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Femminicidio

Il documento esplora il concetto di genere come variabile relazionale e sociale, evidenziando la sua evoluzione storica e il ruolo del patriarcato nella definizione di mascolinità e femminilità. Viene analizzata la violenza di genere come manifestazione di un sistema di potere, con particolare attenzione al femminicidio e alle sue implicazioni legali. Infine, si discute l'impatto dei media nella perpetuazione di stereotipi di genere e l'importanza dell'educazione per promuovere il rispetto delle differenze.
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Il documento esplora il concetto di genere come variabile relazionale e sociale, evidenziando la sua evoluzione storica e il ruolo del patriarcato nella definizione di mascolinità e femminilità. Viene analizzata la violenza di genere come manifestazione di un sistema di potere, con particolare attenzione al femminicidio e alle sue implicazioni legali. Infine, si discute l'impatto dei media nella perpetuazione di stereotipi di genere e l'importanza dell'educazione per promuovere il rispetto delle differenze.
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Il genere come concetto relazionale.

Una prospettiva Il concetto di genere viene utilizzato per la prima volta


in ambito medico nel 1955, a partire dagli studi di John Money sull’intersessualità. Money è il primo a
definire il concetto di identità sessuale come “esperienza di percezione sessuata di se stessi e del proprio
comportamento”. Questo senso profondo di se viene già messo in relazione con il ruolo di genere, definito
come tutto ciò che una persona dice e fa per indicare agli altri o a se stesso il grado in cui è bambino o
uomo, bambina o donna. Ci sono due dimensioni fondamentali che compongono il genere: - Il genere è una
variabile fondamentale per la definizione identitaria degli individui, che nasce da un processo di
autoriflessione e di percezione di se - Il genere è una variabile sociale, che a partire dalla differenziazione
sessuale basata su categorie biologicamente costruite, determina un insieme di valori, atteggiamenti,
aspettative, ruoli che si attribuiscono culturalmente e socialmente a uomini e donne La complessità che il
concetto di genere contiene si evince dal percorso che vede la nascita degli studi di genere a partire dagli
studi sulle donne. L'obiettivo inizia a spostarsi verso la comprensione dei diversi fattori che strutturano in
modo diseguale il potere della nostra società, del dominio maschile e del sistema patriarcale. Ma
comprensione di questo sistema di dominazione ci permette di estendere i limiti del concetto di genere e di
renderlo una variabile per la comprensione delle dinamiche sociali e di uscire da una logica binaria, che fissa
modelli di riferimento attraverso un processo di opposizione e complementarietà. Abbracciare una
prospettiva relazione significa ricordarsi che il genere è un codice binario che oltre a segnare la presenza di
due sessi nella società, implica reciprocità, sottolinea la relazione e le interazioni tra uomini e donne. Il
meccanismo alla base della riproduzione del sistema di dominazione è quello dell’ invisibilità e della
naturalizzazione dello stesso, che finisce per sostituire gli habitus determinati culturalmente con uno statu
quo, fondato su basi biologiche. 2.1 | modelli di genere normativi di femmi ‘à e mascolinità Il sistema
patriarcale crea strutture di dominio e di subordinazione che si fondano sull'esistenza di un sistema di
riferimento binario che si essenzializza sulla base della differenza sessuale; tale sistema di fonda sul modello
di mascolinità e femminilità. Per modelli di genere intendiamo l’insieme di caratteristiche, valori,
atteggiamenti, ruoli, aspettative che ci si aspetta da un uomo o una donna, in quanto tali. In generale,
possiamo affermare che il modello di genere di femminilità si ancora nel ruolo biologico della donna come
riproduttrice della specie. A partire da questa caratteristica viene costruita la predominanza assoluta del
ruolo della donna come madre, come responsabile della cura, e il conseguente spazio di riferimento: quello
privato. La femminilità è un modello determinato dalla natura, mentre la mascolinità so individua come un
costante tentativo di superamento. Al contrario della femminilità, relegata alla sua componente biologica, la
mascolinità non è mai data, ma si deve raggiungere. Il modello di mascolinità si contraddistingue dalla
femminilità: è l’Attività contro la passività, è la forza contro la debolezza, è l’abitare lo spazio pubblico contro
il privato. Come afferma Oscar Guasch, la mascolinità si definisce intorno a tre negazioni: negazione ad
essere bambino, con il ruolo centrare dell'autonomia personale della definizione dell'identità e delle
relazioni, la negazione ad essere donne, e la negazione all'amore verso le donne, che si traduce in
eteronormatività e non in solidarietà. I modelli di genere ci danno indicazioni normative su come dobbiamo
essere in ogni aspetto della nostra esistenza, rendendoci più facile il riconoscimento all’altro, e di
conseguenza, di noi stessi, all’interno della società. Essi sono binari, escludenti ma allo stesso tempo
complementari. Nel modello congruente, la mascolinità e la femminilità si percepiscono come estremi
opposti, escludenti ma complementari tra loro. La mascolinità si definisce per opposizione rispetto alla
femminilità, mentre la femminilità può essere compresa come un'assenza, una carenza di mascolinità.
Quindi se da una parte, l'identità di genere si fonda “sull’acquisizione conscia ed inconscia di appartenere al
proprio sesso e non all’altro”, quindi attraverso un processo di riconoscimento/ esclusione, dall’altra la
nostra società si fonda su una eterosessualità normativa che ci “obbliga” a vivere nella complementarietà. I
modelli di genere sono spesso invisibili e riproducibili. Nascendo da supposte basi biologiche ed essendo
socializzati fin dalla primissima età attraverso una educazione conferme al nostro genere di riferimento, non
vengono percepiti come una restrizione alle possibilità individuali, ma come di fatto, come unica e possibile
configurazione della realtà. Elena Gianini Belotti afferma che l'identità sessuale deve essere acquisita dal
bambino attraverso la cultura propria del gruppo sociale cui appartiene e io modo sicuro in cui il bambino la
raggiunge è di assegnargli il suo sesso attraverso atteggiamenti e modelli di comportamento che non
permettono equivoci. Più questi modelli sono differenziati per maschi e femmine, più il risultato appare
garantito, per cui fin dalla primissima infanzia si elimina tutto ciò che può renderli simili e si esalta tutto ciò
che può renderli differenti. 3.La violenza di genere sistema di riconoscimento identitario attraverso la
relazione di potere Per violenza di genere intendiamo quella violenza sistematica, strutturale, che si esercita
nei confronti delle donne in quanto donne, e che “rende il genere il primo terreno di scontro, quello privato,
nel quale il potere si manifesta”. Secondo l'Istat, che nel 2006 ha realizzato un'indagine su “La violenza
contro le donne”, buona parte della violenza che si esercita nei confronti delle stesse si sviluppa dentro le
mure domestiche e per mano delle persone di cui dovrebbero fidarsi. Il 7% delle donne che vivono in coppia
affermano di essere vittime di violenza fisica e/o sessuale da parte del partner, mente il 20% dichiara di
subire violenze psicologiche all’interno delle coppia.q Il 50% delle donne uccise negli ultimi tre anni in Italia
ha perso la vita per mano dei propri familiari, come riportano stime del Viminale e delle Forze di polizia.
Mentre il numero degli omicidi nel corso degli anni tende a diminuire, quelli perpetrati nei confronti delle
donne rimane stazionario, mettendomi in evidenzia una certa Rabbia di genere. La relazione eterosessuale
tra uomini e donne si fonda su una struttura patriarcale che permette la riproduzione di un sistema di
potere che nasce all’interno delle mura domestiche per poi ampliarsi ad ogni ambito della società. Un
elemento che ci aiuta nella comprensione dei meccanismi ci di riproduzione di questo sistema è il ciclo di
violenza, che evidenzia come l’escalation della violenza non avviene in modo lineare ma segue un processo
circolare, che corrisponde a una erosione parziale dell’indipendenza della vittima e dell’affermazione dell’
aggredire sulla stessa, in termini di potere e di controllo. A una prima fase si aumento della tensione,
seguita dall'esplosione di un episodio di violenza, segue un periodo di luna di miele, in cui l'aggressore
chiede perdono, minimizza l'evento appena trascorso, o lo collega a un evento esterno ed eccezionale,
dimostrandosi pentito e affermando che la violenza è stato un incidente o una eccezione risorto a un
rapporto di coppia che egli stesso dipinge come ideale. La violenza di genere è stata e continua ad essere
spesso percepita come un fatto privato, di cui la donna stessa si sente responsabile di dover gestire, e che
deve essere risolto Nel corso degli anni Ottanta e Novanta numerosi studi di pedagogiste si sono rivolti
all'indagine delle prerogative al femminile e al doppio ruolo della donna, chiamato “doppia presenza”, in
ambito familiare e professionale. A partire dal nuovo millennio e soprattutto negli ultimi anni, si sta
sviluppando un nuovo focus nella ricerca educativa, rivolto allo studio del corpo in ottica di genere. In
questo scenario, la violenza di genere si configura come storia ed evidenza delle pratiche di sottomissione
che passano attraverso il corpo femminile, accettate per secoli in silenzio perché considerate un segnale
naturale della subalternità del ruolo delle donna, motivata su basi pseudo- biologiche. 2. il femminicidio
come reato Per prima cosa è opportuno specificare i significati del termini femmicidio e femminicidio. Il
primo- femmicidio, è stato definito da Diana Russell a partire dalla metà degli anni Settanta e si è articolato
più nello specifico con la scoperta dei corpi di donne seviziate a Ciudad Juarez nei primi anni Novanta: il
termine indica l'uccisione misogina di una donna in quanto donna e la studia ne individuava l'origine nella
cultura patriarcale. Per femminicidio, si intende la condizione di violenza in grado di determinare
l’annientamento fisico e psicologico della donna. E una forma di violenza o discriminazione esercitata contro
la donna “ in quanto donna”, come forma di esercizio del potere con la sua psiche o del suo corpo, volto ad
annientarla perché non è quello che l’uomo o la società vorrebbero che fosse, perché esercita la sua libera
determinazione, ribellandosi al ruolo sociale di moglie, madre, figlia, suora, ecc che le è stato attribuito dagli
uomini a loro immagine in una società patriarcale. Un breve excursus sulle Convenzioni e sulle leggi che si
sono susseguite dopo la Dichiarazione Universale della metà del Novecento illustra gli elementi di novità
che hanno portato al riconoscimento del femminicidio come reato, almeno nella legislazione nazionale. Nel
nostro codice penale, sono da alcuni anni la violenza sessuale è considerata come un delitto contro la
persona e non contro la stirpe. A livello internazionale: - 1980: il riconoscimento della “Convenzione
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne”: - 1983: “Conferenza di Vienna”, che ha
istituito il Tribunale globale sulla violazione dei diritti delle donne, distinguendo tra abusi in famiglia, crimini
di guerra, violazione dell'integrità fisica, abusi di carattere socio-economico, persecuzioni. - 2000:
l'assemblea generale dell'Onu elabora una specifica Piattaforma di intenti sul tema della povertà e
dell'educazione, della salute e dell’ineguale accesso alle risorse e agli spazi del potere. In Italia, è recente il
varo del D.lgs. 93/2013 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza per il contrasto della violenza di genere”.
L'articolo 5 “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” sottolinea il ruolo
dell’informazione e della sensibilizzazione, ma anche l’importanza della raccolta strutturata dei dati
riguardanti il fenomeno, il potenziamento dell'assistenza alle vittime, rafforzamento dei centri antiviolenza,
la formazione delle professionalità coinvolte nella prevenzione e nella gestione della violenza di genere e
dello stalking. 3. I media veicolo di stereotipi di genere Negli ultimi anni si è sviluppata una crescente
attenzione da parte di pedagogisti e sociologi all'analisi delle proposte mediatiche in ottica di genere. Il
ruolo dei media è quello di agente di socializzazione e promotore di rappresentazioni di genere socialmente
accettate e condivise. È opportuno mettere in luce gli stereotipi soggiacenti a ciò che abitualmente bambini
e adulti guardano in Tv, al fine di promuovere una maggiore consapevolezza critica rispetto ai contenuti
televisivi, e più in generale nei confronti di rappresentazioni stereotipate e svalorizzanti del fenomeno del
maschile. I media forniscono una “norma”, addestrano ai ruoli di genere perché offrono delle regole da
seguire per diventare uomini e donne conformi alle aspettative sociali. Lo studio Nuove forme di violenza
simbolica: bambini e bambine nell'immaginario pubblicitario proposto da Irene Biemmi, si concentra sulle
pubblicità rivolte all'infanzia, trasmesse in fascia oraria pomeridiani quando i bambini sono generalmente
soli. La pubblicità risulta molto gradita ai piccoli perché breve, ripetitiva, presenta situazioni familiari
riconoscibili e mostra prodotti attrattivi attraverso linguaggi semplici, basati soprattutto su immagini. Essa
fornisce indicazioni precise su come comportarsi, che risultano ancora più costrittive e limitanti nelle
pubblicità infantili, dando luogo a un circolo vizioso che alimenta l'immaginario sessista. Attraverso
un'analisi, Biemmi rivela una realtà “spaccata” tra il rosa e l'azzurro: da un lato le pubblicità per bambine, in
cui prevalgono i colori pastello e i brillantini, ambientate all’interno di spazi chiusi e articolate con ritmi più
lenti, soft, accompagnate da musica melodica; dall'altro la pubblicità per bambini, dalla musica più ritmica,
ambiente più aperti. Dal punto di vista dei contenuti pubblicizzati, nel nostro caso giocattoli rivolti all'uno o
all’altro sesso, emerge che per i maschi i giochi pubblicizzati sono macchine, motori, armi, costruzioni,
mentre per le bambine il campo è molto più limitato: oggetti domestici, oppure bambole per educare al
ruolo materno o Barbie o Bratz, che enfatizzano l’importanza dell’aspetto fisico per una donna e
promuovono processi di adultizzazione precoce. La rappresentazione dell’universo femminile ruota attorno
al binomio “riproduzione/seduzione”, mentre i bambini sono sempre intenti a combattere per affermare la
propria virilità. L'esasperazione dei ruoli di genere stereotipati, fenomeno che prende il nome di re-
genderization, sembra essere una caratteristica prettamente italiana della televisione a partire dagli anni
Novanta. Questa rappresentazione stereotipata di bambini e bambine è fortemente limitante per entrambi i
sessi, in quanto presenta due mondi separati, non comunicanti. Il dover- essere femminile impone di sapersi
prendere cura degli altri e del proprio aspetto fisico e di accettare di diventare oggetto dello sguardo
maschile; il dover-essere maschile si gioca tutto sulla capacità di manifestare pubblicamente un
atteggiamento forte e prevaricante verso i propri simili- In conclusione, si può affermare che la pubblicità
per bambini offre una rappresentazione della realtà che legittima i rapporti di violenza tra uomini e donne, e
che invece di essere modificata , risulta ancora più enfatizzata dai programmi rivolti a un pubblico adulto. 4.
Educare al rispetto delle differenze. Considerazioni conclusive La formazione assume un ruolo cardine
nell’affermazione e nella tutela delle differenze. E necessario creare collegamenti relazionali tra uomini e
donne a partire dalla scuola e dalla realizzazione di esperienze di educazione alla non-violenza, alla
differenza e alla solidarietà, alla cura di sé. Il primo luogo, la scuola ha il compito di identificare gli stereotipi
che favoriscono la trasmissione di un sapere gerarchico e lesivo della parità di genere attraverso le
generazioni, fornendo occasioni di sperimentazione e di conoscenza di forme di pensiero alternative e
femminili. Impegnarsi all’inclusione delle differenze attraverso la pratica di un pluralismo educativo e
culturale. Capitolo 3: L’eteronormatività come orizzonte. Bullismo omofobico e maschilità in adolescenza
Premessa il bullismo scolastico di marca omofobica è un tema di cui sempre più la ricerca pedagogica va
occupandosi, con varietà di approcci, prospettive teoriche e metodologie di indagine. La letteratura
scientifica chiarisce che il bullismo è un fenomeno profondamento diverso: un comportamento da “bullo” è
caratterizzato da intenzionalità, continuità e asimmetria. All’interno di questa cornica, il bullismo può
assumere forme fisiche, verbali o indirette. Altra caratteristica trasversale a tutti i tipi di bullismo è la sua
dimensione gruppale: in quanto comportamento deviante, il bullismo è “il prodotto di un'interazione di
piccolo gruppo: di solito viene compiuto in gruppo, rievocata in gruppo e comunicata ai membri del
gruppo”. Si tratta di un fenomeno che tende ad autoalimentarsi: i bulli propendono a creare gruppi amicali
formati da ragazzi con cui condividono un atteggiamento positivo nei confronti della violenza, e questi
gruppi producono un effetto di rinforzo dei comportamenti aggressivi, la cui adozione costituisce ciò che
rende degno do far parte del gruppo stesso. Il bullismo omofobico presenta però caratteristiche peculiari: le
prepotenze chiamano in causa una ensione specificamente sessuale; la vittima può incontrare particolari
difficoltà a chiedere aiuto agli adulti; vittima può incontrare particolari difficoltà a individuare figure di
sostegno e protezione fra i suoi pari. A tutto ciò, il bullismo scolastico costituisce uno snodo particolarmente
critico per la giovane età delle sue vittime. 1. L’adolescenza Contrariamente a quello che si potrebbe
pensare, la vittimizzazione omofobica tende ad avere inizio già durante l’infanzia, tra bambini che usano
insulti di cui non conoscono nemmeno il significato preciso. E innegabile che il bullismo di marca omofobica
trovi una maggiore diffusione durante l'adolescenza. Quest'ultima sembra avere un oscuro legame
antropologico con la violenza e oggi, con la scomparsa di tutti i riti di passaggio, gli adolescenti cercano
esperienze che simboleggiano la rottura con l'infanzia, che lascino segni che significhino il passaggio a una
condizione adulta. Tale passaggio è realizzato attraverso ferite provocate a se stessi: affrontando sfide
rischiose, attraverso comportamenti pericolosi che creano “cicatrici” da mostrare con orgoglio. L'origine
etimologica del termine adolescente è da ricercarsi nel latino adolesco (crescere, svilupparsi) quanto in
adoleo (bruciare, distruggere con il fuoco). L'adolescenza come la conosciamo oggi, come esperienza
standardizzata e collettiva, è nata nel secolo Ottocento, come prodotto dei sistemi scolastici nazionalizzati e
della diffusione della scuola secondaria. Il situarsi dell'adolescenza prima di una piena maturità sociale, ha
reso quest’'età una fase di apprendimento del modo corretto di essere uomini e donne adulti. Poiché la
maturità sessuale precede quella psicologica e sociale rappresentata dall’adultità, l'adolescenza è diventata
anche un ambito privilegiato di controllo familiare, istituzionale e sociale, teso a evitare i rischi di
comportamenti considerati scorretti. Se al secondo ottocento va fatta risalire la nostra invenzione
dell'adolescenza, questo stesso periodo storico segna la nascita secondo Foucault, di un altro soggetto
sessuale: l’Omosessuale. Il riconoscimento sociale dell'adolescenza è avvenuto in contemporanea con quel
processo attraverso cui la cultura occidentale cominciava a pensare i soggetti sociali come divisi in due
classi: quella degli eterosessuali e quella degli omosessuali. Da quel momento in poi, diventare adulto ha
significato diventare un adulto con una definita identità sessuale e gli adolescenti non hanno potuto non
porsi il problema dell’orientamento sessuale. Se porsi la questione dell’orientamento sessuale in generale è
diventato il compito evolutivo forse più impellente cui devono far fronte, gli adolescenti sembrano
rispondervi in diversi modi. Per gli omo-bisessuali si pone il problema dell’autoconsapevolezza, prima, e del
dirsi, del coming out, poi, nella tessitura di una coerente narrazione di sé. Cenerentola viene rappresentata
come una persona buona e altruista, anche con le sorellastre, tanto che dopo il matrimonio con il principe,
dona loro due appartamenti nel palazzo reale. Dalla fiaba allo schermo il passo è breve. Da Walt Disney alla
Entertaiment One, le storie narrate sugli schermi entrano nelle case e nell'immaginario mondiale, con le
loro note positive e quelle negative. Esemplificazione traslata dalla società occidentale, Peppa Pig è un
cartone animato a puntate, creato nel 2004. In Peppa Pig lo stereotipo pare essere il comune denominatore
di episodi e d personaggi, che tendono a consolidarsi nella propria funzione e nel proprio ruolo, offrendo
quindi una protagonista prepotente e assolutamente incurante delle raccomandazioni adulte. Peppa
rappresenta un'infanzia intrappolata all’interno della dimensione egocentrica da un contesto adulto che non
permette in alcun modo ai bambini di emanciparsi e di crescere. 2. Bulli da morire Crescere, come
suggeriscono molti autori della letteratura per l'infanzia e per ragazzi, è una condizione che avviene
attraverso la perdita dell'innocenza di fronte al disvelarsi del terribile segreto che nasconde l'essere adulti:
la morte. La morte ha un fortissimo valore simbolico poiché davanti ad essa svanisce qualsiasi speranza di
avere un futuro, perché già formato e prestabilito oppure perché considerato mera illusione. L'età è un
fattore determinante, e il suicidio sono correlati con alcune condizioni familiari e sociali che vengono
pertanto considerati fattori di rischio. Il suicidio in adolescenza, è correlato con le radicali problematiche
della fase evolutiva che il soggetto sta attraversando. Gli adolescenti, narcisisticamente fragili, perseguitati
dalla paura di perdere la faccia, dai confini del sé ancora molto incerti e mal segnati perché dipendenti dagli
altri, dal giudizio degli altri, arrivano talvolta a vergognarsi da morire. L'odio e l'intolleranza possono colpire
ferocemente i giovani, e la letteratura per l'infanzia e per ragazzi parla loro attraverso storie metaforiche o
tematiche, in cui si riconoscono e attraverso le quali possono rivedere se stessi, trovando nuovi percorsi
possibili di speranza. 3. Tra scuola e fam Fra i tanti elementi che potrebbero aiutare i ragazzi e le ragazze-
vittime o camefici- nell’arduo compito della crescita c'è sicuramente la famiglia, che riveste un ruolo
decisamente importante. Sempre più spesso, nella letteratura per ragazzi, il punto di partenza della
narrazione è una famiglia assente o insoddisfacente, incapace di rispondere ai problemi, alle richieste degli
adolescenti protagonisti delle storie. La scuola, ad esempio, appare simbolo di separatezza e di isolamento,
luogo dove sempre possibile definire la propria identità. Solo quando il bullismo entra a far parte della vita
scolastica, definire se stessi diventa una sfida difficile per molti, dove si deve lottare per la propria identità.
In un’età in cui il desiderio di essere accettati è peculiare, in una società, come quella attuale, in cui i
bambini sono sempre più precoci, urge un cambiamento nelle pratiche di vita: un ritorno all'essenziale, al
profondo, alla riflessione, alla dimensione dell’autentico. Ed è fondamentale per questa trasformazione
antropologica, riuscire ad riappropriarsi del proprio tempo, sostituendo l’idea del tempo come “guadagno”
con quella di tempo come “occasione” per ritornare a sé, con sé, in armonia. Scalzare dunque il mito della
velocità per accogliere quello della lentezza, intesa come possibilità di approfondimento del sé, delle
proprie emozioni, dei propri sensi per godere di tutto quel che ci circonda, per riuscire a dare importanza
alle cose vere, e saper godere della gioia data dalle piccole cose. Si tratta di una sfida non facile, ma
possibile al patto di aprirsi all'ascolto e al rispetto profondo dell'altro, specialmente dei bambini, che con le
loro domande riescono ad evidenziare le contraddizioni e l’iniquità della logica imperante degli adulti di
oggi. Impiegare tempo a parlare non significa “perdere tempo”, ma rappresenta la premessa indispensabile
per una corretta relazione educativa: non si può prescindere dalla reciproca conoscenza per creare un clima
positivo ed è possibile costruire tale reciprocità solo ascoltando e conversando con l'infanzia. L'ascolto è una
delle esperienze più significative e rappresenta la premessa di quell’empatia necessaria per fare
dell’insegnamento una relazione d'aiuto. CAPITOLO 5: IL “MODELLO BARBIE”: UN APPROCCIO DI GENERE
PER COMPRENDERE L’INFLUENZA DELLA BAMBOLA MATTEL 1. Le origini di un’icona Barbie compirà a breve
sessant'anni e, oltre che un gioco, continua ad essere una vera e propria icona: si stima che il 99% delle
bambine in Europa e in America possegga almeno una Barbie, anche se la media è di otto Barbie per
bambina. Anche nel caso di famiglie che non hanno mai acquistato il prodotto, la bambola è sicuramente
nota grazie alle sue caratteristiche riconoscibili, come gambe lunghe, vita stretta, seno prosperoso, lunghi
capelli biondi, labbra carnose e trucco marcato. Barbie è una bambola con un appeal limitato in quanto si
basa su un’oggettistica ampissima che permette di allargare gli orizzonti di gioco: da un lato un continuo
catalizzatore per la fantasia, dall'altro una dinamica fortemente consumista che si è rivelata la fortuna di
Mattel. La bambola più celebre dell'età contemporanea è nata dalla creatività di Ruth Handler, moglie di
Elliot Handler, fondatore della Mattel. Essa si ispira a un giocattolo piuttosto particolare, si chiama Lilli, è una
bambola tedesca ed è oggetto malizioso, una figura che ricorda Brigitte Bardot venduta nelle tabaccherie ad
un pubblico esclusivamente maschile. Lilli viene reinterpretata da Ruth, e nel 1959 nasce Barbie. Lo scopo di
Handler era quello di dare la possibilità alle bambine di giocare con una bambola più matura le lasciasse
libere di immaginarsi da grandi in un ruolo non necessariamente materno, sognando nuovi obiettivi per il
futuro e immaginandosi adulte e indipendenti. 2. Dalla bambola-bebè all’immaginario Barbie I giochi
rivestono per i bambini un ruolo fondamentale nel processo di formazione, lavorando tanto sul piano
relazionale ed emotivo, tanto sulle abilità motorie e creative, oltre a influenzare valori, idee e attitudini.
Attraverso il gioco, il bambino può apprendere la realtà che lo circonda e imparare a vivere in un
determinato contesto sociale. Con le bambole si assiste a un “processo di acculturazione del soggetto che
tramite la miniaturizzazione degli oggetti respira i valori della società e ne conosce i ruoli sociali, ruoli che
dovrà ricoprire nella sua vita adulta. La bambola-bebè compare ufficialmente nel 1851, durante
l’Esposizione Universale a Londra, invenzione della fabbrica di bambole inglese Montanari. Tra il XIX e XX
secolo si può notare un'espansione massiccia della bambola con forme di infante, che le bambine dovevano
accudire, identificandosi con la propria madre. Con la commercializzazione di Barbie nel 1959, l’attenzione si
sposta di nuovo su bambole adulte che possono fuggire da modello per le bambine, indirizzandole verso
precisi valori quali la bellezza, l'eleganza e la ricchezza, valori in realtà già presenti nella bambole più
antiche, ma estremizzati dal giocattolo Mattel. Bambole e giocattolo sono tra i maggiori promotori di precisi
ruoli di genere e di una netta distinzione tra maschile e femminile. Le bambole per esempio sono
etichettate come un giocattolo esclusivamente femminile. La socializzazione ai ruoli di genere, ovvero il
processo attraverso cui si interiorizzano i valori, gli ideali, gli schemi e i comportamenti che una cultura
considera appropriati per il proprio genere, gioca un ruolo fondamentale, andando a lavorare in modo
diretto sulle aspettative dei più giocani, e per esempio sulla loro carriera. I denominatori comuni ben
incarnati dalla bambola Mattel sono la bellezza e la funzione di oggetto-giocattolo. Barbie fa
dell’omologazione e del consumismo la propria virtù. Il gioco propone un unico modello comportamentale
alle nuove generazioni. La bambola agisce come un modello per le nuove generazioni, creando un archetipo
femminile. Questa sfera di influenza non si limita al giocattolo in sé, ma si amplia attraverso un mercandising
fiorente di decenni, comporta da oggetti sia per Barbie, sia per le bambine fan della bambola, come oggetti
per la scuola, vestiario. Tutto ciò è brillante quanto dannoso, in quanto unisce bambini e bambini nella
prospettiva di vivere come star all'insegna dell'estetica e del consumismo senza freni. 3. Barbie e il nuovo
modello di femminilità Nel 1992 Mattel commercializza una Barbie parlante, chiamata Barbie Teen Talk-
Magica voce. Grazie a un chip la bambola comunica casualmente una decina di frasi. Si tratta di una
caratteristica con un ampio potenziale, che avrebbe potuto essere sfruttato per decostruire stereotipi di
genere ed incoraggiare le bambine a intraprendere nuove strade non standardizzate. Ma barbie pronuncia
frasi come: “avremo mai abbastanza vestiti matematica è difficile”. Dopo molte accuse di sessismo, la mattel
ritira il giocattolo, anche se il danno ormai è fatto in quanto Barbie è portatrice di ideali superficiali, donna-
bambola interessata solo alla moda. , “Amo lo shopping”, “la Come nota Rogers, la sola importante
emancipazione della bambola sta nelle dinamiche relazionali: Barbie non è moglie e non è madre, un
privilegio che soprattutto negli anni Settanta era solitamente maschile. Barbie ha un fidanzano Ken e varie
sorelline. Essa non si sacrifica per gli altri, né per un marito, né per i figli, e non è sottomessa ad un uomo
nemmeno economicamente, ma è indipendente. 4. Il caso delle Barbie in carriera Con Barbie, il potenziale
per un giocattolo che ridiscuta i ruoli di genere in realtà non mancherebbe: la bambola, nel corso degli anni
ha collezionato più di 150 lavori diversi. E significativo il divario lavorativo tra Barbie e Ken, dove gli standard
di genere vengono rovesciati. Il compagno di Barbie è stato prodotto con solo 40 carriere ufficiali, meno di
un terzo rispetto a Barbie. Nonostante Barbie sia la parte lavoratrice della coppia, la bambola è ancota
molto stereotipata e limitata da questo punto di vista. Molti dei lavori di Barbie sono legati all'insegnamento
come da tradizione. Tra le più particolari possiamo segnalare Barbie allenatrice di calcio. La sfera medica si
rivela ancora più limitata del settore educativo per quanto riguarda la possibilità di carriera. Spesso infatti
lavori che richiedono un'alta formazione sono etichettati con termini che ne sminuiscono la preparazione,
come in inglese Barbie pediatrician è stata commericalizzata come baby doctori, la dottoressa dei bambini.
Oppure prendendo in esame Barbie dentista, si fa riferimento solo a dentista per bambini. Nonostante le
Barbie siano tutte uguali tra loro, la differenza di prezzo tra una Barbie canonica e una Barbie dottoressa è
più del doppio. Matt Notowidigdo ha definito questo fenomeno come il Paradosso Barbie: i consumatori
sono disposti a spendere un prezzo più alto per un prodotto che simboleggia qualità migliori. Nel caso
specifico, i genitori con alte aspettative nei confronti dei figli saranno disposti a spendere di più per una
Barbie qualificata, che possa spingere le bambine a svolgere una carriera prestigiosa. Ogni genitore educa in
base al modello ricevuto dalle proprie figure parentali, ovvero in base alle credenze, convinzioni e modelli
che vengono interiorizzati e influenzano l'agire educativo. Se tali pratiche non diventano oggetto di
riflessione da parte dei genitori e se non sono considerati i reali bisogni dei figli, si rischia di non riuscire a
gestire la relazione intrafamiliare. In questo modo, non rimodellando il proprio agire educativo, i genitori si
trovano disorientati, persi, senza strumenti idonei per svolgere in modo corretto il ruolo al quale sono
chiamati. PARTE SECONDA: LA VIOLENZA DIFFUSA CAPITOLO 7: PROSTITUZIONE E SFRUTTAMENTO
SESSUALE IN ITALIA Premessa Ci occuperemo dello scambio sesso-denaro nelle sue forme, analizzando la
prostituzione femminile. In ordine d'importanza occorre tenere conto del grado di autonomia della donna
che offre servizi sessuali a pagamento. Tale dimensione si colloca all’interno di un continuum costituito da
due poli: ad un estremo, troviamo bassa o nessuna autonomia, mentre all’altro estremo vi è elevata o totale
autonomia. Nell'ambito del primo polo hanno luogo le forme di prostituzione femminile basate su
sfruttamento sessuale e tratta di persone; nel secondo non vi è sfruttamento sessuale né alcuna forma di
coinvolgimento della donna, in qualità di vittima nella tratta di esseri umani. Questa doppia polarità trova
un riscontro con i differenti segmenti che compongono la prostituzione femminile. Questi si differenziano in
base alle modalità di svolgimento, ovvero al luogo e al tipo di relazione che si instaura fra cliente e sex
worker: prostituzione di strada, al chiuso, prostituzione di alto borso e prostituzione on line. 1. Le “Call girl”
Un tempo, nell'Italia degli anni Settanta, dopo la chiusura definitiva delle “case chiuse”, questo tipo di
prostituzione aveva luogo all’interno di cerchie sociali ristrette di clienti facoltosi. Queste donne reclutavano
i loro clienti stazionando all’interno di hotel di lusso e di night club conosciuti per il giro di prostituzione che
si svolgeva all’interno. Oggi loro promuovono la loro immagine attraverso siti internet specificamente
dedicati, il più delle volte siti internet personali e gestiti direttamente da loro stesse. Il gioco relazionale che
si crea fra questo tipo di donne e i clienti è basato sul simulare: le dinamiche consuete di un incontro
sentimentale fra un uomo e una donna: strategie seduttive dell’uno e dell'altra, curiosità nel conoscersi,
adulazione e complimenti. Tuttavia, entrambi sanno bene che si tratta di una finzione, ma la agiscono
consapevolmente, in special modo lei sfoderando la sua capacità attrattiva e seduttiva, per il per il piacere di
giocare quel gioco. L'uomo facoltoso dispone di queste donne per un giorno o un fine settimana elargendo
somme consistenti, che oltre a ristorante e albergo di lusso, si collocano intorno a 2000- 3000 euro per un
fine settimana insieme. Qui non abbiamo nessuna forma di sfruttamento sessuale: la donna si prostituisce
per libera scelta, avendo soppesato attentamente i pro e i contro di questo tipo di attività. L'antro segmento
di prostituzione di alto bordo viene veicolato anche esso on line, ma con una differenza rispetto al
precedente. Qui si tratta di siti all’interno dei quali si trovano più donne, nell’ordine di varie decine, ciascuna
delle quali ha la propria foto e il proprio profilo. Pur trattandosi si call girl, esse si collocano entro un'offerta
sessuale diversa rispetto alla precedente; foro discinte, provocanti, e profili stilizzati ridotti al minimo e
scarsamente illuminanti sul carattere, sulla personalità e sulle preferenze della donna. Qui l'amministratore
è una società che cede al pagamento uni spazio on line, al costo di circa 400 euro al mese per quelle donne
che vogliono usufruirne. L'amministratore del sito richiede alla donna di firmare una liberatoria nella quale
essa afferma che qualora si dovesse trattare di servizi sessuali a pagamento, la responsabilità giuridica di
tale scelta dovrà essere solo sua. Le donne nei vari siti sono per lo più donne straniere, fra i tenta e i
quarant'anni, che per una serie di motivi hanno deciso di incrementare il mercato dei servizi sessuali a
pagamento. Solitamente non abbiamo forme di sfruttamento sessuale ad opera di organizzazioni criminali,
anche se questo tipo di prostituzione non è esente. 2. La prostituzione al chiuso Questo tipo di prostituzione
si svolge in luoghi chiusi come appartamenti, night club e sale massaggio. E un tipo di prostituzione
mascherata in ragione del fatto che il luogo nel quale essa viene espletata è ufficialmente dedicato ad altri
scopi. Per quanto riguarda gli appartamenti, abbiamo sia donne italiane che donne straniere: le prime
gestiscono a livello individuale la loro attività di sex wonder, promuovono se stesse attraverso siti internet,
annunci sui quotidiani senza naturalmente dichiarare che si tratta di sesso in cambio di denaro. Le donne
straniere si prostituiscono da sole, o in alternativa, costituiscono delle piccole società fra colleghe grazie alle
quali affittano un appartamento in comune e a turno vi svolgono l’attività prostituzionale. Altre forme di
prostituzione al chiuso avvengono all’interno di locali come night club, riservati a clientela molto selezionata
o al contrario tendenzialmente accessibili a nuovi avventori. Laddove però abbiamo sia sfruttamento
sessuale che tratta di esseri umani finalizzato a tale scopo, le donne subiscono dure condizioni di lavoro. La
loro capacità di scelta, nel rifiutare o meno un cliente, è inesistente. Ciò avviene in primo luogo, in ragione
del fatto che queste donne sono cadute volontariamente nelle reti del sistema di sfruttamento a seguito del
trasferimento illegale o apparentemente illegale dal loro paese fino in Italia. In più è l’organizzazione
criminale che anticipa i costi del viaggio alla donna che poi scoprirà, che ciò a cui è destinata non
corrisponde affatto alla proposta di occupazione fatta a suo tempo. Si tratta di night club gestiti per la
maggior parte da italiani, strettamente collegati a organizzazioni criminali di origine straniera collocate nei
paesi di origine delle donne e addette al reclutamento di queste ultime. Fra i gestori, troviamo anche affiliati
alle organizzazioni mafiose autoctone, per quanto, di solito, il loro inserimento nello sfruttamento sessuale
non sia ufficialmente tollerato dai capi delle organizzazioni mafiose. Infine abbiamo le sale massaggio
gestite da titolari cinesi. Almeno una parte di esse cela al proprio interno forme di prostituzione. assieme ai
servizi dichiarati, essi offrono anche servizi sessuali, a seconda delle scelte e inclinazioni del cliente, il quale
può fermarsi al massaggio orientale vero e proprio, o piuttosto chiedere servizi sessuali aggiuntivi, con
“consumazione parziale o totale del rapporto sessuale”. Mentre nelle sale massaggio la clientela è
pressoché totalmente italiana, negli appartamenti e nei night club gestiti da titolari cinesi, la situazione
cambia sensibilmente in relazione al luogo nel quale si trova l'appartamento o il night club. I luoghi adibiti
alla prostituzione cinesi sono sottoposti al controllo e sorveglianza di gruppi criminali della medesima
provenienza nazionale. Questi sfruttano le donne nell’ambito della prostituzione al chiuso e al contemplo
sorvegliano il locale per evitare che sorgono problemi fra cliente e prostitute. 3. La prostituzione di strada
Questo segmento prostituzionale è costituito pressocchè interamente, da donne straniere ed è al
contempo, contraddistinto da un elevato grado di sfruttamento sessuale. Parliamo in questi casi di duplice
sfruttamento: lo sfruttamento/ gli sfruttatori che traggono profitto dalla donna e assieme a questi altro
sfruttatore che “affitta” il tratto di strada dove la donna esercita la prostituzione. Negli ultimi decenni vi
sono alcuni modelli di sfruttamento: albanese e in senso più ampio dell’Est Europa, nigeriano e cinese. Il
modello albanese di sfruttamento sessuale risalente agli anni Novanta dello scorso secolo è caratterizzato
dalla presenza di sfruttatori che si muovono in gruppo e al contempo gestiscono secondo la medesima
logica le donne sottoposte a sfruttamento sessuale. Assieme a ciò, vi è tuttavia una relazione privilegiata del
singolo sfruttatore, il più delle volte colui che ha reclutato personalmente la donna dall’Albania o da un
paese dell'Est Europa o che comunque intrattiene con essa una relaziona sessuale. Quando occorre
prendere delle decisioni che possono mettere a rischi la vita della donna, il gruppo criminale si preoccupa di
avere il consenso dello sfruttatore di riferimento. In più, fin dalla prima comparsa di sfruttatori albanesi
inseriti nella prostituzione di strada, la loro principale strategia di asservimento nei confronti delle donne
era fortemente improntata all’uso della violenza. A questo riguardo, molte donne raccontano delle
vessazioni e violenze alle quali erano giornalmente sottoposte, sia che vi fossero motivi di apparentemente
“plausibili”, sia che tali motivi non esistessero. Un comportamento da parte degli sfruttatori, che in realtà
lascia piuttosto pensare al ricorso alla violenza fisica e psicologica come fondamentale strumento di
asservimento nei confronti della donna, grazie al quale stabilire una volta per tute le regole ordinatrici di
sudditanza della vittima nei confronti degli sfruttatori. Negli anni, la violenza si è attenuata. Oggi gli
sfruttatori dell'Est Europa adottano strategie volte piuttosto a cercare la complicità della donna, lasciandole
una parte dei proventi giornalieri. L'altro modello di sfruttamento è quello nigeriano. Siamo di fronte a un
universo femminile, nel quale le forme di sfruttamento vengono messe in atto da donne connazionali delle
vittime. Sia che si tratti di forme consenzienti di sfruttamento sessuale, in tal caso messe in atto grazie alla
complicità della famiglia della stessa ragazza, sia che la vittima non abbia alcuna consapevolezza della reale
occupazione che andrà a svolgere in Italia, queste donne raramente conoscono le reali condizioni di
sfruttamento alle quali saranno sottoposte. Gli uomini sono presenti all’interno del sistema di sfruttamento,
essi hanno un ruolo secondario per quanto non irrilevante: son i maman boys, bande che sostengono la
maman, la sfruttatrice, e se necessario ricorrono alla violenza fisica se la donna sfruttata non obbedisca alla
maman. La relazione che la maman istaura con la giovane donna è ambivalente. Da un lato è colei che le
procura i profilatici, se necessario la porta dal medico, per molti aspetti è il suo punto di riferimento;
dall’altro lato è colei che la controlla e la sfrutta sessualmente. Il modello nigeriano presenta negli anni una
sostanziale continuità. In primo luogo, le vittime subiscono sia violenze fisiche che psicologiche; queste
ultime hanno prevalentemente luogo ricorrendo a riti di magia nera grazie ai quali le ragazze si sentono
vincolate a seguire gli ordini della maman. La peculiarità di questo modello di sfruttamento è data dal fatto
che le donne, una volta saldato il debito alla maman e quindi libere di uscire dal sistema della prostituzione
rimangono al suo interno, passando dal ruolo di sfruttata a sfruttatrice. I motivi alla base della scelta di
riprodurre il sistema di sfruttamento sono da ricercare in una serie di fattori che tendono a rafforzarsi a
vicenda. In primo luogo, le scarse opportunità concretamente percorribili di intraprendere percorsi di
promozione individuale instituzionalmente legittimi; la rete relazione gravitante attorno alla prostituzione:
quanto più essa è a maglie strette e dense e il microcosmo relazionale è circoscritto alla mamam e alle
colleghe di lavoro, tanto più la donna avrà difficoltà ad accedere a opportunità alternative al lavoro di
strada. rivelare, analizzare e interpretare il punto di vista degli operatori e delle figure di coordinamento. 3.3
l’analisi dei nuclei concettuali emersi in questa sede si riferiscono, sotto forma di sintesi, i principali nuclei
concettuali emersi dall’analisi dei dati raccolti, attraverso le schede socio-anagrafiche, formative e
professionali. La progettualità Il Programma di Assistenza Individualizzato (PAI) rappresenta lo strumento
d'azione, viene sviluppato insieme alla donna presa in carico ed è incentrato sullo sviluppo di capacità e
competenze e sull’empowerment, dove l’individualizzazione prevede azioni che partano alla considerazione
delle differenze individuali per l'individuazione di percorsi differenti per ogni sotto, giungendo però a un
obiettivo comune. Il progetto educativo prevede la stesura di obiettivi che conducono la donna dalla
“condizione data”- che allude a condizionamenti di vario tipo come quello genetico, biologico, di genere,
psicologico, sociale, culturale - alla destinazione prescelta, che allude alla consapevolezza della
problematicità per decifrarla senza considerarla una condizione immutabile. Ciò è perseguibile tramite la
messa a punto di setting tanto a livello duale, che gruppale. La relazione educativa Il compito generale di un
educatore risiede nel promuovere e sviluppare potenzialità dei soggetti, individuali e collettivi e
nell’intervenire dove le normali dinamiche educativa non consentono o non consentirebbero un autonomo
lavoro di crescita; è necessario instaurare una relazione educativa che nella casa rifugio si presenta allo
stesso tempo duale e gruppale. Il tema relazionale si realizza tramite una comprensione delle attitudini,
degli interessi e delle aspirazioni della donna, al fine di permettere uno scambio comunicativo utile allo
sviluppo di un progetto di lungo periodo e di un rapporto di fiducia e rispetto. Compito dell’educatore è
quello di promuovere autonomia e responsabilità, evitando dipendenze e sovrapposizioni e agendo, tramite
un corretto distanziamento con la donna e con il sistema in cui è inserita. La relazione educativa comprende
una dimensione affettiva che coinvolge pensiero e sentimento, ma è necessario mantenere quel giusto
distanziamento, utile anche per evitare il burnout. La flessibilità La flessibilità dell'intervento educativo si
declina in una progettualità non rigida, ma capace di saper comprendere, da un lato, che il progetto
educativo è transitorio, condizionato dall’evolversi di tempi, spazi, relazioni, dipendente da variabili non
sempre controllabili. Il progetto necessita di una continua valutazione e ri-progettazione in itinere. Dall'alto
lato, la flessibilità dell'intervento prevede la necessitò di stabilire una progettualità educativa corredata da
continuità e da regole, ma con la consapevolezza di lavorare per/ con donne che hanno subito violenza e
coercizione. E da considerare l’asimmetria tra educatore-educando che non riguarda solo i ruoli ma anche
l'origine dell'ospite. Si tratta di un’ospite, la cui migrazione ha segnato la propria identità e per lo più si
aggiunge l'appartenenza al genere femminile in quanto ogni attività di sostegno è volta alla riappropriazione
della soggettività della donna, legata quindi anche all'immagine del proprio corpo. Il lavoro di rete
Nell'ottica di una sistema formativo integrato, il legame con il territorio rappresenta una risorsa ineludibile
per lo svolgimento del lavoro dell’equioe e per progettare i singoli interventi educativi. Il lavoro di rete
raccorda i bisogni sociali delle ospiti con una rete di appartenenze coordinando le azioni dei servizi formali e
non formali nel creare interazioni, tra servizi e individui, che fanno leva su una progettualità condivisa.
L'intergrazione è perseguibile attraverso i processi di alfabetizzazione e socializzazione quindi la lingua e il
lavoro- rispettivamente, fattore culturale e/o fattore sociale, come i principali fattori di inclusione e
integrazione. Conclusioni Il problema della violenza sulle donne, chiama in causa l'interno sistema della
formazione; se c'è bisogno di definizioni giuridiche e politiche per declinare i percorsi della migrazione
femminile, c'è anche la necessità di uno sguardo antropologico e sociale per capire le motivazioni del
viaggio, il sogno che sta dietro ogni migranza. Nel contesto di una casa di rifugio, le donne non sono più
oggetti di controllo ma diventano soggetti portatori di bisogni, sui quali costruire progetti educativi
finalizzati a promuovere l’implementazione delle proprie risorse in modo che le donne possano
“riconoscere nella loro differenza di genere, autonome e libere attraverso la costruzione di un’identità-altra,
non subordinata agli stigmi imposti dalle istituzioni del controllo sociale”. CAPITOLO 9: IL CULTO DELLA
“BIANCHEZZA”. DALLA CHIRURGIA ESTETICA ETNICA AL RICONOSCIMENTO DI Sé NELL'ALTRO 1 Costruzione
dell’identità e bisogno di riconoscimento Il bisogno di essere accettati e amati ha origine nel momento in cui
nasciamo e ci accompagna per tutta la vita, soddisfatto nel momento in cui riceviamo il riconoscimento
degli altri. Per questo motivo il processo alla base della costruzione dell'identità vede l'io confrontarsi
incessantemente con l’altro, in un dialogo che utilizza i linguaggi per costruire opinioni e atteggiamenti sia
verso le persone e le cose che ci circondano sia verso se stessi. Ci troviamo di fronte a una concezione
dinamica dell'identità, che riconosce come suoi elementi costitutivi: l’alterità, intesa come prodotto della
relazione con l’io, con il mondo e con gli altri; la storicità, perché l'identità è protesa verso il mondo che le
dà significato; la progettualità, perché questa apertura non è fine a se stessa ma proietta l'individuo verso il
futuro. Se è vero che la costruzione dell'identità è un processo relazionale, che si produce nel momento in
cui mette in evidenza ciò che nell'altro è diverso da me, connotare in termini positivi la differenza non è
semplice nel momento in cui esistono dispositivi di disciplinamento che con modalità plurime attraverso il
processo di inculturazione finiscono per trasformare il significato della categoria della differenza in modo
negativo. Questa, se pur intesa come “patrimonio, disponibilità” di superamento dai condizionamenti
psicologici, culturali e socio-politici, ha bisogno, per manifestarsi di una cultura che sappia educare alla
ribellione e che rifiuta i vincoli che conformano e che impediscono alle donne di aprirsi a nuove possibilità e
di scegliere come direzione di senso delle proprie azioni ciò che agli altri appare utopico. Il riconoscimento
della presenza dell'altro nella costruzione di sé fa comprendere come l’esistenza dell'individuo, sia esso
donna o uomo, si caratterizzi per la vulnerabilità dovuta sia alla dipendenza dell’altro- vulnerabilità
ontologica- in quanto dal momento in cui veniamo al mondo, per sopravvivere, abbiamo bisogno di
qualcuno che si prenda cura di noi; sia in una situazione economica, politica, sociale del singolo o del
gruppo- vulnerabilità prodotta. La percezione negativa che la vulnerabilità dà dell'umano ha fatto si che
venisse interpretata come qualcosa da evitare. Nel caso di soggetti la cui vulnerabilità è data
dall’intersezione di genere ed etnia, il modello percepito come riferimento è quello della whiteness, della
bianchezza, sia perché la globalizzazione ha finito per proporre anche in aree più remote del pianeta, un
modello di bellezza europeo, sia perché storicamente la cultura occidentale è stata percepita come
superiore alle altre. 2 Chirurgia estetica etnica e culto della whiteness Il culto della bianchezza si fonda sulla
dicotomia visibilità/ invisibilità dei corpi. L’invisibilità appartiene all'uomo biancoo il cui corpo rappresenta
secondo la cultura occidentale l'archetipo di essere umano; la visibilità è quella di coloro che per i tratti
somatici e il colore della pelle si distanziano da questo modello normativo e dunque, differenziandosi
rendono loro i loro corpi visibili. Il culto della bianchezza rimanda a una condizione di privilegio, o vantaggio
strutturale, considerato acquisito naturalmente da chi lo possiede e rappresentativo di uno stato di
benessere, che se pure ridimensionato o, al contrario, amplificato dall’appartenenza a gruppi sociali
svantaggiati o di potere rappresenta sempre una condizione di privilegio, e che ha lo scopo di naturalizzare
la fragilità sociale di chi è visibile. L'adesione a un modello precostituito e che tende a configurarsi come
l’unico fa parte del processo di violenza simbolica di cui parla Pierre Bourdieu e sta a indicare l’introiezione
da parte di coloro che abbiamo definito “visibili” ovvero i dominati, degli schemi interpretativi della realtà
propri dei dominatori e che finisce per produrre in coloro che subiscono l’azione di potere una
rappresentazione di loro stessi funzionale al volere di chi quel potere lo esercita. In questo caso, l’attenzione
che viene data dai media alla cura del corpo, l'esaltazione di alcune caratteristiche del corpo femminile,
fanno sì che venga ritenuto inadeguato il corpo di chi quelle caratteristiche non le possiede. Nel caso del
processo della chirurgia estetica e plastica la medicina viene incontro a un malessere conseguente alla
percezione che la donna ha del proprio corpo, una percezione che si è riscontrata a partire dai modelli di
bellezza e di salute socialmente imposti e che ha favorito l’introiezione dell'idea che una volta mancati
aspetti come la bellezza e la giovinezza, la salute non si è più graditi agli altri e utili alla società. La decisione
da parte delle donne bianche di sottoporsi a interventi di chirurgia estetica volti a conformare il proprio
aspetto a un tipo di bellezza normativo viene considerato normale, contrariamente a ciò che accade con la
chirurgia estetica etnica. Differenziati dalla biologia e dalla cultura i pazienti sono considerati come esseri le
cui esistenze possono essere “standardizzate”, uniformate, a partire da un modello implicito di whiteness,
inteso come processo storico e culturale presente in quelle società dove l'appartenenza etnica legittima
l'esclusione dei “non bianchi” dall'accesso a risorse sociali, politiche e economiche. Fa parte di una politica
della whiteness, la propaganda volta a creare le condizioni per cui le donne sentono il desiderio di
assomigliare a un modello di femminilità bianco, sano, giovane, sessualmente riproduttivo, una politica in
cui si cerca di riprodurre bianchezza e di “nutrirsi” del corpo dell'altro, ciò che è definito “antropofagia
simbolica”. La diffusione della chirurgia estetica etnica può essere interpretata come una forma di violenza
simbolica attraverso la quale le donne e gli uomini che non rientrano nel modello di femminilità o maschilità
promosso dalla cultura finiscono per percepirsi inadeguati rispetto a una normalità invisibile ma imperante.
La globalizzazione ha contribuito a diffondere presso altre realtà culturali questo modello finendo per
alimentare un nuovo mercato che l'American Society of Plastic Surgeons, ha definito nel 2010 l’Ethnic
Cosmetic Surgery. Questa è una pratica chirurgica sempre più richiesta da uomini e donne appartenenti a
diversi gruppi etnici con l’obiettivo di correggere eventuali difetti, ma anche modificare i caratteri somatici
tipici della propria etnia considerati un possibile ostacolo all’opportunità di avere riconoscimento sociale.
Oggi l’azione di spiancamento dei corpi avviene in forme diverse, nuove e più subdole, perché si gioca sul
processo di costruzione dell'identità delle donne e degli uomini, sul loro bisogno di accettazione e di
riconoscimento. Chi si sottopone a questo tipo di intervento, modificando o eliminando i tratti che
caratterizzano etnicamente il volto, ritiene in questo modo di poter diventare una donna o un uomo di
successo e di essere riconosciuto socialmente senza pensare che in questo modo si finisce per causa una
trasformazione del fenotipo. 3. Rielaborazione della cultura e pratiche educative costituisce il cuore
progettuale e trasformativo. Le scuole, di ogni ordine e grado, hanno responsabilità ma anche strumenti per
agire un'educazione di contrasto all’ingiustizia, alla discriminazione, alle ineguaglianze relative al genere e
non solo. La maternità, che ancora costituisce un deterrente al lavoro femminile, con effetti negativi sui
salari e sul proseguimento di carriera, è in realtà un'esperienza che consegue competenze fondamentali per
la leadership. Le neomamme manifestano un'elevata capacità di analisi per garantire la sopravvivenza del
piccolo; si trovano a vivere in condizione di “hyoperdrive”, di “super-energia”, definita come la capacità
innescata dalla maternità di mettere insieme un più elevato livello di vigore. La maternità potenzia la mente,
dà origine ad un organo più complesso, lo riorganizza e lo migliora, rendendolo capace di adattarsi ad un
ambiente sempre più impegnativo. Per affrontare la complessità, le madri hanno affinato la capacità di
spostare l’attenzione da una realtà all'altra, sapendo riconoscere le priorità. Più che di multitasking, è
possibile parlare di multitasking, multi-spostamento, che permette di spostare velocemente il focus da una
situazione all'altra. CAPITOLO 11: “IL CORAGGIO DI NON ARRENDERSI”. REAGIRE ALLA SOPRAFFAZIONE CON
LA FORMAZIONE E IL LAVORO 1. La violenza di genere: fenomeno globale e complesso La violenza di genere
ha radici antichissime. Cinema, musica, letteratura, riviste, Tv: tutti questi mezzi hanno offerto delle visioni e
dei racconti del e sul problema, mettendo spesso in evidenza l’inscindibile nesso tra sistema culturale e
violenza. Una condizione che per secoli è rimasta nascosta ed è stata accettata come ineluttabile, poiché
volta al mantenimento di una sorta di equilibrio nella relazione tra i generi, oggi è diventata, prima
attraverso il linguaggio, poi attraverso le pratiche, un'emergenza riconosciuta. Quando si parla di violenza di
genere, si fa riferimento a un fenomeno complesso e multiforme che colpisce in misura sproporzionata il
genere femminile e che, attraverso la molteplicità di azioni che lo sottendono, punta alla disgregazione e
all’annientamento, morale, psicologico e, nella peggiore delle ipotesi fisico, dell’altro. Ci troviamo in un
sistema cultura e sociale, in cui la “conquista della virilità” coincide con la violenza, con un'affermazione del
potere e del dominio come necessaria prerogativa per il mantenimento di quella gerarchia che contrappone
il maschile a tutto ciò che maschile non è, per cui le donne vengono lasciate in pace, fino a quando non
aspirano a diventare autonome. Ed è proprio quando inizia a manifestarsi la ricerca, da parte della donna,
dell'autonomia e della volontà di opporsi a un sistema precostituito, che l’uomo sentendosi minato nella sua
identità di capo-dominatore che, ricorre alla violenza al fine di ristabilire l'Ordine di genere dato e
consolidato. Quello che si viene a delineare è un’identità maschile che teme il mutamento femminile, e
dunque la perdita di controllo. Secondo Barbara Mapelli, la violenza inferta alle donne, può essere letta
come un tentativo e uno strumento di regolazione sociale, attraverso cui, il maschile esercita un controllo
sul corpo delle donne. Le indagini e gli studi condotti negli ultimi anni sulla violenza di genere, rivelano quasi
sempre la volontà, alla base della violenza omicida, di “annientare” la donna, perché con la sua acquista
autonomia, può mettere in crisi l’immagine di maschio possessore e dominatore. Se l’uomo cerca di
“ristabilire l'ordine delle cose”, ricorrendo alla violenza, la donna non riuscendo quasi mai a denunciare i
maltrattamenti e i soprusi di cui è vittima, contribuisce, al mantenimento di quello stesso ordine. Sebbene
una donna su 3 abbia subito violenza fisica, soltanto il 14% denuncia le violenze subite. Anche per quanto
riguarda l'italia, la situazione non è molto diversa. Dall’indagine Istat del 2015, sono ancora poche coloro
che sporgono regolare la denuncia alle forze dell'ordine, soprattutto se a compiere atti violenti è il proprio
partner. Nonostante si rilevi un piccolo miglioramento nella denuncia, c'è ancora una percentuale che non
denuncia e le motivazioni sono tante: il senso di vergogna e di imbarazzo, il timore di ritorsioni, la speranza
che si tratti di un momento passeggero, la mancanza di indipendenza economica, l’insoddisfazione nei
confronti delle Istituzioni, e la paura di finire sul banco degli imputati. 2. La prima risposta: la formazione La
formazione configurandosi come “processualità dinamica”, come “continuo processo di trasformazione”, e
ponendosi come sfida all'identità fissa e immutabile, al dominio pre- costituito e tramandato di generazione
in generazione, rappresenta la prima risposta alla sopraffazione. La necessità di investire sulla formazione
come antidoto alla violenza, come possibilità, per le donne, di costruire una propria autonomia economica,
in mancanza della quale sono spesso costrette a rimanere con il proprio carnefice, di fuggire da una vita
fatta di malcontenti e umiliazioni per reinventare, con occhi e pensier nuovi, la propria esistenza. Si tratta di
“formare per fermare”. E necessario individuare nuove pratiche e dispositivi originali per riformulare
l'ordine simbolico che ingabbia le relazioni tra i generi in ruoli rigidi e in gerarchie precostituite. L'accesso
all'istruzione e alla formazione rende possibile, in tal senso, una rielaborazione dell’identità femminile;
l'ingresso nel mondo dei saperi ha fatto sì, che si attenuasse quel passaggio dalla condizione di minorità e
subalternità, caratteristica della logica disgiuntiva e subalterna, alla condizione di riconoscimento della
differenza come elemento peculiare, irriducibile al proprium maschile. La formazione, come scrivi Rossella
Certini, diviene strumento di presa di coscienza e di consapevolezza collettiva e individuale, e quindi di
resistenza, che ogni individuo, e nel caso della donna, nella condizione di poter gestire in maniera più chiara
e significativa il proprio tempo, la propria storia e gli spazi di vita. 2.11 livelli di istruzione e formazione delle
donne in Italia: alcuni dati Secondo i report dell'Istat del 2018, in Italia, il livello di istruzione delle donne
risulta più elevato rispetto a quello degli uomini. In particolare, il 63% ha almeno un titolo di studio
secondario superiore. Anche il divario di genere è a favore delle giovani donne: è laureata una giovane su
tre a fronte di una giovane su cinque. Inoltri altri dati, riportano la volontà, sempre più definita da parte
delle donne, di costruire se stesse e di affermarsi come soggettività indipendenti. Esse attraverso la
formazione trovano la chiave per la loro liberazione. E la formazione che permette di decostruire
l'immaginario femminile e di dar voce alla violenza sommersa e silente. 3. La seconda risposta: il lavoro
L'occupabilità e l'occupazione femminile rappresentano una condizione imprescindibile per innescare lo
spostamento dalla logica dell'esclusione a quella dell’emancipazione e per affrancare le donne dalla
violenza, nelle sue molteplici manifestazioni e sfaccettature. Il lavoro, configurandosi come attività umana
basilare, che contribuisce allo sviluppo integrale e integrato della persona, e come strumento di
emancipazione e di visibilità, è ciò che permette la costruzione, la definizione e l'affermazione della propria
identità sociale. Per anni, alle donne è stato precluso l’accesso allo spazio pubblico della cultura, della
società e della politica e questo divieto lo relegava, di diritto, nello spazio privato della casa. Ed è proprio dal
privato, da quella famosa stanza tutta per sé, che è necessario ripartire per porre attenzione ai propri
desideri e per avviare quella ricerca consapevole della propria identità. L'identità che si sostanzia e si
definisce anche attraverso il lavoro che consente, in tanti casi, di poter essere ciò che si desiderava
diventare. L'indipendenza economica, in tal senso, soprattutto nei casi in cui la donna è vittima di abusi e di
violenze, è il primo passo verso la riprogettazione della propria esistenza; è l'alternativa, insieme alla
formazione, che permette di venire alla luce, di rinascere e di migliorare la qualità della propria vita.
L'orientamento e l'inserimento lavorativo risultano fondamentali non solo per prevenire situazioni di
violenza sulle donne, ma anche come percorsi di liberazioni per colore che ne sono o ne sono state vittime,
in quanto permettono la rottura dell'isolamento, la riacquisizione dell’autostima, la capacità di riconoscere
le proprie competenze, abilità, per assicurarsi una reale indipendenza, soprattutto dal punto di vista
economico. 3.11 livelli di occupazione delle donne in Italia: alcuni dati Sebbene la partecipazione delle
donne al mondo del lavoro contribuisce a innalzare il livello della qualità della vita, in Italia persiste ancora
una situazione di forte squilibrio tra i due generi. Il mercato del lavoro femminile continua a essere
caratterizzato da profondi limiti strutturali che vanno a incidere su tassi di disoccupazione. Nonostante si
assista a un sensibile incremento del tasso di occupazione femminile, sempre abbastanza distante da quello
maschile, permangono molteplici problemi che impediscono di “abbassare la guardia”: il divario salariale,
l'avanzamento di carriera, la partecipazione ai processi decisionali e organizzativi, la conciliazione dei tempi
di vita e di lavoro. 4. Dalla condizione data a quella prescelta: “il coraggio di non arrendersi” La violenza
sulle donne va letta e interpretata non come una semplice violenza di genere, ma come “l'esito di un più
generale sistema culturale ed educativo che tende a riprodurre, mantenere, giustificare sfruttamenti,
esclusioni, trattamenti inumani, radicate forme di oppressione. Occorre agire e proporre un approccio
sistemico per arginare il problema: un approccio che, considerando la complessità e l'ampiezza del
fenomeno: - Educhi a leggere e riconoscere la violenza di genere attraverso la cooperazione, a più livelli, tra
diversi soggetti, istituzioni e prospettive - Promuova il risveglio delle coscienze e la presa di responsabilità
globale. PARTE TERZA: GENERE, IDENTITÀ, INTERVENTI EDUCATIVI TRA SCUOLA E EXTRASCUOLA CAPITOLO
12: Né bambine ribelle, né cattiva ragazze. Il nuovo protagonismo femminile nella letteratura per l'infanzia
1. Dalla parte delle bambine In Italia bisogna attendere gli anni Settanta e il saggio Dalla parte delle
bambine di Elena Gianini Belotti per principiare a scardinare i tanti stereotipi legati alla figura femminile,
dentro e fuori la letteratura italiana per l'infanzia e che avrà notevole importanza nella creazione futura dei
personaggi di Bianca Pitzorno. Due anni dopo Adela Turin e Nella Bosnia inaurano le pubblicazioni della casa
edistrice “Dalla parte dele bambine”, con una fortunate serie che espone in maniera brillante, ironica e
arguta, il problema del sessismo, fornendo a educatori e genitori la levità di strumenti per dialogare con
bambini su temi cruciali. La collana sceglie un medium, l'albo illustrato, per ribaltare lo stereotipo delle
identità sessuali e dei rapporti sociali fra uomini e donne, inculcato fin dalla prima infanzia, anche attraverso
gli albi stessi. 2. Extraterrestre alla pari: un libro “scandaloso” e intriso di “femminismo di piccolo
cabotaggio” La diversibilità e variabilità dei ruoli nel corso degli anni e nelle varie culture confermano che la
differenza di genere non è innata, ma data da caratteristiche socioculturali frutto di processi di
apprendimento e di socializzazione, che condizionano pesantemente le scelte, i desideri e i destini dei
giovani e giovani ragazze. Sia la famiglia, sia la scuola rappresentano per tutti le principali agenzie educativa,
e infatti apprendono da essi modelli formativi collegati ai ruoli sessuali e sociali. Oggi la scuole è sollecitata
da documenti mondiali, europei e nazionali a modificarsi e rinnovarsi in base a contenuti, metodologie e
approcci. E fondamentale rivisitare tutte le discipline affrontate e far conoscere sia all'utenza scolastica, sia
all'opinione pubblica, quanto la cultura tramandata a scuola non sia neutra, bensì fortemente
androcentrica. Per tale motivo, è necessario presentare in qualsiasi materia e in qualsiasi ordine di scuola
testi e opere di autrici femminili, grandi conquiste realizzate dalle donne nel corso dei secoli, così come
auspicava quasi venti anni fa il Progetto Polite. Inoltre, risulta necessario progettare interventi di educazione
alla differenze, di collaborazione, di non violenza, di educazione alla solidarietà, alla cura di sé, dell'altro e
del mondo, perché è necessario riconoscere e ammettere che ci sono differenze, che non vanno represse né
omologate, bensì messe in relazione. 1. Proposta di un percorso di educazione alle differenze di genere nella
scuola dell’infanzia Come si legge nel Decreto Legislativo n.93 del 14 agosto 2013, Disposizioni urgenti in
materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, il ruolo della scuola oggi è educare alla
differenza. Riflettendo sull’etimologia del termine educare, questo rimanda a tirare fuori, condurre, aiutare
a esprimere ciò che si ha dentro. Educare significa fornire strumenti e percorsi che ogni singolo bambino e
ogni singola bambina possano scegliere in autonomia, in modo da favorire il loro empowerment, cioè
permettendo loro di diventare nel miglior modo possibile ciò che possono essere. La scuola deve
riconoscere e valorizzare le differenze individuali come condizione essenziale per realizzare l'uguaglianza
delle opportunità. Bambini e bambine devono quindi potersi ritrovare a scuola, nei saperi e nelle relazioni
con il corpo docente e all’interno del gruppo sezione, sentirsi riconosciuti nel proprio genere e in relazione
con l’alterità, non in percorsi prestabiliti bensì rapportandosi con proposte più ricche dentro le quali
orientarsi, comprendendo che le differenze non rappresentano altro che maggiori risorse e possibilità per
ognuno di loro. 2. Prima di iare un progetto Per realizzare un progetto di educazione alle differenze di
genere è importante, che tutto il personale docente e non docente, ampli la propria consapevolezza, in
riferimento alla costruzione convenzionale delle differenze di genere, per riconoscere, smascherare e
superare gli stereotipi sessisti insiti nella vita quotidiana e nella pratica didattica. Il lavoro più difficile è
quello di rivedere e ripensare l'utilizzo della lingua, i modi di dire, l’uso di determinate parole al posto di
altre. La nostra lingua è fortemente sessista e contribuisce a perpetrare la discriminazione. A scuola vi sono
bambini e bambine ed è opportuno fare attenzione a non utilizzare il genere maschile ocme genere non-
marcato, falso neutro, riferendosi a tutta l'utenza scolastica. Allo stesso modo, è necessario ripensare e
interrogarsi sugli aggettivi, appellativi, vezzeggiativi utilizzati, ma anche ai modi diversi di relazionarsi e di
rinforzare, attraverso il dialogo, gli eventuali atteggiamenti e comportamenti adottati dagli alunni e alunne.
| bambini e bambine ai primi anni di scuola dell'infanzia oscillano ancora tra i propri desideri e le
aspettative che la società attende in riferimento al loro genere. A livello organizzativo, occorre creare un
ambiente accogliente nei confronti di tutti i | bambini e tutte le bambine, indistintamente, che trasmette
loro serenità e sicurezza. È importante allestire le aule cercando di realizzare più angoli gioco, privi di
qualsiasi connotato riconducibile a un’appartenenza di genere, dove siano soddisfatte le esigenze di tutti:
l'angolo della casa, con la cucina, le bambole, per il gioco di imitazione e identificazione nei ruoli genitoriali,
l'angolo dei travestimenti, IOangolo delle costruzioni e così via. Fondamentale risulta anche condividere con
i genitori le scelte effettuate dal corpo docente, anche attraverso momenti di formazione per insegnanti e
genitori. sensibilizzare le famiglie a riconoscere pregiudizi e stereotipi permette di eliminare eventuali
discrepanze educative che potrebbero confondere e disorientare maggiormente i bambini e le bambine. 3.
L'importanza dell’osservazione Può essere interessante iniziare con un'osservazione e una successiva
annotazione di alcuni aspetti relativi ai bambini e bambini per cercare di capire quanto il condizionamento
di genere sia già insinuato nei loro modi di essere. Ciò è possibile prevedendo una serie di osservazioni in
riferimento all’abbigliamento, alla presenza o meno di accessori peri capelli o piccoli gioielli. Allo stesso
modo è significativo osservare le scelte effettuate da femmine e maschi durante il gioco libero, nei vari
angoli, amnotando le loro modalità di gioco. È utile porre attenzione alla conversazioni dei bambini, anche
durante i momenti di gioco libero, perché emergono dai loro discorsi stereotipi di genere, nomignoli o
appellativi dispregiativi. 4. Le attività: tematiche, metodologia, materia idatti Sulla base dei dati raccolti e
delle osservazioni effettuate, è poi possibile realizzare un percorso didattico che si sviluppa intorno a
quattro temi principali: la scoperta e la conoscenza del proprio corpo, la descrizione delle attività preferite e
la conoscenza delle emozioni; la prenotazione dei familiari; desideri e aspettative future. Vari sono i percorsi
che possono essere utilizzati per favorire la conoscenza del proprio corpo: attraverso lo specchio, sia per
attività di gioco libero, sia per attività guidate durante le sedute di psicomotricità, attraverso giochi motori e
giochi di gruppo, attraverso la realizzazione di autoritratti, di ritratti dei compagnie della sagome di ogni
bambino e bambina. A scuola può essere utile riflettere sulla mutabilità del corpo, far ricordare il loro
passato di neonati e neonate e lavorare sull’immaginazione del loro futuro di persone adulte e poi anziane.
E qui interessante l’idea di Scosse, che ha realizzato un set di bambole di stoffa, che rappresentano corpo
realistici maschi e femmine, in vari momenti della vita: nascita, infanzia, adolescenza, adultità, senilità.
Successivamente è possibile proporre una discussione sulle attività, i giochi e gli sport preferiti. Allo stesso
modo, può essere utile parlare anche della attività meno amate. Le rappresentazioni grafiche realizzate
permettono all'insegnante di condividere nel grande gruppo le risposte date e di far notare che vi sono
molti elementi in comune. La terza tematica è legata alla famiglia ed è un argomento trasversale che
all’interno racchiude altri temi: i vari tipi di famiglie, i comportamenti familiari e i loro ruoli, le professioni,
uomini e donne adulti. Si può partire dalla presentazione dei componenti familiari, attraverso una
rappresentazione grafica, una conversazione, oppure attraverso l’uso di fotografie. La presenza di vari
modelli familiari, può rappresentare l'occasione per far capire al gruppo sezione che vi può essere una
diversa varietà di strutture familiari, che alla base, hanno tutte l’amore, la cura e il rispetto per i propri
contenuti. E fondamentale a questo proposito che l'insegnante parli dei vari tipi di famiglia.
Successivamente è possibile introdurre una conversazione sulle professioni genitoriali e le attività
domestiche che non soliti svolgere. Il ruolo dell'insegnante è di guidare la conversazione e registrare le
risposte, accogliendo tutte le risposte ottenute. Ciò permette di effettuare una riflessione sull'importanza
della collaborazione familiare nello svolgimento dei compiti domestici. 4.Le letture che favoriscono il valoro
delle differenze Da sempre gli anni della scuola dell'infanzia sono densi di narrazioni, di storie, di trame
semantiche e fantastiche, trame in cui si intrecciano le vita di ogni bambino e bambina insieme a differenti
culture, modi di vivere, diversità e sensibilità. Nei racconti, i bambini e le bambine cercano di costruire la
propria identità facendo propri modelli di comportamento maschili e femminili. Per tale motivo, è
necessario affiancare alle fiabe tradizionali, con le loro figure femminili “sempre passive e inette, senza scopi
e ideali, tranne quella di catturarsi un uomo che le faccia felici per tutta la vita” e i protagonisti maschili
attivi, forti, intelligenti e coraggiosi, modelli differenti di ragazze e di donne. Per quanto riguarda i libri di
testo, gli studi di Biemme e le ricerche di Loredana Lipperini e Anna Antoniazzi, in riferimento al mondo dei
media evidenziano personaggi ancora fortemente stereotipati e anacronistici, con “maschi- padroni della
scena”, e donne rappresentante come mamme che passano gran parte del loro tempo in casa a badare ai
figli, in attesa che il marito rientri dal lavoro. Proprio per contrastare i messaggi veicolati dai mass media, è
necessario presentare proposte narrative altamente qualitative che hanno per protagonisti bambini e
bambine veri, reali, fuori dai canoni tradizionali e dagli stereotipi bambine che vogliono giocare a calcio,
principesse buffe, ribelli, goffe, intraprendeti e coraggiose, ma anche bambini introversi, timidi. Presentare
persone con caratteristiche comuni, offrire una pluralità di modelli, di punti di vista di vedere la situazioni, di
ruoli nei quali identificarsi e ritrovarsi, permette ad ogni bambino/a di sentirsi risconosciuto, accolto e
apprezzato. 5. Uno sguardo al presente, uno sguardo al futuro Il progetto esposto rappresenta una piccola
proposta per un percorso di educazione alle differenze di genere. La scuola non può tirarsi indietro
nell’importante compito di formare bambini e bambine nel rispetto della loro personalità, nella
realizzazione delle loro aspirazioni. Partendo dal presupposto che l'educazione e la formazione avvengono
in primo luogo attraverso la trasmissione di modelli di comportamento, di idee, di valori e di modi di essere,
le insegnanti attraverso un atteggiamento aperto e privo di ogni sorta di pregiudizi, può sollecitare bambini
e bambine a riflettere ed innescare loro la scintilla del cambiamento al fine di promuovere il valore del
rispetto, della libertà, del dialogo. CAPITOLO 14: EDUCARE ALLA PARITA TRA | GENERI A SCUOLA PER
PREVENIRE FORME DI DISCRIMINAZIONE E DI VIOLENZA 1. Discriminazioni e violenza di genere in Italia. Il
ruolo della scuola In Italia, il 27% delle donne dai 16 a 70 anni ha subito violenza fisica/ sessuale almeno una
volta nel corso della vita, mentre il 15% delle donne che negli ultimi 15 mesi ha subito violenza non lo ha
segnalato a nessuno. Nel 2017 circa 13 mila donne sono state vittime di stalking e 14 mila hanno portato
denuncia per maltrattamenti senza considerare poi tutte le forme più sottili e meno evidenti di violenza
psicologica collagata a offese, battutte, divieti ecc. La scuola come prima agenzia educativa formale, avente
il duplice compito di educare alla convivenza civile ed al rispetto verso gli altri e di avviare al sapere, al saper
essere e saper fare, è coinvolta accanto alla famiglia, nell'educazione alla parità tra i generi, nel combattere
ogni forma di discriminazione e violenza. Nel 2015 con l'approvazione della legge 107 di Riforma della
scuola, è stato adottato un “Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, poiché per
la prima volta, esiste un documento legislativo che enuncia la necessità e l'obbligatorietà, da parte della
scuola, di lavorare nell'ottica della prevenzione ed eliminazione della violenza di genere e di tutte le altre
forme di discriminazione. Sono state fatte poi delle Linee Guida per delineare che cosa si intenda per
educazione alla differenza di genere, specificando che il fine ultimo di questa iniziativa è il “rispetto della
persona e delle differenze senza nessuna discriminazione”. Le linee guida permettono ai docenti di costruire
percorsi didtattici che possano tasformare visioni troppo rigide e distorte di uomini e donne in altre più
aperte, poliedriche e in grado di gestire la complessità del presente. Per combattere problemi come la
violenza di genere, il bullismo e l'indifferenza verso gli altri, occorre ripensare il senso e la direzione
dell’azione formativa, lasciando maggiore spazio a pratiche poco attuali rispetto alla logica contabile e
competitiva dominante, nonché promuovere un senso di responsabilità, implicito nel concetto di aver cura.
Alla base della prevenzione della violenza di genere, sta anche un'educazione attenta alla dimensione
emotiva-affettiva dei soggetti in formazione. Significa proporre dei modelli alternativi della mschilità rispetto
a quelli che caratterizzano la cultura dominante. Il maschio che trasgredisce dai canoni imposti dalla società,
è oggetto di derisione e scherno. La “caccia ai gay”, con tutte le conseguenze derivanti come isolamento o il
bullismo omofobico ci rivelano come chi si allontana dalla mschilità egemonica, sia considerato deviante e
non accettato. Il modello di maschilità egemonica indica una posizione di predominio sociale, un’autorità
riconosciuta e mantenuta e svolge il ruolo di regolatore, guardiano dell'ordine. Conclusioni La scuola, luogo
apparantemente neutrale e deputato a garantire le opportunità, rappresenta un contesto in cui i modelli
culturali stereotipati e presentati come naturali possono essere strutturati e amplificati, in un gioco continuo
di rinforzi reciproci con gli altri ambienti educativi e di socializzazione attraverso la relazione tra pari e
insegnanti. Il lavoro educativo da fare: - Rivisitare i programmi, i libri di testo, le materie di insegnamento, in
modo da rendere visibili i contributi delle donne nelle varie discipline - Insegnanti siano dotati di strumenti
critici volti a implementare una cultura della parità nella loro pratica didattica quotidiana. CAPITOLO 15:
ARTISTE CONTEMPORANEE RACCONTANO IL FEMMINILE. OPERE A CONFRONTO SULL’ESSERE DONNA.
PROPOSTE ED INTEGRAZIONI PER LA DIVOLGAZIONE IN AMBITO DOMESTICO. Premessa il termine “arte
femminile” è usato in questa sede, solo ed esclusivamente per indicare i manufatti artistici, le fotografie o le
performance, realizzate da donne, senza l'intenzione di creare una sottocategoria rispetto all'arte maschile.
1. Il corpo e la narrazione Il filo rosso che collega gran parte della produzione di artiste di tutto il mondo, dal
XVI secolo fino ai giorni nostri, è sicuramente individuabile nel concetto di auto- rappresentazione e
nell'impiego del corpo come veicolo principale per la trasmissione di messaggi politici e culturale. Dunque il
corpo, mezzo privilegiato per l’auto-narrazione, ha permesso alle artiste di dichiarare le propria esistenza in
autonomia, non in relazione al genere maschile. Per secoli, le donne, escluse dal sistema dell’arte per
ragioni storico culturali, vi sono entrare come oggetto, corpo ritratto, interpretato e riprodotto ad uso e
consumo di una fruizione dettata da una prospettiva maschile. Le violenze subite dalle donne sono spesso
tollerate dalla collettività proprio perché percepite come normali, se non addirittura previste, ed è questa la
ragione, per cui, mentre in Europa e negli Stati Uniti si combattono battaglie per riaffermare i diritti delle
donne, c'è chi sminuisce il fenomeno additandolo come una moda. La realtà è ovviamente più complessa:
non si tratta di una tendenza, bensì di un'occasione, la terza grande possibilità che le donne hanno, dopo la
Prima e la Seconda ondata del femminismo, di esortare le coscienze a riconoscere le trame del patriarcato
ed abbracciare la filosofia della diversità. In questo contesto sociale, una riflessione sulla rappresentazione
del femminile, diventa ancora più urgente al fine di invitare, i giovani a sviluppare una visione libera dal
monopolio del patriarcato. Una raffigurazione che è stata privata per secoli dell’interpretazione delle artiste,
le quali hanno saputo riappropiarsene nel Novecento, il secolo dell’affermazione dei diritti e delle conquiste
delle donne. Sono stare le pittrici, scultrici e le performer del secolo scorso a promuovere un linguaggio
nuovo, immediatamente riconoscibile, unificato dalla poetica del corpo e dalla predilezione per la
narrazione del proprio vissuto. Il genere di un artista non rientra tra i criteri principali per l’analisi di
un'opera, ma esiste un'arte che si può definire femminile, ovvero realizzate da donne e basate su tematiche
riguardanti la loro condizione sociale. Inizialmente, la predilezione per l’autoritratto, squisitamente
femminile, non si evolve dalla volontà di denunciare la subordinazione rispetto agli uomini, ma ha luogo
nella curiosità per la scoperta anatomica. Per le artiste autorappresentarsi non significa solamente esistere
o essere presenti in un contesto che ha le ha viste incluse per secoli, ma corrisponde alla trasmissione di
uno sguarso, differente da quello maschile, sull'essere donna. La profonda aderenza al dato politico e
sociale, costante nei lavori delle varie artiste, è il tratto distintivo, insieme all’uso del proprio corpo, di un
linguaggio, che partendo dalla soggettività della propria esperienza, diventa simbolo universale della
condizione femminile. Il corpo delle artiste, svincolato dalla visione maschile, libero da atteggiamenti
standardizzati che lo vedevano costruito ad uso e consumo dell’uomo, è ricomposto nella sua unicità di
materia e di spirito, interpreta se stesso, in armonia con la natura e con l’universo culturale. Decostruire la
storia è stato un passo importante per il disvelamento dell'universo femminile, e soltanto dopo aver fatto
ciò, le artiste hanno potuto cominciare a raccontarsi, pur restando costantemente ancorate alla realtà,
incapaci di distaccarsene anche quando hanno trattato di sogni e di follia. L'artista è sempre presente,
combatte per l'affermazione dei diritti universali, non abbandonando l'ideale che ha assunto e lo fa
ponendosi in relazione alla collettività. 2. Your body is a battleground La filosofia femminista anticipata dal
trattato di Mary Wollstonecraft, sia in Italia che nel resto del mondo, ha generato una rivoluzione sociale e
politica. Molte artiste, anche quelle non coinvolte direttamente all’interno del movimento , hanno fatto
proprie le argomentazioni del femminismo quali la critica al patriarcato, la parità di diritti, la questione del
soggetto, al fine di annullare l’obsoleta interpretazione della donna come seduttrice-prostituta o come
moglie-madre-casalinga. Riunite in associazioni o individualmente, hanno smontato il pensiero
androcentrico che caratterizza la società capitalista, affermando il principio della differenza. Il femminismo
ha stimolato una lettura critica della storia e del presente, attraverso la letteratura, la stampa e l’arte. Sono
artiste che raccontano una realtà che non è più solamente personale ma collettiva, e scrivono un capitolo
essenziale per la storia del Novecento, fatto di guerre vinte, di mutamenti epocali e prese di coscienza. Your
body is a battleground, opera dell'artista Barbara Krueger, originariamente concepita come cartellone per la
manifestazione per il diritto all'aborto, è diventata un simbolo della rivendicazione dei diritti della donna,
nonché un manifesto contro gli stereotipi di un femminile etereo o perfetto. Le artiste italiana degli anni
settanta hanno trattato le tematiche dei diritti delle donne con spirito autocritico, ironia e coerenza. L'arte
femminista ha teorizzato una giustizia sociale e si è battuta per il raggiungimento delal stessa, vincendo una
guerra epocale, forse la più importante del novecento. L'espressione artistica del femminismo ha sottratto il
corpo delle donne al controllo maschile e lo ha riconsegnato ad una generazione che ha saputo
riappropiarsene e farne il mezzo di comunicazione degli ideali di un'epoca intera. Una conoscenza dell’arte
femminile, sarebbero necessarie oggi perché permetterebbe ai giovani di sviluppare un pensiero critico sul
funzionamento sociale odierno, nel quale permangono evidenti tracce del monopolio patriarcale.
Monopolio che si manifesta, tramite i social, pubblicità, nei quali le donne appaiono come grechine, ovvero
bellezze decorative, donne manichino, contraddistinte dalla fissità espressiva, pre-organismiche, emotive,
generalmente casalinghe i cui labili stati d'animo dipendono dalla buona qualità di ammorbidenti o
sgrassatori. Biemmi ha riscontrato come ciò avvenga anche nelle pubblicità di prodotti dedicati all’infanzia,
in cui le bambine si muovono spesso all’interno di spazi domestici color rosa e sicuri, circondate da
giocattoli che alludono alla maternità e alla cura della casa, mentre i bambini ricorrono avventure all’aria
aperta. 3. La Biennale Donna di Ferrara La Biennale Donna è stata ideata nel 1984 a Ferrara, come momento
espositivo teso a promuovere e valorizzare le eterogenee espressioni dell’arte femminile. 4. Proposte ed
integrazioni per i scolastico Le opere che seguono hanno sia l’obiettivo di costruire un'eventuale
integrazione per i libri di testo destinari alle scuole medie e superiore, sia di fornire un materiale didattico,
modificabile a seconda della classe, volto a stimolare un dibattito. ibri di testo e per la divulgazione in
ambito 4.1il corpo racconta la violenza. Regina Josè Galindo e Ana Mendieta per lei, il proprio corpo diventa
il mezzo esclusivo per denunciare la violenza, in tutte le sue forme. La ferocia delle performance di Galindo
ferisce proprio per la stretta aderenza con la realtà sociale del Guatemala. | mezzi espressivi usati sono
testimonianza diretta di episodi violenti, desunti dalla quotidianità, che vengono rivissuti dall'artista e dai
visitatori, i quali da spettatori, si trasformano in testimoni di una crudeltà che è sempre universale. Essi sono
costantemente coinvolti nella performance, anche quando decidono di non usare la vista, poiché vengono
raggiunti da rumori, odori. Non viene concessa loro alcuna possibilità di fuga, né tantomeno di evasione:
possono solamente assistere alla violenze e viverla. Anche il linguaggio di Ana Mendiera, è aspro e duro e si
avvale del corpo come tela su cui incidere la violenza planetaria. E un'artista impegnata nella loro contro gli
abusi e le discriminazioni, costantemente in prima linea, combatte una guerra che probabilmente non avrà
mai fine, ovvero quella contro il patriarcato. 4.2La provocazione femminista. Valie Export Waltraud
Hollinger, dal 1968 usò il nome Valie Export, ispirandosi al nome delle sigarette Export. Durante la
performanca TAPP E TASTKINO, lei indossa una scatola di cartone con due fori ed una tendina, invitando i
passanti a toccarle il seno per smascherare gli atteggiamenti patriarcali di sfruttamento del corpo femminile
e per suscitare una reazione opposta a quella del desiderio erotico. 4.3Artiste come opere viventi contro lo
stereotipo dell’iconografia della donna nella Storia dell'Arte. Nel 1964 Yoho Hono invita il pubblico a tagliare
il suo vestito, pezzo per pezzo. Denudata e inginocchiata al centro della scena, assume su di sé il ruolo di
opera, capovolgendo l’idea di nudo femminile gradevole e accessibile che a caratterizzato la storia dell’arte
per secoli. Nel 1974, Marina Ambramovic, propone un'azione per certi aspetti simile, chiamata Rhytm O,
offrendosi agli spettatori e mettendo a loro disposizione, settandue oggetti diversi, tra cui una pistola ed un
proiettile, assumendo una posizione di passività radicale . Tuttavia dovrebbero avere gli strumenti per
comprendere la specificità si queste problematiche e deve diffondere un'educazione al rispetto, all'ascolto,
e alla consapevolezza. La teoria gender è nata nella seconda metà del secolo scorso e il suo maggior
esponente fu John Money. Egli riteneva che il sesso di una persona dipendesse dal tipo di educazione
impartita. PARTE QUARTA: LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI DI CONTRASTO E DI CURA CAPITOLO 17:
CONTRASTARE LA VIOLENZA DI GENERE DIN DALLA PRIMA INFANZIA. PROPOSTE FORMATIVE PER IL
PERSONALE EDUCATIVO E DOCENTE 1. La formazione del personale educativo e docente come preludio alle
azioni di prevenzione e di contrasto della violenza di genere Gli studi sono giunti ad affermare che gli atti di
efferatezza e di prevaricazione subiti dalle vittime hanno un'origine di tipo culturale, dovuta ala dominio del
gener maschile, che per salvaguardare la propria posizione di superiorità, ha prodotto nei confronti del
genere femminile, un’immaginario di inferiorità, debolezza. Le ricerche mostrano che ciascun soggetto, fin
dalla prima infanzia apprende stimoli e modelli educativi intrisi di stereotipi sessisti, i quali si strutturano nel
pensiero. E fondamentale individuare le politiche necessarie a far uscire le vittime dal ciclo di violenza e
attivare processi educativi di prevenzione che possano promuovere nelle nuove generazioni comportamenti
interpersonali ed affettivi improntanti ai principi del rispetto, dell'uguaglianza tra generi. Per quanto
riguarda il primo punto, è riconducibile ai servizi creati ad hoc dai centri antiviolenza presenti su tutto il
territorio nazionale. Le donne maltrattate trovano al loro interno un sostegno economico, giuridico, per
recuperare la fiducia in se stesse e far leva sull’empowerment per affrontare la separazione dai loro
carnefici. Per quanto riguarda il secondo punto, i percorsi di prevenzione verso ogni forma di
discriminazione di genere, i servizi educativi per la prima infanzia e la scuola si configurano come i contesti
privilegiati entro cui poter avviare un cambiamento. Per scardinare la violenza di genere dalle idee e dai
comportamenti degli allievi è necessario che gli insegnanti possiedano una conoscenza critica rispetto alle
proprie conoscenze, alle convinzioni e agli stereotipi che possono influenzare il loro stesso agire
professionale, dando luogo ad un cultura secondo cui le differenze, costituiscono un bersaglio per
perpetuare disuguaglianze e assimetrie tra i generi. 2. Primo step formativo: partire da sé per riflettere sui
modelli di genere che corredano il proprio background culturale Quando si pensa alla formazione del
personale educativo e scolastico, la prima idea che balza alla mente è quella relativa ad un insieme di saperi
disciplinari, progettuali, metodologici che tali professionisti devono possedere per promuovere e sviluppare
negli alunni nuove forme di conoscenza e di abilità necessarie per inter-agire nel mondo reale e virtuale. Un
elemento cardine della attuale formazione è quello della riflessività, necessaria per ripensare l'agire
educativo. Il pensiero riflessivo può divenire un habitus formativo per rileggere in forma critica le idee, le
convinzioni, le aspettative e le credenze che orientano l'agire dell’educatore. La capacità riflessiva serve per
decostruire e scardinare gli stereotipi sessisti che veicolano lo sviluppo delle identità a quei canoni
tradizionali di femminilità e maschilità, tramandati dalla cultura patriarcale. Iniziare quindi, dalla ricerca e
dall'analisi degli stereotipi e dei pregiudizi sessisti che ciascun apprende fin dall'infanzia, è la prima
condizione da soddisfare per permettere agli insegnanti ed educatori di prendere coscienze, di capirne il
funzionamento e l’uso che viene fatto nei diversi contesti. Altro elemento che bisognerebbe posizionare
sotto la lente della riflessività corrisponde al convincimento presente sia negli insegnanti uomini che donne,
di essere neutrali. Ogni docente reputa necessario cancellare il proprio genere, per porsi come modello di
un apprendimento a-sessuato. Tuttavia è necessario che l'insegnante ridefinisca il proprio ruolo e la propria
presenza, dando legittimità alla dimensione del genere. il riconoscimento della dimensione sessuata del
proprio agire professionale è ncessario per progettare percorsi educativi grazie ai quali allievi e allieve
possono conoscere nuovi modelli di maschilità e femminilità. 3. Secondo step formativo: ripensare i in ottica
di genere I gender studies hanno dedicato attenzione alle possibili connessioni tra linguaggio, saperi e
genere, dando prova che tra gli stessi si creano dei legami di interdipendenza. Intorno agli anni '70 del
Novecento, nascono in ambito statunitense i primi studi volti ad analizzare il rapporto tra lingua-linguaggio
e genere che progressivamente tracciano due filoni: uno rivolto ad indagare gli usi peculiari che le donne
fanno della lingua parlata, ma anche scritta e che abbraccia l'ipotesi secondo cui esisterebbe un linguaggio
femminile distinto da quello maschile; e il secondo che si occupa di esaminare la posizione della donna nella
lingua e in particolare le dome di sessismo linguistico. inguaggi e le conoscenze disciplinari È importante
un'adeguata formazione linguistica del personale educativo al fine di contrastare le violenze e le
discriminazioni di genere. L'applicazione delle regole grammaticali è un primo passo da compiere per
travalicare i confini posti dal sessismo linguistico e stabilire nuovi rapporti semantici tra linguaggio, pensiero
e rappresentazioni dell'universo femminile e maschile. Sarebbe necessario riflettere educatori e insegnanti
sul linguaggio che usano in classe quando propongono attività strutturate su determinati contenuti, sia
quando si trovano in situazioni meno strutturate. Le ricerche dimostrano che nei discorsi orali siano ancora
molto usati il maschile-non marcato e i termini uomo-uomini, fraternità, paternità, con evidente
connotazione al maschile. Un problema analogo è quello che si presenta per i nomi delle professioni, come
avvocata, sindaca. Oltre all'ambito linguistico, un altro aspetto su cui c'è bisogno di intervenire con una
formazione gender-oriented attiene all'analisi dei contenuti impiegati per lo studio delle discipline. I volumi
scolastici mostrano un elevato numero di figure maschili nei ruoli di re, guerrieri, cacciatori, schiavi,
sacerdoti a cui corrisponde una trascurabile presenza di donne, perlopiù descritte in situazioni di vita
quotidiana. Ciò lascia presuporre che la “Categoria genere” non faccia parte delle coordinate utilizzate da
studiosi per interpretare i fatti storici e la complessità che ha caratterizzato la vita di intere civiltà. Per
riportare all’interno delle disciplina una sorta di equilibrio di genere, occorebbe effettuare un vero e proprio
cambiamento paradigmatico teso ad assumere la complessità come chiave interpretativa dei fenomeni e
delle stesse logiche che li regolano. Il paradgima della complessità può ridefinire le discipline ripristinando i
legami precedentemente soppressi e sviluppando un’ottiva multidimensionale, che allarghi le conoscenze
includenti aspetti prima cancellati e discriminati. In questo senso, i contenuti disciplinari proposti a scuola,
dovrebbero rispecchiare una conoscenza non stereotipata, ma aperta a valorizzare le diversità, l'inclusione.
4. Terzo step: progettare percorsi educativi e allestire ambienti gender oriented Un terzo aspetto da
sviluppare in chiave di genere nei percorsi di formazione per educatori e insegnanti, riguarda gli ambiti della
progettazione e dell’allestimento degli ambienti d'apprendimento, che possono contribuire a implementare
la coeducazione, la convivenza e le pari opportunità tra i sessi. Le Linee Guida Nazionali del 2017 forniscono
alle scuole di ogni ordine e grado alcuni riferimenti invitando le stesse a progettare interventi e reperire le
risorse non solo al loro interno ma anche promuovendo collaborazione con strutture e genzie presenti sul
territorio. Parliamo di Piano Triennale dell'Offerta Formativa: si sottolinea l’importanza di formare educatori
e inseganti a progettare secondo il principio delle pari opportunità, il che significa acquisire la capacità per
formulare competenze non stereotipate e sessiste, metodologie attive ed inclusive, criteri di valutazione che
non discrimino in base al genere. La formazione di competenze progettuali gender-oriented guarda in
relazione all’interdisciplinarità, componente attraverso cui le docenti possono stabilire delle connessioni tra
i singoli insegnamenti, trasformando le specifiche conoscenze da saperi distaccati in potenziali risorse per
affrontare i contesti di realà. Un'ultima considerazione riguarda le competenze relativa all'allestimento degli
ambienti di apprendimento. Gli spazi non sono affatto neutri. A seconda di come sono organizzati e degli
oggetti, che contengono, essi possono generare sia situazioni di crescita positiva e caratterizzata da
empowerment, ma anche riproporre scenari stereotipati. Disporre di setting facilmente ri-configutabili in
base ai bisogni educativi, gestire lavoro a piccoli gruppi, laboratori a tema, conferisce alla didattica quel
valore aggiunto indispensabile per rendere i processi di insegnamento forieri di pari opportunità per
entrambi i generi. CAPITOLO 18: EDUCAZIONE E VIOLENZE DI GENERE. RUOLO DEI CONTESTI EDUCATIVI
NON FORMALI E COMPETENZE DELLE DIGURE PROFESSIONALI CHE VI OPERANO Una possibile definizione
del concetto di violenza di genere si rintraccia nella proposta di legge n.245 presentata dalla camera dei
deputati il 15 marzo 2013. Nel testo, la specificità di questa forma di violenza viene rintracciata nella non
neutralità rispetto al reato sia delle peculiarità che la vittima esprime in ordine al proprio orientamento
sessuale e alla propria identità di genere che dell'autore del reato “che si trova in uno stato soggettivo di
disprezzo e odio nei riguardi della vittima”. È a questa stessa necessità che risponde la definizione di
femminicidio: quella violenza più specificamente indirizzata alle donne in ragione del loro genere. tale
nominazioni chiamano in causa l'urgenza di interventi educativi capaci di esplorare e comprendere i contesti
che producono violenza e interventi. 1. Antiche problematiche, nuovi sguardi | fenomeni a cui queste
definizioni della violenza afferiscono non sono nuovi. Essi chiamano in causa l’esperienza di subordinazione
e oppressione vissuta dalle donne, esito di una costrizione sociale storicamente determinata, che ha
prodotto il maschile e il femminile come due generi tra loro dimorfi. All’interno di un sistema patriarcale la
donna è definita come soggetto minore. È all’interno di questa storia che è utile inquadrare il rapporto tra
genere e violenza, rintracciando le radici di maltrattamenti e prevaricazioni entro un più ampio ordine
simbolico. Nel deprivare le donne d'una propria specifica identità, tale ordine ha costruito le basi per
giustificare la subalternità come condizione ontologica e l'educazione come strumento di adeguamento alle
regole e prescrizioni e di correzione delle condotte cui la sopraffazione diviene didattica del potere cui sono
sottomesse. I dati della diffusione della violenza nei riguardi di bambine e di donne, come della soggettività
“non conformi” al principio d'eteronormatività, dimostrano come le conquiste maturate sul piano della
cultura diffusa, non bastino a considerare la parità di genere obiettivo raggiunto ovunque. Esse invitano
all'esplorazione di quell’educazione informale di genere, che incide sulle nuove generazioni, sollecitando a
comprendere cosa renda non del tutto scontata l’attenzione a questo tema. Le statistiche di genere
restituiscono la fotografia di una quotidianità ancora attraversata da discriminazioni, che nella popolazione
femminile incidono sulla dimensione della salute, del lavoro, della retribuzione, dell'istruzione. contro la
violenza sessuale e di genere”, poi seguito, dal “Piano strategico Nazionale sulla violenza maschile cotro le
donne 2017-2020”. Quest'ultimo evidenzia come le figure professionali coinvolte debbano approntare
interventi mirati a realizzare l'empowerment sociale ed economico delle donne per ridurne la vulnerabilità e
l'esposizione alla violenza, e pone l'accento sul ruolo assunto dalle reti locali. L'attenzione è posta sulla
dimensione polisemica che assume il termine “formazione”, in quanto esprime la pluralità di significati
operativi e organizzativi propedeutici al riconoscimento immediato e all’emersione del fenomeno della
violenza contro le donne, a stabilire un'adeguata relazione con la vittima per evitare la vittimzzazione
secondaria. Per quanto riguarda le Forze dell'Ordine, si stanno rafforzando gli strumenti formativi a
disposizione in relazione alla tematica della violenza di genere. Per gli operatori e le operatrici che operano
in ambiti ospedaliero, è stato emanato il “percorso per le donne che subiscono violenza”, che prevede la
presa in carico delle donna a partire dal triage fino all'’accompagnamento ai servizi pubblici e privati
dedicati presenti sul territorio. Si prevede anche una formazione specifica e anche un obbligo per i
giornalisti, e gli operatori della comunicazione, si contrastare gli stereotipi e ogni forma di comunicazione
lesiva della dignità delle donne e bambine. Per quanto rigaurda la formazione per gli operatori della scuola,
il MIUR, nella legge di riforma della scuola, non tratta la questione della formazione e non fornisce
indicazioni pratiche per la didattica. Il piano nazionale per l'educazione al rispetto è finalizzato a
promuovere in tutte le scuole d'italia una serie di azioni educative e formative volte ad assicurare
l'acquisizione e lo sviluppo di competenze trasversali, sociali e civiche, che rientrano nel più ampio concetto
di educazione e cittadinanza attiva e globale nel rispetto dei valori sanciti dell’art.3 della Costituzione. Il
quadro tracciato mette in luce come le risposte istituzionali siano poco efficaci, non uniformi e orientare a
una logica securitaria neutra. Il piano strategico 2017-2020 che seppure risulti parzialmente non applicato,
ha il merito di dettare le linee guida per la predisposizione di interventi strutturali e fondati sulla massima
partecipazione degli attori sociali competenti. 2. Formazione e competenze delle figure educative alla luce
delle Leggi lori In Italia, per anni si è dibattuto sull’esigenza di raggiungere un pieno riconoscimento sociale,
una legittimazione professionale e una normazione chiara per quelle figure educative che, in possesso di
specifiche competenze pedagogiche, didattiche e metodologiche, si trovano ad operare a tutti i livelli del
sociale. In linea con le crescenti responsabilità che i pedagogisti assumono nella presa in carico dei soggetti
più fragili, la Pedagogia italiana ha recepito la necessità di trovare un disciplinamento delle professioni di
educatore e di pedagogista, al fine di garantire omogeneità degli interventi e dei servizi educativi. E stato
elaborato il DDL- lori- Binetti, frutto dell’accorpamento di due proposte di legge. Il DDI nasce con il fine di
dare una chiaro riconoscimento al titolo e all'identità professionale degli educatori e dei pedagogisti. Per
merito della DDL, la figura dell’educatore esce fuori dal “pantano” che lo vedeva relegato in uno stato di
subalternità rispetto a quei soggetti, laureati in altre discipline o addirittura non laureati, che si
appropriavano di una azione educativa senza possederne competenze e conoscerne metodologie e
strategie. La legge ha messo ordine e ha salvaguardato la qualificazione dei laureati di scienze
dell'educazione e della formazione. Fino ad anni recenti, il mondo della scuola non ha affrontato
adeguatamente il problema dell'educazione alla parità tra i sessi nel rispetto delle differenze di genere,
lasciando la questione alla buona volontà degli insegnanti. Scarsa attenzione era rivolta ai libri di testo, che
presentavano immagini stereotipate, e anche all'influenza dei media e social network. Ci si è resi conto, che
ne contrasto alla violenza e disparità, sia fondamentale un'azione educativa intenzionale in prospettiva
fondata u una progettualità che parta dal “basso”, e che ponga attenzione alla differenza di genere, alle
emozioni e rispetto alla dignità umana. CAPITOLO 20: LE COMPETENZE DEGLI OPERATORI DEI CENTRI ANTI
VIOLENZA. L’OPERATRICE D’ACCGOLIENZA E LA PREVENZIONE ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE. 1. Una
premessa sui Centri Antiviolenza: cenni storici il luogo fisiologico e simbolico del centro antiviolenza nasce
in Italia negli anni '80 dalle esperienze femminili del decennio precedente. Le donne di Palermo, Milano,
Bologna, Roma sono le prime a darsi uno spazio politicamente libero dalle regole patriarcali, dalla
tradizionale costruzione dei generi e dei ruoli sociali. Le finalità di questi movimenti erano numerosi e di
vario genere: dal miglioramento della salute riproduttiva delle donne, alla stesura di proposte di legge come
quele che ha ispirato la norma sulla violenza sessuale del 1996, dall’accompagnamento all’esterno per
pratiche abortive illegali sul territorio italiano, fino al sostegno emotivo e di empowerment nella relazione
con donne in uscita da una relazione violenta. Le donne hanno incontrato i metodo politico femminista della
“pratica trasformativa” dello spazio pubblico e hanno creato nuovi luoghi e nuovi movimenti di pensiero e
azione autonomi. | centri si proponevano sui territori come luoghi politici di pensiero radicalmente
alternativo alla tradizione socioculturale occidentale, strutturalmente complice con l’uomo violento, e come
spazi di azione per l'uscita delle donne dalla violenza di tipo istituzionale, giuridico, sanitario. il fenomeno
della violenza in famiglia da parte del partner emergeva in modo preoccupante per il numero di donne
coinvolte e per la gravità della violenza subita. 2. La figura dell’operatrice d’accoglienza oggi: caratteristiche
e possibili sviluppi Nonostante le diversità fra i centri, lo sviluppo comune si individua nel fondamento
metodologico femminista. Tale metodologia si base su tre principi: - Principio di partire dalla propria
soggettività di donna per capire e sentire la violenza subita da altre donne: ogni donna è in grado di sentire
la violenza che l’altra donna subisce perché ha incontrato direttamente la violenza. - Il principio di centralità
della donna in percorso, di un accompagnamento di sostegno che valuti ogni caso e ogni storia in modo
singolare, secondo i desideri e le esigenze espresse. Si supporta la donna a esplicitare i prorpri bisogni, che
spesso di ridefiniscono nel percorso, perché si restituisce fiducia, dignità, prospettiva ad una soggettività
distrutta o pericolosamente danneggiata. Si prospettano delle soluzioni percorribili a seconda delle richieste
della donna e del contesto. - Principio della relazione tra donne come strumento di empowerment e uscita
della donna dalla violenza. La relazione tra chi ascolta e chi racconta è il tramite che consente di raggiungere
una consapevolezza di sé. Tra i principi che l’operatrice deve osservare ve ne sono alcuni che costituiscono
dei vincoli: la riservatezza, il credito al racconto della donna, il riconoscimento che la violenza non è mai
giustificata, e che le donne sono le esperte della loro vita. La scelta dei centri è un sostegno attivo che trova
la forza nella relazione, di un laboratorio per vita personale di ogni donna coinvolta e per la vita collettiva di
tutte le donne. 3. L’operatrice come soggettività in crisi di riconoscimento, tra metodologia di accoglienza e
impegno politico Si tratta di una professionalità in divenire per la diversità dei contesti in cui trova a formarsi
e che sfugge a un tentativo di definizione univoca. Oggi la professione di operatrice in un Cav in Italia, si è
consolidata nelle strategie e negli obiettivi all’interno dei cetri afferenti alla rete nazionale D.i.R.e, Donne in
rete contro la violenza. Tuttavia non si è ancora codificata, cioè non è riconosciuta a livello giuridico. Ttute le
operatrici di D.i.Re sono accomunate da una visione politica e culturale del fenomeno della violenza e
condividono strumenti e obiettivi per il superamento del trauma da violenza domestica. Nell’intesa Stato-
regione sancita nel 2014, il centro deve assicurare un'adeguata presenza di figure professionali quali:
assistenti sociali, psicologoche, educatrici professionali, e avvocate civiliste e penaliste con una formazione
specifica sul tema della violenza di genere. 4. La discussione all’interno dei Centri: nodi tra territori e
generazioni a confronto Nei centri, esistono operatrici volontarie con esperienza pluridecennale e giovani
operatrici stipendiate; socie di associazioni e di cooperative a fianco di non socie, spesso con contratti
precari; tirocinanti e mondo della ricerca collaborano a vario titolo, così come figure esternalizzate come le
psicologhe o le avvocate. La pratica delle relazioni tra donne e l'ottica di genere devono essere considerate
requisiti indispensabili e gli enti finanziatori devono indicarlo in ogni bando. Questa necessità è concessa
con l'obbligo di fornire alle donne maltrattate servizi adeguati. Dopodichè è necessario rivolgere lo sguardo
verso le questioni interne: - La psicologizzazione: il rischio è che si risponda ai bisogni delle donne con la
patologizzazione della donna richiedente e, in conseguenza con la medicalizzazione del servizio. - Si
configura una questione generazionale tra operatrici. Per un verso pesano le esperienze di vita e di lavoro di
chi ha vissuto il femminismo degli anni ‘70 e ’80 in un quadro politico ed economico profondamente diverso
da quello odierno. Dall’altro verso chi, dopo o durante un percorso universitario, spesso con esperienze
internazionali o di associazionismo, si avvicina ai centri con le proprie competenze, ma anche con curiosità
ed entusiasmo, di trovare un lavoro a volte sulla base di precise scelte politiche e personali. - L'elaborazione
condivisa di progettualità politica: il centro antiviolenza è anche luogo di pratica femminista? In altre parole,
il potere e i saperi femminili che il movimento femminista del secolo Novecento ha valorizzato ed in parte
inventato con gioia, rabbia, trovano tuttora sede nei centri o sono pratiche invecchiate, che
l’istituzionalizzazione da un lato e la precarietà del movimento dall'altro hanno mortidicato? La politica
conferisce il senso ed è l’unica caratteristica che distingue un centro antiviolenza da un qualsiasi servizio
psicologico gestito dall’ente pubblico. 5. Le specificità nell'educazione al genere e nella prevenzione alla
violenza Dal 1979 la legislazione internazionale fa riferimento all'educazione alle pari opportunità e alla
parità di genere come strumento più efficace nella lotta contro la violenza maschile sulle donne e le
discriminazioni dovute ad un’appartenenza sessuale. Tuttavia la prevenzione alla violenza di genere resta
una necessità pedagogica universalmente riconosciuta dalla normativa. Non tutte le scuole recepiscono
l'obbligo di partecipare a laboratori in contrasto agli stereotipi di genere e alla violenza di genere. Dal punto
di vista educativo, le esperienze acquisite dai centri nell’accoglienza hanno creato consapevolezza riguardo
alla necessità di agire dal punto di vista educativo sui dispositivi funzionali alla costruzione dell'identità di
genere e dei ruoli socialmente quotidiani, per potere eliminare la violenza prima che si svilupp, evitando
che questa condizioni il corso della vita delle donne. PARTE QUINTA: LA VIOLENZA DI GENERE ATTRAVERSO
LE NUOVE TECNOLOGIE E I MEDIA CAPITOLO 21: LA VIOLENZA PSICOLOGICA SULLE GIOVANI DONNE TRA
BULLISMO AL FEMMINIE, CYBERBULLISMO E “BLUE WHALE” La parola violenza indica sopraffazione,
sfruttamento, ipocrisia, aggressività incontrollata La violenza di genere e il femminicidio sono aspetti che
emergono da un sostrato sociale fortemente sessista che produce un’ideologia che legittima la pretesa
maschile di “possedere” il corpo e i sentimenti della donna. 1. Metodologia di ricerca e obiettivi L'ipotesi di
partenza di questo lavoro nasce dalla possibilità di comprendere attraverso il #Metoo, la necessità di un
cambio di paradigma concettuale sul modo di approcciarsi al problema della violenza di genere femminile.
Da una indagine online dei siti hanno riportato il movimento del #Metoo, è emerso che la situazione negli
Stati Uniti e in Italia è particolarmente squilibrata, e l’obiettivo di questo lavoro è comprendere
l’interpretazione che i due paesi hanno dato al fenomeno. Attraverso la consultazione di blog, articoli e
progetti di ricerca statunitensi, è risultato un impegno sociale profondo nella trasformazione dei rapporti di
genere, impegno che include i carnefici, riconosciuti come vittime e non come fruitori di privilegi. 2. La
reazione statunitense al #Metoo La ricerca online ha avuto inizio utilizzando il materiale ricavato da Google,
dopo aver inserito le parole chiavi #Metoo e toxic masculinity. Molti blog hanno riportato il #Metoo come
un evento importante per la portata trasformativa non sul piano decisionale delle donne, bensì per il
richiamo agli uomini riguardo la riflessone sulla propria mascolinità, così da poter lottare insieme alle donne
contro una società che giustifica la violenza sessuale. La prima notizia riguardava la campagna
#Iwillspeakup, che aveva il compito di sensibilizzare sui temi della violenza di genere e la violenza sui minori.
Tenta di dare una spiegazione al perché gli uomini non ritengono che il problema della violenza gli
appartenga. Secondo i responsabili di questo progetto “al maschile”, la causa risiede nella modalità con cui
le organizzazioni e le istituzioni pongono l’allarmante perpetrazioni degli abusi sessuali, delle violenze
domestiche, che spesso culminano nel femminicidio, ovvero come questione esclusivamente di interesse
delle donne. Inoltre vi è anche il programma di Call to Men, dal nome LiveRespect, ideato per la formazione
di tutor, educatori e mentori sulla problematica della violenza di genere, ma anche sul bullismo omofobico.
3. il ritardo italiano: l’importanza del #Metoo e il disinteresse maschile La campagna contro la violenza sulle
donne, che ha avuto come baricentro gli Stati Uniti, si è diffusa anche in Italia, e la prima donna a dire
#Metoo, svelando gli anni di abusi di potere di Weinstein è l'attrice Asia Argento, la quale ha ricevuto molte
critiche. Riguardo al problema della mascolinità tossica Maschile Plurale ha pubblicato #Quellavoltache, una
sorta di mea culpa di un uomo che in passato aveva mostrato atteggiamenti di violenza, anche se di poco
conto, verso la sua compagna. Un altro interessante articolo è Trasformeremo #Metoo in #Wetoogether, in
cui l’intervistata esprime la sua opinione positiva riguardo la campagna #metoo e propone una serie di
proposte che necessitano di essere concretizzate e enuncleate in un documento. Il passaggio da #Metoo a
#Wetoogether designa la volontà e la necessità di accogliere sempre più consensi nella lotta al
miglioramento della condizione femminile. La collaborazione collettiva è volta a partecipare contro ogni
forma di violenza, alle donne, al mondo LGBTQIA, ma non agli uomini. Ciò indica un sistema culturale che
ancora non ha permesso, da un punto di cista educativo di smussare la rigidità stereotipata del mondo
maschile. 4. L'emergenza pedagogica di una educazione alla maschilità critica e riflessiva Da questa indagine
sull'impatto che ha avuto il #Metoo nella popolazione italiana e statunitense, è possibile rintracciare delle
differenze. La prima si riferisce alla risonanza mediatica che ha avuto il fenomeno in Italia, che non è stato
oggetto di analisi sul piano di genere, a parte qualche blog che si occupa dei problemi legati alla
svalutazione della donna. Cosa diversa è avvenuta per gli Stati Uniti, in cui i maggiori quotidiani hanno
identificato il #Metoo come una delle campagne più importanti in materia di diritti delle donne. Un secondo
elemento di differenziazione tra i due paesi è quello legata a una possibile riflessione critica sulla questione
da parte degli uomini, che è stata quasi del tutto assente in Italia, fatta eccezione per qualche notizia
riportata in sporadiche pagine web dell'iniziativa #Iwillspeak, nata negli stati Uniti. Il problema della violenza
delle donne presenta dati allarmanti. Una delle principali studiose di genere in Italia, Simonetta Ulivieri,
afferma che da una parte si è verificata una diminuzione degli omicidi, ma dall'altra parte è rimasto
invariato il tasso di omicidi commesso da uomini nei confronti delle donne. Le cause risiedono nell’insensata
capacità di controllare una “rabbia di genere”, spesso incontrollabile che emerge da un’oscura dimensione
del maschile. Elisabetta Musi individua la ragioen che spinge gli uomini a commettere questi efferati delitti
verso le donne, individuando il nucleo di origine nella diseguaglianza del rapporto di potere uomo/donna.
Quando l’uomo educato ad essere il detentore assoluto del potere, percepisce di stare per esserne
espropriato, ricorre alla violenza per ristabilire il controllo. Per porre rimedio alla violenza di genere, è
necessario comprendeere cosa spinga il “predatore” a commetterla: questo cambio di prospettiva non deve
essere confusa come un tentativo di ridurre l'importanza della sofferenza della donna, bensì deve creare
una rete che produca dialogo tra le due parti. 5. Riflessioni conclusive Il problema della violenza di genere è
intrinseca a una cultura della mascolinità molto forte, che sembra trovare diverse resistenze nell'essere
estirpata. Se sul fronte nordamericano è iniziata da molto tempo la riflessione sui danni del patriarcato, gli
studi italiani presentano ancora un gap notevole sull'argomento. La campagna #Iwillspeakup, ha dimostrato
che per un'educazione all’uguaglianza di genere e alle pari opportunità, vi è bisogno di un duro lavoro sui
bambini e adolescenti, così da poter sviluppare un'auto riflessione sulle loro emozioni, imparare che la
rabbia, la violenza verso le donne, gli altri uomini non è una peculiarità impressa nel loro patrimonio
genetico. CAPITOLO 23: LA VIOLENZA SIMBOLICA NEI MEDIA: CARATTERISTICHE ED EFFETTI SOCIALI 1.
Comunicazione mediatica, costruzione della realtà e stereotipi sociali La ricchezza dei messaggi comunicativi
veicolati dai nuovi media li fa emergere quali potenti agenzie di socializzazione, che si affiancano e
interagiscono e spesso finiscono per sostituirsi alla scuola e alla famiglia, creando così una situazione
complessa, dalla quale le agenzie di socializzazione “classiche” rischiano di uscire frastornate. E innegabile
l'influenza che i media hanno nel contribuire alla creazione della costruzione sociale della realtà, da
momento che presentano in modo continuativo storie ed eventi, legati a particolari visioni del mondo,
relazionandosi con una serie di variabili: - Capacità di professare informazioni da parte del soggetto.
Maggiori sono le fonti di rappresentazione della realtà con le quali si entra in contatto, minore è il rischio di
essere influenzato da un'unica fonte. - Tipo di atteggiamento rispetto ai media: si verrà influenzati a seconda
del nostro modo di porci di fronte a essi in modo più o meno passivo - Esperienze che contraddistinguono il
vissuto di ogni soggetto, le quali sono confrontate con i messaggi provenienti dai meda. A partire dagli anni
‘20 del secolo scorso, numerosi studiosi tra cui, Walter Lippmann, hanno evidenziato quanto fosse
importante nel processo di interpretazione della realtà, il ruolo degli stereotipi sociali. Egli li descrive come
“stampi cognitivi che riproducono le immagini mentali delle persone o in altre parole i quadri mentali che
abbiamo in testa”. Lo stereotipo porta con sé l’identificazione da parte del soggetto come membro di un
gruppo sociale, sulla base della condivisione di caratteristiche considerate significative a livello sociale. 2.
Stereotipi femminili e pubblicità Nelle pubblicità televisive o nei prodotti cinematografici troviamo esempi
ormai radicati di stereotipi femminili quali: - La casalinga/ mamma felice di occuparsi della casa - Cattiva
ragazza prorposta nei reality come una giovane donna disinibita, sfrontata, provocatoria - La seduttrice
incarnata da modelli di done che usano tutte le armi tipiche della seduzione eplicità, è bella, truccata,
ammiccante. Gli stereotipi di genere si diffondono e si alimentano anche all’interno dello stesso mondo
femminile. E indubbio che oggi i media abbiano acquisitp un potere notevole nelle diffusione e nel
mantenimento di una vasta serie di stereotipi legati al genere. Nella Risoluzione europeo sull’eliminazione
degli stereotipi di genere nell'Unione Europea si legge che “i bambini entrano in contatto con gli stereotipi
di genere molto preococemente attraverso i modelli proposti di serie e programmi televisivi, dibattiti,
videogiochi e pubblicità, che influenzano la loro percezione del mondo”. I media forniscono quindi ai
bambini e alle bambine, modelli di identificazione che suggeriscono in maniera chiara quali siano gli schemi
comportamentali da seguire per diventare uomini e donne integrati e accettati a livello sociale. | piccoli
fruitori si confrontano con due fonti di costruzione della propria identità: il mondo dell'esperienza diretta,
con quale essi interagiscono quotidianamente, ed il mondo mediale che fornisce informazioni distorte dai
media. Anche gli spot televisivi dei giocattoli destinati a bambini e bambine forniscono un esempio
lampante di polarizzazione sessuale, che vede una netta separazione tra le attività femminili e le attività
maschili. Gli “spot femminili” sono più collocati in spazi chiusi e tinteggiati di rosa; quelli maschili si svolgono
in luoghi aperti e avventurosi. | giocattoli per bambine sono riconducibili al binomio della “seduzione e
riproduzione” e i valori di riferimento sono la bellezza e il glamour, i giochi maschili veicolano valori quali la
velocità, la competizione, il coraggio, il rischio. 3. Violenza simbolica e media Il concetto di violenza
simbolica è stato introdotto all’inizio degli anni Settanta dal sociologo Pierre Bourdieu e si riferisce a tutte
quelle forme di violenza che non esercitate in modo diretto con la forza fisica, ma che hanno a che fare con
una specifica weltanschaung fatta di ruoli sociali, categorie di pensiero utilizzati per costruire la realtà che ci
circonda, da parte di soggetti che godono di un particolare potere legato allo status e al ruolo sociale e che
per questo ricoprono una posizione di dominio verso altri soggetti a loro volta dominati. La violenza
simbolica non è esercitata con la coercizione ma è piuttosto dolce e invisisbile, e ha a che fare con il
consenso inconsapevole di chi la subisce. L'azione dei media nella logica della violenza simbolica è evidente,
nel momento in cui riescono a manipolare nel tempo e di conseguenza trasformare, le categorie mentali di
costruzionne e di decostruzione della realtà. tale violenza diventa talmente interiorizzata, per cui i valori
all’interno di una società, i ruoli e gli spazi non solo sarebbero immutabili ma anche indiscutibili. 4. La
bellezza a tutti i costi 4. Il linguaggio portatore di violenza Il linguaggio riflette e produce la realtà sociale in
cui ci costituiamo e prendiamo forma come soggettività. è una presa di coscienza di come la comunicazione
verbale e non verbale trasmetta significati altrui. Questa consapevolezza è evidentemente carente se si
analizza con quanta leggerezza vengano trasmessi ingiuire, messaggi che non cercano neanche di
nascondere la loro natura patriarcale, sessista e omofoba. E infatti negli anni Novanta, che la televisione
italiana inizia un processo di re- genderization, presentando nuovamente un forte binarismo di genere e
promuovendo la subordinazione della donna nei confronti dell’uomo. Questo porta a dei cambiamenti
anche nel mondo della pornografia: se il linguaggio è specchio della società, la pornografia considerata
come uno dei tanti canali di comunicazione non può che riflettere uno dei modi in cui la sessualità è vissuta
dalla società. anche nel campo della pornografia, è a partire dagli anni Novanta, che la capacità di
recitazione passa in secondo piano, mettendo al primo posto la bellezza estetica, l'attore e attrcie vengono
soppiantati da performer. 5. Verso una concezione dell’unicità a partire dalle mujeres libres L'inganno in cui
non deve cadere la donna, e il corpo femminile nel rappresentare e nel farsi rappresentare, è quello a cui già
all’inizio del ‘900 ci mettevano in guardo le femministe anarchiche del collettivo Mujeres Libres, in
parrticolar modo Mercedes Comaposada nel 1936 pubblica un articolo nel quale analizza il significato del
make-up. Un passaggio importante è quello che sostiene che il trucco immobilizza l’espressione facciale
della donna e la costringe in un’eterna giovinezza senza emozioni. La tendenza verso un’irrangiungibile
omologazione della bellezza esteriore porta a considerarci continuamente diversi dall'altro, quindi
imperfetti, non accettabili, dando a questa un’accezione negativa. La diversità deve essere interpretata
come unicità. Conclusioni E nell'educazione che troviamo lo strumento per trasformare la violenza da
componente ormai consolidata del vivere quotidiano, su cui basiamo i principali rapporti sociali che
poniamo in essere, a un'eccezione del vissuto. L'educazione deve concentrarsi sulle emozioni e sulla
espressione delle stesse. La violenza trova le sue origini nella mancanza di alfabetizzazione emozionale.
L'enorme crescita di rabbia e dolore nei bambini e bambine, non è che il risultato di agenti di cura estetici,
immobili, che non sono più capaci, di dare un nome, e tanto meno un’ espressione alle emozioni. Questo
non può che portare a conseguenze catastrofiche nell'adulto del domani. L'educazione alle emozioni deve
attuarsi in percorsi-didattici per potere crescere adulti resilienti di fronte alle difficoltà e autonomi,
responsabili e consapevoli sia per l’autoderominazione e l’autoefficacia, sia per la comunità in cui vivranno e
a loro volta diventeranno portatori di saperi. Per la maggior parte degli uormini, essi sono legati a idee di
relazioni come forme di possesso, dal Momento che il “dominio e la soggezione delle donne vengono vissui
come potenza sessuale del partner” e la messa in discussione di questo da parte del movimento femminista
farebbe perdere “l'identità maschile socialmente costruita come prevalente”. La risposta a questa perdita di
controllo è la violenza.

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