l’altro, di estendere le misure di accelerazione e la
regolamentazione di emergenza alle reti di distribuzione del calore, ai
generatori di calore e alle infrastrutture per l’idrogeno e per la cattura e
lo stoccaggio della CO2; di concentrarsi maggiormente sulla
digitalizzazione dei processi di autorizzazione nazionali in tutta l’UE;
di affrontare la mancanza di risorse delle autorità di autorizzazione e
di utilizzare aggiornamenti mirati della legislazione ambientale
rilevante dell’UE per fornire esenzioni limitate (in tempo e portata) alle
direttive ambientali dell’Unione fino al raggiungimento della neutralità
climatica. Come altre possibili soluzioni vengono indicate l’attuazione
sistematica della legislazione vigente, nonché rendere le zone di
accelerazione per le energie rinnovabili e le valutazioni ambientali
strategiche la regola per espandere le rinnovabili, sostituendo le
valutazioni individuali per progetto;
Il rapporto sottolinea come, senza un aumento della rapidità di
erogazione di autorizzazioni per l’installazione, la maggior offerta di
finanziamenti per diffondere l’energia pulita non potrà produrre i risultati
desiderati, tra cui una più rapida installazione di nuova capacità,
considerato anche che i tempi di autorizzazione variano notevolmente da
uno Stato membro all’altro.
istituire un “28° regime”, vale a dire un quadro giuridico speciale
al di fuori dei 27 diversi quadri giuridici degli stati membri, per gli
interconnettori considerati importanti progetti di comune
interesse europeo (IPCEI), in modo da ridurre la durata delle
procedure nazionali e integrarle in un unico processo, evitando che
i progetti siano bloccati da singoli interessi nazionali. Si sottolinea
anche la necessità che il prossimo QFP rafforzi lo strumento
dedicato al finanziamento delle interconnessioni e si propone di
creare un coordinatore europeo permanente incaricato di
assistere nell’ottenimento dei permessi necessari;
Elemento centrale per accelerare la decarbonizzazione sarà sbloccare il
potenziale dell’energia pulita attraverso un’attenzione collettiva
dell’UE alle reti. Senza un aumento significativo della capacità di
generazione e di rete l’Europa potrebbe trovarsi limitata anche nel
digitalizzare maggiormente la produzione, dato che addestrare ed
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eseguire modelli di intelligenza artificiale e gestire i centri dati sono
attività ad alta intensità energetica.
sviluppare la governance necessaria per un’autentica Unione
dell’energia;
destinare una quota maggiore dei proventi del sistema ETS alle
industrie ad alta intensità energetica (EII) e utilizzare tali
proventi anche per sostenere la decarbonizzazione del settore dei
trasporti.
Durante la transizione si raccomanda, infatti, di garantire pari condizioni
a livello globale per le EII e gli operatori dei trasporti e, per sostenere
finanziariamente la decarbonizzazione dei trasporti, si propone di
rendere disponibile un paniere di opzioni che potrebbe includere i CfD,
combinando sovvenzioni dell’UE con il sostegno della BEI e delle
banche di promozione nazionali, e modelli Regulatory Asset Based per
gli investimenti nelle infrastrutture ferroviarie (ad alta velocità). L’UE
dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di posticipare
l’eliminazione graduale delle quote gratuite del sistema ETS per le
EII se l’implementazione del CBAM risultasse inefficace. In generale
il finanziamento della decarbonizzazione in tutta l’UE dovrebbe basarsi
su strumenti comuni, competitivi e semplici, come i contratti per
differenza sul carbonio o le aste competitive della Banca europea
dell’idrogeno;
Le industrie ad alta intensità energetica soffrono, infatti, non solo gli alti
prezzi dell’energia, ma anche la mancanza di sostegno pubblico per
realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e investire in combustibili
sostenibili. Nonostante le massicce esigenze di investimento delle EII e
la difficoltà di investire in settori “difficili da abbattere”, in Europa il
sostegno pubblico alla transizione è limitato, mentre in altre regioni le
EII, pur non avendo gli stessi obiettivi di decarbonizzazione né
richiedendo investimenti simili, beneficiano di un sostegno statale più
generoso. La Cina, ad es., fornisce oltre il 90% dei 70 miliardi di dollari
di sovvenzioni globali nel settore dell’alluminio, così come ingenti
sovvenzioni per l’acciaio. La decarbonizzazione rappresenta anche uno
svantaggio competitivo per le parti “più difficili da abbattere” del settore
dei trasporti (aviazione e trasporto marittimo). Affinché l’UE guidi la
decarbonizzazione delle EII sono necessarie risorse finanziarie
sufficienti. La decarbonizzazione, infatti, costerà complessivamente 500
miliardi di euro alle quattro maggiori EII (chimica, metalli di base,
minerali non metalliferi e carta) nei prossimi 15 anni, mentre per le parti
più “difficili da abbattere” del settore dei trasporti (marittimo e aereo) il
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fabbisogno di investimenti è di circa 100 miliardi di euro all’anno dal
2031 al 2050.
riorientare il sostegno alla produzione di tecnologie pulite,
concentrandosi sulle tecnologie in cui l’UE è in una posizione di
vantaggio o che costituiscono un’opportunità strategica per
sviluppare la capacità interna. A livello nazionale si raccomanda di
introdurre una quota minima esplicita per la produzione locale
di prodotti e componenti selezionati negli appalti pubblici, nelle
aste CfD e in altre forme di acquisto di produzione locale,
combinata con criteri stabiliti a livello europeo per orientare la
produzione locale verso le soluzioni più innovative e sostenibili.
Per le “industrie nascenti” si raccomanda agli Stati membri di
pianificare le prossime licitazioni e procedure di appalto pubblico
per fungere da “cliente di lancio” per le nuove tecnologie;
sfruttare il forte posizionamento dell’UE nel settore della
tecnologia pulita e perseguire opportunità di investimento in altri
Paesi per ampliare il mercato di diffusione delle tecnologie che la
regione sta sviluppando, come i processi a emissioni quasi zero per
la produzione di materiali. Allo scopo, si raccomanda, tra l’altro, di
stabilire partenariati industriali con paesi terzi sotto forma di
accordi di offtake lungo la catena di fornitura o di coinvestimenti in
progetti di produzione e allo stesso tempo di applicare misure
commerciali in quelle situazioni in cui aziende europee altrimenti
produttive sono minacciate da una concorrenza sponsorizzata dallo
Stato;
La politica commerciale è considerata fondamentale per combinare
decarbonizzazione e competitività, mettere in sicurezza le catene di
approvvigionamento, far crescere nuovi mercati e compensare la
concorrenza sponsorizzata dallo Stato. L’Europa ha un forte
potenziale innovativo per soddisfare la crescente domanda interna e
globale di soluzioni energetiche pulite. Per quanto debole
nell’innovazione digitale, essa è infatti leader nell’innovazione
tecnologica pulita. Tuttavia, non è garantito che il fabbisogno di
tecnologie pulite dell’UE sarà soddisfatto dall’offerta comunitaria, data
la crescente capacità cinese. La tecnologia cinese può comunque
rappresentare la via più economica per raggiungere alcuni degli obiettivi
dell’UE, tra cui quello di ricavare almeno il 42,5% dell’energia che
consuma da fonti rinnovabili entro il 2030.
27
sviluppare un piano d’azione industriale per il settore
automobilistico.
Il settore automobilistico, secondo il rapporto, è un esempio centrale di
mancata pianificazione da parte dell’UE, che applica una politica
climatica senza una politica industriale. Nonostante l’obiettivo di
azzerare le emissioni entro il 2035 porterà di fatto a mettere gradualmente
fine alle nuove immatricolazioni di veicoli con motori a combustione
interna e favorirà la rapida penetrazione dei veicoli elettrici sul mercato,
l’UE non ha dato seguito a queste ambizioni con una spinta
sincronizzata verso la conversione della catena di fornitura. Le
aziende europee, di conseguenza, stanno già perdendo quote di mercato.
La quota di mercato delle case automobilistiche cinesi per i veicoli
elettrici in Europa è passata dal 5% nel 2015 a quasi il 15% nel 2023,
mentre la quota di case automobilistiche europee nel mercato dell’UE dei
veicoli elettrici è scesa dall’80% al 60%. Nel breve termine, l’obiettivo
principale per il settore dovrebbe essere quello di evitare una
delocalizzazione radicale della produzione fuori dall’UE o la rapida
acquisizione di impianti e aziende europei da parte di produttori
esteri sovvenzionati dallo Stato, proseguendo allo stesso tempo la
decarbonizzazione. Le tariffe compensative recentemente adottate dalla
Commissione contro le aziende automobilistiche cinesi che producono
batterie per i veicoli elettrici contribuiranno a creare condizioni di parità
in questo senso, tenendo anche conto dei reali aumenti di produttività in
Cina;
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Il Dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica europea è
stato lanciato dalla Commissione il 30 gennaio 2025. Il Piano d’azione
industriale dell’UE per il settore automobilistico è stato invece presentato il
5 marzo 2025 e si pone l’obiettivo di affrontare la competizione globale legata
all’innovazione e alla leadership nelle tecnologie future, alla transizione pulita e
alla decarbonizzazione, nell’ottica di rispettare gli standard di emissione di CO2
previsti.
29
veicoli elettrici e di infrastrutture di ricarica, senza obbligare in modo
analogo i fornitori di energia a offrire un accesso alla rete stabile, potente
e dalla capacità sufficiente. La transizione verso la mobilità sostenibile è
ulteriormente ostacolata dalla mancata interoperabilità delle
infrastrutture, nonché dalla limitata adozione della digitalizzazione.
La mancanza di una pianificazione a livello UE per la competitività dei
trasporti riduce la capacità per l’UE di sfruttare le possibilità relative al
ruolo cruciale che i trasporti possono svolgere nella decarbonizzazione
dell’economia dell’UE.
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CAPITOLO 4 - AUMENTARE LA SICUREZZA E RIDURRE LE
DIPENDENZE
31
Il grafico sottostante mostra l’andamento della spesa per la difesa nei paesi dell’UE dal
1960 ad oggi.
32
le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici,
dall’estrazione alla lavorazione e al riciclo.
Nel rapporto si sottolinea come l’accesso alle CRM sia fondamentale per
l’industria automobilistica e delle tecnologie pulite. L’offerta è però
altamente concentrata nelle mani di pochi fornitori, soprattutto per quanto
riguarda la lavorazione e la raffinazione, il che crea due rischi principali per
l’Europa: la volatilità dei prezzi, che ostacola le decisioni di investimento;
l’utilizzo delle CRM come arma geopolitica, poiché gran parte dell’estrazione
e della lavorazione è concentrata in Paesi con cui l’UE non è strategicamente
allineata.
33
istituire un vero mercato unico dei rifiuti e della circolarità;
promuovere la ricerca e l’innovazione in materiali o processi
alternativi, per sostituire le materie prime critiche.
Industrie strategiche
Per quanto riguarda le industrie strategiche, secondo il rapporto, l’UE
dovrebbe perseguire una strategia coordinata per rafforzare la capacità
produttiva interna e proteggere le infrastrutture di rete fondamentali.
In particolare, la relazione raccomanda di lanciare una strategia
comune basata su quattro elementi:
finanziare l’innovazione e creare laboratori di prova in
prossimità dei centri di eccellenza esistenti;
fornire sovvenzioni o incentivi fiscali per R&S alle aziende
“fabless” attive nella progettazione di chip e alle fonderie in
segmenti strategici selezionati;
sostenere il potenziale innovativo dei chip tradizionali;
coordinare gli sforzi dell’UE nel back-end del packaging
avanzato 3D, nei materiali avanzati e nei processi di finitura.
Semiconduttori
Inoltre, nel rapporto si propone uno stanziamento di bilancio UE
centralizzato specifico per i semiconduttori, sostenuto da un nuovo
IPCEI “a corsia preferenziale”. L’uso di questo strumento
comporterebbe un cofinanziamento dal bilancio dell’UE e tempi di
approvazione più brevi per i progetti sui semiconduttori.
Si sottolinea, infatti, la necessità di evitare un approccio frammentato che
potrebbe portare ad un debole coordinamento delle priorità e dei requisiti della
domanda, a una mancanza di economia di scala per i produttori interni e, di
conseguenza, a una minore capacità di investimento nei segmenti più innovativi
dei semiconduttori. A tal proposito, viene rammentato che dopo il regolamento
europeo sui chip sono stati annunciati investimenti complessivi nell’impiego
industriale di circa 100 miliardi di euro.
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Telecomunicazioni
Per quanto riguarda le telecomunicazioni, si raccomanda di rafforzare
la sicurezza nell’approvvigionamento tecnologico, favorendo il ricorso
a fornitori di fiducia dell’UE per l’assegnazione dello spettro in tutte le
future gare d’appalto e promuovendo i fornitori di apparecchiature di
telecomunicazione con sede nell’Unione come strategici nelle trattative
commerciali.
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assicurando che una quota minima della domanda si concentri nelle mani
di aziende europee.
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L’UE investe circa 1 miliardo di euro all’anno in R&S per la difesa, mentre
la maggior parte degli investimenti avviene a livello di Stati membri. In
particolare, il rapporto sottolinea che l’industria della difesa dell’UE soffre di un
deficit di capacità su due fronti: la domanda complessiva è più bassa (la
spesa aggregata per la difesa nell’UE è circa un terzo di quella degli Stati Uniti);
la spesa dell’UE è meno focalizzata sull’innovazione.
Inoltre, nella parte “B” del rapporto viene illustrata una serie di
proposte specifiche ulteriori, tra cui:
sfruttare sinergie tra le politiche industriali dello spazio e della
difesa;
definire un quadro politico dell'UE per i lanciatori al fine di
garantire un accesso autonomo allo spazio;
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promuovere l'accesso ai mercati spaziali internazionali per
garantire, in particolare, un accesso equo agli appalti internazionali.
istituire e rendere operativa la “diplomazia spaziale dell'UE” per
promuovere gli interessi strategici dell'UE e aiutare le imprese
dell'UE a esportare nei mercati spaziali nuovi ed emergenti.
Il rapporto ricorda tra l’altro che il settore spaziale europeo soffre di un forte
divario di investimenti rispetto ai suoi principali rivali e che, sebbene l’UE
abbia sviluppato un settore spaziale di prim’ordine, ha perso la sua posizione di
leader sul mercato dei lanciatori commerciali e dei satelliti geostazionari.
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CAPITOLO 5 - FINANZIAMENTO DEGLI INVESTIMENTI
39
Permangono tre principali problemi: 1) l’UE non dispone né di un’unica
autorità di regolamentazione del mercato dei valori mobiliari né di un unico
regolamento per tutti gli aspetti della negoziazione; 2) l’ambiente postnegoziale
per la compensazione e il regolamento in Europa è di gran lunga meno unificato
rispetto a quello statunitense; 3) i regimi fiscali e d’insolvenza degli Stati membri
restano sostanzialmente non allineati. I mercati dei capitali dell’UE sono inoltre
poco forniti di capitali a lungo termine rispetto ad altre grandi economie,
soprattutto a causa dello scarso sviluppo dei fondi pensione.
Settore bancario
In merito alla capacità di finanziamento del settore bancario, il rapporto
sostiene che l’UE deve rilanciare la cartolarizzazione e completare
l’Unione bancaria.
Nell’UE i prestiti bancari sono ancora la principale fonte di finanziamento
esterno per le imprese. Tuttavia le banche sono solitamente mal attrezzate per
finanziare le imprese innovative: non hanno le competenze per selezionarle
e monitorarle e hanno difficoltà a valutarne le garanzie (in gran parte
intangibili), soprattutto rispetto agli angel financier, ai venture capitalist e ai
fornitori di private equity. Le banche europee soffrono anche di una redditività
inferiore a quella degli omologhi statunitensi e mancano di economia di scala
40
rispetto alle loro controparti negli USA a causa dell’Unione bancaria incompleta.
Devono inoltre affrontare ostacoli normativi specifici che ne limitano la capacità
di erogazione dei prestiti. In particolare, non possono fare affidamento, nella
stessa misura degli omologhi statunitensi, sulla cartolarizzazione (ovvero di
una tecnica finanziaria attraverso cui strumenti finanziari non divisibili - ad es. i
prestiti immobiliari - vengono trasformati in strumenti finanziari divisibili e
trasferibili. I crediti vengono trasferiti ad una cd. “società veicolo”
specificamente costituita abilitata ad emettere titoli che, come garanzia, avranno
proprio quei prestiti che hanno generato il credito. La società veicolo
(cessionaria) a sua volta vende i titoli obbligazionari agli investitori e versa al
cedente il corrispettivo economico così ottenuto.
41
nonché per le capacità produttive in alcuni casi, come la tecnologia pulita.
Propone di rafforzare la flessibilità del bilancio, raccomanda di aumentare
l’entità della garanzia dell’UE per il programma InvestEU e chiede al
Gruppo BEI di farsi carico di più progetti ad alto rischio e di più grandi
dimensioni.
Secondo il rapporto, il bilancio dell’UE è esiguo (poco più dell’1% del PIL
dell’UE), non è destinato alle priorità strategiche dell’UE ed è frammentato
in quasi 50 programmi di spesa, nonché denota una scarsa propensione al
rischio. Inoltre, il rimborso dei prestiti dell’UE nell’ambito di NGEU inizierà
nel 2028 e rappresenterà 30 miliardi di euro all’anno. Senza una decisione sulle
nuove risorse proprie, l’effettivo potere di spesa dell’UE verrebbe
automaticamente ridotto dai rimborsi degli interessi e del capitale.
42
CAPITOLO 6 - RAFFORZARE LA GOVERNANCE
43
la previsione, in settori specifici dell’economia, di un nuovo assetto
che riunisca la Commissione, l’industria e gli Stati membri, nonché
le agenzie settoriali competenti.
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e realizzare le priorità strategiche dell'UE. Contestualmente, la Commissione
ha lanciato un ampio processo consultivo.
45
e il controllo giurisdizionale della Corte di giustizia dell’UE, e che
si basa su una proposta della Commissione.
Inoltre, come ultima risorsa, si dovrebbe prendere in considerazione la
cooperazione intergovernativa, al di fuori dei Trattati, anche il rapporto
riconosce che ciò crea quadri giuridici paralleli e implica l’assenza della
legittimazione democratica assicurata dal PE, del controllo giudiziario
della CGUE e dal coinvolgimento della Commissione nella preparazione
dei testi.
Infine, come chiarito nella parte “B” del rapporto, il crescente successo
dell'uso dell'art.122 TFUE per sostenere un'azione rapida UE in tempi di
crisi suggerisce che l'UE potrebbe estenderne l'uso e chiarirlo attraverso
un patto interistituzionale.
Alcune misure, che sono state recentemente adottate per fronteggiare la
pandemia e la crisi energetica, si sono basate sull'art. 122 TFUE; tra queste, il
regolamento del Consiglio che ha fissato l'obiettivo per gli Stati membri di
ridurre il consumo di gas naturale del 15% su base volontaria o obbligatoria se
la situazione lo richiede o il regolamento del Consiglio che ha istituito una
piattaforma di acquisto congiunto di gas.
Semplificare le norme
Il rapporto analizza i tre principali ostacoli regolamentari che le
aziende europee devono affrontare in relazione al crescente peso della
normativa.
Esse devono in particolare: conformarsi all’accumulo o alle frequenti
modifiche apportate alla normativa Ue nel corso del tempo; affrontare un
onere aggiuntivo a causa del recepimento nazionale, ad es. quando gli Stati
membri “sovraregolamentano” la normativa dell’UE (cd. gold plating) o
attuano norme con requisiti e standard divergenti da un Paese all’altro;
sopportare nel caso delle PMI e delle piccole imprese a media
capitalizzazione un onere proporzionalmente maggiore rispetto alle
aziende più grandi.
46
contempo una metodologia unica e chiara per quantificare il costo
del nuovo “flusso” normativo;
L’incarico di coordinare l’azione della Commissione al riguardo è stato
poi conferito dalla Presidente von der Leyen al Commissario designato
Valdis Dombrovskis, competente per economica, competitività e
semplificazione.
2) di ridurre del 25% gli obblighi di rendicontazione previsti dalla
normativa UE e di impegnarsi a un’ulteriore riduzione fino al
50% per le PMI;
3) sottoporre tutte le nuove proposte in elaborazione a un test di
competitività rinnovato, con una metodologia chiara e solida per
misurare l’impatto cumulativo, includendo i costi di conformità e
gli oneri amministrativi.
L’11 febbraio 2025 la Commissione ha pubblicato una comunicazione
sull'attuazione e la semplificazione (“Un'Europa più semplice e più rapida”,
COM(2025)47), in cui dichiara l’intendimento di “ridurre drasticamente il carico
normativo per i cittadini, le imprese e le amministrazioni nell’UE” tramite una
“semplificazione di portata inedita, volta a offrire possibilità nuove, favorire
l’innovazione e stimolare la crescita”.
Il 26 febbraio 2025 sono stati presentati i primi due pacchetti legislativi
omnibus (Omnibus 1 e Omnibus 2). In estrema sintesi, le proposte mirano a:
rendere l'informativa sulla sostenibilità più accessibile ed efficiente, tra l’altro
esentando circa l’80 per cento delle imprese; semplificare gli obblighi di dovuta
diligenza per sostenere pratiche commerciali responsabili e il meccanismo di
adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), esonerando i piccoli
importatori; ottimizzare il ricorso a programmi di investimento quali InvestEU,
il FEIS e altri strumenti finanziari preesistenti.
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48
APPROFONDIMENTO: I DAZI IMPOSTI DAGLI USA
49
L’Unione doganale (istituita sin dal 1968), in base all’art. 28 del TFUE,
si estende al complesso degli scambi di merci e comporta, oltre al divieto,
fra gli Stati membri, dei dazi doganali e di qualsiasi tassa di effetto
equivalente, “l'adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti
con i paesi terzi”. I dazi della tariffa doganale comune (TDC) sono
stabiliti, secondo l’art. 31, dal Consiglio su proposta della Commissione.
La TDC viene fissata annualmente, per ogni singola voce o bene della cd.
“nomenclatura combinata”, da un regolamento del Consiglio ed è amministrata
dalla Commissione. La tariffa tiene conto anche dei Paesi e territori di origine
dei beni, secondo gli accordi commerciali dell’Ue vigenti. La modifica dei dazi
della TDC, pertanto, può essere disposta a seguito di un accordo internazionale
multilaterale o bilaterale.
50
periodicamente al comitato speciale e al Parlamento europeo sui progressi dei
negoziati.
Il Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione relativa alla
conclusione dell'accordo; è richiesta la previa approvazione del Parlamento
europeo nei casi specificamente indicati dall’articolo 218 del TFUE.
Le deliberazioni del Consiglio per la negoziazione e la conclusione degli
accordi commerciali sono adottate a maggioranza qualificata, salvi i casi di
voto all’unanimità previsti, in presenza di alcune condizioni, nei settori degli
scambi di servizi, degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e degli
investimenti esteri diretti.
Malgrado il carattere esclusivo della competenza dell’UE in materia,
alcuni accordi commercial devono essere conclusi in forma mista, vale a
dire anche dagli Stati membri (cd. accordi misti), secondo i principi
affermati dalla Corte di giustizia (ad esempio nel caso in cui gli oneri
finanziari di un accordo internazionale siano imputati direttamente ai
bilanci degli Stati membri o qualora esso contenga, accanto a disposizioni
di carattere commerciale, disposizioni che rilevano per la competenza
degli Stati stessi).
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Secondo tale regolamento, si ha coercizione economica allorché un paese
terzo applica o minaccia di applicare una misura che incide sugli scambi o sugli
investimenti al fine di impedire od ottenere la cessazione, la modifica o
l’adozione di un particolare atto da parte dell’UE o di uno Stato membro,
interferendo in tal modo nelle loro legittime scelte sovrane.
52
Le contromisure dell’Unione europea
La Presidente von der Leyen ha espresso profondo rammarico per
le misure adottate dell’amministrazione Trump e ha annunciato che l’UE
adotterà contromisure “forti ma proporzionate” - per un valore totale
di 26 miliardi di euro, in linea con il valore complessivo delle misure
statunitensi -, restando, nel contempo, aperta al dialogo e ai negoziati.
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Dati sul commercio UE-USA
Gli Stati Uniti sono il principale partner dell'UE per l'esportazione e il
secondo per l'importazione di merci. Sono altresì il partner più importante
dell'UE sia per l'importazione che per l’esportazione di servizi.
Gli scambi complessivi bilaterali di beni e servizi hanno raggiunto,
secondo i dati Eurostat, circa 1600 miliardi di euro nel 2023 (circa 4,4
miliardi al giorno).
Il totale degli scambi bilaterali di merci è stato pari a 851 miliardi di
euro: l'UE ha esportato 503 miliardi di merci verso il mercato statunitense,
mentre ne ha importate 347 miliardi, con un surplus di 157 miliardi di
euro.
Il totale degli scambi bilaterali di servizi ammonta a 746 miliardi di
euro nel 2023: l'UE ha esportato 319 miliardi di euro di servizi verso gli
Stati Uniti, mentre ne ha importati 427 miliardi; ciò si è tradotto in un
disavanzo commerciale dei servizi pari a 109 miliardi di euro per l'UE.
L’UE ha dunque registrato nel 2023 un surplus complessivo di 48
miliardi, pari a circa il 3% del volume totale degli scambi di beni e servizi.
Dati più dettagliati sugli scambi commerciali tra le due parti sono riportati
nella infografica dei servizi del Parlamento europeo.
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Impatto potenziale di dazi reciproci sull’Italia
Nella Nota sull’andamento dell’economia italiana, pubblicata lo scorso
14 marzo, l’ISTAT osserva che nel 2024, “oltre il 48% del valore
dell’export italiano è stato indirizzato al di fuori dell’Ue, una quota
superiore a quelle tedesca, francese e spagnola. Tra i principali partner
commerciali, gli Stati Uniti hanno assorbito circa il 10% delle vendite
all’estero dell’Italia, e più di un quinto di quelle di prodotti italiani
destinati ai mercati extra europei”.
L’analisi svolta da ISTAT, pertanto, “suggerisce che l’applicazione dei
dazi preannunciati dall’amministrazione statunitense nei confronti
dell’UE potrebbe avere effetti rilevanti sul nostro paese”.
In una nota del Centro Studi di Confindustria si osserva
preliminarmente che l’impatto complessivo dei dazi preannunciati
dall’Amministrazione Trump è difficile da stimare in quanto dipende da
molte variabili: la distribuzione dei dazi per paese/prodotto, l’aliquota e la
durata dei dazi, l’elasticità della domanda al prezzo dei prodotti, la
reazione del tasso di cambio, l’esposizione ai dazi dei partner commerciali.
Occorre inoltre tenere conto dell’eterogeneità e l’asincronia degli effetti
dell’annuncio dei nuovi dazi a livello internazionale, tenendo conto che essi
alimentano l’incertezza, frenando gli scambi di merci, servizi e capitali
produttivi e determinano effetti sono potenzialmente molto distorsivi, lungo
molteplici canali di trasmissione.
Ad avviso di Confindustria, l’Italia e l’Europa si prefigurano considerevoli
rischi, accanto, tuttavia, ad alcune opportunità, in termini di quote di mercato
potenzialmente contendibili nel mercato USA liberate dal decoupling con la
Cina.
Con specifico riguardo all’Italia, la nota sottolinea che gli USA sono
la prima destinazione extra-UE dell’export italiano di beni e di servizi
e la prima in assoluto per gli investimenti diretti all’estero.
Nel 2024 le vendite di beni italiani negli USA sono state pari a circa 65
miliardi di euro, generando un surplus vicino a 39 miliardi.
Gli investimenti diretti dell’Italia verso gli Stati Uniti ammontano a quasi 5
miliardi all’anno, il 27% del totale (media 2022-2023); 1,5 miliardi annui,
invece, i flussi dagli USA in Italia. Le multinazionali americane sul territorio
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italiano sono le prime per numero di occupati (più di 350mila nel 2022),
contribuendo per più di un quinto al valore aggiunto nazionale e alla spesa in
ricerca e sviluppo.
Quasi tutti i settori manifatturieri italiani godono di un surplus
commerciale con gli Stati Uniti. Macchinari e impianti (primo settore
esportatore), farmaceutica, autoveicoli e altri mezzi di trasporto,
alimentari e altri beni manifatturieri generano, insieme, quasi tre quarti
del surplus italiano con gli USA (dati 2023).
Il settore primario, invece, registra un deficit, alimentato soprattutto
dagli acquisti di gas naturale, che hanno contribuito a sostituire le forniture
russe (per quasi 7 miliardi di euro in Italia e 70 in Europa nel 2023).
56
L’export italiano è più esposto della media UE al mercato USA: 22,2%
delle vendite italiane extra-UE, rispetto al 19,7% di quelle UE. Tra i
settori maggiormente esposti spiccano le bevande (39%), gli autoveicoli e
gli altri mezzi di trasporto (30,7% e 34,0%, rispettivamente) e la
farmaceutica (30,7%).
Viceversa, l’import italiano è meno dipendente della media UE dalle
forniture USA: 9,9% rispetto a 13,8% degli acquisti extra-UE. I comparti
più dipendenti sono il farmaceutico (38,6%) e le bevande (38,3%), che lo
sono anche dal lato dell’export. Ciò evidenzia la profonda integrazione di
57
queste filiere produttive ed il loro elevato rischio in caso di dazi e
ritorsioni.
L’esposizione italiana agli USA aumenta se si considerano anche le
connessioni produttive indirette, cioè le vendite di semilavorati che sono
incorporati in prodotti per il mercato USA. In base a stime del Centro Studi
Confindustria, è attivata direttamente e indirettamente dal mercato USA una
quota significativa delle vendite totali (estere e domestiche) del farmaceutico
(17,4%) e degli altri mezzi di trasporto (16,5%). Seguono gli autoveicoli, i
macchinari e impianti, gli altri manifatturieri, pelli e calzature. Per il totale
manifatturiero, il peso degli USA come mercato di destinazione è pari a circa il
7% delle vendite (5% da flussi diretti e il restante da connessioni indirette).
58
Altri prodotti italiani per cui è rilevante il mercato americano, secondo
i criteri di esposizione e surplus, comprendono anche mezzi di trasporto,
macchinari e alimentari e bevande: settori merceologici con alta
propensione all’export, per i quali la domanda statunitense si è rafforzata
negli ultimi anni, quindi altrettanto potenzialmente uno strumento di
negoziazione per l’amministrazione USA.
La figura seguente, contenuta nella medesima Nota, indica il numero e
la tipologia prodotti italiani più esposti merceologicamente verso il
mercato USA.
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Infine, la figura seguente, contenuta nella medesima Nota, indica invece
il numero e la tipologia prodotti italiani più esposti in quanto strategici per
gli USA.
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APPENDICE: IL RAPPORTO LETTA SUL FUTURO DEL
MERCATO UNICO
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Il rapporto sottolinea altresì l’importanza di finanziare
adeguatamente le transizioni verde e digitale. Allo scopo, sostiene che
uno degli obiettivi da perseguire è quello di collegare più intimamente il
mercato unico con l’unione dei mercati dei capitali, soprattutto allo
scopo di coinvolgere maggiormente il settore privato e il risparmio privato
nel finanziamento delle suddette transizioni, riflettendo altresì sulla
possibilità di creare uno strumento simile ai crediti d’imposta utilizzati
dall’Inflation Reduction Act statunitense, nonché di costruire un vero e
proprio pilastro di finanza europea comune che consenta investimenti
più grandi degli IPCEI e promuova la politica industriale europea,
incoraggiando l'espansione (scale up) degli operatori economici europei.
In tale contesto, inoltre, il rapporto si occupa dei rapporti tra mercato
unico e commercio internazionale, rimarcando l’esigenza di assicurare,
nel contempo, apertura ai mercati esteri e accordi di libero scambio e
protezione dalla concorrenza sleale esterna.
Importanza cruciale è riservata alla politica di coesione e alla collegata
politica di allargamento. Letta sottolinea due aspetti in particolare: a) il
concetto di “freedom to stay”, ossia l’esigenza di evitare che si creino
all'interno di alcuni Stati membri, o all'interno di singole regioni di alcuni
Stati membri, situazioni che obblighino le persone, soprattutto i giovani, a
partire; b) l’impegno per evitare che le regioni più povere paghino i costi
dell’adesione di nuovi Stati membri all’UE.
Il rapporto si sofferma infine sul tema, anch’esso particolarmente
importante, dell'enforcement delle regole del mercato unico.
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