Egii Riassunto 4
Egii Riassunto 4
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maggiore presenza di imprese di Paesi emergenti, in particolare della Cina. Sebbene rimangano
prevalenti, i gruppi transnazionali dai paesi avanzati hanno visto diminuire la loro incidenza.
Il successo dei nuovi sfidanti
Nel caso delle imprese cinesi ma anche altre, una quota rilevante sono controllate direttamente
o indirettamente dallo stato.
I nuovi sfidanti globali provenienti dalle economie emergenti o in transizione sono favoriti da:
Dimensione del mercato locale (ampio): Domanda interna crescente in Cina, India e
Brasile permette alle imprese di raggiungere velocemente dimensioni ampie.
Bassi costi produttivi: In particolare manodopera (lavoro) e input.
Maturare competenze: Superamento di inefficienze logistiche e amministrative,
consumatore immaturo e con limitata capacità di spesa.
Adattamento alla competizione internazionale: doversi confrontare con imprese
occidentali nel proprio contesto georgrafico, hanno sviluppato capacità strategiche per
competere globalmente.
Da un lato le imprese hanno rapidamente appreso le logiche della competizione internazionale
dall’altro si sono poste sullo stesso piano dei leader occidentali.
Come si sono sviluppati questi nuovi concorrenti?
I nuovi sfidanti hanno maturato molto rapidamente una visione globale del business (in termini
mercati e ricerca condizioni di vantaggio competitivo). Per questi paesi l’espansione estera
organizzare le proprie attività su scala sovra-locale, sfruttando sinergie tra territori
(cambiamento di approccio strategico, organizzativo e di cultura gestionale).
Inizialmente, hanno privilegiato la crescita interna o joint venture, ma oggi sonno frequenti
anche acquisizioni o scambio di partecipazioni con gruppi occidentali.
I nuovi sfidanti globali hanno concertato l’espansione dei paesi vicini al proprio e sollo
successivamente su aree geografiche più lontane .
Gli approcci strategici per l’espansione estera
Gli approcci strategici per l’espansione estera seguiti dai nuovi sfidanti globali includono:
1. Sviluppo Globale di Prodotti e Marchi Consolidati nel Mercato Locale: Le imprese
utilizzano i vantaggi di scala , i bassi costi di produzione e tecnologie adeguate per offrire
prodotti di qualità a costi competitivi nei mercati occidentali. Questo permette loro di
posizionarsi nei segmenti intermedi del mercato e dare visibilità ai marchi, favorisce anche
le relazioni con la grande distribuzione. Per quanto riguarda politica portafoglio marchi
l’impresa opta per: acquisizione di marchi consolidati in Paesi emergenti o avanzati o si
punta sulla visibilità del marchio del proprio paese.
2. Investimenti Elevati in Ricerca e Sviluppo (R&S): L’innovazione è centrale per
mantenere il vantaggio competitivo. Le aziende puntano su tre capacità: attrarre risorse
finanziarie e sostenere elevato rischio, sfruttare i risultati dell’innovazione sui mercati,
gestire capitale umano altamente qualificati a livello internazionale.
3. Specializzazione in Nicchie di Mercato: La focalizzazione su nicchie specifiche consente
di raggiungere rapidamente una leadership globale, di operare a costi unitari bassi grazie ai
grandi volumi di produzione, di sviluppare competenze specialistiche, di concentrare gli
investimenti nella ricerca e quindi il rafforzamento dell’innovazione. Questo approccio
favorisce anche la visibilità del marchio nei paesi consolidati.
4. Sfruttamento delle Risorse Naturali Locali per i Mercati Esteri: In settori come
l’agroalimentare e il minerario, le imprese aumentano la produzione oltre il fabbisogno
interno e sviluppano capacità logistiche per esportare. L’acquisizione di imprese estere che
controllano risorse naturali è frequente per garantire l’accesso a tali risorse.
5. Adattamento del Modello di Business al Contesto Locale: Le aziende adattano il
modello di business sperimentato nel proprio mercato locale alle specificità dei nuovi
mercati. Questo approccio spesso prevede acquisizioni strategiche di imprese estere per
accelerare l’ingresso nei mercati target.
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Efficienza logistica
Vicinanza ai mercati finali
Collaborazione con attori locali (soggetti economici o governi): per favorire il
radicamento dell’impresa nei paesi esteri.
Tuttavia, negli ultimi anni si è registrato un rallentamento nella delocalizzazione produttiva, con
segnali di un possibile ritorno delle attività nei paesi d’origine, accelerato anche dagli effetti
della pandemia da COVID-19.
Il livello di proiezione internazionale: “Indice di transnazionalità”
L’indice di transnazionalità misura il livello di proiezione internazionale dell’attività
produttiva di un’impresa, considerando il peso degli asset, del valore aggiunto e degli occupati
all’estero sul totale dell’impresa. L’indice si calcola come segue:
K: rapporto tra le immobilizzazioni nei Paesi esteri e il totale delle immobilizzazioni.
X: rapporto tra gli occupati nelle sedi estere e il totale degli occupati, con attenzione
all’internazionalizzazione di top e middle manager.
Y: rapporto tra il valore aggiunto nei Paesi esteri e il totale del valore aggiunto.
a, b, c: parametri di ponderazione delle variabili, con valori tra 0 e 1.
Il network spread index
Il network spread index misura il livello di globalizzazione di un’impresa, calcolando il
rapporto tra il numero di Paesi in cui l’impresa ha società controllate e il numero di Paesi in cui
potrebbe essere presente, questi sono quelli con un valore positivo di IDE (Investimenti Diretti
Esteri).
Questo indicatore valuta il grado di concentrazione geografica della presenza produttiva
internazionale dell’impresa.
I settori con maggiore diffusione transnazionale delle imprese sono l'elettronica, la chimica e, in
misura minore, l'alimentare (food & beverages). Al contrario, i settori con maggiore
concentrazione geografica sono le costruzioni, le utilities e, in particolare, la produzione di
energia elettrica.
L’acquisizione delle risorse rilevanti su scala internazionale
Le grandi e medio-grandi imprese gestiscono gli approvvigionamenti su scala internazionale,
creando unità organizzative (all'interno della corporate o come società indipendente) dedicate
al procurement internazionale. Queste strutture selezionano un numero limitato di fornitori
"eccellenti" in base alla loro capacità di operare in più aree geografiche, affidando loro la
fornitura degli input per le strutture produttive nei vari Paesi.
A livello centrale, vengono definiti gli accordi commerciali con i fornitori, stabilendo:
Gli standard qualitativi e i contenuti generali della fornitura.
Il grado di standardizzazione internazionale.
La struttura dei prezzi.
Il grado di esclusività del rapporto di fornitura.
A livello locale, si gestiscono aspetti operativi come:
Tempi e modalità di esecuzione della fornitura.
Organizzazione logistica.
Adattamenti locali(nei limiti stabili dal accordo generale).
Il global sourcing non esclude la collaborazione con fornitori locali che, pur rimanendo a
livello locale, possiedono la capacità produttiva e le competenze per espandere la loro attività a
livello internazionale. In alcuni casi, la grande impresa-cliente stimola l’internazionalizzazione di
un fornitore locale, riconoscendo le sue potenzialità di crescita e il suo impegno verso
un'espansione sovra-locale.
Lo sviluppo delle reti
Lo sviluppo delle reti internazionali di generazione della conoscenza è un aspetto
fondamentale della gestione internazionale delle risorse. Oggi, l'acquisizione della conoscenza
da parte delle imprese è diventata più complessa.
- In passato, questo processo avveniva principalmente a livello nazionale, all'interno delle
stesse organizzazioni o con attori locali come università e centri di ricerca.
- Oggi, le imprese internazionali, anche di dimensioni medio-piccole, possono connettersi
alle "reti lunghe" della ricerca, entrando in contatto con interlocutori globali che
meglio rispondono ai loro obiettivi di sviluppo delle conoscenze.
La partecipazione a progetti di ricerca internazionali diventa una discriminante
competitiva, questi progetti non solo permettono di valorizzare e sviluppare il patrimonio di
conoscenze, ma offrono anche l'opportunità di entrare in reti internazionali che favoriscono
opportunità di business.
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Materie prime e mercati finanziari
Un altro aspetto cruciale della globalizzazione riguarda l'intensificata competizione per
l'acquisizione delle materie prime. Il rapido sviluppo industriale di aree precedentemente
marginali ha aumentato la domanda di materiali utilizzati nei processi produttivi. Mentre in
passato le imprese dei Paesi sviluppati potevano soddisfare la propria domanda di materie
prime senza gravi difficoltà, in futuro dovranno affrontare una concorrenza crescente dalle
economie emergenti e in via di industrializzazione.
Inoltre, lo sviluppo dei mercati finanziari internazionali e degli strumenti di finanziamento
sofisticati ha spinto gli investimenti produttivi all'estero, favorendo operazioni di acquisizioni e
fusioni cross-border. Le banche d'investimento internazionali stanno giocando un ruolo
sempre più significativo nel processo di internazionalizzazione produttiva e commerciale di
medie e grandi imprese.
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la capacità di integrare risorse esterne. Queste capacità sono fondamentali per creare
un vantaggio competitivo.
Il diversity management
L’eterogeneità, pur essendo un’opportunità, rappresenta una sfida per le organizzazioni, che
naturalmente tendono a privilegiare la coesione. Le imprese internazionali, pur sviluppando
una cultura aziendale omogenea, devono trovare un equilibrio tra diversità e orientamento
convergente. Per gestire questa sfida, nei grandi gruppi globali si è consolidata la funzione
di diversity management, che ha il compito di:
Gestire i problemi legati alla diversità.
Valorizzare le potenzialità derivanti dalla presenza di persone con diverse provenienze
nazionali e culturali.
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gestirne le attività in modo integrato. I flussi di IDE sono determinati dai flussi di capitale
impiegati dall'investitore, direttamente o tramite una controllata, per acquisire il controllo di
una struttura estera e dalle risorse finanziarie che l'investitore fornisce a quest’ultima. I
flussi possono essere:
Equity: capitale investito direttamente.
Utili reinvestiti: profitti prodotti dall’impresa esterna e reinvestiti all’interno della
stessa impresa.
Prestiti intra-company: prestiti concessi dalla società madre alla sua controllata.
Lo stock di IDE si calcola con il valore del capitale netto delle società controllate all’estero,
sommandolo al loro indebitamento verso la controllante o altre società del gruppo.
La Natura degli IDE
Gli IDE hanno una duplice natura:
Investimenti in entrata: Quando si considerano dal punto di vista del Paese in cui sono
realizzati, ovvero gli investimenti provenienti da imprese straniere (entrano in un territorio).
Investimenti in uscita: Quando si considerano dal punto di vista del Paese di origine
dell’impresa, ovvero gli investimenti che un'impresa locale fa all’estero (escono da un
territorio).
Stock Complessivo e Flussi di IDE
Nel 2018, lo stock complessivo di IDE ha raggiunto 33.000 miliardi di dollari. Rispetto agli
anni precedenti è aumentato tantissimo.
Nel 2018, i flussi di IDE in entrata sono stati circa 1,4 trilioni di dollari, in calo dal picco
storico del 2015 di 2 trilioni di dollari. La riduzione dei flussi è stata particolarmente forte in
Europa e USA, mentre in Asia è aumentata. I Paesi emergenti hanno ricevuto più del 55% dei
flussi di IDE.
Flussi in Uscita
I flussi in uscita da parte delle imprese dei Paesi avanzati sono scesi, il livello più basso mai
registrato. Questo è stato influenzato dalla riforma fiscale del 2017 negli Stati Uniti. Gli IDE in
uscita dall'Europa sono cresciuti dell’11%, con aumenti significativi in Francia, mentre
Germania e Regno Unito hanno visto una diminuzione. Italia è al quindicesimo posto
mondiale per investimenti in uscita, dietro a Francia, Regno Unito, Germania e Spagna.
Rilevanza Economica degli IDE
Gli IDE sono cruciali anche per le dimensioni economiche delle controllate estere:
Nel 2018, l'UNCTAD stima che queste imprese abbiano generato 27,2 miliardi di
dollari di fatturato e un valore aggiunto di 7,2 miliardi di dollari.
Gli investimenti totali ammontano a 110,5 miliardi di dollari, con un’occupazione di
quasi 86 milioni di persone.
Negli ultimi dieci anni, il valore aggiunto è cresciuto del 40%, gli investimenti e l'attivo
sono raddoppiati, le vendite sono aumentate del 10% e l'occupazione del 25%.
La Teoria del Ciclo di Vita Internazionale degli IDE
La teoria del ciclo di vita internazionale degli IDE (Dunning, 1981, 1986) suggerisce che i flussi
di IDE di un Paese siano correlati al suo livello di sviluppo economico. La teoria definisce
cinque fasi di crescita economica in cui gli IDE in entrata e in uscita seguono dinamiche
diverse:
1. Fasi iniziali: Paesi con basso sviluppo economico, non attraggono IDE e non sono in
grado di investirvi. Il flusso netto di IDE è vicino a zero.
2. Transizione verso il consolidamento: Gli IDE in entrata prevalgono, grazie a buone
opportunità di investimento, ma il Paese non ha ancora un sistema imprenditoriale
competitivo per investire all'estero.
3. Fase di piena crescita industriale: Il flusso netto di IDE è positivo, in quanto le
imprese locali cominciano a internazionalizzarsi attivamente.
4. Fasi di ulteriore crescita: Il saldo tra IDE in entrata e in uscita si equilibra, poiché il
Paese è in grado di attrarre IDE e contemporaneamente di investire all'estero.
I flussi di IDE in uscita si manifestano nei paesi che hanno raggiunto: certo grado di
maturazione economica e un sistema di impese sufficientemente competitivo a livello
internazionale.
Evoluzione degli IDE
Man mano che un Paese cresce economicamente, cambia anche la natura degli IDE che
attraggono.
Nelle fasi iniziali, gli IDE in entrata si concentrano nei settori delle materie prime e
manifatturiero a bassa intensità tecnologica.
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Con il miglioramento economico, gli IDE in entrata si spostano verso settori ad alto
valore aggiunto.
Fattori che Influenzano i Flussi di IDE
Anche se la teoria di Dunning è applicabile a molti Paesi con simili livelli di sviluppo, esistono
differenze significative nei flussi di IDE tra Paesi simili. La capacità di attrarre e realizzare IDE è
influenzata da:
Struttura industriale e imprenditoriale del Paese.
Efficacia delle Politiche per rafforzare l'attrattività economica.
Specificità logistiche del Paese.
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ARTICOLO: Gli investimenti diretti esteri delle aziende italiane
Nel 2012, le imprese italiane controllavano 21.830 affiliate in 160 Paesi, con un fatturato di 546
miliardi di euro e un’occupazione di circa 1,7 milioni di persone. Tra il 2013 e il 2014, il 60% dei
principali gruppi italiani ha avviato nuovi investimenti internazionali.
L’internazionalizzazione attiva delle imprese italiane è particolarmente forte nei settori
manifatturieri come l’estrazione di minerali (119%) e la fabbricazione di autoveicoli (oltre
100%), nonché nei settori dell'energia, farmaceutico e apparecchiature elettriche. Le
multinazionali italiane generano il 15% del loro fatturato all’estero, con un terzo di questo che
viene re-esportato in Italia.
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Buona cittadinanza: Le imprese dovrebbero perseguire strategie per essere accettate
favorevolmente dai governi locali, migliorando le condizioni ambientali e sociali attraverso
investimenti e azioni concrete nel territorio (sostenibilità).
Bilancio commerciale della sussidiaria estera: la sussidiaria estera acquista
beni/servizi nel territorio ospitante e realizza nel mercato certi volumi di fatturato. È
essenziale bilanciare il valore erogato aal territorio attraverso fornitori locali e quello
drenato dal mercato geografico, monitorando il flusso commerciale e il fatturato.
Occupazione e sviluppo delle risorse umane: normalmente, gli attori locali
attribuiscono grande importanza all’occupazione creata nel tempo da un
investimento estero. A riguardo, bisogna considerare sia l’occupazione direttamente
creata dalla nuova struttura produttiva, sia quella indotta, che consegue allo sviluppo di
nuove iniziative economiche legate all’investimento estero.
Questi effetti devono essere valutati alla luce delle conseguenze prodotte dalla nuova
entrata sulla posizione competitiva dei concorrenti e quindi sull’offerta di lavoro delle
imprese locali.
Dal punto di vista dell’impresa estera, è invece rilevante verificare la qualità della forza
lavoro esistente nell’area geografica di interesse e le condizioni di utilizzo di tale fattore,
con riferimento non solo al costo diretto, ma anche al grado di flessibilità.
Un terzo elemento importante è il ruolo che la sussidiaria può svolgere nello sviluppo delle
competenze professionali delle risorse umane locali.
Trasferimento di fondi finanziari: I fondi generati da una consociata vengono spesso
reinvestiti nell’area in cui sono stati prodotti. La gestione di questi fondi avviene attraverso
tre leve: dividendi, mutui interni e prezzi di trasferimento. Tutti elementi cruciali per il
finanziamento delle attività locali.
Il Ruolo dei Governi Nazionali
I governi, in particolare nei Paesi emergenti, hanno adottato misure favorevoli per il commercio
internazionale, per attrarre investimenti diretti esteri e joint ventures, tra cui:
Libertà di entrata delle imprese estere in determinati settori produttivi.
Incentivi fiscali e aiuti a investitori esteri, specialmente nelle special economic
zones.
Facilitazioni nelle acquisizioni di asset da parte di investitori esteri.
Semplificazione delle procedure amministrative.
Tuttavia, negli ultimi anni, si sta assistendo a un cambiamento nelle politiche, con alcuni Paesi,
come gli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump, che hanno introdotto barriere
tariffarie e politiche per riportare gli investimenti produttivi nel Paese, suscitando
reazioni simili da parte di altre nazioni come la Cina e l'UE.
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Effetti delle acquisizioni di aziende locali
Gli investimenti esteri tramite l’acquisizione di aziende locali non garantiscono
automaticamente un aumento dello stock di capitale investito nel Paese ospitante, poiché
inizialmente comportano solo un cambio di controllo proprietario senza effetti immediati
rilevanti.
Effetti sul breve e medio-lungo termine: Non si osservano impatti univoci né
sull’incremento del capitale investito né sui livelli di occupazione.
Ridimensionamento delle attività: In molti casi, l’acquisizione mira a ottenere quote di
mercato o posizionamento strategico, portando spesso al trasferimento di attività
produttive prima svolte dall’impresa acquisita in altri Paesi più efficienti.
Valorizzazione dell’impresa locale: Se l’azienda acquisita dimostra eccellenza in
determinate funzioni, la casa madre potrebbe assegnarle nuovi compiti e risorse,
aumentando il suo ruolo nel gruppo.
In conclusione, l’impatto di un’acquisizione sul paese ospitante dipende essenzialmente dagli
obiettivi strategici dell’operazione di acquisizione e dalle competenze distintive
dell’impresa acquisita nel contesto del gruppo internazionale.
La valutazione dell’impatto di un IDE
Per valutare l’impatto di un IDE sul territorio ospitante, è necessario seguire tre passaggi logici:
1. Identificazione delle esternalità positive e negative che un IDE potrebbe generare sul
territorio.
2. Valutazione dell’effettivo impatto di queste esternalità, tenendo conto delle
condizioni specifiche del territorio ospitante e degli obiettivi dell'investitore estero.
3. Comprensione dei fattori che influenzano il manifestarsi delle esternalità, per prevedere
l’effetto di tali investimenti sul territorio.
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1. Soglia minima di tecnologia: Le imprese devono disporre di un livello minimo di
tecnologia per poter sfruttare gli effetti positivi degli IDE .
2. Dimensione aziendale e qualità del capitale umano
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competenze condivise, aumentando l'imprenditorialità nel territorio e generando
opportunità di business.
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meccanismi per attrarli al territorio. Ciò implica un'attività di scouting internazionale e
l'accompagnamento degli investitori, promuovendo le offerte locali in modo strategico.
Sostegno finanziario diretto
Il sostegno finanziario diretto è un efficace strumento per incentivare l’insediamento di nuove
imprese, ma non è adeguata a lungo termine. Una volta che l’investitore si stabilizza, gli
incentivi dovrebbero diminuire, e la politica dovrebbe concentrarsi su offerta di servizi
qualificati e sul rafforzamento delle relazioni con attori locali, riducendo il ricorso agli incentivi
economici diretti.
Vantaggi competitivi e distorsioni
La concessione di incentivi offre un vantaggio competitivo debole e facilmente replicabile da
altri governi, sebbene possa essere limitato dalla legislazione sovranazionale. Competere
unicamente attraverso incentivi presenta diversi rischi:
1. Aumento dei costi: Gli incentivi comportano un costo implicito elevato per il territorio
ospitante.
2. Mobilità degli investimenti: Favoriscono una maggiore mobilità geografica degli
investimenti, complicando la fidelizzazione degli investitori stranieri (più difficile customer
retention).
3. Distorsioni competitive: Gli incentivi possono penalizzare gli operatori locali, creando
disparità nel mercato.
IL MARKETING TERRITORIALE PER L’ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI ESTERI: CENNI
Approccio metodologico e operativo.
La politica di attrazione degli investimenti diretti esteri (IDE) può trarre vantaggio
dall’approccio metodologico e operativo del marketing territoriale, che introduce un
principio fondamentale: È necessario allineare l’evoluzione dell’offerta territoriale alle esigenze
di chi rappresenta la domanda, in particolare di quei soggetti che contribuiscono positivamente
alla crescita equilibrata del territorio.
Questo approccio implica due aspetti principali:
Definizione delle priorità: Identificare le tipologie di investitori e investimenti produttivi
da privilegiare, in base al loro impatto positivo sul territorio.
Valutazione delle aspettative: Progettare interventi per migliorare l’offerta territoriale
(materiale e immateriale) considerando le esigenze e aspettative dei potenziali utenti
principali.
Funzioni del marketing territoriale
Le principali funzioni del marketing territoriale includono:
Funzione cognitiva: acquisizione e analisi delle informazioni sull’offerta e domanda
territoriale.
Funzione progettuale: creazione di iniziative per rafforzare l’attrattività.
Funzione politica: rilevazione degli interessi degli attori locali e costruzione di una visione
condivisa.
Funzione gestionale: azioni dirette di intervento e coordinamento per attrarre investitori
esterni.
Funzione di comunicazione: rafforzare la percezione del territorio e delle sue risorse.
Strategia di attrazione degli investimenti
La strategia di attrazione degli investimenti diretti deve focalizzarsi su segmenti specifici di
domanda, tenendo conto dell’importanza delle economie di agglomerazione nelle scelte di
localizzazione. Elementi principali della strategia:
1. Specializzazione: Le politiche industriali locali puntano alla massima specializzazione in
alcuni settori produttivi, senza tuttavia ricadere in una mono-specializzazione. È necessaria
una scelta chiara dei settori in cui eccellere a livello internazionale e una focalizzazione
costante nel tempo.
2. Flessibilità verso filiere diverse: Pur mantenendo un focus sui settori target, possono
essere attratti IDE in filiere diverse quando qualificati stakeholder locali propongono
iniziative coerenti con lo sviluppo sostenibile del territorio e con la politica economica
generale.
Criteri di segmentazione per l’attrazione di IDE
La segmentazione per l’attrazione degli investimenti diretti esteri (IDE) si basa su due criteri
principali:
Potenziale di attrattività del territorio: Dipende dal livello dei fattori materiali e
immateriali che influenzano l’attrattività dell’area rispetto a quelle concorrenti. Il potenziale
di attrattività varia in base al tipo di investimento/attività economica, poiché diversi settori
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attribuiscono importanza a fattori distinti. Per una valutazione accurata, è preferibile
stimare la competitività dell’area considerando una specifica tipologia di investimento e
ponderando adeguatamente le determinanti.
Apporto potenziale dell’attività economica allo sviluppo sostenibile: che si valuta in
base a valore aggiunto netto che le imprese del settore possono generare a beneficio
del territorio e interesse degli attori locali, concretamente espresso, per l’insediamento
di imprese della filiera.
CAPITOLO 2: PERCHÉ OPERARE A LIVELLO INTERNAZIONALE
2.1 LE CAUSE DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’IMPRESA
L’espansione internazionale di un’impresa è influenzata sia da fattori interni, legati alle
condizioni aziendali, sia da elementi esterni, riguardanti il contesto ambientale. Analizzare
questi fattori è cruciale poiché incidono sulle strategie e sull’organizzazione dell’impresa,
nonché sulla natura del processo di internazionalizzazione, che può variare in termini di
rapidità, estensione e intensità.
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Interazione tra risorse e conoscenze: Il processo di internazionalizzazione è sempre
espansivo e alimentato dall’aumento dell’impegno di risorse e delle conoscenze
internazionali dell’azienda. L’intensità di sviluppo della posizione estera dipende
dall’interazione tra questi due elementi.
Riduzione delle liabilities of foreignness (svantaggi): Con il progredire
dell’internazionalizzazione, l’impresa riduce i svantaggi derivanti dall’operare all’estero, che
includono problemi logistici, mancanza di familiarità con il mercato locale e restrizioni
normative o comportamenti non favorevoli degli stakeholder locali. Il peso di questi
svantaggi è influenzato dalla “psychic distance”, ovvero le differenze socio-culturali e
geografiche tra il paese d’origine e il mercato estero, che rendono più difficile l’operatività.
Le reti di relazioni e la loro importanza
Negli ultimi anni, la ricerca ha sottolineato l’importanza delle reti di relazioni internazionali nel
processo di espansione estera delle imprese. Questo processo implica un progressivo
arricchimento delle connessioni con diversi attori in vari paesi, che rafforza la presenza e il
ruolo dell’impresa nelle reti di business internazionali. In questa ottica,
l’internazionalizzazione non è misurata solo in base al numero di mercati in cui un’impresa
opera, ma soprattutto in relazione alla significatività delle reti internazionali e al ruolo che essa
ricopre al loro interno. Pertanto, la strategia di internazionalizzazione mira a consolidare le
connessioni delle imprese nei sistemi sovra-locali di produzione e distribuzione del valore.
La strategia produttiva internazionale
Un filone di studi ha analizzato le dinamiche dell’espansione produttiva all’estero, identificando
due fattori strategici principali:
1. Pressione per la riduzione dei costi e aumento di efficienza.
2. Necessità di adattamento locale, ossia la capacità di differenziare l’offerta in base alle
specificità della domanda nei vari mercati.
La strategia produttiva internazionale viene definita in base all’importanza attribuita a queste
due variabili:
Strategia multinazionale: Prioritizza l’adattamento locale, massimizzando l’efficienza in
ciascun paese in cui l’impresa opera.
Strategia globale: Si concentra sull’efficienza complessiva del gruppo, cercando di
sfruttare le sinergie di costo attraverso l’integrazione delle unità produttive, anche a costo
di standardizzare l’offerta nei diversi mercati.
Strategia transnazionale: Cerca di bilanciare i due obiettivi, sviluppando configurazioni
produttive e organizzative che massimizzano la produttività complessiva e rispondono
efficacemente alle specificità dei vari paesi.
Gli investimenti diretti esteri
Dunning distingue gli investimenti diretti esteri in tre categorie, in base alle motivazioni
strategiche all’origine:
a) Market seeking: mirati a entrare in mercati con elevati tassi di sviluppo, dove l’impresa
può sfruttare vantaggi competitivi significativi rispetto agli operatori locali.
b) Natural resource seeking: volti a garantire un accesso privilegiato a input produttivi
fondamentali, difficilmente reperibili in altre aree.
c) Low cost seeking: che si concentrano sull’insediamento di attività della catena del valore
in regioni dove i costi di realizzazione sono inferiori, permettendo di ottenere un vantaggio
di costo su scala globale.
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l’impresa deve avere la capacità di integrarsi nei nuovi contesti geografici e trasferire
competenze acquisite tra le sue diverse filiali.
Un altro fattore importante è il grado di esperienza internazionale e le risorse che l’impresa
possiede per operare all’estero. L’interdipendenza tra sviluppo di esperienza internazionale
e cultura internazionale e l’espansione delle attività estere è fondamentale per determinare
la portata della strategia di internazionalizzazione.
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Ostacoli all’internazionalizzazione: Al contrario, possono esistere politiche che limitano
l’internazionalizzazione, come misure protezionistiche che mirano a ridurre le importazioni
di prodotti esteri, influenzando le modalità con cui le imprese operano sui mercati
internazionali.
Opportunità Commerciali Specifiche
Il presentarsi di opportunità commerciali significative può spingere un’impresa a espandersi
all’estero. In questo caso, l’impresa è stimolata da un cliente o intermediario estero che
presenta una domanda consistente, anche se non necessariamente stabile. L’espansione non è
quindi una scelta strategica deliberata (no cercata da impresa), ma può creare le condizioni
favorevoli per un successivo e più ampio processo di internazionalizzazione.
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5. Adattare gli strumenti di politiche pubbliche per facilitare la partecipazione delle PMI agli
appalti pubblici e migliorare l’uso degli aiuti di Stato.
6. Facilitare l’accesso delle PMI ai finanziamenti e promuovere un ambiente che supporti i
pagamenti tempestivi.
7. Aiutare le PMI a sfruttare appieno le opportunità offerte dal Mercato Unico.
8. Promuovere il miglioramento delle competenze nelle PMI e incentivare l’innovazione.
9. Permettere alle PMI di trasformare le sfide ambientali in opportunità.
10. Sostenere le PMI nel trarre vantaggio dai mercati in crescita.
Questi principi mirano a favorire la crescita, l’innovazione e la competitività delle PMI europee a
livello globale.
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Due ostacoli principali emergono nella fase iniziale (progettazione e avvio)
dell’internazionalizzazione:
Mancanza di informazioni adeguate sui mercati esteri e difficoltà nell’acquisirle in
modo efficiente.
Scarsa capacità finanziaria di sostenere gli investimenti necessari per entrare in
nuovi mercati, che sono generalmente rilevanti e incerti.
Questi limiti spiegano perché molte PMI iniziano a esportare solo dopo contatti occasionali
con acquirenti esteri o attraverso esportazioni indirette (stimolate da intermediari), che
non richiedono analisi approfondite dei mercati e degli operatori esteri, e che comportano
investimenti più contenuti e rischi più prevedibili.
Limiti Organizzativi e di Capitale Umano
Gli ostacoli all’internazionalizzazione delle PMI riguardano principalmente la mancanza di
risorse umane qualificate e di capacità organizzative. Tra i problemi principali:
Percezione limitata dell’opportunità o necessità di espandersi all’estero.
Mancanza di risorse umane capaci di gestire le nuove attività all’estero.
Competenze organizzative insufficienti per gestire il business su scala
internazionale.
Nei settori maturi, il capitale umano delle PMI spesso non ha le competenze necessarie per
gestire operazioni internazionali. Inoltre, le risorse umane sono spesso impegnate nelle
attività quotidiane e non possono essere facilmente spostate verso funzioni internazionali.
Esportazione Indiretta
Le difficoltà organizzative e di capitale umano spingono le PMI a intraprendere
l’internazionalizzazione attraverso forme di esportazione indiretta. In questa modalità,
l’intermediario si occupa di tutte le attività necessarie per esportare, come la gestione delle
operazioni sul mercato estero, la ricerca di opportunità commerciali e la strategia di marketing.
L’intermediario stimola e assiste l’impresa nell’ingresso nei mercati internazionali con il minimo
impegno organizzativo e finanziario.
Il Sistema Organizzativo
Il sistema organizzativo aziendale influisce fortemente sull’evoluzione
dell’internazionalizzazione. Le PMI che sono presenti sui mercati esteri da tempo, ma con
un livello di attività limitato, spesso sono bloccate dalla staticità organizzativa. La gestione
quotidiana dell’impresa da parte dell’imprenditore, che può essere reticente ai cambiamenti
organizzativi, ostacola l’evoluzione del processo di espansione estera.
Un’internazionalizzazione significativa richiede modelli gestionali e procedure più complesse,
che richiedono competenze organizzative nuove e sofisticate rispetto a quelle necessarie
per la gestione del business locale. Il mantenimento dello status quo a livello organizzativo
può limitare l’espansione internazionale dell’impresa.
Limiti di Competitività
I limiti di competitività delle PMI nei mercati internazionali emergono in diversi aspetti:
Efficienza ridotta: Le PMI sono penalizzate dalla scarsa efficienza produttiva, dalla
gestione logistica meno ottimizzata e dall’incapacità di sfruttare economie di scala e di
esperienza.
Minore potere negoziale: Risultano meno influenti rispetto ai fornitori di servizi logistici e
ai distributori internazionali.
Costi elevati: Subiscono costi poco comprimibili e non recuperabili per l’avvio e la
gestione delle operazioni internazionali, inclusi quelli legati a intermediazione, trasporto,
logistica e assicurazione.
Questi ostacoli sono più significativi per le PMI che non appartengono a gruppi, sono di piccole
dimensioni, operano in settori non manifatturieri, non sono innovative e non hanno una
strategia chiara di espansione. Al contrario, le PMI che appartengono a un gruppo, hanno
dimensioni maggiori, operano nei settori manifatturieri, sono innovative e hanno una strategia
di espansione ben definita tendono a mostrare una maggiore presenza internazionale
19
dell’impresa quell’azione innovatrice grazie alla quale l’assetto strutturale dell’azienda viene
modificato o addirittura “rivoluzionato” per essere sempre coerente con le condizioni esterne .
L'Impulso
L’impulso è la fase iniziale in cui l’imprenditore, sulla base di un'interpretazione dell'evoluzione
ambientale, modifica lo status quo dell’impresa e la sua posizione competitiva. Durante questa
fase, l'impulso innesca cambiamenti nel sistema aziendale, nelle dinamiche di apprendimento e
nelle orientazioni strategiche. Questi cambiamenti sono fondamentali per adattare l'impresa al
nuovo contesto internazionale.
Stabilizzazione
La fase di stabilizzazione segue l’impulso, durante la quale le nuove modalità operative
vengono consolidate per migliorare l'efficienza e aumentare la coesione del sistema
organizzativo. Questo processo consente all’impresa di raggiungere una certa stabilità nelle
sue operazioni estere. La PMI prosegue così con un’alternanza di fasi di impulso e
stabilizzazione, che non hanno una tempistica predeterminata.
Modifiche e cambiamenti
L’espansione estera delle imprese inizia con un impulso dell’organo di governo, che determina
cambiamenti organizzativi, come l’adattamento delle routine gestionali. Questi
cambiamenti risultano essenziali per:
Accrescere la compatibilità dell’impresa con il nuovo contesto ambientale e con le necessità
degli attori interni ed esterni coinvolti.
Ottenere risultati competitivi e stimolare l’apprendimento aziendale.
I risultati ottenuti e l’esperienza maturata influenzano a loro volta l’organo di governo, che può
generare nuove iniziative per l’internazionalizzazione grazie alla sua funzione innovatrice.
Coerenza
Non esiste un percorso predefinito o un momento specifico per avviare il processo di
internazionalizzazione:
Alcune imprese iniziano il loro percorso internazionale dopo lunghi periodi di attività locale,
limitata spesso a un ambito regionale o provinciale.
Altre imprese, invece, nascono già con un orientamento internazionale.
Anche il periodo di stabilizzazione non segue una durata standard: molte PMI però mantengono
a lungo invariata la loro quota di fatturato estero. È fondamentale, però, garantire coerenza tra
l’impulso iniziale e la fase di stabilizzazione.
20
Le PMI di solito si espandono all'estero in risposta a stimoli esterni (intermediari/clianti) o a
decisioni strategiche interne. Le tre principali modalità di internazionalizzazione sono:
congiunturale, trainata e progettata.
21
d) supporto organizzativo per avviare le forniture all’estero.
Ricerche empiriche confermano che la vicinanza fisica a grandi imprese internazionali è una
determinante fondamentale per l’espansione estera delle PMI, risultando la seconda
motivazione più comune per l’investimento estero delle imprese minori in Europa.
Altre Modalità di Espansione Trainata
Esistono altre tre modalità significative attraverso cui il contatto delle PMI con operatori
internazionali promuove la loro espansione estera:
1. Confronto competitivo: La riduzione delle barriere geografiche e l’apertura dei mercati
globali costringono le imprese locali a confrontarsi con competitor esteri. Questo
coinvolgimento nelle dinamiche della competizione internazionale spinge le PMI a
sviluppare competenze necessarie per rimanere competitive, spesso portandole a cercare
attivamente opportunità in altri mercati.
2. Spillovers da grandi imprese internazionali: Le grandi aziende internazionali operanti
nel territorio generano spillovers che migliorano la qualità delle tecnologie, del capitale
umano e delle conoscenze disponibili per le PMI locali. Inoltre, queste piccole imprese
possono essere coinvolte in progetti internazionali avviati da tali grandi aziende, ampliando
ulteriormente le loro opportunità di crescita.
3. Acquisizione da parte di gruppi internazionali: L’acquisizione di una PMI da parte di un
gruppo internazionale rappresenta un meccanismo di espansione significativo. Un’azienda
di piccole dimensioni, con risorse distintive - vantaggi competitivi e forte radicamnto, può
diventare un target ideale per un’impresa internazionale che desidera espandere la propria
presenza in un mercato specifico. Attraverso l’acquisizione, la PMI entra in un contesto
aziendale internazionale, ampliando le proprie attività oltre il mercato locale.
22
Il cambiamento dell’orientamento dell’imprenditore è stimolato anche da condizioni specifiche
del mercato e della concorrenza. Esempi comuni includono: Fluttuazioni significative dei tassi di
cambio / Crescita internazionale della domanda nei segmenti già target dell’impresa /
Maturazione della domanda interna e aumento della concorrenza, con conseguente riduzione
dei margini / Opportunità per ridurre i costi di produzione.
In risposta a questi eventi, l’imprenditore può riconsiderare la decisione di espandersi
all’estero, modificando orientamenti precedenti. L’internazionalizzazione “progettata” ha
successo quando è supportata da un efficace cambiamento organizzativo, che include il
rafforzamento delle competenze manageriali e l’evoluzione della struttura aziendale.
3.4 FATTORI CRITICI PER IL SUCCESSO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE ALL’ESTERO
3.4.1 LE CARATTERISTICHE PREVALENTI DELLE PICCOLE IMPRESE DI SUCCESSO
ALL’ESTERO
Numerosi studi empirici hanno identificato alcune
caratteristiche comuni delle piccole e medie imprese (PMI) di
successo nei mercati internazionali. Questi tratti comuni
sono:
1. Qualità imprenditoriale
2. Significativo capitale immateriale (conoscenze,
reputazione, relazioni)
3. Competizione focalizzata su nicchie di mercato
4. Capacità innovativa diffusa
Qualità Imprenditoriale
La qualità imprenditoriale è un fattore chiave per il successo,
caratterizzata da elevate competenze tecniche, gestionali e
culturali, insieme a una forte energia propulsiva
dell’imprenditore e del suo team. Le relazioni attorno
all’imprenditore sono fondamentali, poiché permettono
anche alle piccole imprese di ottenere un riconoscimento e una reputazione nel proprio settore,
oltre a garantire l’accesso alle risorse e competenze necessarie per implementare strategie di
internazionalizzazione. Nelle piccole imprese di successo, la figura centrale dell’imprenditore è
spesso supportata da una governance aziendale adeguata, che include il coinvolgimento e la
valorizzazione di manager competenti.
Significativo Capitale Immateriale
Il continuo sviluppo del capitale immateriale è un tratto distintivo delle piccole imprese che
hanno successo a livello internazionale. Queste aziende sono in grado di valorizzare
internazionalmente le proprie competenze distintive sviluppate nel mercato di origine e di
apprendere costantemente dai contesti esteri in cui operano, arricchendo le loro competenze
tecniche, organizzative e di marketing. In particolare, le PMI coinvolte in business innovativi
partecipano a progetti internazionali di ricerca e riescono a collaborare con grandi imprese
23
estere. Nonostante le loro dimensioni contenute e i limiti organizzativi, queste PMI godono di
una reputazione di eccellenza a livello internazionale, che, insieme alle competenze tecnico-
produttive, le rende interlocutori credibili in progetti complessi. Inoltre, è fondamentale per loro
sviluppare relazioni internazionali con attori chiave come imprese della stessa filiera, istituzioni
locali, banche e università.
Competizione Focalizzata su Nicchie di Mercato
Le piccole imprese tendono a adottare una strategia di focalizzazione, individuando nicchie
di mercato in cui possono ottenere e mantenere un vantaggio competitivo. Le PMI di successo a
livello internazionale replicano questa strategia su diversi mercati geografici, adattando le loro
offerte alle diversità della domanda legate ai fattori specifici di ciascun Paese. Questo processo
trasforma la nicchia in una nicchia internazionale, richiedendo competenze nel personalizzare il
marketing mix per soddisfare le esigenze di acquirenti simili in diverse aree geografiche.
Mantenere una forte concentrazione su specifiche aree di mercato in vari Paesi contribuisce
anche al consolidamento della leadership tecnologica percepita dall’azienda.
Capacità Innovativa
Una caratteristica distintiva delle piccole e medie imprese competitive all’estero è la loro
notevole capacità innovativa, in particolare nelle innovazioni di prodotto, anche se solo
alcune aziende scelgono di brevettarle. Queste imprese mostrano anche un’attitudine al
cambiamento organizzativo e una flessibilità strategica in risposta alle dinamiche globali e alle
specificità dei mercati in cui operano, comportandosi in modo simile alle grandi imprese,
seppur su scala ridotta. L’innovazione è supportata da una cultura aziendale orientata al
cambiamento, alimentata dall’azione imprenditoriale e da investimenti significativi in ricerca e
sviluppo, oltre a relazioni e collaborazioni con soggetti istituzionali per realizzare progetti
innovativi.
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L’IMPATTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE SULLA DIMENSIONE FINANZIARIA DELLE
PMI E SULLA LORO DOMANDA DI FINANZA
L'espansione internazionale ha effetti diversi sulla dimensione finanziaria di una PMI e sulla sua
domanda di finanza, a seconda delle modalità di ingresso nei mercati esteri, della struttura
patrimoniale e della posizione competitiva dell’impresa. Gli aspetti finanziari influenzati
dall’internazionalizzazione comprendono:
1. Il rischio specifico
2. Il capitale intangibile
3. La dinamica dei flussi di cassa
Il Rischio Specifico
In generale, l’internazionalizzazione, soprattutto nelle fasi iniziali, tende ad aumentare il
rischio specifico per le PMI. L’ingresso in nuovi mercati comporta una maggiore complessità e
incertezza competitiva, richiedendo una struttura organizzativa più sofisticata. Le PMI possono
affrontare vari rischi nelle operazioni con l’estero, tra cui:
Rischio Paese: Maggiore è il radicamento produttivo nel Paese estero, più elevato è il
rischio.
Rischio di cambio: Fluttuazioni valutarie possono influenzare negativamente i risultati
finanziari.
Rischio sui tassi di interesse: Potrebbe presentarsi durante operazioni finanziarie
internazionali.
Rischio legato alla leva operativa: Investimenti significativi in attività fisse possono
aumentare il grado di rischio.
Tuttavia, l’espansione in nuovi mercati è anche una forma di diversificazione del business
che può ridurre il rischio sistematico legato al contesto geografico. L’internazionalizzazione
è spesso motivata dalla ricerca di nuovi mercati per superare i limiti di sviluppo del mercato di
origine. È importante notare che la diversificazione geografica ha effetti significativi sulla
riduzione del rischio solo quando è estesa; le PMI, in particolare nelle fasi iniziali, potrebbero
non raggiungere tali livelli
Il Capitale Intangibile e la Sua Importanza Finanziaria
L’internazionalizzazione delle PMI comporta un aumento del peso del capitale intangibile,
che riveste un’importanza significativa dal punto di vista finanziario.
Immagine e marchio: La presenza sui mercati esteri rafforza l’immagine e il marchio
dell’impresa, elementi essenziali per competere a livello internazionale.
Competenze organizzative: Migliorano le competenze e la qualità delle capacità
organizzative dell’azienda, incrementando la sua competitività.
Capitale relazionale: Cresce il capitale relazionale, ampliando le opportunità strategiche
in diversi mercati.
In sintesi, il successo sui mercati esteri porta a un notevole aumento del patrimonio
immateriale, che diventa una parte significativa dell’attivo totale dell’impresa, soprattutto nelle
PMI. È cruciale che banche e investitori riconoscano questo valore, traducendolo in condizioni di
finanziamento più favorevoli per le PMI.
La Dinamica dei Flussi di Cassa nell’Espansione Estera
La dinamica dei flussi di cassa è un elemento cruciale, particolarmente influenzato
dall’espansione internazionale delle piccole e medie imprese (PMI). Durante questa fase, si
riscontra una maggiore difficoltà nella previsione dei flussi di cassa e una potenziale variabilità,
specialmente fino a quando l’azienda non si stabilizza nei nuovi mercati esteri.
Stabilità delle fonti finanziarie: Una delle necessità fondamentali per le PMI in
espansione è garantire la stabilità delle fonti di finanziamento. Questo implica l’uso di
strumenti di debito a medio/lungo termine o, in alcune circostanze, di capitale di rischio. Le
PMI più giovani e meno consolidate necessitano di supporti finanziari specifici, in particolare
per coprire i costi iniziali legati all’ingresso in nuovi mercati. È anche vitale avere accesso a
strumenti di finanziamento per il capitale circolante, inclusi i crediti.
Ottimizzazione della gestione finanziaria: L’internazionalizzazione richiede
un’ottimizzazione nella gestione dei fabbisogni finanziari a causa della crescente difficoltà
di prevedere i bisogni stessi, dei possibili costi finanziari più elevati e dei flussi di cassa
negativi che possono verificarsi nelle fasi iniziali del processo di espansione. È
fondamentale che le risorse finanziarie siano disponibili al momento del bisogno, e che
siano strutturate per posticipare il servizio del debito, massimizzando così
l’autofinanziamento delle attività necessarie per l’espansione.
25
Condizioni di rimborso: Le esigenze di rimborso per le PMI variano in base al modo in cui
operano all’estero e agli impegni finanziari assunti. In generale, è importante per le PMI
riuscire a ritardare il più possibile la remunerazione del capitale investito, al fine di
ottimizzare l’autofinanziamento delle risorse destinate all’espansione internazionale.
Le PMI impegnate in processi di internazionalizzazione tendono a presentare una domanda
complessa di servizi, che include:
Fornitura di informazioni dettagliate sui mercati esteri, contrroparti
commerciali e sulle condizioni operative.
Creazione di contatti e relazioni con potenziali partner commerciali.
Accompagnamento nei mercati esteri per facilitare l’ingresso.
Assistenza nella gestione finanziaria e nel recupero dei crediti dai clienti.
Questi servizi hanno anche aspetti non puramente finanziari. Negli ultimi anni, molte istituzioni
finanziarie hanno iniziato a includere tali servizi nelle loro offerte, posizionandosi come
“consulenti strategici e organizzativi” per le PMI nei mercati esteri. Ciò consente alle aziende di
gestire le loro esigenze finanziarie e operative attraverso un unico interlocutore, semplificando
il processo di espansione.
Inoltre, esiste una connessione importante tra l’erogazione di finanziamenti per
l’internazionalizzazione e la fornitura di servizi a supporto di tale strategia; i servizi che
rinforzano la strategia di espansione estera possono ridurre il rischio associato ai finanziamenti,
rendendo le PMI più credibili agli occhi degli investitori e delle istituzioni finanziarie.
26
È importante notare che l’avanzamento nel processo di internazionalizzazione non porta
necessariamente a un maggiore impegno (commitment) verso una specifica area geografica.
Infatti, l’organizzazione della catena del valore a livello internazionale può indurre l’impresa a
considerare le diverse aree geografiche come parti di una macro-area, sviluppando strategie e
scelte organizzative in tale ottica.
Di conseguenza, i grandi gruppi globali potrebbero prestare meno attenzione al loro Paese di
origine rispetto alle aree geografiche che contribuiscono in modo significativo alla creazione di
valore economico.
Conoscenza
La conoscenza acquisita dall’impresa durante l’evoluzione internazionale riguarda tre aspetti
fondamentali:
a. le condizioni competitive dei mercati esteri e le linee di sviluppo della competizione
internazionale;
b. le modalità organizzative e strategiche per raggiungere una valida posizione competitiva
internazionale;
c. le modalità di acquisizione e valorizzazione delle competenze necessarie per operare con
successo all’estero.
Relazioni
Il processo di internazionalizzazione è caratterizzato dallo sviluppo di relazioni sia esterne, tra
l’impresa e i soggetti nei nuovi mercati, sia interne, tra le unità organizzative operanti
all’estero e la casa-madre. Queste relazioni influenzano le diverse fasi
dell’internazionalizzazione, poiché il modo in cui l’impresa organizza i legami e gestisce
l’interdipendenza con gli interlocutori locali è cruciale per la sua evoluzione internazionale.
La gestione efficace delle interdipendenze è fondamentale per la strategia di sviluppo estero
dell’impresa. Seguendo l’ipotesi di Dunning sulle motivazioni all’espansione internazionale, si
può affermare che l’espansione, oltre che essere market, low cost o resource seeking, può
essere relationship seeking.
Interdipendenze e Gestione Strategica
Il sistema di relazioni che un’impresa stabilisce sia internamente che esternamente influisce su
due elementi chiave del processo di internazionalizzazione: il commitment e la conoscenza.
Commitment: Il livello di impegno dell’impresa in una specifica area è proporzionale
all’intensità della sua integrazione nella rete locale e all’importanza dei rapporti all’interno
di essa per le performance strategiche ed economiche.
Conoscenza: La maturazione della conoscenza è anch’essa legata alle relazioni
internazionali. Le opportunità per un’impresa di acquisire risorse in un mercato estero
dipendono principalmente dai legami che la sussidiaria stabilisce con i soggetti locali.
Inoltre, la condivisione di questa conoscenza all’interno del gruppo internazionale è influenzata
dalla struttura e dal funzionamento della rete interna.
4.2.2 I NODI STRATEGICI E ORGANIZZATIVI DURANTE IL PROCESSO DI
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Anche se ogni impresa segue un percorso di internazionalizzazione unico, tutte si trovano a
dover affrontare quattro principali trade-off riguardanti aspetti cruciali del processo:
1. Comportamento strategico
2. Assetto organizzativo
3. Vantaggio competitivo
4. Rischio
Analizziamo i Trade-Off
Comportamento strategico: Espansione vs. Integrazione
Le imprese devono trovare un equilibrio tra l’espansione in nuovi mercati per accedere a
opportunità e risorse distintive e la capacità di integrare le operazioni nei vari contesti
geografici. L’obiettivo è sfruttare i vantaggi della dimensione globale, che include
l’ottimizzazione delle risorse e delle strategie aziendali.
Assetto organizzativo: Autonomia vs. Unitarietà
La questione organizzativa principale riguarda l’equilibrio tra l’autonomia delle imprese
controllate, che consente flessibilità e reattività ai cambiamenti del contesto locale, e il
mantenimento dell’unitarietà del gruppo, garantendo una governance adeguata alle
aspettative degli stakeholder finanziari e istituzionali. Questo equilibrio influisce anche sul
capitale umano, dove è fondamentale sviluppare eterogeneità e sfruttare le potenzialità
individuali, promuovendo al contempo una cultura aziendale unitaria per minimizzare le
differenze culturali. Per le figure dirigenziali, è importante trovare un mix tra talenti locali e
27
quelli provenienti da altre aree geografiche, focalizzandosi su strategie efficaci di selezione e
sviluppo dei talenti nell’ambito dell’impresa globale.
Vantaggio competitivo: Efficienza produttiva vs. Adattamento al mercato
Per ottenere un solido vantaggio competitivo, le imprese internazionali devono garantire una
massima efficienza produttiva globale e una adeguata differenziazione nella catena del valore
globale. Ciò implica concentrare la produzione in strutture altamente efficienti in grado di
sfruttare le economie di scala e localizzare le attività produttive in contesti favorevoli. È
fondamentale anche esternalizzare attività a operatori specializzati e ottimizzare la logistica.
Inoltre, per massimizzare il valore percepito dal cliente, le imprese devono adattarsi alle
specificità dei mercati locali, dimostrando flessibilità e attenzione alle caratteristiche
geografiche.
Rischio: Rischio vs. Diversificazione
L’ultimo trade-off che un’impresa internazionale deve affrontare riguarda il rischio.
L’internazionalizzazione può ridurre il rischio complessivo attraverso la diversificazione, ma le
opportunità più significative si trovano spesso in aree geografiche ad alto rischio. Pertanto,
l’espansione estera tende ad aumentare il rischio totale. Le imprese devono gestire la propria
presenza internazionale valutando i rischi specifici in ciascun Paese e cercando di mitigarli con
una pianificazione geografica adeguata e strumenti finanziari appropriati. Una gestione efficace
del rischio è anche legata allo sviluppo di relazioni positive con gli stakeholder locali.
Dove? La Scelta Geografica
Una scelta cruciale nel processo di internazionalizzazione di un’impresa riguarda le aree
geografiche in cui realizzare attività economiche. Secondo un modello teorico di
internazionalizzazione “incrementale”, nelle fasi iniziali, le imprese tendono a entrare in
mercati vicini, sia geograficamente sia per affinità nelle caratteristiche del mercato, istituzionali
e socio-culturali. Con il tempo e l’acquisizione di esperienza internazionale, si orientano verso
aree più distanti. Questo approccio è supportato da evidenze empiriche.
Negli ultimi anni, tuttavia, è emersa una modalità di espansione estera differente, in cui la
prossimità al Paese di origine perde importanza, specialmente nel caso delle imprese “born
global”, che si espandono rapidamente in mercati internazionali fin dall’inizio.
Diversificazione o Concentrazione?
La scelta dei Paesi in cui operare è influenzata dall’orientamento strategico riguardo al grado di
diversificazione o concentrazione della presenza internazionale. Per i gruppi globali, presenti
praticamente ovunque, questa distinzione è meno significativa. Tuttavia, anche per gruppi
fortemente internazionalizzati, le dinamiche di sviluppo sono influenzate dall’ampiezza
geografica e dalle macroaree di concentrazione delle attiivtà. In generale, la concentrazione
su un numero limitato di mercati è vantaggiosa quando:
i) il numero di clienti potenziali è elevato o in crescita;
ii) il valore potenziale è alto;
iii) la domanda non è ciclica;
iv) non ci sono imprese dominanti;
v) l’impresa possiede vantaggi competitivi specifici per quei mercati;
vi) le relazioni con gli stakeholder locali sono cruciali per lo sviluppo del business.
Al contrario, la diversificazione geografica è preferibile nelle situazioni opposte e quando
l’offerta è standardizzabile per mercati diversi con costi logistici contenuti.
4.2.3 GLI INDICATORI DELL'INTENSITÀ DEL PROCESSO DI ESPANSIONE ESTERA
DELL'IMPRESA
L'intensità del processo di espansione estera può essere misurata sia attraverso indicatori
quantitativi che qualitativi.
Aspetti Quantitativi
Gli indicatori quantitativi offrono misure dirette del grado di internazionalizzazione dell'impresa.
Tra i principali:
Fatturato realizzato all'estero: rapporto tra il fatturato estero e il fatturato totale.
Valore aggiunto o margine operativo all'estero: rapporto tra il valore aggiunto o
margine operativo estero e il totale di questi indicatori.
Numero di dipendenti all'estero: rapporto tra dipendenti esteri e totale dipendenti.
Investimenti produttivi all'estero: rapporto tra investimenti produttivi esteri e totale
investimenti.
Inoltre, è utile considerare il grado di internazionalizzazione del vertice aziendale, cioè la
proporzione di top e middle manager di origine estera. Per le grandezze economiche, si
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possono analizzare anche i valori relativi a singoli mercati esteri o aggregazioni di essi. Per le
grandezze patrimoniali, è importante considerare sia i valori di stock che i flussi annui.
Aspetti Qualitativi
Gli aspetti qualitativi sono altrettanto rilevanti per comprendere il livello di
internazionalizzazione di un'impresa. Tra questi:
• il rilievo delle operazioni estere nel piano strategico dell’impresa e nel suo modello di
business;
• l’articolazione organizzativa delle attività estere;
• la misura in cui i processi produttivi sono organizzati e attuati su scala internazionale;
• la qualità delle conoscenze disponibili relativamente alle caratteristiche dei mercati esteri;
• l’importanza delle relazioni interne ed esterne a livello internazionale nello sviluppo delle
risorse e delle competenze dell’impresa.
29
Le imprese “born global” affrontano svantaggi tipici delle piccole aziende, ma riescono a
neutralizzarli grazie alla qualità del loro capitale immateriale, caratterizzato da quattro aspetti
principali:
1. Relazioni e reputazione: Hanno costruito relazioni e una reputazione riconosciuta che le
inserisce in sistemi internazionali di creazione di valore.
2. Competenze organizzative: Dispongono di abilità per gestire efficacemente le attività,
sia direttamente che in collaborazione con altri, in diversi paesi.
3. Conoscenza del mercato internazionale: Possiedono una buona comprensione del
mercato globale, dei clienti e dei concorrenti, riuscendo a stabilire relazioni dirette con i
primi e modalità di coopetition con i secondi.
4. Capacità di apprendimento organizzativo: Sono capaci di riconoscere e sfruttare
opportunità tecnologiche, utilizzare le conoscenze esistenti per svilupparne di nuove e
assumere un ruolo significativo nelle reti internazionali di generazione e scambio di
conoscenza.
La Componente Finanziaria
La componente finanziaria è cruciale per il successo e la crescita delle imprese “born global”.
Anche se le risorse iniziali, come il capitale proprio e l’autofinanziamento, possono essere
sufficienti per avviare l’attività a livello internazionale, non lo sono necessariamente per
consolidare il successo e realizzare un significativo salto dimensionale.
• Nelle fasi iniziali, gli investimenti possono essere finanziati facilmente, ma nelle fasi
successive è necessario accedere a fonti di finanziamento più robuste. La difficoltà nel
reperire tali risorse può ostacolare la crescita o addirittura mettere in crisi l’impresa.
• È essenziale avere un sistema finanziario che offra strumenti e servizi adeguati per
supportare il processo di internazionalizzazione. Affinché l’impresa possa instaurare un buon
rapporto con il sistema finanziario, è importante che sia avviata con un adeguato capitale
proprio in relazione alle sue prospettive di sviluppo e al tempo necessario per raggiungere la
redditività.
In questo contesto, la compagine imprenditoriale gioca un ruolo chiave, sia per la disponibilità
a finanziare direttamente l’iniziativa, sia per la capacità di interagire positivamente con gli
investitori in equity.
Gli Impulsi della Born Global
Nelle fasi iniziali del percorso internazionale, le imprese “born global” sperimentano un numero
elevato di impulsi in un breve lasso di tempo, il che può portare a un processo patologico e,
quindi, a una crisi rapida dell’iniziativa. Se riescono a superare questa fase critica, tendono a
sviluppare rapidamente il proprio posizionamento internazionale, sia in termini di presenza di
mercato che di organizzazione produttiva. La natura globale del loro business diminuisce
l’importanza dell’approccio tradizionale, che prevede un’espansione verso Paesi vicini
all’origine; invece, l’orientamento geografico è influenzato dalle attitudini, relazioni e
competenze dei membri del team imprenditoriale
Il Rafforzamento Organizzativo
La rapida evoluzione internazionale delle imprese “born global” richiede un significativo
rafforzamento organizzativo poco dopo l’avvio delle attività. Questo cambiamento è
necessario ma non sempre facile da realizzare, e la sua mancata attuazione può portare a crisi
aziendali.
Il rafforzamento riguarda principalmente il capitale umano, con l’inserimento di figure esterne
al team imprenditoriale per svolgere funzioni manageriali e tecniche specializzate. Ciò
comporta sfide comuni alle PMI, come l’integrazione tra l’imprenditore e i nuovi manager, la
gestione delle carriere delle risorse altamente competenti e la sostenibilità dei costi associati.
Inoltre, non tutte le born global diventano grandi; sebbene la loro natura internazionale
favorisca l’espansione, non è un fattore sufficiente. La spinta imprenditoriale potrebbe
diminuire, o l’impresa potrebbe non riuscire a consolidare efficacemente le relazioni
internazionali iniziali, perdendo opportunità di crescita. Il capitale immateriale disponibile
potrebbe non essere sufficiente a compensare gli svantaggi legati alla dimensione ridotta e alla
scarsa esperienza nei mercati internazionali.
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L’espansione estera è una strategia che può contribuire significativamente al raggiungimento
di un vantaggio competitivo per le imprese, grazie a diverse opportunità di arbitraggio legate
alle variazioni economiche, competitive e di mercato nelle varie aree geografiche.
Un aspetto chiave è la possibilità di abbattimento carico fiscale complessivo:
attraverso i prezzi di trasferimento, le aziende possono ottimizzare i risultati economici
delle loro filiali estere in base alle leggi fiscali locali, massimizzando così i benefici fiscali.
Inoltre, la teoria del ciclo di vita internazionale di Vernon offre un’altra opportunità di
arbitraggio, suggerendo che le imprese possono operare in aree con tassi di sviluppo
della domanda diversi, sfruttando le variazioni nel valore attribuito al prodotto nei vari
Paesi e allungando il ciclo di vita del prodotto. Questo concetto si applica non solo ai
prodotti, ma anche alla tecnologia e agli impianti utilizzati nei processi produttivi.
Da cosa deriva il vantaggio competitivo?
Il vantaggio competitivo di un’impresa in una nuova area geografica si origina dalla sua
capacità di svolgere attività in modo più efficiente ed efficace rispetto a quanto possa fare
nel proprio Paese di origine. Questo vantaggio si concretizza attraverso la gestione integrata
delle posizioni nelle diverse aree in cui l’impresa opera. Per acquisire e mantenere questo
vantaggio, l’impresa deve trovare un equilibrio tra l’azione locale, che sfrutta le opportunità
specifiche del territorio, e l’azione globale, che promuove una strategia integrata e coerente a
livello internazionale.
Effetti leva dell’estensione a livello internazionale
L’espansione internazionale delle attività di un’impresa rappresenta una leva competitiva
fondamentale, poiché crea condizioni difficilmente replicabili dagli operatori locali e influisce in
modo significativo sulla dinamica concorrenziale nei vari mercati. Questa espansione può
essere analizzata sotto diverse prospettive, tra cui la diversificazione del portafoglio, lo
sviluppo delle risorse e l’accrescimento del potere economico.
1. Diversificazione del portafoglio (1 LEVA)
L’internazionalizzazione consente all’impresa di diversificare i rischi associati a vari mercati.
Ogni area geografica può essere analizzata in base al suo potenziale rischio e rendimento,
permettendo all’azienda di costruire un portafoglio ottimale di attività. I benefici della
diversificazione del rischio derivano da tre fattori principali:
Compensazione dei rischi: La presenza in più Paesi consente di compensare andamenti
economici o socio-politici negativi in un mercato specifico, riducendo l’impatto negativo
complessivo sull’impresa.
Varietà di ambiti competitivi: Operare in diverse aree offre maggiori opportunità per
rispondere a eventuali attacchi competitivi, consentendo all’azienda di adattarsi
rapidamente a nuove sfide.
Minimizzazione dei rischi: La diversificazione riduce l’esposizione ai rischi legati a
variazioni dell’offerta di input produttivi e della domanda di mercato in specifici Paesi.
Tuttavia, se le caratteristiche e le performance delle aree geografiche sono positivamente
correlate, la rilevanza della diversificazione diminuisce.
2. Sviluppo delle risorse (2 LEVA)
L’operare in contesti internazionali consente all’azienda di ampliare la sua base di conoscenze,
reputazione e relazioni, che è significativamente più vasta rispetto a quella di concorrenti
operanti solo a livello nazionale. I principali vantaggi includono:
Riconoscibilità del marchio: Essere presenti in diversi mercati ha vantaggi di marketing
infatti aumenta la visibilità e la riconoscibilità del prodotto, facilitando le opportunità di
prova e fidelizzazione dei clienti.
Effetto made-in: La percezione della qualità del prodotto è influenzata dal Paese di
origine, dove una buona reputazione può diventare un elemento di differenziazione. Ad
esempio, prodotti di alta moda italiani o elettronica giapponese beneficiano di questa
associazione positiva. L’effetto made-in può essere sfruttato posizionando attività di ricerca
e produzione in aree con alta reputazione.
Dimensioni della reputazione: La reputazione di un’area geografica può riguardare:
Innovazione tecnica e produttiva delle imprese, Affidabilità dei processi e qualità dei
materiali, Capacità di design e creatività, Prestigio acquisito nel tempo.
3. Accrescimento del potere economico e extra-economico (3 LEVA)
La presenza internazionale può conferire potere economico che influisce sulla concorrenza nei
mercati nazionali. Tuttavia, questo tipo di leva può anche comportare distorsioni nei
meccanismi di mercato, generando effetti negativi sul benessere generale. Gli aspetti
includono:
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• Collusione tra grandi aziende: Le grandi imprese possono colludere per definire aree
geografiche di influenza, evitando una competizione aggressiva in determinati mercati.
• Pressione sui governi locali: Le aziende internazionalizzate possono spostare facilmente la
loro catena del valore in base alla convenienza economica. Ciò consente di esercitare
pressione sui governi, minacciando di spostare investimenti in altre aree o promettendo
investimenti in cambio di regolamenti favorevoli.
32
Per entrare nei mercati esteri, l'impresa deve sviluppare una strategia di entrata, che è
strettamente legata alla sua strategia competitiva. La scelta del metodo di ingresso in un
mercato estero influenzerà le opportunità competitive disponibili, e viceversa, la strategia
competitiva determinerà il modo in cui entrare nel mercato.
La strategia di entrata
La strategia di entrata si articola su quattro elementi fondamentali:
1. Natura delle attività: include la commercializzazione di prodotti, la produzione, e lo
sviluppo di conoscenze.
2. Area geografica: riguarda la localizzazione delle attività in un contesto estero.
3. Modalità di entrata: le diverse modalità includono esportazioni, joint venture,
investimenti diretti, ecc.
4. Coinvolgimento di altri attori: riguarda l’integrazione con partner locali o altre entità
nella realizzazione delle attività.
Cosa condiziona la strategia di entrata?
Le strategie di entrata condizionano:
Relazioni con attori locali: intensità della
cooperazione nel paese target.
Controllo sulle variabili competitive:
capacità di influenzare il mercato estero.
Appropriazione dei risultati: possibilità di
trattenere i benefici economici e strategici.
Il grado di radicamento dell’impresa nel mercato estero
dipende dal livello di impegno richiesto, sia in termini
finanziari che organizzativi. Esportazioni indirette
richiedono il minimo impegno, mentre investimenti
diretti esteri comportano il massimo radicamento.
Criteri di ordinamento delle modalità di entrata
Le modalità di entrata possono essere ordinate in base
a:
1. Radicamento nel mercato estero: quanto
l’impresa è profondamente integrata nel
mercato.
2. Impegno finanziario e organizzativo: il livello di risorse richieste.
Le esportazioni indirette sono le meno impegnative, ma non offrono un grande radicamento,
mentre investimenti diretti esteri richiedono un alto impegno e offrono una presenza forte nel
mercato.
5.2 LE ESPORTAZIONI INDIRETTE
5.2.1 LE CARATTERISTICHE E I VANTAGGI DELLE ESPORTAZIONI INDIRETTE
Le esportazioni indirette si verificano quando l’impresa non gestisce direttamente le operazioni
estere, ma si avvale di un operatore indipendente. In alcuni casi, l’impresa crea un’unità
interna per gestire le esportazioni, ma senza entrare direttamente in contatto con il mercato
estero.
Gli operatori indipendenti
Gli operatori indipendenti possono variare in termini di complessità organizzativa, da piccoli
intermediari a grandi imprese di trading. Possono agire solo come intermediari o acquistare i
beni per rivenderli nei mercati esteri.
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Poche competenze acquisite: l’impresa non sviluppa una conoscenza approfondita
del mercato estero.
Margine economico ridotto: la presenza di più intermediari riduce i profitti e il potere
negoziale.
Le esportazioni indirette sono più adatte per piccole imprese con risorse limitate o per le fasi
iniziali di internazionalizzazione, quando i volumi di vendita esteri sono ancora contenuti.
5.2.2.1 IL BUYER
Il buyer è un soggetto indipendente che rappresenta imprese estere e ricerca fornitori nel suo
Paese. Le catene di distribuzione e i franchisor sono esempi di utilizzatori di buyer. Le sue
funzioni principali includono:
Identificare l’offerta più vantaggiosa per soddisfare una domanda estera.
Selezionare prodotti/marchi per diversificare l’offerta. Le sue attività operativa
comprendono la negoziazione dei contratti, la predisposizione degli ordini, e la gestione
della spedizione e dello sdoganamento.
5.2.2.2 IL BROKER
Il broker funge da intermediario tra produttore e compratore estero, spesso specializzandosi in
determinati prodotti, come le commodities. Può agire come agente del produttore (per
esportazioni) o del compratore (per importazioni), facilitando la selezione delle offerte migliori e
accompagnando le transazioni.
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Semplici: Offrono servizi come analisi dei mercati esteri, supporto doganale, e
partecipazione a fiere. Le imprese operano con le proprie offerte e il consorzio funge da
canale di accesso ai mercati esteri.
Imprenditoriali: Organizzano l’offerta collettiva dei membri, con un marchio comune e
gestione centralizzata di produzione, qualità, marketing e flussi finanziari. In questi casi,
la coesione tra le imprese consorziate è cruciale per il successo.
I consorzi possono essere costituiti autonomamente dalle imprese o supportati da enti pubblici
o associazioni di produttori. Il vantaggio della concentrazione geografica e settoriale facilita il
coordinamento e migliora l’efficienza nei servizi e nella promozione dei prodotti.
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termini di conoscenza del mercato. Se la rete cresce, l’impresa crea una struttura dedicata per
gestirla e integrarla con le attività interne.
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distribuzione e la relazione con il cliente. Nel frattempo, sono emerse piattaforme di commercio
online globale, come Amazon e Alibaba, e piattaforme settoriali come Booking.com ed Expedia.
Vantaggi commercio elettronico
Il commercio elettronico offre vantaggi come la possibilità di entrare rapidamente in contatto
con clienti esteri a basso costo, ampliare le modalità di comunicazione, stabilire relazioni
dirette e continue con i clienti, rispondere rapidamente alle esigenze e ridurre i costi della
struttura commerciale. È particolarmente efficace per le imprese che operano in nicchie di
mercato, con prodotti specializzati e una gestione logistica semplice, permettendo loro di
ottenere visibilità online e stabilire contatti commerciali significativi.
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4. Flessibilità e adattamento: Offrono maggiore flessibilità nel rispondere alle specificità
della domanda nei vari Paesi, adattandosi a diverse fasi del ciclo di vita del prodotto.
Inoltre, gli accordi strategici favoriscono una relazione positiva tra i partner, che include:
• Lo sviluppo di una reciproca conoscenza delle rispettive potenzialità, utile per valutare
future integrazioni.
• L’apprendimento di metodi di lavoro di successo adottati da altri soggetti.
• L’estensione della rete di collaborazioni con altre imprese.
• La possibilità di razionalizzare il portafoglio di business, attraverso scambi tra le imprese
partner.
Tre fattori esterni che spingono le imprese ad adottare alleanze strategiche sono:
1. Complessità dell’ambiente competitivo: La crescente difficoltà a reperire tutte le
risorse necessarie internamente spinge le imprese a collaborare.
2. Accorciamento del ciclo di vita dei prodotti: La rapida evoluzione dei mercati e delle
tecnologie rende necessarie alleanze per rispondere più rapidamente.
3. Politiche governative locali: Nei Paesi emergenti, le politiche favoriscono la presenza di
imprese straniere con impatti positivi sul tessuto produttivo locale, incentivando le
alleanze.
I vantaggi delle alleanze strategiche per i Paesi ospitanti
Le alleanze strategiche internazionali possono avere effetti positivi sul sistema economico del
Paese ospitante, con i seguenti impatti principali:
1. Occupazione: Le alleanze creano posti di lavoro, con l’UNCTAD che stima circa 20 milioni
di persone occupate globalmente grazie a queste alleanze.
2. Miglioramento delle condizioni lavorative: Le imprese internazionali richiedono ai
fornitori di rispettare alti standard di sicurezza, igiene e trattamento dei lavoratori,
contribuendo al miglioramento delle condizioni di lavoro e al miglioramento degli standard
di vita.
3. Aumento delle esportazioni e ricchezza: Le alleanze favoriscono l’aumento del valore
aggiunto e delle esportazioni nel Paese ospitante, rafforzando il sistema produttivo locale e
permettendo ad alcune imprese di crescere a livello globale.
4. Reti internazionali: Le imprese locali che fanno parte di alleanze internazionali possono
beneficiare di una rete di relazioni estesa e qualificata, favorendo l’integrazione di altri
produttori locali nella catena globale del valore.
5. Trasferimento di conoscenze e rafforzamento dell’immagine: Le alleanze stimolano
il trasferimento di know-how e il miglioramento dell’immagine del territorio, contribuendo al
suo sviluppo economico.
6. Progetti di sviluppo sostenibile: Le alleanze favoriscono la partecipazione delle imprese
internazionali a progetti di sviluppo sostenibile e al rafforzamento delle comunità locali.
In sintesi, le alleanze strategiche contribuiscono a stimolare la crescita economica, migliorare
le condizioni di lavoro, trasferire conoscenze e potenziare il sistema produttivo del Paese
ospitante.
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2. Vendite.
3. Ricerca e sviluppo.
4. Lancio di nuovi prodotti/servizi.
Loosely coupled system
Le alleanze strategiche internazionali sono caratterizzate da sistemi “loosely coupled”, dove i
soggetti rimangono indipendenti ma interagiscono strutturalmente. Questi sistemi richiedono
un equilibrio tra controllo e cooperazione. Le forze di integrazione e controllo individuale sono
amplificate dalle differenze culturali, dai vincoli normativi e dalla distanza fisica. Una
cooperazione forte dipende dalla sinergia delle risorse, dalla trasparenza nella distribuzione
degli oneri e dalla fiducia reciproca.
5.4.4 IL FRANCHISING
Il franchising è un metodo per espandere rapidamente una rete di distribuzione al dettaglio in
un mercato geografico tramite accordi con imprenditori locali.
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1. Gestione dei flussi di prodotti: richiede una logistica internazionale efficace per la
produzione, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti.
2. Omogeneità della rete: bisogna garantire l’uniformità nel posizionamento e nella formula
commerciale offerta, gestita da soggetti intermedi come:
• Franchisee broker: individua e seleziona nuovi franchisee e supporta il loro sviluppo
competitivo.
• Area developer: sviluppa la rete di franchisee in una specifica area geografica.
• Master franchisee: coordina le attività di franchising in un Paese estero, fungendo da
filtro tra il franchisor e i franchisee locali, ma comportando il rischio di perdita di contatto
diretto con i franchisee.
5.4.5 IL PIGGYBACK
Il piggyback è un accordo in cui un rider (azienda più piccola) vende i propri prodotti in un
mercato estero attraverso la struttura distributiva di un carrier (azienda di grandi dimensioni
con una rete consolidata).
Variante
Il piggyback può anche essere stipulato tra aziende di dimensioni simili, con reciproche
condizioni di distribuzione nei rispettivi mercati. Il prodotto del rider non deve competere con
quello del carrier, ma essere complementare per creare sinergie commerciali.
Vantaggi per le parti
Il piggyback è vantaggioso per entrambe le parti. Il rider può entrare nei mercati esteri
rapidamente senza grandi investimenti organizzativi, ma perde il controllo sul posizionamento
competitivo. Il carrier beneficia dell’espansione della propria offerta, dell’ottimizzazione della
capacità distributiva e dell’opportunità di attaccare concorrenti in specifiche aree di mercato.
Turnkey contract
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Il turnkey contract è una variante del contratto di gestione, in cui un’impresa internazionale
costruisce e gestisce uno stabilimento per un soggetto locale per un periodo iniziale. Questo
contratto consente al soggetto locale di beneficiare delle competenze e tecnologie dell’impresa
internazionale, mentre quest’ultima ha l’opportunità di vendere le proprie competenze e
stabilire relazioni favorevoli per future strategie di ingresso in mercati esteri, spesso in Paesi in
via di sviluppo.
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investimenti, orizzonte temporale, sinergie, e cultura aziendale. La difficoltà aumenta quando i
partner provengono da Paesi diversi, rendendo complesso anticipare la compatibilità tra le
parti.
La struttura di governo
Una questione critica riguarda la struttura di governo, che include come sono organizzati i
legami con le parent companies, i criteri per le posizioni di vertice e la gestione delle
divergenze tra i partner. Le joint venture paritetiche, in cui le quote di partecipazione sono
uguali, differiscono da quelle squilibrate, dove un partner detiene il controllo. La gestione del
controllo strategico e l’autonomia della joint venture sono influenzate anche dalle pressioni
esterne, come quelle dei governi.
Le relazioni
L’efficacia della relazione tra la joint venture e le parent companies dipende da un equilibrio tra
autonomia e controllo. Le procedure relative agli apporti di risorse e ai benefici derivanti dalle
attività della joint venture sono delicate. I benefici possono essere “collettivi”, appropriabili da
tutti i partner, o “individuali”, che vanno a vantaggio di alcuni partner. Un buon modello di
governance è essenziale per mantenere la coesione e una situazione win-win.
Culture manageriali
Le differenze nelle culture manageriali tra le parent companies aumentano la complessità della
gestione di una joint venture. Le divergenze culturali, accentuate dalla diversa nazionalità,
possono creare difficoltà nell’integrazione e nel raggiungimento di un’identità organizzativa
comune. La gestione di queste differenze è cruciale per il successo della joint venture, ma
l’allineamento culturale spesso rappresenta una delle sfide più difficili da affrontare.
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1. Normative e burocrazia: La scelta dipende dalle normative del Paese target, che possono
includere vincoli regolatori e complessità burocratiche. Alcuni governi incentivano specifici
tipi di investimenti, come le joint venture o le nuove strutture produttive in aree brownfield,
per attrarre investitori.
2. Disponibilità delle opportunità di investimento: Nei Paesi meno sviluppati, prevalgono
gli investimenti in nuove strutture produttive, mentre nelle regioni avanzate è più difficile
trovare siti greenfield adeguati a causa di problemi ambientali e sociali.
3. Condizioni interne al gruppo: La decisione dipende anche dagli obiettivi strategici
dell’azienda e dalle risorse disponibili, inclusa la loro trasferibilità alle strutture estere.
4. Come si sceglie tra greenfield e acquisizione?: Se l’obiettivo è acquisire competenze,
l’acquisizione è preferibile. Se l’impresa ha risorse facilmente trasferibili, può optare per
un’acquisizione; se le risorse sono radicate nell’impresa, è preferibile l’investimento
greenfield. In caso di espansione rapida in un mercato, l’acquisizione offre accesso
immediato al mercato e alle risorse, ma comporta sfide di integrazione. Altrimenti, una joint
venture può essere una buona alternativa per entrare rapidamente in un nuovo mercato.
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imprese affinché riportino gli investimenti a casa. Le ragioni principali per il reshoring sono
l’automatizzazione dei processi, la vicinanza ai clienti e il miglioramento della qualità della
produzione.
Rilocalizzazione ≠ Disinvestimento
Il reshoring si distingue dal disinvestimento, che implica una riduzione della capacità produttiva
all’estero. I disinvestimenti possono derivare da dinamiche competitive internazionali, strategie
di portafoglio o difficoltà strutturali delle sussidiarie a produrre risultati economici positivi.
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meglio. Il modello transnazionale promuove un network globale in cui le unità condividono
risorse e competenze per migliorare le loro capacità complessive.
Le sussidiarie non sono più subordinate alla casa-madre, ma possono diventare leader nello
sviluppo di competenze distintive e nel coordinamento di attività globali. Alcune unità
assumono il ruolo di "centri di eccellenza", guidando il gruppo in specifiche aree di business o
tecnologie. Queste sussidiarie possono ricevere un "mandato globale", con responsabilità
internazionali per lo sviluppo di prodotti o mercati, coordinando e controllando le attività del
gruppo in quelle aree.
Il modello transnazionale enfatizza l'interdipendenza tra le unità, assegnando loro ruoli
strategici che contribuiscono alla competitività globale del gruppo, pur mantenendo un forte
coordinamento con la casa-madre.
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all’interno del gruppo. La difficoltà aumenta quando le pressioni interne e quelle esterne sono
contrastanti. Per l’efficace diffusione internazionale delle politiche del gruppo, la corporate
deve essere in grado di esercitare una pressione maggiore rispetto alle istituzioni locali.
La pressione della corporate sulle sussidiarie
Le sussidiarie devono gestire le aspettative provenienti sia dall’ambiente locale che dalla
corporate, un compito complesso quando le pressioni sono contrastanti. La corporate deve
esercitare una pressione forte sulle sussidiarie per garantire l’allineamento alle politiche
globali, superando le pressioni che provengono dagli ambienti locali. La gestione di questa
dualità istituzionale è cruciale per il successo globale dell’impresa.
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numero mediano di società holding è quindici (media di diciannove). Questi Gruppi operano
in un numero mediano di 54 Paesi (media di 56 Paesi).
Questi Gruppi hanno una complessità significativa sia verticale che orizzontale, con una
“profondità” e “ampiezza” notevoli. La corporate è generalmente il “ultimate owner” di
tutte le sussidiarie, anche se non sempre è la stessa entità che le controlla direttamente. In
alcuni casi, il Paese della corporate è diverso da quello del controllo diretto delle sussidiarie;
il 41% delle sussidiarie ha un “direct owner” in un Paese diverso da quello della corporate,
percentuale che sale al 60% nei primi 100 Gruppi.
La dimensione verticale dei Gruppi può comportare catene proprietarie lunghe, dove la
corporate è separata da molte sussidiarie. Circa il 60% delle sussidiarie nei Gruppi principali
e il 40% in tutto il campione è controllato da entità situate in Paesi diversi dalla corporate.
Tuttavia, la maggior parte dei legami tra le società del Gruppo avviene tra entità situate
nello stesso Paese, riducendo la distanza tra corporate e sussidiarie.
La complessità orizzontale si manifesta nel fatto che molte controllate sono condivise tra
diversi soggetti all’interno dello stesso Gruppo, e il fenomeno delle “cross-shareholdings”
riguarda il 25% delle sussidiarie nei Gruppi più grandi e il 10% nel campione complessivo.
Inoltre, circa l’8% delle unità operative del Gruppo è gestita in joint ventures con soggetti
esterni.
Questa articolazione complessa porta alla creazione di sub-holding o “ownership hubs”, che
sono società controllate dalla corporate che gestiscono affiliate in diversi Paesi. Gli studi
hanno definito queste entità come “intermediary Headquarters” (HQ intermediari), che
fungono da filtro tra la corporate e le controllate estere. Gli HQ intermediari possono essere
divisionali (che coordinano diverse unità operative in vari Paesi) o regionali (che gestiscono
Paesi in una specifica area geografica).
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2. Linee guida e procedure: La corporate definisce linee guida che le sussidiarie devono
seguire per operare in un sistema di valori condivisi, che include etica e modalità operative
in Paesi a rischio.
3. Misure per applicare le linee guida: La corporate adotta misure per garantire la
coesione interna e il rispetto delle linee guida, coinvolgendo anche la funzione corporate
negli audit delle controllate estere.
4. Criteri di selezione: Le sussidiarie estere devono selezionare i membri degli organi di
governo e i responsabili operativi in base a criteri definiti dalla corporate.
Fattori condizionanti la struttura organizzativa
Diversi fattori influenzano la struttura organizzativa di un Gruppo internazionale:
1. Assetto della proprietà: La concentrazione della proprietà, il grado di
internazionalizzazione e la visione dell’azionariato influiscono sulla struttura organizzativa.
2. Complessità della catena proprietaria: Il numero di sussidiarie e la dispersione
geografica influenzano la gestione del Gruppo.
3. Estensione geografica: La distanza delle sussidiarie dalla corporate o dagli headquarter
regionali e i vincoli geografici in cui il Gruppo opera determinano l’efficacia delle operazioni.
Questi fattori influenzano il grado di pressione che la corporate esercita sulle controllate,
bilanciando la pressione istituzionale del Paese in cui operano. La combinazione di questi
elementi definisce la natura e l’intensità della gestione centralizzata e la distribuzione delle
responsabilità all’interno del Gruppo.
6.4 IL RUOLO DELLA CORPORATE
6.4.1 LE DIVERSE TIPOLOGIE DI CORPORATE
Esistono due tipologie estreme di corporate:
Holding finanziaria pura: La corporate si concentra esclusivamente sulla gestione
finanziaria del portafoglio di partecipazioni in altre società, delegando interamente le
funzioni gestionali alle sussidiarie.
Corporate coinvolta nello sviluppo del business internazionale: La corporate gestisce
direttamente le società controllate nei vari Paesi, con le sussidiarie che si occupano solo
delle funzioni operative.
Tra questi due estremi, ci sono situazioni intermedie in cui la corporate ha una funzione di
“indirizzo e controllo”, influenzando il comportamento delle sussidiarie e determinando il loro
livello di autonomia nelle decisioni aziendali e nell’impiego delle risorse.
L’azione di indirizzo e controllo
L’azione di “indirizzo e controllo” da parte della corporate si articola in tre componenti
principali:
1. Strumenti elaborati dalla corporate: Documenti, procedure, attività e unità
organizzative che stabiliscono gli indirizzi generali e i criteri di comportamento da adottare
in tutto il Gruppo, regolando le operazioni delle sussidiarie.
2. Strumenti nelle sussidiarie: Le sussidiarie devono adottare strumenti simili a quelli
definiti dalla corporate per evitare comportamenti incoerenti con le linee guida del Gruppo.
3. Bilanciamento tra uniformità e autonomia: La corporate deve mantenere un equilibrio
tra l’uniformità dei comportamenti delle sussidiarie e la necessità di mantenere l’autonomia
decisionale delle stesse, essenziale per la gestione efficace delle loro attività.
Cosa fa la corporate?
Un ruolo fondamentale della corporate è la diffusione di un sistema di valori comuni che crea
una cultura organizzativa unitaria. L’headquarter condiziona i manager delle sussidiarie nelle
loro decisioni strategiche e operative, indirizzandoli a allineare gli obiettivi a quelli del Gruppo.
Inoltre, la corporate favorisce il trasferimento di conoscenza tra le sussidiarie, incentivando le
relazioni interne e allocando risorse nei luoghi dove il trasferimento di conoscenza sarebbe
difficile. Gli studi di Dellestrand, Kappen e Ciabuschi mostrano che l’allocazione selettiva di
risorse manageriali, come gli expatriates, facilita questo processo, incoraggiando progetti
innovativi e migliorando la gestione delle sussidiarie all’estero.
L’attenzione internazionale dell’HQ
Bouquet, Morrison e Birkinshaw (2009) definiscono l’attenzione internazionale dell’HQ come il
tempo e le risorse investiti dall’headquarter nelle attività delle sussidiarie. Questa attenzione si
compone di tre dimensioni principali:
Global scanning: Analizzare le opportunità e le minacce internazionali.
Overseas communications: Comunicazioni tra i manager dell’HQ e quelli delle sussidiarie
per comprendere meglio il contesto e le dinamiche locali.
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Globalization discussions: Dibattiti per internalizzare le informazioni apprese dalle
sussidiarie e trasformarle in conoscenze utili per l’intero Gruppo.
Gli expatriates svolgono un ruolo cruciale nel favorire il trasferimento di risorse e competenze
tra HQ e sussidiarie. Essendo integrati nella corporate, sono più propensi a prendere decisioni
strategiche allineate agli interessi del Gruppo, anche a scapito della sussidiaria.
HQ regionali e divisionali
La corporate svolge le sue funzioni anche tramite headquarters regionali e divisionali, che
agiscono da “filtro” tra la corporate e le sussidiarie nelle rispettive aree geografiche. Questi HQ
regionali supportano le sussidiarie nell’implementazione delle direttive generali, comprendono
le specificità locali e trasferiscono tali conoscenze alla corporate. Supportano anche la
corporate nelle attività di indirizzo e controllo.
Negli ultimi anni, è diventato più comune che gli HQ vengano ricollocati in base ai vantaggi
offerti dai diversi contesti geografici, come la tassazione, le infrastrutture, la qualità della vita e
la vicinanza ai principali stakeholder del Gruppo.
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La fiducia reciproca è fondamentale nelle relazioni tra le persone all’interno del Gruppo, sia a
livello gerarchico che orizzontale, e tra persone che operano in Paesi diversi. La fiducia crea
un ambiente collaborativo che facilita la comunicazione e la cooperazione tra le diverse unità.
Un elevato livello di coesione interna è cruciale per l’adesione ai principi, alle linee guida e
alle procedure stabilite dalla corporate. La trasparenza e il rispetto delle regole nella
conduzione del business non sono visti come imposizioni dalla corporate o come conseguenze
dei controlli, ma sono considerati parte integrante dell’identità del Gruppo. Questi valori
contribuiscono alla reputazione del Gruppo all’esterno e al senso di appartenenza interno.
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2. Livello intermedio di influenza: comprende:
Miniature replicas: sussidiarie che replicano la MNC in mercati ristretti o innovatori
locali.
Agenti del corporate HQ: sussidiarie con forti connessioni interne ma scarsi legami locali,
con compiti di efficienza interna.
3. Alto livello di influenza: sussidiarie avanzate con forti connessioni interne e
specializzazioni globali. Queste hanno spesso un mandato globale dall’headquarter, che
conferisce loro ampi poteri strategici e operativi, o sono centri di eccellenza per
competenze specifiche.
L’headquarter reagisce a questa crescita di visibilità ed influenza delle sussidiarie in modo
ambivalente: in alcuni casi aumenta il controllo, limitando le iniziative troppo distanti dagli
obiettivi del gruppo; in altri casi, amplia le responsabilità delle sussidiarie, riconoscendo loro
maggiore autonomia a condizione che operino nell’interesse generale della MNC.
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Acquisizione: Le liabilities of foreignness sono relativamente modeste, specialmente se
vengono adottate misure che permettano di mantenere le connessioni con il contesto
istituzionale e di business del Paese in cui l’azienda acquisita opera.
Investimento greenfield: Le liabilities of foreignness sono elevate, almeno nella fase
iniziale, soprattutto se il Gruppo non ha precedenti attività nel Paese o una presenza
pregressa nel mercato.
Differenze nelle relazioni tra corporate e sussidiarie
Le relazioni tra la corporate e la sussidiaria variano a seconda del tipo di origine della
sussidiaria.
Investimento greenfield: La corporate è solitamente coinvolta nella creazione della
sussidiaria, quindi la nuova controllata tende a condividere i valori e le procedure della
capogruppo.
Acquisizione: La sussidiaria derivante da un’acquisizione, soprattutto all’inizio, può
rimanere distinta dalla corporate e dal resto del Gruppo, con differenze manageriali e un
limitato senso di appartenenza. In settori strategici, la corporate può limitare la propria
ingerenza per facilitare il raggiungimento degli obiettivi post-acquisizione, con la sussidiaria
che mantiene un forte legame con il contesto istituzionale locale. Le sussidiarie acquisite
tendono ad avere una cultura aziendale consolidata che potrebbe risultare meno propensa
ad accettare le linee guida imposte dalla corporate.
Sussidiaria greenfield: Una sussidiaria creata ex-novo tende a risentire di due spinte
contrastanti: da un lato, assorbe più facilmente le direttive della corporate, ma dall’altro ha
la necessità di allinearsi con il contesto istituzionale del Paese in cui è situata, per
superare l’isolamento iniziale e le liabilities of foreignness. Tuttavia, questo gap tende a
ridursi nel tempo.
La joint venture come terza fattispecie di sussidiaria estera
Una joint venture rappresenta una terza tipologia di sussidiaria estera, costituita attraverso
una partnership con attori locali. Essa possiede caratteristiche di entrambe le forme
precedenti:
• Simile a una sussidiaria greenfield: È una società creata ex-novo con risorse,
politiche, e strumenti forniti dalle parent companies.
• Simile a un’acquisizione: La joint venture ha relazioni con il sistema istituzionale
locale grazie alla presenza di partner locali.
La rilevanza di ciascun aspetto dipende dalla distribuzione delle quote di proprietà e dalla
governance:
Se la parent company detiene la maggioranza della proprietà, la joint venture tende a
comportarsi come un investimento greenfield.
Se le quote sono condivise equamente tra i partner, l’importanza delle risorse apportate
da ciascun partner diventa fondamentale per la missione della joint venture.
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1. Relazioni con l’headquarter e altre unità del gruppo: La MNC è definita come un
“network differenziato” (Nohria e Ghoshal, 1994), dove ogni sussidiaria è connessa non solo
con la casa madre, ma anche con altre sussidiarie globali. Queste relazioni stimolano
l’emergere di nuove idee e competenze.
2. Grado di autonomia della sussidiaria: La formazione di un centro di eccellenza è un
processo evolutivo. L’autonomia della sussidiaria, alimentata da risorse interne ed esterne,
è cruciale per raggiungere lo status di centro di eccellenza.
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9.1.1 CROSS-CULTURAL MANAGEMENT
La gestione internazionale del capitale umano è intrinsecamente multiculturale, il che rende
l’aspetto culturale un tema centrale e ricorrente nelle sfide che i manager devono affrontare.
Per analizzare e comprendere meglio le situazioni influenzate dalla cultura nazionale, sono
utilizzabili tre principali paradigmi conoscitivi:
Visione positivista: Questo paradigma è dominante negli studi manageriali e si concentra
su domande come: quali discrepanze valoriali emergono in una situazione? Qual è
l’influenza della cultura su ciò che accade? La visione positivista è utile in ogni analisi della
gestione del capitale umano a livello internazionale, in quanto considera la cultura come un
fattore determinante.
Visione interpretativa: In questa prospettiva, la cultura è vista come lo schema attraverso
cui gli individui attribuiscono significato agli eventi. Consente di descrivere come le persone
vivono e reagiscono a una determinata situazione, e come adottano nuovi processi in
risposta ad essa.
Visione critica: La cultura viene utilizzata come strumento per identificare strutture
nascoste che influenzano la realtà. Questa visione aiuta a far emergere le tensioni latenti in
una situazione, permettendo di osservarla da una nuova prospettiva, spesso con l’intento di
modificarla.
Questi tre approcci analitici permettono ai manager di affrontare le sfide della gestione
interculturale con maggiore consapevolezza e capacità di adattamento.
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9.2.1 IL TRASFERIMENTO DELLE COMPETENZE ORGANIZZATIVE TRA LE UNITÀ
INTERNAZIONALI
La creazione di valore a livello globale inizia con il trasferimento delle competenze core
all’estero, allo scopo di ottenere vantaggi di costo o differenziazione. Questo processo avviene
principalmente attraverso l’assegnazione temporanea di quadri, funzionari o manager
(expatriate) dalla corporate o da altre filiali estere a contesti locali specifici. Oltre all’uso degli
expatriate, il trasferimento delle competenze può includere la condivisione di linee guida
operative, programmi di formazione centralizzati, o l’adattamento di brevetti industriali.
Combinando questi metodi, le aziende possono trasferire anche aspetti più sottili
dell’organizzazione, come i valori competitivi e la cultura aziendale.
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3. Integrazione e apprendimento: Integrare la diversità nella cultura organizzativa,
vedendola come una fonte di apprendimento e innovazione.
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con i contesti locali, come la “ricerca e selezione del personale” e la “gestione della
conoscenza e sviluppo della collaborazione”.
Tuttavia, gli aspetti legati alla pianificazione della forza-lavoro, incluse le dinamiche di
mobilità internazionale, e alla gestione delle performance e delle politiche retributive e
di incentivazione, sono fortemente centralizzati e gestiti dall’HQ. Questi ultimi due aspetti
saranno trattati nei paragrafi successivi.
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3. International boundaryless career: spostamento in altra organizzazione che
consente successivi spostamenti esteri (home country ma altra organizzazione);
4. Transnational career: spostamenti all’estero e verso altre organizzazioni.
Ruoli degli HR expatriate
I ruoli degli HR expatriate, come identificato da Lengnick-Hall e Lengnick-Hall (2002), possono
essere suddivisi in quattro categorie principali, che riguardano sia le attività primarie che
quelle di supporto nella gestione delle risorse umane e contribuiscono al bilanciamento tra
competitività globale e risposta alle esigenze locali:
1. Human Capital Steward: Funziona da guida e facilitatore nella gestione locale delle
risorse umane, massimizzando il ritorno sugli investimenti in capitale umano, come
l’efficacia dei sistemi di incentivazione e dei programmi di formazione.
2. Knowledge Facilitator: Si occupa di facilitare la gestione del capitale cognitivo (sia la
conoscenza esplicita che tacita) e i flussi di conoscenza tra diverse sedi aziendali.
3. Relationship Builder: Gestisce le relazioni tra individui e gruppi, all’interno e
all’esterno dell’organizzazione, al fine di aumentare il valore del capitale sociale lungo
tutta la catena del valore.
4. Rapid Deployment Specialist: Sviluppa sistemi flessibili di gestione delle risorse
umane, enfatizzando le caratteristiche di adattabilità, tolleranza e capacità di
apprendimento per rispondere a cambiamenti rapidi e situazioni globali complesse.
Successo di carriera e contratto psicologico
Il successo di carriera va valutato sia nelle sue componenti oggettive (ruolo sociale
esternamente percepito) che soggettive (soddisfazione personale
della posizione attuale) (Arthur, Khapova e Wilderom, 2005). Nelle carriere internazionali
(assigned expatriation), il “contratto psicologico” è
fondamentale. La violazione di questo contratto può portare a demotivazione, assenteismo o
dimissioni (Festing e Muller, 2008). Per questo, le
decisioni riguardanti incarichi internazionali devono essere supportate da una pianificazione a
lungo termine delle carriere.
Gestione globale dei talenti e fidelizzazione dei dipendenti
Nella gestione globale dei talenti, è fondamentale l'internazionalizzazione delle carriere, poiché
contribuisce sia alla crescita dell'individuo che agli scopi strategici dell’organizzazione. Gli
investimenti in carriera internazionale portano vantaggi non solo per il singolo dipendente, ma
anche per l’organizzazione, in termini di performance complessiva (De Vos e Cambré, 2016).
Inoltre, una gestione attenta dei talenti aumenta l'intenzione dei dipendenti di rimanere
nell'impresa per “ripagare” il datore di lavoro per le opportunità di crescita offerte (Bonneton et
al., 2019; Festing e Schäfer, 2014; King, 2016).
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Le imprese supportano l’adattamento degli expatriate bilanciando le difficoltà con incentivi
attrattivi come una retribuzione migliore e opportunità di carriera. Per facilitare
l’adattamento, le strategie aziendali si suddividono in due categorie principali:
1. Work adjustment: Misure per facilitare l’adattamento alle nuove mansioni e al
contesto lavorativo, come l'assegnazione graduale di responsabilità e formazione
specifica per l'integrazione professionale.
2. General adjustment: Soluzioni per affrontare i problemi legati al contesto esterno,
come la ricerca di risorse logistiche (alloggio, trasporti, sanità), formazione linguistica e
multiculturale, e il supporto per viaggi di rientro.
Le fasi dell’adattamento degli expatriate
Le fasi dell’adattamento degli expatriate,
secondo Black e Mendenhall (1991), seguono
una dinamica a U nel tempo, articolata in quattro
fasi principali:
1. Honeymoon: Fase iniziale di entusiasmo per
il nuovo ambiente, con interazioni sporadiche
e un mantenimento delle proprie routine e
codici di condotta.
2. Culture shock: Fase di disagio legata a
intensi contatti lavorativi, difficoltà di
integrazione socio-culturale e affievolimento
dei legami con l'headquarter. È il momento
critico, con alto rischio di turnover o ritorno
anticipato.
3. Adjustment: Fase di recupero, in cui
l'individuo cerca di adattarsi all’ambiente
lavorativo e sociale, apprendendo la lingua locale e integrandosi nei costumi.
4. Mastery: Fase di stabilizzazione, in cui l'individuo raggiunge una padronanza del contesto,
ottenendo successo nelle sue mansioni e sviluppando la carriera, con una condizione
sostenibile a lungo termine.
Supporto organizzativo e il ruolo dell’HR
Studi recenti evidenziano che un supporto organizzativo proattivo, che prevenga i traumi legati
all’espatrio, può migliorare significativamente le
performance complessive. È fondamentale che l’expatriate percepisca il supporto
dell’organizzazione, in particolare della direzione risorse umane, sia
presso la casa madre che nella filiale estera. Tuttavia, non basta fornire servizi, ma è
essenziale che questi siano compresi e apprezzati, insieme al
supporto del supervisore diretto e a un buon equilibrio tra vita lavorativa e privata.
Percezione di equità interna tra expatriate e colleghi
La fase di mastery, in cui l'expatriate si è completamente adattato al nuovo ambiente, riduce la
necessità di risorse e benefit extra. Tuttavia, politiche
aziendali troppo favorevoli agli expatriate possono creare problematiche di equità interna.
Infatti, i dipendenti non valutano solo il rapporto tra ciò che
ricevono dall’organizzazione e ciò che contribuiscono (outcome/input), ma anche rispetto a
colleghi che considerano un riferimento interno
(benchmark). Questo confronto non è legato solo al contratto psicologico tra il singolo e
l’azienda, ma dipende anche dalla percezione soggettiva di
equità. I dipendenti monitorano continuamente il rapporto tra ciò che ricevono (outcome) e ciò
che danno (input) rispetto ai colleghi simili
(outcomeB/inputB). Quando si percepisce un’iniquità, anche se l’incentivazione è alta, il
comportamento dell’individuo potrebbe non allinearsi con le
aspettative aziendali. Per evitare questi problemi, le imprese adottano schemi retributivi che
garantiscano l’equità interna, considerando anche le
differenze nel potere d’acquisto nei vari contesti esteri.
Rientro degli espatriati e leadership relazionale
La gestione del rientro degli expatriate è cruciale per evitare che il ritorno, sia programmato
che imprevisto, danneggi l’equilibrio dei contesti locali. È
essenziale che gli expatriate trasferiscano le loro conoscenze a livello locale per favorire il
processo. Questo processo si lega alla leadership relazionale,
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che rappresenta un'alternativa alla leadership gerarchica e accentrata, emergendo
spontaneamente anche senza attribuzioni formali. L’expatriate
dovrebbe assumere il ruolo di tutor per i dipendenti locali, favorendo l'assorbimento delle
competenze aziendali e stimolando l’innovazione,
sfruttando il capitale relazionale interno. Affinché ciò avvenga, l’expatriate deve essere in
grado di sviluppare un’interfaccia adeguata, ossia
comprendere e adattarsi ai linguaggi e ai codici locali durante il suo periodo di adattamento.
Elasticità strategica attraverso lo sviluppo delle risorse locali
Il passaggio dagli expatriate locali dalla fase di adjustment a quella di maturity si sovrappone
allo sviluppo delle risorse locali, che prendono il “testimone” nelle competenze, garantendo
continuità anche in caso di turnover o rientro degli expatriate. Quando ciò avviene, il capitale
umano dell'impresa diventa "liquido", conferendo all'organizzazione una maggiore elasticità
strategica e operativa, permettendo di adattarsi e rispondere con flessibilità alle sfide
internazionali.
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estera. L’impresa si fa carico dei costi differenziali che l’expatriate potrebbe sostenere, per non
compromettere il suo bilancio personale e familiare.
Il processo inizia con la definizione del potere d’acquisto nel Paese di origine, stimando quanto
il dipendente spende e risparmia. Si calcolano poi i costi nel Paese di destinazione per
mantenere lo stesso stile di vita e si determinano i costi aggiuntivi che l’impresa coprirà. Il
salario equivalente viene poi arricchito con incentivi e premi.
Questo approccio, diffuso per garantire equità tra expatriate e colleghi del paese di origine, può
creare percezioni di iniquità se gli expatriate guadagnano più dei manager locali. Per ridurre
questo rischio, è importante riconoscere il valore unico delle competenze degli expatriate, che
non sono ancora disponibili a livello locale.
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