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Egii Riassunto 4

Il capitolo analizza le dinamiche internazionali che influenzano la gestione delle imprese, evidenziando opportunità e sfide derivanti dalla globalizzazione, come l'emergere di nuovi mercati e concorrenti. Si discute l'importanza dell'organizzazione delle attività produttive e dell'acquisizione di risorse a livello globale, nonché il ruolo cruciale dello sviluppo del capitale umano e delle risorse immateriali per il successo delle imprese internazionali. Infine, viene sottolineata la necessità di un equilibrio tra autonomia locale e controllo centrale nelle multinazionali.

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Egii Riassunto 4

Il capitolo analizza le dinamiche internazionali che influenzano la gestione delle imprese, evidenziando opportunità e sfide derivanti dalla globalizzazione, come l'emergere di nuovi mercati e concorrenti. Si discute l'importanza dell'organizzazione delle attività produttive e dell'acquisizione di risorse a livello globale, nonché il ruolo cruciale dello sviluppo del capitale umano e delle risorse immateriali per il successo delle imprese internazionali. Infine, viene sottolineata la necessità di un equilibrio tra autonomia locale e controllo centrale nelle multinazionali.

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ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE INTERNAZIONALI LIBRO

CAPITOLO 1: COMPRENDERE IL CONTESTO COMPETITIVO


1. 1 DINAMICHE INTERNAZIONALI RILEVANTI PER L’IMPRESA
La gestione d’impresa richiede la comprensione di molteplici fattori di natura
internazionale, valutando in particolare come essi possano rappresentare opportunità di
sviluppo o, al contrario, criticità. In particolare, la dimensione internazionale è rilevante (pur
con intensità diversa a seconda dei business) sul piano del:
- mercato;
- concorrenza;
- organizzazione delle attività produttive;
- sviluppo del capitale umano e delle risorse immateriali.

1.1.1 LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DEI MERCATI


La dimensione internazionale dei mercati si manifesta in due modalità
Rapido e intenso sviluppo di nuovi mercati geografici (1)
La globalizzazione ha portato allo sviluppo di mercati in aree precedentemente marginali, come
Europa orientale, Cina, India, Estremo Oriente, Brasile e alcune zone dell'Africa. Questi mercati,
ora rilevanti quanto quelli occidentali, mostrano una crescente domanda di beni di consumo,
servizi e investimenti, sostenuta dalla liberalizzazione degli scambi e investimenti produttivi
degli investimenti tra Paesi. Effetti per l’impresa
L’apertura internazionale rappresenta una sfida e un’opportunità:
 Minaccia: Maggiore concorrenza e perdita di protezione nell’area geografica di origine.
 Opportunità: Possibilità di estendere il volume di affari e significativa espansione
estera.
Le imprese che si limitano al mercato locale sono svantaggiate rispetto a quelle che
sfruttano i fattori di successo su scala globale.
L’omogeneizzazione della domanda (esigenze e comportamenti) (2)
Negli anni Settanta si è osservata una convergenza nei comportamenti dei consumatori nei
Paesi occidentali, si pensava col tempo di raggiungere omogeneizzazione dei comportamenti
dei consumatori. Tuttavia, questo fenomeno è meno lineare di quanto previsto:
- Nelle politiche di marketing internazionale serve bilanciare un’offerta standardizzata con
adattamenti specifici per i diversi mercati.
- Le imprese devono individuare i fattori che favoriscono la standardizzazione e quelli che
richiedono differenziazione.

ARTICOLO: L’EFFETTO WIMBLEDON


L’articolo riflette sull’interconnessione tra economia e patriottismo economico:
Patriottismo economico nell’era globale
Nonostante la globalizzazione, il patriottismo economico mantiene un ruolo per due motivi:
1. Continua a essere animato da appartenenza, solidarietà e desiderio di successo della
comunità.
2. Il governo nazionale resta un attore chiave della politica economica.
Trasformazioni del contesto
 Dal modello di autosufficienza si è passati all’interdipendenza economica, necessaria in
un’economia di pace.
 Politiche protezionistiche possono risultare controproducenti, come nel caso di un torneo
di tennis manipolato per favorire interessi locali, che ne perderebbe prestigio e valore
economico.
Il successo, quindi, richiede un approccio moderno e globale, capace di valorizzare
l’interdipendenza senza rinunciare al senso di comunità.

1.1.2 LA CONCORRENZA: L’EMERGERE DI NUOVI SFIDANTI GLOBALI


Internazionalizzazione e aumento della competizione
L’internazionalizzazione delle relazioni economiche ha incrementato la competizione in molti
settori, favorita dalla riduzione delle barriere commerciali e dall'emergere di nuovi concorrenti
dai Paesi emergenti, nuovi protagonisti dell'offerta internazionale.
Gruppi transnazionali e economie emergenti
Il numero di gruppi transnazionali (gruppi con attività produttive controllate al di fuori del
proprio paese di origine) è cresciuto. Di questi, una quota crescente proviene da economie
emergenti o in transizione. Anche le classifiche globali (Financial Times e Fortune) vedono una

1
maggiore presenza di imprese di Paesi emergenti, in particolare della Cina. Sebbene rimangano
prevalenti, i gruppi transnazionali dai paesi avanzati hanno visto diminuire la loro incidenza.
Il successo dei nuovi sfidanti
Nel caso delle imprese cinesi ma anche altre, una quota rilevante sono controllate direttamente
o indirettamente dallo stato.
I nuovi sfidanti globali provenienti dalle economie emergenti o in transizione sono favoriti da:
 Dimensione del mercato locale (ampio): Domanda interna crescente in Cina, India e
Brasile permette alle imprese di raggiungere velocemente dimensioni ampie.
 Bassi costi produttivi: In particolare manodopera (lavoro) e input.
 Maturare competenze: Superamento di inefficienze logistiche e amministrative,
consumatore immaturo e con limitata capacità di spesa.
 Adattamento alla competizione internazionale: doversi confrontare con imprese
occidentali nel proprio contesto georgrafico, hanno sviluppato capacità strategiche per
competere globalmente.
Da un lato le imprese hanno rapidamente appreso le logiche della competizione internazionale
dall’altro si sono poste sullo stesso piano dei leader occidentali.
Come si sono sviluppati questi nuovi concorrenti?
I nuovi sfidanti hanno maturato molto rapidamente una visione globale del business (in termini
mercati e ricerca condizioni di vantaggio competitivo). Per questi paesi l’espansione estera
organizzare le proprie attività su scala sovra-locale, sfruttando sinergie tra territori
(cambiamento di approccio strategico, organizzativo e di cultura gestionale).
Inizialmente, hanno privilegiato la crescita interna o joint venture, ma oggi sonno frequenti
anche acquisizioni o scambio di partecipazioni con gruppi occidentali.
I nuovi sfidanti globali hanno concertato l’espansione dei paesi vicini al proprio e sollo
successivamente su aree geografiche più lontane .
Gli approcci strategici per l’espansione estera
Gli approcci strategici per l’espansione estera seguiti dai nuovi sfidanti globali includono:
1. Sviluppo Globale di Prodotti e Marchi Consolidati nel Mercato Locale: Le imprese
utilizzano i vantaggi di scala , i bassi costi di produzione e tecnologie adeguate per offrire
prodotti di qualità a costi competitivi nei mercati occidentali. Questo permette loro di
posizionarsi nei segmenti intermedi del mercato e dare visibilità ai marchi, favorisce anche
le relazioni con la grande distribuzione. Per quanto riguarda politica portafoglio marchi
l’impresa opta per: acquisizione di marchi consolidati in Paesi emergenti o avanzati o si
punta sulla visibilità del marchio del proprio paese.
2. Investimenti Elevati in Ricerca e Sviluppo (R&S): L’innovazione è centrale per
mantenere il vantaggio competitivo. Le aziende puntano su tre capacità: attrarre risorse
finanziarie e sostenere elevato rischio, sfruttare i risultati dell’innovazione sui mercati,
gestire capitale umano altamente qualificati a livello internazionale.
3. Specializzazione in Nicchie di Mercato: La focalizzazione su nicchie specifiche consente
di raggiungere rapidamente una leadership globale, di operare a costi unitari bassi grazie ai
grandi volumi di produzione, di sviluppare competenze specialistiche, di concentrare gli
investimenti nella ricerca e quindi il rafforzamento dell’innovazione. Questo approccio
favorisce anche la visibilità del marchio nei paesi consolidati.
4. Sfruttamento delle Risorse Naturali Locali per i Mercati Esteri: In settori come
l’agroalimentare e il minerario, le imprese aumentano la produzione oltre il fabbisogno
interno e sviluppano capacità logistiche per esportare. L’acquisizione di imprese estere che
controllano risorse naturali è frequente per garantire l’accesso a tali risorse.
5. Adattamento del Modello di Business al Contesto Locale: Le aziende adattano il
modello di business sperimentato nel proprio mercato locale alle specificità dei nuovi
mercati. Questo approccio spesso prevede acquisizioni strategiche di imprese estere per
accelerare l’ingresso nei mercati target.

1.1.3 L’ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE


L’organizzazione internazionale della catena del valore
L'internazionalizzazione influenza profondamente l'organizzazione delle attività produttive,
spingendo le imprese ad andare all’estero per la ricerca di nuovi mercati e gestire le attività
della catena del valore. La multi- localizzazione delle attività produttive ha l’obiettivo sfruttare
le differenze tra contesti geografici in termini di:
 Riduzione dei costi di realizzazione delle attività:
 Accesso a risorse rilevanti:

2
 Efficienza logistica
 Vicinanza ai mercati finali
 Collaborazione con attori locali (soggetti economici o governi): per favorire il
radicamento dell’impresa nei paesi esteri.
Tuttavia, negli ultimi anni si è registrato un rallentamento nella delocalizzazione produttiva, con
segnali di un possibile ritorno delle attività nei paesi d’origine, accelerato anche dagli effetti
della pandemia da COVID-19.
Il livello di proiezione internazionale: “Indice di transnazionalità”
L’indice di transnazionalità misura il livello di proiezione internazionale dell’attività
produttiva di un’impresa, considerando il peso degli asset, del valore aggiunto e degli occupati
all’estero sul totale dell’impresa. L’indice si calcola come segue:
 K: rapporto tra le immobilizzazioni nei Paesi esteri e il totale delle immobilizzazioni.
 X: rapporto tra gli occupati nelle sedi estere e il totale degli occupati, con attenzione
all’internazionalizzazione di top e middle manager.
 Y: rapporto tra il valore aggiunto nei Paesi esteri e il totale del valore aggiunto.
 a, b, c: parametri di ponderazione delle variabili, con valori tra 0 e 1.
Il network spread index
Il network spread index misura il livello di globalizzazione di un’impresa, calcolando il
rapporto tra il numero di Paesi in cui l’impresa ha società controllate e il numero di Paesi in cui
potrebbe essere presente, questi sono quelli con un valore positivo di IDE (Investimenti Diretti
Esteri).
Questo indicatore valuta il grado di concentrazione geografica della presenza produttiva
internazionale dell’impresa.
I settori con maggiore diffusione transnazionale delle imprese sono l'elettronica, la chimica e, in
misura minore, l'alimentare (food & beverages). Al contrario, i settori con maggiore
concentrazione geografica sono le costruzioni, le utilities e, in particolare, la produzione di
energia elettrica.
L’acquisizione delle risorse rilevanti su scala internazionale
Le grandi e medio-grandi imprese gestiscono gli approvvigionamenti su scala internazionale,
creando unità organizzative (all'interno della corporate o come società indipendente) dedicate
al procurement internazionale. Queste strutture selezionano un numero limitato di fornitori
"eccellenti" in base alla loro capacità di operare in più aree geografiche, affidando loro la
fornitura degli input per le strutture produttive nei vari Paesi.
A livello centrale, vengono definiti gli accordi commerciali con i fornitori, stabilendo:
 Gli standard qualitativi e i contenuti generali della fornitura.
 Il grado di standardizzazione internazionale.
 La struttura dei prezzi.
 Il grado di esclusività del rapporto di fornitura.
A livello locale, si gestiscono aspetti operativi come:
 Tempi e modalità di esecuzione della fornitura.
 Organizzazione logistica.
 Adattamenti locali(nei limiti stabili dal accordo generale).
Il global sourcing non esclude la collaborazione con fornitori locali che, pur rimanendo a
livello locale, possiedono la capacità produttiva e le competenze per espandere la loro attività a
livello internazionale. In alcuni casi, la grande impresa-cliente stimola l’internazionalizzazione di
un fornitore locale, riconoscendo le sue potenzialità di crescita e il suo impegno verso
un'espansione sovra-locale.
Lo sviluppo delle reti
Lo sviluppo delle reti internazionali di generazione della conoscenza è un aspetto
fondamentale della gestione internazionale delle risorse. Oggi, l'acquisizione della conoscenza
da parte delle imprese è diventata più complessa.
- In passato, questo processo avveniva principalmente a livello nazionale, all'interno delle
stesse organizzazioni o con attori locali come università e centri di ricerca.
- Oggi, le imprese internazionali, anche di dimensioni medio-piccole, possono connettersi
alle "reti lunghe" della ricerca, entrando in contatto con interlocutori globali che
meglio rispondono ai loro obiettivi di sviluppo delle conoscenze.
La partecipazione a progetti di ricerca internazionali diventa una discriminante
competitiva, questi progetti non solo permettono di valorizzare e sviluppare il patrimonio di
conoscenze, ma offrono anche l'opportunità di entrare in reti internazionali che favoriscono
opportunità di business.

3
Materie prime e mercati finanziari
Un altro aspetto cruciale della globalizzazione riguarda l'intensificata competizione per
l'acquisizione delle materie prime. Il rapido sviluppo industriale di aree precedentemente
marginali ha aumentato la domanda di materiali utilizzati nei processi produttivi. Mentre in
passato le imprese dei Paesi sviluppati potevano soddisfare la propria domanda di materie
prime senza gravi difficoltà, in futuro dovranno affrontare una concorrenza crescente dalle
economie emergenti e in via di industrializzazione.
Inoltre, lo sviluppo dei mercati finanziari internazionali e degli strumenti di finanziamento
sofisticati ha spinto gli investimenti produttivi all'estero, favorendo operazioni di acquisizioni e
fusioni cross-border. Le banche d'investimento internazionali stanno giocando un ruolo
sempre più significativo nel processo di internazionalizzazione produttiva e commerciale di
medie e grandi imprese.

1.1.4 LO SVILUPPO DEL CAPITALE UMANO E DELLE RISORSE IMMATERIALI


La globalizzazione ha portato a una crescente omogeneizzazione internazionale dei modelli
di gestione e delle procedure aziendali, grazie all'intensa interazione tra mercati e attori
globali. La diffusione dei gruppi internazionali, in cui una casa madre controlla diverse strutture
in vari Paesi, favorisce la convergenza dei modelli manageriali. Nonostante le differenze nei tipi
di strutture organizzative, tutte le unità di un gruppo internazionale tendono a adottare norme
interne comuni e meccanismi gestionali simili.
Automonia vs controllo
Un aspetto cruciale nella gestione internazionale è trovare un equilibrio tra l’autonomia delle
singole consociate, che deve permettere loro di rispondere rapidamente alle sfide locali, e il
controllo per garantire coerenza e unitarietà nelle azioni del gruppo. Con l'espansione globale
delle attività e la necessità di rapidità nelle decisioni, i metodi di controllo burocratici o
gerarchici diventano sempre meno efficaci.
Le forme di controllo strategico a livello internazionale si basano sempre di più
sull’allineamento di tutte le unità del gruppo a obiettivi comuni. I grandi gruppi, anche di medie
dimensioni, investono nello sviluppo di strumenti che rafforzano la condivisione dei valori, il
senso di appartenenza e la collaborazione tra le diverse unità, attraverso strumenti come:
 Grandi convention internazionali per i manager.
 Comunicazione aziendale interna tramite rete intranet.
 Meccanismi di carriera internazionale.
Man mano che l’impresa sviluppa una presenza estera non solo commerciale, deve attuare
misure sempre più incisive per omogeneizzare i valori e i modelli gestionali a livello
internazionale, un processo supportato anche dall'internazionalizzazione delle società di
consulenza strategica e tecnologica che propongono ai clienti approcci gestionali di matrice
omogena (comuni).
La gestione del capitale umano
 L'internazionalizzazione influisce profondamente sulla gestione del capitale umano,
poiché la presenza dell'impresa in molti Paesi porta a un forte diversificazione delle
risorse umane in termini di nazionalità, valori, aspettative e abitudini. Nei gruppi globali,
una parte significativa dei dipendenti proviene da Paesi diversi da quello della casa madre.
Negli ultimi vent’anni, questa diversità ha riguardato anche i livelli dirigenziali, con manager
e dirigenti provenienti da vari Paesi, inclusi amministratori delegati e direttori generali.
 Questo fenomeno è spiegato dalla necessità di avere un management globalizzato, in
linea con l'internazionalizzazione del business. I programmi di mobilità internazionale per
dirigenti favoriscono la creazione di gruppi di comando multiculturali. Inoltre, la ricerca
di talenti globali e l'espansione delle opportunità di formazione in diverse aree
geografiche contribuiscono all'eterogeneità della classe dirigente.
 Un altro aspetto è la crescente discrepanza tra la nazionalità della casa madre e quella
degli azionisti, a causa dell'apertura dei mercati finanziari e della crescente diffusione
delle fusioni e acquisizioni internazionali. La diversità degli azionisti globali si riflette
in una dirigenza multinazionale.
Eterogeneità come fattore di competitività
L’eterogeneità del capitale umano nelle imprese internazionali rappresenta un fattore cruciale
di competitività. La diversità di competenze, esperienze e sensibilità all'interno di
un’organizzazione favorisce il successo, poiché la coesistenza di prospettive diverse, se ben
gestita, stimola la capacità di innovare, la comprensione degli scenari evolutivi e

4
la capacità di integrare risorse esterne. Queste capacità sono fondamentali per creare
un vantaggio competitivo.
Il diversity management
L’eterogeneità, pur essendo un’opportunità, rappresenta una sfida per le organizzazioni, che
naturalmente tendono a privilegiare la coesione. Le imprese internazionali, pur sviluppando
una cultura aziendale omogenea, devono trovare un equilibrio tra diversità e orientamento
convergente. Per gestire questa sfida, nei grandi gruppi globali si è consolidata la funzione
di diversity management, che ha il compito di:
 Gestire i problemi legati alla diversità.
 Valorizzare le potenzialità derivanti dalla presenza di persone con diverse provenienze
nazionali e culturali.

1.2 LA DINAMICA DEL COMMERCIO ESTERO


UN PO’ DI DATI
Nel 2018, il commercio mondiale ha raggiunto i 25,4 trilioni di dollari, suddivisi in 19,7
trilioni per le merci e 5,7 trilioni per i servizi. Rispetto a prima sia le esportazioni di merci
che di servizi sono aumentate.
Dal 2008, il commercio mondiale e il GDP globale sono cresciuti entrambi del 26%, ma con
alcune differenze:
 Le esportazioni di merci sono aumentate del 20% (2,3% annuo).
 Le esportazioni di servizi sono cresciute del 46% (quasi il 5% annuo)  le esportazioni
di servizi sono cresciute di più
Tra il 2016 e il 2018, il valore delle merci è cresciuto. Gran parte di questo incremento è stato
trainato da: Prodotti energetici e minerari. Prodotti manifatturieri. Il settore
farmaceutico ha mostrato la crescita maggiore, esportazioni di ferro e acciaio in calo .
Nei servizi, tra il 2008 e il 2018:
 Servizi professionali e consulenza manageriale sono cresciuti
 Servizi di trasporto marittimo sono diminuiti
 Dal 2016 al 2018, i servizi legati a trasporti, viaggi e beni sono aumentati e i servizi ICT
sono cresciuti
Commercio tra Paesi emergenti
Nel 2018, il commercio tra Paesi emergenti (South-South trade) ha rappresentato il 52%
del totale, superando quello verso Paesi sviluppati. Dal 2008 al 2018:
 I Paesi con la crescita dell’export manifatturiero più alta sono stati Cina, India,
Messico, Vietnam e Bangladesh.
 Nei servizi, spiccano Myanmar, Qatar, Filippine, Cina, India, Singapore e Vietnam.
Esportazioni e importazioni per macroaree
Nel 2018: L’Europa si conferma il maggiore esportatore (7,1 trilioni di dollari) e importatore,
L’Asia è al secondo posto e una crescita significativa mentre Gli Stati Uniti occupano il terzo
posto.
Principali Paesi per commercio di beni e servizi
Nel commercio di beni: La Cina domina nelle esportazioni e nelle importazioni, seguita da
Stati Uniti, Giappone, Olanda e Francia. L’Italia è al nono posto per export e al decimo per
import.
Nel commercio di servizi: Gli Stati Uniti sono al primo posto, seguiti da Cina, Germania, Regno
Unito e Francia. India e Singapore occupano il nono e decimo posto. L’Italia è più indietro.

Le global value chains


Circa il 57% del commercio internazionale riguarda beni e servizi scambiati nell’ambito
delle catene globali del valore (GVCs) (reti di strutture produttive collocate in diversi paesi
e integrate in produzioni complesse). Le economie emergenti partecipano a queste reti con
modalità simili a quelle avanzate. Si osservano processi come:
o Importazione di input per produzioni locali destinate all’esportazione.
o Esportazione di input verso altri Paesi per le fasi finali della produzione.

1.3 GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI


1.3.1 LA DEFINIZIONE E LE DIMENSIONI DEL FENOMENO DEGLI INVESTIMENTI ESTERI
L'investimento diretto estero (IDE) è un investimento realizzato da un'organizzazione in un
Paese in un'impresa residente in un altro Paese, con l'intento di acquisirne il controllo e di

5
gestirne le attività in modo integrato. I flussi di IDE sono determinati dai flussi di capitale
impiegati dall'investitore, direttamente o tramite una controllata, per acquisire il controllo di
una struttura estera e dalle risorse finanziarie che l'investitore fornisce a quest’ultima. I
flussi possono essere:
 Equity: capitale investito direttamente.
 Utili reinvestiti: profitti prodotti dall’impresa esterna e reinvestiti all’interno della
stessa impresa.
 Prestiti intra-company: prestiti concessi dalla società madre alla sua controllata.
Lo stock di IDE si calcola con il valore del capitale netto delle società controllate all’estero,
sommandolo al loro indebitamento verso la controllante o altre società del gruppo.
La Natura degli IDE
Gli IDE hanno una duplice natura:
 Investimenti in entrata: Quando si considerano dal punto di vista del Paese in cui sono
realizzati, ovvero gli investimenti provenienti da imprese straniere (entrano in un territorio).
 Investimenti in uscita: Quando si considerano dal punto di vista del Paese di origine
dell’impresa, ovvero gli investimenti che un'impresa locale fa all’estero (escono da un
territorio).
Stock Complessivo e Flussi di IDE
Nel 2018, lo stock complessivo di IDE ha raggiunto 33.000 miliardi di dollari. Rispetto agli
anni precedenti è aumentato tantissimo.
Nel 2018, i flussi di IDE in entrata sono stati circa 1,4 trilioni di dollari, in calo dal picco
storico del 2015 di 2 trilioni di dollari. La riduzione dei flussi è stata particolarmente forte in
Europa e USA, mentre in Asia è aumentata. I Paesi emergenti hanno ricevuto più del 55% dei
flussi di IDE.
Flussi in Uscita
I flussi in uscita da parte delle imprese dei Paesi avanzati sono scesi, il livello più basso mai
registrato. Questo è stato influenzato dalla riforma fiscale del 2017 negli Stati Uniti. Gli IDE in
uscita dall'Europa sono cresciuti dell’11%, con aumenti significativi in Francia, mentre
Germania e Regno Unito hanno visto una diminuzione. Italia è al quindicesimo posto
mondiale per investimenti in uscita, dietro a Francia, Regno Unito, Germania e Spagna.
Rilevanza Economica degli IDE
Gli IDE sono cruciali anche per le dimensioni economiche delle controllate estere:
 Nel 2018, l'UNCTAD stima che queste imprese abbiano generato 27,2 miliardi di
dollari di fatturato e un valore aggiunto di 7,2 miliardi di dollari.
 Gli investimenti totali ammontano a 110,5 miliardi di dollari, con un’occupazione di
quasi 86 milioni di persone.
Negli ultimi dieci anni, il valore aggiunto è cresciuto del 40%, gli investimenti e l'attivo
sono raddoppiati, le vendite sono aumentate del 10% e l'occupazione del 25%.
La Teoria del Ciclo di Vita Internazionale degli IDE
La teoria del ciclo di vita internazionale degli IDE (Dunning, 1981, 1986) suggerisce che i flussi
di IDE di un Paese siano correlati al suo livello di sviluppo economico. La teoria definisce
cinque fasi di crescita economica in cui gli IDE in entrata e in uscita seguono dinamiche
diverse:
1. Fasi iniziali: Paesi con basso sviluppo economico, non attraggono IDE e non sono in
grado di investirvi. Il flusso netto di IDE è vicino a zero.
2. Transizione verso il consolidamento: Gli IDE in entrata prevalgono, grazie a buone
opportunità di investimento, ma il Paese non ha ancora un sistema imprenditoriale
competitivo per investire all'estero.
3. Fase di piena crescita industriale: Il flusso netto di IDE è positivo, in quanto le
imprese locali cominciano a internazionalizzarsi attivamente.
4. Fasi di ulteriore crescita: Il saldo tra IDE in entrata e in uscita si equilibra, poiché il
Paese è in grado di attrarre IDE e contemporaneamente di investire all'estero.
I flussi di IDE in uscita si manifestano nei paesi che hanno raggiunto: certo grado di
maturazione economica e un sistema di impese sufficientemente competitivo a livello
internazionale.
Evoluzione degli IDE
Man mano che un Paese cresce economicamente, cambia anche la natura degli IDE che
attraggono.
 Nelle fasi iniziali, gli IDE in entrata si concentrano nei settori delle materie prime e
manifatturiero a bassa intensità tecnologica.

6
 Con il miglioramento economico, gli IDE in entrata si spostano verso settori ad alto
valore aggiunto.
Fattori che Influenzano i Flussi di IDE
Anche se la teoria di Dunning è applicabile a molti Paesi con simili livelli di sviluppo, esistono
differenze significative nei flussi di IDE tra Paesi simili. La capacità di attrarre e realizzare IDE è
influenzata da:
 Struttura industriale e imprenditoriale del Paese.
 Efficacia delle Politiche per rafforzare l'attrattività economica.
 Specificità logistiche del Paese.

1.3.2 LE MODALITÀ DI REALIZZAZIONE DI UN INVESTIMENTO DIRETTO ESTERO


Un investimento diretto estero (IDE) può essere realizzato in due modalità principali:
 Investimento di tipo greenfield: consiste nell’insediamento di nuove strutture
produttive, come impianti, uffici, centri di ricerca, reti operative, stabilimenti ecc.
Questo tipo di investimento comporta un incremento della capacità produttiva nel Paese
ospitante.
 Acquisizione di aziende esistenti: consiste nell’acquisizione della proprietà o di una
quota di controllo di un’impresa già presente nel Paese estero, e può comprendere
anche fusioni con aziende locali.
Un’ulteriore distinzione è quella tra investimenti greenfield (creazione di nuove strutture su
terreni non utilizzati precedentemente per attività economiche) e investimenti brownfield
(creazione di strutture in aree già utilizzate in passato per attività produttive, eventualmente
dopo interventi di riconversione o bonifica).
Special Purpose Entities (SPES)
Una parte consistente degli IDE è destinata alla creazione di Special Purpose Entities
(SPES), società localizzate in Paesi che offrono vantaggi fiscali e finanziari, come Olanda,
Lussemburgo, e Hong Kong. Queste entità sono utilizzate per ottimizzare le condizioni fiscali e
finanziarie per le aziende multinazionali.
Tendenze negli IDE
Negli ultimi 25 anni, le acquisizioni e fusioni sono diventate la modalità preferita di
realizzazione degli IDE, soprattutto nei Paesi economicamente avanzati (maggiore rapidità di
entrata nel mercato sia di predisposizione delle risorse per competere).
Nel 2018, le acquisizioni hanno rappresentato l'84% degli investimenti in Paesi avanzati, con un
aumento del 21% rispetto all'anno precedente. I progetti greenfield, pur continuando a
crescere, sono stati meno prevalenti.

1.3.3 GLI INVESTIMENTI GREENFIELD


Si prevede che nei prossimi anni le economie emergenti continueranno ad aumentare sia come
origine che come destinazione degli investimenti greenfield. Le destinazioni più popolari per
questi investimenti sono la Cina, seguita da Stati Uniti, Indonesia, India, Brasile e Germania.
Tra le prime 17 destinazioni, 12 sono pasi emergenti o in tranisizone. Il settore farmaceutico
è quello con la maggiore presenza di progetti greenfield, seguito da servizi IT, chimica,
elettronica, automotive e aerospazio.
Gli obiettivi principali degli investimenti greenfield includono: collocare lo sviluppo tecnologico
dei prodotti vicino al mercato finale, accedere alle competenze specializzate, essere collocati
dove sono presenti centri di eccellenza nelle tecnologie di interesse per il gruppo.

1.3.4 LA POSIZIONE DELL’ITALIA NEL FLUSSI DI INVESTIMENTI DIRETTI


L’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi europei avanzati per quanto riguarda il valore complessivo
degli IDE in entrata, con il peso relativo degli IDE sul PIL pari al 21%, inferiore rispetto a
Germania, Francia , Spagna e Regno Unito . Tuttavia, l'Italia è al sesto posto nel mondo per
intensità localizzativa dei 100 maggiori gruppi transnazionali, con 81 gruppi internazionali
presenti nel Paese. Questo significa che per le principali compagnie internazionali l’Italia
rimane uno dei paesi dove è comunque necessario essere presenti.
L’Italia ha però una bassa attrattività per i gruppi transnazionali medio o medio-grandi e quelli
provenienti da Paesi emergenti, con un indice di attrattività inferiore rispetto ad altri Paesi
sviluppati. L’Italia rientra nei paesi con performance inferiori rispetto al potenziale:
l’Italia tende a attrarre meno IDE di quanto potrebbe, dato il suo potenziale calcolato in base ai
fattori macro e microeconomici.

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ARTICOLO: Gli investimenti diretti esteri delle aziende italiane
Nel 2012, le imprese italiane controllavano 21.830 affiliate in 160 Paesi, con un fatturato di 546
miliardi di euro e un’occupazione di circa 1,7 milioni di persone. Tra il 2013 e il 2014, il 60% dei
principali gruppi italiani ha avviato nuovi investimenti internazionali.
L’internazionalizzazione attiva delle imprese italiane è particolarmente forte nei settori
manifatturieri come l’estrazione di minerali (119%) e la fabbricazione di autoveicoli (oltre
100%), nonché nei settori dell'energia, farmaceutico e apparecchiature elettriche. Le
multinazionali italiane generano il 15% del loro fatturato all’estero, con un terzo di questo che
viene re-esportato in Italia.

ARTICOLO: Ragioni che spingono le imprese italiane a investire all’estero


Un'indagine ISTAT ha evidenziato che la principale motivazione per cui le imprese italiane
investono all’estero è l’accesso a nuovi mercati (86% delle imprese manifatturiere e 82% dei
servizi). Altri motivi rilevanti includono l’aumento di qualità e lo sviluppo di nuovi prodotti
(50-51%) e la riduzione dei costi (40%), mentre i benefici fiscali sono ritenuti poco rilevanti. I
nuovi IDE sono principalmente destinati alla produzione di beni e servizi, seguiti da
investimenti in distribuzione, logistica e marketing.

1.3.5 IL RUOLO DEGLI INVESTITORI FINANZIARI


Gli investitori finanziari, tra cui private equity, fondi sovrani, fondi di investimento,
hedge funds, e merchant banks, hanno svolto un ruolo cruciale nel recente aumento delle
fusioni e acquisizioni internazionali. Secondo i dati UNCTAD, le acquisizioni e fusioni cross
border realizzate da questi fondi sono più che raddoppiate dal 1996 al 2013, rappresentando
circa il 24% del totale delle operazioni.
Evoluzione del Ruolo degli Investitori Finanziari
Questi investitori non si limitano più all’acquisto di pacchetti azionari come tipico degli
investimenti finanziari, ma tendono a acquisire quote di controllo nelle società, assumendo
un ruolo attivo nella loro gestione, spesso in collaborazione con operatori industriali.
Questa evoluzione ha portato a:
 Un aumento della dimensione delle partecipazioni.
 Un allungamento dei tempi di mantenimento delle partecipazioni.
 Un forte coinvolgimento nella definizione delle strategie competitive delle aziende
in cui investono.

1.4 L’IMPATTO DEGLI INVESTIMENTI ESTERI NEL CONTESTO OSPITANTE


1.4.1 LA COMPLESSITÀ DELLA RELAZIONE TRA PAESE OSPITANTE E GRANDE IMPRESA
INTERNAZIONALE
Le relazioni tra le grandi imprese internazionali e i governi dei Paesi ospitanti sono evolute
nel tempo. Nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, questi rapporti erano spesso
conflittuali, ma a partire dagli anni Settanta, con la crescita degli investimenti produttivi esteri,
hanno visto un miglioramento significativo. Le imprese internazionali, un tempo viste
principalmente come sfruttatrici di risorse, sono diventate partner strategici per i governi locali,
che hanno iniziato a offrire incentivi per attrarre tali investimenti, mentre le aziende
internazionali hanno riconosciuto il valore delle relazioni con il contesto geografico ospitante
(per creare vantaggio competitivo).
La Collaborazione
Questo cambiamento ha portato a una maggiore collaborazione reciproca. Le imprese
internazionali hanno intensificato i loro impegni nelle politiche di sostenibilità ambientale e
sociale e nelle iniziative locali in collaborazione con le comunità e le organizzazioni non
profit (impresa internazionale come buon cittadino). Tra i principali settori di confronto, che
determinano l'equilibrio tra le esigenze delle imprese estere e quelle dei governi locali, si
trovano:
 Valore aggiunto prodotto: La ricchezza creata da un’impresa estera dipende dalla parte
di valore aggiunto che viene trasferito agli attori locali, soprattutto tramite occupazione e
valore degli acquisti degli attori locali.
 Localizzazione delle attività di R&S: La localizzazione della ricerca e sviluppo in un
determinato paese ha impatti significativi sulla competitività dell'impresa globale e
favorisce lo sviluppo di competenze avanzate nel territorio.

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 Buona cittadinanza: Le imprese dovrebbero perseguire strategie per essere accettate
favorevolmente dai governi locali, migliorando le condizioni ambientali e sociali attraverso
investimenti e azioni concrete nel territorio (sostenibilità).
 Bilancio commerciale della sussidiaria estera: la sussidiaria estera acquista
beni/servizi nel territorio ospitante e realizza nel mercato certi volumi di fatturato. È
essenziale bilanciare il valore erogato aal territorio attraverso fornitori locali e quello
drenato dal mercato geografico, monitorando il flusso commerciale e il fatturato.
 Occupazione e sviluppo delle risorse umane: normalmente, gli attori locali
attribuiscono grande importanza all’occupazione creata nel tempo da un
investimento estero. A riguardo, bisogna considerare sia l’occupazione direttamente
creata dalla nuova struttura produttiva, sia quella indotta, che consegue allo sviluppo di
nuove iniziative economiche legate all’investimento estero.
 Questi effetti devono essere valutati alla luce delle conseguenze prodotte dalla nuova
entrata sulla posizione competitiva dei concorrenti e quindi sull’offerta di lavoro delle
imprese locali.
 Dal punto di vista dell’impresa estera, è invece rilevante verificare la qualità della forza
lavoro esistente nell’area geografica di interesse e le condizioni di utilizzo di tale fattore,
con riferimento non solo al costo diretto, ma anche al grado di flessibilità.
 Un terzo elemento importante è il ruolo che la sussidiaria può svolgere nello sviluppo delle
competenze professionali delle risorse umane locali.
 Trasferimento di fondi finanziari: I fondi generati da una consociata vengono spesso
reinvestiti nell’area in cui sono stati prodotti. La gestione di questi fondi avviene attraverso
tre leve: dividendi, mutui interni e prezzi di trasferimento. Tutti elementi cruciali per il
finanziamento delle attività locali.
Il Ruolo dei Governi Nazionali
I governi, in particolare nei Paesi emergenti, hanno adottato misure favorevoli per il commercio
internazionale, per attrarre investimenti diretti esteri e joint ventures, tra cui:
 Libertà di entrata delle imprese estere in determinati settori produttivi.
 Incentivi fiscali e aiuti a investitori esteri, specialmente nelle special economic
zones.
 Facilitazioni nelle acquisizioni di asset da parte di investitori esteri.
 Semplificazione delle procedure amministrative.
Tuttavia, negli ultimi anni, si sta assistendo a un cambiamento nelle politiche, con alcuni Paesi,
come gli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump, che hanno introdotto barriere
tariffarie e politiche per riportare gli investimenti produttivi nel Paese, suscitando
reazioni simili da parte di altre nazioni come la Cina e l'UE.

1.4.2 L’IMPATTO DEGLI INVESTIMENTI PRODUTTIVI ESTERI SUL TERRITORIO


OSPITANTE
Il fenomeno naturale della migrazione
Gli investimenti esteri devono tenere conto dell’evoluzione internazionale dei settori produttivi.
La teoria economica, a partire dal contributo di Vernon, evidenzia che molte produzioni siano
caratterizzate da un fenomeno di naturale "migrazione". Questo fenomeno si verifica
lentamente, ma inevitabilmente, quando si creano condizioni di vantaggio in nuove aree
geografiche per realizzare determinate attività produttive. La migrazione riguarda sia il
trasferimento dei fattori di vantaggio competitivo che dei mercati più ampi per un prodotto,
influenzando le decisioni di investimento.
Sviluppo dei flussi IDE in entrata
Lo sviluppo dei flussi di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in entrata è cruciale per favorire la
competitività e il sostenibile sviluppo del territorio ospitante, più che minimizzare i flussi in
uscita. Gli investimenti delle imprese locali all’estero riflettono la loro competitività
internazionale e possono derivare dallo spostamento geografico delle aree più vantaggiose per
alcune attività economiche. È prioritario attrarre investimenti produttivi esteri che abbiano un
impatto positivo sul sistema economico e sociale locale.
L’impatto di un IDE dipende dalle condizioni del territorio ospitante:
 In aree poco sviluppate con alta disoccupazione, un investimento greenfield può generare
effetti positivi significativi, spesso amplificati dall’interazione con gli attori locali.
 I soggetti del territorio possono, infatti, stimolare comportamenti virtuosi dagli operatori
esterni, con benefici aggiuntivi per il sistema economico e sociale.

9
Effetti delle acquisizioni di aziende locali
Gli investimenti esteri tramite l’acquisizione di aziende locali non garantiscono
automaticamente un aumento dello stock di capitale investito nel Paese ospitante, poiché
inizialmente comportano solo un cambio di controllo proprietario senza effetti immediati
rilevanti.
 Effetti sul breve e medio-lungo termine: Non si osservano impatti univoci né
sull’incremento del capitale investito né sui livelli di occupazione.
 Ridimensionamento delle attività: In molti casi, l’acquisizione mira a ottenere quote di
mercato o posizionamento strategico, portando spesso al trasferimento di attività
produttive prima svolte dall’impresa acquisita in altri Paesi più efficienti.
 Valorizzazione dell’impresa locale: Se l’azienda acquisita dimostra eccellenza in
determinate funzioni, la casa madre potrebbe assegnarle nuovi compiti e risorse,
aumentando il suo ruolo nel gruppo.
In conclusione, l’impatto di un’acquisizione sul paese ospitante dipende essenzialmente dagli
obiettivi strategici dell’operazione di acquisizione e dalle competenze distintive
dell’impresa acquisita nel contesto del gruppo internazionale.
La valutazione dell’impatto di un IDE
Per valutare l’impatto di un IDE sul territorio ospitante, è necessario seguire tre passaggi logici:
1. Identificazione delle esternalità positive e negative che un IDE potrebbe generare sul
territorio.
2. Valutazione dell’effettivo impatto di queste esternalità, tenendo conto delle
condizioni specifiche del territorio ospitante e degli obiettivi dell'investitore estero.
3. Comprensione dei fattori che influenzano il manifestarsi delle esternalità, per prevedere
l’effetto di tali investimenti sul territorio.

1.4.3 IL TRASFERIMENTO DELLA CONOSCENZA


Condivisione delle Conoscenze nel Gruppo
Le grandi imprese internazionali facilitano la condivisione di conoscenze e tecnologie tra le loro
consociate, rendendo disponibili nuove competenze e risorse a livello globale. Le consociate, a
loro volta, diffondono queste conoscenze nel Paese ospitante, grazie alle relazioni con imprese
locali che fungono da clienti o fornitori.
Adeguamento agli Standard Tecnologici
Le imprese locali sono spesso spinte ad adeguare i loro prodotti e processi agli standard
tecnologici delle multinazionali con cui collaborano. Questo miglioramento tecnologico
aumenta la qualità complessiva delle imprese locali, specialmente per quelle che stabiliscono
rapporti significativi con operatori esteri.
Modalità di Accesso alle Tecnologie delle Imprese Esterne
Le imprese locali possono accedere alle tecnologie estere attraverso diversi canali:
 Un primo meccanismo è il "learning by observing" o demontration effect, che
consente loro di imitare innovazioni tecniche e organizzative.
 Un altro canale è rappresentato dai legami contrattuali con fornitori e acquirenti locali,
che favoriscono il trasferimento di competenze attraverso assistenza nell’acquisto di
materie prime, standard qualitativi, formazione e miglioramento dei processi produttivi.
Correlazione con il Gap Tecnologico
La rilevanza degli effetti degli investimenti diretti esteri (IDE) è strettamente legata al gap
tecnologico tra il Paese di origine e quello di destinazione. Questo rapporto si manifesta in
diversi modi:
 Trasferimenti tecnologici e divario iniziale: I trasferimenti di tecnologia sono
generalmente correlati positivamente al divario tecnologico iniziale tra i due Paesi. Le aree
meno sviluppate beneficiano maggiormente degli stimoli tecnologici offerti da regioni più
avanzate, che fungono da motore di cambiamento.
 Settori sviluppati del Paese ospite: Se gli IDE si concentrano in settori già sviluppati, le
imprese locali risultano più ricettive e capaci di valorizzare meglio le conoscenze trasferite
dalle affiliate estere.
Gli effetti di lungo periodo degli IDE variano in base al livello pregresso di sviluppo economico
del Paese ospite. Gli spillover tecnologici si manifestano con maggior evidenza nelle economie
meno sviluppate, dove il divario tecnologico è più marcato. La possibilità di acquisire e sfruttare
la tecnologia estera dipende dalla capacità di assorbimento delle imprese locali. Questa, a
sua volta, è influenzata da due fattori principali:

10
1. Soglia minima di tecnologia: Le imprese devono disporre di un livello minimo di
tecnologia per poter sfruttare gli effetti positivi degli IDE .
2. Dimensione aziendale e qualità del capitale umano

1.4.4 L’AUMENTO DELLE ESPORTAZIONI E VALORIZZAZIONE DELLE PRODUZIONI


LOCALI
Arricchimento delle Attività Economico-Produttive
Gli IDE contribuiscono all'arricchimento delle tipologie di attività economico-produttive nel
territorio ospitante, con un incremento della produzione locale e potenzialmente delle
esportazioni. L’ingresso di investitori esteri collega il territorio alle reti internazionali di
produzione e scambio.
Aumento delle Esportazioni
Gli investimenti esteri favoriscono l’aumento delle esportazioni attraverso quattro meccanismi
(sia in economie sviluppate che emergenti):
1. Produzione di semilavorati o componenti nel territorio ospitante, destinati alla casa
madre.
2. Produzione per soddisfare il fabbisogno di impianti a valle in altri Paesi (flussi intra-
company).
3. Produzione per il mercato locale e per altri mercati convenientemente raggiungibili.
4. Sviluppo nel territorio di prodotti caratterizzati da un’immagine distintiva, che vengono
poi commercializzati sui mercati internazionali.
Questo processo non solo aumenta la quantità di esportazioni, ma valorizza anche i marchi
locali, dandogli una spinta internazionale che altrimenti non sarebbe possibile.
Fattori Chiave per l’Affermarsi del Marchio sui Mercati Esteri
Per affermarsi sui mercati internazionali, i marchi locali devono beneficiare di fattori chiave
quali:
 Elevata capacità di investimento,
 Competenze di marketing avanzate,
 Maggiore capacità produttiva,
 Miglior controllo delle reti distributive globali.
L’impresa estera, quindi, non solo accresce le esportazioni, ma aiuta a far emergere a livello
globale le eccellenze locali, rinforzando la reputazione del territorio e la percezione
dell’eccellenza produttiva, rafforzando così il posizionamento del territorio stesso presso gli
investitori esteri.

1.4.5 LA VALORIZZAZIONE DEL CAPITALE UMANO


La presenza di imprese internazionali in un determinato territorio ha un effetto positivo sul suo
capitale umano, sia quello direttamente impiegato dall’impresa stessa, sia, in qualche misura,
quello collocato altrove.
1. Differenziale Retributivo: le imprese con partecipazione estera tendono a offrire salari
superiori rispetto alle imprese locali, una tendenza visibile soprattutto nei Paesi sviluppati.
Questo differenziale retributivo può essere attribuito alla natura dei settori in cui gli
investimenti esteri sono concentrati, che tendono ad avere livelli salariali più alti. Inoltre, le
imprese estere possono voler stabilire buone relazioni con il sistema sociale del Paese
ospitante, influenzando positivamente i salari.
2. Conseguenze della Delocalizzazione: la delocalizzazione da parte delle imprese estere
in Paesi con costi del lavoro più bassi può avere effetti negativi sia per il Paese di origine
che per quello di destinazione. Per il Paese di origine, si riduce la domanda interna di forza
lavoro, mentre per il Paese di destinazione si possono verificare fenomeni di dumping
sociale, dove i salari sono abbassati per attrarre investimenti (fenomeno noto come "race
to the bottom").
3. Arrivo di Professionisti Qualificati: l’attrazione di IDE favorisce l’arrivo di professionisti
altamente qualificati, specialmente in aree con cluster produttivi di rilevanza
internazionale. In queste zone, il territorio diventa un centro ideale per l'espressione delle
competenze professionali, accrescendo il capitale umano disponibile.
4. Stimolo all’Imprenditorialità Locale: le imprese estere possono stimolare
l’imprenditorialità locale, a volte incoraggiando la nascita di spin-off aziendali (corporate
spin-off) per esternalizzare attività non convenienti da svolgere all’interno. Inoltre, le
collaborazioni tra le strutture produttive estere e i partner locali favoriscono la crescita di

11
competenze condivise, aumentando l'imprenditorialità nel territorio e generando
opportunità di business.

1.4.6 L’AGGLOMERAZIONE PRODUTTIVA


Gli investimenti diretti esteri (IDE) svolgono un ruolo significativo nell'attivare dinamiche di
agglomerazione economica nei territori di destinazione. L'insediamento di un’impresa
internazionale in una determinata area aumenta la visibilità e l'attrattività del territorio,
specialmente per le imprese appartenenti alla stessa filiera produttiva. L’effetto di
agglomerazione è tanto più forte quanto maggiore è la rilevanza competitiva e la dimensione
dell’impresa estera e quanto più essa stabilisce collaborazioni con operatori locali. Se esistono
già dinamiche di agglomerazione prima dell’ingresso delle multinazionali, queste possono
rendere il territorio ancora più attraente per ulteriori investimenti esteri.

1.4.7 L’INTENSITÀ DELLA CONCORRENZA NEL MERCATO LOCALE


Aumento della Concorrenza
L’arrivo di imprese estere in un territorio aumenta generalmente la concorrenza nel mercato
locale. Le imprese internazionali superano facilmente le barriere che proteggono le imprese
locali, creando una competizione più intensa. Questo è vantaggioso per i consumatori, poiché
può portare a una maggiore varietà di prodotti e prezzi competitivi. Inoltre, il settore nel suo
complesso beneficia di una selezione naturale che elimina le imprese meno efficienti, mentre le
imprese locali più robuste sono stimolate a migliorarsi e ad adottare standard gestionali
internazionali.
Effetti Non Univoci
L’effetto di un IDE sulle dinamiche di mercato non è sempre uniforme. La modalità di
ingresso, se tramite acquisizione di un’impresa locale o l’apertura di una nuova struttura
produttiva, influisce notevolmente sugli effetti sul mercato. Nel caso di un’acquisizione, se
l’impresa acquisita è una leader nel mercato locale, l’impatto competitivo potrebbe essere
minore, mentre se l’impresa acquisita è più debole, l’aumento della concorrenza è più
probabile. Gli effetti dipendono anche dalla struttura del mercato e dal ruolo che l’impresa
estera gioca nel suo sviluppo.
Situazioni di Effetti Negativi
In alcune situazioni, l’ingresso di IDE può avere effetti negativi per il sistema economico locale:
1. Dominio dell’Investitore: Quando un investitore internazionale acquisisce una posizione
dominante nel mercato, può causare la crisa diffusa delle imprese locali, portando alla
formazione di un oligopolio.
2. Peso Economico Elevato: Se l’investimento estero ha un peso significativo nell’economia
locale, può esercitare un potere eccessivo sui decisori pubblici, influenzando le politiche in
favore del proprio interesse economico, talvolta a scapito dello sviluppo sostenibile del
territorio.
3. Pressione Competitiva: La presenza di imprese estere può esercitare una forte pressione
sulle risorse locali, in particolare quelle umane. Le imprese internazionali, grazie al loro
maggiore potere di attrazione, possono "spiazzare" le imprese locali, soprattutto quelle più
piccole, con minori risorse e potere negoziale nei confronti dei fornitori.

1.5 CENNI SULLE INIZIATIVE PER L’ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI PRODUTTIVI


INTERNAZIONALI
STRATEGIE PER ATTRARRE INVESTIMENTI ESTERI
Molti Paesi attuano strategie per attrarre e sviluppare investimenti produttivi esteri,
focalizzandosi su diversi aspetti:
 Miglioramento delle condizioni ambientali per aumentare l’efficienza e la produttività
delle attività produttive.
 Interventi sull’offerta territoriale per risolvere problematiche specifiche che le imprese
estere incontrano sul territorio.
 Collaborazione nell’attuazione di progetti di sviluppo territoriale di interesse comune.
 Integrazione tra le imprese estere e le categorie economiche locali.
Per favorire il radicamento dell’impresa estera, è essenziale monitorare la percezione
dell’impresa riguardo la sua posizione nel territorio e la qualità delle relazioni con gli attori
locali (in primo luogo con le autorità di governo).
Individuazione dei potenziali clienti
Un aspetto cruciale nell'attrarre investimenti esteri è identificare i potenziali clienti e creare

12
meccanismi per attrarli al territorio. Ciò implica un'attività di scouting internazionale e
l'accompagnamento degli investitori, promuovendo le offerte locali in modo strategico.
Sostegno finanziario diretto
Il sostegno finanziario diretto è un efficace strumento per incentivare l’insediamento di nuove
imprese, ma non è adeguata a lungo termine. Una volta che l’investitore si stabilizza, gli
incentivi dovrebbero diminuire, e la politica dovrebbe concentrarsi su offerta di servizi
qualificati e sul rafforzamento delle relazioni con attori locali, riducendo il ricorso agli incentivi
economici diretti.
Vantaggi competitivi e distorsioni
La concessione di incentivi offre un vantaggio competitivo debole e facilmente replicabile da
altri governi, sebbene possa essere limitato dalla legislazione sovranazionale. Competere
unicamente attraverso incentivi presenta diversi rischi:
1. Aumento dei costi: Gli incentivi comportano un costo implicito elevato per il territorio
ospitante.
2. Mobilità degli investimenti: Favoriscono una maggiore mobilità geografica degli
investimenti, complicando la fidelizzazione degli investitori stranieri (più difficile customer
retention).
3. Distorsioni competitive: Gli incentivi possono penalizzare gli operatori locali, creando
disparità nel mercato.
IL MARKETING TERRITORIALE PER L’ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI ESTERI: CENNI
Approccio metodologico e operativo.
La politica di attrazione degli investimenti diretti esteri (IDE) può trarre vantaggio
dall’approccio metodologico e operativo del marketing territoriale, che introduce un
principio fondamentale: È necessario allineare l’evoluzione dell’offerta territoriale alle esigenze
di chi rappresenta la domanda, in particolare di quei soggetti che contribuiscono positivamente
alla crescita equilibrata del territorio.
Questo approccio implica due aspetti principali:
 Definizione delle priorità: Identificare le tipologie di investitori e investimenti produttivi
da privilegiare, in base al loro impatto positivo sul territorio.
 Valutazione delle aspettative: Progettare interventi per migliorare l’offerta territoriale
(materiale e immateriale) considerando le esigenze e aspettative dei potenziali utenti
principali.
Funzioni del marketing territoriale
Le principali funzioni del marketing territoriale includono:
 Funzione cognitiva: acquisizione e analisi delle informazioni sull’offerta e domanda
territoriale.
 Funzione progettuale: creazione di iniziative per rafforzare l’attrattività.
 Funzione politica: rilevazione degli interessi degli attori locali e costruzione di una visione
condivisa.
 Funzione gestionale: azioni dirette di intervento e coordinamento per attrarre investitori
esterni.
 Funzione di comunicazione: rafforzare la percezione del territorio e delle sue risorse.
Strategia di attrazione degli investimenti
La strategia di attrazione degli investimenti diretti deve focalizzarsi su segmenti specifici di
domanda, tenendo conto dell’importanza delle economie di agglomerazione nelle scelte di
localizzazione. Elementi principali della strategia:
1. Specializzazione: Le politiche industriali locali puntano alla massima specializzazione in
alcuni settori produttivi, senza tuttavia ricadere in una mono-specializzazione. È necessaria
una scelta chiara dei settori in cui eccellere a livello internazionale e una focalizzazione
costante nel tempo.
2. Flessibilità verso filiere diverse: Pur mantenendo un focus sui settori target, possono
essere attratti IDE in filiere diverse quando qualificati stakeholder locali propongono
iniziative coerenti con lo sviluppo sostenibile del territorio e con la politica economica
generale.
Criteri di segmentazione per l’attrazione di IDE
La segmentazione per l’attrazione degli investimenti diretti esteri (IDE) si basa su due criteri
principali:
 Potenziale di attrattività del territorio: Dipende dal livello dei fattori materiali e
immateriali che influenzano l’attrattività dell’area rispetto a quelle concorrenti. Il potenziale
di attrattività varia in base al tipo di investimento/attività economica, poiché diversi settori

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attribuiscono importanza a fattori distinti. Per una valutazione accurata, è preferibile
stimare la competitività dell’area considerando una specifica tipologia di investimento e
ponderando adeguatamente le determinanti.
 Apporto potenziale dell’attività economica allo sviluppo sostenibile: che si valuta in
base a valore aggiunto netto che le imprese del settore possono generare a beneficio
del territorio e interesse degli attori locali, concretamente espresso, per l’insediamento
di imprese della filiera.
CAPITOLO 2: PERCHÉ OPERARE A LIVELLO INTERNAZIONALE
2.1 LE CAUSE DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’IMPRESA
L’espansione internazionale di un’impresa è influenzata sia da fattori interni, legati alle
condizioni aziendali, sia da elementi esterni, riguardanti il contesto ambientale. Analizzare
questi fattori è cruciale poiché incidono sulle strategie e sull’organizzazione dell’impresa,
nonché sulla natura del processo di internazionalizzazione, che può variare in termini di
rapidità, estensione e intensità.

2.1.1 I PRINCIPALI CONTENUTI TEORICI


Negli ultimi cinquant’anni, gli studi di international business hanno sviluppato varie teorie
sull’espansione estera delle imprese. Un punto di riferimento importante è il paradigma
eclettico di Dunning, che identifica tre spinte principali per l’internazionalizzazione:
1. Ownership advantage: le imprese si espandono all’estero grazie a risorse e competenze
uniche che offrono un vantaggio competitivo nei mercati esteri o perché andando all’estero
riduce i costi di transazione.
2. Location advantage: le imprese trovano condizioni favorevoli in specifiche aree estere
che valorizzano le loro risorse, permettendo un rafforzamento del vantaggio competitivo
attraverso l’utilizzo degli asset in contesti locali.
3. Internalization advantage: le imprese possono sfruttare al meglio i vantaggi competitivi
delle loro risorse interne piuttosto che concederle a terzi tramite vendite o licenze.
Hymer sostiene che le aziende cercano di utilizzare i loro vantaggi, come competenze e
accesso ai capitali, in nuove aree geografiche, dove tali vantaggi possono risultare ancora più
potenti rispetto al paese d’origine (more potent abroad than home).
Effetto prisma
L’effetto prisma, come descritto da Valdani, si riferisce alla deformazione del giudizio e delle
percezioni dei consumatori nei nuovi mercati, influenzata dalle diverse caratteristiche
ambientali. Questo fenomeno può alterare la natura e l’efficacia del vantaggio competitivo di
un’impresa. L’impatto dell’effetto prisma è particolarmente significativo per i vantaggi legati
alla differenziazione dell’offerta, piuttosto che per quelli associati all’efficienza dei costi.
Pertanto, l’espansione in nuovi mercati non è automatica, ma richiede una comprensione
attenta delle variabili locali che influenzano il posizionamento competitivo.
Approccio LLL
L’approccio LLL offre una visione alternativa all’eclettico di Dunning, interpretando
l’internazionalizzazione come un’opportunità per acquisire e sviluppare risorse distintive
fondamentali per il vantaggio competitivo. I principali driver di questo approccio sono:
1. Linkage: spinge le imprese ad espandersi all’estero per stabilire collegamenti con altri
attori, accedendo a risorse e competenze non disponibili nel paese d’origine. Questo è
particolarmente rilevante per le imprese “latecomers” o “newcomers”che entrano in
mercati consolidati attraverso accordi e joint venture per sviluppare competenze.
2. Leverage: si riferisce alla capacità di utilizzare risorse esistenti per stabilire relazioni a
livello internazionale, consentendo un rapido sviluppo di nuove competenze rispetto a
un’evoluzione interna.
3. Learning: evidenzia come l’espansione internazionale favorisca l’apprendimento riguardo
le caratteristiche dei mercati esteri e le tecniche di gestione, ampliando così le capacità
aziendali.
La scuola scandinava
La Scuola scandinava, rappresentata da autori come Johansson, Vahlne e Forsgren, propone un
paradigma che interpreta l’internazionalizzazione dell’impresa come un processo di evoluzione
incrementale. Le principali caratteristiche di questo approccio sono:
 Espansione graduale: L’impresa inizia le sue attività internazionali con un impegno
limitato di risorse e in mercati culturalmente affini, per poi rafforzare ed estendere le
operazioni sulla base dei risultati ottenuti.

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 Interazione tra risorse e conoscenze: Il processo di internazionalizzazione è sempre
espansivo e alimentato dall’aumento dell’impegno di risorse e delle conoscenze
internazionali dell’azienda. L’intensità di sviluppo della posizione estera dipende
dall’interazione tra questi due elementi.
 Riduzione delle liabilities of foreignness (svantaggi): Con il progredire
dell’internazionalizzazione, l’impresa riduce i svantaggi derivanti dall’operare all’estero, che
includono problemi logistici, mancanza di familiarità con il mercato locale e restrizioni
normative o comportamenti non favorevoli degli stakeholder locali. Il peso di questi
svantaggi è influenzato dalla “psychic distance”, ovvero le differenze socio-culturali e
geografiche tra il paese d’origine e il mercato estero, che rendono più difficile l’operatività.
Le reti di relazioni e la loro importanza
Negli ultimi anni, la ricerca ha sottolineato l’importanza delle reti di relazioni internazionali nel
processo di espansione estera delle imprese. Questo processo implica un progressivo
arricchimento delle connessioni con diversi attori in vari paesi, che rafforza la presenza e il
ruolo dell’impresa nelle reti di business internazionali. In questa ottica,
l’internazionalizzazione non è misurata solo in base al numero di mercati in cui un’impresa
opera, ma soprattutto in relazione alla significatività delle reti internazionali e al ruolo che essa
ricopre al loro interno. Pertanto, la strategia di internazionalizzazione mira a consolidare le
connessioni delle imprese nei sistemi sovra-locali di produzione e distribuzione del valore.
La strategia produttiva internazionale
Un filone di studi ha analizzato le dinamiche dell’espansione produttiva all’estero, identificando
due fattori strategici principali:
1. Pressione per la riduzione dei costi e aumento di efficienza.
2. Necessità di adattamento locale, ossia la capacità di differenziare l’offerta in base alle
specificità della domanda nei vari mercati.
La strategia produttiva internazionale viene definita in base all’importanza attribuita a queste
due variabili:
 Strategia multinazionale: Prioritizza l’adattamento locale, massimizzando l’efficienza in
ciascun paese in cui l’impresa opera.
 Strategia globale: Si concentra sull’efficienza complessiva del gruppo, cercando di
sfruttare le sinergie di costo attraverso l’integrazione delle unità produttive, anche a costo
di standardizzare l’offerta nei diversi mercati.
 Strategia transnazionale: Cerca di bilanciare i due obiettivi, sviluppando configurazioni
produttive e organizzative che massimizzano la produttività complessiva e rispondono
efficacemente alle specificità dei vari paesi.
Gli investimenti diretti esteri
Dunning distingue gli investimenti diretti esteri in tre categorie, in base alle motivazioni
strategiche all’origine:
a) Market seeking: mirati a entrare in mercati con elevati tassi di sviluppo, dove l’impresa
può sfruttare vantaggi competitivi significativi rispetto agli operatori locali.
b) Natural resource seeking: volti a garantire un accesso privilegiato a input produttivi
fondamentali, difficilmente reperibili in altre aree.
c) Low cost seeking: che si concentrano sull’insediamento di attività della catena del valore
in regioni dove i costi di realizzazione sono inferiori, permettendo di ottenere un vantaggio
di costo su scala globale.

2.1.2 LE CAUSE DI NATURA INTERNA ALL’IMPRESA


L'espansione in nuove aree geografiche è spesso un'evoluzione quasi naturale per un’impresa
che ha raggiunto una capacità produttiva, un assetto strutturale e competenze organizzative-
produttive- di marketing adeguate, nonché risorse finanziarie sufficienti. Esiste una
correlazione forte tra la dimensione dell’impresa e l'internazionalizzazione.
I "Firm-Specific"
I fattori che scatenano il processo di internazionalizzazione sono legati:
 Alle risorse distintive dell’impresa, che le conferiscono vantaggi competitivi sfruttabili anche
in nuovi mercati.
 Al contrario, l’impresa può decidere di internazionalizzarsi per acquisire vantaggi o colmare
svantaggi attraverso l’espansione internazionale.
 Inoltre, l’espansione estera può derivare dal desiderio di accedere a risorse distintive,
migliorare l’immagine e la reputazione, avere relazioni più dirette con i clienti, e sfruttare
economie di scala. Per sfruttare i vantaggi competitivi sviluppati localmente all'estero,

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l’impresa deve avere la capacità di integrarsi nei nuovi contesti geografici e trasferire
competenze acquisite tra le sue diverse filiali.
 Un altro fattore importante è il grado di esperienza internazionale e le risorse che l’impresa
possiede per operare all’estero. L’interdipendenza tra sviluppo di esperienza internazionale
e cultura internazionale e l’espansione delle attività estere è fondamentale per determinare
la portata della strategia di internazionalizzazione.

2.1.3 LE CAUSE DI NATURA ESOGENA ALL’IMPRESA


Le decisioni di internazionalizzazione non dipendono solo dai fattori interni, ma anche dal
contesto ambientale, che può limitare le opzioni strategiche e obbligare l’impresa a modificare
la propria strategia o abbandonarla. Le principali condizioni esterne che spingono l’impresa
verso l’espansione estera sono:
 L’evoluzione Internazionale del Mercato
L’evoluzione internazionale del mercato in cui opera l’impresa può manifestarsi in due modi
principali:
 Esposizione alle forze competitive internazionali: Il mercato di origine dell’impresa
diventa sempre più vulnerabile a competitor stranieri, rendendo più facile per questi ultimi
aggredire la posizione dell’azienda locale.
 Dimensione sovralocale delle aree di business: Diverse aree di business iniziano a
superare i confini locali, offrendo all’azienda l’opportunità di estendere la propria
competitività al di fuori del mercato di origine.
Inoltre, l’ingresso in nuovi mercati geografici può essere motivato dalla maturità o dal declino
del mercato di origine, rendendo l’espansione in altri Paesi una condizione quasi necessaria per
la sopravvivenza dell’impresa.
 L’Espansione Internazionale dei Clienti
L’espansione internazionale di un’impresa può essere influenzata dalla riorganizzazione
produttiva a livello globale dei suoi principali clienti. Le aziende che fungono da fornitori
specializzati o sub-fornitori devono adeguare la propria offerta alle esigenze dei clienti,
spingendo così l’impresa ad espandersi all’estero. In questo contesto, il processo di
internazionalizzazione è “trainato” dal cliente, favorendo lo sviluppo di relazioni sempre più
cooperative.
 La Reazione alla Strategia dei Concorrenti
Lo sviluppo della presenza internazionale di un’impresa può essere una reazione strategica a
competitor già attivi all’estero. In particolare, si possono identificare due comportamenti
reattivi all’espansione dei concorrenti:
 Strategia imitativa: Questa si verifica quando l’impresa entra in un mercato estero già
occupato da concorrenti diretti per evitare un deterioramento della propria posizione
competitiva. Questo fenomeno, noto come “bandwagon effect” (effetto di
trascinamento), si basa sulla percezione che un primo entrante possa ottenere vantaggi
competitivi, spingendo gli altri a seguirlo per non perdere quote di mercato.
 Scambio di minaccia: Un secondo tipo di strategia di internazionalizzazione reattiva,
definita “exchange of threat” da Graham (1978), si attua quando un’impresa A entra in un
mercato estero per rispondere a un concorrente B che ha minacce economiche nel mercato
locale di A. Questa strategia consente ad A di comunicare la sua intenzione di reagire
aggressivamente alla minaccia di B, limitando così le capacità espansive di B e
potenzialmente portando a un accordo di riconoscimento reciproco della leadership tra le
due aziende in diverse aree geografiche. Inoltre, può consentire a A di partecipare a accordi
collusivi con altri operatori per dividere i mercati in aree di controllo stabilite.
Si sottolinea che la strategia imitativa è una reazione a concorrenti della stessa area
geografica, mentre la strategia di scambio di minaccia è una risposta a competitor esteri.
 Sostegno o Ostacoli di Entità Pubbliche o Private
L’internazionalizzazione delle imprese può essere influenzata da soggetti pubblici o privati, sia
a sostegno che come ostacolo.
 Sostegno all’internazionalizzazione: Il processo di espansione estera può essere
incentivato da servizi specializzati forniti da istituzioni pubbliche o organizzazioni private, in
particolare per piccole e medie imprese. Queste politiche di internazionalizzazione attiva,
attuate da governi nazionali o regionali, possono includere finanziamenti per coprire i costi
legati all’operare all’estero, fornitura di informazioni sui mercati esteri, accompagnamento a
fiere internazionali e consulenza legale.

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 Ostacoli all’internazionalizzazione: Al contrario, possono esistere politiche che limitano
l’internazionalizzazione, come misure protezionistiche che mirano a ridurre le importazioni
di prodotti esteri, influenzando le modalità con cui le imprese operano sui mercati
internazionali.
 Opportunità Commerciali Specifiche
Il presentarsi di opportunità commerciali significative può spingere un’impresa a espandersi
all’estero. In questo caso, l’impresa è stimolata da un cliente o intermediario estero che
presenta una domanda consistente, anche se non necessariamente stabile. L’espansione non è
quindi una scelta strategica deliberata (no cercata da impresa), ma può creare le condizioni
favorevoli per un successivo e più ampio processo di internazionalizzazione.

CAPITOLO 3: L’INTERNAZIONALIZZAZIONE NELLA PROSPETTIVA DELLA PICCOLA E


MEDIA IMPRESA
3.1 LA PRESENZA INTERNAZIONALE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
DEFINIZIONE DELLE PMI
La Commissione Europea, nella raccomandazione del maggio 2003, distingue le PMI in base a
tre parametri: numero di dipendenti, fatturato e valore totale del bilancio:
 Microimprese: meno di 10 dipendenti e fatturato/bilancio totale inferiore a 2 milioni di
euro.
 Piccole imprese: meno di 50 dipendenti, 10 milioni di fatturato e 10 milioni di bilancio
totale.
 Medie imprese: meno di 250 dipendenti, 50 milioni di fatturato e 43 milioni di bilancio
totale.
Dati Sull’Internazionalizzazione delle PMI
Dal 2012 al 2018, le esportazioni delle PMI sono aumentate di circa il 20%, superando
leggermente l'incremento del valore aggiunto nello stesso periodo. Nel 2016, circa il 36% delle
esportazioni proveniva dalle PMI. I principali mercati per le PMI sono all'interno dell'UE, con
circa il 70% delle esportazioni dirette verso i Paesi membri, mentre il restante 30% è destinato
agli altri mercati globali. Le PMI sono spesso coinvolte nella global value chain, fornendo
prodotti a imprese nazionali che esportano o a imprese estere (internazionalizzazione
indiretta). In Italia, la percentuale di esportazioni varia significativamente a seconda delle
dimensioni:
 3% delle microimprese (fino a 9 dipendenti) esporta.
 29% delle piccole imprese (10-49 dipendenti) esporta.
 49% delle medie imprese (50-249 dipendenti) esporta.
 54% delle imprese più grandi esporta.
Negli ultimi anni, la tendenza all’internazionalizzazione è aumentata tra le PMI, con un
crescente numero di aziende che avviano operazioni all'estero.
Tendenze dell'Internazionalizzazione delle PMI
L’espansione estera delle PMI è principalmente indirizzata verso mercati vicini geograficamente
e culturalmente. Questa tendenza è particolarmente forte nelle aziende di dimensioni più
piccole e con minore esperienza internazionale. Inoltre, la diversificazione geografica e di
business tende a essere limitata. Tuttavia, la crescente domanda nei Paesi emergenti ha spinto
soprattutto le medie imprese a esplorare mercati più lontani. Un fenomeno interessante è
quello delle "born global", aziende che adottano una visione globale fin dalla loro creazione.
La modalità di ingresso nei mercati esteri più comune per le PMI è l'esportazione. Tuttavia,
sempre più imprese ricorrono a accordi strategici anche con partner esteri o alla creazione
di filiali all’estero (società controllate estere).
ARTICOLO: LO SMALL BUSINESS ACT DELL'UE
L'Unione Europea supporta fortemente lo sviluppo internazionale delle PMI, promuovendo
politiche che favoriscano il consolidamento competitivo delle piccole imprese. La Commissione
Europea ha identificato dieci principi guida per l'attuazione di politiche a favore delle PMI:
1. Creare un ambiente favorevole alla prosperità degli imprenditori e delle imprese
familiari, premiando l’imprenditorialità.
2. Garantire che gli imprenditori onesti, dopo una bancarotta, abbiano una seconda
opportunità.
3. Progettare le normative con l’approccio “Pensare innanzitutto in piccolo”.
4. Rendere le amministrazioni pubbliche reattive alle necessità delle PMI.

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5. Adattare gli strumenti di politiche pubbliche per facilitare la partecipazione delle PMI agli
appalti pubblici e migliorare l’uso degli aiuti di Stato.
6. Facilitare l’accesso delle PMI ai finanziamenti e promuovere un ambiente che supporti i
pagamenti tempestivi.
7. Aiutare le PMI a sfruttare appieno le opportunità offerte dal Mercato Unico.
8. Promuovere il miglioramento delle competenze nelle PMI e incentivare l’innovazione.
9. Permettere alle PMI di trasformare le sfide ambientali in opportunità.
10. Sostenere le PMI nel trarre vantaggio dai mercati in crescita.
Questi principi mirano a favorire la crescita, l’innovazione e la competitività delle PMI europee a
livello globale.

3.2 IL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE


3.2.1 LE SPINTE
Le piccole e medie imprese (PMI) espandono la loro attività oltre i confini nazionali per motivi
simili a quelli delle grandi imprese: ambiente competitivo, condizioni di mercato e obiettivi
strategici. Tuttavia, per le PMI, la ricerca di nuove opportunità di mercato è un fattore
ancora più predominante rispetto alle grandi imprese. Queste aziende tendono a guardare ai
mercati esteri come una fonte di crescita, piuttosto che per competere solo sui mercati
domestici.
Ricerca di opportunità di mercato
Tradizionalmente, le PMI italiane si sono indirizzate verso l’internazionalizzazione non solo per
trovare nuovi mercati ma anche per cercare fattori di produzione più economici, come
manodopera a basso costo, e condizioni produttive più efficienti. Questo fenomeno è stato
visibile soprattutto nei settori tessile, calzaturiero e dell'abbigliamento, dove si è
sviluppato notevolmente il traffico di perfezionamento passivo (l’importazione di materiali
per la successiva esportazione trasformata). Negli ultimi anni, però, l'accesso a mercati con
alte potenzialità di crescita è diventato la principale motivazione per
l’internazionalizzazione, superando le esigenze legate alla riduzione dei costi.
Supporto pubblico all’internazionalizzazione (misure del soggetto pubblico)
L’internazionalizzazione delle PMI è anche incentivata da politiche pubbliche che sostengono le
aziende nell'espansione all'estero. Questi sostegni pubblici si traducono principalmente in
finanziamenti per attività estere o in servizi specialistici come:
 Informazioni specializzate sui mercati internazionali.
 Accompagnamento nei mercati esteri.
 Sostegno nella realizzazione di progetti specifici all’estero e nella creazione di
alleanze internazionali.
L’obiettivo principale è stimolare l’interesse delle imprese minori verso le opportunità
internazionali, aiutandole a superare ostacoli organizzativi ed economici, quali difficoltà nel
creare relazioni con interlocutori esteri o costi fissi iniziali non recuperabili.
Tuttavia, il numero di imprese che accedono a questi servizi rimane limitato rispetto al totale di
quelle attive nei mercati esteri.
Caratteristiche interne delle PMI
Le caratteristiche interne dell’azienda, in particolare la “formula imprenditoriale” e le qualità
personali dell’imprenditore, sono decisive per l’internazionalizzazione delle PMI, influenzando
l’avvio delle operazioni estere, le modalità di attuazione e le performance ottenute.
 L’orientamento verso l’estero e le capacità specifiche dell’imprenditore determinano
l’espansione internazionale in termini di rilevanza, diversificazione geografica e modalità
operative.
 Nelle PMI, è raro che altre figure abbiano le competenze e l’autorità per analizzare
l’ingresso in nuovi mercati e prendere decisioni strategiche. L’imprenditore, quindi, è il
principale artefice di queste scelte, accettandone anche i rischi.
 Tuttavia, il forte coinvolgimento dell’imprenditore nella gestione quotidiana rappresenta un
limite, frenando spesso la spinta verso l’internazionalizzazione.

3.2.2 GLI OSTACOLI


L’internazionalizzazione pone in evidenza i limiti intrinseci della piccola dimensione aziendale
(liabilities of smallness), amplificando le difficoltà relative alla disponibilità di risorse,
capacità operativa e struttura organizzativa. La minore dimensione aumenta anche la
“psychic distance” (distanza psicologica), cioè le difficoltà di adattamento ai mercati esteri.
I Due Limiti Cruciali

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Due ostacoli principali emergono nella fase iniziale (progettazione e avvio)
dell’internazionalizzazione:
 Mancanza di informazioni adeguate sui mercati esteri e difficoltà nell’acquisirle in
modo efficiente.
 Scarsa capacità finanziaria di sostenere gli investimenti necessari per entrare in
nuovi mercati, che sono generalmente rilevanti e incerti.
Questi limiti spiegano perché molte PMI iniziano a esportare solo dopo contatti occasionali
con acquirenti esteri o attraverso esportazioni indirette (stimolate da intermediari), che
non richiedono analisi approfondite dei mercati e degli operatori esteri, e che comportano
investimenti più contenuti e rischi più prevedibili.
Limiti Organizzativi e di Capitale Umano
Gli ostacoli all’internazionalizzazione delle PMI riguardano principalmente la mancanza di
risorse umane qualificate e di capacità organizzative. Tra i problemi principali:
 Percezione limitata dell’opportunità o necessità di espandersi all’estero.
 Mancanza di risorse umane capaci di gestire le nuove attività all’estero.
 Competenze organizzative insufficienti per gestire il business su scala
internazionale.
Nei settori maturi, il capitale umano delle PMI spesso non ha le competenze necessarie per
gestire operazioni internazionali. Inoltre, le risorse umane sono spesso impegnate nelle
attività quotidiane e non possono essere facilmente spostate verso funzioni internazionali.
Esportazione Indiretta
Le difficoltà organizzative e di capitale umano spingono le PMI a intraprendere
l’internazionalizzazione attraverso forme di esportazione indiretta. In questa modalità,
l’intermediario si occupa di tutte le attività necessarie per esportare, come la gestione delle
operazioni sul mercato estero, la ricerca di opportunità commerciali e la strategia di marketing.
L’intermediario stimola e assiste l’impresa nell’ingresso nei mercati internazionali con il minimo
impegno organizzativo e finanziario.
Il Sistema Organizzativo
Il sistema organizzativo aziendale influisce fortemente sull’evoluzione
dell’internazionalizzazione. Le PMI che sono presenti sui mercati esteri da tempo, ma con
un livello di attività limitato, spesso sono bloccate dalla staticità organizzativa. La gestione
quotidiana dell’impresa da parte dell’imprenditore, che può essere reticente ai cambiamenti
organizzativi, ostacola l’evoluzione del processo di espansione estera.
Un’internazionalizzazione significativa richiede modelli gestionali e procedure più complesse,
che richiedono competenze organizzative nuove e sofisticate rispetto a quelle necessarie
per la gestione del business locale. Il mantenimento dello status quo a livello organizzativo
può limitare l’espansione internazionale dell’impresa.
Limiti di Competitività
I limiti di competitività delle PMI nei mercati internazionali emergono in diversi aspetti:
 Efficienza ridotta: Le PMI sono penalizzate dalla scarsa efficienza produttiva, dalla
gestione logistica meno ottimizzata e dall’incapacità di sfruttare economie di scala e di
esperienza.
 Minore potere negoziale: Risultano meno influenti rispetto ai fornitori di servizi logistici e
ai distributori internazionali.
 Costi elevati: Subiscono costi poco comprimibili e non recuperabili per l’avvio e la
gestione delle operazioni internazionali, inclusi quelli legati a intermediazione, trasporto,
logistica e assicurazione.
Questi ostacoli sono più significativi per le PMI che non appartengono a gruppi, sono di piccole
dimensioni, operano in settori non manifatturieri, non sono innovative e non hanno una
strategia chiara di espansione. Al contrario, le PMI che appartengono a un gruppo, hanno
dimensioni maggiori, operano nei settori manifatturieri, sono innovative e hanno una strategia
di espansione ben definita tendono a mostrare una maggiore presenza internazionale

3.2.3 IL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE TRA FASI DI IMPULSO E


STABILIZZAZIONE
Nel caso di una PMI, il processo di espansione estera è caratterizzato da una alternanza tra fasi
di impulso e fasi di stabilizzazione. Queste fasi possono seguire traiettorie molto diverse,
ma l'alternanza tra i due momenti è sempre presente. Questo approccio si ispira a
Schumpeter e agli sviluppi del suo pensiero, che pongono al centro dell’evoluzione

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dell’impresa quell’azione innovatrice grazie alla quale l’assetto strutturale dell’azienda viene
modificato o addirittura “rivoluzionato” per essere sempre coerente con le condizioni esterne .
L'Impulso
L’impulso è la fase iniziale in cui l’imprenditore, sulla base di un'interpretazione dell'evoluzione
ambientale, modifica lo status quo dell’impresa e la sua posizione competitiva. Durante questa
fase, l'impulso innesca cambiamenti nel sistema aziendale, nelle dinamiche di apprendimento e
nelle orientazioni strategiche. Questi cambiamenti sono fondamentali per adattare l'impresa al
nuovo contesto internazionale.
Stabilizzazione
La fase di stabilizzazione segue l’impulso, durante la quale le nuove modalità operative
vengono consolidate per migliorare l'efficienza e aumentare la coesione del sistema
organizzativo. Questo processo consente all’impresa di raggiungere una certa stabilità nelle
sue operazioni estere. La PMI prosegue così con un’alternanza di fasi di impulso e
stabilizzazione, che non hanno una tempistica predeterminata.
Modifiche e cambiamenti
L’espansione estera delle imprese inizia con un impulso dell’organo di governo, che determina
cambiamenti organizzativi, come l’adattamento delle routine gestionali. Questi
cambiamenti risultano essenziali per:
 Accrescere la compatibilità dell’impresa con il nuovo contesto ambientale e con le necessità
degli attori interni ed esterni coinvolti.
 Ottenere risultati competitivi e stimolare l’apprendimento aziendale.
I risultati ottenuti e l’esperienza maturata influenzano a loro volta l’organo di governo, che può
generare nuove iniziative per l’internazionalizzazione grazie alla sua funzione innovatrice.
Coerenza
Non esiste un percorso predefinito o un momento specifico per avviare il processo di
internazionalizzazione:
 Alcune imprese iniziano il loro percorso internazionale dopo lunghi periodi di attività locale,
limitata spesso a un ambito regionale o provinciale.
 Altre imprese, invece, nascono già con un orientamento internazionale.
Anche il periodo di stabilizzazione non segue una durata standard: molte PMI però mantengono
a lungo invariata la loro quota di fatturato estero. È fondamentale, però, garantire coerenza tra
l’impulso iniziale e la fase di stabilizzazione.

3.2.4 L'EFFETTO DELL'ESPANSIONE ESTERA SUL PROCESSO EVOLUTIVO


DELL'IMPRESA
L'internazionalizzazione è un fattore importante nell'evoluzione complessiva dell’impresa e
porta a quattro effetti rilevanti:
1. Acquisizione di nuove risorse.
2. Sviluppo del patrimonio di conoscenze.
3. Sviluppo delle relazioni di business, sia qualitative che quantitative.
4. Rafforzamento della visibilità e reputazione sui mercati e tra gli stakeholder.
Questi impulsi sono particolarmente significativi per le PMI, che normalmente dispongono di
risorse limitate per comunicare il proprio valore agli attori esterni. La presenza estera, se
sufficientemente solida, funge da segnale di qualità e potenziale di sviluppo, migliorando
la fiducia di clienti, fornitori e finanziatori (quarto putnto).
Internazionalizzazione come Fattore di Impulso
Oltre agli effetti specifici, l’internazionalizzazione è un forte motore d’innovazione. Implica
l'evoluzione del sistema organizzativo, della governance e delle risorse aziendali. L'impresa
sviluppa anche una maggiore capacità di innovare i prodotti e i processi di produzione. Le
PMI attive sui mercati esteri mostrano infatti un tasso di innovazione (di prodotto e di processo)
maggiore rispetto a quelle che operano solo a livello locale. Questo fenomeno si verifica sia per
la necessità di adattarsi ai mercati esteri che per la presenza stessa dell'impresa in questi
mercati.
Inoltre, l'internazionalizzazione favorisce il learning by internationalization, poiché offre
l'opportunità di accedere a conoscenze, tecnologie e relazioni che non sono disponibili nel
contesto locale, favorendo così l'apprendimento e l'innovazione.

3.3 LE MODALITÀ DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

20
Le PMI di solito si espandono all'estero in risposta a stimoli esterni (intermediari/clianti) o a
decisioni strategiche interne. Le tre principali modalità di internazionalizzazione sono:
congiunturale, trainata e progettata.

3.3.1 L'INTERNAZIONALIZZAZIONE “CONGIUNTURALE”


L'internazionalizzazione “congiunturale” si verifica quando l'impresa entra nei mercati esteri
a seguito di opportunità occasionali, spesso stimolate da eventi come fiere internazionali.
Questi eventi permettono alle PMI di entrare in contatto con clienti e concorrenti di altri Paesi,
creando occasioni di espansione estera, ma senza un piano strategico definito. L'impulso
iniziale può derivare da un singolo incontro con un acquirente straniero che si interessa ai
prodotti/servizi dell'impresa.
Le opportunità, come le fiere internazionali, possono portare alla realizzazione di un certo
fatturato estero, favorendo un’internazionalizzazione definita “congiunturale” per due motivi:
 Mancanza di strategia: L’ingresso in un nuovo mercato non è basato su un piano
strategico ben definito dall’imprenditore, rendendo l’internazionalizzazione senza garanzie
per la sua continuazione. Anche se l’esperienza ha successo, non modifica l’orientamento
strategico dell’impresa e il suo impatto organizzativo è limitato. Se le condizioni favorevoli
vengono a mancare, l’impresa tende a rifocalizzarsi sul mercato domestico. Tuttavia, se la
relazione con il compratore estero si consolida, può stabilizzarsi un certo volume di
fatturato internazionale, con effetti limitati se non per una certa diversificazione geografica
del fatturato e del reddito operativo.
 Spinta verso un’espansione strategica: Se l’esperienza risulta positiva e ci sono
ulteriori segnali di interesse dal mercato estero, l’imprenditore potrebbe iniziare a vedere
l’internazionalizzazione come un’opzione strategica, avviando un processo di espansione
più consapevole e strutturato. In questo caso, l’internazionalizzazione congiunturale funge
da fase propedeutica per una futura espansione progettata.

3.3.2 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE TRAINATA


Questo modello si riferisce a situazioni in cui l’espansione estera delle piccole e medie imprese
è influenzata o addirittura costretta da forze esterne. In particolare, riguarda le aziende che
fungono da fornitori o sub-fornitori per imprese di medie e grandi dimensioni.
Quando queste ultime adottano una configurazione produttiva internazionale, riorganizzano i
rapporti con i propri partner di filiera. Mantengono collaborazioni con piccole imprese locali per
forniture a basso valore aggiunto, ma selezionano fornitori internazionali per attività
strategiche più rilevanti.
I fornitori scelti devono avere competenze eccellenti e la capacità produttiva e organizzativa
necessaria per soddisfare gli standard richiesti dalle aziende clienti, anche in contesti
geografici diversi. In sintesi, l’organizzazione produttiva globale dell’impresa cliente porta a
sviluppare rapporti con fornitori qualificati in grado di operare su scala internazionale.
La Doppia Sollecitazione
Questo fenomeno espone l’azienda fornitrice locale a una doppia sollecitazione verso
l’estero:
1. Da un lato, si trova a confrontarsi con operatori di altri Paesi che offrono lo stesso tipo di
fornitura.
2. Dall’altro lato, deve affrontare una scelta rigida: attrezzarsi per diventare un fornitore
internazionale o rischiare di perdere la commessa anche nel mercato locale.
In questo contesto, l’espansione estera delle imprese che operano nelle fasi verso valle della
filiera spinge anche le PMI fornitrici a internazionalizzarsi. Questo meccanismo può
rappresentare una significativa opportunità o una seria minaccia per le PMI.
L’opportunità
L’internazionalizzazione rappresenta un’opportunità per le piccole e medie imprese, poiché il
cliente offre un concreto accesso ai mercati esteri, evitando i problemi e i costi legati alla
comprensione del mercato e alla costruzione di contatti con nuovi acquirenti.
 In questo modello, l’impresa non entra autonomamente in un nuovo mercato, ma segue un
cliente già acquisito che si espande in un altro Paese.
 Se il cliente cerca di estendere la collaborazione a livello internazionale, il fornitore può
richiedere misure di supporto, come:
a) una durata garantita del rapporto di fornitura;
b) margini economici significativi per un certo periodo;
c) sostegno finanziario per investimenti necessari;

21
d) supporto organizzativo per avviare le forniture all’estero.
Ricerche empiriche confermano che la vicinanza fisica a grandi imprese internazionali è una
determinante fondamentale per l’espansione estera delle PMI, risultando la seconda
motivazione più comune per l’investimento estero delle imprese minori in Europa.
Altre Modalità di Espansione Trainata
Esistono altre tre modalità significative attraverso cui il contatto delle PMI con operatori
internazionali promuove la loro espansione estera:
1. Confronto competitivo: La riduzione delle barriere geografiche e l’apertura dei mercati
globali costringono le imprese locali a confrontarsi con competitor esteri. Questo
coinvolgimento nelle dinamiche della competizione internazionale spinge le PMI a
sviluppare competenze necessarie per rimanere competitive, spesso portandole a cercare
attivamente opportunità in altri mercati.
2. Spillovers da grandi imprese internazionali: Le grandi aziende internazionali operanti
nel territorio generano spillovers che migliorano la qualità delle tecnologie, del capitale
umano e delle conoscenze disponibili per le PMI locali. Inoltre, queste piccole imprese
possono essere coinvolte in progetti internazionali avviati da tali grandi aziende, ampliando
ulteriormente le loro opportunità di crescita.
3. Acquisizione da parte di gruppi internazionali: L’acquisizione di una PMI da parte di un
gruppo internazionale rappresenta un meccanismo di espansione significativo. Un’azienda
di piccole dimensioni, con risorse distintive - vantaggi competitivi e forte radicamnto, può
diventare un target ideale per un’impresa internazionale che desidera espandere la propria
presenza in un mercato specifico. Attraverso l’acquisizione, la PMI entra in un contesto
aziendale internazionale, ampliando le proprie attività oltre il mercato locale.

3.3.3 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE PROGETTATA


Nel modello di internazionalizzazione “progettata” si comprendono i casi in cui l’espansione
estera avviene a seguito di una scelta consapevole dell’imprenditore in un determinato
momento della vita della PMI.
La rilevanza di questo progetto può variare significativamente:
 Può rappresentare una svolta radicale nel percorso evolutivo dell’impresa, influenzando
profondamente la sua strategia e struttura organizzativa.
 In alternativa, può limitarsi a un’opportunità commerciale di valore, senza alterare il
focus strategico o l’assetto organizzativo dell’azienda.
Processo di Espansione Estera
La rilevanza del progetto di internazionalizzazione può variare nel tempo, poiché l’espansione
estera della PMI avviene spesso in modo incrementale.
 Nella fase iniziale, l’imprenditore lancia iniziative internazionali in modo quasi
sperimentale, con l’obiettivo di testare le opportunità offerte dai mercati esteri. In questa
fase, si opera con prudenza, cercando di minimizzare l’impegno finanziario e il rischio
economico, con l’intento di comprendere le nuove regole del gioco e le condizioni
necessarie per avere successo. I risultati e l’esperienza acquisiti influenzano l’evoluzione
del progetto iniziale, che può essere abbandonato, ridimensionato o rafforzato.
 Con il progredire delle operazioni all’estero, l’impresa sviluppa competenze specifiche e un
maggiore coinvolgimento internazionale, che a loro volta incidono sul percorso evolutivo
dell’azienda e sulle sue performance complessive.
La progettazione dell’internazionalizzazione non richiede necessariamente una pianificazione a
lungo termine; piuttosto, approfondisce un’opzione non considerata in precedenza e delinea un
percorso di crescita. Questo processo di espansione estera avviene in modo graduale e
razionale, ma non segue sempre un andamento lineare o unidirezionale.
Cause del Mutamento
Il mutamento dell’atteggiamento dell’imprenditore è fondamentale per avviare un progetto di
espansione estera nella piccola media impresa. Questo cambiamento può derivare da diverse
cause, tra cui:
 Passaggio generazionale: L’assunzione delle funzioni imprenditoriali da parte di persone
più giovani, generalmente più aperte al confronto internazionale.
 Maturazione culturale e tecnica: Sviluppo di competenze orientate a un contesto
internazionale.
 Rafforzamento di relazioni: Stabilire legami con partner esteri.
 Sviluppo organizzativo: Miglioramento del capitale umano, spesso conseguente ad altre
traiettorie di sviluppo.

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Il cambiamento dell’orientamento dell’imprenditore è stimolato anche da condizioni specifiche
del mercato e della concorrenza. Esempi comuni includono: Fluttuazioni significative dei tassi di
cambio / Crescita internazionale della domanda nei segmenti già target dell’impresa /
Maturazione della domanda interna e aumento della concorrenza, con conseguente riduzione
dei margini / Opportunità per ridurre i costi di produzione.
In risposta a questi eventi, l’imprenditore può riconsiderare la decisione di espandersi
all’estero, modificando orientamenti precedenti. L’internazionalizzazione “progettata” ha
successo quando è supportata da un efficace cambiamento organizzativo, che include il
rafforzamento delle competenze manageriali e l’evoluzione della struttura aziendale.

ARTICOLO: Il Processo di Internazionalizzazione della CICLI Lombardo


Cicli Lombardo inizia il suo processo di internazionalizzazione negli anni '50. Negli anni '80,
l’azienda partecipa a fiere internazionali, ma le sue attività all'estero sono limitate dalla
mancanza di una struttura organizzativa adeguata. Negli anni '90, l'azienda inizia a
concentrarsi sull'export, espandendosi in Grecia e Spagna. Da quel momento, l’export cresce
progressivamente, raggiungendo il 15% delle vendite totali.
Nel 1999, Cicli Lombardo collabora con un'azienda belga, introducendo biciclette
personalizzate, aumentando la competitività sui mercati esteri. Nel 2007, l’acquisizione della
tedesca Attissimo GmbH permette l’espansione nei mercati del nord Europa, dove supera
stereotipi negativi. A partire dal 2010, l’azienda si espande in mercati come Stati Uniti,
Australia, Inghilterra, Lituania e Croazia, ottenendo un aumento del fatturato del 18%.
Nel 2011, Cicli Lombardo avvia una collaborazione con BOSCH per lo sviluppo di biciclette
elettriche. Negli ultimi anni, la strategia internazionale si concentra su collaborazioni con
partner esteri e sul rafforzamento del brand, con un focus su design e sostenibilità.
Nel 2012, l’azienda costruisce un nuovo stabilimento a Buseto Palizzolo, con una forte
attenzione all’ambiente e al welfare aziendale. Nel 2019, Cicli Lombardo ha un fatturato di 18
milioni di euro, con il 40% proveniente dai mercati esteri. L’obiettivo è raggiungere il 65%
grazie a nuove partnership europee, confermandosi come una delle principali realtà del settore,
con uno dei tassi di esportazione più alti.

3.4 FATTORI CRITICI PER IL SUCCESSO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE ALL’ESTERO
3.4.1 LE CARATTERISTICHE PREVALENTI DELLE PICCOLE IMPRESE DI SUCCESSO
ALL’ESTERO
Numerosi studi empirici hanno identificato alcune
caratteristiche comuni delle piccole e medie imprese (PMI) di
successo nei mercati internazionali. Questi tratti comuni
sono:
1. Qualità imprenditoriale
2. Significativo capitale immateriale (conoscenze,
reputazione, relazioni)
3. Competizione focalizzata su nicchie di mercato
4. Capacità innovativa diffusa
Qualità Imprenditoriale
La qualità imprenditoriale è un fattore chiave per il successo,
caratterizzata da elevate competenze tecniche, gestionali e
culturali, insieme a una forte energia propulsiva
dell’imprenditore e del suo team. Le relazioni attorno
all’imprenditore sono fondamentali, poiché permettono
anche alle piccole imprese di ottenere un riconoscimento e una reputazione nel proprio settore,
oltre a garantire l’accesso alle risorse e competenze necessarie per implementare strategie di
internazionalizzazione. Nelle piccole imprese di successo, la figura centrale dell’imprenditore è
spesso supportata da una governance aziendale adeguata, che include il coinvolgimento e la
valorizzazione di manager competenti.
Significativo Capitale Immateriale
Il continuo sviluppo del capitale immateriale è un tratto distintivo delle piccole imprese che
hanno successo a livello internazionale. Queste aziende sono in grado di valorizzare
internazionalmente le proprie competenze distintive sviluppate nel mercato di origine e di
apprendere costantemente dai contesti esteri in cui operano, arricchendo le loro competenze
tecniche, organizzative e di marketing. In particolare, le PMI coinvolte in business innovativi
partecipano a progetti internazionali di ricerca e riescono a collaborare con grandi imprese

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estere. Nonostante le loro dimensioni contenute e i limiti organizzativi, queste PMI godono di
una reputazione di eccellenza a livello internazionale, che, insieme alle competenze tecnico-
produttive, le rende interlocutori credibili in progetti complessi. Inoltre, è fondamentale per loro
sviluppare relazioni internazionali con attori chiave come imprese della stessa filiera, istituzioni
locali, banche e università.
Competizione Focalizzata su Nicchie di Mercato
Le piccole imprese tendono a adottare una strategia di focalizzazione, individuando nicchie
di mercato in cui possono ottenere e mantenere un vantaggio competitivo. Le PMI di successo a
livello internazionale replicano questa strategia su diversi mercati geografici, adattando le loro
offerte alle diversità della domanda legate ai fattori specifici di ciascun Paese. Questo processo
trasforma la nicchia in una nicchia internazionale, richiedendo competenze nel personalizzare il
marketing mix per soddisfare le esigenze di acquirenti simili in diverse aree geografiche.
Mantenere una forte concentrazione su specifiche aree di mercato in vari Paesi contribuisce
anche al consolidamento della leadership tecnologica percepita dall’azienda.
Capacità Innovativa
Una caratteristica distintiva delle piccole e medie imprese competitive all’estero è la loro
notevole capacità innovativa, in particolare nelle innovazioni di prodotto, anche se solo
alcune aziende scelgono di brevettarle. Queste imprese mostrano anche un’attitudine al
cambiamento organizzativo e una flessibilità strategica in risposta alle dinamiche globali e alle
specificità dei mercati in cui operano, comportandosi in modo simile alle grandi imprese,
seppur su scala ridotta. L’innovazione è supportata da una cultura aziendale orientata al
cambiamento, alimentata dall’azione imprenditoriale e da investimenti significativi in ricerca e
sviluppo, oltre a relazioni e collaborazioni con soggetti istituzionali per realizzare progetti
innovativi.

L’INSERIMENTO IN RETI D’IMPRESE A LIVELLO INTERNAZIONALE


L’appartenenza a un business network si è rivelata una spinta significativa per le PMI verso
l’espansione estera e favorisce il successo di tale espansione. Questi network possono
includere distretti produttivi, cluster o diverse forme di reti d’impresa, che stanno diventando
sempre più comuni come modalità di crescita, anche a livello internazionale, per le aziende di
dimensioni minori.
Esternalità Positive
Essere collocate in un distretto consente alle piccole imprese (PI) di beneficiare di importanti
esternalità positive per la loro competitività internazionale. Queste includono:
 Accesso a risorse e conoscenze: Le imprese hanno accesso a informazioni, risorse,
capitale umano e competenze specialistiche che circolano all’interno del cluster.
 Vantaggio reputazionale: Il cluster offre alle PI un miglioramento dell’immagine e della
reputazione agli occhi degli interlocutori esteri. Questo vantaggio è particolarmente
significativo per le aziende di piccole dimensioni, che potrebbero avere una visibilità
limitata a livello internazionale. Il territorio d’appartenenza funge da marchio, conferendo
un’identità riconosciuta e riflettendo positivamente sulla qualità percepita dei prodotti delle
singole imprese nel cluster.
Reputazione per gli Intermediari Finanziari
L’effetto di reputazione delle piccole imprese (PI) opera in diversi ambiti, influenzando sia la
domanda nei mercati esteri che i fornitori, inclusi gli intermediari finanziari. In particolare:
 Valore della reputazione: Appartenere a un cluster con una posizione competitiva
consolidata e riconosciuta a livello internazionale funge da segnale positivo riguardo al
potenziale di successo delle imprese in esso contenute.
 Accesso finanziario: Tale reputazione riduce l’asimmetria informativa tra finanziatori e
aziende, consentendo alle PI di accedere più facilmente e a costi inferiori alle risorse
finanziarie, grazie alla percezione di stabilità e solidità economica del cluster.

3.4.2 LA VARIABILE FINANZIARIA


L’impatto della variabile finanziaria sull’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese
(PMI) deve essere analizzato su due livelli distinti:
1. L’influenza delle condizioni finanziarie dell’impresa sul processo di espansione
estera.
2. L’effetto che l’internazionalizzazione ha sulla gestione finanziaria
dell’impresa.

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L’IMPATTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE SULLA DIMENSIONE FINANZIARIA DELLE
PMI E SULLA LORO DOMANDA DI FINANZA
L'espansione internazionale ha effetti diversi sulla dimensione finanziaria di una PMI e sulla sua
domanda di finanza, a seconda delle modalità di ingresso nei mercati esteri, della struttura
patrimoniale e della posizione competitiva dell’impresa. Gli aspetti finanziari influenzati
dall’internazionalizzazione comprendono:
1. Il rischio specifico
2. Il capitale intangibile
3. La dinamica dei flussi di cassa
Il Rischio Specifico
In generale, l’internazionalizzazione, soprattutto nelle fasi iniziali, tende ad aumentare il
rischio specifico per le PMI. L’ingresso in nuovi mercati comporta una maggiore complessità e
incertezza competitiva, richiedendo una struttura organizzativa più sofisticata. Le PMI possono
affrontare vari rischi nelle operazioni con l’estero, tra cui:
 Rischio Paese: Maggiore è il radicamento produttivo nel Paese estero, più elevato è il
rischio.
 Rischio di cambio: Fluttuazioni valutarie possono influenzare negativamente i risultati
finanziari.
 Rischio sui tassi di interesse: Potrebbe presentarsi durante operazioni finanziarie
internazionali.
 Rischio legato alla leva operativa: Investimenti significativi in attività fisse possono
aumentare il grado di rischio.
Tuttavia, l’espansione in nuovi mercati è anche una forma di diversificazione del business
che può ridurre il rischio sistematico legato al contesto geografico. L’internazionalizzazione
è spesso motivata dalla ricerca di nuovi mercati per superare i limiti di sviluppo del mercato di
origine. È importante notare che la diversificazione geografica ha effetti significativi sulla
riduzione del rischio solo quando è estesa; le PMI, in particolare nelle fasi iniziali, potrebbero
non raggiungere tali livelli
Il Capitale Intangibile e la Sua Importanza Finanziaria
L’internazionalizzazione delle PMI comporta un aumento del peso del capitale intangibile,
che riveste un’importanza significativa dal punto di vista finanziario.
 Immagine e marchio: La presenza sui mercati esteri rafforza l’immagine e il marchio
dell’impresa, elementi essenziali per competere a livello internazionale.
 Competenze organizzative: Migliorano le competenze e la qualità delle capacità
organizzative dell’azienda, incrementando la sua competitività.
 Capitale relazionale: Cresce il capitale relazionale, ampliando le opportunità strategiche
in diversi mercati.
In sintesi, il successo sui mercati esteri porta a un notevole aumento del patrimonio
immateriale, che diventa una parte significativa dell’attivo totale dell’impresa, soprattutto nelle
PMI. È cruciale che banche e investitori riconoscano questo valore, traducendolo in condizioni di
finanziamento più favorevoli per le PMI.
La Dinamica dei Flussi di Cassa nell’Espansione Estera
La dinamica dei flussi di cassa è un elemento cruciale, particolarmente influenzato
dall’espansione internazionale delle piccole e medie imprese (PMI). Durante questa fase, si
riscontra una maggiore difficoltà nella previsione dei flussi di cassa e una potenziale variabilità,
specialmente fino a quando l’azienda non si stabilizza nei nuovi mercati esteri.
 Stabilità delle fonti finanziarie: Una delle necessità fondamentali per le PMI in
espansione è garantire la stabilità delle fonti di finanziamento. Questo implica l’uso di
strumenti di debito a medio/lungo termine o, in alcune circostanze, di capitale di rischio. Le
PMI più giovani e meno consolidate necessitano di supporti finanziari specifici, in particolare
per coprire i costi iniziali legati all’ingresso in nuovi mercati. È anche vitale avere accesso a
strumenti di finanziamento per il capitale circolante, inclusi i crediti.
 Ottimizzazione della gestione finanziaria: L’internazionalizzazione richiede
un’ottimizzazione nella gestione dei fabbisogni finanziari a causa della crescente difficoltà
di prevedere i bisogni stessi, dei possibili costi finanziari più elevati e dei flussi di cassa
negativi che possono verificarsi nelle fasi iniziali del processo di espansione. È
fondamentale che le risorse finanziarie siano disponibili al momento del bisogno, e che
siano strutturate per posticipare il servizio del debito, massimizzando così
l’autofinanziamento delle attività necessarie per l’espansione.

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 Condizioni di rimborso: Le esigenze di rimborso per le PMI variano in base al modo in cui
operano all’estero e agli impegni finanziari assunti. In generale, è importante per le PMI
riuscire a ritardare il più possibile la remunerazione del capitale investito, al fine di
ottimizzare l’autofinanziamento delle risorse destinate all’espansione internazionale.
Le PMI impegnate in processi di internazionalizzazione tendono a presentare una domanda
complessa di servizi, che include:
 Fornitura di informazioni dettagliate sui mercati esteri, contrroparti
commerciali e sulle condizioni operative.
 Creazione di contatti e relazioni con potenziali partner commerciali.
 Accompagnamento nei mercati esteri per facilitare l’ingresso.
 Assistenza nella gestione finanziaria e nel recupero dei crediti dai clienti.
Questi servizi hanno anche aspetti non puramente finanziari. Negli ultimi anni, molte istituzioni
finanziarie hanno iniziato a includere tali servizi nelle loro offerte, posizionandosi come
“consulenti strategici e organizzativi” per le PMI nei mercati esteri. Ciò consente alle aziende di
gestire le loro esigenze finanziarie e operative attraverso un unico interlocutore, semplificando
il processo di espansione.
Inoltre, esiste una connessione importante tra l’erogazione di finanziamenti per
l’internazionalizzazione e la fornitura di servizi a supporto di tale strategia; i servizi che
rinforzano la strategia di espansione estera possono ridurre il rischio associato ai finanziamenti,
rendendo le PMI più credibili agli occhi degli investitori e delle istituzioni finanziarie.

CAPITOLO 4: IL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’IMPRESA


4.1 CENNI SULLE TEORIE DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Queste teorie evidenziano tre possibili approcci: l’espansione come un processo ordinato di
coinvolgimento progressivo, l’adattamento alle dinamiche internazionali e l’integrazione delle
imprese in un contesto globale più ampio.
Già a metà del XX secolo, Pasquale Saraceno notava che l’impresa internazionale è il risultato
di un “percorso evolutivo” che si svolge in più Paesi. Su questa base, sono emerse tre
definizioni successive del processo di internazionalizzazione:
 Welch e Loustarinen (1988): definiscono l’espansione estera come “il processo di
aumento del coinvolgimento nelle operazioni internazionali”, suggerendo un progredire
ordinato verso un maggiore coinvolgimento in mercati esteri(adattamento).
 Calof e Beamish (1995): parlano di “processo di adattamento delle operazioni aziendali
(strategia, struttura, risorse, ecc.) agli ambienti internazionali”, evidenziando che
l’internazionalizzazione non segue una direzione fissa, ma richiede un continuo
adattamento ai vincoli e alle opportunità sovralocali.
 Mathews (2006): definisce l’internazionalizzazione come “processo di integrazione
dell’azienda nelle attività economiche internazionali”, sottolineando l’importanza di
aumentare le connessioni con il contesto internazionale, mercato e con vari attori, come
altre imprese e istituzioni, per sviluppare vantaggi competitivi.
In sintesi, l’internazionalizzazione è vista come un processo dinamico che implica
coinvolgimento, adattamento e integrazione con il mercato globale e i suoi attori.

4.2 QUESTIONI RILEVANTI NEL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE


4.2.1 L’EVOLUZIONE INTERNAZIONALE E LO SVILUPPO DI IMPEGNO, CONOSCENZA E
RELAZIONI
Durante l'internazionalizzazione, l'impresa sviluppa gradualmente tre condizioni fondamentali:
1. Impegno (Commitment) verso le aree geografiche estere.
2. Conoscenze necessarie per competere a livello internazionale.
3. Relazioni con attori rilevanti nei Paesi esteri e tra le unità organizzative internazionali.
Impegno e conoscenza costituiscono le due condizioni dell’azienda indicate dagli
autori della “scuola scandinava” quali determinanti e allo stesso tempo, risultati, del
suo processo di internazionalizzazione. Lo sviluppo di relazioni è stato posto in
evidenza da ulteriori lavori scientifici.
Impegno
L’impegno di un’impresa verso un’area estera si riflette nel livello di risorse tangibili e
intangibili dedicate alle operazioni in quella regione e nella rilevanza di tali operazioni nella
strategia complessiva di crescita.

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È importante notare che l’avanzamento nel processo di internazionalizzazione non porta
necessariamente a un maggiore impegno (commitment) verso una specifica area geografica.
Infatti, l’organizzazione della catena del valore a livello internazionale può indurre l’impresa a
considerare le diverse aree geografiche come parti di una macro-area, sviluppando strategie e
scelte organizzative in tale ottica.
Di conseguenza, i grandi gruppi globali potrebbero prestare meno attenzione al loro Paese di
origine rispetto alle aree geografiche che contribuiscono in modo significativo alla creazione di
valore economico.
Conoscenza
La conoscenza acquisita dall’impresa durante l’evoluzione internazionale riguarda tre aspetti
fondamentali:
a. le condizioni competitive dei mercati esteri e le linee di sviluppo della competizione
internazionale;
b. le modalità organizzative e strategiche per raggiungere una valida posizione competitiva
internazionale;
c. le modalità di acquisizione e valorizzazione delle competenze necessarie per operare con
successo all’estero.
Relazioni
Il processo di internazionalizzazione è caratterizzato dallo sviluppo di relazioni sia esterne, tra
l’impresa e i soggetti nei nuovi mercati, sia interne, tra le unità organizzative operanti
all’estero e la casa-madre. Queste relazioni influenzano le diverse fasi
dell’internazionalizzazione, poiché il modo in cui l’impresa organizza i legami e gestisce
l’interdipendenza con gli interlocutori locali è cruciale per la sua evoluzione internazionale.
La gestione efficace delle interdipendenze è fondamentale per la strategia di sviluppo estero
dell’impresa. Seguendo l’ipotesi di Dunning sulle motivazioni all’espansione internazionale, si
può affermare che l’espansione, oltre che essere market, low cost o resource seeking, può
essere relationship seeking.
Interdipendenze e Gestione Strategica
Il sistema di relazioni che un’impresa stabilisce sia internamente che esternamente influisce su
due elementi chiave del processo di internazionalizzazione: il commitment e la conoscenza.
 Commitment: Il livello di impegno dell’impresa in una specifica area è proporzionale
all’intensità della sua integrazione nella rete locale e all’importanza dei rapporti all’interno
di essa per le performance strategiche ed economiche.
 Conoscenza: La maturazione della conoscenza è anch’essa legata alle relazioni
internazionali. Le opportunità per un’impresa di acquisire risorse in un mercato estero
dipendono principalmente dai legami che la sussidiaria stabilisce con i soggetti locali.
Inoltre, la condivisione di questa conoscenza all’interno del gruppo internazionale è influenzata
dalla struttura e dal funzionamento della rete interna.
4.2.2 I NODI STRATEGICI E ORGANIZZATIVI DURANTE IL PROCESSO DI
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Anche se ogni impresa segue un percorso di internazionalizzazione unico, tutte si trovano a
dover affrontare quattro principali trade-off riguardanti aspetti cruciali del processo:
1. Comportamento strategico
2. Assetto organizzativo
3. Vantaggio competitivo
4. Rischio
Analizziamo i Trade-Off
Comportamento strategico: Espansione vs. Integrazione
Le imprese devono trovare un equilibrio tra l’espansione in nuovi mercati per accedere a
opportunità e risorse distintive e la capacità di integrare le operazioni nei vari contesti
geografici. L’obiettivo è sfruttare i vantaggi della dimensione globale, che include
l’ottimizzazione delle risorse e delle strategie aziendali.
Assetto organizzativo: Autonomia vs. Unitarietà
La questione organizzativa principale riguarda l’equilibrio tra l’autonomia delle imprese
controllate, che consente flessibilità e reattività ai cambiamenti del contesto locale, e il
mantenimento dell’unitarietà del gruppo, garantendo una governance adeguata alle
aspettative degli stakeholder finanziari e istituzionali. Questo equilibrio influisce anche sul
capitale umano, dove è fondamentale sviluppare eterogeneità e sfruttare le potenzialità
individuali, promuovendo al contempo una cultura aziendale unitaria per minimizzare le
differenze culturali. Per le figure dirigenziali, è importante trovare un mix tra talenti locali e

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quelli provenienti da altre aree geografiche, focalizzandosi su strategie efficaci di selezione e
sviluppo dei talenti nell’ambito dell’impresa globale.
Vantaggio competitivo: Efficienza produttiva vs. Adattamento al mercato
Per ottenere un solido vantaggio competitivo, le imprese internazionali devono garantire una
massima efficienza produttiva globale e una adeguata differenziazione nella catena del valore
globale. Ciò implica concentrare la produzione in strutture altamente efficienti in grado di
sfruttare le economie di scala e localizzare le attività produttive in contesti favorevoli. È
fondamentale anche esternalizzare attività a operatori specializzati e ottimizzare la logistica.
Inoltre, per massimizzare il valore percepito dal cliente, le imprese devono adattarsi alle
specificità dei mercati locali, dimostrando flessibilità e attenzione alle caratteristiche
geografiche.
Rischio: Rischio vs. Diversificazione
L’ultimo trade-off che un’impresa internazionale deve affrontare riguarda il rischio.
L’internazionalizzazione può ridurre il rischio complessivo attraverso la diversificazione, ma le
opportunità più significative si trovano spesso in aree geografiche ad alto rischio. Pertanto,
l’espansione estera tende ad aumentare il rischio totale. Le imprese devono gestire la propria
presenza internazionale valutando i rischi specifici in ciascun Paese e cercando di mitigarli con
una pianificazione geografica adeguata e strumenti finanziari appropriati. Una gestione efficace
del rischio è anche legata allo sviluppo di relazioni positive con gli stakeholder locali.
Dove? La Scelta Geografica
Una scelta cruciale nel processo di internazionalizzazione di un’impresa riguarda le aree
geografiche in cui realizzare attività economiche. Secondo un modello teorico di
internazionalizzazione “incrementale”, nelle fasi iniziali, le imprese tendono a entrare in
mercati vicini, sia geograficamente sia per affinità nelle caratteristiche del mercato, istituzionali
e socio-culturali. Con il tempo e l’acquisizione di esperienza internazionale, si orientano verso
aree più distanti. Questo approccio è supportato da evidenze empiriche.
Negli ultimi anni, tuttavia, è emersa una modalità di espansione estera differente, in cui la
prossimità al Paese di origine perde importanza, specialmente nel caso delle imprese “born
global”, che si espandono rapidamente in mercati internazionali fin dall’inizio.
Diversificazione o Concentrazione?
La scelta dei Paesi in cui operare è influenzata dall’orientamento strategico riguardo al grado di
diversificazione o concentrazione della presenza internazionale. Per i gruppi globali, presenti
praticamente ovunque, questa distinzione è meno significativa. Tuttavia, anche per gruppi
fortemente internazionalizzati, le dinamiche di sviluppo sono influenzate dall’ampiezza
geografica e dalle macroaree di concentrazione delle attiivtà. In generale, la concentrazione
su un numero limitato di mercati è vantaggiosa quando:
i) il numero di clienti potenziali è elevato o in crescita;
ii) il valore potenziale è alto;
iii) la domanda non è ciclica;
iv) non ci sono imprese dominanti;
v) l’impresa possiede vantaggi competitivi specifici per quei mercati;
vi) le relazioni con gli stakeholder locali sono cruciali per lo sviluppo del business.
Al contrario, la diversificazione geografica è preferibile nelle situazioni opposte e quando
l’offerta è standardizzabile per mercati diversi con costi logistici contenuti.
4.2.3 GLI INDICATORI DELL'INTENSITÀ DEL PROCESSO DI ESPANSIONE ESTERA
DELL'IMPRESA
L'intensità del processo di espansione estera può essere misurata sia attraverso indicatori
quantitativi che qualitativi.
Aspetti Quantitativi
Gli indicatori quantitativi offrono misure dirette del grado di internazionalizzazione dell'impresa.
Tra i principali:
 Fatturato realizzato all'estero: rapporto tra il fatturato estero e il fatturato totale.
 Valore aggiunto o margine operativo all'estero: rapporto tra il valore aggiunto o
margine operativo estero e il totale di questi indicatori.
 Numero di dipendenti all'estero: rapporto tra dipendenti esteri e totale dipendenti.
 Investimenti produttivi all'estero: rapporto tra investimenti produttivi esteri e totale
investimenti.
Inoltre, è utile considerare il grado di internazionalizzazione del vertice aziendale, cioè la
proporzione di top e middle manager di origine estera. Per le grandezze economiche, si

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possono analizzare anche i valori relativi a singoli mercati esteri o aggregazioni di essi. Per le
grandezze patrimoniali, è importante considerare sia i valori di stock che i flussi annui.
Aspetti Qualitativi
Gli aspetti qualitativi sono altrettanto rilevanti per comprendere il livello di
internazionalizzazione di un'impresa. Tra questi:
• il rilievo delle operazioni estere nel piano strategico dell’impresa e nel suo modello di
business;
• l’articolazione organizzativa delle attività estere;
• la misura in cui i processi produttivi sono organizzati e attuati su scala internazionale;
• la qualità delle conoscenze disponibili relativamente alle caratteristiche dei mercati esteri;
• l’importanza delle relazioni interne ed esterne a livello internazionale nello sviluppo delle
risorse e delle competenze dell’impresa.

4.3 IL MODELLO DI SVILUPPO INTERNAZIONALE "BORN GLOBAL"


4.3.1 LE CARATTERISTICHE SALIENTI DELLE IMPRESE BORN GLOBAL
Le imprese born global sono piccole aziende che, fin dall'inizio, operano a livello
internazionale. Knight e Cavusgil le definiscono come “piccole imprese orientate alla tecnologia
che operano nei mercati internazionali fin dal primo giorno della loro creazione”. In queste
imprese, l’internazionalizzazione non è una fase evolutiva, ma una parte fondamentale del
business, cruciale per il vantaggio competitivo. Oviatt e McDougall le definiscono come
organizzazioni che, fin dall'inizio, cercano di trarre vantaggi competitivi significativi dall’utilizzo
delle risorse e dalla vendita in più Paesi.
Il Disegno Strategico
Le imprese “born global” sono progettate fin dall’inizio per competere a livello internazionale,
possedendo le competenze e le risorse necessarie per coordinare attività in diversi Paesi. La
loro presenza globale non deriva da un processo incrementale, ma da un disegno strategico
chiaro che stabilisce le modalità e le condizioni della loro espansione estera ancor prima di
avviare l’attività. Questo fenomeno rappresenta un cambiamento significativo rispetto alla
tradizionale dinamica di internazionalizzazione descritta dalle teorie consolidate e dalle
evidenze empiriche.
Da Cosa Nascono le Born Global?
Le imprese “born global” nascono da un forte orientamento culturale e da esperienze
internazionali dei membri del gruppo imprenditoriale, il che consente loro di superare
l’atteggiamento di avversione al rischio spesso presente nei piccoli imprenditori. Questa
propensione favorisce un approccio più proattivo e aperto alle opportunità di operazioni estere.
Caratteristiche delle Imprese Born Global
Le imprese “born global” presentano alcune caratteristiche distintive:
1. Specializzazione in nicchie di mercato: Queste aziende riescono a identificare aree di
business specifiche, dove la loro dimensione non è penalizzante, permettendo loro di
ottenere visibilità e costruire relazioni dirette con i clienti. Hanno un approccio strategico
caratteristico delle piccole imprese di successo, focalizzandosi su una specializzazione
elevata che consente loro di diventare punti di riferimento in mercati anche ampi.
2. Orientamento all’innovazione: La specializzazione e un robusto sistema relazionale
favoriscono un forte orientamento all’innovazione. Ciò implica l’adozione di competenze
dinamiche per rinnovare continuamente le proprie capacità in risposta al mercato, e un uso
significativo delle tecnologie abilitanti, come le tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, per gestire le attività e le relazioni a livello internazionale.
3. Condizioni di contesto favorevoli: Il successo delle born global è supportato da un
ambiente di business internazionale. Queste imprese cercano di competere globalmente fin
dall’inizio, approfittando dello sviluppo di nicchie globali, delle tecnologie che rendono
vantaggiosa la produzione su piccola scala e della comunicazione digitale.
4. Accesso a ecosistemi internazionali: Le start-up born global beneficiano della possibilità
di inserirsi in ecosistemi che promuovono l’internazionalizzazione e l’innovazione. Questi
contesti, dove attori come imprese, università e istituzioni sono proiettati a livello
internazionale, favoriscono un orientamento culturale verso l’estero e la creazione di
relazioni con attori globali, rendendo naturale l’innovazione e le collaborazioni
internazionali.

4.3.2 LE CONDIZIONI DI SUCCESSO DI UNA BORN GLOBAL


Neutralizzare gli Svantaggi

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Le imprese “born global” affrontano svantaggi tipici delle piccole aziende, ma riescono a
neutralizzarli grazie alla qualità del loro capitale immateriale, caratterizzato da quattro aspetti
principali:
1. Relazioni e reputazione: Hanno costruito relazioni e una reputazione riconosciuta che le
inserisce in sistemi internazionali di creazione di valore.
2. Competenze organizzative: Dispongono di abilità per gestire efficacemente le attività,
sia direttamente che in collaborazione con altri, in diversi paesi.
3. Conoscenza del mercato internazionale: Possiedono una buona comprensione del
mercato globale, dei clienti e dei concorrenti, riuscendo a stabilire relazioni dirette con i
primi e modalità di coopetition con i secondi.
4. Capacità di apprendimento organizzativo: Sono capaci di riconoscere e sfruttare
opportunità tecnologiche, utilizzare le conoscenze esistenti per svilupparne di nuove e
assumere un ruolo significativo nelle reti internazionali di generazione e scambio di
conoscenza.
La Componente Finanziaria
La componente finanziaria è cruciale per il successo e la crescita delle imprese “born global”.
Anche se le risorse iniziali, come il capitale proprio e l’autofinanziamento, possono essere
sufficienti per avviare l’attività a livello internazionale, non lo sono necessariamente per
consolidare il successo e realizzare un significativo salto dimensionale.
• Nelle fasi iniziali, gli investimenti possono essere finanziati facilmente, ma nelle fasi
successive è necessario accedere a fonti di finanziamento più robuste. La difficoltà nel
reperire tali risorse può ostacolare la crescita o addirittura mettere in crisi l’impresa.
• È essenziale avere un sistema finanziario che offra strumenti e servizi adeguati per
supportare il processo di internazionalizzazione. Affinché l’impresa possa instaurare un buon
rapporto con il sistema finanziario, è importante che sia avviata con un adeguato capitale
proprio in relazione alle sue prospettive di sviluppo e al tempo necessario per raggiungere la
redditività.
In questo contesto, la compagine imprenditoriale gioca un ruolo chiave, sia per la disponibilità
a finanziare direttamente l’iniziativa, sia per la capacità di interagire positivamente con gli
investitori in equity.
Gli Impulsi della Born Global
Nelle fasi iniziali del percorso internazionale, le imprese “born global” sperimentano un numero
elevato di impulsi in un breve lasso di tempo, il che può portare a un processo patologico e,
quindi, a una crisi rapida dell’iniziativa. Se riescono a superare questa fase critica, tendono a
sviluppare rapidamente il proprio posizionamento internazionale, sia in termini di presenza di
mercato che di organizzazione produttiva. La natura globale del loro business diminuisce
l’importanza dell’approccio tradizionale, che prevede un’espansione verso Paesi vicini
all’origine; invece, l’orientamento geografico è influenzato dalle attitudini, relazioni e
competenze dei membri del team imprenditoriale
Il Rafforzamento Organizzativo
La rapida evoluzione internazionale delle imprese “born global” richiede un significativo
rafforzamento organizzativo poco dopo l’avvio delle attività. Questo cambiamento è
necessario ma non sempre facile da realizzare, e la sua mancata attuazione può portare a crisi
aziendali.
Il rafforzamento riguarda principalmente il capitale umano, con l’inserimento di figure esterne
al team imprenditoriale per svolgere funzioni manageriali e tecniche specializzate. Ciò
comporta sfide comuni alle PMI, come l’integrazione tra l’imprenditore e i nuovi manager, la
gestione delle carriere delle risorse altamente competenti e la sostenibilità dei costi associati.
Inoltre, non tutte le born global diventano grandi; sebbene la loro natura internazionale
favorisca l’espansione, non è un fattore sufficiente. La spinta imprenditoriale potrebbe
diminuire, o l’impresa potrebbe non riuscire a consolidare efficacemente le relazioni
internazionali iniziali, perdendo opportunità di crescita. Il capitale immateriale disponibile
potrebbe non essere sufficiente a compensare gli svantaggi legati alla dimensione ridotta e alla
scarsa esperienza nei mercati internazionali.

4.4 LO SVILUPPO DEL VANTAGGIO COMPETITIVO A LIVELLO INTERNAZIONALE


4.4.1 L’ESPANSIONE ESTERA COME MODALITÀ DI SVILUPPO DEL VANTAGGIO
COMPETITIVO

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L’espansione estera è una strategia che può contribuire significativamente al raggiungimento
di un vantaggio competitivo per le imprese, grazie a diverse opportunità di arbitraggio legate
alle variazioni economiche, competitive e di mercato nelle varie aree geografiche.
 Un aspetto chiave è la possibilità di abbattimento carico fiscale complessivo:
attraverso i prezzi di trasferimento, le aziende possono ottimizzare i risultati economici
delle loro filiali estere in base alle leggi fiscali locali, massimizzando così i benefici fiscali.
 Inoltre, la teoria del ciclo di vita internazionale di Vernon offre un’altra opportunità di
arbitraggio, suggerendo che le imprese possono operare in aree con tassi di sviluppo
della domanda diversi, sfruttando le variazioni nel valore attribuito al prodotto nei vari
Paesi e allungando il ciclo di vita del prodotto. Questo concetto si applica non solo ai
prodotti, ma anche alla tecnologia e agli impianti utilizzati nei processi produttivi.
Da cosa deriva il vantaggio competitivo?
Il vantaggio competitivo di un’impresa in una nuova area geografica si origina dalla sua
capacità di svolgere attività in modo più efficiente ed efficace rispetto a quanto possa fare
nel proprio Paese di origine. Questo vantaggio si concretizza attraverso la gestione integrata
delle posizioni nelle diverse aree in cui l’impresa opera. Per acquisire e mantenere questo
vantaggio, l’impresa deve trovare un equilibrio tra l’azione locale, che sfrutta le opportunità
specifiche del territorio, e l’azione globale, che promuove una strategia integrata e coerente a
livello internazionale.
Effetti leva dell’estensione a livello internazionale
L’espansione internazionale delle attività di un’impresa rappresenta una leva competitiva
fondamentale, poiché crea condizioni difficilmente replicabili dagli operatori locali e influisce in
modo significativo sulla dinamica concorrenziale nei vari mercati. Questa espansione può
essere analizzata sotto diverse prospettive, tra cui la diversificazione del portafoglio, lo
sviluppo delle risorse e l’accrescimento del potere economico.
1. Diversificazione del portafoglio (1 LEVA)
L’internazionalizzazione consente all’impresa di diversificare i rischi associati a vari mercati.
Ogni area geografica può essere analizzata in base al suo potenziale rischio e rendimento,
permettendo all’azienda di costruire un portafoglio ottimale di attività. I benefici della
diversificazione del rischio derivano da tre fattori principali:
 Compensazione dei rischi: La presenza in più Paesi consente di compensare andamenti
economici o socio-politici negativi in un mercato specifico, riducendo l’impatto negativo
complessivo sull’impresa.
 Varietà di ambiti competitivi: Operare in diverse aree offre maggiori opportunità per
rispondere a eventuali attacchi competitivi, consentendo all’azienda di adattarsi
rapidamente a nuove sfide.
 Minimizzazione dei rischi: La diversificazione riduce l’esposizione ai rischi legati a
variazioni dell’offerta di input produttivi e della domanda di mercato in specifici Paesi.
Tuttavia, se le caratteristiche e le performance delle aree geografiche sono positivamente
correlate, la rilevanza della diversificazione diminuisce.
2. Sviluppo delle risorse (2 LEVA)
L’operare in contesti internazionali consente all’azienda di ampliare la sua base di conoscenze,
reputazione e relazioni, che è significativamente più vasta rispetto a quella di concorrenti
operanti solo a livello nazionale. I principali vantaggi includono:
 Riconoscibilità del marchio: Essere presenti in diversi mercati ha vantaggi di marketing
infatti aumenta la visibilità e la riconoscibilità del prodotto, facilitando le opportunità di
prova e fidelizzazione dei clienti.
 Effetto made-in: La percezione della qualità del prodotto è influenzata dal Paese di
origine, dove una buona reputazione può diventare un elemento di differenziazione. Ad
esempio, prodotti di alta moda italiani o elettronica giapponese beneficiano di questa
associazione positiva. L’effetto made-in può essere sfruttato posizionando attività di ricerca
e produzione in aree con alta reputazione.
 Dimensioni della reputazione: La reputazione di un’area geografica può riguardare:
Innovazione tecnica e produttiva delle imprese, Affidabilità dei processi e qualità dei
materiali, Capacità di design e creatività, Prestigio acquisito nel tempo.
3. Accrescimento del potere economico e extra-economico (3 LEVA)
La presenza internazionale può conferire potere economico che influisce sulla concorrenza nei
mercati nazionali. Tuttavia, questo tipo di leva può anche comportare distorsioni nei
meccanismi di mercato, generando effetti negativi sul benessere generale. Gli aspetti
includono:

31
• Collusione tra grandi aziende: Le grandi imprese possono colludere per definire aree
geografiche di influenza, evitando una competizione aggressiva in determinati mercati.
• Pressione sui governi locali: Le aziende internazionalizzate possono spostare facilmente la
loro catena del valore in base alla convenienza economica. Ciò consente di esercitare
pressione sui governi, minacciando di spostare investimenti in altre aree o promettendo
investimenti in cambio di regolamenti favorevoli.

4.4.2 GLOBALIZZAZIONE, LOCALIZZAZIONE E VANTAGGIO COMPETITIVO


La trasformazione della struttura produttiva internazionale di un’impresa è guidata da una
visione globale, mirata a superare frammentazioni locali e a integrare le attività in
un’organizzazione internazionale del valore. Ogni unità produttiva assume un ruolo strategico
che non si limita al contesto geografico in cui opera, ma si inserisce nel disegno complessivo
della strategia aziendale globale.
Caratteristiche della strategia produttiva internazionale
• Orientamento internazionale: La strategia produttiva si basa su fattori che influenzano la
competitività a livello globale, riducendo l’importanza della concorrenza locale.
• Ruolo delle unità operative: Lo sviluppo di ogni unità dipende dalla sua capacità di
contribuire in modo significativo e distinto alla strategia globale dell’impresa, in sinergia con
le altre unità operative.
Relazione tra globalizzazione e localizzazione
Sebbene la struttura produttiva dell’impresa sia sempre più globalizzata, il contesto geografico
specifico delle singole unità locali rimane rilevante. Ogni unità locale può acquisire competenze
specifiche, che rappresentano una risorsa fondamentale per il vantaggio competitivo globale.
Per massimizzare i benefici della globalizzazione, le conoscenze e competenze acquisite a
livello locale devono essere trasferite e condivise all’interno del gruppo. Questo richiede
un’efficace strategia di coordinamento tra le diverse unità operative.
Vantaggio fondamentale
Il vantaggio fondamentale di un’organizzazione internazionale risiede nella capacità di
valorizzare risorse e competenze generate dalle varie controllate estere, condividendole
all’interno della rete aziendale e utilizzandole simultaneamente in diversi contesti territoriali.
Questa ottimizzazione si basa su piani d’azione che minimizzano l’attenzione ai fattori
esclusivamente locali, concentrandosi su stimoli di rilevanza internazionale. Punti chiave:
 Generazione e condivisione di risorse: L’impresa crea valore radicandosi in specifici
territori, sviluppando risorse e conoscenze locali che vengono trasferite e condivise con
altre unità del gruppo.
 Riconfigurazione della dimensione locale: La dimensione locale non è più un vincolo o
un limite alla strategia globale. Diventa invece la fonte principale di risorse distintive che,
integrate e condivise nella rete aziendale, rafforzano la strategia competitiva
internazionale.
Vantaggio competitivo di sintesi
Il vantaggio competitivo di un’impresa internazionalizzata non dipende esclusivamente dalla
standardizzazione globale dell’offerta o dalla somma dei vantaggi locali nei vari Paesi. Questi
aspetti sono rilevanti, ma secondari rispetto al principale fattore: la capacità di generare
risorse e competenze eterogenee e di valorizzarle attraverso un processo interno di
circolazione, omogeneizzazione e sinergia. Il vantaggio competitivo è un vantaggio di sintesi
che consiste nella capacità di:
 Moltiplicare le fonti di conoscenza: Sfruttando le peculiarità di ciascun mercato per
acquisire risorse e competenze distintive.
 Accrescere l’impatto su scala globale: Trasformando tali conoscenze in un patrimonio
condiviso che rafforza l’intera rete internazionale.
Condizioni necessarie per il vantaggio di sintesi:
1. la capacità di gestire la presenza in una certa area geografica anche nel senso dello
sviluppo di relazioni con soggetti locali, attraverso cui sviluppare risorse distintive;
1. la capacità di trasferire le conoscenze e le risorse maturate in un determinato
contesto geografico nella rete interna che costituisce il gruppo internazionale.

CAPITOLO 5: COME ENTRARE IN UN PAESE ESTERO


5.1 L’ARTICOLAZIONE DELLE STRATEGIE DI ENTRATA NEI MERCATI ESTERI

32
Per entrare nei mercati esteri, l'impresa deve sviluppare una strategia di entrata, che è
strettamente legata alla sua strategia competitiva. La scelta del metodo di ingresso in un
mercato estero influenzerà le opportunità competitive disponibili, e viceversa, la strategia
competitiva determinerà il modo in cui entrare nel mercato.
La strategia di entrata
La strategia di entrata si articola su quattro elementi fondamentali:
1. Natura delle attività: include la commercializzazione di prodotti, la produzione, e lo
sviluppo di conoscenze.
2. Area geografica: riguarda la localizzazione delle attività in un contesto estero.
3. Modalità di entrata: le diverse modalità includono esportazioni, joint venture,
investimenti diretti, ecc.
4. Coinvolgimento di altri attori: riguarda l’integrazione con partner locali o altre entità
nella realizzazione delle attività.
Cosa condiziona la strategia di entrata?
Le strategie di entrata condizionano:
 Relazioni con attori locali: intensità della
cooperazione nel paese target.
 Controllo sulle variabili competitive:
capacità di influenzare il mercato estero.
 Appropriazione dei risultati: possibilità di
trattenere i benefici economici e strategici.
Il grado di radicamento dell’impresa nel mercato estero
dipende dal livello di impegno richiesto, sia in termini
finanziari che organizzativi. Esportazioni indirette
richiedono il minimo impegno, mentre investimenti
diretti esteri comportano il massimo radicamento.
Criteri di ordinamento delle modalità di entrata
Le modalità di entrata possono essere ordinate in base
a:
1. Radicamento nel mercato estero: quanto
l’impresa è profondamente integrata nel
mercato.
2. Impegno finanziario e organizzativo: il livello di risorse richieste.
Le esportazioni indirette sono le meno impegnative, ma non offrono un grande radicamento,
mentre investimenti diretti esteri richiedono un alto impegno e offrono una presenza forte nel
mercato.
5.2 LE ESPORTAZIONI INDIRETTE
5.2.1 LE CARATTERISTICHE E I VANTAGGI DELLE ESPORTAZIONI INDIRETTE
Le esportazioni indirette si verificano quando l’impresa non gestisce direttamente le operazioni
estere, ma si avvale di un operatore indipendente. In alcuni casi, l’impresa crea un’unità
interna per gestire le esportazioni, ma senza entrare direttamente in contatto con il mercato
estero.
Gli operatori indipendenti
Gli operatori indipendenti possono variare in termini di complessità organizzativa, da piccoli
intermediari a grandi imprese di trading. Possono agire solo come intermediari o acquistare i
beni per rivenderli nei mercati esteri.

Vantaggi delle esportazioni indirette


I principali vantaggi delle esportazioni indirette sono:
 Basso impegno finanziario e organizzativo: non richiedono investimenti significativi
o cambiamenti strutturali.
 Approccio meno rischioso: utile per piccole imprese o per le fasi iniziali di
espansione.
 Espansione rapida: facilita l'accesso a mercati esteri sfruttando una congiuntura
favorevole.
Limiti delle esportazioni indirette
Le esportazioni indirette presentano alcuni limiti:
 Controllo limitato: l’impresa ha poco controllo sul posizionamento e sulle strategie
commerciali nel mercato estero.

33
 Poche competenze acquisite: l’impresa non sviluppa una conoscenza approfondita
del mercato estero.
 Margine economico ridotto: la presenza di più intermediari riduce i profitti e il potere
negoziale.
Le esportazioni indirette sono più adatte per piccole imprese con risorse limitate o per le fasi
iniziali di internazionalizzazione, quando i volumi di vendita esteri sono ancora contenuti.

5.2.2 LE TIPOLOGIE DI INTERMEDIARI NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE


Gli intermediari internazionali facilitano il collegamento tra le imprese di diversi Paesi,
svolgendo attività di intermediazione commerciale.

5.2.2.1 IL BUYER
Il buyer è un soggetto indipendente che rappresenta imprese estere e ricerca fornitori nel suo
Paese. Le catene di distribuzione e i franchisor sono esempi di utilizzatori di buyer. Le sue
funzioni principali includono:
 Identificare l’offerta più vantaggiosa per soddisfare una domanda estera.
 Selezionare prodotti/marchi per diversificare l’offerta. Le sue attività operativa
comprendono la negoziazione dei contratti, la predisposizione degli ordini, e la gestione
della spedizione e dello sdoganamento.

5.2.2.2 IL BROKER
Il broker funge da intermediario tra produttore e compratore estero, spesso specializzandosi in
determinati prodotti, come le commodities. Può agire come agente del produttore (per
esportazioni) o del compratore (per importazioni), facilitando la selezione delle offerte migliori e
accompagnando le transazioni.

5.2.2.3 L’EXPORT MANAGEMENT COMPANY


L’export management company (EMC) è un’impresa che promuove le vendite all’estero per
un gruppo di produttori complementari, non in concorrenza tra loro. Le sue attività principali
includono:
 Analisi delle opportunità nei mercati esteri.
 Ricerca dei canali di vendita e dei clienti.
 Gestione della distribuzione dei prodotti.
 Offerta di consulenze e campagne promozionali per i produttori che rappresenta.

5.2.2.4 LE TRADING COMPANIES


Le trading companies sono società che operano nel commercio internazionale, acquistando
prodotti da altre imprese per venderli nei mercati esteri. Sono caratterizzate da una grande
diversificazione, trattando vari prodotti e operando in diversi Paesi. Si stima che circa un quarto
del commercio mondiale sia intermediato da esse. Possono essere indipendenti o parte di un
gruppo industriale o finanziario, e agiscono tramite filiali in vari Paesi. Offrono una vasta
gamma di servizi, tra cui logistica, assicurazioni, finanziamento delle esportazioni e sviluppo
dei canali distributivi. Possono anche occuparsi di acquisti di materie prime o semilavorati.
Le funzioni principali delle trading companies includono:
 Valutazione dei mercati esteri e pianificazione delle strategie di commercializzazione.
 Creazione di strumenti finanziari per il credito commerciale.
 Ricerca di partner esteri per accordi commerciali o produzione.
 Gestione di operazioni di countertrade. Le trading companies sono fondamentali anche
negli acquisti di macchinari e beni intermedi nei Paesi meno sviluppati, facilitando la
regolazione delle transazioni.

5.2.2.5 I CONSORZI PER L’ESPORTAZIONE


I consorzi per l’esportazione sono strutture che aggregano piccole e medie imprese per
ottenere una “dimensione critica” necessaria per competere efficacemente nei mercati esteri. I
consorzi permettono alle imprese di esternalizzare le attività legate alle esportazioni,
beneficiando delle economie di scala. Le imprese consorziate mantengono una certa
indipendenza, ma collaborano per superare le limitazioni strutturali, come la capacità
produttiva ridotta.
I consorzi possono assumere diverse configurazioni:

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 Semplici: Offrono servizi come analisi dei mercati esteri, supporto doganale, e
partecipazione a fiere. Le imprese operano con le proprie offerte e il consorzio funge da
canale di accesso ai mercati esteri.
 Imprenditoriali: Organizzano l’offerta collettiva dei membri, con un marchio comune e
gestione centralizzata di produzione, qualità, marketing e flussi finanziari. In questi casi,
la coesione tra le imprese consorziate è cruciale per il successo.
I consorzi possono essere costituiti autonomamente dalle imprese o supportati da enti pubblici
o associazioni di produttori. Il vantaggio della concentrazione geografica e settoriale facilita il
coordinamento e migliora l’efficienza nei servizi e nella promozione dei prodotti.

5.3 LE ESPORTAZIONI DIRETTE


5.3.1 LE CARATTERISTICHE E I VANTAGGI DELLE ESPORTAZIONI DIRETTE
Nell’esportazione diretta, l’impresa vende nei mercati esteri tramite una propria struttura
commerciale, che può raggiungere il cliente finale o collaborare con i distributori locali. La
caratteristica distintiva rispetto all’esportazione indiretta è la gestione diretta delle relazioni
con i distributori nel Paese di destinazione.
Esportazioni dirette> indirette
Le esportazioni dirette sono più efficaci in situazioni che richiedono una gestione diretta e
strutturata delle relazioni, come:
• produzione su commessa,
• vendita di impianti e macchinari complessi,
• produzioni ad alta tecnologia,
• mercati con gare pubbliche,
• mercati di massa con distribuzione frammentata.
Questa modalità è ideale quando la transazione è economicamente rilevante, la relazione è
complessa e di medio termine, o serve una struttura organizzativa per raggiungere i clienti.
Vantaggi di carattere generale
L’esportazione diretta offre vantaggi come l’accorciamento del canale di ingresso e il recupero
di margini economici, pur dipendendo dall’efficienza della struttura commerciale rispetto ai
costi degli intermediari. Consente un maggiore controllo sui distributori, una migliore
comprensione del cliente finale e facilita strategie per rafforzare brand, reputazione e
competenze nei mercati esteri. Tuttavia, richiede un impegno organizzativo e finanziario
significativo.
Modalità di esportazioni delle esportazioni dirette
Sono diverse, andiamo a vederle nel dettaglio

5.3.2.1 LA RETE VENDITA PER L’ESTERO


Le esportazioni dirette si realizzano tramite una rete vendita per l’estero, composta da
dipendenti o collaboratori esterni. Le piccole imprese preferiscono i collaboratori esterni per
ridurre costi fissi e oneri organizzativi.
Gli agenti indipendenti
Gli agenti indipendenti operano nel Paese estero per individuare clienti, gestire vendite e
coordinare consegne, spesso con deposito per il magazzino dell’impresa, senza assumere la
proprietà dei beni. A differenza dei broker, hanno un rapporto strutturato e duraturo con
l’azienda. La creazione di una rete di agenti rappresenta un primo passo organizzativo verso
l’internazionalizzazione, inizialmente composta da persone residenti nel Paese d’origine, che si
spostano regolarmente all’estero per operare.
Funzioni degli agenti della rete interna
Gli agenti della rete interna si occupano di tutte le attività legate alla vendita, come ricerca
clienti, promozione, negoziazione, chiusura ordini e assistenza nella consegna. Oltre agli
aspetti commerciali, gestiscono anche la comunicazione mirata con i clienti e forniscono
feedback all’impresa, come richieste e informazioni sul mercato estero. In pratica, agiscono
come “antenne” per raccogliere e interpretare dati utili alla strategia di espansione
internazionale dell’azienda.
È conveniente?
Le spese di viaggio e permanenza all’estero rendono l’esportazione diretta costosa, quindi
vanno valutati attentamente il valore delle vendite e altri fattori come la complessità del
prodotto, la stagionalità degli acquisti e il numero di clienti. Se i costi sono troppo elevati
rispetto ai benefici, l’impresa può rivedere la rete di venditori, optando per il trasferimento
stabile degli agenti o assumendo persone già residenti nel Paese estero, con vantaggi in

35
termini di conoscenza del mercato. Se la rete cresce, l’impresa crea una struttura dedicata per
gestirla e integrarla con le attività interne.

5.3.2.2 L’UFFICIO DI RAPPRESENTANZA


La costituzione di una filiale commerciale in un Paese estero avviene in tre situazioni: quando
l’impresa ha volumi e vendite significative, quando il business richiede una presenza
strutturata (ad esempio nei mercati pubblici o con grandi organizzazioni), e quando l’impresa
mira a una presenza commerciale importante nel mercato estero. L’apertura di una filiale è un
segnale dell’impegno strategico dell’impresa nel raggiungere una presenza competitiva
significativa.

Che compiti può assumere?


La rappresentanza commerciale, priva di personalità giuridica, svolge compiti come studi di
mercato, sviluppo di relazioni locali, coordinamento della rete di venditori, gestione logistica e
problematiche giuridiche. Sebbene abbia un’autonomia limitata, opera seguendo le direttive
della casa madre e contribuisce alla definizione della strategia competitiva, fornendo
indicazioni sulle risorse necessarie per espandere la presenza nel mercato estero.

5.3.2.3 LA CENTRALE LOGISTICA


L’impresa esportatrice può creare una centrale logistica in mercati esteri per velocizzare la
distribuzione dei prodotti e ridurre i tempi di consegna. In alcuni casi, la centrale esegue
lavorazioni sui prodotti per adattarli alle esigenze dei clienti, sotto la direzione dell’unità
organizzativa per le esportazioni dell’impresa.
Dove posizionare la centrale logistica?
La scelta della location per una struttura logistica dipende da tre fattori principali:
1. La posizione geografica rispetto ai mercati esteri.
2. Il livello di sviluppo delle infrastrutture di trasporto e la qualità delle connessioni con il
sistema distributivo locale.
3. Le condizioni operative, inclusi i costi, le normative sugli scambi internazionali e la
legislazione fiscale.

5.3.2.4 LA SUSSIDIARIA COMMERCIALE ESTERA


Le esportazioni avanzate in un Paese sono gestite tramite una sussidiaria estera, che assume
molte delle funzioni precedentemente svolte dall’unità per le esportazioni e sviluppa una
propria strategia commerciale, pur seguendo un programma concordato con la casa madre. La
sussidiaria ha identità societaria autonoma e responsabilità d’impresa, con un risultato
economico che influisce sulla performance complessiva del gruppo. Tuttavia, la casa madre
spesso influisce sulla performance economica della controllata, stabilendo le condizioni
economiche per acquisti e vendite.
Perché si crea una sussidiaria?
La creazione di una sussidiaria commerciale estera può derivare dall’evoluzione di una
rappresentanza o di una centrale logistica, sviluppando competenze commerciali avanzate per
un impegno strategico nell’area. In altri casi, la sussidiaria è frutto di una strategia di
esternalizzazione per rafforzare la capacità dell’impresa nei mercati internazionali, giustificata
da: specializzazione nelle competenze, focalizzazione sul mercato geografico e maggiore
flessibilità organizzativa. Inizialmente, può concentrarsi sulle vendite, ma nel tempo può
espandersi includendo attività produttive tramite investimenti diretti esteri.

5.3.3 IL COMMERCIO ELETTRONICO


Il grande sviluppo del commercio elettronico ha determinato il manifestarsi di una nuova
rilevante modalità di esportazione diretta, peraltro alla portata anche di aziende di dimensioni
minori; attraverso internet, infatti, l’impresa può comunicare la propria offerta a
compratori potenziali in tutto il mondo e gestire direttamente la transazione commerciale
con acquirenti in Paesi anche molto lontani dal proprio.
La dimensione conta?
Negli ultimi anni, si è discusso sull’efficacia di Internet come veicolo di commercializzazione
internazionale. Per un utilizzo efficace, le imprese devono raggiungere una dimensione critica
per garantire visibilità e gestire correttamente gli aspetti logistici. Nonostante l’importanza del
commercio elettronico, è emerso che sono necessarie strutture fisiche per gestire la

36
distribuzione e la relazione con il cliente. Nel frattempo, sono emerse piattaforme di commercio
online globale, come Amazon e Alibaba, e piattaforme settoriali come Booking.com ed Expedia.
Vantaggi commercio elettronico
Il commercio elettronico offre vantaggi come la possibilità di entrare rapidamente in contatto
con clienti esteri a basso costo, ampliare le modalità di comunicazione, stabilire relazioni
dirette e continue con i clienti, rispondere rapidamente alle esigenze e ridurre i costi della
struttura commerciale. È particolarmente efficace per le imprese che operano in nicchie di
mercato, con prodotti specializzati e una gestione logistica semplice, permettendo loro di
ottenere visibilità online e stabilire contatti commerciali significativi.

5.3.4 IL TRAFFICO DI PERFEZIONAMENTO PASSIVO


La forte tendenza delle imprese a realizzare parte della produzione in Paesi stranieri,
attraverso proprie strutture produttive o accordi di fornitura con imprese straniere, ha
determinato, già da molti decenni, un notevole flusso di semilavorati tra Paesi diversi. Questo
flusso è attivato dall’impresa che affida determinate fasi della lavorazione a impianti collocati
in una nazione diversa da quella dove essa è localizzata. In linea generale questi flussi
determinano prima un’esportazione di beni da una struttura aziendale X collocata in un
certo Paese a una struttura aziendale Y operante in un’altra nazione; successivamente
un’importazione da parte di X dei beni trasformati da Y.
Quindi che cosa è il traffico di perfezionamento passivo?
Per la loro specificità, questi flussi sono fatti rientrare nel cosiddetto traffico di perfezionamento
passivo o regime di temporanea esportazione, espressamente previsto nella normativa
comunitaria.
Si ha traffico di perfezionamento passivo quando un’impresa vende delle merci a
un’azienda di un altro Paese per reimportarle dalla stessa impresa dopo che questa ha
effettuato su tali merci determinate lavorazioni. Questo meccanismo viene utilizzato in molti
settori, tra i quali in particolare il tessile-abbigliamento, il calzaturiero, il metallurgico, il
chimico, la produzione di hardware, prevalentemente per quelle lavorazioni a minor valore
aggiunto ed elevato impiego di forza lavoro.
Aiuto normativo
Il traffico di perfezionamento passivo consente di ridurre i costi doganali, poiché la tassazione
viene applicata solo sul valore aggiunto dalla lavorazione nel Paese estero e non sull’intero
valore del prodotto. Questo beneficio si applica quando i beni sono temporaneamente esportati
per lavorazioni e successivamente reimportati. Le condizioni per beneficiare di questa
normativa includono: la produzione dei beni in un Paese dell’Unione Europea, l’attività
produttiva dell’impresa esportatrice, e il rispetto dei limiti annuali di produzione stabiliti dalle
autorità comunitarie.

5.4 LE ALLEANZE STRATEGICHE


5.4.1 LA CRESCENTE RILEVANZA DELLE ALLEANZE STRATEGICHE INTERNAZIONALI
Le alleanze strategiche sono accordi formali di medio-lungo termine tra imprese, mirati a
obiettivi comuni legati alla crescita internazionale o alle strategie competitive. Questi accordi,
che differiscono dalle intese commerciali per il loro impatto sull’evoluzione dei partner e il
controllo che implicano, sono cresciuti con lo sviluppo della catena globale del valore. La loro
importanza varia tra settori: i contratti di produzione sono comuni nell’elettronica, automotive
e abbigliamento, mentre il franchising è diffuso nel retail e nell’industria ricettiva. L’outsourcing
e le alleanze internazionali sono anche rilevanti nei servizi, come quelli IT.
I potenziali benefici delle alleanze strategiche per le imprese
Le alleanze strategiche nella strategia di sviluppo internazionale offrono numerosi vantaggi per
le imprese, tra cui:
1. Accesso a risorse complementari: Le alleanze consentono di ottenere risorse e
competenze distintive complementari a quelle proprie, permettendo di valorizzare le
proprie risorse in nuovi contesti geografici.
2. Dimensione critica e competitività: Permettono di raggiungere più rapidamente la
dimensione critica necessaria per essere competitivi a livello internazionale, aumentando
l’efficienza operativa tramite risorse e volumi più grandi.
3. Conoscenza del mercato estero: Facilitano lo sviluppo di una conoscenza più profonda
del mercato estero, delle dinamiche competitive e dei fattori economici che ne influenzano
l’evoluzione.

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4. Flessibilità e adattamento: Offrono maggiore flessibilità nel rispondere alle specificità
della domanda nei vari Paesi, adattandosi a diverse fasi del ciclo di vita del prodotto.
Inoltre, gli accordi strategici favoriscono una relazione positiva tra i partner, che include:
• Lo sviluppo di una reciproca conoscenza delle rispettive potenzialità, utile per valutare
future integrazioni.
• L’apprendimento di metodi di lavoro di successo adottati da altri soggetti.
• L’estensione della rete di collaborazioni con altre imprese.
• La possibilità di razionalizzare il portafoglio di business, attraverso scambi tra le imprese
partner.
Tre fattori esterni che spingono le imprese ad adottare alleanze strategiche sono:
1. Complessità dell’ambiente competitivo: La crescente difficoltà a reperire tutte le
risorse necessarie internamente spinge le imprese a collaborare.
2. Accorciamento del ciclo di vita dei prodotti: La rapida evoluzione dei mercati e delle
tecnologie rende necessarie alleanze per rispondere più rapidamente.
3. Politiche governative locali: Nei Paesi emergenti, le politiche favoriscono la presenza di
imprese straniere con impatti positivi sul tessuto produttivo locale, incentivando le
alleanze.
I vantaggi delle alleanze strategiche per i Paesi ospitanti
Le alleanze strategiche internazionali possono avere effetti positivi sul sistema economico del
Paese ospitante, con i seguenti impatti principali:
1. Occupazione: Le alleanze creano posti di lavoro, con l’UNCTAD che stima circa 20 milioni
di persone occupate globalmente grazie a queste alleanze.
2. Miglioramento delle condizioni lavorative: Le imprese internazionali richiedono ai
fornitori di rispettare alti standard di sicurezza, igiene e trattamento dei lavoratori,
contribuendo al miglioramento delle condizioni di lavoro e al miglioramento degli standard
di vita.
3. Aumento delle esportazioni e ricchezza: Le alleanze favoriscono l’aumento del valore
aggiunto e delle esportazioni nel Paese ospitante, rafforzando il sistema produttivo locale e
permettendo ad alcune imprese di crescere a livello globale.
4. Reti internazionali: Le imprese locali che fanno parte di alleanze internazionali possono
beneficiare di una rete di relazioni estesa e qualificata, favorendo l’integrazione di altri
produttori locali nella catena globale del valore.
5. Trasferimento di conoscenze e rafforzamento dell’immagine: Le alleanze stimolano
il trasferimento di know-how e il miglioramento dell’immagine del territorio, contribuendo al
suo sviluppo economico.
6. Progetti di sviluppo sostenibile: Le alleanze favoriscono la partecipazione delle imprese
internazionali a progetti di sviluppo sostenibile e al rafforzamento delle comunità locali.
In sintesi, le alleanze strategiche contribuiscono a stimolare la crescita economica, migliorare
le condizioni di lavoro, trasferire conoscenze e potenziare il sistema produttivo del Paese
ospitante.

5.4.2 L’ARTICOLAZIONE E LA NATURA DELLE ALLEANZE STRATEGICHE


Le alleanze strategiche possono essere distinte in base a quattro criteri principali:
Tipo di investimenti richiesti
Le alleanze possono essere di tipo “non equity” (accordi strategici) o “equity” (joint venture
internazionali). Le prime non richiedono investimenti comuni, mentre le seconde prevedono la
creazione di nuove strutture societarie con capitale di rischio condiviso.
La nazionalità del partner
Le alleanze possono essere tra soggetti dello stesso Paese o tra attori di Paesi diversi. Le
alleanze internazionali, sebbene più complesse da gestire, sono generalmente più competitive
su scala globale.
La motivazione strategica
Le motivazioni per le alleanze includono:
1. Aumento della dimensione e miglioramento dell’efficienza.
2. Rafforzamento della capacità di penetrazione commerciale.
3. Condivisione degli investimenti e riduzione del rischio.
4. Superamento di vincoli normativi in determinati mercati.
Attività svolte attraverso l’alleanza
Le attività principali di un’alleanza strategica riguardano:
1. Produzione e logistica.

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2. Vendite.
3. Ricerca e sviluppo.
4. Lancio di nuovi prodotti/servizi.
Loosely coupled system
Le alleanze strategiche internazionali sono caratterizzate da sistemi “loosely coupled”, dove i
soggetti rimangono indipendenti ma interagiscono strutturalmente. Questi sistemi richiedono
un equilibrio tra controllo e cooperazione. Le forze di integrazione e controllo individuale sono
amplificate dalle differenze culturali, dai vincoli normativi e dalla distanza fisica. Una
cooperazione forte dipende dalla sinergia delle risorse, dalla trasparenza nella distribuzione
degli oneri e dalla fiducia reciproca.

5.4.3 LE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI ACCORDI STRATEGICI: IL LICENSING


Il licensing internazionale è un contratto in cui un licenziante, situato in un Paese, concede a
un licenziatario, in un altro Paese, il diritto di utilizzare e sfruttare economicamente suoi
prodotti o asset in un territorio definito. Può riguardare anche imprese dello stesso Paese.
Asset oggetto del contratto
Gli asset più comuni nel licensing includono marchi, loghi, tecnologie brevettate, processi
produttivi, prodotti, e conoscenze relative a processi gestionali. Il licenziatario si impegna a
sviluppare il mercato interno e pagare royalties legate ai risultati.
Royalties
La struttura delle royalties varia a seconda dell’accordo. Generalmente comprende: una
somma fissa (lump sum) iniziale, una percentuale sui ricavi generati, e fee addizionali per
attività specifiche da parte del licenziante.
Vantaggi per il licenziante
Il licensing consente al licenziante di espandersi senza investimenti diretti, sfruttando le
competenze del licenziatario per entrare in nuovi mercati. Inoltre, permette di diffondere
rapidamente prodotti o tecnologie e acquisire conoscenze sul mercato estero.
Rischi per il licenziante
I rischi includono la perdita di controllo sulla strategia di marketing, posizionamento non
adeguato del prodotto, e il rischio che il licenziatario diventi un concorrente. Per mitigare questi
rischi, si possono prevedere vincoli e attività specifiche nel contratto.
Elementi essenziali per un buon accordo
Un buon contratto di licensing deve prevedere una giusta ripartizione dei vantaggi e degli
impegni tra i partner, con meccanismi di controllo reciproco. Per il licenziante, è cruciale
valutare la solidità del licenziatario, le sue risorse, e la capacità di sviluppare il mercato. Il
licenziatario deve considerare l’orizzonte temporale dell’accordo e l’estensione dell’esclusiva.
Pratica del cross-licensing
Il cross-licensing implica lo scambio di licenze tra due imprese operanti in mercati geografici
diversi. Questo accordo è particolarmente complesso, richiedendo meccanismi di valutazione e
compensazione per mantenere l’equilibrio economico e strategico tra le licenze scambiate. È
frequente in settori come il farmaceutico, dove l’ingresso di nuovi prodotti richiede elevati
investimenti in ricerca e sviluppo.

5.4.4 IL FRANCHISING
Il franchising è un metodo per espandere rapidamente una rete di distribuzione al dettaglio in
un mercato geografico tramite accordi con imprenditori locali.

Vantaggi per il franchisor


Il franchising internazionale permette al franchisor di espandere la propria posizione
commerciale in tempi rapidi e con un impegno finanziario limitato. Facilita l’ingresso in mercati
esteri difficili da servire con strutture proprie e consente di creare una rete di distribuzione
gestita autonomamente da imprenditori locali con conoscenze dirette del mercato. Inoltre,
favorisce la diffusione del marchio e la standardizzazione delle politiche di marketing,
mantenendo un rapporto adattato con il cliente finale.
Vantaggi per il franchisee
Per gli imprenditori locali, il franchising offre l’opportunità di legarsi a un marchio
internazionale, con competenze di marketing consolidate, un alto potenziale di sviluppo
commerciale e la possibilità di acquisire competenze gestionali e esperienza internazionale.
Problemi
Due principali problematiche si presentano nel franchising internazionale:

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1. Gestione dei flussi di prodotti: richiede una logistica internazionale efficace per la
produzione, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti.
2. Omogeneità della rete: bisogna garantire l’uniformità nel posizionamento e nella formula
commerciale offerta, gestita da soggetti intermedi come:
• Franchisee broker: individua e seleziona nuovi franchisee e supporta il loro sviluppo
competitivo.
• Area developer: sviluppa la rete di franchisee in una specifica area geografica.
• Master franchisee: coordina le attività di franchising in un Paese estero, fungendo da
filtro tra il franchisor e i franchisee locali, ma comportando il rischio di perdita di contatto
diretto con i franchisee.

5.4.5 IL PIGGYBACK
Il piggyback è un accordo in cui un rider (azienda più piccola) vende i propri prodotti in un
mercato estero attraverso la struttura distributiva di un carrier (azienda di grandi dimensioni
con una rete consolidata).
Variante
Il piggyback può anche essere stipulato tra aziende di dimensioni simili, con reciproche
condizioni di distribuzione nei rispettivi mercati. Il prodotto del rider non deve competere con
quello del carrier, ma essere complementare per creare sinergie commerciali.
Vantaggi per le parti
Il piggyback è vantaggioso per entrambe le parti. Il rider può entrare nei mercati esteri
rapidamente senza grandi investimenti organizzativi, ma perde il controllo sul posizionamento
competitivo. Il carrier beneficia dell’espansione della propria offerta, dell’ottimizzazione della
capacità distributiva e dell’opportunità di attaccare concorrenti in specifiche aree di mercato.

5.4.6 GLI ALTRI ACCORDI CONTRATTUALI TRA IMPRESE DI PAESI DIVERSI


Esistono altre tre tipologie di accordi comuni a livello internazionale, in particolare nei Paesi
economicamente meno sviluppati, che non sono stati descritti nel dettaglio in questo capitolo.

5.4.6.1 IL CONTRATTO DI PRODUZIONE


Il contratto di produzione è un accordo in cui un’impresa estera affida a un produttore in un
altro Paese la realizzazione di un prodotto destinato al mercato locale, mantenendo il controllo
su marketing e distribuzione. È una forma di outsourcing internazionale che permette un
avvicinamento graduale al mercato estero, riducendo il rischio e senza necessità di grandi
investimenti materiali. L’impresa locale beneficia di trasferimento di tecnologia, assistenza
tecnica e opportunità di crescita.
Impresa estera
Per l’impresa estera, questo contratto consente di entrare in un mercato incerto con
investimenti limitati, sviluppando una presenza commerciale nel Paese, con vantaggi anche
rispetto a barriere tariffarie e flussi valutari.
Impresa locale
L’impresa locale beneficia di una domanda garantita, trasferimento di competenze e
miglioramento della qualità produttiva. Inoltre, è vista positivamente dai governi locali, che
favoriscono questi accordi come modalità di ingresso “amichevole” di imprese estere.

5.4.6.2 IL CONTRATTO DI GESTIONE


Il contratto di gestione coinvolge un’impresa internazionale che gestisce un’attività produttiva
creata e finanziata da un investitore locale. È comune nel settore alberghiero e turistico e
consente all’impresa di sfruttare le proprie competenze senza necessità di una struttura
produttiva locale.
Cosa succede al termine dell’accordo?
Al termine dell’accordo, l’impresa internazionale può acquistare la struttura o, meno
frequentemente, l’investitore locale può assumere la gestione diretta. Questo tipo di contratto
permette di testare le condizioni di mercato prima di investire direttamente, mentre
l’investitore locale acquisisce esperienza e può successivamente gestire autonomamente
l’attività.

Turnkey contract

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Il turnkey contract è una variante del contratto di gestione, in cui un’impresa internazionale
costruisce e gestisce uno stabilimento per un soggetto locale per un periodo iniziale. Questo
contratto consente al soggetto locale di beneficiare delle competenze e tecnologie dell’impresa
internazionale, mentre quest’ultima ha l’opportunità di vendere le proprie competenze e
stabilire relazioni favorevoli per future strategie di ingresso in mercati esteri, spesso in Paesi in
via di sviluppo.

5.4.6.3 LE ALLEANZE COMMERCIALI


Le alleanze commerciali sono accordi tra imprese di Paesi diversi operanti nello stesso settore,
finalizzati a integrare le loro offerte per i rispettivi mercati. Queste alleanze sono comuni in
settori dove la domanda è globale e richiede un’offerta strutturata a livello internazionale. Un
esempio tipico è il mercato del trasporto aereo internazionale, dove le compagnie aeree
formano network per offrire un servizio integrato, vendendo biglietti unici per tratte che
attraversano più Paesi, con una ripartizione dei ricavi tra i partner.
In altre situazioni, due imprese possono promuovere insieme un’offerta unitaria, con
meccanismi di ripartizione di costi e ricavi. Un esempio è il code-sharing nel trasporto aereo,
dove due compagnie vendono lo stesso volo con codici distinti, ma operato da uno dei due
partner.
Le alleanze commerciali possono anche avvenire tra imprese in settori diversi ma simili, con
l’obiettivo di integrare le offerte per arricchire il prodotto/servizio di ciascun partner e
aumentare il valore per i clienti, migliorando al contempo il posizionamento del marchio e
l’immagine di entrambi i partner.

5.5 LE JOINT VENTURE INTERNAZIONALI


5.5.1 LE CARATTERISTICHE E I VANTAGGI DELLE JOINT VENTURE COME MODALITÀ DI
ENTRATA NEI MERCATI ESTERI
Una joint venture internazionale è una nuova società creata da due o più operatori di diversa
nazionalità per realizzare attività specifiche, con una durata definita. I partner contribuiscono
con capitale finanziario e risorse necessarie per il funzionamento della joint venture. Al termine
dell’attività, la joint venture può essere sciolta o trasformata, spesso tramite l’acquisizione del
pieno controllo da parte di uno dei partner.
I due modelli
Esistono due modelli principali di joint venture:
 Modello verticale: una nuova struttura aziendale viene creata tra l’impresa entrante e le
imprese locali per sviluppare prodotti nel mercato target. L’impresa entrante fornisce
capacità produttiva e competenze di prodotto, mentre le imprese locali offrono conoscenza
del mercato e rete distributiva.
 Modello orizzontale: due o più imprese con rami di business simili si uniscono per
formare una nuova entità, con l’obiettivo di aumentare dimensioni e quota di mercato,
migliorando l’efficienza e le competenze complessive.
Vantaggi
La joint venture come modalità di ingresso in un mercato estero offre vantaggi quali:
• Riduzione dell’investimento finanziario e della complessità organizzativa rispetto ad
altre forme di investimento.
• Separazione della posizione competitiva nel mercato estero da quella delle altre aree.
• Maggiore accesso a risorse e competenze che l’impresa non avrebbe altrimenti in tempi
brevi.
• Evoluzione della joint venture che può generare nuove opportunità competitive.
• Se le imprese locali partecipano significativamente, la joint venture è spesso vista
favorevolmente dai governi locali, specialmente in Paesi meno avanzati dove il governo può
favorire la joint venture per sostenere il sistema produttivo locale. In passato, alcuni Paesi
imponevano vincoli che obbligavano le imprese straniere a entrare solo tramite joint venture,
ma molti hanno allentato questi vincoli, pur mantenendo un atteggiamento favorevole verso
tale forma di collaborazione.

5.5.2 LE QUESTIONI CRITICHE NELLA GESTIONE DI UNA JOINT VENTURE


INTERNAZIONALE
La compatibilità
Le joint venture internazionali sono complesse e difficili da gestire a causa della necessità di
mantenere una compatibilità tra le parent companies in cinque ambiti chiave: obiettivi,

41
investimenti, orizzonte temporale, sinergie, e cultura aziendale. La difficoltà aumenta quando i
partner provengono da Paesi diversi, rendendo complesso anticipare la compatibilità tra le
parti.
La struttura di governo
Una questione critica riguarda la struttura di governo, che include come sono organizzati i
legami con le parent companies, i criteri per le posizioni di vertice e la gestione delle
divergenze tra i partner. Le joint venture paritetiche, in cui le quote di partecipazione sono
uguali, differiscono da quelle squilibrate, dove un partner detiene il controllo. La gestione del
controllo strategico e l’autonomia della joint venture sono influenzate anche dalle pressioni
esterne, come quelle dei governi.
Le relazioni
L’efficacia della relazione tra la joint venture e le parent companies dipende da un equilibrio tra
autonomia e controllo. Le procedure relative agli apporti di risorse e ai benefici derivanti dalle
attività della joint venture sono delicate. I benefici possono essere “collettivi”, appropriabili da
tutti i partner, o “individuali”, che vanno a vantaggio di alcuni partner. Un buon modello di
governance è essenziale per mantenere la coesione e una situazione win-win.
Culture manageriali
Le differenze nelle culture manageriali tra le parent companies aumentano la complessità della
gestione di una joint venture. Le divergenze culturali, accentuate dalla diversa nazionalità,
possono creare difficoltà nell’integrazione e nel raggiungimento di un’identità organizzativa
comune. La gestione di queste differenze è cruciale per il successo della joint venture, ma
l’allineamento culturale spesso rappresenta una delle sfide più difficili da affrontare.

5.6 GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI


5.6.1 LE FINALITÀ E LE MODALITÀ DI REALIZZAZIONE DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI
ESTERI
Gli investimenti diretti esteri (IDE) hanno vari obiettivi strategici, tra cui:
1. Presidio del mercato estero: migliorare la relazione con la domanda, ridurre i costi
logistici e superare i limiti delle esportazioni.
2. Riduzione dei costi di produzione: sfruttare risorse locali a condizioni economiche più
favorevoli rispetto al Paese d’origine.
3. Miglior accesso a risorse distintive: ottenere risorse come materie prime e tecnologie
locali.
4. Acquisizione di risorse rilevanti: ottenere risorse (materiali o immateriali) necessarie
per competere e non disponibili nel Paese di origine.
5. Razionalizzazione della struttura produttiva internazionale: aumentare l’efficienza
ottimizzando la dislocazione geografica della produzione.
6. Creazione di una “equity” joint venture: sviluppare partnership con altre imprese per
realizzare progetti comuni.
7. Rafforzamento di una controllata: consolidare il patrimonio di una società già operante
nel Paese estero.

5.6.2 LE MODALITÀ DI REALIZZAZIONE DI UN INVESTIMENTO DIRETTO ESTERO


Ci sono quattro modalità principali per realizzare un investimento diretto estero (IDE):
1. Creazione di una nuova unità organizzativa: Si crea una nuova struttura aziendale, con
o senza personalità giuridica, per realizzare specifiche attività. Questo investimento può
essere greenfield (in un’area non precedentemente utilizzata) o brownfield (in un’area già
esistente).
2. Costituzione di una joint venture: L’investimento in una joint venture comporta la
creazione di nuova capacità produttiva con risorse condivise tra i partner, di solito per
attività specifiche e con orizzonte temporale limitato.
3. Investimento in sussidiarie esistenti: Riguarda l’incremento della capacità produttiva o
l’introduzione di nuove funzioni in strutture già operative nel Paese estero. Questo può
avvenire attraverso utili reinvestiti o risorse fornite dalla società madre.
4. Acquisizione di un’impresa estera: Comprende l’acquisizione di un’impresa, di un ramo
aziendale o una partecipazione maggioritaria. L’acquisizione cambia la proprietà senza
modificare immediatamente l’offerta, ma crea opportunità strategiche integrando l’impresa
nel gruppo internazionale.

5.6.3 I CRITERI DI SCELTA DELLA MODALITÀ DI REALIZZAZIONE DI UN IDE

42
1. Normative e burocrazia: La scelta dipende dalle normative del Paese target, che possono
includere vincoli regolatori e complessità burocratiche. Alcuni governi incentivano specifici
tipi di investimenti, come le joint venture o le nuove strutture produttive in aree brownfield,
per attrarre investitori.
2. Disponibilità delle opportunità di investimento: Nei Paesi meno sviluppati, prevalgono
gli investimenti in nuove strutture produttive, mentre nelle regioni avanzate è più difficile
trovare siti greenfield adeguati a causa di problemi ambientali e sociali.
3. Condizioni interne al gruppo: La decisione dipende anche dagli obiettivi strategici
dell’azienda e dalle risorse disponibili, inclusa la loro trasferibilità alle strutture estere.
4. Come si sceglie tra greenfield e acquisizione?: Se l’obiettivo è acquisire competenze,
l’acquisizione è preferibile. Se l’impresa ha risorse facilmente trasferibili, può optare per
un’acquisizione; se le risorse sono radicate nell’impresa, è preferibile l’investimento
greenfield. In caso di espansione rapida in un mercato, l’acquisizione offre accesso
immediato al mercato e alle risorse, ma comporta sfide di integrazione. Altrimenti, una joint
venture può essere una buona alternativa per entrare rapidamente in un nuovo mercato.

5.6.4 I CRITERI ALLA BASE DELLA SCELTA LOCALIZZATIVA DI UN IDE


I fattori che un investitore considera per valutare l’attrattività di un territorio sono numerosi e
dipendono dalla natura dell’investimento e dalle specificità dell’impresa. Le scelte di
localizzazione dipendono anche dall’orientamento dell’impresa riguardo alla configurazione
sovralocale della catena del valore, alle modalità di acquisizione dei fattori competitivi
attraverso le relazioni locali, e alla valorizzazione delle competenze acquisite nel nuovo
contesto.
Motivazioni scelta localizzativa:
1. Ricerca di nuovi mercati (market-seeking IDE): La scelta è influenzata dalla
dimensione e dal potenziale del mercato, dalle infrastrutture logistiche e dalle politiche
commerciali.
2. Acquisizione di risorse e competenze distintive (resource-seeking IDE): Le aree
privilegiate sono quelle ricche di risorse naturali o con capitale umano elevato, come le
regioni con università e centri di ricerca.
3. Riduzione dei costi (low cost seeking IDE): Le aree con bassi costi di produzione e di
attività generali sono preferite, anche se questo tipo di IDE sta diminuendo a causa delle
implicazioni sociali e ambientali.

5.6.5 IL RESHORING DI OPERAZIONI PRECEDENTEMENTE COLLOCATE ALL’ESTERO


A partire dai primi anni di questo decennio, si è verificato un flusso significativo di ritorno degli
investimenti diretti esteri verso il Paese di origine o la sua area di appartenenza, fenomeno
definito reshoring, opposto all’offshoring. Esistono due tipologie di reshoring:
• Back shoring, quando le attività produttive tornano nel Paese di origine.
• Near shoring, che riguarda gli investimenti verso aree vicine al Paese di origine.
Perché si prende questa decisione?
La decisione di riposizionare gli investimenti può essere spiegata dal cambiamento delle
condizioni nei Paesi esteri rispetto a quelle del Paese di origine. Ad esempio, in Cina, dove il
costo del lavoro è aumentato, altri fattori come la normativa, la pressione fiscale e le
competenze disponibili influenzano il reshoring. Inoltre, i governi esercitano una pressione sulle

43
imprese affinché riportino gli investimenti a casa. Le ragioni principali per il reshoring sono
l’automatizzazione dei processi, la vicinanza ai clienti e il miglioramento della qualità della
produzione.
Rilocalizzazione ≠ Disinvestimento
Il reshoring si distingue dal disinvestimento, che implica una riduzione della capacità produttiva
all’estero. I disinvestimenti possono derivare da dinamiche competitive internazionali, strategie
di portafoglio o difficoltà strutturali delle sussidiarie a produrre risultati economici positivi.

CAPITOLO 6: COME GOVERNARE E ORGANIZZARE LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE


6.1 I MODELLI DI GRUPPO INTERNAZIONALE
Sono stati individuati quattro modelli organizzativi dei gruppi internazionali, evolutisi nel
tempo.
Il modello multinazionale
Il modello multinazionale si basa sull’istituzione di società controllate (sussidiarie) nei Paesi in
cui il Gruppo vuole accedere a mercati considerati strategici. Le controllate estere godono di
ampia autonomia strategica e operativa per adattarsi alle specificità del contesto locale.
Queste sussidiarie hanno il mandato di sviluppare determinate aree di business nel Paese di
insediamento e, se necessario, in quelli limitrofi dove la capogruppo non ha una presenza
diretta.
Ogni controllata replica la catena del valore, decidendo quali attività gestire internamente e
quali affidare a imprese locali. Non esistono significativi collegamenti operativi tra le diverse
sussidiarie, e anche la capogruppo opera nel proprio Paese in modo separato dalle controllate.
Tuttavia, mantiene un controllo saldo attraverso la governance e la gestione dei flussi
finanziari.
La casa-madre adotta una logica da investitore finanziario: identifica opportunità di sviluppo in
nuove aree geografiche, investe nella creazione di strutture locali, assegna risorse, valuta i
risultati e apporta correttivi o nuovi investimenti in base all’andamento di ogni unità.
L’obiettivo è ottimizzare il portafoglio complessivo delle attività estere.
Il modello internazionale
L'approccio "multinazionale" evolve in quello "internazionale" quando la casa-madre assume
un ruolo più centrale e proattivo nei confronti delle controllate estere, andando oltre il semplice
controllo strategico e finanziario. La corporate diventa il "centro propulsore" dello sviluppo del
gruppo, fornendo risorse, competenze distintive e componenti essenziali dei prodotti. Le
sussidiarie, pur operando in mercati diversi, valorizzano gli asset del centro adattandoli
localmente, seguendo le direttive strategiche della casa-madre. Le relazioni tra corporate e
sussidiarie si intensificano, mentre quelle tra le sussidiarie rimangono marginali. Questo
approccio consente un migliore coordinamento e una concentrazione delle risorse, favorendo lo
sviluppo e il trasferimento di vantaggi competitivi dal centro alle sussidiarie.
Il modello globale
Il modello "globale" rappresenta un'evoluzione significativa rispetto ai precedenti, configurando
l'impresa internazionale come una rete integrata di unità operative distribuite in diverse
geografie. La gestione della posizione competitiva nei vari Paesi diventa unitaria, riducendo o
eliminando l'autonomia strategica delle sussidiarie. Secondo Bartlett e Ghoshal, l'impresa
globale è una rete interorganizzativa in cui la casa-madre funge da attore centrale, mentre le
unità estere sono nodi con funzioni specifiche, connesse da relazioni di varia intensità.
Le attività produttive non sono più replicate in ogni mercato, ma organizzate su scala
sovranazionale, concentrandosi in pochi siti efficienti per sfruttare economie di scala ed
esperienza. La corporate svolge quattro ruoli chiave: selezione e ruolo dei partner, definizione
di standard e obiettivi, supervisione dell'integrazione, e interventi organizzativi per ottimizzare
la produzione internazionale. La corporate può anche centralizzare attività core per mantenere
la leadership.
Questo modello punta a massimizzare l'efficienza produttiva a livello di macro-area,
trasformando le sussidiarie da gestori locali a sviluppatori commerciali e parti integranti di un
sistema complesso di creazione di valore.
Il modello transnazionale
Il principale limite del modello globale, ossia la scarsa attenzione alle specificità dei mercati
nazionali, viene superato nel modello "transnazionale". Questo approccio prevede l'allocazione
delle attività della catena del valore nei contesti nazionali più favorevoli in termini di costo o
differenziazione, trasferendo le competenze chiave nelle aree dove possono essere sfruttate al

44
meglio. Il modello transnazionale promuove un network globale in cui le unità condividono
risorse e competenze per migliorare le loro capacità complessive.
Le sussidiarie non sono più subordinate alla casa-madre, ma possono diventare leader nello
sviluppo di competenze distintive e nel coordinamento di attività globali. Alcune unità
assumono il ruolo di "centri di eccellenza", guidando il gruppo in specifiche aree di business o
tecnologie. Queste sussidiarie possono ricevere un "mandato globale", con responsabilità
internazionali per lo sviluppo di prodotti o mercati, coordinando e controllando le attività del
gruppo in quelle aree.
Il modello transnazionale enfatizza l'interdipendenza tra le unità, assegnando loro ruoli
strategici che contribuiscono alla competitività globale del gruppo, pur mantenendo un forte
coordinamento con la casa-madre.

6.2 ALCUNE QUESTIONI CRITICHE NEL GOVERNO DEL GRUPPO INTERNAZIONALE


DILEMMA TRA GESTIONE INTEGRATA E AUTONOMIA LOCALE
L’evoluzione dei modelli organizzativi evidenzia il dilemma tra la gestione unitaria e integrata
delle controllate e la necessità di concedere loro l’autonomia per adattarsi al meglio ai contesti
locali. La diversità dei contesti istituzionali, di business e delle reti relazionali in cui opera un
gruppo internazionale influisce significativamente sulle sue operazioni e strategie. La tensione
tra la prospettiva sovranazionale, che punta a una strategia globale, e quella locale, che
favorisce l’adattamento alle specificità dei singoli mercati, è costante. È fondamentale trovare
un equilibrio tra gli interessi globali e locali, che si traduce in un’integrazione efficace delle
strategie senza sacrificare le esigenze di adattamento locale.

ONE COMPANY GLOBALE VS AUTONOMIA DELLE SUSSIDIARIE


La risoluzione del dilemma tra prospettiva sovranazionale e locale influisce sulle relazioni tra
corporate e controllate. In un modello “one company” globale, la corporate centralizza tutte le
decisioni strategiche, mentre in un altro approccio, si attribuisce autonomia alle sussidiarie per
gestire autonomamente le relazioni con gli attori locali. Oggi prevale una modalità intermedia
in cui la corporate coordina e controlla le sussidiarie, che mantengono elevata autonomia,
anche strategica, come dimostrato dai principali gruppi italiani.
Il problema dell’agenzia nella relazione corporate-sussidiarie
La relazione tra corporate e sussidiarie può essere vista come un problema di “agenzia”, dove
la corporate (principal) delega compiti alle sussidiarie (agents). Le sussidiarie non sono
semplici unità operative, ma sviluppano competenze distintive e creano valore
autonomamente, acquisendo maggiore peso e autonomia all’interno del gruppo, con
conseguenti ripercussioni sulle dinamiche gerarchiche interne.
Autonomia e performance delle sussidiarie
Le opportunità di accrescere l’autonomia variano in base alla natura, ruolo e peso economico
delle sussidiarie, oltre che alla loro origine, che può derivare da acquisizioni o investimenti
greenfield. L’autonomia delle sussidiarie è strettamente legata all’ambiente competitivo in cui
operano. Un’alta qualità della localizzazione e un buon radicamento locale sono cruciali per
ottenere performance economiche e innovative superiori, il che implica una forte integrazione
con gli attori locali e il raggiungimento di alti livelli di “embeddedness”.
Adattamento istituzionale e conformità alle norme locali
La teoria istituzionalistica spiega come le imprese rispondono agli stimoli dell’ambiente
istituzionale, ottenendo legittimazione attraverso l’adeguamento alle leggi e alle regole, sia
formali che informali. Un comportamento adeguato rispetto all’ambiente istituzionale è
essenziale per la sopravvivenza e il successo dell’impresa.
Influenza del contesto di business
Il “contesto di business” si riferisce all’ambiente competitivo in cui le sussidiarie trovano
risorse, informazioni e relazioni per svolgere la loro missione. Questo contesto include attori
come i “market leaders” e altre dinamiche che influenzano il comportamento delle imprese.
Sebbene alcuni aspetti siano specifici di un Paese, molte determinanti sono sovranazionali e
influenzano tutte le sussidiarie del gruppo, con un impatto su come le sussidiarie gestiscono il
rischio e ottimizzano il loro vantaggio competitivo.

DUALITÀ ISTITUZIONALE: PRESSIONI INTERNE ED ESTERNE


Le sussidiarie affrontano una “dualità istituzionale”, influenzata sia dalle pressioni esterne
(ambiente istituzionale e di business locale) che interne (politiche e aspettative della
corporate). Le sussidiarie devono legittimarsi non solo rispetto agli attori locali, ma anche

45
all’interno del gruppo. La difficoltà aumenta quando le pressioni interne e quelle esterne sono
contrastanti. Per l’efficace diffusione internazionale delle politiche del gruppo, la corporate
deve essere in grado di esercitare una pressione maggiore rispetto alle istituzioni locali.
La pressione della corporate sulle sussidiarie
Le sussidiarie devono gestire le aspettative provenienti sia dall’ambiente locale che dalla
corporate, un compito complesso quando le pressioni sono contrastanti. La corporate deve
esercitare una pressione forte sulle sussidiarie per garantire l’allineamento alle politiche
globali, superando le pressioni che provengono dagli ambienti locali. La gestione di questa
dualità istituzionale è cruciale per il successo globale dell’impresa.

6.3 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DI UN GRUPPO INTERNAZIONALE


6.3.1 LE COMPONENTI DI UN GRUPPO INTERNAZIONALE: CORPORATE, HEADQUARTER
REGIONALI E SOCIETÀ ESTERE CONTROLLATE
Un’impresa che ha effettuato almeno un investimento diretto estero (greenfield, acquisizione o
joint venture) diventa un “Gruppo internazionale”. Un Gruppo internazionale è composto da
diversi elementi:
 Corporate (Società capogruppo): È la società principale che esercita la gestione
strategica e operativa complessiva del Gruppo.
 Subsidiary (Società controllate): Queste sono società localizzate all’estero, controllate
dalla corporate (totalmente o con quota di maggioranza), che operano nel mercato estero.
Le sussidiarie possono derivare anche da joint ventures.
 Società in cui la corporate detiene una quota di minoranza: Possono essere altre
joint venture o partecipazioni minori in altre entità.
Una sussidiaria può svolgere più funzioni, articolandosi in diverse unità organizzative o
controllando altre società operative specializzate. Le unità all’interno della sussidiaria sono
generalmente coordinate dalla corporate o da un’unità organizzativa internazionale
responsabile di quella funzione. Tuttavia, per aspetti amministrativi e organizzativi, rispondono
principalmente alla direzione della sussidiaria.
Le sussidiarie possono essere incaricate di diverse funzioni, tra cui:
1. Sviluppo e gestione del mercato: Gestione delle attività commerciali nel Paese di
riferimento o in aree geografiche limitrofe.
2. Realizzazione di attività produttive: Gestione di specifiche fasi del processo produttivo
o della catena del valore globale.
3. Gestione operativa di funzioni specifiche: Attività come finanza, approvvigionamenti,
IT, logistica, ecc.
4. Sviluppo di competenze distintive: Creazione e gestione di risorse e competenze
uniche che possono essere utilizzate in tutto il Gruppo.
Nei grandi Gruppi internazionali, che operano su molteplici mercati e gestiscono business units
globali, sono presenti anche gli “headquarter” regionali e “headquarter” divisionali:
• Headquarter regionali: Hanno funzioni di indirizzo e coordinamento per le sussidiarie
di una determinata macro-area geografica. Le decisioni strategiche e operative in queste
aree sono delegate dalla corporate.
• Headquarter divisionali: Gestiscono lo sviluppo delle business units, coordinando le
attività della catena del valore realizzate da diverse unità organizzative in vari Paesi,
adattandole alle esigenze locali e globali.
In sintesi, la struttura di un Gruppo internazionale è complessa e articolata, con una
suddivisione chiara dei ruoli tra la corporate, le sussidiarie e gli headquarter regionali o
divisionali, che svolgono funzioni di coordinamento, gestione e sviluppo.

6.3.2 L’EVIDENZA EMPIRICA SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI INTERNAZIONALI


 L’UNCTAD ha analizzato un campione di 320.000 multinazionali con almeno una controllata
estera, evidenziando che l’88% dei Gruppi ha non più di cinque affiliate (inclusi i gruppi
nazionali) e il 98% non supera venti controllate. Solo lo 0,7% delle multinazionali ha oltre
cento società controllate, mentre lo 0,1% gestisce oltre cinquecento società, e queste
grandi imprese sono quelle che generano la maggior parte del valore aggiunto. Infatti, i
Gruppi più grandi (0,1%) generano il 31% del valore aggiunto totale, mentre quelli più
piccoli (88%) producono meno dell’11%.
 Per i 100 principali Gruppi internazionali, che controllano circa 55.000 sussidiarie, il numero
mediano di livelli di controllo dalla corporate è sei (con una media di sette), mentre il

46
numero mediano di società holding è quindici (media di diciannove). Questi Gruppi operano
in un numero mediano di 54 Paesi (media di 56 Paesi).
 Questi Gruppi hanno una complessità significativa sia verticale che orizzontale, con una
“profondità” e “ampiezza” notevoli. La corporate è generalmente il “ultimate owner” di
tutte le sussidiarie, anche se non sempre è la stessa entità che le controlla direttamente. In
alcuni casi, il Paese della corporate è diverso da quello del controllo diretto delle sussidiarie;
il 41% delle sussidiarie ha un “direct owner” in un Paese diverso da quello della corporate,
percentuale che sale al 60% nei primi 100 Gruppi.
 La dimensione verticale dei Gruppi può comportare catene proprietarie lunghe, dove la
corporate è separata da molte sussidiarie. Circa il 60% delle sussidiarie nei Gruppi principali
e il 40% in tutto il campione è controllato da entità situate in Paesi diversi dalla corporate.
Tuttavia, la maggior parte dei legami tra le società del Gruppo avviene tra entità situate
nello stesso Paese, riducendo la distanza tra corporate e sussidiarie.
 La complessità orizzontale si manifesta nel fatto che molte controllate sono condivise tra
diversi soggetti all’interno dello stesso Gruppo, e il fenomeno delle “cross-shareholdings”
riguarda il 25% delle sussidiarie nei Gruppi più grandi e il 10% nel campione complessivo.
Inoltre, circa l’8% delle unità operative del Gruppo è gestita in joint ventures con soggetti
esterni.
 Questa articolazione complessa porta alla creazione di sub-holding o “ownership hubs”, che
sono società controllate dalla corporate che gestiscono affiliate in diversi Paesi. Gli studi
hanno definito queste entità come “intermediary Headquarters” (HQ intermediari), che
fungono da filtro tra la corporate e le controllate estere. Gli HQ intermediari possono essere
divisionali (che coordinano diverse unità operative in vari Paesi) o regionali (che gestiscono
Paesi in una specifica area geografica).

6.3.3 GLI ASPETTI CARATTERIZZANTI LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DI UN GRUPPO


INTERNAZIONALE
La struttura organizzativa di un Gruppo internazionale è definita da vari fattori:
1. Catena di controllo proprietario: Regola i legami tra la corporate e le sussidiarie,
determinando come il controllo proprietario si estende all’interno del Gruppo.
2. Modello organizzativo: Include la distribuzione dei ruoli tra la corporate e le sussidiarie, e
come queste ultime sono strutturate per gestire le operazioni in vari mercati geografici.
3. Ruoli della corporate: La corporate svolge funzioni di supervisione e di indirizzo
strategico per le sue sussidiarie, definendo gli obiettivi e le linee guida.
4. Sistema di procedure: Le procedure interne emanate dalla corporate garantiscono che le
sussidiarie operino in modo coerente, rispettando le direttive strategiche e operative del
Gruppo.
5. Grado di coesione: La coesione tra le unità organizzative è fondamentale per assicurare
che ci sia una visione e un’identità condivisa, insieme alla fiducia reciproca e a un forte
senso di appartenenza al Gruppo.
I Gruppi internazionali presentano una complessità elevata sia verticale che orizzontale. La
corporate, in molti casi, ha un controllo finale sulle sussidiarie, ma non sempre direttamente.
Ciò implica che la missione di molte sussidiarie estere sia definita indirettamente dalla
corporate.
Tipologie di sussidiarie e modello organizzativo
Nel contesto di un Gruppo internazionale, le sussidiarie estere si suddividono in diverse
tipologie:
 Sussidiarie “country”: Responsabili dello sviluppo del business nei vari mercati geografici.
 Direzioni interne alla corporate: Gestiscono le aree di business, ma in alcuni casi si
creano società ad hoc per gestire business specifici su scala globale.
 Centri di eccellenza: Gestiscono funzioni specialistiche (come la ricerca e sviluppo),
spesso collocati in regioni con le migliori infrastrutture e competenze.
Le sussidiarie che gestiscono i business sono generalmente posizionate nei Paesi con il
mercato più rilevante o le migliori opportunità di sviluppo. I centri di eccellenza sono invece
localizzati nei Paesi che offrono le migliori risorse per le attività specialistiche.
Aspetti chiave della struttura organizzativa internazionale
La struttura organizzativa internazionale si caratterizza per:
1. Grado di autonomia: Le sussidiarie possono avere diversi livelli di autonomia nella
gestione strategica e operativa, a seconda della loro tipologia (global business units o
“countries”).

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2. Linee guida e procedure: La corporate definisce linee guida che le sussidiarie devono
seguire per operare in un sistema di valori condivisi, che include etica e modalità operative
in Paesi a rischio.
3. Misure per applicare le linee guida: La corporate adotta misure per garantire la
coesione interna e il rispetto delle linee guida, coinvolgendo anche la funzione corporate
negli audit delle controllate estere.
4. Criteri di selezione: Le sussidiarie estere devono selezionare i membri degli organi di
governo e i responsabili operativi in base a criteri definiti dalla corporate.
Fattori condizionanti la struttura organizzativa
Diversi fattori influenzano la struttura organizzativa di un Gruppo internazionale:
1. Assetto della proprietà: La concentrazione della proprietà, il grado di
internazionalizzazione e la visione dell’azionariato influiscono sulla struttura organizzativa.
2. Complessità della catena proprietaria: Il numero di sussidiarie e la dispersione
geografica influenzano la gestione del Gruppo.
3. Estensione geografica: La distanza delle sussidiarie dalla corporate o dagli headquarter
regionali e i vincoli geografici in cui il Gruppo opera determinano l’efficacia delle operazioni.
Questi fattori influenzano il grado di pressione che la corporate esercita sulle controllate,
bilanciando la pressione istituzionale del Paese in cui operano. La combinazione di questi
elementi definisce la natura e l’intensità della gestione centralizzata e la distribuzione delle
responsabilità all’interno del Gruppo.
6.4 IL RUOLO DELLA CORPORATE
6.4.1 LE DIVERSE TIPOLOGIE DI CORPORATE
Esistono due tipologie estreme di corporate:
 Holding finanziaria pura: La corporate si concentra esclusivamente sulla gestione
finanziaria del portafoglio di partecipazioni in altre società, delegando interamente le
funzioni gestionali alle sussidiarie.
 Corporate coinvolta nello sviluppo del business internazionale: La corporate gestisce
direttamente le società controllate nei vari Paesi, con le sussidiarie che si occupano solo
delle funzioni operative.
Tra questi due estremi, ci sono situazioni intermedie in cui la corporate ha una funzione di
“indirizzo e controllo”, influenzando il comportamento delle sussidiarie e determinando il loro
livello di autonomia nelle decisioni aziendali e nell’impiego delle risorse.
L’azione di indirizzo e controllo
L’azione di “indirizzo e controllo” da parte della corporate si articola in tre componenti
principali:
1. Strumenti elaborati dalla corporate: Documenti, procedure, attività e unità
organizzative che stabiliscono gli indirizzi generali e i criteri di comportamento da adottare
in tutto il Gruppo, regolando le operazioni delle sussidiarie.
2. Strumenti nelle sussidiarie: Le sussidiarie devono adottare strumenti simili a quelli
definiti dalla corporate per evitare comportamenti incoerenti con le linee guida del Gruppo.
3. Bilanciamento tra uniformità e autonomia: La corporate deve mantenere un equilibrio
tra l’uniformità dei comportamenti delle sussidiarie e la necessità di mantenere l’autonomia
decisionale delle stesse, essenziale per la gestione efficace delle loro attività.
Cosa fa la corporate?
Un ruolo fondamentale della corporate è la diffusione di un sistema di valori comuni che crea
una cultura organizzativa unitaria. L’headquarter condiziona i manager delle sussidiarie nelle
loro decisioni strategiche e operative, indirizzandoli a allineare gli obiettivi a quelli del Gruppo.
Inoltre, la corporate favorisce il trasferimento di conoscenza tra le sussidiarie, incentivando le
relazioni interne e allocando risorse nei luoghi dove il trasferimento di conoscenza sarebbe
difficile. Gli studi di Dellestrand, Kappen e Ciabuschi mostrano che l’allocazione selettiva di
risorse manageriali, come gli expatriates, facilita questo processo, incoraggiando progetti
innovativi e migliorando la gestione delle sussidiarie all’estero.
L’attenzione internazionale dell’HQ
Bouquet, Morrison e Birkinshaw (2009) definiscono l’attenzione internazionale dell’HQ come il
tempo e le risorse investiti dall’headquarter nelle attività delle sussidiarie. Questa attenzione si
compone di tre dimensioni principali:
 Global scanning: Analizzare le opportunità e le minacce internazionali.
 Overseas communications: Comunicazioni tra i manager dell’HQ e quelli delle sussidiarie
per comprendere meglio il contesto e le dinamiche locali.

48
 Globalization discussions: Dibattiti per internalizzare le informazioni apprese dalle
sussidiarie e trasformarle in conoscenze utili per l’intero Gruppo.
Gli expatriates svolgono un ruolo cruciale nel favorire il trasferimento di risorse e competenze
tra HQ e sussidiarie. Essendo integrati nella corporate, sono più propensi a prendere decisioni
strategiche allineate agli interessi del Gruppo, anche a scapito della sussidiaria.
HQ regionali e divisionali
La corporate svolge le sue funzioni anche tramite headquarters regionali e divisionali, che
agiscono da “filtro” tra la corporate e le sussidiarie nelle rispettive aree geografiche. Questi HQ
regionali supportano le sussidiarie nell’implementazione delle direttive generali, comprendono
le specificità locali e trasferiscono tali conoscenze alla corporate. Supportano anche la
corporate nelle attività di indirizzo e controllo.
Negli ultimi anni, è diventato più comune che gli HQ vengano ricollocati in base ai vantaggi
offerti dai diversi contesti geografici, come la tassazione, le infrastrutture, la qualità della vita e
la vicinanza ai principali stakeholder del Gruppo.

6.4.2 IL SISTEMA DI PROCEDURE


Nel processo di implementazione della strategia della corporate, un aspetto fondamentale è
rappresentato dalle procedure che regolano il comportamento delle sussidiarie estere. Queste
procedure sono emanate dalla corporate e devono essere applicate in modo uniforme in tutto il
Gruppo.
Omogeneità e adattamento locale delle procedure
La creazione e l’implementazione di procedure omogenee in gruppi di grandi dimensioni,
operanti in numerosi Paesi, è un compito complesso. Tuttavia, la corporate potrebbe decidere
di concedere un certo grado di autonomia alle sussidiarie. In tal caso, è necessario che alcune
procedure siano definite autonomamente dalle sussidiarie. La corporate, però, deve verificare
che le procedure adottate siano coerenti con i principi e i criteri stabiliti e che siano efficienti
per il raggiungimento degli obiettivi generali del Gruppo.
Gestione di controlli e compliance nelle aree di rischio
Un altro aspetto cruciale è la gestione dei controlli nelle aree di rischio. Per i controlli di
secondo livello, il compito può essere affidato agli organi di compliance delle sussidiarie, ma
sempre sotto il coordinamento della funzione centrale. Per gli audit di terzo livello, la corporate
generalmente li realizza direttamente attraverso la funzione audit, coinvolgendo anche la
funzione analoga nelle controllate. In molte aziende internazionali, le principali funzioni
corporate (audit, affari legali, politiche per la sostenibilità, qualità, comunicazione) danno vita a
famiglie professionali. Queste famiglie comprendono tutte le persone che lavorano in una
determinata funzione sia nella corporate che nelle controllate. All’interno di queste famiglie, si
sviluppano valori comuni, obiettivi e metodologie per implementare le attività nei diversi
contesti organizzativi e geografici, promuovendo così un approccio gestionale omogeneo e
unitario a livello internazionale.
Adattamento continuo delle procedure
Infine, un ulteriore fattore di complessità è la necessità di aggiornare continuamente le
procedure in base all’evoluzione dei fattori di rischio, alle condizioni di contesto e ai
cambiamenti nella struttura del business o nel posizionamento competitivo dell’impresa. Le
procedure devono essere adeguate anche quando il Gruppo decide di entrare in nuovi settori o
cambiare il suo assetto organizzativo, garantendo che siano sempre efficienti e adeguate alle
nuove sfide.

6.4.3 IL GRADO DI COESIONE ALL’INTERNO DEL GRUPPO


Il grado di coesione tra le unità organizzative del Gruppo è determinato da tre elementi
fondamentali:
Condivisione della visione, missione e progetto strategico
La coesione dipende dalla concreta condivisione di una visione comune del Gruppo, della
sua missione e del progetto strategico complessivo. Questo allineamento è essenziale per
garantire che tutte le unità lavorino verso obiettivi comuni e ben definiti.
Adesione a un sistema di valori comuni
Un altro elemento chiave per la coesione è l’adesione da parte della maggior parte della
popolazione aziendale a un sistema di valori e criteri comportamentali comuni. Questi
valori diventano un elemento centrale che favorisce l’omogeneità delle scelte gestionali e lo
sviluppo di un forte senso di appartenenza al Gruppo.
Fiducia reciproca

49
La fiducia reciproca è fondamentale nelle relazioni tra le persone all’interno del Gruppo, sia a
livello gerarchico che orizzontale, e tra persone che operano in Paesi diversi. La fiducia crea
un ambiente collaborativo che facilita la comunicazione e la cooperazione tra le diverse unità.
Un elevato livello di coesione interna è cruciale per l’adesione ai principi, alle linee guida e
alle procedure stabilite dalla corporate. La trasparenza e il rispetto delle regole nella
conduzione del business non sono visti come imposizioni dalla corporate o come conseguenze
dei controlli, ma sono considerati parte integrante dell’identità del Gruppo. Questi valori
contribuiscono alla reputazione del Gruppo all’esterno e al senso di appartenenza interno.

6.5 NATURA E RUOLI DELLE SUSSIDIARIE ESTERE


6.5.1 I POSSIBILI RUOLI DELLA SUSSIDIARIA ESTERA
In passato
In passato, la corporate sviluppava direttamente i fattori di vantaggio competitivo, gestendo
tutte le risorse attraverso il completo controllo della casa-madre. Questo approccio permetteva
di sfruttare al meglio i vantaggi specifici dell’ownership, creando un maggiore valore aggiunto
rispetto ad altri modelli di ingresso, come le esportazioni o gli accordi. Le sussidiarie estere
avevano principalmente il compito di replicare il vantaggio competitivo nei loro contesti locali,
fungendo da “home-based competence exploiting” (Cantwell e Mudambi, 2005).
Adesso
Nei modelli organizzativi contemporanei, le sussidiarie non sono più semplici recipienti delle
risorse della corporate, ma diventano attivamente coinvolte nella creazione di vantaggi
competitivi. Le sussidiarie sono sempre più integrate nel network interno della multinazionale
(MNC) e interagiscono con attori esterni nel loro ambiente locale, diventando così inventori e
generatori di nuove fonti di vantaggio competitivo.
Il ruolo che la sussidiaria è in grado
di svolgere
Birkinshaw e Hood (1998) identificano
tre determinanti fondamentali per il
ruolo che una sussidiaria può svolgere:
 Il compito attribuito dalla
corporate: le decisioni della casa-
madre sull’allocazione di attività,
risorse e competenze.
 Le scelte strategiche della
sussidiaria: le azioni autonome del
management della sussidiaria per
competere nel proprio ambiente.
 Le caratteristiche dell’ambiente
locale competitivo: il mercato
locale, i clienti, i competitor, i
fornitori e le istituzioni locali che
influenzano le decisioni e le azioni
della sussidiaria.
Il peso acquisito dalla sussidiaria
Bouquet e Birkinshaw (2008) distinguono il peso di una sussidiaria in due dimensioni principali:
• Corporate embeddedness: il grado di legame con la corporate HQ e altre sussidiarie
del gruppo.
• External embeddedness: la
densità delle relazioni con gli stakeholder
esterni.
Combinando queste due dimensioni, si
determinano tre livelli di influenza delle
sussidiarie:
1. Basso livello di influenza: sussidiarie
con infrastrutture limitate e basse
connessioni, come centri di fornitura
locale o unità di marketing. Queste
hanno capacità limitata di acquisire
risorse e competenze.

50
2. Livello intermedio di influenza: comprende:
 Miniature replicas: sussidiarie che replicano la MNC in mercati ristretti o innovatori
locali.
 Agenti del corporate HQ: sussidiarie con forti connessioni interne ma scarsi legami locali,
con compiti di efficienza interna.
3. Alto livello di influenza: sussidiarie avanzate con forti connessioni interne e
specializzazioni globali. Queste hanno spesso un mandato globale dall’headquarter, che
conferisce loro ampi poteri strategici e operativi, o sono centri di eccellenza per
competenze specifiche.
L’headquarter reagisce a questa crescita di visibilità ed influenza delle sussidiarie in modo
ambivalente: in alcuni casi aumenta il controllo, limitando le iniziative troppo distanti dagli
obiettivi del gruppo; in altri casi, amplia le responsabilità delle sussidiarie, riconoscendo loro
maggiore autonomia a condizione che operino nell’interesse generale della MNC.

6.5.2 LE DETERMINANTI DELLA RILEVANZA DELLA SUSSIDIARIA


Rilevanza strategica
Il ruolo e il potere di una sussidiaria all’interno del Gruppo sono strettamente legati alla sua
rilevanza strategica.
 Per le sussidiarie di tipo “countries”, la rilevanza strategica dipende principalmente
dall’importanza economica del mercato geografico di cui sono responsabili, considerando il
volume di affari e la redditività, sia attuali che prospettiche, nonché la quota di mercato che
riescono a conquistare.
 Per le “global business units”, la rilevanza è legata non solo alla dimensione economica
del business che gestiscono, ma anche alla disponibilità di risorse distintive necessarie per
ottenere un vantaggio competitivo nei mercati globali.
 Nei centri di eccellenza, la rilevanza strategica è determinata dalla unicità e importanza
delle competenze sviluppate, che permettono al Gruppo di ottenere un vantaggio
competitivo altrimenti irraggiungibile.
In generale, la rilevanza strategica è legata al “contributory role” della sussidiaria, ossia
alla misura in cui essa dispone di competenze distintive che la corporate riconosce come
fondamentali per il vantaggio competitivo del Gruppo e che sono utilizzate in questo senso.
Grado di autonomia della sussidiaria
Oltre alla rilevanza strategica, è cruciale considerare il grado di autonomia della sussidiaria,
che si riferisce all’ampiezza delle aree in cui essa può prendere decisioni autonomamente e
implementarle.
Gli studi di international business identificano diverse determinanti di questa autonomia:
 Essa può derivare da una attribuzione esplicita della corporate, come un’assegnazione
diretta di poteri decisionali (Picard, 1980; Taggart, 1997; Gammelgaard et al., 2012).
 Può anche nascere da una strategia attuata dalla sussidiaria, che cerca di ampliare il
proprio spazio decisionale autonomo (Birkinshaw-Fry, 1998; Dorrenbacher-Geppert, 2010;
Sargent-Matthews, 2006), o da un processo negoziale tra corporate e sussidiaria
(Mudambi-Navarra, 2004).
La sussidiaria può tentare di aumentare l’“attenzione positiva” della corporate nei suoi
confronti. Bouquet e Birkinshaw (2008) definiscono questa attenzione come il
riconoscimento e l’apprezzamento della corporate per il contributo che la sussidiaria offre allo
sviluppo complessivo del Gruppo. Tale attenzione dipende da due fattori principali:
 Il “peso” della sussidiaria, che è legato all’importanza del contesto geografico e alle
attività che essa svolge per il Gruppo.
 La “voce” della sussidiaria, ossia le azioni deliberatamente intraprese dalla sussidiaria
per acquisire visibilità nel mercato e migliorare la sua immagine, credibilità e
reputazione all’interno del Gruppo.

6.5.3 ORIGINE DELLA SUSSIDIARIA: INVESTIMENTO GREENFIELD O ACQUISIZIONE


Impatto dell’origine delle sussidiarie sulle liabilities of Foreignness
L’origine della sussidiaria (greenfield o acquisizione) influenza le liabilities of foreignness,
ovvero le difficoltà legate al contesto esterno del Paese in cui la sussidiaria è localizzata.

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 Acquisizione: Le liabilities of foreignness sono relativamente modeste, specialmente se
vengono adottate misure che permettano di mantenere le connessioni con il contesto
istituzionale e di business del Paese in cui l’azienda acquisita opera.
 Investimento greenfield: Le liabilities of foreignness sono elevate, almeno nella fase
iniziale, soprattutto se il Gruppo non ha precedenti attività nel Paese o una presenza
pregressa nel mercato.
Differenze nelle relazioni tra corporate e sussidiarie
Le relazioni tra la corporate e la sussidiaria variano a seconda del tipo di origine della
sussidiaria.
 Investimento greenfield: La corporate è solitamente coinvolta nella creazione della
sussidiaria, quindi la nuova controllata tende a condividere i valori e le procedure della
capogruppo.
 Acquisizione: La sussidiaria derivante da un’acquisizione, soprattutto all’inizio, può
rimanere distinta dalla corporate e dal resto del Gruppo, con differenze manageriali e un
limitato senso di appartenenza. In settori strategici, la corporate può limitare la propria
ingerenza per facilitare il raggiungimento degli obiettivi post-acquisizione, con la sussidiaria
che mantiene un forte legame con il contesto istituzionale locale. Le sussidiarie acquisite
tendono ad avere una cultura aziendale consolidata che potrebbe risultare meno propensa
ad accettare le linee guida imposte dalla corporate.
 Sussidiaria greenfield: Una sussidiaria creata ex-novo tende a risentire di due spinte
contrastanti: da un lato, assorbe più facilmente le direttive della corporate, ma dall’altro ha
la necessità di allinearsi con il contesto istituzionale del Paese in cui è situata, per
superare l’isolamento iniziale e le liabilities of foreignness. Tuttavia, questo gap tende a
ridursi nel tempo.
La joint venture come terza fattispecie di sussidiaria estera
Una joint venture rappresenta una terza tipologia di sussidiaria estera, costituita attraverso
una partnership con attori locali. Essa possiede caratteristiche di entrambe le forme
precedenti:
• Simile a una sussidiaria greenfield: È una società creata ex-novo con risorse,
politiche, e strumenti forniti dalle parent companies.
• Simile a un’acquisizione: La joint venture ha relazioni con il sistema istituzionale
locale grazie alla presenza di partner locali.
La rilevanza di ciascun aspetto dipende dalla distribuzione delle quote di proprietà e dalla
governance:
 Se la parent company detiene la maggioranza della proprietà, la joint venture tende a
comportarsi come un investimento greenfield.
 Se le quote sono condivise equamente tra i partner, l’importanza delle risorse apportate
da ciascun partner diventa fondamentale per la missione della joint venture.

6.5.4 I CENTRI DI ECCELLENZA


I centri di eccellenza rappresentano una strategia chiave per i gruppi internazionali nel
gestire le competenze e capacità sviluppate dalle sussidiarie sparse nel network globale, al fine
di accrescere il proprio vantaggio competitivo. Queste unità organizzative detengono abilità
specifiche riconosciute dalla casa madre come importanti fonti di valore, da condividere con le
altre unità della multinazionale (Frost et al., 2002).
I centri di eccellenza sono unità ad alto valore aggiunto, che occupano posizioni di rilievo
nel network interno della MNC e possono influenzare le decisioni strategiche. Essi sfruttano
competenze e abilità rare e rilevanti presenti all’interno dell’impresa, utilizzandole per creare
nuove fonti di vantaggio competitivo. Possono avere un global mandate, ovvero la
responsabilità di gestire specifici prodotti per il mercato locale e/o globale.
Le determinanti interne ed esterne
Determinanti esterne:
1. Dinamismo del mercato locale e degli attori locali: Gli stimoli provenienti dal contesto
locale (clienti, fornitori, competitor, istituzioni) sono una fonte fondamentale di innovazione,
che permette alla sussidiaria di apprendere competenze applicabili a livello internazionale.
2. Relazioni con attori principali del mercato locale: L’attiva partecipazione della
sussidiaria nelle comunità locali di pratica facilita lo sviluppo di competenze che possono
essere condivise a livello globale.
Determinanti interne:

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1. Relazioni con l’headquarter e altre unità del gruppo: La MNC è definita come un
“network differenziato” (Nohria e Ghoshal, 1994), dove ogni sussidiaria è connessa non solo
con la casa madre, ma anche con altre sussidiarie globali. Queste relazioni stimolano
l’emergere di nuove idee e competenze.
2. Grado di autonomia della sussidiaria: La formazione di un centro di eccellenza è un
processo evolutivo. L’autonomia della sussidiaria, alimentata da risorse interne ed esterne,
è cruciale per raggiungere lo status di centro di eccellenza.

6.6 LE PROBLEMATICHE NEL GOVERNO DELLE RELAZIONI TRA LA CORPORATE E LE


SUSSIDIARIE ESTERE
La gestione delle relazioni tra la corporate e le controllate estere genera costi significativi,
anche se difficilmente quantificabili. Questi costi tendono ad aumentare in relazione a:
 Dimensione e dispersione geografica del Gruppo: maggiore è la distanza geografica
tra le sussidiarie e la casa madre, maggiore è la complessità della gestione.
 Rilevanza delle asimmetrie informative: la difficoltà nel trasferire informazioni corrette
e tempestive tra corporate e sussidiarie aumenta i costi di governo.
 Grado di coesione interna del Gruppo: una bassa coesione interna aumenta le difficoltà
nella gestione delle relazioni e dei processi decisionali.
 Influenza degli stakeholders locali: gli attori locali che influenzano le sussidiarie possono
complicare la gestione delle relazioni con la corporate.

4 CATEGORIE DI COSTI DI GOVERNO


1. Bargaining costs: Questi costi emergono quando è necessario rinegoziare o apportare
modifiche agli accordi esistenti tra la casa madre e le sussidiarie. Esempi includono i costi
interni per il trasferimento di risorse e il sistema di incentivazione dei manager locali.
2. Monitoring costs: Si riferiscono alla necessità di allineare il comportamento delle
sussidiarie alle direttive dell’headquarter, al fine di prevenire comportamenti opportunistici
o di free-riding da parte delle unità operative.
3. Maladaptation/information costs: Questi costi derivano dalla mancanza di
comunicazione e coordinamento tra la corporate e le sussidiarie. Se le informazioni
trasmesse sono imprecise o mal gestite, si rischiano decisioni sbagliate a livello centrale,
compromettendo anche la reattività ai cambiamenti dell’ambiente esterno.
4. Bonding costs: Questi costi sorgono dalla necessità di garantire strette relazioni tra la
corporate e le sussidiarie. Comprendono attività come la creazione di legami personali tra
le parti, la costruzione di una cultura comune, la creazione di sistemi di incentivazione, e il
tempo speso insieme per risolvere problemi operativi.

CAPITOLO 9: LA GESTIONE INTERNAZIONALE DEL CAPITALE UMANO


9.1 LA GESTIONE STRATEGICA DEL CAPITALE UMANO SU SCALA GLOBALE
Le imprese che operano a livello internazionale si trovano ad affrontare scelte complesse
riguardo la progettazione dei meccanismi organizzativi per la gestione del capitale umano. La
configurazione organizzativa ideale non si limita a una semplice scelta di modelli che hanno
avuto successo in contesti simili, ma implica un continuo processo di adattamento alle
pressioni locali e globali. In questo contesto, le aziende devono elaborare strategie per la
mobilità internazionale dei dipendenti (Sparrow, 2012), puntando sia al coordinamento
orizzontale tra le sussidiarie, sia al controllo verticale delle attività di queste ultime.

Confrontarsi con la mobilità internazionale del personale (IM) significa rispondere


efficacemente a diverse esigenze manageriali cruciali, tra cui:
 Apprendimento organizzativo su scala globale: la necessità di trasferire conoscenze e
competenze tra le diverse sedi internazionali.
 Gestione multiculturale e trans-culturale delle risorse umane: affrontare la diversità
culturale e promuovere l’integrazione tra team di diversi Paesi.
 Percorsi di carriera e mobilità: definire opportunità di sviluppo professionale a livello
internazionale per i dipendenti.
 Retribuzione e incentivazione: gestire gli aspetti legati alla remunerazione e agli
incentivi per il personale internazionale.
L’obiettivo principale è bilanciare la necessità di adattamento alle specificità locali con quella di
mantenere una coerenza e omogeneità globale nelle strategie e nelle operazioni.

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9.1.1 CROSS-CULTURAL MANAGEMENT
La gestione internazionale del capitale umano è intrinsecamente multiculturale, il che rende
l’aspetto culturale un tema centrale e ricorrente nelle sfide che i manager devono affrontare.
Per analizzare e comprendere meglio le situazioni influenzate dalla cultura nazionale, sono
utilizzabili tre principali paradigmi conoscitivi:
 Visione positivista: Questo paradigma è dominante negli studi manageriali e si concentra
su domande come: quali discrepanze valoriali emergono in una situazione? Qual è
l’influenza della cultura su ciò che accade? La visione positivista è utile in ogni analisi della
gestione del capitale umano a livello internazionale, in quanto considera la cultura come un
fattore determinante.
 Visione interpretativa: In questa prospettiva, la cultura è vista come lo schema attraverso
cui gli individui attribuiscono significato agli eventi. Consente di descrivere come le persone
vivono e reagiscono a una determinata situazione, e come adottano nuovi processi in
risposta ad essa.
 Visione critica: La cultura viene utilizzata come strumento per identificare strutture
nascoste che influenzano la realtà. Questa visione aiuta a far emergere le tensioni latenti in
una situazione, permettendo di osservarla da una nuova prospettiva, spesso con l’intento di
modificarla.
Questi tre approcci analitici permettono ai manager di affrontare le sfide della gestione
interculturale con maggiore consapevolezza e capacità di adattamento.

9.2 LE DINAMICHE DI APPRENDIMENTO NELL’IMPRESA INTERNAZIONALE


La creazione di valore attraverso l’espansione globale richiede un equilibrio delicato tra i
contesti locali e internazionali. Ad esempio, Nintendo ha separato le attività di progettazione
(design) e operazioni (programmazione e assemblaggio) in diverse nazioni, mantenendo la
casa madre in una terza nazione e utilizzando fornitori internazionali per le materie prime.
Questa disarticolazione delle strutture organizzative, pur offrendo vantaggi, rende il sistema
più complesso e riduce la sua flessibilità. In modo simile, l’esternalizzazione o l’utilizzo di
servizi condivisi (shared services) non semplifica sempre la gestione del core business, poiché
richiede competenze interne per interfacciarsi con i fornitori esterni.
Nonostante ciò, l’espansione globale, anche nelle strategie più aggressive, necessita di
modalità e tempi che bilanciano il ruolo della casa madre e le capacità delle filiali locali. Il
modello proposto da Jones (2001) illustra le fasi del processo di espansione internazionale,
evidenziando l’importanza di un equilibrio tra l’approccio centrale e l’adattamento locale nelle
fasi di crescita e sviluppo dell’impresa.

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9.2.1 IL TRASFERIMENTO DELLE COMPETENZE ORGANIZZATIVE TRA LE UNITÀ
INTERNAZIONALI
La creazione di valore a livello globale inizia con il trasferimento delle competenze core
all’estero, allo scopo di ottenere vantaggi di costo o differenziazione. Questo processo avviene
principalmente attraverso l’assegnazione temporanea di quadri, funzionari o manager
(expatriate) dalla corporate o da altre filiali estere a contesti locali specifici. Oltre all’uso degli
expatriate, il trasferimento delle competenze può includere la condivisione di linee guida
operative, programmi di formazione centralizzati, o l’adattamento di brevetti industriali.
Combinando questi metodi, le aziende possono trasferire anche aspetti più sottili
dell’organizzazione, come i valori competitivi e la cultura aziendale.

9.2.2 LO SVILUPPO DEL NETWORK GLOBALE


Il trasferimento di competenze e attività all’estero implica che queste si inseriscano in contesti
economici, politici e culturali locali. L’espansione internazionale genera una rete di relazioni
interne all’impresa, sia formali che informali, tra manager e unità organizzative, che si estende
a livello globale. Questa rete interna diventa anche la base per lo sviluppo di una rete esterna
di relazioni con attori esterni, come fornitori o altre entità locali, con cui l’impresa interagisce.
Ad esempio, una filiale locale che trasferisce attività produttive all’estero deve interagire con
fornitori locali, creando così un network di supporto per le operazioni globali.

9.2.3 L’ACCESSO ALLE RISORSE E ALLE COMPETENZE GLOBALI


La creazione di un network globale da sola non basta a garantire il vantaggio competitivo nel
lungo periodo. Sebbene la rete di distribuzione globale possa beneficiare di vantaggi di scala,
come una maggiore produzione e la possibilità di vendere prodotti standardizzati, il vantaggio
competitivo è sostenibile solo se l’impresa sfrutta risorse e competenze specifiche di livello
globale. Ogni paese o regione rappresenta un micro-ambiente che offre risorse uniche per
l’impresa, tra cui fattori economici, socioculturali, e di regolamentazione. La diversità dei
contesti locali, pur imponendo adattamenti, consente alle imprese di accedere a risorse
altrimenti inaccessibili, rafforzando il vantaggio competitivo.

9.2.4 L’APPRENDIMENTO GLOBALE PER L’INCREMENTO DEL PATRIMONIO DI


COMPETENZE
L’apprendimento globale si riferisce al processo in cui un’impresa sfrutta il proprio network
globale e l’accesso a risorse per sviluppare nuove competenze core e implementarle a livello
globale. Questo processo inizia con il trasferimento di risorse e informazioni dalle filiali
(periferia) alla casa madre (centro), dove le competenze vengono rielaborate e adattate ad altri
contesti locali. L’apprendimento globale incrementa il patrimonio di competenze aziendali,
dando all’impresa una maggiore massa critica di risposte competitive. Inoltre, consente di
trasferire soluzioni che hanno già avuto successo in altre aree, migliorando le operazioni locali.

9.2.5 DIVERSITY MANAGEMENT


Il diversity management è diventato una questione centrale nella gestione internazionale delle
risorse umane, spinto da fattori come i cambiamenti demografici globali, le nuove forme di
lavoro, la legislazione sulle pari opportunità, e la pressione istituzionale per maggiore
inclusione. La diversità è vista come una risorsa strategica, legata al miglioramento delle
performance aziendali. Per gestire la diversità, le aziende adottano due approcci principali:
l’approccio delle pari opportunità e quello della gestione della diversità.
I due approcci
 Approccio delle pari opportunità: Incentrato su programmi di azione positiva (affirmative
action), che mirano a correggere la discriminazione verso gruppi svantaggiati, promuovendo
l’assunzione di membri di gruppi minoritari per aumentare la diversità.
 Approccio della gestione della diversità: Va oltre l’assunzione e promuove un
cambiamento più ampio, che include formazione, processi interni, e sistemi organizzativi,
per ottenere tutti i benefici derivanti dalla diversità della forza-lavoro.
Obiettivi perseguiti
1. Discriminazione ed equità: Corsi di formazione contro la discriminazione e a favore
dell’equità, con l’obiettivo di promuovere la diversità sul posto di lavoro, in particolare dei
gruppi sottorappresentati.
2. Accesso e legittimità: Promuovere la diversità per accedere a mercati culturalmente
diversi e raggiungere consumatori precedentemente non raggiunti.

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3. Integrazione e apprendimento: Integrare la diversità nella cultura organizzativa,
vedendola come una fonte di apprendimento e innovazione.

9.3 QUESTIONI RILEVANTI NELLA GESTIONE DELLE PERSONE NELL’IMPRESA


INTERNAZIONALE
9.3.1 LO SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE A LIVELLO INTERNAZIONALE
Il capitale umano comprende conoscenze, esperienze e competenze che un individuo offre alle
imprese in cambio di remunerazione e altri fattori che influenzano il suo “bilancio psicologico”
(carriera, formazione, cultura d’impresa). Anche in modelli multi-domestici con limitata
interazione headquarter/subsidiary, le imprese devono gestire il personale locale per
implementare policy generali su retribuzioni, carriere e benefit.
Nei modelli globali e transnazionali, la gestione del capitale umano diventa critica a causa delle
pressioni locali. Le strategie di internazionalizzazione richiedono un equilibrio tra governance
generale e politiche di risorse umane che includano sistemi di motivazione e incentivi in linea
con i piani strategici.
Core Competence e Competenze Organizzative
Pfeffer (2010) introduce il concetto di human sustainability, che enfatizza l'importanza del
capitale umano e relazionale per la sostenibilità del vantaggio competitivo. Le competenze
organizzative includono:
 Decentramento e Deverticalizzazione: Promuovono responsabilizzazione e autonomia
dei lavoratori.
 Sistemi di Performance Measurement: Devono essere compatibili con i contesti locali e
misurare trasferimento di conoscenze e competenze.
 Flessibilità e Multifunzionalità: Essenziale per adattarsi ai compiti assegnati.
L’adozione di strategie di investimento che allineano strategie competitive e cambiamento
organizzativo può generare sinergie e vantaggi competitivi, come le edgeworth
complementarities, aumentando l'efficacia complessiva dell'organizzazione.

9.3.2 I SISTEMI DI GESTIONE INTERNAZIONALE DELLE RISORSE UMANE


I sistemi di gestione internazionale delle risorse umane (IHRM) si articolano generalmente su
tre livelli:
 Sistema HR corporate (HR architecture, principles, philosophy): Definisce la
struttura organizzativa e la filosofia di gestione delle risorse umane a livello globale.
 Policy definite a livello corporate (HR policy, programs): Comprende le politiche e i
programmi HR decisi a livello centrale per l’impresa.
 Gestione locale (HR practice, processes): Si riferisce alla gestione delle risorse umane
nelle filiali locali, con pratiche e processi adattati ai contesti specifici.
Questi tre livelli coprono tre aree centrali nella gestione del capitale umano (Jiang et al., 2012):
1. Knowledge, skills, and abilities (KSA): Competenze, conoscenze e capacità necessarie
per il buon svolgimento delle attività.
2. Motivazione e sforzi individuali: Coinvolgimento e impegno da parte dei dipendenti.
3. Opportunità di contribuire alle performance aziendali: Possibilità per i dipendenti di
contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
L’apertura ai contesti internazionali obbliga le imprese a bilanciare esigenze contrastanti:
 La coerenza complessiva del sistema IHRM.
 L’adattamento ai contesti di business locali.
 Le differenze tra il contesto genetico dell’impresa (sede della casa-madre) o di affiliazione
dei dipendenti (home country) e il contesto locale (host country o parent country).
 Le tre categorie di dipendenti: Host Country National (HCN), Parent Country National
(PCN), e Third Country National (TCN).

La Figura 9.2 illustra come le imprese distribuiscano


le attività di gestione del capitale umano tra HQ e
subsidiary. La “gestione centralizzata” non avviene
solo tramite la gestione diretta delle attività (shared
services) ma anche attraverso l’imposizione di
standard definiti a livello centrale alle sedi locali. I dati
evidenziano che le rappresentanze locali hanno un
ruolo preponderante nelle fasi di massima interazione

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con i contesti locali, come la “ricerca e selezione del personale” e la “gestione della
conoscenza e sviluppo della collaborazione”.

Tuttavia, gli aspetti legati alla pianificazione della forza-lavoro, incluse le dinamiche di
mobilità internazionale, e alla gestione delle performance e delle politiche retributive e
di incentivazione, sono fortemente centralizzati e gestiti dall’HQ. Questi ultimi due aspetti
saranno trattati nei paragrafi successivi.

9.3.3 LA MOBILITÀ INTERNAZIONALE


Strategie di mobilità internazionale nei gruppi globali
Nei gruppi internazionali, le strategie di mobilità internazionale dei dipendenti sono finalizzate
a bilanciare le esigenze di integrazione globale e adattamento locale, coordinando le
sussidiarie e mantenendo il controllo delle attività. L’accento è posto sulla mobilità dei core
employees, quelli impegnati in attività chiave e portatori di competenze distintive, poiché
questa mobilità migliora la comunicazione inter-sussidiaria e il coordinamento locale delle
politiche aziendali (Boyacigiller, 1991; Rosenzweig, 1994).
Tipologie di espatriati
Gli espatriati sono individui che si trasferiscono all'estero per obiettivi lavorativi (Sinangil e
Ones, 2001). Andresen et al. (2014) distinguono due tipi di mobilità internazionale:
 Self-Initiated Expatriates (SIE): mobilità derivante da un'iniziativa individuale.
 Assigned Expatriates (AE): mobilità che risponde a un mandato aziendale specifico.
Le strategie per lo sviluppo delle core competence possono essere implementate attraverso
la gestione della mobilità internazionale, includendo
percorsi di carriera con incarichi organizzativi (AE) e una gestione locale delle risorse umane
che soddisfi le esigenze di crescita professionale
individuale.
Obiettivi di incarichi internazionali
Le carriere internazionali seguono due principali obiettivi (Mayrhofer, 2001):
• Sviluppo personale del dipendente.
• Obiettivi di gestione e controllo per l’impresa.
In base a queste dimensioni, si distinguono quattro tipologie di expatriate:
La combinazione di queste dimensioni definisce quattro tipologie di espatriati (Figura 9.3):
1. Senior Management: incarichi per sviluppare il potenziale individuale e diffondere
policy aziendali (high potential logic).
2. Watchdog: invio di esperti per risolvere problemi locali (trouble-shooting logic).
3. Developmental: sviluppo del potenziale individuale, anche in assenza di capacità di
diffondere standard aziendali (junior logic).
4. Isolation: trasferimenti non legati a sviluppo personale o controllo, spesso per motivi
disciplinari (dead end
logic).

Classificazione sugli incarichi


internazionali
Andresen e Biemann (2013) propongono una classificazione degli incarichi internazionali
basata su transizioni tra nazioni e organizzazioni:
1. Early career: nessuno spostamento significativo (home country e organizzazione
corrente);
2. International organizational career: spostamenti all’estero (foreign country e
medesima organizzazione);

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3. International boundaryless career: spostamento in altra organizzazione che
consente successivi spostamenti esteri (home country ma altra organizzazione);
4. Transnational career: spostamenti all’estero e verso altre organizzazioni.
Ruoli degli HR expatriate
I ruoli degli HR expatriate, come identificato da Lengnick-Hall e Lengnick-Hall (2002), possono
essere suddivisi in quattro categorie principali, che riguardano sia le attività primarie che
quelle di supporto nella gestione delle risorse umane e contribuiscono al bilanciamento tra
competitività globale e risposta alle esigenze locali:
1. Human Capital Steward: Funziona da guida e facilitatore nella gestione locale delle
risorse umane, massimizzando il ritorno sugli investimenti in capitale umano, come
l’efficacia dei sistemi di incentivazione e dei programmi di formazione.
2. Knowledge Facilitator: Si occupa di facilitare la gestione del capitale cognitivo (sia la
conoscenza esplicita che tacita) e i flussi di conoscenza tra diverse sedi aziendali.
3. Relationship Builder: Gestisce le relazioni tra individui e gruppi, all’interno e
all’esterno dell’organizzazione, al fine di aumentare il valore del capitale sociale lungo
tutta la catena del valore.
4. Rapid Deployment Specialist: Sviluppa sistemi flessibili di gestione delle risorse
umane, enfatizzando le caratteristiche di adattabilità, tolleranza e capacità di
apprendimento per rispondere a cambiamenti rapidi e situazioni globali complesse.
Successo di carriera e contratto psicologico
Il successo di carriera va valutato sia nelle sue componenti oggettive (ruolo sociale
esternamente percepito) che soggettive (soddisfazione personale
della posizione attuale) (Arthur, Khapova e Wilderom, 2005). Nelle carriere internazionali
(assigned expatriation), il “contratto psicologico” è
fondamentale. La violazione di questo contratto può portare a demotivazione, assenteismo o
dimissioni (Festing e Muller, 2008). Per questo, le
decisioni riguardanti incarichi internazionali devono essere supportate da una pianificazione a
lungo termine delle carriere.
Gestione globale dei talenti e fidelizzazione dei dipendenti
Nella gestione globale dei talenti, è fondamentale l'internazionalizzazione delle carriere, poiché
contribuisce sia alla crescita dell'individuo che agli scopi strategici dell’organizzazione. Gli
investimenti in carriera internazionale portano vantaggi non solo per il singolo dipendente, ma
anche per l’organizzazione, in termini di performance complessiva (De Vos e Cambré, 2016).
Inoltre, una gestione attenta dei talenti aumenta l'intenzione dei dipendenti di rimanere
nell'impresa per “ripagare” il datore di lavoro per le opportunità di crescita offerte (Bonneton et
al., 2019; Festing e Schäfer, 2014; King, 2016).

9.3.4 LA GESTIONE DEGLI EXPATRIATE


Importanza degli expatriate per le aziende
Gli expatriate sono fondamentali per le aziende internazionali, poiché spesso svolgono un ruolo
cruciale nel raggiungimento degli obiettivi strategici,
richiedono ingenti risorse aziendali e creano specificità tra l’ambiente aziendale globale e
quello locale, rendendoli difficili da sostituire (Kraimer,
Wayne, 2004; Wang e Takeuchi, 2007). Essendo risorse difficilmente rimpiazzabili, le imprese
affrontano costi elevati non solo quando gli expatriate
cambiano azienda (turnover), ma anche quando decidono di tornare prematuramente
(premature return) prima della fine del percorso di carriera
previsto (Takeuchi et al., 2009).
Forme di adattamento degli expatriate
Quando un expatriate si trasferisce all’estero, è soggetto a tre principali forme di adattamento:
 Mansioni da svolgere (job adaptation): Cambiamenti nelle mansioni, che possono
includere spostamenti orizzontali (nuove funzioni o sotto-funzioni), verticali (maggiore
autorità e responsabilità) e di status (allargamento delle mansioni).
 Ambiente lavorativo locale (local internal environment): stesse mansioni ma
cambiamento nel network e nelle routine aziendali.
 Ambiente esterno generale (local external environment): implica la separazione dal
contesto sociale di riferimento (famiglia, amici), con impatti sulla vita quotidiana come cibo,
alloggio e altri aspetti, specialmente se l’espatrio coinvolge l’intera famiglia.
Strategie aziendali per favorire l’adattamento

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Le imprese supportano l’adattamento degli expatriate bilanciando le difficoltà con incentivi
attrattivi come una retribuzione migliore e opportunità di carriera. Per facilitare
l’adattamento, le strategie aziendali si suddividono in due categorie principali:
1. Work adjustment: Misure per facilitare l’adattamento alle nuove mansioni e al
contesto lavorativo, come l'assegnazione graduale di responsabilità e formazione
specifica per l'integrazione professionale.
2. General adjustment: Soluzioni per affrontare i problemi legati al contesto esterno,
come la ricerca di risorse logistiche (alloggio, trasporti, sanità), formazione linguistica e
multiculturale, e il supporto per viaggi di rientro.
Le fasi dell’adattamento degli expatriate
Le fasi dell’adattamento degli expatriate,
secondo Black e Mendenhall (1991), seguono
una dinamica a U nel tempo, articolata in quattro
fasi principali:
1. Honeymoon: Fase iniziale di entusiasmo per
il nuovo ambiente, con interazioni sporadiche
e un mantenimento delle proprie routine e
codici di condotta.
2. Culture shock: Fase di disagio legata a
intensi contatti lavorativi, difficoltà di
integrazione socio-culturale e affievolimento
dei legami con l'headquarter. È il momento
critico, con alto rischio di turnover o ritorno
anticipato.
3. Adjustment: Fase di recupero, in cui
l'individuo cerca di adattarsi all’ambiente
lavorativo e sociale, apprendendo la lingua locale e integrandosi nei costumi.
4. Mastery: Fase di stabilizzazione, in cui l'individuo raggiunge una padronanza del contesto,
ottenendo successo nelle sue mansioni e sviluppando la carriera, con una condizione
sostenibile a lungo termine.
Supporto organizzativo e il ruolo dell’HR
Studi recenti evidenziano che un supporto organizzativo proattivo, che prevenga i traumi legati
all’espatrio, può migliorare significativamente le
performance complessive. È fondamentale che l’expatriate percepisca il supporto
dell’organizzazione, in particolare della direzione risorse umane, sia
presso la casa madre che nella filiale estera. Tuttavia, non basta fornire servizi, ma è
essenziale che questi siano compresi e apprezzati, insieme al
supporto del supervisore diretto e a un buon equilibrio tra vita lavorativa e privata.
Percezione di equità interna tra expatriate e colleghi
La fase di mastery, in cui l'expatriate si è completamente adattato al nuovo ambiente, riduce la
necessità di risorse e benefit extra. Tuttavia, politiche
aziendali troppo favorevoli agli expatriate possono creare problematiche di equità interna.
Infatti, i dipendenti non valutano solo il rapporto tra ciò che
ricevono dall’organizzazione e ciò che contribuiscono (outcome/input), ma anche rispetto a
colleghi che considerano un riferimento interno
(benchmark). Questo confronto non è legato solo al contratto psicologico tra il singolo e
l’azienda, ma dipende anche dalla percezione soggettiva di
equità. I dipendenti monitorano continuamente il rapporto tra ciò che ricevono (outcome) e ciò
che danno (input) rispetto ai colleghi simili
(outcomeB/inputB). Quando si percepisce un’iniquità, anche se l’incentivazione è alta, il
comportamento dell’individuo potrebbe non allinearsi con le
aspettative aziendali. Per evitare questi problemi, le imprese adottano schemi retributivi che
garantiscano l’equità interna, considerando anche le
differenze nel potere d’acquisto nei vari contesti esteri.
Rientro degli espatriati e leadership relazionale
La gestione del rientro degli expatriate è cruciale per evitare che il ritorno, sia programmato
che imprevisto, danneggi l’equilibrio dei contesti locali. È
essenziale che gli expatriate trasferiscano le loro conoscenze a livello locale per favorire il
processo. Questo processo si lega alla leadership relazionale,

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che rappresenta un'alternativa alla leadership gerarchica e accentrata, emergendo
spontaneamente anche senza attribuzioni formali. L’expatriate
dovrebbe assumere il ruolo di tutor per i dipendenti locali, favorendo l'assorbimento delle
competenze aziendali e stimolando l’innovazione,
sfruttando il capitale relazionale interno. Affinché ciò avvenga, l’expatriate deve essere in
grado di sviluppare un’interfaccia adeguata, ossia
comprendere e adattarsi ai linguaggi e ai codici locali durante il suo periodo di adattamento.
Elasticità strategica attraverso lo sviluppo delle risorse locali
Il passaggio dagli expatriate locali dalla fase di adjustment a quella di maturity si sovrappone
allo sviluppo delle risorse locali, che prendono il “testimone” nelle competenze, garantendo
continuità anche in caso di turnover o rientro degli expatriate. Quando ciò avviene, il capitale
umano dell'impresa diventa "liquido", conferendo all'organizzazione una maggiore elasticità
strategica e operativa, permettendo di adattarsi e rispondere con flessibilità alle sfide
internazionali.

9.4 I SISTEMI RETRIBUTIVI NELL’IMPRESA INTERNAZIONALE


9.4.1. GESTIONE INTERNAZIONALE DEI PACCHETTI RETRIBUTIVI
Le imprese internazionali, operando in diversi mercati del lavoro globali, devono affrontare la
sfida di gestire pacchetti retributivi che rispondano sia a condizioni socio-economiche locali che
a politiche HR globali. Devono bilanciare la necessità di mantenere standard globali di
retribuzione con l’equità sia a livello globale che locale, tenendo conto delle risorse umane
disponibili, incluse quelle locali ed expatriate. Le imprese sono quindi soggette a pressioni
esterne che influenzano sia le condizioni socio-economiche e politiche dei vari Paesi, sia le
aspettative individuali relative a formazione e standard di vita. Questo coinvolge non solo la
retribuzione fissa, ma anche differenziali legati all’anzianità, livello di istruzione, retribuzione
variabile (ad esempio, pay for performance) e benefit aggiuntivi (ad esempio, istruzione per i
figli, alloggio).
Influenza delle culture nazionali sulla remunerazione
I sistemi retributivi e di performance management devono tenere conto delle normative sul
lavoro, delle pratiche aziendali locali e delle culture nazionali. Hofstede (1980) evidenzia come
le caratteristiche culturali di un Paese possano influenzare la remunerazione e la misurazione
delle prestazioni, tra cui:
• La tipologia di comportamento premiato (compito svolto o risultato raggiunto).
• L’orizzonte temporale considerato (annuale, infra-annuale o pluriennale).
• Il rapporto con il valutatore e il suo ruolo.
• Le esigenze di feedback sulle prestazioni intermedie.
Le culture nazionali sono così radicate che difficilmente possono essere influenzate o cambiate
da forze esterne come le culture aziendali (Sparrow e Hiltrop, 1997).
Vincoli e opportunità dei sistemi nazionali
Le imprese internazionali si confrontano non solo con mercati del lavoro diversi, ma anche con
sistemi nazionali che presentano vincoli e opportunità, come ad esempio le relazioni industriali
e l’accesso al credito. Le strutture retributive variano significativamente da una nazione
all’altra, portando a due problematiche principali:
1. In che misura la retribuzione nel Paese ospitante (host country) sarà allineata con quella
del Paese di origine (home country).
2. Come gestire le differenze retributive tra persone in posizioni analoghe nella casa
madre e nelle filiali estere.
Per affrontare queste problematiche, le aziende utilizzano due approcci principali per stabilire
la retribuzione degli expatriate:
 Balance sheet approach: si basa sulla comparazione tra il salario domestico e il salario
estero, aggiustato per i costi di vita e altre differenze locali.
 Going rate approach: prevede il pagamento in base ai tassi di mercato del Paese
ospitante, senza cercare di mantenere un allineamento diretto con la retribuzione
domestica.

9.4.1 L’APPROCCIO BALANCE SHEET


L’approccio balance sheet, proposto da Reynolds (1986), mira a garantire che l’expatriate
mantenga lo stesso standard di vita, in termini di potere d'acquisto, durante l’assegnazione

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estera. L’impresa si fa carico dei costi differenziali che l’expatriate potrebbe sostenere, per non
compromettere il suo bilancio personale e familiare.
Il processo inizia con la definizione del potere d’acquisto nel Paese di origine, stimando quanto
il dipendente spende e risparmia. Si calcolano poi i costi nel Paese di destinazione per
mantenere lo stesso stile di vita e si determinano i costi aggiuntivi che l’impresa coprirà. Il
salario equivalente viene poi arricchito con incentivi e premi.
Questo approccio, diffuso per garantire equità tra expatriate e colleghi del paese di origine, può
creare percezioni di iniquità se gli expatriate guadagnano più dei manager locali. Per ridurre
questo rischio, è importante riconoscere il valore unico delle competenze degli expatriate, che
non sono ancora disponibili a livello locale.

9.4.2 L’APPROCCIO GOING RATE


L’approccio going rate si basa sulla localizzazione della retribuzione, focalizzandosi sul
contesto nazionale ospitante. In questo caso, la retribuzione dell’expatriate è allineata alla
struttura salariale del Paese di destinazione, tenendo conto dei salari di mercato e dei livelli
retributivi locali, a parità di competenze. A differenza dell’approccio balance sheet, che
considera il potere di acquisto nel Paese di origine, l’approccio going rate si concentra sul
potere di acquisto nel Paese di destinazione. Gli expatriate sono quindi trattati come lavoratori
locali, con l’obiettivo di integrarsi nel contesto nazionale ospitante e di garantire equità di
trattamento tra expatriate e colleghi locali.

9.4.3 LA SCELTA DEL SISTEMA RETRIBUTIVO


Nonostante l’approccio going rate risulti più cost-effective per le imprese, specialmente per
quelle che si spostano da Paesi sviluppati verso quelli in via di sviluppo, l’approccio balance
sheet continua ad essere il più diffuso. Secondo il Brookfield Global Relocation Trends
(2014), il 62% delle imprese utilizza approcci basati sulla retribuzione nel Paese di origine
(come il balance sheet approach) per determinare le retribuzioni degli expatriate, anche per
incarichi internazionali di lungo termine, mentre solo il 6% adotta approcci che considerano le
retribuzioni nel Paese di arrivo (come il going rate). Inoltre, un numero significativo di imprese
(32%) utilizza una combinazione dei due approcci, adattando sia la retribuzione che i
meccanismi di incentivazione per l’espatrio, che possono essere una tantum.

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