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Diritto Pubblico 2

Il documento analizza la costituzione economica italiana, evidenziando le differenze rispetto a quella europea e le limitazioni degli aiuti di stato alle imprese. Viene discusso il ruolo della Costituzione nel disciplinare la proprietà e l'impresa, con particolare attenzione alla tutela del risparmio e alla necessità di una revisione delle normative attuali. Infine, si affrontano le problematiche della democrazia nell'Unione europea, evidenziando la disconnessione tra istituzioni sovranazionali e nazionali e le difficoltà nel garantire un controllo parlamentare efficace.
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Diritto Pubblico 2

Il documento analizza la costituzione economica italiana, evidenziando le differenze rispetto a quella europea e le limitazioni degli aiuti di stato alle imprese. Viene discusso il ruolo della Costituzione nel disciplinare la proprietà e l'impresa, con particolare attenzione alla tutela del risparmio e alla necessità di una revisione delle normative attuali. Infine, si affrontano le problematiche della democrazia nell'Unione europea, evidenziando la disconnessione tra istituzioni sovranazionali e nazionali e le difficoltà nel garantire un controllo parlamentare efficace.
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- Le limitazioni degli aiuti di stato alle imprese.
Questi ultimi due principi sono strumentali alle realizzazioni dei marcati concorrenziali.
Se si passa ala versante della “costituzione economica italiana” balza agli occhi la
diversità di oggetti e di impostazioni. Nella Costituzione della repubblica sono
disciplinati i seguenti argomenti:
- Lo statuto giuridico della proprietà, o meglio dei vari tipi di proprietà;
- Lo statuto giuridico dell’impresa: privata, pubblica, ma anche “sociale” e la possibile
riserva di alcuni settori d’attività ad organismi pubblici;
- La disciplina e programmazione nanziaria e di bilancio e la sfera per funzioni
essenziali dello “Stato”, ossia erogatore, investitore, acquirente;
- L’ordinamento tributario, in particolare i rapporti tra i pubblici poteri che prelevano
risorse ed i cittadini che pagano;
- I rapporti di lavoro.
Il nocciolo della nostra “costituzione economica” è contenuto negli articoli 41-47. La
Costituzione rimette alle leggi ordinarie di disciplinare lo statuto giuridico dei diversi
tipi di proprietà (art. 42) e di imprese (art. 41). Le due disposizioni orono copertura
costituzionale all’attribuzione, mediante leggi, ad autorità pubbliche di poteri di
disciplina e di controllo delle attività dei proprietari e degli imprenditori che incidono
sui pubblici interessi. Sia direttamente sia mediante il rinvio a leggi ordinarie, la
“costituzione economica” prevede che le leggi ordinarie congurino una pluralità di
regimi giuridici sia della proprietà che dell’impresa. E’ di immediata evidenza
l’estraneità allo statuto dell’impresa sia della dimensione del mercato sia della stessa
nozione di concorrenza citati nella “costituzione economica” europea. Diverso è il
discorso per quanto attiene il diritto di proprietà, che viene tutelato soprattutto dalla
CEDU ma anche dal TFUE. In entrambe le materie il principio informatore della
costituzione economica europea è quello di proporzionalità, in ragione del quale non
possono essere imposti ai proprietari o agli imprenditori limitazioni o sacrici che non
siano strettamente indispensabili alla tutela di un interesse pubblico specico. l’art. 43
contiene una complicata casistica dei tipi d’impresa o di situazioni che possono essere
pubblicizzate o che possono essere riservate sin dall’origine a pubblici poteri. La
sopravvenienza della costituzione economica europea ha depotenziato le disposizioni
dell’art. 43 in quanto le posizioni dominanti sul mercato sono sanzionate in quanto
anticoncorrenziali e le imprese pubbliche devono competere nei mercati alla pari delle
altre. Inoltre, la crisi nanziaria ha propiziato negli anni più recenti la pubblicizzazione
di banche o altri tipi di imprese ritenute strategiche. Seguono poi tre articoli, 44, 45,
46 che sono testimonianze del carattere storico delle costituzioni economiche, perché
nella costituzione economica materiale dei nostri anni appaiono inattuali o comunque

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necessitanti di una profonda rilettura. Così l’art. 44, dedicato alla proprietà agraria,
rispecchia la situazione del dopoguerra, con ampie proprietà latifondiste scarsamente
produttive e masse di braccianti senza terra e fortemente disagiate. Veniva quindi in
esso prevista una sostanziale riforma agraria che in eetti fu approvata agli inizi degli
anni ’50. Sta di fatto che le fortissime migrazioni interne degli anni ’50-’70 hanno
radicalmente mutato lo scenario della questione agraria. Ancor meno di attualità nel
nostro paese appare l’art. 46, che adava ad una futura legge di stabilire forme di
partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Diverso è il caso dell’art. 45
dedicato al riconoscimento ed alla promozione della “cooperazione a carattere di
mutualità e senza ni di speculazione privata”. Pensato e scritto in origine a favorire la
ripresa del movimento cooperativo, che era stato perseguitato dal regime fascista.
Dovendo operare in un mercato capitalistico caratterizzato da forti concentrazioni di
imprese, molto cooperative si sono evolute in grandi conglomerarti i quali della
struttura originaria hanno conservato soltanto la forma perdendone in alcuni casi la
sostanza. dunque, per dare signicato attuale al favore della Costituzione per la
cooperazione è ormai indispensabile una revisione selettiva, da parte del legislatore,
della normativa che le riguarda.

La tutela del risparmio:


Fa eccezione a questo panorama l’art. 47 della Costituzione secondo il quale “La
Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e
controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla
proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto
investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”. L’art. 47 ha dunque
costituzionalizzato l’interesse pubblico primario alla tutela del risparmio mediante il
controllo dell’organizzazione e del buon funzionamento del setto del credito. All’epoca
della stesura della Costituzione le attività di intermediazione nanziaria in senso
stretto erano poco diuse ed erano concentrate nelle borse. Ancor più distante e
distinto era il “mondo delle assicurazioni, nelle quali le forme previdenziali erano
ancora scarsamente diuse. “L’esercizio del credito” costituisce ormai solo una delle
attività bancarie e l’attività delle banche è svolta da società di diritto privato. Il
principio costituzionale di tutela del risparmio “in tutte le sue forme” deve intendersi
ora riferito estensivamente a tutte le attività nanziarie che con il risparmio stesso
“hanno a che fare”, comprese quelle dei fondi pensione che gestiscono le forme di
previdenza complementare di lavoratori dipendenti ed autonomi. l’art. 47 va
considerato il pilastro sul quale si fondano tutti i pubblici poteri nazionali di
regolamentazione e di controllo delle attività nanziarie delle più diverse specie. l’art.
47 è divenuto “l’ombrello costituzionale” cui sono riconducibili le regolamentazioni di

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tutte le attività nanziarie. Proprio la essibilità mostrata, nella costituzione vivente,
dall’art. 47 gli consente di essere in sintonia con le disposizioni dei trattati europei e
con le recenti decisioni degli organi istituzionali dell’Unione di costruire a tutela del
risparmio un sistema di autorità ed agenzie dell’unione, preposte alla supervisione dei
vari mercati nanziari.
L’art. 47 inizia con “la Repubblica” perché questo potere non è demandato soltanto
all’organo statale, ma a tutti gli organi che compongono la repubblica italiana,
soprattutto le autorità amministrative indipendenti, che sono: Banca d’Italia, Consob e
così via che non emanano legge ordinaria ma la normativa di dettaglio, e quindi legge
secondaria. Il 41 pone l’accento solo sulla legge primaria, il 47 anche le leggi
secondarie. Queste due norme sono la base per il risparmio.

PARLAMENTI E GOVERNI NELLA COSTITUZIONE “COMPOSITA” DELL’UNIONE


EUROPEA

La natura “composita” della Costituzione dell’Unione europea:


Da tempo si discute se esista una costituzione europea. Questa discussione si è per
più versi intrecciata con le vicende del trattato che adotta una costituzione per
l’Europa, rmato a Roma nel 2004, come è noto conclusesi con un “nulla di fatto”,
dopo l’esito negativo dei referendum svoltisi in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005.
Tuttavia, se il trattato-Costituzione è fallito, questo non signica che il dubbio possa
dirsi sollevato. E’ necessario fornire una risposta che è ipotizzata nel senso
dell’esistenza di una Costituzione dell’Unione europea e nella natura “composita” di
essa. l’Unione europea è caratterizzata dai due elementi indispensabili ai ni
dell’esistenza di una Costituzione in senso moderno, identicati dal celeberrimo art. 16
della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: “ogni società in cui la
garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una
costituzione”. Questa Costituzione europea può qualicarsi come “composita” in
quanto è il frutto di un’auto-limitazione di di ciascun ordinamento giuridico a
vantaggio di un altro riconoscendo reciprocamente l’esistenza degli altri, sia de facto,
sia de iure. Questo avviene mediante “clausole-valvola” contenute nei trattato
istitutivi e in ciascuna carta costituzionale, la cui ampiezza è rimessa alla
interpretazione che di esse ne orono i rispettivi ordinamenti e i loro giudici. Si ada
perciò un ruolo chiave alla Corte di Giustizia che deve necessariamente fare
riferimento ai giudici nazionali nell’identicare le identità costituzionali degli SM e le
tradizioni costituzionali comuni, e nell’interpretare la clausola europea contenuta in
ciascuna carta fondamentale, alle corti costituzionali degli SM sempre più chiaramente

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in dialogo con la Corte di Giustizia, anche grazie al meccanismo del rinvio pregiudiziale
e al suo uso che di recente si è fatto decisamente più intenso e qualicato. La tesi
della Costituzione “composita” spicca perché questa di propone di evitare di
accogliere una visione gerarchica dei rapporti tra ordinamenti in favore invece di una
visione fondata sulla loro relativa eteronomia e compenetrazione, consistente appunto
nel riconoscimento reciproco. Anziché di “supremazia” o “primato” del diritto
dell’Unione europea, si preferisce parlare di “precedenza” di tale diritto, evidenziando
come quest’ultima non sia acquisita una volta per tutte, ma derivi da auto-limitazioni
previste nelle stesse costituzioni degli SM.

La “disconnessione democratica” nell’Unione europea:


Che il funzionamento della democrazia nell’Unione europea incontri una serie di
problemi e di dicoltà è sotto gli occhi di tutti. Per descrivere questi problemi ha avuto
molta fortuna la formula del “decit democratico” che è stata anche intelligentemente
cavalcata dal parlamento europeo al ne prima di richiedere e poi di ottenere un
progressivo ampliamento dei suoi poteri. Questo incremento di poteri del Parlamento
europeo di è progressivamente realizzato. Tuttavia da un lato i problemi non si sono
aatto risolti e con ogni probabilità ponendo in essere, anche al di là della lettera dei
trattati, una competizione elettorale per il presidente della commissione; si è anche
avvertito che nel continente europeo non vi è tanto una mancanza di democrazia
quanto una “disconnessione democratica” tra istituzioni sovranazionali e forme di
controllo e di indirizzo operanti a livello nazionale. Questi problemi della democrazia
europea si sono sensibilmente aggravati all’indomani della crisi economico-nanziaria
e delle azioni messe in campo per fronteggiarla. La crisi ha probabilmente determinato
la ne del “mito” della legittimazione in base all’output dell’Unione europea, spesso
invocata a compensazione del peculiare funzionamento delle normali dinamiche
democratiche a livello sovranazionale e giustamente considerata come una sorta di
panem et circenses con cui i governanti di oggi si conquistavano il consenso della
popolazione; forse mai come ora, davanti a istituzioni dell’Unione europea accusate di
mettere le mani nelle tasche dei cittadini, e con un livello di crescita economica
inferiore a quello di tutti gli altri continenti, si rende necessario che funzionino al
meglio i meccanismi della legittimazione in base all’input; e altresì quelli che fanno
leva sui procedimenti con cui le decisioni sono prese, recentemente ricondotti ad una
terza forma di legittimazione, denita della throughput legitimacy. La reazione alla
crisi hanno reso particolarmente evidente un ulteriore problema della democrazia
europea: quello consistente nello sfasamento dei tradizionali ritmi propri della
democrazia rappresentativa, i quali ovviamente non vengono meno, ma sono
marginalizzati e schiacciati, oltre che privati di ogni sincronia gli uni con gli altri. Un

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processo siatto nisce per esaltare la discrezionalità di cui godono gli esecutivi,
autorizzati ad assumere decisioni con modalità informali e in tempi rapidi e poco
prevedibili e correlativamente per indebolire le opposizioni, specie quelle più
tradizionali e istituzionali, premiando invece i movimenti extra-parlamentari e che
contestano l’Unione europea in sé.

Le dicoltà nell’assicurare un controllo parlamentare nei confronti di un esecutivo


“frammentato”:
La Costituzione “composita” dell’Unione europea delinea la democrazia europea come
una democrazia parlamentare da intendersi nel signicato di democrazia
RAPPRESENTATIVA. Essa si può giovare dell’apporto proveniente da altre concezioni
della democrazia, come quella partecipativa e, altresì, ove prevista a livello nazionale
o territoriale, dalla stessa democrazia diretta, ma resta essenzialmente una
democrazia rappresentativa. nell’Unione europea quest’ultima forma di democrazia, ai
sensi dell’art. 10 TUE, si fonda su un duplice canale di rappresentanza politica: quello
facente capo al PE; quello che fa leva sulle forme di governo degli SM, e quindi sulla
legittimazione popolare e parlamentare dei governi nazionali. E’ proprio questa
articolazione del circuito rappresentativo a rendere estremamente delicato e dicile il
funzionamento della democrazia nell’Unione europea. All’interno dell’Unione europea
non ci si può in alcun modo arroccare dietro il divieto di ingerenza negli aari interni di
ciascuno SM, dato che gli altri SM hanno un interesse diretto a che la forma di governo
degli altri SM non vada incontro. Problemi così gravi da riverberarsi anche sul buon
funzionamento dell’UE. Il potere esecutivo dell’UE è un potere “frammentato”; non
esiste un’unica istituzione, onnicomprensiva e unitaria, che possa in alcun modo
essere descritta come il “governo europeo” nel senso in cui questo termine è
conosciuto a livello nazionale; consiste di istituzioni sovranazionali, come la
Commissione, ma anche di istituzioni composte dai governi degli SM, come il Consiglio
europeo e di comitati e gruppi di lavoro vicini ai gruppi di interesse operanti nel
singolo settore. Il carattere frammentato del potere esecutivo dell’Unione europea lo
rende sfuggente alle tradizionali forme di controllo parlamentare e di responsabilità
politica, e perciò “potentissimo”. Non è un caso che il tema dell’accountability sia
avvertito come cruciale e critico nelle democrazia contemporanee e soprattutto con
riferimento all’UE. E’ noto inoltre come il processo di integrazione europea abbia
prodotto un eetto di raorzamento dei Governi in quanto abilitati a “fare sponda” con
le istituzioni dell’unione e chiamati a specchiarsi nelle sedi europee con governi più
stabili e apprezzati. Il ruolo del potere esecutivo nell’UE si è poi ulteriormente
accresciuto nel momento in cui le dinamiche intergovernative hanno acquistato spazi
ulteriori, al punto che si è persino rilevatari l’aancamento alla “costituzione

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comunitaria” di una “costituzione intergovernativa”. L’esempio più evidente della
dicoltà di far valere le tradizionali forme di controllo parlamentare e di responsabilità
politica è rappresentato dal Consiglio europeo. Questa istituzione è andata svolgendo,
dal 2009 ad oggi, non un semplice ruolo di impulso, ma ha esercitato una vera e
propria funzione di indirizzo politico. Un ruolo di tale importanza esercitato dal
Consiglio europeo richiederebbe un adeguato contrappeso parlamentare, almeno se si
vuole restare nell’ambito di una democrazia rappresentativa. Eppure è emerso con
chiarezza che il parlamento europeo non è in grado di esercitare un’ecace forma di
controllo su un’istituzione rispetto alla quale non ha alcun potere. Ai sensi dei trattati
l’unico obbligo consiste, per il presidente del Consiglio europeo, nell’inviare una
relazione al parlamento europeo dopo ciascuna riunione. A ciò va aggiunta la
partecipazione del presidente del PE all’avvio delle riunioni del consiglio europeo.
Poiché il consiglio europeo è un’istituzione composta dai capi di stato e di governo
degli SM, si è osservato che i relativi poteri di controllo dovrebbero fare leva
soprattutto sul secondo circuito rappresentativo su cui si fonda l’Unione europea, ossia
quello articolato intorno ai parlamenti nazionali. In questi stessi anni molti parlamenti
nazionali hanno intensicato la propria azione di controllo nei confronti delle linee di
politica europea immaginate o tenuta le proprio esecutivo e dal suo presidente. Si è
avverato che un’azione siatta non è suciente a controbilanciare un’istituzione che
agisce, con notevole libertà seppure in mancanza di rilevanti poteri formali,
inevitabilmente su scala europea e secondo una logica europea. Ciascun parlamento
nazionale può riuscire a controllare come il proprio rappresentante in seno al consiglio
europeo abbia interpretato e tutelato l’interesse nazionale; rimane invece assente un
controllo di tale istituzione in una chiave europea, in grado di valutare cioè se e in che
modo essa abbia garantito l’interesse pubblico. Dalla constatazione di queste dicoltà
nello svolgimento del controllo parlamentare, oltre che di quelle che si riscontrano con
riferimento al consiglio, nasce la recente decisione di dar vita a nuove forme di
cooperazione interparlamentare. I modelli tradizionali di cooperazione
interparlamentare nell’ambito dell’Unione europea non sono infatti riusciti ad andare
molto al di là dello scambio di buone prassi e, nel caso migliore, informazioni tra i
diversa parlamentari. Il nuovo modello delle Conferenze interparlamentari permanenti,
adottato prima per la politica estera e di difesa, e poi per la governance economica,
ispirato alla COSAC e almeno in parte al “metodo Convenzione” adottato per
l’elaborazione della carta dei diritti fondamentali prima e del trattato costituzionale
poi, si presta infatti ad aprire nuove prospettive alla cooperazione interparlamentare,
consentendole di dare origine ad un “parlamentarismo multilivello by committees”.
L’istituzione di queste Conferenze interparlamentari si è rivelata essere n qui assai
faticosa e i primi passi da esse compiuti sono apparsi tutt’altro che incoraggianti.

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Le dicoltà derivanti dal carattere sempre più asimmetrico dell’UE:


La caratterizzazione dell’integrazione europea come un processo in senso sempre più
chiaramente “a geometria variabile” rende il problema del controllo parlamentare
ancora più pressante e dicile da risolvere. Le diverse istituzioni, in cui si è visto
essere articolato il frammentato potere esecutivo dell’Unione europea ben possono
mutare la loro composizione. Si pensi al Consiglio europeo che tende ad essere
regolarmente aancato dall’Euro-summit. E al Consiglio, il quale come è noto è un
organo già di suo a composizione variabile, con formazioni diverse in base ai diversi
settori materiali e privo di una sede plenaria. Il Consiglio può variare la sua
composizione anche in base agli SM coinvolti. Con riferimento all’euro-zona ciò
avviene con l’Euro-gruppo. Con riferimento alle cooperazioni raorzate, è l’art. 330
par. 1 TFUE a dierenziare i diritti di voto in seno al consiglio: “tutti i membri del
Consiglio possono partecipare alle sue deliberazioni, ma solo i membri del Consiglio
che rappresentano gli SM partecipanti ad una cooperazione raorzata prendono parte
al voto”. Al contrario, non sembra possibile adattare l’organizzazione del parlamento
europeo alle asimmetrie dell’Unione europea, a meno che non si intenda rinunciare ai
principi-cardine della rappresentanza politica e del divieto di mandato imperativo. Una
limitazione del diritto di voto su certe questioni soltanto ad alcuni parlamentari
europei nirebbero infatti sia per alterare il funzionamento di una tipica assemblea
parlamentare, sia per violare il principio, aermato dall’art. 14, par. 2 TUE secondo cui
ogni Parlamentare europeo è chiamato a rappresentare “i cittadini dell’Unione”.
Maggiori possibilità di adattamento alle “geometrie variabili” presentano invero le
forme di cooperazione interparlamentare, incluse quelle conferenze interparlamentari.
Ma tali possibilità non sono state n qui sfruttate. Basti pensare al fatto che la
Conferenza interparlamentare sulla governance economica e nanziaria di cui all’art.
13 del Fiscal Compact, include i componenti del Parlamento europeo e dei Parlamenti
nazionali di tutti gli SM dell’Unione europea, e non solo di quelli rmatari del scal
compact o di quelli dell’eurozona. Non si è perciò colta la possibilità di congurare una
conferenza interparlamentare ristretta o comunque “ a geometria variabile”. Non è
stata neppure denita la composizione di ciascuna delegazione, essendosi invece
stabilito che spetterà a ciascun Parlamento determinare la dimensione. Un organo
della composizione allo stesso tempo necessariamente generalizzata e
quantitativamente interna poco si presta ad assumere qualsivoglia decisione, anche se
consistente nell’esercizio, esclusivo o prevalente, di poteri di indirizzo e di controllo. Al
ne di superare quello stallo si è riaacciata, alla vigilia delle elezioni europee del
maggio 2014, una proposta da tempo latente nel processo di integrazione europea:
ossia quella volta a creare una nuova camera, della quale siano componenti solo i

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rappresentanti di alcuni SM e di quelli aderenti all’eurozona. Si tratterebbe dunque di
“una camera parlamentare per la zona euro”, dai caratteri peraltro abbastanza
indeniti: “potrà essere un parlamento dell’eurozona oppure una nuova camera basata
sul raggruppamento di una parte dei membri dei parlamenti nazionali”. Anche se poi si
esprime una preferenza “per questa seconda soluzione, la cui idea si ispira alla
camera europea proposta da Fischer nel 2011”, ritenendo che sia “impossibile
esautorare del tutto i parlamenti nazionali dei loro poteri di stabilire le importa” e che
“è precisamente sulla base di una sovranità parlamentar nazionale che si può forgiare
una sovranità parlamentare europea condivida”. Riguardo al tema dell’asimmetria, si
specica che la nuova “camera europea in un primo tempo coinvolgerebbe soltanto i
paesi della zona euro che voglio realmente indirizzarsi verso una maggiore unione”,
ma “dovrebbe essere concepita in modo tale da accogliere tutti i paesi dell’UE che
accetteranno di percorrere insieme questa strada”. La nuova assemblea parlamentare
dunque diminuirebbe drasticamente il ruolo del parlamento europeo e tenderebbe
inevitabilmente a frenare gli sviluppi dell’integrazione europea.

L’inuenza dell’unione europea sulle forme di governo degli SM:


l’Unione europea gioca un peso sulle forme di governo dei suoi SM: sia direttamente,
attraverso le sue istituzioni, sia in forma più indiretta, attraverso i governi degli altri
SM. La preceione e la misurazione dal peso giocato dalle une e dagli altri non sono
operazioni semplicissime, per vari ordini di motivi:
• Perché i governi degli SM sono parte costitutiva di alcune delle istituzioni dell’UE,
come il Consiglio e il Consiglio europeo;
• Poiché si tratta di un ruolo che è esercitato in sedi informali, attraverso interventi di
moral suasion i quali possono assumere toni e contenuti anche assai drastici;
• Visto che un po’ di tutto gli attori hanno interesse a dissmulare il rilievo di queste
dinamiche, fors’anche a causa di un’opinione pubblica, specializzata e non, che
continua a interpretare tali interventi come forme di ingerenza o di lesione della
sovranità nazionale;
• Dal momento che spesso questo tipo di inuenza si sovrappone, specie nei media,
ma a volte anche nelle riessioni degli studiosi, con quelle che sono le scelte che gli
operatori nanziari compiono con riguardo in particolare all’acquisto o alla vendita di
titoli, soprattutto quelli del debito pubblico di ciascuno degli SM.
Ai sensi dell’art. 10 TUE, la democrazia dell’Unione europea, che è e resta
prevalentemente, pur avvalendosi di alcuni innesti di democrazia partecipativa, una
democrazia rappresentativa, è fondata su due canali di rappresentanza politica:
1. Quello del Parlamento europeo, che rappresenta direttamente i cittadini
dell’Unione;

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3. Quello dei Parlamenti nazionali, davanti ai quali i governi degli SM sono
responsabili, in 27 casi su 28 (Cipro è l’eccezione in quanto vi è una forma di
governo presidenziale), anche per le linee che tengono in ambito di Unione
Europea.
Questo assetto comporta in paio di conseguenze di un certo rilievo:
I. Fa sì che le forme di governo di ciascuno degli SM dell’Unione europea subiscano
profonde trasformazioni per eetto dell’appartenenza di ciascuno stato all’unione;
II. Poiché il buon funzionamento della democrazia europea è basato sul buon
funzionamento di ciascuna forma di governo, questo giustica l’interesse specico
che le istituzioni dell’Unione e quelle degli altri SM dedicano all’assetto dei singoli
sistemi politico-istituzionali: i casi dei referendum francesi ed olandesi del 2005 e
l’origine del “Caso Grecia” rappresentano altrettante dimostrazioni
dell’impossibilità, pre l’UE, di prescindere dagli equilibri interni a ciascuno SM. E
fanno sì che, nonostante le formali e spesso rituali dichiarazioni sul rispetto della
volontà degli elettori o degli organi costituzionali di ciascuno SM, vi sia un forte
interesse circa l’esito di tali elezioni: riguardo l’indirizzo e la composizione del
governo e, relativamente all’esistenza di assetti istituzionali in grado di garantire
che le posizioni e gli impregni manifestato in sede europea da quel governo
possano poi essere eettivamente rispettati nel prosieguo della sua azione.
Dunque, può eettivamente dirsi che i governi degli SM dell’Unione europea, oltre alla
ducia delle camere, sono altresì tenuti a mantenere la ducia degli altri stati membri
e delle istituzioni dell’Unione europea, ma nel senso che il giudizio di questi soggetti
viene in rilievo perché contribuisce a delineare il successo o l’insuccesso dell’azione di
governo. Questa “seconda ducia” è inevitabile che nisca in qualche modo per
riettersi altresì sul consenso parlamentare e popolare del governo, determinandone
la crisi.
Le vicende dei “governi tecnici” italiani hanno alla base proprio tutte queste
caratteristiche.

Il caso italiano: i “governi tecnici” e il ruolo svolto dalla Presidenza della Repubblica:
Se si osserva con attenzione l’azione dei Presidenti della Repubblica negli ultimi
decenni ci si avvede che essi hanno cercato di muoversi per l’appunto tenendo in
conto non soltanto la necessità che il governo avesse la ducia delle Camere, ma
anche questa “dimensione europea” dell’azione dei governi italiani. In questa
dimensione la reputazione e l’adabilità sul piano anche personale e professionale dei
membri del governo sono considerati elementi di forza necessari per fronteggiare i
nervosismi dei mercati nanziari. Si spiega dunque anche la scelta di adare
costantemente, pure all’interno dei governi politici la casella del ministro

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dell’economia a gure dotate di un solido prolo tecnico e di una autonoma notorietà
presso le istituzioni economiche internazionali. Queste opzioni del Presidente della
repubblica sono state oggetto di critica, anche severa, segnalandosi come esse
fuoriuscirebbero dai poteri del capo dello stato, che in tal modo concorrerebbe con il
governo all’esercizio di una funzione di indirizzo politico anziché restare ancorato al
suo ruolo di garanzia. Le azioni e le opzioni dei presidenti Ciampi e Napolitano in sede
europea possono ritenersi sostanzialmente in linea con il ruolo costituzionale
assegnato al presidente della repubblica. Questa aermazione si può motivare sulla
base di due ordini di argomenti:
• Occorre considerare che la Costituzione “quo utimur” non è composta solo dalla
carta costituzionale emanata il primo gennaio 1948, e i richiami più puntuali
all’Unione europea collocati negli art. 97 e 117, primo comma, Cost, la costituzione
italiana deve intendersi integrata dunque dai trattati dell’UE e dalle norme da questi
derivate. Se si accoglie questo inquadramento teorico-concettuale, i comportamenti
del Presidente della Repubblica risulterebbero pienamente ispirati ai principi della
Costituzione “composita” oggi vigente in Italia. Andrea Manzella dice nell’art. 11 che
il capo dello stato ricava “la legittimazione per porsi come garante alla conuenza e
all’intreccio tra i due ordinamenti. Quello nazionale e quello europeo”.
• Su un piano più specico, non deve sfuggire che il presidente della Repubblica non
ha mai dato rilievo autonomo e decisivo alle dinamiche europee, ma le ha prese in
considerazione in quanto si siano riesse nelle dinamiche interne, in particolare
attraverso momenti di vita parlamentare, come la crisi dei governi Berlusconi.
Tale crisi è accaduta a seguito dei mutamenti intervenuto all’interno della stessa
maggioranza di governo e anche nei rapporti interni alla compagine ministeriale. Ci si
riferisce, oltre che alla fuoriuscita prima dal PDL e poi dalla maggioranza di Gianfranco
Fini e dei parlamentari aderenti a FLI, alla rottura, vericatasi all’inizio del 2011, tra il
presidente del consiglio e il ministro dell’economia Tremonti: tanto più che proprio
quest’ultimo aveva rappresentato il volto dell’Italia in sede europea anche giocando
un ruolo piuttosto signicativo. Il fatto che i rapporti tra i due vengano meno e che i
documenti inviati a Bruxelles siano elaborati non dal ministro dell’economia ma da
quello della funzione pubblica, Brunetta, non può essere sottovalutato, specie nel
momento in cui il quadro particolarmente critico della nanza pubblica italiana
rischiava di comportare un allargamento incontrollato della crisi dell’euro ed era perciò
oggetto di attenzione anche negli Stati Uniti. E’ in questo contesto che va letta la
lettera a rma congiunta del presidente della BCE Trichet e del governatore della
banca d’Italia Draghi del 5 agosto 2011: lettera destinata a restare riservata, tipico
delle azioni della moral suasion e poi pubblicata dal Corriere della Sera il 29
settembre. Sui contenuti di questa missiva e sulla sua opportunità si è espressa assai

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criticamente la dottrina italiana, giudicandola “preoccupante” ed evidenziando che
essa testimonia l’avvenuto passaggio del potere di indirizzo politico, nel campo della
politica economica, dagli organi nazionali ad un organo tecnico, quale la BCE “non
rappresentativo politicamente, né eletto democraticamente e largamente
irresponsabile in ragione della sua indipendenza”. Ciò che si intende sottolineare è che
le misure qualicate come essenziali nella lettera in questione non sono il frutto di una
attività “creativa” dei due sottoscrittori della lettera. Esse non sono altro che le stesse
misure che il governo e la maggioranza si erano impegnati ad adottare già da tempo e
che non erano state implementate, perlopiù a causa delle fratture esistenti all’interno
della maggioranza. Essa può considerarsi una reazione all’incapacità del governo di
tener fede al proprio indirizzo politico: essa non ha fatto altro che richiamare il governo
alle proprie responsabilità, “prendendo sul serio” le promesse e gli impegni assunti,
all’inizio o nei vari documenti programmatici inviati a Bruxelles. Sempre dal punto di
vista del costituzionalista, la riessione dovrebbe rivolgersi sulle ragiono, non solo
politiche ma anche istituzionali, che hanno ostacolato l’azione dei governi impedendo
ad essi di tener fede ai loro programmi; e forse sulle modalità con cui vengono
individuate le priorità e indicati gli impegni, a nome del governo italiano, nei confronti
delle istituzioni dell’Unione è evidente che una lettera come quella inviata a Bruxelles
il 26 ottobre 2011 nisce per essere un clamoroso autogol del governo e di tutto il
sistema istituzionale italiano. Essa originò una pronta e piccata risposta della
Commissione. Risposta che ebbe luogo mediante una missiva, sottoscritta dal
commissario per gli aari monetari, Oli Rehn, che formulò ben 39 richieste di
chiarimento e che si apriva con una notazione metodologica: ossia con la richiesta di
indicare, per ogni misura enunciare, se esse fosse già stata adottata, se avesse
bisogno dell’approvazione parlamentare o se si trattasse di un nuovo impegno.

In conclusione. La tesi del “pilota automatico” e la sua critica. L’incentivo europeo ai


“governi dalle larghe intese:
Fa egualmente leva sulla necessaria dimensione europea dei governi degli SM un’altra
interpretazione. Si tratta della tesi secondo cui per eetto dei vincoli nanziaria ssati
in ambito di Unione Europea, la politica economica italiana, per non dire l’intero
indirizzo politico potrebbe ormai dirsi in mano ad un presunto “pilota automatico”.
Dunque, le grandi opzioni dell’indirizzo politico-nanziario sarebbero ormai etero-
determinate, per cui sarebbe persino auspicabile l’assenza di un “vero” governo
“politico”: quest’ultimo, con il riferimento principale al mondo della politics, nirebbe
persino per inquinare il coerente perseguimento delle policies decise in sede
comunitaria. La tesi del c.d. “pilota automatico” non convince. E’ vero che i vincoli
nanziari sono forti e risultano abbastanza stringenti, specie per gli stati dell’Eurozona

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che abbiano accumulato, in passato, livelli di debito pubblico particolarmente elevati.
Non sono poi poche le opzioni signicative che restano adate al livello nazionale ed è
per questo che vi è bisogno di un governo, pienamente “politico” e in grado di
perseguire i propri obiettivi. Questo poi è in grado di incidere sulla determinazione
dell’indirizzo europeo, tanto a livello macro quanto a livello micro. C’è da domandarsi
se e in che misura le dinamiche europee di questi anni, abbiano nito per incoraggiare
la formazione di governi “dalle larghe intese”, o comunque supportati da una
maggioranza parlamentare piuttosto ampia. Il vantaggio nella dinamica istituzionale
euro-nazionale è duplice:
• Sul piano nazionale, il peso di decisioni per denizione impopolari viene distribuito,
più o meno equamente, tra tutte le principali forse politiche;
• Dal punto di vista europeo, è chiaro che soluzioni siatte tendono ad accrescere
l’adabilità dell’interlocutore governativo, che si trova ad esprimere indirizzi e ad
assumere impegni, in sede comunitaria o anche davanti a istituzioni internazionali
come il fondo monetario, che vincolano non solo sul piano giuridico ma altresì sul
piano politico pure i successivi governi.
I governi degli SM dotati di un vasto consenso parlamentare rischiano di originare
altresì due eetti di tipo negativo:
• Uno in chiave nazionale, dunque si allarga così lo spazio politico per le forze
populiste, che hanno facile gioco nel contrapporsi ai partiti tradizionali, in nome di
slogan anti-europei e anti-consociativi;
• Le istituzioni europee niscono sistematicamente per essere additate come le vere
responsabili delle politiche impopolari perseguite da tali governi, anche perché gli
stessi partiti della maggioranza tendono ad occupare contemporaneamente anche
un po’ dello spazio politico normalmente occupato dalle forze di opposizione.

FEDERALISMO E AUTONOMIE LOCALI

Federalismo e diritto dell’economia:


Col termine federalismo di indica un asserto del potere statale per cui il potere stesso
è ripartito, tra un’entità centrale e un certo numero di entità territoriali: il prototipo di
questo assetto istituzionale, che comporta una ripartizione verticale delle funzioni
classiche del potere statale è costituito dalla Costituzione statunitense del 1787.
Questa organizzazione del potere statale ha avuto una notevole fortuna nell’ambito
delle più diverse forme di stato, vuoi in epoca liberale, vuoi nel corso del ventesimo
secolo. La soluzione federale non è necessariamente legata all’estensione del
territorio: se è vero che essa si è largamente diusa in paesi aventi una vasta
estensione geograca, hanno struttura federale anche stati di dimensioni ridotte

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(Svizzera, Belgio) o relativamente ridotte (Germania). Il federalismo è stato spesso
accostato e talora contrapposto al regionalismo, che storicamente è una tecnica di
ripartizione territoriale del potere, e quindi delle funzioni tipiche dello stato, utilizzata
dalle costituzioni di stati un tempo accentrati quale strumento di creazione, sul
territorio, di entità cui vengono trasferiti più o meno ampi poteri. Per anni si è cercato
di individuare una seria di elementi che consentissero di stabilire una dierenza di
ordine qualitativo tra stato federale e stato regionale: tale orientamento risulta da
tempio abbandonato dal moderno costituzionalismo. Sin dalla prima metà del secolo
scorso le dierenze tra federalismo e regionalismo vennero ricostruite come dierenze
soprattutto di ordine quantitativo: esse dipendono dalla quantità di funzioni che dalla
costituzione e dalle leggi che la attuano vengono eettivamente adate allo stato
centrale e alle entità decentrate. Sin dalla Costituzione statunitense del 1787 per
separare le sfere di azione di federazioni e stati membri si è fatto ricorso alla c.d.
“enumerazione delle materie attribuite alla competenza legislativa”. La funzione
legislativa era la funzione centrale dello stato e dunque ripartendo tale funzione su
base territoriale si otteneva una separazione verticale del potere, accanto alla
tradizionale separazione tra funzione legislativa, esecutiva e giurisdizionale in cui si
estrinsecava il progetto costituzionale che tali rivoluzioni propugnavano per abbattere
il potere assoluto dei sovrani.
Le tecniche di enumerazione materiale maggiormente utilizzate dalle costituzioni sono
riconducibili a tre principali modelli:
• Il criterio dell’enumerazione materiale delle sole competenze dello stato centrale,
con correlata identicazione meramente residuale, cioè non espressamente
enumerata nella costituzione, delle materie di competenza degli altri soggetti;
• Il criterio dell’enumerazione materiale delle sole competenze degli enti decentrati
con correlata identicazione “residuale” delle materie di competenza dello stato
centrale;
• La tecnica per cui si deniscono sia le materie di competenza statale sia le materie
di competenza degli enti decentrati, direttamente ovvero utilizzando una denizione
residuale delle une o delle altre o consentendo ad un’ulteriore fonte di precisare il
concreto ambito materiale di ciascuna sovranità decentrata.
Con riferimento alle vicende italiane più recenti si comprende bene che con l’art. 117
Cost. Introdotto nel 2001, il mutamento di criterio di enumerazione delle materie
utilizzato dal testo costituzionale per individuare le materie di competenza regionale
sia particolarmente signicativo ed esprima una trasformazione dell’assetto dei
rapporti tra stato e regioni. Di segno diametralmente opposto la riforma costituzionale

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attualmente all’esame del parlamento la quale prende quanto concerne le autonomie,
alcune importanti novità, riconducibili a due nuclei principali di misure:
- L’occasione della soppressione delle province costituisce il presupposto per una
nuova distribuzione di competenze tra stato e regioni. Si prevede l’abolizione delle
c.d. competenze concorrenti, per cui si avranno solo competenze legislative
esclusive dello stato e competenze legislative esclusive delle regioni. La c.d. Legge
del Rio, n. 56/2014 contiene la disciplina del passaggio di funzioni dalle province
verso regioni e comuni e città metropolitane;
- Nel contesto della completa riforma della seconda parte della Costituzione, si
prevede poi la formazione di un Senato delle autonomie, composto da cinque
senatori a vita e 95 senatori eletti dai consigli regionali: questa nuova camera
perderebbe pero buona parte dei suoi attuali poteri compreso il voto sulla ducia al
governo, per concentrare la sua attività sulle leggi che interessano il sistema delle
autonomie.
Spesso ii testi costituzionali utilizzano tecniche di enumerazione formalmente simili
per denire le sfere d’0azione di stato centrale ed enti decentrati, ma raramente
spiegano attraverso l’enumerazione materiale stessa la dinamica istituzionale che
innescano, dandola invece per presupposta ovvero descrivendola altrove nel testo
costituzionale: cogliere le dinamiche di ciascun ordinamento è il principale esercizio
del moderno costituzionalismo e della moderna politologia. Le dinamiche istituzionali
che scaturiscono dalle costituzioni a struttura decentrata si possono distinguere in due
possibili processi:
• Una dinamica centralizzatrice, ecacemente descritta da Carl Friedrich nella sua
nozione di Federalizing process. Nozione costruita sulla base dell’evoluzione del
federalismo statunitense, per cui la costituzione istituisce una nuova entità che
tende ad unicare ciò che in passato era diviso, pur senza mai eliminare del tutto la
struttura decentrata dell’ordinamento;
• Una dinamica decentralizzatrice, per cui la costituzione istituisce nuove entità
dividendo ciò che era accentrato o solo anticamente diviso: è il caso tipico dell’Italia.
E’ evidente come nei due modelli le dinamiche istituzionali e politiche risultino
opposte: altro è separare ciò che prima era unito e dunque smantellare
progressivamente un centro; altro ancora è costruire un centro che più o meno
gradualmente si aanchi alle singole sovranità degli stati che si federano.
A partire dal secondo dopoguerra del secolo scorso, nello stato ormai divenuto
“pluriclasse”, interventista nell’economia e tendenzialmente “sociale”, si è peraltro
sviluppata una forma di decentramento politico territoriale detta “cooperativa”: in tutti
i federalismi ed i regionalismi contemporanei la maggioranza delle politiche pubbliche
richiede un maggior o minor grado di collaborazione o cooperazione tra i vari livelli di

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governo. L’eetto pratico di questa evoluzione è che processi di decentramento
niscono per convergere in questo modello cooperativo, la cui caratteristica saliente è
l’esistenza di una pluralità di livelli di governo e la necessità che tali livelli cooperino
tra loro per il raggiungimento degli obiettivi di interesse generale.
Occorre tenere presenti almeno due caratteri comuni di questo modello cooperativo di
decentramento:
1. La sempre maggiore centralità degli studenti di raccordo tra i vari livelli di governo
nella concreta denizione delle relazioni tra stato centrale ed enti decentrati ha
progressivamente mutato la natura dell’autonomia. Questa centralità del sistema
dei raccordi ha fatto sorgere, negli Stati Uniti, n dagli anni cinquanta, la teoria
delle c.d. Political Safeguards of Federalism, secondo la quale la vera garanzia
costituzionale del federalismo consiste nella capacità degli stati membri di
indirizzare e condizionare in senso federale le politiche della federazione medianti
gli strumenti che consentono agli stati di partecipare all’elezione presidenziale, alle
scelte del presidente in ordine alle alte cariche federali e di giustizia, alla funzione
legislativa mediante il ruolo del Senato. Nel costituzionalismo europeo è facile
individuare forme assai “razionalizzate” di simile tendenza, come il Bundesrat
(governo tedesco o austriaco).
4. Le prezzi cooperative, istituzionalizzate o meno che siano, sono relazionali,
processuali, e come tali esaltano il ruolo degli esecutivi di vari livelli di governo a
danno dei parlamenti, dei consigli, ed in generale della democrazia assembleare,
che per struttura e modalità d’azione, ha scarse o nulle capacità relazionali; vi è
dunque una stretta relazione tra crisi dei parlamenti e assetto “multilivello” del
potere.

Assetto “multilivello” dell’ordinamento:


Proprio la materia dell’economia, il governo dell’economia e del mercato, costituisce
un ideale punto di osservazione per vericare le trasformazioni subite dalla sovranità
ed il signicato che il termine “multilivello” assume in tale contesto. La trasformazione
in atto si percepisce se si osserva l’evoluzione dello stato moderno: nella sua versione
accentrata o nella versione federale lo stato liberale costituiva un grande sforzo di
riduzione ad unità del potere: la sua funzione sovrana si esprimeva nell’equazione uno
stato=un popolo. L’interventismo nell’economia ha consentito uno sviluppo economico
impressionante ed un’altrettanta impressionante crescita delle relazioni economiche
internazionali; questa evoluzione ha favorito l’imporsi di organizzazioni internazionali
che tuttavia non hanno modicato, quantomeno nelle ricostruzioni teoriche
occidentali, l’idea che la sovranità di ciascun stato “nazionale”, accentrato o
decentrato, fosse rimasta intatta. Dunque i fenomeni di globalizzazione realizzati

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mediante le organizzazioni internazionali venivano ricondotti al diritto internazionale, il
quale veniva quindi concepito come diritto riservato agli stati. La cultura giuridica è
profondamente “stato-centrica”: le costituzioni dei principali paesi europei, e tra
queste la Costituzione italiana, sono state scritte e pensate in un contesto politico e
istituzionale in cui lo stato costituiva l’unità di misura prevalente se non esclusiva
dell’ordine politico ed economico mondiale. Gli ultimi due decenni del secolo scorso
hanno scosso e trasformato un ordine mondiale, derivante dalla divisione del mondo in
due blocchi dominati ciascuno da una “superpotenza”, che sembrava ormai
cristallizzato, determinando una nuova situazione che i politologi deniscono in genere
“policentrismo” o multipolare proprio per sottolineare la dicoltà di individuare un
centro ed un conseguente ordine caratteristici del nuovo e conseguente assetto delle
relazioni internazionali. “policentrismo” è un termine polisemico, che trae origine da
un concetto diuso dall’urbanistica anglosassone, per descrivere l’integrazione di più
unità che si organizzano complessivamente svolgendo ciascuna attività
complementari e si contrappone questa gura a quella di “multipolarità”, intesa come
la dispersione sul territorio delle funzioni tipiche di un’antica centralità perduta.
Altri fattori hanno poi accelerato la trasformazione dell’economia, dominata da quello
che è stato chiamato processo di globalizzazione. A determinare tale fenomeno hanno
contribuito molteplici circostanze: la graduale liberalizzazione dell’economia;
l’irrompere sulla scena di nuove potenze economiche aventi altissimi tassi di crescita
(BRICS); l’estrema dicoltà a realizzare ecaci forme di controllo del capitale
nanziario. Il processo di integrazione europea di è in qualche modo inserito nel vuoto
di potere generato dalla ne dei due blocchi politici mondiali intorno alla ne degli
anni ’80, ed è stato scandito da un crescendo impressionante di accordi volti ad
incrementare l’originario “mercato comune” sorto nel 1957: dall’Atto unico Europeo
agli accordi di Maastricht no all’introduzione dell’euro, ai vari tentativi di
“costituzionalizzare” i trattai europei. L’introduzione dell’euro, consistente nella III fase
della politica di unione economico e monetaria prevista dagli accordi di Maastricht, è
un tipico esempio di politica pubblica di “lungo termine”. L’euro è entrato in vigore il 1
gennaio 2002, a distanza di oltre dieci anni dalla decisione relativa alla sua istituzione.
A fronte dell’inasprirsi della crisi economica e nanziaria globale, questo sistema di
garanzia della stabilità economico-nanziaria dell’UE e dei suoi SM è stato di recente
incrementato da misure volte a rendere sempre più penetrante il controllo delle
autorità europee sulle economie nazionali e sulla spesa pubblica, al ne di costringere
gli stati a rispettare i parametri macroeconomici, più o meno arbitrari ma comunque
costituenti il sistema di riferimento diretti a garantire la stabilità della moneta unica e
del cambio tra di essa e le monete nazionali. Si tratta di una complessa serie di
misure, alcune riguardanti tutti i paesi UE, altre solo ai 17 paesi della c.d. eurozona.

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Alcune sono dirette ad implementare il Patto di stabilità e crescita del 1997 e a
raorzare i poteri di controllo e sorveglianza UE sui bilanci degli SM e ad assicurare i
conseguenti correttivi. Si tratta delle misure delle c.d. Six pack e del successivo Two
Pack. Altre misure sono invece dirette all’assistenza dei paesi UE in dicoltà
nanziaria a causa del loro eccessivo debito sovrano: si tratta dell’european Financial
stabilization mechanism (regolamento UE 407/2010). L’insucienza di tali interventi
ha fatto evolvere quest’ultima misura d’emergenza in un trattato stabile, lo European
Stability Mechanism (8 ottobre 2012) dotato di un capitale di oltre 700 miliardi di euro
che ha dato luogo a varie pronunce di corti supreme circa la sua ammissibilità in sede
di recepimento. Ma il trattato dell’Eurozona che ha fatto certamente discutere è il
Treaty on Stability, Coordination and Governance del 2 marzo 2012, noto come Fiscal
Compact: tra le varie misure in esso previste vi è senza dubbio quella che li vincola ad
introdurre nell’ordinamento interno la c.d. Golden Rule che ha costretto tutti i paesi
membri ad importanti revisioni costituzionali.
Gli aiuti ai paesi UE non riescono a far fronte al rinnovo periodico di tale debito:
Irlanda, Portogallo e Grecia sono stati oggetto di aiuti condizionati all’adozione di
durissime politiche di ridimensionamento della spesa pubblica interna, con gravi
ripercussioni sugli equilibri politici e sociali interni. I riferir istituzionali di questo
processo di globalizzazione sono sotto gli occhi di tutti: il mondo del XXI secolo appare
sempre più policentrico o multipolare degli stati e sei soggetti istituzionali all’interno di
ciascun stato, non sono più congurabili come scelte autonome, individuali, che
esprimono l’esclusività della sovranità o la maggior o minor autonomia poiché sono
condizionate da una molteplicità di fattori esterni che sfuggono al controllo dei singoli
stati o comunque dei singoli decisori.
La globalizzazione non ha signicato maggior omogeneità sociale ed economica tra i
vari paesi e tra aree territoriali interne ai singoli paesi; se alcuni macro-indicatori
dimostrano che le condizioni complessive dell’umanità sono migliorate rispetto ad un
decennio o due or sono, il divario tra paesi ricchi e paesi poveri ed il divario tra aree
ricche e povere all’interno di ciascun paese risultano accresciuti. Certamente essa ha
comportato quello che gli economisti chiamano eetto di “territorializzazione
dell’economia”. In questo “spazio giuridico globale” (nozione data da Cassese secondo
qui corrisponde ad un ordinamento giuridico, fondato sulla cooperazione, si legittima
mediante il diritto che non si fonda sul consenso popolare) lo stato nazionale appare
sempre più eroso, nella sua sovranità, sia verso l’alto, dall’azione degli organismi
internazionali funzionali, sia verso il basso, dal sistema delle autonomie territoriali e
funzionali, esaltato dai successi limitati ma non meno signicativi delle politiche di
sviluppo locale.

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L’economia europea è ormai pressoché interamente disciplinata dall’UE, ma l’Europa
funziona e si muove soprattutto mediante accordi intergovernativi, quindi secondo una
logica completamente diversa da quella verticale, gerarchica, della rappresentanza
politica ottocentesca e novecentesca. E’ dunque uno spazio giuridico globale in forte
movimento che si muove tuttavia in forme poco istituzionalizzate, che sfuggono al
controllo dei governi statali e degli stessi organismi istituzionalizzati, preferendo
spesso organizzarsi in forme leggere e essibili: in mancanza di un’autorità politica
globale, i governi statali sono stati in grado di esprimere solo frammenti di governo,
capaci di intervenire su alcuni proli settoriali di questo spazio, ma gli organismi
internazionali fondati sulla tradizionale cooperazione tra stati non sembrano ancora in
grado di assicurare un governo globale dell’economia che sia in qualche modo
riconducibile a circuiti politici democratici.

Il paradosso della globalizzazione:


La globalizzazione dell’economia non ha condotto alla cancellazione delle forme di
decentramento su base territoriale, e il governo dell’economia costituisce un punto di
vista particolarmente interessante per analizzare e vericare siatta tendenza. La
grande novità istituzionale degli anni ’90 un po’ in tutta Europa è infatti consistita
nell’imprevedibile riscoperta delle autonomie territoriali nel quadro della progressiva
perdita di sovranità degli stati nazionali a benecio delle istituzioni comunitarie e
sovranazionali. La globalizzazione dell’economia ha posto le autonomie territoriali
nanzia ad un nuovo fenomeno, la competizione tra territori: il rapporto diretto tra UE
e le autonomie, l’accesso di tipo concorsuale e più selettivo agli stesi fondi di
investimento statali, la necessità di creare prima di tutto in sede locale le condizioni
per attrarre le nuove opportunità di sviluppo e di investimento privato sul proprio
territorio hanno posto il tema delle politiche di sviluppo d’area come il problema
centrale delle politiche pubbliche locali. La capacità di fare “sistema”, di orire
occasioni di insediamento alle attività produttive, di mettere in rete le risorse del
territorio per aumentarne la capacità di attrazione e di competizione sono diventati i
decisivi fattori di crescita del territorio e le nuove sde del governo locale.
Questa situazione ha prodotto una profonda trasformazione politico-istituzionale che
risulta più facilmente percepibile se si guarda non tanto alle regioni quanto al sistema
delle autonomie locali. Le successive metafore intendono segnalare il senso della
trasformazione dell’autonomia in generale, con riferimento a tutti i suoi possibili
ambiti, territoriali e funzionali, con particolare riferimento all’economia:
• Ente ordinamento: tracciato dalla legge 142/1990 dove vi è la logica classica in cui
l’ordine imposto dal centro si irradia verso la periferia secondo una logica
gerarchica, che viene riprodotta nella stessa struttura organizzativa dell’ente.

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Minima preoccupazione è data ai risultati, all’ecacia delle azioni poste in essere,
alla soluzione dei problemi reali: si introducono anche elementi di modernizzazione,
ma l’intera costruzione dell’autonomia è dominata dal principio di legalità, quasi che
fosse suciente scrivere dei buoni statuti per avere dei buoni regolamenti e dei
buoni atti amministrativi e risolvere così l’intera gamma dei problemi di ciascuna
collettività. La stazione di riforme della rappresentanza, che si aprì nel 1993, ha
modicato profondamente il quadro, con l’avvento della “democrazia di
programma” e “di risultato”;
• Ente azienda: nalizzazione di tutti gli elementi in vista di un progetto, di un
programma che ha vinto la competizione elettorale e che vede uniti la maggioranza
del corpo elettorale, le forze politiche e il capo dell’amministrazione ma anche
l’amministrazione burocratica, nella sua realizzazione. Indubbiamente, almeno nei
comuni più grossi, nella seconda metà degli anni Novanta gli apparati comunali sono
stati oggetto di una profonda modernizzazione, che ha fatto intravedere se non
l’utopia di Guido Melis, almeno le potenzialità di un’amministrazione innovata
nell’organizzazione, nella struttura, nel modo di operare.
• Rende bene il punto di arrivo di questa evoluzione l’idea di “sistema”, ossia l’ente
proiettato verso il suo territorio, verso gli altri soggetti pubblici che vi operano, per
realizzare forme di amministrazione integrata e verso i soggetti privati per realizzare
concertazione e comunque per coinvolgerli nei processi di sviluppo. Il concetto di
sistema spiega bene anche la trasformazione cui è stata assoggettata la sovranità, il
potere e la necessità che governo oggi signichi soprattutto uno sforzo di
integrazione di quella frammentazione dei poteri, di quella diusione del potere che
costituisce il più evidente risultato dei processi di globalizzazione. Un potere diuso,
reticolare o matriciale, che si risolve nel suo contrario, che si può tentare di
governare solo se ed in quanto si riesca a ricomporlo attraverso un’attività che è
soprattutto di rapporto e di accordo. La sovranità reticolare, o a rete altro non
intende se non la capacità di qualcuno di tenere uniti molteplici soggetti, in genere
sia pubblici che privati, grazie alla condivisione di uno o più obiettivi di azione
comune.

Ricomporre il governo dell’economia. Who governs?


E’ dunque dicile rispondere alla domanda retorica di Robert Dahl: “who governs?”
Tanto più se la si riferisce al mercato, al diritto dell’economia. Specie in ambito globale
e sovranazionale il sistema matriciale di sovranità tende a rendere obsolete alcune
forme tipiche di manifestazione del potere. In un sistema a sovranità reticolare e
diusa non essendoci un centro non c’è nemmeno un alto e un basso e non c’è un
“alto” che scrive le regole per il “basso”; infatti le regole si scrivono mediante linee

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orizzontali di relazione. I livelli istituzionali di governo in Europa sono mediamente
cinque: Comunità e unione europea, stato nazionale, regione o stato membro,
provincia o comune. Nel modello “cooperativo” di decentramento l’azione complessiva
dei pubblici poteri in ciascuna “materia” costituisce la risultante degli interventi di
ciascun “livello” di governo ed è condizionata dal tipo di funzione che ciascun livello
esercita e dalla sua capacità di coordinarsi con gli altri livelli, dalla sua capacità
relazionale; con l’ulteriore conseguenza che, in ciascuna materia, divengono decisive
non solo le funzioni legislative e regolative, ma anche quelle amministrative, allocative
di risorse, programmatore e scali che possono essere variamente ripartite tra i vari
livelli di governo. Le costituzioni europee danno un’immagine non del tutto fedele alla
realtà, poiché costruiscono gli ambiti di competenza di stato, regioni ed enti locali
dando per presupposta l’esclusività della sovranità statale e dunque la capacità della
costituzione statale di ripartire una determinata “materia” tra i vari libelli di governo
assumendo come completa ed esaustiva la propria sovranità. L’economia è comunque
assoggettata alla comunità, lo dimostra l’art. 117 Cost. , il quale utilizza un sistema di
ripeto a base “tripartita” o “ternaria”: materie attribuite alla competenza esclusiva
dello stato; materie adate alla competenza concorrente di state regioni; materie di
competenza esclusiva regionale. Il riparto delle funzioni amministrative si dovrebbe
concretizzare nella ristesura della legislazione statale sull’ordinamento locale e su una
serie di leggi regionali di trasferimento o attribuzione delle loro funzioni ispirate alla
logica della sussidiarietà verticale sancita al primo comma dell’art. 118 Cost; lo stesso
è a dirsi per le questioni attinenti al riparto del potere impositivo, oggetto di una
riforma (legge delega n. 42/2009, recante il c.d. federalismo scale) che appare
epocale nelle intenzioni e negli obiettivi.
Andando a ricercare nel testo dell’art. 117 l’enumerazione delle materie rilevanti per il
governo dell’economia si ottiene:
- “e”: moneta, tutela del risparmio dei mercati nanziari, tutela della concorrenza,
sistema valutario, sistema tributario e contabile dello stato;
- “q”: dogane;
- “r”: opere dell’ingegno;
- Commercio con l’estero;
- Trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
- Casse di risparmio, casse rurale e aziende di credito a carattere regionale;
- Enti di credito fondiario a carattere regionale.
L’esistenza di tali vincoli alla legislazione state è sintetizzata in una breve formula
inserita nel primo comma dello stesso articolo secondo cui “la potestà legislativa è
esercitata dallo stato e dalle regioni nel rispetto della costituzione, nonché dei vincoli

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derivanti dall’ordinamento comunitario”. Questi vincoli hanno in concreto operato un
pre-svuotamento, una vera e propria Preemption (nell’evoluzione del federalismo
statunitense, la corte suprema ha ritenuto che in forza della c.d. Supremacy Clause le
leggi federali, per espressa volontà, abbiano ecacia abrogativa delle leggi statali)
delle competenze legislative regionali e statali, le quali in talune materie hanno
addirittura perso qualsiasi capacità di adattamento del diritto comunitario al diritto
interno, essendo integralmente disciplinate da regolamenti comunitari assai
dettagliati.
Se la competenza legislativa costituisce, dopo la costituzione, la massima espressone
della sovranità statale, allora viene da dire che questa sovranità appare assai limitata.
Il diritto comunitario è in forte e continua espansione materiale, avvalorata da un
orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia tutt’altro che comprensivo delle
ragioni degli stati e disciplina l’interna economia di mercato europea e sta
conquistando spazi sempre più ampi nelle politiche economiche e scali. Né le funzioni
legislative né quelle regionali sono tecnicamente qualicabili come “esclusive”, stante
la presenza di un diritto comunitario che ne condiziona positivamente il contenuto,
sino ad annullarne completamente la possibilità materiale di esistenza ove di tratti di
regolamenti o di direttive ad eetto diretto.
Due osservazioni:
• La reazione degli ordinamenti federali e regionali dinanzi alla crisi nanziaria ed
economica degli ultimi anni: mentre in alcuni paesi sono state introdotte riforme
costituzionali dirette ad accrescere l’autonomia dei Lander, sia pur in un quadro di
attenta stabilità nanziaria, nell’Europa del Sud la crisi nanziaria ha indotto lo stato
centrale ad accrescere il peso del centro rispetto al sistema dell’autonomia. Nel
nostro paese, nell’ambito della riforma della seconda parte della Costituzione, il titolo
V verrebbe profondamente modicato con l’abolizione delle province, ma anche e
soprattutto con un nuovo riparto di competenze tra stato e regioni che vede la
scomparsa delle ipotesi di competenza legislativa concorrente ed un decisivo
raorzamento delle materie di competenza esclusiva statale;
• Negli ultimi anni alcuni stati europei hanno vissuto forti tensioni politiche e
istituzionali in ragione dell’acuirsi di particolarismi territoriali e della radicalizzazione
di conitti etnico linguistici. In qualche caso si tratta di vicende risalenti nel tempo
cui si era convinti di aver dato risposta e soluzione nell’ambito dei rispettivi
ordinamenti costituzionali mediante forme asimmetriche e dierenziate di autonomia
mentre in qualche altro caso di tratta di problemi nuovi.
Queste vicende nel loro complesso hanno evidenziato la fragilità degli stati nazionali
contemporanei e reso esplicita l’esistenza, accanto alle spinte centripete indotte, dal

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processo sovranazionale europeo, di spinte centrifughe che hanno raggiunto il
culmine, no a prospettare la rottura dell’unità politica.
La crisi economica e le incertezze circa il futuro dell’Europa e della stabilità nanziaria
dei suoi SM, interagiscono con la crisi dei sistemi politici nazionali e danno luogo a
forme di vero e proprio “egoismo scale” dei singoli enti decentrati. I movimenti
politici di protesta vedono sempre più spesso contrapposte regioni “datrici” e
“prenditrici” sotto il prolo scale e nanziario, determinando un conitto latente che
sta all’origine di buona parte delle tensioni politiche e istituzionali di cui si sta
discutendo.
Se i costituzionalismi nazionali non sono in grado di dare una risposta democratica alle
politiche di bilancio o ai movimenti indipendentisti e secessionisti, non è corretto dire
che non esiste una risposta del costituzionalismo a tali questioni. In questo senso è
forse giusto iniziare a prospettare una soluzione, democratica e costituzionale,
europea, per quelle questioni che la democrazia nazionale non è in gradi di risolvere,
nella condizione che in una dimensione europea anche tallio questioni possono trovare
una risposta costituzionale che non trovi più ostacoli insormontabili negli egoismi locali
e nazionali.

FINANZA PUBBLICA

Introduzione:
Nel lessico giuridico italiano i termini di “contabilità” e “contabile” hanno fatto
ingresso per adattamento dei termini francesi “comptabilitè” e “comptable”. Zaccaria
rileva che nell’ordinamento amministrativo francese “comptabilitè” non signicava
scritturazione in termini numerici, ma “responsabilità nel maneggio o negozio di aari
economici” e “comptable” non indicava colui che tiene o fa i conti ma colui che
avendo il maneggio di denaro ne è responsabile. A quel tempo, con l’espressione
“contabilità di stato” si indicava un complesso di norme sulla nanza pubblica relative
al bilancio, alla disciplina delle entrate e delle uscite, ai controlli, alla responsabilità
degli agenti contabili. Essa di riferiva alla disciplina che cerva di enucleare principi e
regole che assicurassero nella gestione nanziario dello stato quelle garanzie obiettive
che erano una delle più importanti conquiste del secolo.
Progressivamente, nella gestione delle risorse pubbliche allo stato si sono aggiunti altri
soggetti, ciascuno caratterizzato da ordinamento contabili; di qui la trasformazione
della “contabilità di stato” in “contabilità pubblica” e le conseguenti esigenze di
coordinamento della nanza pubblica e di armonizzazione dei sistemi contabili. Oggi lo
stato è inserito in un sistema di poteri a vario titolo sovrani, alcuni dei quali coordinati,
altri sopra-ordinati. Di qui il doppio vincolo cui soggiace lo Stato: uno dall’alto, ossia da

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parte degli organismi internazionali ai quali ha ceduto parte della propria sovranità;
l’altro dal basso da parte dei soggetti esistenti al suo interno a favore dei quali ha
rinunciato ad esercitare una serie di poteri prima svolti a livello centrale. Dunque, il
bilancio dello stato continua a rivestire una notevolissima importanza. Oggi per
contabilità pubblica s’intende la disciplina che si occupa dell’attività di acquisizione,
conservazione e impiego delle risorse da parte delle amministrazioni pubbliche,
dell’insieme delle procedure di formazione dei documenti di bilancio nonché dei
relativi criteri di contabilizzazione e controllo delle operazioni.
La fonte primaria della contabilità pubblica è la Costituzione. Tra le disposizioni
costituzionali risultano fondamentali, oltre alle previsioni di cui all’art. 81 in materia di
bilancio dello stato e al successivo art. 119 sul coordinamento della nanza pubblica,
un insieme di altre disposizioni generali che disciplinano i limiti e i vincoli dell’attività
nanziaria pubblica, del prelievo tributario e dei necessari e connessi controlli. Si ha,
quindi, l’art. 23 sul principio di legalità, in base al quale nessuna prestazione personale
o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge; l’art. 53 sul principio di
capacitò contributiva e sulla progressività del sistema tributario; l’art. 97 sul buon
andamento e l’imparzialità dell’amministrazione pubblica; l’art. 100 comma 2 sui
controlli esercitati dalla corte dei conti, quale quello preventivo di legittimità sugli atti
del governo e quello successivo sulla gestione del bilancio dello stato; l’art. 103,
comma 2, sulla giurisdizione della corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica
e, inne, l’art. 117 sulla capacità legislativa delle regioni. Assumono notevole
importanza la legge 31 dicembre 2009 n. 196 recante “legge di contabilità e nanza
pubblica” e la legge 24 dicembre 2012, n. 243 recante “Disposizioni per l’attuazione
del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81 sesto comma della
Costituzione”.
Il processo di integrazione europea e le regole sulla nanza pubblica:
Nel secondo dopoguerra gli stati europei hanno avviato forme di integrazione sempre
più stringenti, nell’intento da un lato di evitare nuovi e sanguinosi conitti e di favorire
lo sviluppo economico e sociale del vecchio continente.
Le tappe fondamentali di questo processo di integrazione sono sostanzialmente
quattro:
1. Sottoscrizione avvenuta nel marzo 1957 del trattato di Roma che ha istituito la
Comunità economica europea (CEE), nel 1968 i paesi sottoscrittori hanno dato vita
ad un’unione doganale, ossia ad un’area contrassegnata dalla libera circolazione
delle merci all’interno e dall’applicazione di una taria comune sulle importazioni
del resto del mondo;

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5. Creazione nel marzo 1979 del sistema monetario europeo (SME). Si trattava di un
accordo tra i paesi della CEE che ssava precisi limiti di uttuazione dei cambi delle
valute nazionali attorno alla parità centrale;
6. L’adozione, nel febbraio 1986, dell’Atto Unico Europeo, il cui obiettivo primario era
la costituzione di un’unione economica tra i paesi comunitari, cioè di un mercato
libero nella circolazione dei beni, dei servizi, delle persone e dei capitali nonché da
un elevato grado di armonizzazione delle politiche economiche nazionali. Nel 1993
la CEE si è trasformata in Unione Europea (UE);
7. Emissione, avvenuta il 1° gennaio 2002, delle banconote e monete in euro.

Il trattato di Maastricht:
Il primo consistente intervento europeo in materia nanziaria è rappresentato dal
trattato sull’Unione europea (TUE), rmato a Maastricht il 7 febbraio 1992. Il trattato
ha disciplinato la nanza pubblica degli SM indicando le nalità, dettando le regole per
la disciplina e la mutua sorveglianza delle politiche scali nazionali e stabilendo le
procedure da attivare nel caso in cui un paese registri un disavanzo eccessivo.
Le norme generali sono contente nell’art. 2 secondo cui la Comunità deve promuovere
“una crescita sostenibile, non inazionistica”; nell’art. 3 A, paragrafo 3, secondo il
quale gli statti membri devono rispettare il principio direttivo di “nanze pubbliche
sane” e nell’art. 109 J, che dispone “la sostenibilità della situazione della nanza
pubblica; questa risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non
caratterizzata da un disavanzo eccessivo”. Il divieto di disavanzi pubblici eccessivi è
espressamente stabilito dall’art. 104 C del trattato. Per stabilire se i disavanzi pubblici
sono eccessivi si pongono in rapporto indebitamento netto e debito pubblico con il
prodotto interno lordo, secondo parametri indicati nel “protocollo sulla procedura per i
disavanzi eccessivi”. Per “indebitamento netto” (decit) si intende il saldo globale del
conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche, pari alla dierenza tra
tutte le entrate e tutte le spese da indicare in tale conto, mentre per “debito pubblico”
si intende le passività del settore pubblico derivanti dal necessario nanziamento del
disavanzo costituite da titoli a medio e lungo termine, emessi dal Ministro
dell’economia e delle nanze, collocati sul mercato e dagli interessi che, alla scadenza,
dovranno essere pagati a coloro che hanno acquistato i titoli. Il Protocollo sulla
procedura per disavanzi eccessivi stabilisce che i valori di riferimento devono essere
un rapporto tra disavanzo pubblico e PIL non superiore al 3% e un rapporto tra debito
pubblico e PIL non superiore al 60% oppure in “diminuzione sostanziale e continua
verso il valore di riferimento”.

Patto di stabilità e crescita:

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Al trattato di Maastricht si è aggiunto, nel 1997, quello di Amsterdam, con il quale
l’Unione europea, anche in conseguenza dell’entrata in funzione dell’euro, è andata
oltre il divieto di disavanzi eccessivi, stabilendo obiettivi più severi di quelli indicati nel
citato “protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi”. La ragione di una simile
scelta è quella di scongiurare che venga ad allentarsi la disciplina seguita dagli SM in
materia di bilancio. Questi obiettivi sono indicati dal patto di stabilità e crescita (PSC),
contenuto nei due regolamenti del consiglio nn. 1466 e 1467 del 1997 e in una
risoluzione del Consiglio europeo. Con l’adesione al PSC, gli SM si impegnano a
raggiungere un bilancio in pareggio o prossimo al pareggio fuorché nel periodo di
recessione economica.
Il PSC prevede essenzialmente misure preventive, volte ad evitare che i paesi
partecipanti alla zona euro facciano registrare disavanzi eccessivi e richiede agli SM il
contenimento del debito pubblico. Esso prevede l’instaurazione di un sistema di
allarme preventivo che comporta una rigorosa sorveglianza delle posizioni di bilancio
dei paesi, e una serie di disposizioni dissuasive, nella forma di sanzioni nanziari, le
quali assumono la forma di un deposito infruttifero costituito presso la Commissione e,
qualora il paese sia stato in grado di sanare la situazione entro due anni, il deposito gli
viene rimborsato; in caso contrario il deposito verrà convertito in un’ammenda
denitiva. Le multe vengono applicate soltanto dietro delibera del consiglio e possono
essere sospese se il decit eccessivo è stato causato da circostanze “eccezionali e
temporanee”, come una grave recessione. L’applicazione del patto di è rivelata
Problematica nel 2002 quando i due principali paesi della zona euro, ossia Germania e
Francia, hanno cominciato a registrare disavanzi superiori alla soglia massima
consentita. La vicenda è stata risolta dalla corte di giustizia (13 luglio 2004 C. 27/04)
che si è pronunciata relativamente alle ripartizioni di competenze tra Consiglio e
Commissione.
Il PSC è stato successivamente modicato. Nel 2005 due regolamenti del Consiglio, n.
1055 e 1056/2005 del 27 giugno, hanno raorzato il ruolo preventivo della
commissione nei procedimenti di decit eccessivo ma allentato i criteri della sua
azione, in quanto bisogna tenere in considerazione le riforme strutturali intraprese dai
pesi nel contesto della sorveglianza sul bilancio, e valutare quindi caso per caso se il
decit superiore al 3% possa dirsi eccessivo o meno. Agli stati sotto esame per decit
eccessivo sono stati concessi 6 mesi per iniziare ad intraprendere le misure necessarie
a un anno di tempo per rientrare nei limiti stabiliti.
Nel settembre del 2011, su proposta della commissione, il PE e il Consiglio hanno
adottato un pacchetto di sei misure legislative in materia economico-nanziaria (six
pack) per riformare la governance economica europea e introdurre regole più
stringenti sulla sorveglianza, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici

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per stimolare la crescita, la competitività e l’occupazione. Vanno in questa direzione le
disposizioni che raorzano sia i meccanismi preventivi sia i meccanismi correttivi del
PSC.
Per quanto riguarda il volet preventivo del PSC, la recente modica del regolamento
(CE) n. 1466/1997 presenta molteplici novità:
• Si introduce il c.d. “semestre europeo”, nel cui quadro il consiglio esercita la
sorveglianza multilaterale e nel cui contesto verranno elaborati e valutati gli indirizzi
di massima per le politiche economiche, gli orientamenti in materia di occupazione, i
programmi di stabilità o i programmi di convergenza e verrà eettuata la
sorveglianza di bilancio volta a prevenire e correggere gli squilibri macroeconomici
eccessivi;
• Viene introdotto il nuovo concetto di “politica di bilancio prudente”: ogni SM avrà un
obiettivo di bilancio a medio termine che dovrà tendere al saldo o prossimo al
pareggio o in attivo. Il Consiglio esaminerà, nell’ambito della sorveglianza
multilaterale di cui all’art. 121 TFUE, gli obiettivi di bilancio a medio termine
presentati dagli SM nei rispettivi programmi di stabilità e valuterà se il percorso di
avvicinamento verso l’obiettivo di bilancio a medio termine sia adeguato,
considerato anche il rapporto debito/PIL;
• Qualora il percorso di avvicinamento non sia adeguato la Commissione potrà
rivolgere un avvertimento allo stato interessato conformemente all’art. 121, par. 4
del TFUE. Successivamente, il Consiglio potrà adottare una raccomandazione sugli
interventi da adottare.
Per quanto riguarda il volet correttivo del PSC, la recente modica del regolamento
(CE), n. 1467/1997 apporta chiarimenti alla procedura per disavanzi eccessivi ai ni di
una sua accelerazione e maggiore ecacia. La riforma di concentra sull’andamento
del debito che dovrà essere monitorato con più rigore e trattato alla stessa stregue
dell’andamento del disavanzo ai ni dell’adozione delle decisioni nel quadro della
procedura per disavanzi eccessivi. Gli SM il cui debito supera il 60% del PIL dovranno
adottare misure per ridurlo ad un ritmo adeguato, denito come una riduzione negli
ultimi 3 anni di almeno un ventesimo all’anno rispetto all’eccedenza. Nel corso della
procedura per disavanzo eccessivo e ai sensi dell’art. 126, par. 11 del TFUE, il
Consiglio potrà comminare allo stato in disavanzo eccessivo una ammenda costituita
da un elemento sso pari allo 0.2 del PIL e da un elemento variabile.

Il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sul governare dell’UEM:


A seguito dell’aggravarsi della crisi economica si è proceduto ad una ulteriore
limitazione della capacità decisionale degli SM dell’Unione in materia di politiche
economiche e di bilancio. Ciò è avvenuto soprattutto per mezzo del trattato sulla

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stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria
(TSCG), generalmente noto come “Fiscal Compact” o anche “patto di bilancio”. Il Fiscal
Compact è stato sottoscritto a Bruxelles il 2 marzo 2012 da 25 paesi membri dell’UE,
ad eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca, ed è entrato in vigore il 1 gennaio
2013. Il trattato non è stato sottoscritto dai rappresentanti di Regno Unito e
Repubblica Ceca in quanto essi hanno preferito non assumere gli stringenti impegni
che esso prevede e si sono riutati di privarsi di determinati margini di manovra,
facendo raggiungere all’integrazione in tale campo uno stadio che essi giudicano
troppo avanzato. L’obiettivo del trattato in questione è quello di, ai sensi del suo art. 1,
“raorzare il pilastro economico dell’UEM adottando una serie di regole intese a
rinsaldare la disciplina di bilancio attraverso un patto di bilancio, a potenziare il
coordinamento delle loro politiche economiche e a migliorare la governance della zona
euro, sostenendo in tal modo il conseguimento degli obiettivi dell’UE in materia di
crescita sostenibile, occupazione, competitività e coesione sociale”.
Le regole fondamentali del Fiscal Compact sono essenzialmente tre:
I. Impone agli SM che i propri bilanci siano in pareggio o in avanzo. Il rispetto di tale
obbligo si verica quando il “saldo strutturale annuo” (saldo corretto per il ciclo al
netto di misure una tantum e temporanee) della pubblica amministrazione è pari
all’obiettivo di medio termine specico per il paese, quale denito nel PSC rivisto
con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0.5% del PIL. Per i paesi il cui
rapporto tra debito pubblico e PIL è inferiore al 60% e i rischi sul piano delle
sostenibili a lieto termine sono bassi, il decit strutturale è ammesso no all’1% del
PIL;
III. Nel caso di superamento del valore di riferimento del 60% nel rapporto tra debito
pubblico e PIL, la parte contraente dovrà procedere alla riduzione del disavanzo ad
un ritmo medio di un ventesimo all’anno;
IV. Quando si evidenziano deviazioni signicative dall’obiettivo di medio termine
stabilito o dal percorso di avvicinamento ad esso, salvo “circostanze eccezionali”
(eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che
abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione nanziaria della pubblica
amministrazione oppure periodi di grave recessione economica ai sensi del PSC), è
attivato automaticamente il meccanismo di correzione con l’obbligo del paese
interessato di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo
denito.
Le disposizioni contenute nel trattato devono obbligatoriamente essere introdotte
all’interno degli ordinamenti degli SM, preferibilmente con legge costituzionale.
Alla Commissione è assegnato il compito di controllare l’osservanza di questi
adempimenti. Se essa ritiene che lo stato abbia violato il criterio del disavanzo nel

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quadro della procedura dei disavanzi eccessivi, una o più parti contraenti possono
adire la corte di giustizia dell’UE. La sentenza delle Corte di Giustizia è vincolante per
le parti del procedimento. Ove quest’ultima resti inattuata, la Corte può comminare
sanzioni nanziarie a titolo di penalità dino allo 0.1% del PIL.

L’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Costituzione:


L’art. 81 Cost. Contiene le regole fondamentali in materia di nanza pubblica. Tale
disposizione è stata integralmente nocella dalla legge costituzionale del 20 aprile 2012
n. 1 recante “introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale”, entrata in vigore l’8 maggio 2013 dopo essere stata approvata dai due
terzi dei componenti del parlamento. La carta costituzionale dunque cerca di adattarsi
alle regole a livello comunitario, in particolare al “patto euro plus” (sottoscritto nel
marzo 2011, impegna gli stati dell’area euro e alcuni altri SM dell’UE ad assumere
l’obbligo di recepire nelle costituzioni o nella legislazione nazionale le regole del PSC) e
il Fiscal compact, ed è composta da sei articoli. I primi quattro apportano modiche e
integrazioni a quattro articoli dell’attuale costituzione: l’art. 97 a cui si aggiunge un
nuovo comma che costituzionalizza il principio di bilancio relativamente all’aggregato
delle amministrazioni pubbliche; l’art. 81 la cui nuova formulazione introduce il
medesimo principio nella disciplina specica del bilancio dello stato; l’art. 117 laddove
inserisce tra le materie di competenza esclusiva dello stato “l’armonizzazione dei
bilanci pubblici”, in precedenza rientrante nella competenza legislativa concorrente
dello stato e delle regioni e l’art. 119 le cui modiche declinano il principio del
pareggio di bilancio nella disciplina relativa alla nanza di regioni, province, città
metropolitane e comuni (per quanto riguarda gli enti territoriali, la legge costituzionale
n. 1 del 2012 integra o commi 1 e 6 dell’art. 119 Cost.). l’art. 5 contiene invece un
insieme di disposizioni di rango costituzionale, che non modicano però la carta e
quindi non diventano parte di essa. vi è l’indicazione dei principi e l’elencazione degli
elementi essenziali informativi della “legge rinforzata” cui è rinviato il “contenuto della
legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le
entrate e le spese dei bilanci nonché la sostenibilità del debito del complesso delle
pubbliche amministrazioni”. l’art. 6 dispone l’applicazione della riforma a decorrere
dall’esercizio nanziario relativo all’anno 2014.
La disciplina contenuta nella legge costituzionale in esame delinea gli aspetti
essenziali del principio del pareggio di bilancio, rimodellando alcune disposizioni
costituzionali e rimandando all’adozione di una articolata “legge rinforzata” il compito
di stabilire una disciplina di dettaglio.
Per quanto riguarda in particolare il contenuto dell’art. 81 Cost. Nella nuova
formulazione va anzitutto chiarito che il principio del “pareggio di bilancio”viene

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declinato nella regola “dell’equilibrio tra le entrate e le spese”, peraltro con la
precisazione che esso deve essere considerato “tenendo conto delle fasi avverse e
delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Il contenuto dei commi 1 e 2 dell’art. 81
Cost. Ha portato alcuni commentatori a sottolineare come la nuova disciplina
costituzionale non imponga il mero pareggio contabile, ma la conservazione di nanze
pubbliche “sane”, secondo i parametri europei, valutate in una prospettiva dinamica e
comprendente le eventualità che possono inuenzare l’andamento dei conti pubblici in
situazioni sia ordinarie sia straordinarie. Alla legge annuale di approvazione del
bilancio viene attribuito carattere sostanziale e dei estende ad essa, similmente alla
disciplina per le leggi di spesa, l’obbligo di copertura nanziaria, e ciò è conseguenza
dell’abrogazione dell’allora come 3 dell’art. 81 Cost. Che disponeva: “con la legge di
approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese” e della
modica del vecchio comma 4 (ora comma 3) con l’eliminazione della parola “altra”
che escludeva la legge di bilancio dall’obbligo di copertura. A seguito dell’applicazione
della riforma verrà eliminata dall’ordinamento giuridico italiano la legge di stabilità, i
cui contenuti conuiranno nella legge di bilancio.
L’art. 81, dunque, cita: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del
proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo
economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al ne di considerare gli eetti del ciclo
economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei
rispettivi componenti, al vericarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi
o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo
presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se
non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare
l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del
complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi
deniti con legge costituzionale”.

L’attuazione del pareggio di bilancio:


La “legge rinforzata” n. 243 del 2012 reca disposizioni volte a dare attuazione al
principio dell’equilibrio tra entrate e spese del bilancio delle pubbliche amministrazioni
e disciplina sia i contenuti della legge di bilancio sia l’Ucio parlamentare di bilancio,
organismo indipendente per l’analisi e la verica degli andamenti di nanza pubblica.
La medesima legge contiene norme relative alle funzioni di controllo della Corte dei

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conti sui bilanci delle amministrazioni pubbliche, nonché disposizioni nali di
coordinamento con la legge di contabilità e nanza pubblica n. 196 del 2009. La
natura di fonte “rinforzata” è specicata dalla medesima legge secondo cui essa può
essere abrogata da una legge successiva approvata ai sensi dell’art. 81 comma 6 della
Costituzione, cioè a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera. Si
segnala che nella recente sentenza del 10 aprile 2014 n. 88, la Corte costituzionale ha
riconosciuto che la legge in questione assume comunque “il rango di legge ordinaria”,
con l’ulteriore precisazione secondo cui essa “trova la sua legittimazione nella legge
costituzionale n. 1 del 2012, di cui detta la disciplina attuativa”. Dopo l’oggetto e le
denizioni contenute nel capo I, si ribadisce l’obbligo per le amministrazioni pubbliche,
sancito in via costituzionale dalla nuova formulazione del comma 1 dell’art. 97 Cost.,
di concorrere ad assicurare l’equilibrio dei bilanci. Quest’ultimo corrisponde
all’obiettivo di medio termine, ossia al “valore del saldo strutturale individuato sulla
base dell’ordinamento dell’UE”, che per l’Italia è attualmente il pareggio di bilancio
calcolato in termini strutturaLI, ossia corretto per tenere conto degli eetti del ciclo
economico e al netto delle misure una tantum. Ai sensi dell’art. 3 comma 5 l’equilibrio
dei bilanci s’intende conseguito quando il saldo strutturale, calcolato in sede di
consuntivo, evidenzia uno scostamento dall’obiettivo di medio termine inferiore a
quello considerato signicativo ai sensi dell’ordinamento dell’Unione europea e dagli
accordi internazionali in materia, ovvero quando assicura il rispetto del percorso di
avvicinamento all’obiettivo di medio termine nei casi di eventi eccezionali e di
scostamenti dall’obiettivo programmatico strutturale.
Sempre in attuazione del nuovo primo comma dell’art. 97 Cost., la legge n. 243 del
2012 ribadisce l’altresì obbligo per le amministrazioni pubbliche di concorrere ad
assicurare la sostenibilità del debito pubblico, specicando che qualora il rapporto
debito/PIL superi il valore di riferimento denito dall’ordinamento dell’UE (60%), in
sede di denizione degli obiettivi si debba tenere conto della necessità di garantire
una riduzione dell’eccedenza rispetto a tale valore in coerenza con il criterio e la
disciplina in materia di fattori rilevanti previsti dal medesimo ordinamento, in base al
quale gli stati il cui debito supera il 60% del PIL dovranno adottare interventi per
ridurlo con un ritmo adeguato, assumendo come riferimento una diminuzione
dell’eccedenza di debito al ritmo di un ventesimo all’anno calcolato sulla media del
triennio precedente.
Una innovazione importante è contenuta nell’art. 5 della medesima legge in materia di
controllo dell’evoluzione della spesa pubblica: è previsto che i documenti di
programmazione nanziaria e di bilancio debbano ssare, per il triennio di riferimento,
il tasso annuo programmato di crescita della spesa delle pubbliche amministrazioni.

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La legge rinforzata passa quindi ad attuare il comma 2 del nuovo art. 81 della
Costituzione, che consente il ricorso all’indebitamento al vericarsi di eventi
eccezionali. l’art. 6, comma 2, della legge n. 243 specica che per eventi eccezionali si
intendono:
• Periodi di grave recessione economica relativi anche dell’area dell’euro o all’intera
UE;
• Eventi straordinari, al di fuori del controllo dello stato, ivi incluse le gravi crisi
nanziarie nonché le gravi calamità naturali.
La legge prevede che il governo, sentita la Commissione europea, presenti alle camere
una relazione di aggiornamento degli obiettivi di nanza pubblica e una specica
richiesta di autorizzazione che indichi la misura e la durata dello scostamenti,
stabilendo le nalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello
stesso e denendo al contempo il piano di rientro verso l’obiettivo programmatico,
commisurandone alla durata alla gravità degli eventi, ai sensi dell’art. 6 comma 3.
Nelle fasi avverse del ciclo o al vericarsi di eventi eccezionali è prevista una specica
disciplina volta ad assicurare il concorso dello stato al nanziamento dei livelli
essenziali e delle funzioni fondamentali, mediante l’istituzione di un fondo
straordinario, alimentato da quota parte delle risorse derivanti dal ricorso dello stato
all’indebitamento consentito dalla correzione per gli eetti del ciclo del saldo del conto
consolidato.
Per quanto riguarda il ricorso all’indebitamento da parte degli enti territoriali è stabilita
una procedura di intera a livello regionale per consentire che l’accesso al debito dei
singoli enti avvenga nei limiti consentiti dalla necessità di assicurare l’equilibrio
complessivo a livello di comparto regionale.
Seguono le regole volte a prevedere l’equilibrio dei bilanci anche nei confronti delle
amministrazioni pubbliche non territoriali, distinguendo tra quelle che adottano la
contabilità nanziaria, (per le quali l’equilibrio si realizza quando le stesse registrano
un saldo non negativo) e quelle che adottano la contabilità economico-patrimoniale (i
criteri di equilibrio saranno deniti con legge dello stato).
Per quanto attiene il bilancio dello stato, si denisce da un lato il principio
dell’equilibrio e dall’altro il contenuto proprio della legge di bilancio. L’art. 14 reca la
denizione del principio dell’equilibrio del bilancio dello stato, stabilendo che esso
corrisponde al valore, per ciascuno degli anni del triennio di riferimento, del saldo
netto da nanziare o da impiegare coerente con gli obiettivi programmatici di
equilibrio stabiliti nei documenti di programmazione nanziaria. E’ inoltre previsto che
l’obiettivo di bilancio si considera conseguito se il saldo netto da nanziare risulta
conforme a quanto indicato nella legge di bilancio. La stessa legge prevede
l’unicazione in un unico documento, articolato in due sezioni, degli attuali contenuti

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dalla legge di stabilità e della legge di bilancio, ciò in coerenza con la scelta
costituzionale di conferire al bilancio una valenza di legge sostanziale. Le legge di
bilancio potrà assumere una portata sostanziale attraverso l’introduzione di
disposizioni volte a innovare la legislazione vigente. Nel DEF 2015 si precisa che le
innovazioni relative al contenuto della legge di bilancio di cui all’art. 15 della legge
troveranno piena attuazione a partire dalla predisposizione dei documenti di bilancio
compilati nel 2016 e riferiti al triennio di programmazione 2017/2019. Nel capo VII si
disciplina l’istituzione dell’organismo indipendente previsto dall’art. 5 comma 1,
lettera “F”, che viene denominato “Ucio parlamentare di bilancio”, avente le funzioni
di analisi e verica degli andamenti di nanza pubblica e valutazione dell’osservanza
delle regole di bilancio. L’ucio ha una composizione collegiale di tre membri, di cui
uno con funzioni di presidente, nominati d’intesa dai presidenti delle camere
nell’ambito di un elenco di dieci soggetti indicati dalle Commissioni bilancio di
ciascuna camera a maggioranza dei 2/3 dei rispettivi componenti. I membri del
consiglio durano in carica 6 anni e non possono essere confermati.
Nelle disposizioni nali (VIII) si adano nuove funzioni di controllo alla corte dei conti
sui bilanci delle amministrazioni pubbliche. Si stabilisce che la Corte dei conti è
competente a svolgere il controllo successivo sulla gestione dei bilanci delle regioni e
degli enti locali, nonché delle amministrazioni pubbliche non territoriali.

I principali documenti di nanza pubblica:


La disciplina della nanza pubblica prevede tre strumenti di programmazione relativi
alle previsioni di entrata e di spesa dei bilanci delle pubbliche amministrazioni. Il
documento di economia e nanza (DEF) presentano alle camere, le quali lo approvano
con una risoluzione, dal Governo, su proposta del ministro dell’economia e delle
nanze, il 10 aprile di ogni anno; il disegno di legge di stabilità e il disegno di legge di
bilancio dello stato presentati dall’esecutivo alle camere entro il 15 ottobre di ogni
anno.

Il DEF e la nota di aggiornamento:


Il DEF è un documento che illustra gli obiettivi di politica economica, il quadro delle
previsioni economiche e di nanza pubblica e gli obiettivi del conto delle
amministrazioni pubbliche articolati per i sotto-settori. Attraverso il Programma di
stabilità e il programma nazionale di riforma, il DEF illustra le politiche intese a
garantire la stabilità macroeconomica e a favorire la crescita e la competitività; e ciò in

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linea con la procedura di controllo preventivo (ex ante) e di coordinamento a livello
europeo delle politiche economiche e di bilancio dei singoli SM (semestre europeo).
Ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge n. 39 del 2011, che modica l’art. 10 della
legge n. 196 del 2009, esso è composto da tre sezioni. La prima è costituita dallo
schema del Programma di stabilità e crescita, in particolare con riferimento agli
obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico. La seconda
sezione contiene l’analisi del conto economico e del conto di cassa delle
amministrazioni pubbliche nell’anno precedente, con ò’indicazione degli eventuali
scostamenti rispetto agli obiettivi programmatici, nonché le previsioni tendenziali
almeno per il triennio successivo. La terza reca lo schema del “Programma nazionale
di riforma”, che contiene gli elementi e le informazioni previsti dalla normativa
europea, in particolare riguardanti lo stato di avanzamento delle riforme avviate, gli
squilibri macroeconomici nazionali e i fattori di natura macroeconomica che incidono
sulla competitività.
La nota di aggiornamento del DEF è invece un documento necessario che, oltre
all’eventuale aggiornamento delle previsioni economiche e di nanza pubblica in
relazione alla maggiore stabilità e adabilità delle informazioni, permette di
aggiornare gli obiettivi programmativi in considerazione delle eventuali
raccomandazioni approvate dal Consiglio dell’UE sul programma di stabilità e sul
programma nazionale di riforma, nonché di raccordo con il patto di stabilità interno e
con il patto di convergenza previsto dall’art. 18 della legge n. 42 del 2009 in materia di
federalismo scale.

La legge di stabilità:
Ai sensi dell’art. 11 della legge n. 196/2009, la legge di stabilità e la legge di bilancio
compongono la manovra triennale di nanza pubblica che indica le misure quantitative
e qualitative necessarie per la realizzazione degli obiettivi programmatici indicati nel
DEF. la legge di stabilità opera un collegamento tra la legislazione vigente e gli
obiettivi della manovra nanziaria apportando le correzioni alla medesima legislazione
vigente richieste da fattori interni o esterni. Essa dispone annualmente il quadro di
riferimento nanziario e contiene esclusivamente norme tese a realizzare gli eetti
nanziari necessari, senza possibilità di includere norme di delle o di carattere
ordinamentale o organizzativo, la legge di stabilità determina il limite massimo del
ricorso al mercato nanziario, l’importo massimo destinato ai rinnovi dei contratti del
pubblico impiego, l’importo dei cosiddetti fondi speciale. Quote annuali delle leggi di

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spesa che prevedono interventi pluriennali nonché le variazioni di aliquote, detrazioni,
scaglioni e altri parametri che incidono sulla determinazione di imposte, tasse, tarie,
canoni e contributi.

La legge di bilancio:
Ai sensi dell’art. 81, comma 4, “le camere ogni anno approvano con legge il bilancio e
il rendiconto consuntivo presentati dal governo”. Questa disposizione stabilisce alcune
caratteristiche fondamentali:
• La cadenza annuale della procedura di bilancio, in modo tale che si sancisce
implicitamente il principio dell’annualità della legge di bilancio. L’annualità del
bilancio statale non comporta necessariamente la sua coincidenza con l’anno solare,
valendo solo a rendere costituzionalmente necessaria l’approvazione di una legge di
bilancio ogni 12 mesi, qualunque sia l’arco temporale prescelto come anno
nanziario. E’, esso, probabilmente, un carattere che oggi può apparire scontato, ma
che tale non risulta ad una più accorta analisi storica, che ha un preciso signicato
anche sul piano dell’assetto dei rapporti tra Governo e Parlamento: l’aermazione
costituzionale del carattere annuale del bilancio fa infatti emergere “lo sfavore del
costituente verso una ducia troppo prolungata nei confronti del Governo”; e ciò
specie “nella logica del tempo che individuava nella decisione di bilancio l’occasione
più incisiva e periodica del controllo parlamentare”;
• Il ruolo attivo del governo nella predisposizione dei documenti nanziari e nella
gestione del bilancio;
• Il controllo preventivo e successivo del Parlamento sull’attività nanziaria posta in
essere dal Governo e sulla sua politica generale;
• L’unitarietà della decisione parlamentare e del relativo prospetto di bilancio.
Su questa importante materia la costituzione delinea una netta separazione di compiti
e ruoli tra Camere ed Esecutivo:
- Il Governo, dal quale dipende la burocrazia ai sensi dell’art. 95 Cost., detiene in via
esclusiva il potere di iniziativa legislativa in materia di bilancio e amministra il
bilancio. La predisposizione del relativo progetto di legge spetta quindi unicamente
al Governo presupponendo nozioni e capacità tecniche proprio soltanto di apparati
amministrativi altamente specializzati;
- Il Parlamento ha il potere-dovere di adottare la decisione di bilancio e di esercitare il
controllo dell’azione esecutiva.
La discussione del disegno di legge del bilancio deve avvenire in assemblea, con
esclusione quindi di approvazione in commissione in sede deliberante. Tali vincoli sono
stati estesi dalla prassi anche al disegno di legge di stabilità. Entrambe le leggi sono
inoltre sottratte alla richiesta di referendum abrogativo (art. 75, comma 2 Cost).

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Una volta approvato con legge il bilancio, è sulla base di queste previsioni che il
Parlamento autorizza il governo alla gestione nanziaria per il successivo esercizio.
Le previsioni di spesa, fatte dal Parlamento, limitano la facoltà delle amministrazioni
sia nell’assunzione degli impegni sia nell’erogazione dei pagamenti, nel senso che gli
stanziamenti di competenza e quelli di cassa costituiscono un limite che non può
essere superato nel corso della gestione.
Le previsioni relative alle voci di entrata hanno un valore di pura stima, fermo restando
in ogni caso il diritto dello stato di accertare e riscuotere i tributi e gli altri proventi
erariali.
Se il bilancio non è approvato dal Parlamento entro il 31 dicembre di ogni anno, ogni
spesa sarebbe preclusa. Conseguentemente, in caso di mancata approvazione entro il
citato termine, si fa luogo all’esercizio provvisorio del bilancio, in base al quale il
Governo è autorizzato dalle Camere, ad erogare un ridotto ammontare di spesa.
Lo stato di previsione dell’entrata si ripartisce in titoli, tipologie e categorie, mentre
ciascuno stato di previsione della spesa è articolato per missioni e programmi. Le
missioni rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la
spesa pubblica e possono essere attribuite ad un singolo ministero o a pie ministeri. I
programmi invece rappresentano aggregati omogenei di attività svolte all’interno di
ogni singolo ministro per perseguire obiettivi ben deniti nell’ambito delle nalità
istituzionali riconosciute al dicastero competente.
Il bilancio annuale di previsione può essere redatto in due dierenti tipologie: il
bilancio di competenza e il bilancio di cassa. Il primo comporta che venga indicato
l’ammontare delle entrate che dovrebbero essere accertate e l’ammontare delle spese
che dovrebbero essere erogate nell’esercizio nanziario. Dunque, prevede
l’ammontare delle entrate e delle spese per le quali si prevede rispettivamente che si
perfezionerà il diritto di riscossione e l’obbligo al pagamento (obbligazioni attive e
passive). Il bilancio di cassa contempla invece le entrate e le spese che si presume
saranno eettivamente riscosse e pagate nell’anno cui il bilancio si riferisce. A partire
dal 1978, il bilancio annuale dello stato italiano viene redatto contestualmente per
competenza e per cassa (art. 20, comma 1 della legge n. 196 del 2009). Esso espone
per ogni voce di entrata la previsione delle somme da accertate e da incassare e per
ogni voce di spesa la previsione delle somme da impegnare e da pagare. Al bilancio di
previsione la legge di contabilità e nanza pubblica aanca un bilancio pluriennale,
che copre un periodo di tre anni ed è redatto per missioni e programmi in termini di
competenza e cassa.

Il bilancio di assestamento:

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Il bilancio di assestamento è lo strumento di natura legislativa destinato ad adattare il
bilancio di previsione annuale alle concrete esigenze gestionali. L’assestamento di
bilancio è disciplinato dall’art. 33 della legge 196 del 2009. Secondo la dottrina il
bilancio di assestamento ha una duplice funzione: la prima è quella di consentire una
congrua rettica alle autorizzazioni di cassa; l’altra funzione è quella di consentire al
governo di accrescere o ridurre le dotazioni di competenze delle unità di voto
parlamentare. Entro la data del 30 giugno di ogni anno il Governo, su proposta del
ministro dell’economia e delle nanze, presenta al parlamento un disegno di legge per
l’assestamento delle previsioni di bilancio relativa all’anno in corso, anche sulla scorta
dei residui attivi e passivi accertata in sede di rendiconto (rectius: risconti attivi e
passivi).
Per quanto riguarda il contenuto delle tabelle del bilancio di assestamento anche le
proposte di assestamento sono eettuate dalle amministrazioni proponenti. Per
quanto riguarda i dati contabili, le tabelle del bilancio di assestamento riportano i
seguenti dati:
- Le previsioni del bilancio approvato dal Parlamento;
- Le variazioni intervenute a seguito di atti amministrativi;
- Le variazioni relative al provvedimento di assestamento;
- Il bilancio assestato risultante.
E’ da segnalare che la legge di contabilità e nanza pubblica dispone che è precluso
l’utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per nanziare spese correnti.

Il rendiconto generale dello stato:


Il rendiconto generale è un documento contabile nel quale sono riassunti e dimostrati i
risultati della gestione dell’anno nanziario. E’ disciplinato dagli articoli 35-38 della
legge 196/2009, la quale dispone che entro il mese di giugno di ogni anno, il ministro
dell’economia e delle nanze presenti alle camere il rendiconto generale dell’esercizio
scaduto il 31 dicembre dell’anno precedente.
Al termine dell’esercizio ciascun ministero compila il conto del bilancio e il conto del
patrimonio relativi alla propria amministrazione. Questi due fondamentali documenti
devono essere trasmessi alla ragioneria generale dello stato entro il 30 aprile
successivo al termine dell’anno nanziario. Sulla base dei dati ricevuti dai bari
ministeri e delle proprie scritture, la ragioneria generale redige il rendiconto generale
dello stato. Prima dell’i invio alle camere il Ministro dell’economia e delle nanze
trasmette il rendiconto generale alla corte dei conti che procede alla cosiddetta
“paricazione”, cioè a un giudizio sulla conformità o diormità tra le previsioni di
bilancio e i risultati della gestione. La corte dei conti provvede ad inviarlo al Ministro

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dell’economia e delle nanze per essere successivamente presentato al Parlamento
secondo quanto previsto dall’art 81 Cost. A questo punto il Parlamento discute e
approva il rendiconto generale con apposita legge. Anche il rendiconto è articolato per
missioni e programmi ed è corredato da una nota integrativa costituita da due sezioni:
la prima illustra i risultati, analizzando il grado di realizzazione degli obiettivi; la
seconda illustra i risultati nanziari, espone i principali fatti di gestione motivando gli
eventuali scostamenti tra le previsioni iniziali di spesa e quelli nali.
Il rendiconto generale si compone di due documenti:
• Il conto del bilancio che espone le entrate e le spese di competenza dell’anno
precedente;
• Il contro generale del patrimonio che dà invece una rappresentazione della
composizione e della variazione delle consistenze patrimoniali dell’anno precedente.

AUTOREGOLAZIONE E CONTROLLO

premessa:
Costituisce un dato di comune e condivisa conoscenza nella letteratura giuridica il
riconoscimento al “potere normativo” di una funzione regolatrice della realtà fattuale:
a tale potere è rimessa la capacità di orientare i comportamenti umani attraverso la
ssazione di criteri ordinatori, cui deve conformarsi l’avere di coloro che appartengono
ad una determinata comunità sociale. Da tempo la più autorevole dottrina ha
esaminato e chiarito il signicato ascrivibile alla norma, la valenza che quest’ultima
assume nel linguaggio comune e la distinzione in cui le sue direttive si pongono
rispetto ai precetti della legge naturale e della morale, all’uomo evidenziando la
dierenza tra “ordine esistenziale” e “ordine deontologico”. Il processo evolutivo,
interno ed internazionale, degli ordinamenti ripropone in termini innovativi la
denizione dei tratti che qualicano la giuridicità della norma, al presente orientata a
ricomprendere in detta sua congurazione elementi ulteriori rispetto a quelli
originariamente presi in considerazione dalla dottrina. La “oggettivazione” delle norme
che di formano all’interno di un ordinamento, ne esprime la socialità ed indica la
volontà che esso intende manifestare: da qui la giuridicità che qualica in chiave
positiva l’essenza di tali regole destinate a segnare i modi dell’operare, vale a dire le
condotte di coloro che ne sono destinatari. Il diritto risulta n dalle origini connesso a
propone ragioni economiche, evidenziando una dimensione che lo collega all’eettività
e ne movimenta l’evoluzione pervenendo al “superamento della metodologia
puramente formalistico positivista, di matrice kelseniana”. I principi logici che sono a
fondamento del diritto e ne consentono l’aermazione sono validati dalla norma che
realisticamente ne esprime l’essenza.

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In tale contesto si colloca l’intreccio dei rapporti che si instaurano tra i soggetti di un
determinato ordinamento, rapporti che devono rinvenire nella regola che ne segna la
disciplina il criterio per la giusta composizione degli interessi in conitto, per la
denizione di una reciproca parità.
Il precetto che dà contenuto al complesso disciplinare destinato a comporre il conitto
deve essere supportato da una valenza autoritaria che gli consente di incidere sulla
libera esplicazione dell’autonomia individuale; donde il riconoscimento al medesimo di
una “vis” che ne riporta il fondamento alla “potestas” di cui è emanazione. Il dogma
della statualità del diritto rende appieno delineata realtà, che si caratterizza per
l’esclusività del potere cui è rimesso il giudizio concernente le valutazioni contenute
nella norma. La concezione autoritaria del precetto normativo è stata intesa dalla
dottrina tradizionale come imposizione di un tacere ovvero di un comportamento da
non tenere consistente in un divieto.
La concezione della norma come comando evidenzia signicativi limiti, che sono quelli
tipici del formalismo e dogmatismo giuridico. La norma, intesa quale manifestazione di
un imperativo che fa capo allo stato, come è stato esattamente sottolineato dalla
dottrina, “non coglie e non si incontra direttamente con la volontà… del destinatario” a
causa di una sorta di indeterminatezza e genericità che la contraddistingue. La
disposizione giuridica che si sostanzia in un ordine impositivo nisce col
rappresentante un giudizio “descrittivo” e non anche ipotetico, prescrittivo, la cui
verica è rimessa all’adesione di coloro cui la norma è rivolta.
Rileva l’intrinseca carenza che presenta tale modalità di processo di formazione della
regolazione a fronte di possibili cambiamenti della realtà di riferimento. L’esigenza di
adeguamento disciplinare appare di dicile attuazione a causa della rigidità connessa
al carattere astratto del precetto autoritario, che mal si presta ad una essibilità
d’azione, quale invece nella fattispecie sarebbe auspicabile. È dato evincere la ratio a
fondamento0 del processo che ha conferito spazi crescenti alle forme di
“autoregolazione”. Essa va identicata nella intrinseca caratterizzazione della
normativa giuridica che risulta essere di stretta pertinenza dello stato, e nella
specicità di alcuni settori sottoposti a regolazione, dunque rilevano in primo luogo le
modalità d’intervento delle autorità di supervisione, titolari di un potere disciplinare
che incide sull’attività degli operatori appartenenti al settore. Viene in considerazione
l’inuenza in materia esercitata dagli input rivenienti dall’integrazione economica
europea, cui si deve l’aermazione di una tendenza alla semplicazione; da qui il
processo di crescente delegicazione e l’introduzione di innovativi meccanismi di
partecipazione degli intermediari all’elaborazione delle regole ai medesimi destinati.

Potere normativo e cultura delle regole:

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La ricerca si è soermata ad analizzare l’incidenza delle regole sull’aermatone dei
diritti di libertà e sulle misure di salvaguardia dai rischi di una globalizzazione spinta.
Si è fatto riferimento ai diritti fondamentali, alle tendenze evolutive di una realtà
giuridica complessa nella quale il paradigma “principi-istituzioni” non può prescindere
dai proli dell’economia reale e dalle implicazioni di una nanza progredita, atteso che
da quest’ultima derivano spesso forme di compressione e limitazioni di vario genere,
che rinviano nel tempio le opportunità di sviluppo e la possibilità di reinterpretare in
termini positivi il “ciclo dei diritti”.
Ci si richiama alla necessità di rieducare all’osservanza delle regole e soprattutto si
rivedono in senso critico taluni aspetti all’esercizio del potere normativo e il
procedimento di formazione del complesso dispositivo vigente. Taluni ritardi strutturali
del processo economico, l’assunzione di ingiusticati rischi da parte della collettività
sono stati causati dalla “miopia” dei regolatori nazionali ovvero dalle riferibili ad
accordi disciplinari posti in essere da inidonei meccanismi internazionali di
aggregazione del consenso. Si guardano con perplessità gli eccessi di una
competizione “tra sistemi normativi”, che non sempre si è tradotta in una concorrenza
tra regole destinata a far prevalere quelle che assicurano adeguati livelli di tutela dei
destinatari delle prescrizioni. Viene messo in discussione il mito del mercato,
riguardato come fattore di aggregazione di elementi molteplici e variegati
indispensabili per la crescita economica e lo sviluppo sociale; elementi che dovrebbero
trovare composizione anche grazie alle indicazioni di apposite regole giuridiche. Si
dubita sulla validità della funzione catalizzatrice che al mercato viene generalmente
ascritta dalla teoria economica e soprattutto genera perplessità il riconoscimento di
una sua intrinseca capacità di correggere le tendenze devianti che possono
determinarsi al suo interno, turbandone l’equilibrio ed il funzionamento.
E’ evidente come si delinei dunque un contesto interpretativo della realtà in esame
caratterizzato dalla chiara percezione che le regole a base del sistema capitalistico
non riescono a disancorarsi da un’arida idolatria dell’accumulazione e a ricollegarsi a
“valori” che assurgano a “nuova frontiera” nella realizzazione di obiettivi sociali.
Rifarsi alla tradizione per tracciare nuovi rapporti tra le “fonti normative” di un sistema
pluralistico dai conni sempre più ampi, riscoprire, le radici della cultura giuridica per
identicare le nuove regole del “diritto naturale moderno” sono questi gli obiettivi
primari che occorre preggersi. E’ nella ricerca di un sistema di regole
qualitativamente elevato che vanno individuati i presupposti per superare le
perplessità dovute allo stato di euro-sclerosi evidenziato dalla dottrina, per allontanare
i timori legati ad un euro-scetticismo mai sopito in alcuni paesi europei di considerare
quest’ultima solo un’unione economica e giammai politica.

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Consegue l’imperativo categorico di dover identicare nella “qualità” delle regole, un
fattore unicante che agisce in modalità trasversali rispetto agli ordinamenti e agli
interessi di cui le medesime sono portatrici. Pertanto, accettare la regola signica aver
compreso i valori che la medesima esprime, in adesione ad un signicativo processo di
maturazione culturale, che si svolge all’insegna dell’appartenenza ad una determinata
comunità sociale. La prospettiva del cambiamento ora indicato presuppone la
determinazione di meccanismi che ricollegano la crescita economica e sociale del
paese ad un ottimale funzionamento delle istituzioni democratiche. Da qui la necessità
di formare una comune coscienza che consenta di addivenire ad una maturazione
culturale e di entrare nella modernità attraverso l’aermazione di autonomi centri
direzionali. Si raorza il convincimento che la tendenza alla trasversalità dei processi
sottesi alla predisposizione delle regole non contraddice l’unità disciplinare.
Quest’ultima risulta portato dal metodo democratico, che è notoriamente proteso a
ricercare un’adeguata conciliazione tra istanze spesso in conitto, ma orientate alla
convergenza in vista dello sviluppo che si congura possibile in un contesto
pluralistico, nel quale si guarda con rispetto alle molteplici voci che animano
l’ordinamento e ne supportano l’evoluzione.
La riconducibilità della “forma di governo” ad una volontà maggioritaria degli aventi
diritto tende a non esaurirsi nella “consapevolezza dei diritti e dei doveri” degli
appartenenti all’ordinamento e nella tutela delle “libertà fondamentali”, ma ad
estendere l’apertura al dialogo e la dialettica del confronto attraverso l’applicazione di
innovativi criteri ordinatori, che trovino spazi crescenti soprattutto nell’adozione di
tecniche decisionali e disciplinari destinate ad incrementare la relazionalità e la
partecipazione.

Le “aperture” disciplinari ed il ridimensionamento del “dogma della statualità” del


diritto:
La scienza giuridica moderna nella ricerca del fondamento del diritto si è soermata
essenzialmente sull’individuazione del rapporto tra stato e diritto: nella “volontà
statuale” si è ravvisata la fonte o l’espressione del potete organizzato in grado di
imporre regole a valenza coattiva. Lo stato legislatore titolare della giuridicità
oggettiva ha rappresentato a lungo l’entità soggettiva cui far riferimento per
identicar i molteplici e variegati contenuti dei complessi disciplinari che qualicano
l’ordinamento, segnando le linee direttrici della storia dei popoli o di gruppi sociali
particolari.
La potestà del volere viene riguardata in una logica “statocentrica” che, attesa la
superiorità dell’ente cui fa capo la formazione delle regole, induce a ritenere la
funzione creatrice del diritto di quest’ultimo se non esaustiva, quanto meno destinata

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a coprire “la parte più grande ed importante” dell’intero complesso normativo
esistente. Viene esclusa la negazione di altre possibili fonti del diritto; ipotesi
ricostruttiva la cui aermazione aveva trovato riconoscimento in dottrina n dai tempi
in cui era stata sottoposta ad attenta analisi il ruolo delle attività amministrative nella
regolazione dei settori economici. Il composito meccanismo di intervento normativo
demandato alla struttura di vertice di tale settore evidenzia l’esigenza di aancare
alla disciplina generale di origine statuale vigente in subiecta materia innovative
forme di regolazione particolarmente elastiche e essibili. L’avvio del processo di
integrazione economica europea determina una più accentuata forma di
specializzazione disciplinare che fa ravvisare ad un’autorevole dottrina la presenza dei
presupposti per un superamento del dogma della statualità del diritto. Il dibattito
dottrinale sviluppatosi all’epoca mette a fuoco la signicativa tendenza verso il
riconoscimento di un ruolo crescente dei privasti e delle autonomie collettive nella
denizione dei processi normativi. Si individua una realtà giuridica complessa che
induca un autorevole studioso a ravvisare nel pluralismo dei sistemi disciplinari i
prodromi di “un’età della decodicazione”, locuzione con cui si vuole indicare la
nascita e lo sviluppo di sottosistemi normativi che segnano la progressiva perdita di
centralità della disciplina codicistica. La tendenza ad un pluralismo delle fonti
normative trova esplicazione in “un prouvio” di statuizioni, di contenuto particolare e
specialistico, destinate a governare i processi innovativi in atto ovvero a ricercare
moderne forme di collegamento “fra il polo statuale e il polo sociale”. Tale usso di
leggi, spesso di derivazione comunitaria, incide signicativamente sugli strumenti
classici di “comando e controllo” che caratterizzano l’azione dello stato. L’emersione di
una pluralità di fonti normative sconvolge i parametri di valutazione tradizionalmente
riscontrabili; non a caso in letteratura il fenomeno in esame viene talora considerato
come “l’esatto contrario del…trepasso da un diritto socialmente radicato al diritto
astratto della modernità”.
Si addiviene ad una visione di sistema nella quale il sostanziale decentramento di
signicativa parte delle forme di produzione disciplinare innova il tradizionale
paradigma delle Stato sovrano. quest’ultimo è ora chiamato essenzialmente ad
assolvere una funzione guida nella individuazione delle politiche pubbliche e degli
interessi generali connessi alla visione strategica complessiva che l’ordinamento
ricollega alla concezione classica della sovranità; conseguentemente, appare sempre
più diuso il convincimento che lo stato “si riserva il diritto di intervenire nei casi in cui
l’autoregolazione fallisca”. La congurabilità di una “progressiva degustazione degli
apparati politici dei quali gli stati si servono” nell’assurgere a presupposto del nuovo
contesto pluralistico che contraddistingue il processo di formazione delle regole,
consente di ravvisare una sorta di “decentramento poliarchia della sovranità classica”.

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La messa in discussione del concetto di sovranità viene correlata soprattutto ai
mutamenti di ordine sistematico recati a livello interno dalla nuova realtà di mercato e
dal processo di globalizzazione in atto da alcuni decenni. Talune critiche formulate
dalla dottrina con riguardo al fenomeno del pluralismo normativo dianzi ipotizzato, nel
contrassegnarne l’essenza in termini di totale asistemicità, renderebbero
estremamente dicile il suo inquadramento prospettivo come positiva tappa del corso
evolutivo dell’ordinamento verso più intense forme di integrazione tra “politica”,
“economia” e “società”. Signicativo nel delineato contesto deve ritenersi l’art. 117
Cost, nella formulazione recata dalla legge n.3 del 2001, disposizione che ha ssato il
principio della devoluzione a livello periferico di funzioni e compiti statali. Ciò in
quanto si individua una condivisione dell’esercizio della potestà legislativa tra stato e
regioni. Secondo una logica che ha riguardo al “rispetto della Costituzione” nonché dei
“vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. E’ una
riprova a contrario del ridimensionamento della statualità: trovano conferma i criteri
ordinatori che sono a fondamento dell’autoregolazione.

Deregolamentazione e autoregolazione alla luce del processo di integrazione


economica europea:
L’espansione su scala mondiale delle relazioni tra stati lascia emergere i conni a
ciascun sistema ma anche ou elementi di connessione ed interferenza tra le formule
adottate dai singoli ordinamenti. Conseguono esigenze molteplici: dalla rivisitazione
dei modelli di regolamentazione dei fattori di produzione alla ricerca di innovative
formule disciplinari degli scambi.
Il diondersi della tendenza alla multi-nazionalizzazione dell’economia non si è
tradotto nell’aermazione di un diritto sovranazionale destinato a disciplinare
compiutamente tale fenomeno; essa ha contribuito all’attivazione di un graduale e
costante processo di deregolamentazione, attraverso il progressivo abbandono delle
barriere regolamentari e previa introduzione di innovazioni che “coinvolgono
direttamente o mediatamente gli operatori nanziari” nella determinazione delle
forme disciplinari destinate nella sostanza a vincolarne l’attività. Va inoltre precisato
che il fenomeno della deregolamentazione, incidendo sulla “frammentazione” delle
fonti di produzione normativa ne ha determinato il graduale spostamento versi un
alveo che possiamo denire privato.
La maturazione di tagli eventi ha richiesto tempi lunghi dovuti alla necessità di
conciliare le forme di deregulation con la ricerca di soluzioni legislative adeguate alla
nuova realtà istituzionale indotta dal processo di europeizzazione dei sistemi
economici. “concorrenza” e “privatizzazione” rappresentano i capisaldi del processo

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innovativo che nel decorso del decennio ha caratterizzato il complesso disciplinare del
nostro paese.
Detti canoni ordinatori si pongono alla base dei profondi cambiamenti che hanno avuto
di mira la costruzione di un nuovo sistema nanziario adeguato all’attuale realtà
globalizzata. La valutazione delle dierenze legislative, istituzionali e
macroeconomiche riscontrabili nel confronto con altri ordinamenti ha consentito di
individuare i criteri guida per la denizione dei caratteri della “self-regulation”. Si
realizza un’adeguata armonizzazione che dà vita a modiche nell’azione
amministrativa e ad un nuovo rapporto con i soggetti destinatari del suo intervento. La
tutela della trasparenza assume specica importanza nella denizione delle nuove
regole.
L’introduzione di innovative tecniche di produzione normativa in ambito regionale
europeo (sistema di produzione normativa, di coordinamento e cooperazione di
vigilanza, noto come procedimento Lamfalussy) ha eroso gli spazi di autonomia
regolamentare a disposizione degli stati membri (valorizza la tendenza al
riconoscimento dell’autonomia dei singoli e alla restituzione a questi di spazi
decisionali per lungo tempo occupati dallo stato), attraendo a livello comunitario sia il
momento delle scelte normative (e non v’è dubbio che qualunque iniziativa legislativa
nazionale in questa materia che non tenga conto il riferimento comunitario, è
destinata non solo a fallire in termini di ecienza ed ecacia, ma anche a penalizzare
gli operatori nazionali nel mercato unico, dal momento che quest’ultimo costituisce
ormai la loro quotidiana dimensione operativa. La c.d. “intentio legis” è quella di
determinare un quadro normativo unitario per i paesi europei, tale da consentire ai
soggetti presenti sul mercato che intendono operare un cross border in ambito UE, di
essere sottoposti ad un complesso di norme sostanzialmente uniformi) sia il processo
di denizione uniforme delle forme di supervisione.

Le nuove tecniche di formazione delle regole:


La essibilità della regolazione impone di far riferimento alla capacità di incidenza dei
meccanismi che si fondano sull’aermazione della trasparenza, sull’applicazione dei
codici di autodisciplina, sulla competenza tecnica delle autorità dio vigilanza, quali
fattori costitutivi di un sistema disciplinare. Si spiegano le scelte legislative che danno
rilievo alla predisposizione delle tecniche diverse che individuano una nuova via per
rendere il nostro paese più competitivo e coerente con l’aermazione di una
progettualità nella quale trovano composizione le forze di mercato. Partendo dal
presupposto che il grado di qualità della regolazione di un paese sia uno dei fattori
capaci di rimuovere lo sviluppo del suo sistema economico, si individua nella
denizione dell’ordine giuridico uno degli aspetti essenziali dell’incremento della

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capacità produttiva. E’ in tale contesto logico che si è sviluppata la prassi della
consultazione dei destinatari delle norme, adottata sia dal legislatore comunitario che
dagli organismi internazionali. Il ricorso a tale tecnica appare sicuramente
apprezzabile dal momento che favorisce il dialogo tra regolatori e consumatori da un
lato, ed operatori del mercato, dall’altro. Trattasi di un approccio metodologico che può
essere considerato sul piano giuridico formale particolarmente utile nel processo che
tutti i paesi hanno da tempo avviato, di miglioramento della qualità della regolazione.
L’adozione di “atti regolamentari generali” previa consultazione degli “organismi
rappresentativi dei soggetti vigilati, dei prestatori di servizi nanziari e dei
consumatori”, è stata consacrata nel nostro paese a livello giuridico formale con l’art.
23 della legge n. 262 del 2005 che detta i principi della “Better regulation” cui si
devono uniformare le Autorità di settore nell’esercizio della loro potestà
regolamentare. Rileva l’introduzione per le suddette autorità dell’obbligo di motivare
gli atti regolamentari o a contenuto generale “con riferimento alle scelte di
regolazione e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono”. Si è in
presenza di un processo di razionalizzazione della politica normativa, attesa che
l’esercizio del potere regolamentare è svolto nel consapevole bilanciamento degli
interessi coinvolti.
E’ questa un’ulteriore conferma del principio secondo cui l’autodisciplina nelle fonti di
produzione giuridica è espressione della crisi del monopolio legislativo e tende a
recuperare le carenze rinvenenti dalla riduzione dell’intervento diretto dello stato nei
rapporti economici.
Va tenuto presente che in un sistema concorrenziale deve aversi riguardo anche alle
implicazioni del processo di internazionalizzazione delle attività nanziarie.
Quest’ultimo ha potenziato il ruolo del contratto quale fonte normativa, che individua
nella tipologia dei modelli negoziali standardizzati la capacità di assicurare agli
operatori certezza del diritto e riduzione del c.d. “rischio legale”. La creazione extra-
sistematica di norme giuridiche non costituisce “un fatto eccentrico ed eccezionale”,
rappresentando un connotato essenziale della positività dell’ordinamento giuridico. Da
qui il passaggio ad un sistema pluralistico e policentrico che sollecita esigenze di
coordinamento più che di vera e propria denizione di prevalenza gerarchica. Tale
processo si pone in relazione diretta con la conservazione di una determinata realtà
socio economica e non può essere strumento di prevaricazione del più forte sul più
debole o di elusione delle regole dell’ordinamento; riessione tanto più valida ove
venga riferito al sistema nanziario nel quale molti sono i rischi presenti, per cui è
particolarmente avvertita la necessità di contemperare le esigenze del libero mercato
col rispetto delle regole di correttezza, buona fede e tutela degli interessi socialmente
rilevanti.

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Pur nel convincimento che la “over regulation” condizioni irrimediabilmente le capacità
concorrenziali degli operatori nel mercato, già da tempo di ritiene che la “self
regulation without a statutory framework” determini un eccessivo indebolimento dei
presidi di vigilanza, non orendo le necessarie garanzie per la tutela degli interessi in
gioco ed in particolare per il soddisfacimento dell’interesse pubblico sotteso al settore
de qua. L’autoregolamentazione sarebbe così diretta a specicare le regole
comportamentali prescritte in via generale dalla legge, si dì da garantire l’uniformità
della disciplina ed il rispetto dei principi di ordine pubblico posti a salvaguardia del
corretto funzionamento dei mercati e della tutela degli investitori.
L’utilizzo di codici variamente denominati da parte di enti, imprese e pubbliche
amministrazioni costituisce un fenomeno in progressiva, crescente espansione
nell’odierna dinamica dei rapporti civili, segnatamente in campo economico e
nanziario.
Va da ultimo fatto presente che l’elaborazione di precetti normativi in forma negoziale,
risultando particolarmente idonea a governare il fenomeno economico nanziario, ha
nito spesso con l’anticipare, sul versante tecnico, l’intervento del legislatore, nel
senso che i principi contenuti nelle formulazioni di tipo privatistica col tempo sono
evolute in vere e proprie regole, recepite nell’ordinamento o nei trattati internazionali.
Tale modalità di elaborazione dei precetti normativi si colloca nel solco di quel “diritto
a formazione spontanea” che si caratterizza per un’intrinseca ecacia. Non a caso sul
punto si è osservato che i codici di “best practises”, “nati per ovviare all’impotenza di
norme facilmente aggirabili hanno sinora rivelato un’inecacia talmente vistosa da
suggerire che alle loro disposizioni più importanti venisse data forza di legge”.

Crisi nel mercato e limiti dell’autoregolazione:


La crisi nanziaria ha messo in luce i limiti del processo di autoregolazione; ciò in
quanto quest’ultimo non è riuscito ad evitare che i mercati risultassero “esposti alle
bolle speculative” ed, in particolare, ad impedire l’incidenza negativa dei derivati,
causa della loro “potenziali instabilità sistemica”. Sono comunque emerse le carenze
del meccanismo comitologico applicato in ambito europeo; è venuta meno
l’aggregazione ed equi-ordinazione degli interessi degli SM che, per tal via, si sarebbe
dovuta realizzare. Conclusivamente può dirsi che si è addivenuti ad una ridenizione
della struttura di vertice dell’ordinamento nanziario europeo che, nel porre delicati
problemi di coordinamento tra le autorità che la compongono, e quelle nazionali, si
risolve nella prospettiva di signicativi cambiamenti degli assetti di regolazione. Ciò da
luogo tuttavia al permanere di incertezze rese tanto più evidenti dagli eetti del
processo di globalizzazione. L’avvicinamento tra paesi e realtà economiche dierenti
che ne consegue, nel determinare l’esigenza di prescrizioni universalmente valide, allo

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stato non è ancora sfociato in forme di regolazione unitaria. Si tratta per ora di
tentativi che, “in mancanza di un adeguato livello istituzionale che assicuri
l’obbligatorietà e la sanzionabilità delle regole, fanno adamento essenzialmente
sugli eetti conformativi propri alla approvazione e messa in rete nei standard di
comportamento. E’ evidente come l’evoluzione del processo disciplinare risulti legata
essenzialmente ai cambiamenti che si riscontrano in ambito europeo. Di fondo la
regolazione sembra disancorare la sua riferibilità dal tradizionale rapporto
“politica/rappresentanza” che ha caratterizzato e caratterizza l’essenza dei sistemi
democratici. La produzione normativa fa capo ad organismi variegati, alcuni dei quali
esprimono le esigenze dei destinatari della normativa, altri il contemperamento tra
interessi pubblici e privati, altri inne la conformità dei processi disciplinari ai canoni
regolatori posti a fondamento degli ordinamenti nazionali e di quello sovranazionale. Si
è dunque in presenza di una realtà complessi rispetto alla quale l’opera che
l’interprete è chiamato a svolgere appare decisiva al ne di assicurare la certezza del
diritto che tutela quanti continuiamo a credere nella funzione epistemologica di
quest’ultimo, riguardata come essenziale per una compiuta interpretazione dei
fenomeni socioeconomici.

LE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI

Le autorità amministrative indipendenti:


Costituiscono un fenomeno relativamente recente nel nostro ordinamento: sono state
infatti introdotte solo a partire dagli anni novanta del secolo scorso e nei due decenni
successivi si sono moltiplicate senza un disegno preordinato, ma facendo emergere
una tipologie nuova di “autorità”, non riconducibile alla tradizionale tipologia dei
poteri, entro la quale si possono oggi ricondurre anche alcuni soggetti che già
operavano come autorità indipendenti ante litteram, come il caso della Banca d’Italia.
Un trentennio di autorità indipendenti non è però un lasso di tempo tale da consentire
di denire ancore le autorità indipendenti un fenomeno “nuovo” e soprattutto non è un
tempo così breve da giusticare i dubbi e le problematiche che tuttora permangono
relativamente a questi soggetti, indubbiamente dicili da inquadrare e
“sistematizzare”. È dibattuta la realizzabilità di una disciplina generale valida per tutte
le autorità indipendenti. Non paiono aver dato buona prova gli interventi generali ad
esempio in tema di giurisdizione. Il tema dell’impugnabilità degli atti di questa autorità
è intimamente connesso al tipo di discrezionalità tecnica che esprimono: ci sono stati
dei tentativi in passato per arginare la possibilità di giudizio da parte dei giudici sui
provvedimenti adottati dalle autorità, ad esempio limitando i gradi di giudizio, o
limitando il giudizio al solo errore manifesto; oggi l’impugnazione è ammessa di fronte

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al giudice amministrativo. Il legislatore di è limitato dunque ad intervenire su alcuni
punti specici e negli ultimi anni sembra interessato, più che a ripensare il ruolo e la
funzione di queste autorità, a contenerne i costi. In tale direzione si è mosso quando
ha disposto la sistematica riduzione del numero dei componenti delle autorità o
quando ha dettato norme per la “realizzazione” dei costi. Gli ultimi interventi in
materia non sembrano celare un intento di ridimensionare le prerogative e
l’indipendenza di questi soggetti, una sorta di reazione della burocrazia “tradizionale”
nei confronti di questi soggetti, nati per operare con grandi margini di autonomia e al
di fuori delle strette maglie processuali proprie della pubblica amministrazione. Con il
passare del tempo, se questi prendono ad operare come amministrazioni tradizionali,
diventa dicile giusticare le loro prerogative, che assumono piuttosto i caratteri del
privilegio. Sulla possibile sovrapposizione tra la regola ministeriale, quella
amministrativa e quella indipendente il legislatore non si sta interrogando ma sembra
interessato a ridurre i costi e l’autonomia di esse.
Una delle ragioni per le quali è così dicile ricondurre questi soggetti entro una
organica disciplina unitaria è certamente connessa al momento genetico delle autorità
indipendenti: queste hanno cominciato ad acquisire una sionomia peculiare e si sono
moltiplicate abbastanza rapidamente in un lasso di tempo relativamente contenuto, e
da qui le ragioni delle varie dierenze tra i loro “statuti”. Il tratto che le ha
accomunate e poi caratterizzate è l’indipendenza dell’esecutivo. Si voleva che i
soggetti che ne fanno parte possano esercitare le proprie funzioni senza
condizionamenti di sorta. Queste autorità sono state quindi inizialmente istituire in
modo da escluderle dal circuito della legittimazione politica e dalla connessa
responsabilità politico-amministrativa, ad esse sono stati adati compiti che si vuole
vengano assolti senza vincoli derivanti da indirizzi politico-amministrativi e al riparo
delle pressioni dei soggetti vigilati. Da qui la dicoltà di collocare le nuove strutture
all’interno della tradizionale tripartizione dei poteri e di trovare il fondamento della
legittimazione delle loro attribuzioni. Oggi il problema è risolto attraverso la disciplina
del procedimento che prevedendo consultazioni preventive con i soggetti coinvolti
dalla regolazione attribuisce una sorta di “legittimazione dal basso” a queste autorità,
che però non sono “poteri” dello stato e il loro dicile inquadramento costituzionale
continua a creare problemi, ad esempio in ordine alla loro legittimazione a ricorrere
avanti la Corte Costituzionale. Nonostante l’eterogeneità delle autorità e delle attività
possiamo dire che è diusa la consapevolezza del tendenziale fondamento della loro
attività, delle opportunità di sottrarre le scelte delle autorità dall’inuenza dei governi
e che certe loro attribuzioni si collocano in una zona grigia tra l’amministrazione e la
vera e propria giurisdizione. Al momento del loro “erompere”, c’è stato anche l’allarme

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“proliferazione”. È stata impressionante la progressione con cui il legislatore ha
disciplinato nei settori più disparati soggetti annoverabili nella “nuova” categoria:
• Nel 1990 l’autorità garante della concorrenza e del mercato (n. 287 del 10 ottobre
1990);
• Il Garante per la radiodiusione e l’editoria (6 agosto 1990 n. 223;
• La Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi
pubblici essenziali (12 giugno 1990, n. 146);
• La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (d.lgs 21 aprile 1993, n. 124);
• l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (14 novembre 1995, n. 481);
• Il Garante per la protezione dei dati personali (legge 31 dicembre 1996, n. 675.
Ad esse devono essere aggiunte quelle strutture che già il legislatore aveva istituito
negli anni precedenti e che solo successivamente hanno modicato la loro sionomia
acquistato le caratteristiche di autorità indipendenti: la CONSOB (1974) e la ISVAP
(1982), ossia entra strumentale del ministero competente a vigilare sulle assicurazioni
private.
Il fenomeno poi si è stabilizzato, vericandosi in quegli anni in tutte Europa e gli
osservatori statunitensi si stupivano del moltiplicarsi delle autorità di regolazione in
Europa.
Il processo di “espansione” delle autorità indipendenti è concluso e queste hanno
trovato un proprio assetto che peraltro è per denizione instabile, in quanto la
tendenza dell’accorpamento o della ridelineazione delle funzioni è ineliminabile e
comporta necessari adattamenti nel panorama delle autorità.

Le Autorità indipendenti e la regolazione dei mercati:


Nel nostro ordinamento l’istituzione delle autorità indipendenti ha coinciso con un
momento di trasformazione dei modi di intervento pubblico nell’economia:
quest’ultima veniva sottratta alla “direzione” dei poteri pubblici per passare a forme di
“regolazione” più orientate al mercato, alcuni settori si sviluppavano e si integravano a
livello sovranazionale richiedendo modalità di intervento nuove, altri venivano
liberalizzati ma rimanevano monopoli naturali e richiedevano una regolazione ad hoc
per creare o simulare quel mercato concorrenziale che ancora non esisteva. All’origine
dell’istituzione e dello sviluppo delle autorità indipendenti troviamo il passaggio dallo
stato “interventista” allo stato regolatore. Quest’ultimo non è aatto caratterizzato
dall’idea che le dinamiche economiche debbano essere abbandonate e se stesse, ma
piuttosto è connotato da un particolare modo di governare i processi economico-sociali
senza il diretto coinvolgimento proprio dello “stato gestore”. Si caratterizza per
assumersi come funzione prevalente la correzione dei fallimenti del mercato,
utilizzando come strumento principale la statuizione delle regole, le quali dovrebbero

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essere attuate e specicate dalle agenzie regolative, che dovrebbero adottare uno
stile decisionale di tipo problem-solving e procedurale piuttosto che burocratico.
Nel caso dei mercati nanziari si passa da ordinamenti sezionali, o comunque a forte
impronta pubblicistica, a mercati in cui l’operatore economico torna ad essere un
imprenditore, ma le peculiarità delle attività svolte impongono di dettare precisi
requisiti operativi e strutturali per contenere i rischi insiti nella attività nanziaria
svolta, nonché dalla trasparenza per colmare le asimmetrie informative che
caratterizzano i mercati nanziaria. La regolazione nanziaria che si aerma a partire
dagli anni novanta vede il venir meno dei tradizionali presidi contro l’intrinseca
instabilità dell’operatore bancario basati su limiti all’operatività, discrezionalità nel
rialzo delle autorizzazioni, limitazioni alla concorrenza derivanti dall’attuazione dei
principi di specializzazione soggettiva operativa e funzionale, lasciando il posto a una
regolazione “prudenziale”, basata sull’applicazione di criteri oggettivi per il
contenimento dei rischi che trovano riconoscimento internazionale nei principi espressi
con il “capital accord” di Basilea e che vengono poi attuati in direttive comunitarie e in
provvedimenti delle autorità di vigilanza nazionali e dal legislatore.
Nel caso dei servizi di pubblica utilità lo stesso legislatore europeo ha imposto il
carattere della indipendenza “per le amministrazioni nazionali chiamate a regolare o
comunque vigilare sui mercati, sulle reti e sul rispetto degli obblighi di servizio
pubblico. L’uniformità, o almeno la convergenza nell’applicazione delle regole europee
è più facilmente raggiungibile tramite l’opera di autorità nazionali, ciascuna dotata dei
medesimi compiti e garantita da un comune statuto di indipendenza, che non
attraverso l’opera dei parlamenti e dei governi nazionali, o anche delle corti.
Nel caso dell’Antitrust troviamo una lacuna del nostro ordinamento, che viene colmata
e disciplinata ex novo. L’intervento di questa autorità si colloca piuttosto che nella
regolazione indipendente, nella disciplina “tout court” del mercato. L’intervento di
questa autorità però presuppone appunto l’esistenza di un mercato, mentre per altre
autorità, l’autorità serve proprio a creare il mercato, a simularlo nché lo stesso non si
aerma pienamente. La teoria liberista sostiene che la miglior regolazione è quella a
termine, che ricrea il mercato e quindi consegna il settore alla regolazione ex post
dell’antitrust. L’antitrust svolge i suoi compiti in parallelo a quelli delle autorità di
regolazione alle quali spetta non solo fare le veci della concorrenza in mercati in cui
ancora non esistono condizioni concorrenziali, ma anche sovrintendere alla
regolazione delle reti.

Tratti comuni e dierenze strutturali tra le varie autorità:


All’interno della generale categoria delle autorità amministrative indipendenti si
possono individuare alcuni sottotipi. Le specicità si notano essenzialmente prestando

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attenzione al tipo di funzione assegnata a ciascuna autorità, mentre sul piano
organizzativo possiamo notare una certa assimilabilità che non è comunque
omogeneità. Le autorità sono organi collegiali, composti da un presidente e da un
numero variabile di componenti, scelti tra persone che presentino determinati requisiti
di alta e specica professionalità, nominati secondo procedure pensate per garantire
alti quorum di gradimento parlamentare o comunque candidature di fatto bipartisan.
Sono stabiliti regimi di incompatibilità con altri incarichi per evitare pressioni da parte
dei soggetti vigilati e il vericarsi di fenomeni di “cattura del regolatore”.
• La CONSOB è un organo collegiale composto da un presidente e da cinque membri,
nominati con DPR, su proposta del presidente del consiglio dei ministri, che durano
in carica sette anni senza possibilità di un secondo mandato;
• L’autorità Garante della concorrenza e del mercato è un organo collegiale: il
presidente e i suoi componenti dell’autorità sono nominati dai presidenti di camera e
Senato e durano in carica sette anni, non rinnovabili. Il segretario generale, che ha il
compito di sovrintendere al funzionamento degli uci ed è il responsabile della
struttura, viene nominato dal Ministro dello Sviluppo economico su proposta del
Presidente dell’Autorità;
• L’autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico è un organo collegiale,
costituito dal presidente e da quattro memori nominati con DPR. La procedura di
nomina prevede il parere vincolante, a maggioranza dei due terzi dei componenti
delle Commissioni parlamentari competenti. I Componenti restano in carica sette
anni e nel corso del mandato si applica un regime di incompatibilità con altre attività
lavorative esteso anche ai due anni successivi la ne dell’incarico;
• L’autorità di regolazione dei trasporti è un organo collegiale, composto dal
Presidente e da due componenti nominati con DPR. Presidente e Componenti durano
in carica sette anni e non sono rinnovabili;
• L’autorità garante delle comunicazioni (AGCOM) è composta da quattro commissari
che sono eletti per meta dalla Camera e per metà dal Senato. Il presidente è
proposto direttamente dal Presidente del Consiglio d’intesa col ministro dello
sviluppo economico. Spetta inne al Presidente della Repubblica la nomina formale
del collegio che resta in carica per sette anni. Organi dell’AGCOM sono: il presidente,
che è un organo monocratico; la Commissione per le infrastrutture e le reti, la
Commissione per i servizi e i prodotti, che sono costituite da due Commissari e dal
presidente e il Consiglio. Le Commissioni e il Consiglio sono organi collegiali;
• Il Garante per la protezione dei dati è un organo collegiale, composto da quattro
membri eletti dal Parlamenti, i quali rimangono in carica per un mandato di sette
anni non rinnovabile;

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