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Totale Lavoro

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Introduzione alla psicologia del lavoro (2017)

PSICOLOGIA DEL LAVORO

Capitolo 1. Lo studio psicologico del lavoro


1. Che cosa è la psicologia del lavoro?
La psicologia del lavoro è una disciplina scientifica che si interessa dell’interazione tra persona e
lavoro, nata nei primi decenni del Novecento negli Stati Uniti. Questa definizione basilare viene
riportata nei principali manuali introduttivi. Sinonimi: psicologia delle organizzazioni, psicologia
industriale. Si utilizza il termine “disciplina scientifica” perché le conoscenze prodotte si basano
prevalentemente sul metodo scientifico, e perciò vengono definite evidence based (basate sulle
evidenze). E’ solo tramite una sistematica conoscenza della realtà che si possono costruire modelli
interpretativi ed effettuare interventi affidabili. Una volta studiata e capita la realtà, è possibile
elaborare teorie PRIMA studio del singolo caso, DOPO congetture, teorizzazioni, ecc
approccio costruttivista VS neopositivismo che si basa sull’elaborare teorie per poi verificarle.
Costruttivismo Neopositivismo
Dai fatti alla costruzione di teorie Dalla costruzione di teorie ai fatti
Es: psicologia del lavoro

Le fonti di un tipo di conoscenza basata sulle evidenze possono essere svariate: ricerche empiriche,
esperienze dei professionisti, dati relativi al contesto specifico, prospettive delle persone coinvolte,
eccetera. Un’altra modalità conoscitiva, che può correlarsi a quella appena citata, è la serendipità,
che presuppone intuizione, flessibilità e apertura all’esperienza. La scoperta scientifica può certo
essere un prodotto accidentale, ma è accompagnata da intraprendenza, coraggio, curiosità e
immaginazione. Un esempio dell’importanza della serendipità nella psicologia del lavoro è quello
degli studi sul campo condotti da Elton Mayo, che hanno contribuito a mettere in luce il ruolo delle
relazioni umane nei luoghi di lavoro, MA senza che questo fosse previsto nelle ipotesi di ricerca di
Mayo, che riguardavano invece l’importanza delle pause e degli incentivi sulla produttività
emerse che la nascita e crescita di un senso di gruppo incrementava la produttività.
La psicologia del lavoro, come abbiamo in parte visto, è solitamente considerata come una
disciplina con una forte valenza applicativa, in quanto presta notevole attenzione alla soluzione dei
problemi concreti degli individui e delle organizzazioni. La nascita del Journal of Applied
Psychology nel 1917 segnava un momento fondamentale nella costituzione delle psicologie
applicate (psico lavoro, psico pubblicità, marketing, ecc). Questa valenza applicativa fu in seguito
criticata perché ritenuta troppo orientata alla soluzione dei problemi dell’industria e superficiale
riguardo la psicologia dei dipendenti necessità di un modo diverso, più attento alle esigenze dei
lavoratori, di fare psicologia applicata. Le critiche hanno stimolato questa disciplina a superare i
limiti evidenziati, e oggi gli psicologi del lavoro possono contribuire a formare organizzazioni più
efficienti (qualità beni e servizi, innovazione, sensibilità verso i clienti, qualità vita interna
all’organizzazione), attente al benessere delle persone (qualità vita lavorativa dei dipendenti
occupational health psicology) e alle diversità e ai cambiamenti (diversità di genere, età, etnia,
mansione diversity management). In quarto luogo, la gestione della progressiva dissoluzione
dell’unità del lavoro nel tempo e nello spazio costituisce un’altra frontiera per la psicologia del
lavoro attività con minori prescrizioni temporali e che può essere svolta anche a distanza, ad es
lavoro online svolto da team virtuali.
Rapporto tra psicologia del lavoro e altre psicologie: nel contesto anglosassone era opinione
comune che la psicologia del lavoro non rappresentasse un ambito di studio a sé stante, ma che
fosse costituita dall’applicazione di principi e teorie psicologiche ai contesti lavorativi (quindi solo
come un campo di applicazione). Ricerche più specifiche e più attuali hanno portato gli stessi autori
ad affermare con convinzione che la psicologia del lavoro ha guadagnato una posizione
indipendente, tutta sua. La psicologia di base produce saperi di carattere generale (psico sociale,
cognitiva, della personalità, eccetera) che possono essere utilizzati in contesti specifici dalle
psicologie applicate. Questi saperi vengono quindi applicati e messi alla prova in situazioni reali
dove se ne verifica la validità. In tal modo le psicologie di base possono ricevere informazioni di
ritorno dalle psicologie applicate di grande utilità per migliorare i modelli teorici circuito
virtuoso.
Psicologia di base psicologia applicata (ad es del lavoro) problemi pratici; concludendo, la
psicologia del lavoro è più rapida a tradurre teorie in intervento, producendo così conoscenza
originale e meritandosi perciò il suo spazio a sé stante dalla psico di base.
Psicologia del lavoro e altri ambiti scientifici: la psico del lavoro opera in stretto contatto con vari
altri ambiti scientifici e discipline, quali quelle sociologiche, giuridiche ed economiche. Ad
esempio, gli studi sul mobbing (esperienze di maltrattamento nei luoghi di lavoro) comprendono
anche competenze giuridiche. Anche la medicina del lavoro è un riferimento per chi si occupa di
stress e benessere nei luoghi lavorativi interscambio continuo tra le discipline. Dal punto di vista
professionale, quando si fa selezione occorre conoscere le leggi sulla privacy e sull’uguaglianza di
trattamento.
Si possono identificare almeno due modi di fare psicologia del lavoro, ai quali corrispondono due
profili professionali:
- Fare ricerca: produrre nuove conoscenze, elaborare teorie, verificare ipotesi partendo da
problemi reali e innovando. A ciò si dedicano i ricercatori inquadrati nell’ambito
accademico e nei centri di ricerca specializzati.
- Agire da professionisti: laureati nei corsi magistrali di psicologia del lavoro che o come
dipendenti di aziende o come liberi professionisti offrono consulenze nelle aree della
formazione, dell’orientamento professionale, della selezione, ecc a clienti che chiedono la
soluzione di un problema.
Insomma, conoscenza prodotta a livello accademico VS conoscenza che i professionisti
“vendono”
Ricercatori e professionisti dovrebbero integrarsi e creare un rapporto di interscambio; in realtà vi è
un divario che separa questi due mondi. Nonostante ciò, la psicologia del lavoro vanta oggi
importanti trend espansivi ed è organizzata in associazioni internazionali che includono sia la
componente accademica che quella professionale.
2. L’articolazione della disciplina
Cinque livelli di analisi adottati negli studi e negli interventi di psicologia del lavoro:
- Intrasoggettivo: processi interni al soggetto, consapevoli alla persona, che ne producono il
comportamento. Secondo tale modello le persone conducono un costante monitoraggio e
valutazione della propria prestazione e la regolano in funzione del raggiungimento di
obiettivi e risultati.
- Soggetto-compito: dall’individuo al compito. Interazione tra persona e compito lavorativo.
E’ il livello di analisi più diffuso nella psicologia del lavoro. Come le persone organizzano il
proprio lavoro, creandosi mappe concettuali e schemi mentali per guidare la loro azione nel
raggiungere i propri scopi.
- Di gruppo: attenzione posta al gruppo, al team.
- Organizzativo: fa riferimento all’organizzazione, ai suoi valori e assunti impliciti che ne
regolano la vita interna, alla sua mission e cultura aziendale.
- Sociale: macroprocessi socioeconomici e culturali che regolano una società. Gli
atteggiamenti lavorativi dell’individuo, in questo caso, vengono considerati come il prodotto
di processi economici, culturali e normativi che caratterizzano diverse fasi storiche e
l’appartenenza a diversi gruppi sociali.
Risulta a questo punto evidente che la psicologia del lavoro si occupa oggi di una vasta gamma di
temi; per cercare di dare ordine e distinguere diversi ambiti di studio e di intervento sono state
create tre subdiscipline all’interno dell’area scientifica denominata psicologia del lavoro e delle
organizzazioni:
1. La psicologia del lavoro, che si occupa del lavoratore che persegue scopi, che apprende,
che prova una serie di esperienze psicologiche sul lavoro.
2. La psicologia delle risorse umane, che è più orientata ad affrontare il rapporto talvolta
problematico tra caratteristiche dell’individuo e richieste organizzative.
3. La psicologia dell’organizzazione: riguarda lo studio di entità sovra individuali aggregate,
come i gruppi e le organizzazioni nel loro insieme, per guidarne il cambiamento
organizzativo.
Temi dominanti nella psico del lavoro: metodologia (come misurare il fenomeno e costruzione test
efficaci), motivazione al lavoro, leadership e formazione.
3. Cenni storici
Le origini della psicologia del lavoro hanno le proprie radici in Wundt (psicologo). E’ alla sua
scuola che si sono formate due figure importanti per questa disciplina:
- Munsterberg: nel 1912 coniò l’espressione psicologia industriale e promosse la disciplina
applicandola a diversi contesti della vita sociale. Fu il precursore delle moderne tecniche di
selezione del personale.
- McKeen Cattell: differenze individuali come determinanti per il comportamento umano.
Creò i primi protocolli per la misurazione delle capacità e abilità individuali (da lui stesso
chiamati test mentali) e li commercializzò.
Posero le basi.
Le prime applicazioni in campo militare costruzione e somministrazione di test
psicoattitudinali per la selezione e la formazione delle truppe americane da inviare in guerra
durante il primo conflitto mondiale (Army Test, una versione anche per analfabeti). Tali test si
mostrarono estremamente pratici e affidabili. Al termine del conflitto, la stessa logica di
selezione basata sulle abilità mentali fu adottata anche nella grande industria per la selezione dei
lavoratori.
Il taylorismo Taylor è considerato il padre dello scientific management, ovvero di un
modello razionale di selezione del personale, di analisi dei tempi e dei movimenti di esecuzione
dei compiti e di un sistema retributivo premiale a cottimo. Questo nacque per necessità, in
risposta all’industrializzazione di massa di fine Ottocento. Il modello mira a semplificare i
compiti scomponendoli in gesti elementari, a ridurre i tempi e a motivare le persone in base al
principio del premio di produzione (più produci e più ti pago). Ciò è il risultato di una visione
della psicologia dell’essere umano semplicistica, basata su nozioni di senso comune; egli aveva
posto al centro il “fattore umano” senza avere gli strumenti conoscitivi per capirne la
complessità. Inoltre Taylor propone un modello generalizzato di organizzazione del lavoro
basato sui seguenti principi:
 One best way: scomporre il ciclo di lavoro di una mansione in singoli elementi da
ricombinare e sperimentare in modo da trovare la soluzione più economica per svolgere il
compito.
 Uomo giusto al posto giusto: selezionare il lavoratore con le caratteristiche psicofisiche più
idonee per svolgere il compito.
 Training analitico: addestrare il lavoratore a svolgere il compito in modo preciso,
dettagliato.
 Paghe differenziate: retribuire le persone in modo da premiarle in funzione della complessità
dei compiti e della qualità\quantità della performance.
Altre critiche al modello tayloristico arrivarono dai sindacati, con accuse di sfruttamento, aumento
dei ritmi di lavoro, alienazione, eccetera.
Critica psicologica e limiti dello scientific management costi psicologici subiti dagli individui:
 Mancanza di significato di un compito estremamente suddiviso;
 Ripetitività dei movimenti;
 Ritmi regolati dalla macchina;
 Tempi forzati dal cottimo;
 Mancanza di autonomia;
 Struttura gerarchica fortemente autoritaria;
 Riduzione relazioni umane sul ruolo di lavoro.
Un primo contributo critico in merito è da attribuire ad Elton George Mayo. Egli scoprì che vi erano
alcuni aspetti sociali del lavoro che funzionavano da determinanti della qualità e quantità di pezzi
prodotti osserva un gruppo di operai al lavoro; il gruppo aveva scelto un leader riconosciuto e al
suo interno vigeva una regola: produrre sempre leggermente al di sotto del livello previsto dal
management. Chi non si conformava subiva ripercussioni sociali e ambientali. Mayo così mise in
evidenza che talvolta vi sono fattori sociali (in questo caso norme di gruppo) in contrasto con
quanto stabilito dalla direzione. Grazie a questa e ad altre esperienze simili, Mayo definì una serie
di principi che guidano il comportamento umano nei luoghi di lavoro:
- Le persone sul lavoro sono guidate anche da bisogni di natura sociale;
- Il rapporto con altri al lavoro favorisce la costruzione di una identità personale e sociale;
- Uno dei significati psicologici del lavoro è da ricercare nelle relazioni sociali che si creano
sul posto di lavoro;
- I lavoratori esprimono anche un bisogno di essere accettati e di ricevere riconoscimenti dagli
altri.
Da tali principi derivano anche una serie di conseguenze nelle strategie di gestione del personale
che sono alla base del movimento delle relazioni umane:
- Creare sistemi di incentivazione di gruppi invece che individuali;
- Lasciare una maggiore responsabilità ai gruppi di lavoro nella gestione dei processi
produttivi;
- La soddisfazione di bisogni emotivi del lavoratore può condurre a un maggior senso di
appartenenza all’azienda e ad una più intensa lealtà verso di essa.
Per queste intuizioni Mayo è comunemente riconosciuto come il fondatore del movimento delle
relazioni umane, grazie al quale si sono posti al centro della ricerca e dell’intervento psicologico
nei luoghi di lavoro gli atteggiamenti, i desideri e le emozioni dei lavoratori. Le ricerche di Mayo
sono state ampiamente messe in discussione per la loro debolezza metodologica (numero ridotto di
soggetti). I suoi metodi sono stati duramente criticati, ma nonostante ciò il contributo pioneristico di
Mayo risulta fondamentale per aver posto all’attenzione del management la natura sociale del
lavoro umano.
La ricostruzione della complessità psicologica del lavoro umano, a scapito delle semplificazioni
dello scientific management, continuò anche nel secondo dopoguerra a opera del Tavistock Institute
of Human Relations di Londra, che subì anche l’influenza dello psicologo sociale Lewin. L’istituto
portò avanti una serie di esperienze di ricerca e di interventi a carattere interdisciplinare ad es
quello nelle miniere di carbone: il sistema tradizionale di esportazione del carbone (“a braccio”)
affidava a piccoli gruppi diverse mansioni (scavo, carico, trasporto carbone). Le squadre erano
autonome, cementate affettivamente dall’affrontare insieme un lavoro duro in condizioni pericolose
e ansiogene. L’introduzione di nuovi metodi più avanzati semplificava il lavoro dei minatori
rendendolo meno faticoso e nella teoria più produttivo. Ma dalla loro installazione in realtà la
produttività era diminuita ed erano aumentati assenze e infortuni: queste condizioni richiesero
l’intervento del Tavistock. Questo portò a una ricomposizione dei compiti attraverso gruppi auto
regolati. Ciò condusse ad un nuovo aumento di produttività e diminuzione dell’assenteismo. Questo
è un esempio che definisce l’importanza di questi studi; grazie ad essi infatti si sviluppò un modello
di analisi sociotecnica delle organizzazioni di lavoro. L’organizzazione deve essere esaminata come
un sistema aperto nel quale confluiscono diversi tipi di risorse (umane, tecnologiche, finanziarie,
materiali), si attivano diversi processi trasformativi e si esportano all’esterno beni, servizi e prodotti
utili agli altri. L’organizzazione del lavoro umano deve quindi essere esaminata come un elemento
che interagisce in modo costante con gli altri fattori produttivi, in particolare con il sistema tecnico.
Allo stesso tempo occorre prestare sempre attenzione al “fattore umano”, cioè ai bisogni, emozioni
e atteggiamenti dei lavoratori. Concludendo, l’analisi sociotecnica prevede la ricerca di un
equilibrio tra esigenze produttive, apparato tecnologico e caratteristiche dei lavoratori.
Si può notare come anche in Italia, agli inizi del Novecento, vi sia stato uno sviluppo originale della
psicotecnica applicata a diversi ambiti di intervento: scuola, industria, esercito. Nel 1917 vennero
organizzati da padre Gemelli i primi servizi di selezione per il Regio Esercito Italiano, che
riguardavano le attitudini dei piloti dell’aviazione impegnati nel conflitto. In seguito, sotto il regime
fascista, vi fu terreno molto fertile per lo sviluppo e il riconoscimento della psicologia e della
psicotecnica: programma di riforme sociali, Carta del lavoro, Ente nazionale per l’organizzazione
scientifica del lavoro, nascita centri di studio, attività congressuale, ecc. Tuttavia il grande sforzo
profuso dai ricercatori, sostenuti dagli organi politici, per promuovere i metodi della psicotecnica
anche nel mondo industriale privato diede risultati piuttosto modesti. Secondo alcune voci critiche
tra cui quella di Sapelli, la psicotecnica costituiva un tentativo di controllo e razionalizzazione della
vita produttiva e della società civile da parte del nuovo ceto politico emergente di quegli anni. I
tentativi di introduzione nel mondo lavorativo furono generalmente percepiti dagli imprenditori
come una ingerenza negli affari aziendali.
Nel 1943 Adriano Olivetti chiede a Cesare Musatti, suo ospite come rifugiato politico, di progettare
un centro di psicologia innovativo rispetto a quelli di psicotecnica già presenti in Italia. Musatti era
un noto professore di Psicologia. La diversità menzionata doveva consistere nella presenza di
psicologi in fabbrica con l’obiettivo di migliorare sia l’organizzazione e la gestione aziendale che le
condizioni di lavoro nelle fabbriche, dando voce agli operai stessi. Nasce così il Centro di
psicologia, che si caratterizza per una metodologia che integra l’approccio clinico, l’osservazione e
l’indagine qualitativa e quantitativa. Esso riesce a realizzare un programma di iniziative che
pongono le basi per una originale presenza psicologica in azienda:
 Per quanto riguarda la psicologia del lavoro, l’azienda aveva deciso di passare dalla linea
tradizionale, con tempi lunghi, a una nuova linea più in movimento nella costruzione delle
macchine da scrivere. Gli psicologi, tramite colloqui, evidenziarono l’impoverimento dei
gesti, insoddisfazione e ansia nelle prestazioni, aumento degli scarti. Perciò si arrivò a un
blocco della linea in movimento e ad un ritorno a quella tradizionale, più lenta ma meno
dannosa per gli operai.
 Rispetto alla psicologia dell’organizzazione ricorderemo la collaborazione alla nascita
delle UMI (Unità di montaggio integrate) si tratta di costituire piccoli gruppi di lavoro
(10-30 persone) che operano in modo autonomo in una specifica area dello stabilimento e si
assumono la responsabilità non solo dell’assemblaggio, ma anche del collaudo, della
diagnosi di eventuali difetti e anche delle riparazioni. I tempi lavorativi sono concordati
all’interno del gruppo, come le modalità di rotazione da parte di tutti nei diversi posti.
L’esperimento va verso il superamento di una impostazione tayloristica, ha un successo
notevole sia sul piano della soddisfazione dei lavoratori che dell’efficienza e produttività, e
infine si diffonde in quasi tutti gli stabilimenti Olivetti e diviene un modello a livello
europeo.
 Nel modo di svolgere la psicologia delle risorse umane si dimostra con chiarezza l’intento
di affermare il valore della psicologia e la sua capacità di interloquire alla pari con altre
figure professionali e con le diverse funzioni aziendali. Un primo esempio in merito riguarda
la correzione del modello di selezione del personale basato su test psicoattitudinali con
l’introduzione sistematica dei colloqui psicologici, mirati a conoscere le persone, i loro
atteggiamenti e aspettative, e sono la base per successivi approfondimenti. Un secondo
esempio riguarda alcune iniziative che costituiscono un precedente per ciò che oggi viene
chiamato welfare aziendale, tra cui il Centro di riqualificazione operai in questo caso
lavoratori con problemi e disagi psicologici o vittime di infortuni sono seguiti e riabilitati
con la supervisione degli psicologi, e infine riammessi.

Capitolo 2. Lavorare oggi: esigenza di un nuovo contratto psicologico


1. Nuovi scenari per il lavoro
La rivoluzione delle tecnologie informatiche e la globalizzazione dell’economia hanno dato il via a
una serie di grandi cambiamenti in molte sfere della vita umana tra cui quella lavorativa. Da una
parte causano speranze di miglioramento dei livelli di benessere, ma dall’altra sono responsabili di
crescenti incertezze e preoccupazioni per il futuro personale di ogni lavoratore.
Learn-production:
- Definire il valore di servizi e prodotti dal punto di vista del cliente;
- Identificare attività e processi che aggiungono valore per il cliente interno e individuare i
legami tra loro (“catena del valore”);
- Eliminare le attività che non producono valore aggiunto cercando di ottenere una produzione
con zero difetti secondo un’ottica di miglioramento continuo;
- Ridurre gli sprechi e le inefficienze nelle funzioni di sostegno (ad es gestione risorse umane)
rispetto a quelle primarie della produzione di beni e servizi.
Ciò ha già portato a importanti modifiche degli scenari lavorativi riguardanti:
1. L’organizzazione interna delle imprese alcuni mutamenti come: riduzione delle
tradizionali strutture gerarchiche a molti strati, attenuazione dei confini tra categorie
professionali e tra i ruoli, la condivisione delle conoscenze, utilizzo del teamwork, aumento
responsabilità delle persone che comporta maggiore coinvolgimento, utilizzo tecnologie,
ecc costruzione “fabbriche intelligenti”.
2. Il modo delle imprese di competere sui mercati la competizione ormai è stata assunta
come bene necessario, è più elastica e sviluppata, sempre grazie alla learn production
(abbattimento costi di produzione e amministrazione, risposta just in time alle richieste
mutevoli di un mercato globale dipendente dalla domanda, uso di tecnologie innovative,
ecc).
Cambiamenti nei contesti di lavoro tendenze in atto secondo una ricerca:
- Crescita del settore dei servizi, in particolare quelli alle persone;
- Molti lavori svolti grazie alla tecnologia;
- Ulteriore espansione delle multinazionali, che cercano perennemente nuovi mercati e
modificano le loro localizzazioni; con l’e-commerce però opportunità anche per le medie
imprese;
- Abbattimento dei costi e intensificazione del lavoro che però non corrispondono ad un
incremento dei salari;
- Il lavoro temporaneo sembra divenire la norma;
- Flussi migratori e guerra dei talenti;
- Decremento di lavori a qualificazione intermedia (middle-skilled).
Caratteristiche della forza lavoro (ovvero dei lavoratori):
 Età. Problema del vuoto demografico: il tasso di natalità è diminuito insieme a quello di
mortalità, mentre la vita si è allungata; ciò comporta una diminuzione di giovani in età di
lavoro e un aumento dei pensionati.
 Generazioni. Convivono nello stesso contesto almeno quattro generazioni di lavoratori
coesistenza di generazioni:
- Tradizionalisti: 70 enni che ricoprono posizioni imprenditoriali, di elevata consulenza o
nella magistratura.
- Baby boomers: 50-70 enni, quindi un range per larga parte in corso di pensionamento.
- Generazione X: 40-50 enni.
- Generazione Y o millenials: 18-30 enni.
+
- Next generation o generazione delle reti: sotto i 18 anni.
Gli studi sulle diverse coorti generazionali (persone coetanee, con lo stesso contesto culturale) sul
lavoro sono spesso criticati, ma evidenziano alcuni effetti negativi imputabili alle differenze tra
generazioni negli atteggiamenti verso il lavoro, negli stili di vita, ecc. Le differenze su tali
dimensioni, anche se nella realtà non molto rimarcate, sembrano essere sufficienti per attivare
categorizzazioni sociali reciproche che portano a estremizzare i giudizi determinando stereotipi di
età e condotte di discriminazione evidenti.
 Genere. Effetti di genere il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro in
Europa resta più basso di quello maschile. Esso comunque sta sensibilmente crescendo negli
ultimi anni. Risultati: a) rende urgenti le esigenze di conciliazione dei tempi lavorativi per
un migliore equilibrio tra lavoro e famiglia; b) preme sulle aziende per l’ottenimento di
migliori forme di welfare aziendale; c) comporta l’accentuarsi del tasso di
femminilizzazione di molte professioni, con effetti di ridefinizione del loro prestigio e
valore economico-sociale.
 Immigrati. Immissione in uno stesso contesto organizzativo di differenti culture,
concezione del lavoro, dello spazio e del tempo e di modalità di socializzazione di cui gli
immigrati sono portatori e che devono interagire con il contesto appartenente al gruppo
locale di maggioranza. Tutto ciò va monitorato onde evitare i rischi di segregazione, di
malcontento o di discriminazione. Gli ambiti di inserimento tipici degli immigrati sono
l’agricoltura, l’edilizia, il piccolo commercio con prevalenza di occupazioni manuali
faticose, spesso pericolose e al limite della regolarità contrattuale.
2. Sfide da affrontare
La progressiva deregolamentazione del lavoro ha in realtà aumentato la probabilità di lavori
temporanei precari, espressione della flessibilità contrattuale, rafforzando la segmentazione tra
lavoratori forti, in posizione centrale nei processi produttivi per le loro competenze pregiate
(insider), e lavoratori vulnerabili (outsider), meno pagati e con ridotte opportunità di sviluppo.
Proprio la flessibilità sembra essere il tratto distintivo dei contesti di lavoro moderni, con la
connotazione aggiuntiva di precarietà. Un’osservazione chiave di molti studiosi consiste nel fatto
che ora il lavoro non risulta più un processo e un’esperienza sicuri, prevedibili e regolamentati sin
nei dettagli. Diversi tipi di flessibilità:
 Fisico-geografica: variabilità del dove si lavora;
 Temporale: quando si lavora e per quanto;
 Tecnologica: quale ripartizione dei compiti tra uomo e macchina;
 Contrattuale: forme e rapporti di lavoro variabili, atipici;
 Funzionale: quali forme di divisione e organizzazione del lavoro e quali abilità per il
lavoratore;
 Spazio-temporale: variabilità relazionale nei team, nelle organizzazioni virtuali a distanza,
fondate sulle nuove tecnologie di comunicazione.
La flessibilità nelle sue declinazioni è divenuta un concetto fondamentale, in quanto rappresenta il
segnale della crescente complessità del mondo lavorativo. Inoltre determina effetti sia diretti sugli
atteggiamenti dei lavoratori che indiretti sulle loro condotte di impegno e di coinvolgimento, sulla
riuscita della prestazione, sulla vulnerabilità dello stress, sul loro stato di salute e benessere, ecc.
Diversità sul lavoro insieme di differenze più o meno visibili imputabili all’età, al genere,
all’appartenenza etnica, allo status socioeconomico, al livello culturale, ecc. La diversità, se gestita
adeguatamente, può avere degli effetti positivi, in particolare quando ci si propone di delineare un
contesto di convivenza nel quale ciascuno senta di essere apprezzato e in cui le proprie particolarità
vengano apprezzate; in questo modo l’organizzazione può disporre di un più ampio patrimonio di
conoscenze e competenze. In realtà, la gestione della diversità risulta un compito complesso e
un’arma a doppio taglio. Infatti gli esiti positivi sono spesso annullati dallo sviluppo di stereotipi
negativi, disaccordi, conflittualità, conflitti interpersonali e tra gruppi che comportano stress e
abbassamento delle prestazioni. Per evitare ciò sono necessari alcuni fattori: una strategia orientata
allo sviluppo, con una valorizzazione delle differenze a una prevenzione per evitare che sorgano
pregiudizi reciproci, oltre ad una cultura focalizzata sulla cooperazione. Variabili importanti sono
la varietà, più età\etnie\ecc comportano meno conflitti perché evitano un’altra variabile, la
polarizzazione (giovani vs vecchi, bianchi vs neri, ecc). Sono poi importanti le dimensioni aziendali
(+ azienda è grande + distribuzione personale e quindi – conflitti) e la stabilità del posto di lavoro.
Sicurezza e qualità del lavoro: numerose ricerche hanno evidenziato risposte preoccupate e
critiche per l’intensificazione del lavoro e le sue persistenti condizioni di pericolosità (edilizia,
industria pesante, agricoltura) e per l’aumento dello stress percepito dai lavoratori good job vs
bad job (differenziati dalla segmentazione e dalla diretta dipendenza del lavoro dalle logiche di
mercato). Esigenza di un lavoro dignitoso decent work, basato però solo su indicatori macro
(disoccupazione, discriminazioni, ecc, gli stessi che si usano per valutare una nazione) e non a
livello micro (qualità vita lavorativa, equità sociale, carattere emancipatorio del lavoro, ecc)
grave mancanza: così viene taciuto il punto di vista del lavoratore. La ricerca psicologica ha
stabilito che il lavoro è dignitoso quanto più è significativo per la persona, ovvero coerente con i
suoi valori, interessi, capacità e può contribuire ad essere strumento di sostentamento, potere,
sociale. Tuttavia ultimamente mentre al lavoratore sono richiesti coinvolgimento, partecipazione,
impegno, le aziende hanno diminuito la stabilità dei posti di lavoro, i percorsi di carriera e i
benefits. Qualcosa non torna nel bilancio vantaggi\svantaggi del lavorare job insecurity.
Crisi della rappresentanza dei lavoratori i sindacati in crisi. Sono forme di aggregazione
sociale, e tradizionalmente essi svolgono la funzione di:
- Bilanciare le disuguaglianze di potere tra lavoratori e datori di lavoro (salari e condizioni
lavorative);
- Dare voce alle preoccupazioni dei lavoratori rispetto alle esigenze (equità, uguaglianza,
tutela, ecc);
- Regolare il conflitto sociale in occasione di proteste, licenziamenti, ecc.
Tali funzioni hanno avuto un notevole ruolo nel miglioramento delle qualità del lavorare. Ma i
cambiamenti del lavoro e del mercato, soprattutto la frammentazione del lavoro e le varie forme di
flessibilità, incidono notevolmente sui sindacati, che ormai sembrano tipiche dei lavoratori adulti
con contratti permanenti. Essi non hanno attrattive per le nuove categorie di lavoratori (donne,
precari, immigrati): si assiste così al forte declino della sindacalizzazione in gran parte dei paesi
industrializzati. Cause principali:
 Diffusione lavori flessibili
 Crescita lavori autonomi, liberi professionisti
 Riduzione dei lavori di tipo operaio

3. Domande e risorse lavorative


Per decifrare la natura delle domande lavorative proprietà delle condizioni di lavoro:
1. Domande al lavoratore: implicano l’impiego di energie fisiche e mentali (complessità e
pesantezza dei compiti, eccessivi carichi di lavoro, scadenze temporali, ecc).
2. Risorse per il lavoratore: offerte dal contesto in misura più o meno adeguata, sono
funzionali al migliore svolgimento del suo lavoro, alla riduzione dei costi fisiologici e
psicologici delle domande e alla sua crescita professionale.
Tutte le domande esigono risposte in termini di prestazione lavorativa e richiedono un impegno da
parte della persona. Alcune però possono essere percepite con una connotazione negativa (costi da
pagare, ostacoli, ecc), altre invece positiva (motivanti, stimolanti). Esse quindi influenzeranno con
segno opposto le prestazioni, motivazioni e atteggiamenti del lavoratore e il suo grado di benessere.
Di quali domande si tratta?
 Cognitive i lavori odierni comportano una pianificazione sempre meno rigida e più
capace di adattarsi ai cambiamenti; si definiscono e acquistano valore rispetto a quanta
possibilità di azione e di decisione permettono all’individuo, anche nella formulazione degli
stessi obiettivi e nei modi per raggiungerli. Quindi si richiedono anche crescenti abilità
intellettuali (cognitive, appunto) di diagnosi, proposta di ipotesi di soluzione anche creative
e presa di decisione. Ciò rende salienti i margini di controllo autonomo della situazione di
cui dispone il lavoratore. Egli può risultare sovraccaricato dagli stimoli ambientali e dal
compito di autoregolazione delle sue azioni, ma può anche sperimentare effetti positivi
(ovvero percepire le domande come sfidanti ed esserne stimolato). La necessità di affinare
conoscenze e apprendimenti per rispondere alle domande cognitive implica già
un’interazione con gli altri, sviluppata appieno nelle domande sociali.
 Sociali molto del lavoro richiesto si basa sempre più su scambi informali, su relazioni
interpersonali e sulla partecipazione a network sociali. Il che significa che la nuova domanda
lavorativa implica lo scambio e la condivisone sistematica di informazioni. In tal modo si
sviluppa un apprendimento contestuale che ha basi relazionali e che può influenzare
positivamente gli atteggiamenti e i modi con cui le persone di un certo gruppo pensano,
parlano e partecipano al loro lavoro. Il lavoratore viene coinvolto in una rete di relazioni
sociali in cui deve trovare il suo posto crescente richiesta di interazione e partecipazione.
Il carattere cruciale delle domande sociali che connotano il lavoro odierno deriva da due
fattori:
- La dimensione cooperativa richiesta da molti lavori (teamwork, ecc); la collaborazione e la
cooperazione sono necessarie, meno legate a posizioni gerarchiche, dipendono in gran parte
dalla responsabilità del lavoratore, dalla sua capacità di integrarsi nella rete sociale.
- I lavori di servizio che si caratterizzano per un legame istituzionale con datori di lavoro,
manager e colleghi e anche per interscambi quotidiani con clienti, consumatori, pazienti,
ecc. Il lavoratore dunque vive un doppio ruolo, sia come dipendente rappresentante
dell’azienda ma anche come individuo autonomo, indipendente al quale il consumatore
dovrebbe potersi rivolgere con fiducia per essere aiutato senza secondi fini. Nozioni di
intelligenza (sensibilità, comprensione pensieri e sentimenti) e competenza (capacità di
azione verso l’altro) sociale per gestire meglio le relazioni lavorative.
Le caratteristiche del contesto lavorativo non si traducono solamente in domande alle quali il
lavoratore deve rispondere, ma offrono anche risorse per l’azione. Un equilibrio tra domande e
risorse, anche se difficile da raggiungere, dovrebbe essere sempre perseguito. Vediamo adesso i tipi
di risorse lavorative:
 Caratteristiche fisiche dell’ambiente lavorativo: ad es disponibilità di spazi e mezzi
efficienti per svolgere l’attività.
 Strutturazione del lavoro: progettazione dei compiti, ecc.
 Cultura del lavoro e cultura organizzativa: solidarietà tra lavoratori, sostegno sociale,
giustizia, insomma aspetti che rafforzano il significato del lavorare come impresa collettiva.
 Modo con cui il lavoro viene organizzato e modo in cui sono gestite le persone: questi
fattori hanno un’influenza:
- Nel rendere le domande più o meno complesse;
- Nel modulare le risorse in modo che possano essere più accessibili o meglio utilizzate per lo
svolgimento dell’attività;
- Nell’attuare monitoraggi accurati sul livello di complessità delle domande;
- Nel fornire adeguati feedback sul lavoro svolto;
- Nello svolgere una supervisione di supporto con più efficaci sostegni motivazionali.
Tutti questi compiti solitamente sono svolti dai manager.
Concludendo, domande e richieste possono rappresentare ostacoli oppure essere percepite come
sfide stimolanti.
4. Risorse personali per far fronte alle domande
E’ importante valutare i punti di forza delle persone, definite risorse personali, che contribuiscono
anche a differenziare percezioni, giudizi e condotte rispetto al contesto di lavoro; sono definite
come caratteristiche psicologiche o aspetti del self generalmente associati con la resilienza e che
riguardano l’abilità di controllare e influenzare l’ambiente con successo. Differenziano nettamente
le persone nel modo in cui fanno fronte alle domande di lavoro. Hanno effetti sul benessere
lavorativo, oppure offrono mediazione, moderazione, ottimismo, self confidence e self efficacy. Ma
di quali risorse personali stiamo parlando?
I valori e i significati del lavoro rappresentano risorse personali fondamentali che operano come
standard o schemi mentali di riferimento; costituiscono il background dell’individuo e lo
influenzano in tutta la sua attività lavorativa. Spesso contribuiscono a trovare uno scopo più ampio
rispetto al singolo compito; dettano delle linee di comportamento, sono utili per orientare e guidare
le proprie scelte, capire meglio la propria esperienza lavorativa e valutare quanto sia coerente con le
proprie credenze o attese.
Significati del lavoro 3 fondamentali; lavoro come mezzo di:
1. Sostentamento e acquisizione di potere: scambio tra il fare e i ricavi monetari o di beni e
servizi che permettono anche di acquisire influenza, prestigio e potere sociale.
2. Connessioni sociali: opportunità di interazione costruttiva con il contesto sociale e
costruzione di rapporti sociali significativi.
3. Autodeterminazione: valore dell’autonomia, dell’esperienza di efficacia, dell’attaccamento
significativo, in un contesto che faciliti anche l’incontro tra valori personali e organizzativi.
L’erosione dei significati del lavoro va di pari passo con la crescita tra i lavoratori del cinismo, della
sfiducia, del risentimento. Ciò è dovuto principalmente alle diseguali opportunità di accedere a
lavori significativi dovute a condizioni di svantaggio socioeconomico, culturale ed educativo. Infine
è stata notata una connessione tra una ridotta dotazione valoriale del lavoro e i lavori poco
significativi. La ricerca sui significati del lavoro ha da tempo sottolineato che lavorare non è
solamente uno scambio orientato al reddito, ma un processo complesso sostenuto dal valore
attribuito al lavoro in generale come stimolo:
- Per essere e sentirsi competenti nel fare qualcosa di importante per se stessi e per gli altri;
- Per definire tramite il lavoro aspetti della propria identità personale e sociale;
- Per costruire relazioni soddisfacenti con gli altri e integrarsi nel proprio contesto lavorativo;
- Per cercare di ottenere riconoscimenti per il proprio valore;
- Per legittimare la propria posizione sociale attuale e le proprie aspettative di crescita.
Dunque è molto importante la rilevanza delle dimensioni soggettive, perché il divenire lavoratore,
accanto al più esplicito processo di apprendimento di conoscenze e competenze tecnico-pratiche,
riguarda dimensioni soggettive profonde come valori, motivazioni, sentimenti, emozioni, desideri,
intenzioni, ecc. Lo spazio e i momenti tipici per la costruzione o il potenziamento di tali risorse
sono definiti socializzazione al lavoro (prima dell’ingresso lavorativo) e socializzazione
organizzativa (quando si è già inseriti nel contesto di lavoro). Si tratta di processi di apprendimento
sociale attraverso i quali una persona attivamente costruisce il proprio percorso professionale
acquisendo informazioni e confrontandosi con norme, valori, conoscenze, skills.
Ashforth sostiene l’influenza dei bisogni personali di un individuo nella sua stabilizzazione sul
posto di lavoro. Egli potrebbe interiorizzare troppo velocemente il punto di vista e le richieste
dell’organizzazione per superare le condizioni di incertezza presenti nel contesto lavorativo. Si
tratta di bisogni legati al Sé (chi sono io in quanto lavoratore?), al significato (come interpretare le
domande lavorative), al controllo e alla padronanza delle situazioni, eccetera. Pertanto, solo nella
condizione in cui la persona ha capacità, tempo e modo per negoziare uno spazio personale su come
si interpreta e ricopre il ruolo assegnato si potrà ipotizzare un equilibrio soddisfacente tra aspettative
istituzionali e organizzative e desideri e attese personali.
Quanto più coloro che iniziano a lavorare o i lavoratori che devono affrontare un nuovo ruolo
riescono a mantenere la consapevolezza delle proprie motivazioni e aspettative e si sforzano di
agire, pensare e intendere tale ruolo in modo personale, tanto più è probabile che essi riescano a
contro bilanciare le influenze socializzatrici e il possibile conformismo comportamentale richiesto
dall’organizzazione. Affinchè questo processo di interazione e influenza reciproca tra persona e
contesto si svolga in modo soddisfacente è necessario che la persona possieda un adeguato set di
risposte psicosociali, fra le quali la proattività. Questo termine è sintetizzabile con il ruolo attivo
della persona. Più la persona riesce a mantenersi attiva più il suo inserimento e adattamento
nell’organizzazione risultano positivi. Le ricerche empiriche sulla proactivity del lavoratore hanno
messo in risalto numerose sfaccettature:
1. Le strategie comportamentali permettono di rilevare l’intenzione del soggetto di intervenire
attivamente nel percorso di inserimento cercando di impegnarsi per migliorare la carriera.
2. I processi di negoziazione fra individuo e contesto organizzativo, grazie ai quali le persone
possono tentare di ridefinire i propri compiti e ruoli organizzativi in modo che siano
congruenti con le proprie aspettative e capacità contribuendo con l’iniziativa personale a
innovare i contenuti e i modi di lavorare (role innovation).
3. I processi cognitivi per attribuire un senso alla realtà giungendo a un maggiore controllo nel
modo di strutturare la situazione. Elementi chiave: aspettative del lavoratore, che a seconda
di come sono generano diverse esperienze.
4. Ruolo della persona espresso nella ricerca di informazioni e feedback. Quanto più la
persona che si inserisce in un nuovo contesto lavorativo si impegna nel raccogliere
informazioni e nel confrontarsi con gli altri e ottenere un feedback sui propri
comportamenti, tanto più è facile che si integri nel nuovo contesto. Attraverso ciò il
lavoratore potrà acquisire:
- Informazioni normative: cosa ci si attende da lui;
- Informazioni tecniche: come svolgere al meglio il lavoro;
- Informazioni di riferimento: sulle caratteristiche del ruolo assegnato;
- Feedback e valutazioni sulla prestazione
- Feedback sociale: qualità e adeguatezza delle interazioni sociali.
5. La condotta proattiva è stata definita come il “prendere iniziativa nel migliorare le
circostanze attuali o nel crearne delle nuove; esso implica rimettere in discussione lo status
quo, piuttosto che adattarsi passivamente alle condizioni presenti”.
Esempi di proattività: rileggere e riflettere sulle proprie esperienze; l’impegno ad affrontare in
modo attivo le fasi di socializzazione; l’autogestione della propria carriera, ecc.
Prerequisiti di proattività: la proattività si riferisce ad un insieme di risorse personali acquisite con
l’esperienza sin dal periodo scolastico e formativo. Esse sono funzionali a capire cosa ci si attende
da parte dell’organizzazione e cosa si desidera personalmente dal lavoro, a negoziare in modo attivo
il proprio ruolo nell’organizzazione. Crant parla di condotta proattiva riferendosi ad azioni poste
in atto per migliorare la situazione o creare opportunità basate sulla consapevolezza di scopi o Sé
possibili da raggiungere. I prerequisiti di proattività comprendono la consapevolezza delle proprie
qualità personali, delle proprie risorse operative, ma anche dei propri limiti e dei vincoli esterni,
fino a fattori disposizionali quali la personalità proattiva e l’iniziativa personale.
Employability “occupabilità”: tra le risorse personali necessarie per affrontare il lavoro e per
autogestire la propria storia lavorativa un posto preminente è attribuibile anche all’employability.
Questo termine comprende un vasto insieme di contenuti e significati molto diversi tra loro: dalle
conoscenze e qualificazioni formali, alle competenze professionali utili per entrare nel mondo del
lavoro e mantenere il proprio ruolo fino a un set di requisiti e atteggiamenti, come la proattività.
Vanno comunque evidenziati tre aspetti comuni alle varie declinazioni di employability:
1. Che si tratta di punti di forza della persona amplificano il patrimonio di competenze
disponibili; questi sono: capitale sociale, capitale umano, consapevolezza di sé, adattabilità;
nel loro insieme, possiamo definirli un capitale dinamico.
2. Che le persone differiscono tra loro anche nella misura in cui sono disposte e in grado di
adattare tali risorse alle situazioni specifiche, ovvero a sviluppare convinzioni, prendere
decisioni e mostrare comportamenti per intercettare e conseguire una loro positiva
corrispondenza con i ruoli lavorativi;
3. Che per comprendere gli esiti più o meno favorevoli dell’employability vanno considerati
sia i fattori interni alle persone sia quelli esterni legati al contesto organizzativo ed
occupazionale.
Nel complesso si sottolinea come l’occupabilità sia direttamente legata al capitale umano acquisito
con la formazione e l’esperienza e al capitale sociale frutto delle interazioni sociali e della rete di
relazioni dell’individuo. La ricerca psicosociale:
a) Valorizza la percezione individuale di questi aspetti: se una persona padroneggia
competenze generali e specifiche essa stessa si percepisce come più occupabile;
b) Aggiunge importanti attributi soggettivi che mettono in risalto la funzione delle risorse
personali nel gestire l’occupabilità e l’interazione con il contesto lavorativo.
Tre grandi categorie di attributi soggettivi considerati come risorse per l’occupazione:
1. Quelli mirati alla capacità di gestire la carriera, come il career self-management (definire
obiettivi, riflettere e pianificare azioni), la career resilience (saper resistere agli ostacoli).
2. Quelli che mettono in risalto aspetti disposizionali come la proattività, la self-efficacy, il
controllo e stabilità emozionale, il capitale psicologico, le ancore di carriera (auto
percezioni dei propri talenti, bisogni e valori).
3. Quelli di natura relazionale come la socievolezza.
Una specifica attenzione merita il costrutto di adattabilità (adaptability): riguarda una risorsa
positiva per l’autoregolazione del processo di costruzione della carriera basata su quattro
dimensioni: preparazione e interesse per la futura carriera (concern), responsabilità diretta nel
controllare il proprio sviluppo professionale (control), esplorazione dei Sé possibili nel futuro e
delle opportunità (curiosity) e la convinzione di poter riuscire a risolvere i problemi che si
incontrano nella propria storia lavorativa (confidence, self efficacy). E’ associata alla proattività, alla
speranza, ottimismo, risposte adattive, eccetera.

5. Il contratto psicologico tra lavoratore e organizzazione


Abbiamo insistito nel delineare le risorse della persona poiché esse rappresentano il mezzo con il
quale poter gestire con efficacia le relazioni lavorative, ovvero le interazioni tra persona e
organizzazione, che si presentano sotto forma di un patto di scambio. Quanto più la situazione del
lavoratore risulta precaria come quella attuale, tanto più diviene importante saper contrattare
soluzioni favorevoli con l’organizzazione per cui si lavora; inoltre al giorno d’oggi la forza lavoro
ha una forza contrattuale inferiore a quella dell’organizzazione. Perciò contano le risorse che gli
individui possiedono, quelle cognitive, l’esperienza, le skills acquisiste, gli sforzi per rendersi
competitivi e appetibili e per negoziare in modo soddisfacente le proprie condizioni. Questo perché
allo stesso tempo sta acquisendo rilevanza il ruolo della persona nel negoziare patti di reciprocità
equilibrati.
Il lavoro va visto come uno scambio tra prestazione e controprestazione: io lavoratore mi impegno
a fare qualcosa che tu organizzatore mi chiedi, e in cambio ricevo qualcosa di significativo e di
valore per me. Dati i possibili squilibri dovuti alle differenze di potere sociale tra le parti, questa
relazione è regolamentata dal contratto di lavoro. Esso stabilisce obblighi e doveri reciproci e
prevede sanzioni per il loro mancato rispetto da entrambe le parti; può essere impugnato
legalmente. L’esperienza del lavoro però è talmente complessa e dinamica che molte sue
sfaccettature restano indefinite (fedeltà, impegno, motivazione, dedizione, solidarietà, attenzione,
...) è quest’area non sancita formalmente che costituisce l’oggetto del contratto psicologico. Per
il lavoratore, esso assume la forma di un accordo informale con il datore di lavoro; si concretizza in
un sistema di credenze e di obblighi reciproci lavoratore-azienda che amplifica i termini del
contratto legale. Questo contratto ha importanti conseguenze sul piano dei comportamenti
organizzativi, delle scelte individuali e dell’implicazione motivazionale al lavoro. E’ una sorta di
“patto di reciprocità” che produce risultati positivi.
Nuovi modi di lavorare e nuovi mercati nuovi contratti psicologici:
 Diminuzione contratti psicologici di tipo relazionale, che sono a lungo termine in quanto
implicano un carattere meno definito, vago in partenza e più aperto alle esigenze del
momento; si basa dunque su un legame fiduciario da svilupparsi nel tempo. Es: azienda
offre possibilità di carriera in cambio di un impegno più ampio rispetto al singolo ruolo.
 Notevole diffusione di contratti psicologici di tipo transazionale: definiscono in dettaglio gli
obblighi da rispettare e sono di breve durata; rispecchiano la tipica espressione della
flessibilità contrattuale. Prevedono compensi economici che contraccambiano i compiti
specificatamente richiesti, senza nessun impegno aggiuntivo. Poca motivazione e
coinvolgimento.
 Più elevata presenza di contratti psicologici di natura transizionale: situazioni di passaggio
sperimentate da un’organizzazione nel far fronte a crisi economiche o ristrutturazioni
aziendali. Solitamente questo comporta riduzione dei salari e dei benefits, intensificazione
del lavoro e rischio di esuberi (quando il personale è in sovrannumero).
 Difficile presenza di contratti psicologici bilanciati, basati su un’impostazione flessibile
delle relazioni caratterizzata da un mix di obblighi, promesse e ricavi tra lavoratore e
azienda.

Violazione del contratto psicologico:


Reazioni emotive Percezioni e pensieri Comportamenti probabili
Disappunto “Come si permettono di Riduzione al minimo
trattarmi così? Mi sento indispensabile degli sforzi
proprio tradito” lavorativi
Insoddisfazione “Come posso fidarmi ancora Decremento nell’assunzione di
di questa organizzazione” responsabilità verso gli
obiettivi lavorativi
Irritazione e rabbia “Non ho nessuna voglia di Rifiuto di comportamenti extra
impegnarmi di più” ruolo
Risentimento “Che senso ha essere leali Comportamenti di rivalsa e di
quando si comportano in ritirata (assenze, ritardi, ecc)
questo modo”
Insomma, i dipendenti ricambiano la violazione del contratto psicologico riducendo
coinvolgimento, impegno e fiducia, adottando comportamenti di ritirata e manifestando l’intenzione
di lasciare l’organizzazione.

Capitolo 3. Il legame psicologico tra individuo e lavoro


1. Perché lavorare?
Se vi ponessero di fronte al seguente scenario: “Immagina di avere vinto alla lotteria una somma
molto grande di denaro, sufficiente per vivere tutta la vita senza problemi economici”, come vi
orientereste nei confronti del lavoro? A questa lottery question 2 persone su 3 ipotizzano che
continuerebbero a lavorare. Questo dato rafforza l’idea che il lavorare costituisce un’attività umana
dotata di significati profondi che travalicano le esigenze finanziarie; il lavoro ricopre delle funzioni
psicologiche rilevanti per la persona e costituisce una opportunità per conseguire soddisfazione,
benessere, identità e per costruire ricche relazioni sociali. Ma molto dipende anche dal tipo di
lavoro che si svolge. Rozzi, psicologo del lavoro, sostiene che l’attività umana in certe situazioni
rivela un potenziale distruttivo (inquinamento, produzione di armamenti, sprechi, ecc). Tra questi
egli inserisce anche il lavoro apparente, che è lavoro ma inteso solo nel senso formale del termine,
significare avere il posto, lo status di lavoratore, ma non genera valore aggiunto i lavori umili o
sotto pagati, anche se quando un qualsiasi lavoratore prova passione e piacere per il proprio lavoro
“non lavorerà per un giorno della sua vita” grande forma di libertà. Quando un individuo
attribuisce particolare importanza al proprio lavoro e ne è appassionato, questo viene definito job. Il
lavorare in generale, work. Ulteriore investimento psicologico: stare in una organizzazione il
legame con il proprio lavoro può essere rafforzato anche attraverso l’appartenenza
all’organizzazione in cui si opera (sentimento di membership).
Numerosi studiosi hanno cercato di comprendere il legame psicologico tra individuo e lavoro
attraverso il concetto di motivazione al lavoro insieme di forze che determinano la direzione,
l’intensità e la persistenza dell’azione nelle esperienze che caratterizzano la persona in rapporto al
proprio lavoro. Attraverso questo costrutto si cerca di capire perché alcune persone danno il loro
meglio nei luoghi di lavoro mentre altre mirano solo a “portare a casa lo stipendio”. Sappiamo che
la motivazione influenza il lavoro in tutti i suoi aspetti, e che concerne quindi un processo di:
 Scelta (direzione): quali obiettivi perseguire, quale corso di azione adottare. Tale aspetto
mette in evidenza l’importanza degli scopi e la finalizzazione dell’azione (bisogni da
soddisfare, obiettivi, progetti);
 Investimento (intensità): quali e quante energie allocare, quanto sforzo produrre. Differenza
tra motivazione potenziale e quella realmente espressa.
 Azione (persistenza): come raggiungere gli obiettivi, superare le difficoltà, avvicinarsi
all’esito desiderato.
Questa definizione generale può essere arricchita da una serie di elementi complementari la
motivazione al lavoro:
- Non è direttamente osservabile in quanto processo psicologico, mentre è osservabile lo
sforzo (effort) che è approssimativamente simile;
- È determinata da un insieme di caratteristiche individuali (pulsioni, bisogni, interessi, scopi)
e ambientali (contesto sociale, tecnologie), oltre che sociali.
- È soggetta a continui cambiamenti del lavoro, è fluttuante e dinamica.
- È strettamente legata alla situazione lavorativa della persona, ma anche al suo contesto
esterno, familiare, personale, ecc.
Nelle applicazioni concrete, nella ricerca e nell’intervento organizzativo, la nozione di motivazione
al lavoro può essere applicata a vari processi e su diversi piani di azione. Può essere intesa come
motivazione alla prestazione e riguardare il concreto svolgimento del proprio compito lavorativo;
ma può toccare altre aree motivazionali, come ad esempio la motivazione ad apprendere, quindi
nell’acquisire nuove competenze. Oppure partecipazione a un gruppo di lavoro, come proporre
nuove idee, aiutare gli altri, ecc. Può essere motivazione alla carriera, come accettare un nuovo
ruolo o trasferimento, la pensione, ecc e infine la motivazione verso l’organizzazione, cioè
l’investimento psicologico in attività che possano migliorare il funzionamento organizzativo.
Dunque la motivazione è una variabile che dipende da individuo a individuo, che spesso cambia
nell’arco della vita: con l’invecchiamento si registra un declino lineare e progressivo della
motivazione. Da giovani invece i lavoratori sono motivati alla crescita, per poi mantenere la propria
posizione.
Due tipi di motivazione:
 Intrinseca: promuove una condotta lavorativa finalizzata al conseguimento di benefici e
soddisfazione che sono ricavabili dall’attività in sé, e permette di attivare e dare energia a
una serie di comportamenti e di processi psicologici che producono benefici in sé, quali un
senso di autonomia, di efficacia e di realizzazione personale. L’attività in sé viene
valorizzata, con il piacere di completare il compito, il senso di realizzazione quando lo si
termina, ecc.
 Estrinseca: richiede una componente esterna di strumentalità per essere attivata.
L’erogazione di energia da parte della persona è dovuta al tentativo di conseguire, attraverso
il comportamento, dei risultati esterni all’attività stessa: ottenere un premio, evitare una
punizione, rispettare un impegno. L’azione è generata da fattori esterni all’individuo, che
agisce in modo strumentale per ottenerli.
McGregor ha definito teorie X quei modelli di gestione del personale basati su una visione dei
dipendenti come indolenti, poco ambiziosi, indifferenti alle esigenze organizzative, ecc. Secondo
tale interpretazione, i lavoratori sarebbero spinti solo dai bisogni primari (ovvero quelli di natura
fisiologica secondo la piramide di Maslow bisogni di natura fisiologica alla base, poi di
sicurezza, di appartenenza, di stima e riconoscimento sociale, e al vertice di autorealizzazione). In
tal caso, le politiche del personale sono finalizzate a sollecitare la motivazione estrinseca dei
lavoratori con una forte centratura sui sistemi di premi e sanzioni. Per contro, le teorie Y vedono i
lavoratori come potenzialmente attivi, pronti ad assumersi le responsabilità e a condividere gli
obiettivi organizzativi. Secondo tale interpretazione, i lavoratori sarebbero mossi dai bisogni più
elevati della scala di Maslow (autorealizzazione). Strategie per alimentare motivazione:
arricchimento dei compiti, autonomia operativa, partecipazione alle decisioni.
Teoria della valutazione cognitiva: ha ripetutamente fornito prove a sostegno dell’ipotesi che
fattori esterni come denaro, scadenze, sorveglianza e valutazione tendono a diminuire la spinta
autogenerata al lavoro. Il principio guida di tale ipotesi è che la motivazione intrinseca sia sorretta
da due esperienze psicologiche significative: il sentimento di competenza e quello di autonomia.
L’introduzione di benefici e obblighi esterni tende a mettere in discussione tali sentimenti e a far
sentire le persone maggiormente dipendenti da fattori esterni. In questa sorta di bilancio individuale
risiede la componente di valutazione cognitiva. A conferma della teoria, alcuni esperimenti
dimostrano che ad esempio il denaro (fattore esterno) compromette la motivazione intrinseca,
mentre altri fattori esterni quali lodi, bonus non previsti, incentivi indipendenti dalla performance
non la influenzino. Un’altra teoria (integrazione tra fattori intrinseci ed estrinseci) sostiene
invece che la motivazione intrinseca e quella estrinseca possano convivere, ed è ciò che succede
nella realtà: infatti molti degli esperimenti citati vennero condotti in laboratorio. Nelle reali
esperienze di lavoro fattori intrinseci ed estrinseci si mescolano; i benefici materiali, quegli elementi
esterni, si integrano con il lavoro e diventano una misura del prestigio, della qualità e della
esclusività di una professione. Infine, la motivazione intrinseca ha un peso maggiore nel
determinare la qualità della prestazione, quella estrinseca sembra agire più sulla sua quantità.
Teoria dell’autodeterminazione (SDT): costituisce uno sviluppo teorico recente teso a rimediare
ad alcune incongruenze dei modelli citati in precedenza della valutazione cognitiva. Il principio
base della teoria è che le persone agiscono, come per Maslow, spinte dal soddisfacimento di alcuni
bisogni fondamentali e innati. Tali bisogni sono di natura intrinseca:
- Autonomia:
 Desiderio di operare con un senso di scelta
 Sentimento di libertà psicologica
- Competenza:
 Conoscere e controllare l’ambiente
 Avere un elevato sentimento di autoefficacia
 Esplorare attivamente e in modo continuo
- Relazioni
 Propensione ad essere connessi con altri
 Amare, prendersi cura
 Essere amati e ricevere cure
In base a questi bisogni gli individui sono spinti a cercare di realizzare il proprio potenziale e sono
orientati ad apprendere continuamente e a sviluppare il proprio talento. Aspirano a integrare le
proprie esperienze entro una visione coerente di sé (meaningfulness) e a stabilire relazioni con altri
fondate su rispetto e attenzione reciproca. Gli ambienti di lavoro che permettono di raggiungere tali
obiettivi di autorealizzazione e autonomia sono quelli con maggiore potenziale motivante e che
possono favorire soddisfazione e benessere delle persone. Il soddisfacimento dei bisogni
fondamentali sopra citati è correlato a una serie di comportamenti organizzativi molto importanti:
più impegno nel lavoro, più produttività, più creatività, più proattività, meno assenteismo, ecc.
Nella SDT un ruolo centrale è esercitato dalla distinzione concettuale tra motivazione autonoma e
motivazione controllata. La prima concerne azioni condotte a partire dalla propria volontà e da
un’esperienza di scelta: quando si agisce per il piacere di agire nell’ambito di un comportamento
deliberatamente adottato dalla persona. La seconda fa riferimento invece a un’azione avviata sotto
una pressione esterna o un obbligo ad agire. Tre stati motivazionali generali:
- Amotivazione mancanza di motivazione;
- Motivazione estrinseca (si articola in quattro categorie a seconda del grado di controllo
esterno/autonomia):
 Regolazione esterna: si ha quando l’attività non investe interesse per la persona e vi
è la necessità di interventi esterni (incentivi) per attivare il comportamento
motivazione controllata, quindi forte controllo esterno;
 Regolazione introiettata: si basa su un processo di interiorizzazione di obiettivi e
scopi esterni (norme sociali e valori); l’individuo si autoimpone una serie di
comportamenti per soddisfare alcuni bisogni legati al suo Sé (evitare ansia, sensi di
colpa, ecc) motivazione moderatamente controllata;
 Regolazione identificata: le persone hanno interiorizzato in modo più completo e
coerente una serie di scopi e valori esterni; in tal caso, l’attivazione del
comportamento parte da una deliberata scelta della persona in quanto, grazie
all’azione, si potranno ottenere significativi risultati in termini di soddisfacimento di
bisogni personali e realizzazione della propria identità motivazione
moderatamente autonoma;
 Regolazione integrata: forma più completa di interiorizzazione di interessi e valori
generati dall’esterno; l’attivazione del comportamento deriva una chiara
identificazione di scopi, interessi e obiettivi che si incrociano tra loro in una coerente
immagine di sé e con l’identità della persona motivazione autonoma, basso
controllo esterno;
- Motivazione intrinseca (motivazione autonoma, scelta deliberata) motivazione autonoma
in sé;
Tipo di motivazione “Perché ti impegni sul lavoro”
Intrinseca “Perché il mio lavoro è stimolante”
Regolazione integrata “Perché impegnarmi sul lavoro ha un
significato personale per me”
Regolazione introiettata “Perché altrimenti mi sento in colpa”
Esternamente regolata “Perché così posso ottenere una ricompensa”
Amotivazione “Non mi impegno perché considero il mio
lavoro una perdita di tempo”
La SDT mostra, come la teoria della valutazione cognitiva, un certo grado di astrattezza
concettuale e di artificiosità. Tuttavia introduce concetti fondamentali, come quello di
interiorizzazione e altri sopra citati.
Il ruolo del contesto lavorativo caratteristiche del lavoro e motivazione: si è già sottolineato
come la motivazione costituisca l’esito di un complesso intreccio tra fattori individuali (bisogni,
interessi, valori) e di contesto (compiti lavorativi, organizzazione, relazioni sociali). Il ruolo dei
fattori ambientali, del contesto lavorativo interessa da lungo tempo la psicologia del lavoro. Job
design: è possibile pensare che nella progettazione dei luoghi di lavoro si adotti anche un
approccio centrato sulla motivazione dei lavoratori? Con il termine job design si intende un
insieme di attività e decisioni di solito prese dal management su come i compiti lavorativi
devono essere svolti all’interno di un’organizzazione. Attraverso di esso si definiscono le
mansioni, le responsabilità, gli obblighi, i ritmi, ecc: insomma la divisione dei compiti,
l’integrazione tra ruoli lavorativi, la struttura gerarchica sono esiti delle politiche di job design.
L’insieme di tali soluzioni organizzative hanno un’influenza diretta su produttività e
prestazione. Tendono anche a condizionare atteggiamenti e orientamenti motivazionali delle
persone al lavoro, la loro soddisfazione, l’interazione con colleghi, ecc. In questa direzione si
muove la teoria delle caratteristiche lavorative (Job Characteristic Model). Gli autori
sostengono che la motivazione intrinseca al lavoro dei dipendenti possa essere stimolata da una
strategia ottimale di job design, che consista nella varietà delle capacità richieste, la
significatività del compito, l’autonomia e il feedback, tutti elementi importanti per il loro
potenziale motivante. Il principio guida di questa teoria è che l’attivazione della motivazione
intrinseca nello svolgimento di un compito possa scattare se un individuo può, grazie al lavoro,
attivare tre stati psicologici:
1. Generare esperienze di apprendimento grazie alla conoscenza dei risultati ottenuti con la
propria attività (feedback);
2. Sperimentare la responsabilità di produrre una buona prestazione (autonomia);
3. Sperimentare il significato del proprio lavoro (varietà, identità e significatività).
Modello teorico di Hackman e Oldham:
Caratteristiche del lavoro Stati psicologici salienti
Varietà Sperimentare il significato
Identità psicologico del lavoro
Significato del compito
Autonomia Sperimentare la
responsabilità degli esiti del
lavoro
Feedback Apprendere dai risultati
effettivamente conseguiti
Esiti: elevata motivazione intrinseca, elevata qualità della prestazione, elevata soddisfazione
lavorativa, basso assenteismo e turnover. Fattori di moderazione: forza del bisogno di crescita
personale e professionale, abilità e competenze possedute, soddisfazione relativa al contesto.
Applicando tale schema concettuale, secondo Hackman e Oldham, è possibile stimare il potenziale
motivazionale di ogni impiego; è inoltre possibile prevedere interventi di job design per arricchire e
potenziare, ove possibile, mansioni che dovessero risultare a basso potenziale motivazionale. Infine,
il modello prevede l’intervento moderatore di un’altra variabile psicologica finalizzata a valutare le
caratteristiche individuali in termini di bisogno di crescita personale e professionale. Questo
modello è stato verificato sul campo e si è dimostrato valido; tuttavia Hackman e Oldham hanno
elaborato la propria teoria sulla motivazione intrinseca nel lavoro in un contesto ancora dominato
dal taylorismo oggi lo scenario è radicalmente cambiato, e perciò la studiosa Parker si è dedicata
all’espansione del modello originale considerando gli sviluppi recenti del mondo del lavoro:
- Caratteristiche emergenti del lavoro. Le cinque caratteristiche individuate nel JCM sono
state ampliate e arricchite in varie direzioni in studi più recenti. Alcuni studiosi hanno
elaborato il Work Design Questionnaire (VDQ) allo scopo di ampliare la gamma di
caratteristiche del lavoro potenzialmente motivanti da prendere in considerazione. Ad
esempio, l’autonomia è stata articolata in tre tipi: organizzazione oraria, presa di decisioni,
metodo di lavoro. La varietà è stata connessa alle competenze, il feedback alla sfera sociale
del lavoro, ecc.
- Cambiamenti nelle organizzazioni di lavoro. Le nuove forme di contratto del lavoro, la
diffusione della flessibilità e la conseguente maggiore incertezza lavorativa sono eventi
recenti che impongono un altro asse di espansione del JCM. Tali significativi cambiamenti
nelle regole del mercato del lavoro (flessibilità, incertezza, insicurezza) hanno un impatto
negativo sulla motivazione delle persone. Tuttavia, le soluzioni di job design possono, anche
in questo caso, esercitare un ruolo di attenuazione. Ad es nel telelavoro, una forma di
impiego a distanza, che può generare motivazione positiva se viene accentuata l’autonomia
operativa e se il lavoro è sorvegliato. Oppure i contratti a tempo parziale, o altre forme
flessibili di gestione del tempo e del lavoro, che il job design rende caratteristiche positive
perché concedono maggiore libertà, gestione del tempo, ecc.
3. La motivazione al lavoro: processi psicologici
Sino a questo punto si è visto come la motivazione al lavoro può essere classificata in diversi tipi
(intrinseca/estrinseca; autonoma/controllata) e come può essere influenzata da alcune caratteristiche
del lavoro. Parallelamente, gli psicologi del lavoro hanno prodotto una serie di teorie per
comprendere come le persone sviluppano interessi, valori e bisogni relativi alla sfera lavorativa, e
come si genera, si indirizza e si mantiene nel tempo l’attivazione di energia che sostiene il
comportamento lavorativo. Tali teorie, cosiddette di processo, sono numerosissime e toccano
diverse problematiche psicologiche. Per costruire un percorso logico all’interno di questa ampia
gamma di modelli, occorre partire dalle fasi tipiche dell’azione motivata e dalle teorie motivazionali
che ne derivano:
Fasi Processo mentale Teorie motivazionali
1. Scelta Deliberativo Aspettative e valenze
2. Pianificazione obiettivi Implementazione (= impostare Goal setting
le condizioni per realizzare un
piano)
3. Esecuzione (azione) e Operativo Autoregolazione
controllo
4. Valutazione esiti Valutativo Equità e giustizia
Il primo passo che avvia l’azione motivata è caratterizzato dalla scelta di un corso di azione sulla
base di un sistema di preferenze e di aspettative circa il successo e i possibili benefici che si
possono trarre dall’impegno. Tale fase di definizione di uno scopo, e quindi di scelta, comporta un
processo di deliberazione (decisione), che avviene dopo aver soppesato tutte le varie ipotesi. Segue
un processo di goal setting (definizione degli obiettivi da raggiungere) in cui sono in gioco processi
implementativi di autoregolazione dedicati alla programmazione mentale di un modo di procedere.
La terza fase prevede il passaggio all’azione e l’erogazione di energia per il raggiungimento dello
scopo (goal striving). Una fase di controllo e autoregolazione del comportamento permette di
valutare se si sta effettivamente perseguendo l’obiettivo e se questo è raggiungibile. Infine, una
volta completata l’attività se ne possono valutare gli esiti in termini di effettivo raggiungimento
dello scopo, benefici ottenuti, ecc. L’esito della valutazione costituirà l’input per futuri processi di
autoregolazione e selezione degli scopi. Vediamoli adesso punto per punto:
A. La scelta motivazionale
E’ la prima fase del processo motivazionale ed è caratterizzata dalla scelta tra diverse opzioni
comportamentali. Per comprendere come avviene tale fase deliberativa un punto di riferimento
obbligato è costituito dalla teoria dell’aspettativa-strumentalità-valenza (modello VIE) di
Vroom. Il modello prevede l’intervento di tre variabili:
 La valenza attribuita al risultato (V di valence), ovvero in che misura gli esiti attesi della
propria azione sono considerati soggettivamente positivi e attraenti.
 La strumentalità (I di instrumentality), ovvero la relazione percepita tra la propria azione e il
conseguimento dei benefici attesi; se faccio X otterrò Y.
 L’aspettativa (E di expectancy), ovvero la percezione di quanto lo sforzo e l’impegno
nell’azione possano effettivamente tradursi nella performance desiderata; se faccio X mi
aspetto Y.
La forza motivazionale che alimenta una determinata azione è data dal prodotto di questi tre
elementi Motivazione= V x I x E da qui modello VIE; è sufficiente che uno dei tre fattori sia
nullo per avere un livello di motivazione pari a 0. Teorizzando, elevata importanza attribuita al
lavoro accompagnata da una positiva aspettativa di riuscita nella ricerca dell’impiego conducono a
una più intensa attività di ricerca dell’impiego e a un più rapido conseguimento di un’occupazione.
Insomma, il modello della scelta motivazionale ha indubbi meriti per quanto riguarda la spiegazione
psicologica di come un individuo costruisce in modo consapevole un’intenzione comportamentale e
come orienta le proprie risorse per la realizzazione degli scopi. Sviluppi recenti si sono occupati di
rendere il modello più operativo e più legato alla sfera lavorativa:
- Diversi ambiti nei quali si collocano gli scopi delle persone (lavoro, famiglia, tempo libero);
- Diverse dimensioni dello scopo, c’è chi è orientato a come il lavoro è svolto e chi solo agli
scopi, eccetera.
- Diversa goal orientation, ovvero orientamento degli scopi:
o Orientamento all’apprendimento: individuazione degli scopi che hanno a che fare
con l’acquisizione di conoscenza, la scoperta, la curiosità, la sfida;
o Orientamento alla performance: individuazione di scopi realizzabili in cui sia
possibile mostrare la propria competenza ed essere valutati positivamente;
o Orientamento all’evitamento della performance: scelta di scopi non sfidanti, in cui
non si incorre in valutazioni esterne.
B. La pianificazione degli obiettivi
Alla fase deliberativa fa seguito la definizione operativa degli scopi e l’implementazione. Per
analizzare tale passaggio è fondamentale la teoria del goal setting o management degli obiettivi
(definizione degli obiettivi), riassunta in una serie di punti:
 La presenza di un obiettivo può costituire uno stimolo per accentuare sforzo, impegno e
ricerca di soluzioni.
 Perché l’obiettivo possa risultare motivante, dovrà essere sufficientemente difficile e
impegnativo, quindi sfidante, ma allo stesso tempo realizzabile e conseguibile. La difficoltà
dell’obiettivo va misurata secondo le caratteristiche della persona.
 L’obiettivo dovrà essere ben identificato, chiaro, specifico.
Obiettivi con queste caratteristiche mobilitano una serie di processi cognitivi:
 Focalizzazione sull’obiettivo
 Intensità della focalizzazione
 Persistenza nel perseguirlo
 Strategie per raggiungerlo
Un fattore fondamentale è dato dall’accettazione e condivisione degli obiettivi da parte dei
lavoratori goal commitment impegno a conseguire l’obiettivo. Importanza del feedback per
autoregolarsi e dell’autoefficacia percepita, che costituisce un legame con le teorie dell’aspettativa
citate precedentemente. Persone con elevata self-efficacy percepita rispondono in modo più
favorevole a obiettivi sfidanti e impegnativi, utilizzando meglio i feedback e facendo più ricorso al
goal commitment.
C. Autoregolazione e controllo del comportamento
Il terzo step dello schema riportato in precedenza prevede il passaggio all’azione, una fase di goal
striving e una serie di processi di controllo del comportamento. Il mondo del lavoro ha virato
decisamente sull’autoregolazione da parte dei lavoratori aumento di responsabilità, autonomia
dei dipendenti, appiattimento delle gerarchie, ecc. Essa può essere intesa come una serie di processi
psicologici (pensiero, ragionamento, attenzione, azioni) che permette alla persona di controllare i
propri comportamenti orientati allo scopo al variare del tempo e dei cambiamenti di contesto. Tali
processi includono attività di:
 Monitoraggio
 Autovalutazione
 Reazione interna (autopunizione o autogratificazione)
L’autoregolazione si riferisce al controllo di se stessi per mantenere una accettabile congruenza tra
il proprio self (identità) e alcuni standard di comportamento preferiti. E’ un’attività cosciente. Vi
sono svariate teorie in merito, tra cui i modelli dell’autodeterminazione e del goal setting.
L’elemento che le accumuna è costituito dall’idea che le persone nei luoghi di lavoro sono
attivamente impegnate nell’allocare le risorse scarse a disposizione e nel regolare l’azione. Per
allocazione di risorse si intende un complesso processo che determina quanto tempo, energia,
attenzione, sforzo vadano dedicati a diversi piani di azione e progetti; la teoria dell’azione
sottolinea il ruolo attivo delle persone nel loro rapporto con se stessi e con la realtà esterna.
L’autoregolazione interna è finalizzata dunque a mantenere il controllo sulla realizzazione dei piani
e il conseguimento degli obiettivi. E’ una risorsa importante, che si può collegare anche al già visto
concetto di proattività.
D. Valutare gli esiti
Il processo dell’azione motivata si chiude con la valutazione degli esiti. Solitamente a questa fase
del processo si associano aspetti che riguardano la percezione di giustizia e di equità dello scambio.
La teoria dell’equità di Adams costituisce il punto di partenza per un’ampia famiglia di modelli
motivazionali basati sui concetti di equità e giustizia. Secondo Adams, le persone regolano il
proprio comportamento sociale in base a un principio di equità: valutano il rapporto tra ciò che essi
danno (sforzo, competenze, energie) rispetto a ciò che ricevono (premi, riconoscimenti,
promozioni) in un determinato contesto confronto sociale. Il concetto di equità è costruito sulla
base di un’immagine ideale di equilibrio tra risorse investite e ottenute, una allocazione con
carattere sociale. Poggia su diversi principi:
- Strumentale: difesa degli interessi personali “voglio ottenere quanto mi spetta”;
- Sociale: confronto con gli altri “mi aspetto di ottenere quanto spetta ad altri simili a me”;
- Morale: regole e valori fondati sul modo giusto di fare le cose “mi aspetto di essere
trattato in modo giusto”.
In caso di non equità strategie di riequilibrio:
 Modifica degli input o dei risultati: riduzione dell’impegno e dello sforzo oppure tentativo
di aumentare i benefici ottenibili.
 Modifica dei referenti: cambiare individuo o gruppi utilizzati come riferimento per il
confronto sociale.
 Modifica del bilancio risorse/risultati: riconsiderare il valore delle risorse immesse o dei
risultati ottenuti.
 Abbandono: cambiare lavoro, uscire dall’organizzazione, cercare una nuova collocazione
occupazionale.
Teoria della giustizia organizzativa espansione del modello di Adams prende in
considerazione anche le caratteristiche generali del contesto sociale (le organizzazioni) in cui si
generano tali scambi sociali. Secondo questa teoria, le persone percepiscono diversi gradi di equità,
imparzialità di trattamento e giustizia valutando come le organizzazioni distribuiscono risorse e
riconoscimenti. In base a tale percezione si stabilisce il livello di fiducia nei confronti
dell’organizzazione. In particolare, la teoria propone la distinzione tra i concetti di:
 Giustizia distributiva, ovvero la credenza circa il fatto che i benefici siano distribuiti in
modo equo e corrispondente alle attese;
 Giustizia procedurale, ovvero la credenza sull’adeguatezza dei modi di allocare e distribuire
le risorse da parte dell’organizzazione;
 Giustizia interpersonale, ovvero la percezione di come si viene trattati all’interno
dell’organizzazione in termini di rispetto e dignità.
In base a tale distinzione, si ritiene che la percezione di giustizia si basi sulla quantità di benefici
ricevuti in assoluto rispetto a quanto ottenuto da altri e che dipenda anche dalle modalità secondo
cui i benefici (o le sanzioni) sono distribuiti. Es: downsizing= riduzione del personale occorre
selezionare chi tenere e chi licenziare. Ma anche i sopravvissuti, coloro che vengono scelti per
rimanere, subiscono forti demotivazioni, perché perdono fiducia nell’organizzazione colleghi che
hanno lavorato per anni con dedizione per l’azienda sono stati licenziati ingiustizia perdita
fiducia demotivazione.

Capitolo 4. Il lavoratore e i suoi compiti


1. Lavoro: una pluralità di significati
Lavoro indica qualsiasi esplicazione di energia volta a uno scopo predeterminato. Più in
particolare, costituisce l’applicazione delle facoltà fisiche, intellettuali ed emotive di una persona
rivolte direttamente e coscientemente alla produzione di un bene o di un servizio o comunque a
ottenere un prodotto di utilità individuale o collettiva e scambiabile in un mercato. Inoltre, lo stesso
termine designa altri tre aspetti differenti contenuti:
a) La cosa a cui si sta lavorando in un determinato contesto e con specifici strumenti;
b) Il prodotto dell’attività lavorativa;
c) L’occupazione entro cui si attua lo scambio tra impegno, tempo ed energie di una persona
con i ricavi adatti al suo sostentamento;
Il lavoro è caratterizzato anche da aspetti economici e giuridici, e concorre alla produzione di
ricchezza materiale e immateriale. Allargando ulteriormente il campo emergono le numerose
connotazioni date al lavoro come oggetto della riflessione filosofica, antropologica, sociologica, che
derivano dalle grandi funzioni attribuite al lavoro nella cultura occidentale. In inglese invece si
distingue tra work, ovvero lavoro come attività umana diretta ad uno scopo e come insieme di
significati generali, e job, che si identifica come l’attività concreta svolta per un dato tempo sulla
base di requisiti oggettivi (qualifiche) e soggettivi (motivazione). L’accezione con cui useremo il
termine lavoro in questo capitolo si avvicina di più alla nozione di job.

2. Attività lavorativa: azioni e operazioni in un contesto


Teoria dell’azione di Engestrom lo scopo finale di un’attività lavorativa viene raggiunta
attraverso momenti diversi nei quali si realizzano interazioni significative tra differenti elementi
che, nel complesso, formano un sistema di azione (esempio del medico che interagisce con
infermiere-padre-paziente bambino). Questo processo dunque coinvolge numerosi elementi, può
prendere diverse direzioni a seconda degli ostacoli o delle facilitazioni che trova; infatti lavorare
significa svolgere un insieme di attività che un lavoratore (il soggetto), con una certa sequenza
ordinata, indirizza su un oggetto per raggiungere scopi di rilevanza pratica, con la mediazione di
strumenti e di significati presenti in un determinato contesto non è un’attività solamente
individuale, dipende anche da dimensioni collettive e sociali. Con attività lavorativa ci si riferisce
alla condotta finalizzata a un insieme di scopi, mete, risultati attesi propri o assegnati
dall’organizzazione. L’attività è scomponibile in azioni, anch’esse mirate a uno scopo, delineate
secondo un piano definito mentalmente e controllate dalla persona con differenti meccanismi di
feedback. Anche le azioni sono scomponibili in operazioni, che rappresentano un ulteriore
sottoinsieme di condotte che permettono di raggiungere scopi più delimitati, ma funzionali
all’attuazione delle azioni. La scomposizione potrebbe poi procedere identificando unità ancora
minori come i singoli gesti per effettuare le operazioni sino ad arrivare ai gruppi muscolari attivati
dai gesti stessi. Qualsiasi lavoratore attiva un processo per produrre un esito= prestazione, sinonimo
di attività lavorativa, che combina sia le azioni finalizzate agli scopi che gli esiti e i risultati stessi.
Questi due aspetti sono collegati ma non in modo lineare ed immediato, in quanto l’effettivo
raggiungimento degli esiti è influenzato dalle condizioni di realizzazione, ovvero diversi fattori del
contesto. Per comprendere un’attività lavorativa occorre dunque precisare alcuni aspetti:
1. Il decorso osservabile dell’attività. Ci si riferisce alle condotte manifestate secondo una data
sequenza temporale delle azioni, alla struttura gerarchica delle attività, agli ostacoli alla
sequenza delle azioni.
2. I processi cognitivi e i vissuti oggettivi dell’attività. Le azioni sono sostenute da differenti
processi cognitivi e affettivi. Gli stimoli ambientali sono processati attraverso il sistema
sensoriale/percettivo, sono rielaborati coinvolgendo i sistemi della memoria a breve e lungo
termine per poi attivare il sistema esecutivo centrale che svolge la funzione di
coordinamento e gestione dei processi mentali di più alto livello che sostengono le risposte
finali (ovvero le azioni) e che si esprimono nella:
a) Definizione e appropriazione degli scopi: possono essere prestabiliti e fissati oppure no,
sono divisi per importanza, ecc.
b) Pianificazione: rielaborazione delle informazioni, confronti con esperienze precedenti,
decisioni, ecc.
c) Controllo/regolazione: in seguito di feedback, valutazioni finali, correzioni, ecc.
d) Valori, emozioni, intenzioni: orientano i criteri di scelta e le perseguono.
3. Significati sociali e mediazioni oggettivabili. Le attività sono finalizzate a mete
personalizzate a partire dalle richieste lavorative, ma hanno significati anche sociali che
intervengono nel modo di impostare le azioni. Oltre alle interazioni sociali dirette ci sono i
fattori sociali indiretti, come convenzioni (istruzioni, linee guida, raccomandazioni) e regole.
3. Attività lavorativa tra compiti prescritti e compiti reali
Compiti prescritti dall’azienda: ad es autista di autobus urbani deve guidare il mezzo.
Attività lavorativa reale: egli può aprire le porte che vuole o tutte, frenare dolcemente o meno,
andare più o meno veloce, rispondere più o meno garbatamente alle domande dei passeggeri.
I compiti prescritti sono indicazioni formali che esprimono le richieste lavorative alle quali il
lavoratore dovrebbe rispondere con la sua attività; comprendono: obiettivi da raggiungere,
procedure da usare, divisione dei compiti, tempi da rispettare, ecc. Poi vi sono i compiti
realmente svolti dal lavoratore, con cui egli affronta e risolve a suo modo i problemi concreti
del lavoro quotidiano. La ragione della distanza tra compiti prescritti e reali deriva da un alto
tasso di variabilità della situazione di lavoro. Si pensi ad esempio agli imprevisti, alle
variazioni, alla creazione di alternative che il lavoratore talvolta si trova ad affrontare. In
secondo luogo, l’attività lavorativa risulta distante dai compiti formalizzati perché essi sono stati
progettati e definiti male (vi sono sempre cambiamenti e imprevisti). In terzo luogo, la
variabilità deriva dai lavoratori stessi; in particolare, vanno considerate le differenze
individuali nel modo di lavorare imputabili all’età o al genere, all’esperienza, ecc. Differenze
individuali nella prestazione:
 Abilità cognitive.
 Abilità sensoriali lavori visivi o acustici.
 Capacità fisiche.
 Caratteristiche della personalità.
 Consapevolezza e valutazione di sé controllo della situazione, controllo di sé stessi,
efficacia personale.
 Caratteristiche sociali socio anagrafiche, culturali, di istruzione, ecc.
Gli scostamenti, dunque, non sono violazioni ma reinterpretazioni dei compiti e delle regole e
adattamenti operati dal lavoratore per conseguire i risultati attesi compromessi operativi che
cercano un equilibrio mai definitivo tra richieste del lavoro ed esigenze del lavoratore.
4. I compiti come esigenze e domande al lavoratore
Come abbiamo visto:
Attività lavorativa= compiti prescritti + reinterpretazioni e compromessi operativi
Costi del lavorare dati dalle richieste fatte al lavoratore esigenze del lavoro:
- Fisiche
- Ambientali
- Sensoriali
- Sensomotorie
- Cognitive
- Relazionali
5. La prestazione legata ai compiti, contestuale e adattiva
Concetto di prestazione due importanti conclusioni:
 Importanza di tenere distinti gli aspetti della prestazione che corrispondono ai risultati finali
da quelli che invece riguardano le diverse attività svolte dal lavoratore per raggiungerli;
 Articolazione interna che comprende differenti dimensioni:
- Quelle che riguardano la competenza nello svolgere le attività richieste;
- Quelle riferite agli aspetti sociali della prestazione, quindi anche alla condotta tenuta durante
essa, che offrono sostegno all’attività sul piano organizzativo e psicosociale;
Si tratta quindi di una prospettiva multidimensionale proposta per la prima volta da Campbell in 8
dimensioni, di cui le prime 5 si riferiscono alla prestazione legata ai compiti lavorativi (task
performance):
1. Efficienza nei compiti specifici che caratterizzano il job;
2. Efficienza nei compiti non specifici;
3. Efficienza nella comunicazione orale e scritta;
4. Efficienza nella supervisione/leadership;
5. Efficienza manageriale e amministrativa;
+
6. Mantenere la disciplina personale;
7. Sforzo e impegno;
8. Facilitare il lavoro del team;
Questi tre ultimi aspetti sono definiti condotte non tecniche e sono dimensioni della contextual
performance, che adesso vedremo.
Gli otto punti sono il risultato dell’unione tra le determinanti della prestazione, che sono:
 Conoscenza dichiarativa: è la conoscenza da parte del lavoratore dei fatti lavorativi, degli
scopi che regolano le attività e delle proprie caratteristiche; è funzione delle abilità e degli
interessi della persona, della formazione ricevuta, dell’esperienza lavorativa.
 Conoscenza procedurale e skills: “saper come fare” una certa attività.
 Motivazioni lavorative: determinano la prestazione quali e quante energie impiegare nel
lavoro
C’è una differenziazione da fare tra task performance e prestazione contestuale (contextual
performance):
Task performance Contextual performance
Quando i lavoratori, usando conoscenze e Quando i lavoratori esplicitano condotte non
capacità tecniche, svolgono i compiti specifici direttamente legate ai compiti di ruolo, ma che
del loro lavoro sostengono la qualità dei rapporti psicosociali
nel contesto di lavoro; es: gestione costruttiva
delle relazioni con i colleghi, i clienti, aiuto ai
giovani, ecc
1. Efficienza nei compiti specifici che Condotte non tecniche:
caratterizzano il job; 6. Mantenere la disciplina personale;
2. Efficienza nei compiti non specifici; 7. Sforzo e impegno;
3. Efficienza nella comunicazione orale e 8. Facilitare il lavoro del team;
scritta;
4. Efficienza nella
supervisione/leadership;
5. Efficienza manageriale e
amministrativa;

Le dimensioni della task performance possono Le dimensioni della contextual performance


essere più o meno presenti in un lavoro sono comuni a quasi tutti i tipi di lavoro
Le dimensioni sono più legate alle conoscenze Le dimensioni sono connesse alle motivazioni
e agli apprendimenti tecnico-professionali e alle caratteristiche personali del lavoratore

In generale, si possono riconoscere due importanti funzioni delle condotte non tecniche:
 Rendere più fluide le relazioni sociali esistenti rafforzandole e diffondendole (altruismo,
cortesia, ecc).
 Condotte proattive nell’organizzazione, ovvero le condotte che esprimono l’intenzione
personale di farsi carico dei problemi che riguardano la propria organizzazione.
Le nuove dinamiche del lavoro e del mercato, basate su flessibilità e precarietà, hanno fatto
emergere l’esigenza di considerare una ulteriore dimensione della prestazione non considerata dal
modello di Campbell: la prestazione adattiva (adaptive performance). Con tale costrutto si
intende riconoscere come il lavoratore risponda alle richieste dei compiti e dei ruoli anche sulla
base della sua versatilità e tolleranza all’incertezza. Elementi tipici di questa performance:
 Gestire emergenze e situazioni di crisi
 Gestire situazioni stressanti
 Risolvere problemi creativamente
 Imparare di continuo nuovi compiti, l’uso di tecnologie e procedure tecniche
 Affrontare situazioni lavorative incerte e impreviste
 Dimostrare adattabilità interpersonale
 Dimostrare adattabilità culturale e valoriale
 Dimostrare adattabilità alle diverse situazioni fisico-ambientali

6. Variazioni della prestazione


La prestazione di un lavoratore subisce variazioni nel corso del tempo, sia per motivi personali che
di contesto lavorativo. A questo proposito occorre tenere presente una distinzione pratica tra
variazioni a breve termine, dovuti ad es alla stanchezza, e variazioni progressive e più a lungo
termine su cui ci soffermeremo in questo paragrafo. Le variazioni possono essere:
- Positive: cambiamenti intesi come ampliamento delle proprie conoscenze, sviluppo delle
skills, arricchimento del bagaglio personale, della conoscenza procedurale, nuove capacità e
si riduce la necessità di controllo;
- Negative: decrementi nelle prestazioni carenza di conoscenza dichiarativa, procedurale e
di skills della persona.
Interazione lavoratore-macchina: esempio del lavoratore al tornio, pag 137-138. Sia nel caso in cui
vi siano carenze nelle caratteristiche della persona sia in quello in cui siano presenti incertezze nel
tipo di interazione lavoratore-macchina, ci si è chiesti come si possa mantenere un buon livello di
prestazione di fronte ai diversi ostacoli provenienti anche dalle condizioni di esecuzione e dalle
interferenze ambientali di natura fisica o sociale (presenza di altri colleghi). Essi infatti possono
operare distraendo il lavoratore dagli obiettivi primari, riducendo l’attivazione (e la motivazione)
nel corso del tempo, stimolando stati emozionali controproducenti e determinando un notevole
affaticamento. Questa possibile situazione introduce il costrutto di carico di lavoro mentale che
riguarda sia l’ “essere pieni di impegni” e il “dover fare troppe cose contemporaneamente”
(multitasking) che soprattutto il costo complessivo che il lavoratore paga per mantenere un buon
livello di prestazione. Carico di lavoro= tipo di richieste imposte dal compito, livello di prestazione
e di sforzo del lavoratore raggiunta, le sue percezioni nel sentirsi sotto o sovraccarico egli infatti
ha a disposizione una quantità limitata di risorse mentali e quando le richieste sono sproporzionate,
ovvero in eccesso o troppo basse, sperimenta queste percezioni. In concreto però il carico di lavoro
e le sue variazioni dipendono dall’interazione tra le richieste del lavoro e le abilità, le skills
cognitive e motivazionali dell’individuo. Infatti si è ipotizzato un sistema di protezione della
performance fondato sull’autoregolazione compensatoria da parte del lavoratore. In primo luogo si
è osservato che, nel lavoro reale, vi è una notevole resistenza al decadimento della prestazione per i
compiti primari (cioè prioritari, centrali per conseguire gli scopi della prestazione), anche perché
essi sono significativi per il lavoratore; nel caso in cui emergano rischi per il mantenimento di un
buon livello di una prestazione considerata importante dal lavoratore, si attivano circuiti di feedback
in grado di far utilizzare risorse personali aggiuntive per correggere la situazione. Sono state
individuate tre principali strategie di risposta compensatoria, più o meno costose ed efficaci:
1. Aumento dello sforzo (engagement): riserva di energie per le situazioni impreviste.
2. Ritiro dell’impegno (disengagement): in una parte delle attività o abbassandone il livello.
3. Sopportare lo stress (strain mode): superare ostacoli per mantenere gli obiettivi della
prestazione.
Lo sforzo di mantenersi concentrati, mediante varie strategie, sulla realizzazione dei compiti primari
può però condurre alla perdita di efficienza in altre dimensioni della prestazione. I compiti
secondari (percepiti come meno importanti per la prestazione) risentono direttamente della scarsa
disponibilità di energie e di risorse usate per quelli primari, e rischiano di degradare per primi.
7. Analizzare il lavoro: approcci e strumenti
Cambiamenti nei contesti di lavoro e degli stessi lavoratori nuove tecnologie e metodi di
comunicazione fluidità, flessibilità convergono nel:
a) Determinare variazioni continue nei profili professionali tradizionali;
b) Generare nuovi profili professionali;
c) Produrre cambiamenti nei modi di impostare, eseguire e valutare il lavoro e nell’impiego
delle persone a portarlo a termine.
L’analisi del lavoro, definita come un processo di raccolta e valutazione delle informazioni sui
comportamenti lavorativi, sugli strumenti usati in una data posizione di lavoro e sul contesto
lavorativo, svolge funzioni decisive per la progettazione del lavoro, la correzione di modi di
lavorare inadeguati, la salvaguardia del lavoratore, il miglioramento delle esperienze lavorative,
ecc. Inoltre, l’analisi del lavoro ha un valore strategico in due sensi:
1. Evidenzia e specifica la natura dei compiti lavorativi attuali ma permette anche di acquisire
tali informazioni rispetto ai compiti che stanno già cambiando o che si prevede che
cambieranno. Essa, quando cerca di comprendere le sovrapposizioni tra lavori, i loro punti
in comune e interscambi diviene un’occasione per un uso flessibile del capitale umano senza
le rigidità e gli ostacoli implicite nei concetti di qualifica e mansioni.
2. Diventa l’occasione per i vari attori, e soprattutto sui lavoratori interessati, per riflettere su
quello che fanno, per valutare meglio la loro situazione e per cercare di contribuire al
cambiamento della loro attuale condizione. Come e perché le attività vengono fatte e come
farle in modo più soddisfacente. L’analisi del lavoro diviene allora non solo un insieme di
tecniche, ma anche uno strumento per comprendere le varie e nuove domande psicologiche
del lavoro odierno.
Funzioni dell’analisi del lavoro:
 Politiche del personale selezione del personale, valutazione delle prestazioni,
pianificazione del personale, costruzione di un sistema premiante.
 Job design
 Sicurezza lavorativa l’analisi del lavoro rappresenta anche uno strumento indispensabile
per l’individuazione dei punti critici dell’organizzazione rispetto alla sicurezza e alla
prevenzione dello stress, ecc.
 Formazione e instructional design trasformare le situazioni esistenti in quelle desiderate,
prima compiendo una ricerca e poi agendo. L’instructional design è volto ad individuare i
metodi, i contenuti e i tempi dell’intervento formativo.
 Orientamento e counselling di carriera forme di sostegno psicosociale ai processi
decisionali di giovani e adulti che si trovano in situazioni di mobilità lavorativa, oppure ri-
progettazione della carriera di lavoratori già occupati.
 Classificazioni e profili professionali è dall’analisi del lavoro che si delineano le
competenze che caratterizzano un profilo professionale.
L’analisi del lavoro si riferisce alla corretta identificazione delle responsabilità, dei compiti, delle
attività reali e dei requisiti per svolgere il lavoro. La pratica del lavoro odierno non è facilmente
descrivibile “a tavolino”, perché ci sono molti elementi che la influenzano e attualmente è molto
flessibile. Perciò occorre fare una work analysis piuttosto che una più circoscritta job analysis, in
modo da avere una visione d’insieme del mondo del lavoro. Due tipi di approcci:
- Work-oriented: interesse a descrivere i compiti indipendentemente dal lavoratore che li
svolge. E’ l’approccio più oggettivo, utile a descrivere gli aspetti specifici del lavoro e a
correggerli.
- Worker-oriented: interesse ad individuare le attività e gli attributi cognitivi, affettivi e
comportamentali del lavoratore affinché egli svolga efficacemente i suoi compiti. E’ un
approccio influenzato dal lavoratore e dalla sua esperienza.
Un estensione dell’approccio centrato sul lavoratore è rappresentato dal competency modeling: esso
si focalizza sulle competenze nella loro accezione più ampia di combinazione di motivazioni,
caratteristiche della personalità, atteggiamenti, conoscenze, abilità per svolgere al meglio le
prestazioni lavorative. Perciò ci si focalizza sulla valutazione delle competenze e capacità generali
delle persone, quindi il focus non è sul lavoro come entità stabile, ma sulle persone che lo
interpretano in modo diverso. Tali requisiti soggettivi fanno parte delle competenze della persona
che possono essere molto più ampie di quanto richiesto da uno specifico lavoro. Il competency
modeling è orientato sul futuro (come possono essere raggiunti nuovi obiettivi organizzativi)
proponendosi di riconoscere e valorizzare le competenze disponibili o acquisibili, comuni a una
certa famiglia di professioni. E’ dunque un approccio flessibile, trasversale, basato sul capitale
umano.
Per compiere un’analisi di lavoro occorre avere come riferimento uno schema concettuale che aiuti
a cogliere i legami tra diversi fattori che intervengono sulla prestazione e selezionare i metodi e gli
strumenti tecnici più adatti per ricavare le informazioni. Ad es:
Azienda attività lavoratore
Azienda Attività Lavoratore
Obiettivi del lavoro Aspetti cognitivi e Caratteristiche personali
comportamentali
Tempi e turni Azioni e operazioni per Esperienze personali
raggiungere scopi
Organizzazione del lavoro Aspetto psicologico
Ambiente fisico Extra lavoro
Ambiente sociale Stati temporanei
Gli elementi nella colonna “azienda” vengono definiti fattori di contesto. Dalle attività derivano
degli esiti, sia della prestazione che per il lavoratore (quindi sia del lavoro che inerenti alla
persona). Esempio a pag. 146.
Nel caso in cui si intenda approfondire l’analisi del lavoro arrivando a risultati più dettagliati
potranno essere usate tecniche specifiche di task analysis è lo studio dettagliato dei compiti di
un lavoratore (cosa fa e come lo fa) espresso in termini di azioni finalizzate allo scopo da
raggiungere con la prestazione. Si usa soprattutto in contesti lavorativi ad alta tecnologia e
fortemente informatizzati; viene utilizzata solo quando è indispensabile comprendere in
dettaglio come è fatta una prestazione riferita a compiti complessi. Essa consente anche di:
 Identificare i costi fisici e mentali dell’attività lavorativa;
 Evidenziare i punti critici;
 Prendere decisioni in merito alle fasi di progettazione;
 Definire meglio le specifiche capacità e competenze richieste al lavoratore;
 Identificare i percorsi formativi più adatti.
Come in ogni tipo di analisi scientifica, l’osservazione rappresenta il primo passo della task
analysis. Poi due processi: occorre descrivere in maniera ricca la situazione reale di lavoro per
cogliere il significato delle azioni e inoltre bisogna rappresentare le azioni cercando di cogliere il
loro grado di corrispondenza rispetto al contesto. Per tale ragione si attua una progressiva
decomposizione delle attività in componenti minori, ad es spezzare attività più ampie in unità
sempre più piccole. Domande utili per la task analysis su cosa si sta facendo/deve essere fatto:
perché? come? quali azioni precedono? Quali azioni seguono? Concetto fondamentale: è il
lavoratore che guida l’analisi.
La Hierarchical Task Analysis (HTA) è una tecnica classica per la raccolta delle informazioni
utili a descrivere dettagliatamente il lavoro. Essa rappresenta un’ulteriore specificazione di quanto
sin qui detto, nel senso che si basa sulla descrizione dei compiti secondo un analogo procedimento
di decomposizione degli scopi e delle attività in sub elementi. In genere si arriva a un livello
notevole di dettaglio. Dopo la raccolta delle informazioni, viene usata una rappresentazione grafica
ad albero i cui rami sono costituiti da unità sempre più piccole.
Man mano che però i lavoratori assumono caratteristiche più complesse occorre considerare meglio
le attività e i processi cognitivi che le sostengono e che non possono essere direttamente osservati.
La Cognitive Task Analysis (CTA) può essere intesa come un’evoluzione della task analysis
stimolata dai cambiamenti del lavoro. Essa si riferisce ai processi mentali coinvolti nelle azioni, con
particolare riguardo ai lavori che prevedono frequenti valutazioni, monitoraggi, prese di decisione,
soluzione di problemi sia con persone che con strumenti informatici. Essa appare, dunque, indicata
se i compiti sono complessi e mal strutturati, incerti e dinamici. La CTA si propone di aiutare a
capire cosa le persone pensano, di quali conoscenze dispongono, come organizzano le informazioni
necessarie per il loro lavoro, come utilizzano le proprie competenze. Pertanto, si basa su un insieme
di metodi per descrivere: a) come sono raccolte le conoscenze e le informazioni rilevanti da parte
del lavoratore; b) come esse sono rappresentate mentalmente; c) come vengono usate. Devono
essere esplorate la conoscenza dichiarativa, quella procedurale e quella strategica (problem
solving).
I prodotti essenziali di un’analisi del lavoro sono:
 Descrizione del lavoro (job description). Consiste in un breve report che riporta compiti,
metodi di lavoro, procedure, attrezzature, standard di prestazione e responsabilità della
posizione lavorativa analizzata all’interno di una data area di attività. Nella descrizione
basata sui metodi work-oriented si accentua la descrizione del task (compiti prescritti), in
quella worker-oriented si evidenziano le azioni effettuate dal lavoratore per realizzare i
compiti. Aspetti principali che definiscono una figura professionale specifica presente
nell’organizzazione:
- Denominazione e tipo di lavoro
- Scopo
- Attività e procedure
- Condizioni di esecuzione
- Conoscenze e competenze richieste
- Risultati del lavoro
 Specificazione del lavoro (person specification). Si tiene conto delle caratteristiche del
lavoratore che sono ritenute più importanti per lo svolgimento ottimale del compito e del
ruolo lavorativo. Ci si basa su una serie di inferenze circa le caratteristiche personali, di
conoscenza, motivazionali e di interesse funzionali allo svolgimento delle attività previste.
Rappresenta l’esito principale dell’analisi worker-oriented e mette in risalto le seguenti
caratteristiche:
- Job knowledge (K): conoscenze lavorative.
- Skills (S): capacità.
- Abilities (A): abilità.
- Other characteristics (O): altre caratteristiche dell’individuo.

Capitolo 5. Psicologia e sicurezza nei luoghi di lavoro


1. Che cosa è la sicurezza sul lavoro
Sicurezza nei luoghi di lavoro concetto fondamentale. Solo in Italia 500.000 incidenti sul lavoro
denunciati ogni anno, di cui 1000 mortali (le cosiddette morti bianche). Incidenti sul lavoro e
infortuni costituiscono un fenomeno molto diffuso in tutto il mondo; sono in gioco vite umane,
salute, integrità fisica, ma anche produttività, redditività e costi sociali per le imprese in termini di
assistenza e cura. La sicurezza sul lavoro è un attributo delle organizzazioni di lavoro: essa esiste
laddove vi è una bassa probabilità di minaccia fisica, immediata o differita, alle persone, alla
proprietà e all’ambiente durante lo svolgimento di un’attività di lavoro. Questa definizione limita il
tema della sicurezza all’integrità fisica della persona, mettendo in secondo piano gli aspetti
psicologici. Quale contributo può dare la psicologia in questo ambito? E’ quello che cercheremo di
spiegare in questo capitolo.
2. Errore umano e incidenti
Esempio dell’incidente ferroviario a Crevalcore (Bologna) nel 2005 a pag. 158. Questo episodio
evidenzia innanzi tutto la combinazione complessa che forma la sicurezza: fattori strutturali
(adeguatezza delle infrastrutture), tecnologici (funzionalità degli strumenti di protezione), gestionali
e organizzativi (attenzione manageriale ai fattori di rischio) e individuali (competenze e abilità,
comportamento dell’operatore). E’ dall’insieme di tali elementi che può scaturire l’errore umano o
la catastrofe.
Secondo Landy e Conte il contributo della psicologia del lavoro e delle organizzazioni allo studio
della sicurezza sul lavoro può essere articolato in diversi approcci:
 Individualistici (affrontano il problema analizzando il singolo operatore):
- Approccio ingegneristico-ergonomico, finalizzato a prevenire incidenti e comportamenti
insicuri operando sulle tecnologie e sull’interazione persona-macchina.
- Approccio centrato sulla gestione delle risorse umane, che prevede interventi mirati a
selezionare e formare le persone in modo da evitare condotte insicure.
- Approccio motivazionale, diretto a far cambiare atteggiamenti e comportamenti delle
persone soprattutto per quanto concerne la percezione del rischio e la violazione di norme.
 Organizzativi:
- Approccio della cultura della sicurezza, che considera ad es il ruolo dei leader (manager,
supervisori) nel diffondere e far rispettare la sicurezza nei luoghi di lavoro.
- Approccio del clima di sicurezza, che prende in considerazione il modo in cui le persone
percepiscono il funzionamento collettivo di una organizzazione (gruppi, reparti, uffici) in
rapporto alla sicurezza.
L’impostazione individualista trae spunto dalla tassonomia degli errori umani che possono
portare a incidenti e catastrofi. Questo studio, come si vedrà nel prossimo paragrafo, ha portato alla
migliore comprensione dei processi mentali che possono condurre a comportamenti non sicuri di
diversa natura. In seguito, saranno analizzati contributi più recenti che hanno studiato la sicurezza
come un prodotto organizzativo dipendente da fattori quali le scelte organizzative, il clima
organizzativo e quello di sicurezza in un dato contesto. Infine, sarà preso in considerazione un
recente modello teorico che permette di capire la natura, gli antecedenti e le conseguenze del
comportamento sicuro. Ma prima di entrare nel merito di tali approcci, è opportuno citare un tema
classico della psico del lavoro, quello della propensione individuale agli incidenti (accident
proneness) è la tendenza di una persona a sperimentare più incidenti, rispetto a individui
comparabili in termini di caratteristiche di base (età, genere, lavoro), dovuta a caratteristiche stabili
di personalità. Chiaramente anche il contesto gioca il suo ruolo. È possibile ritenere che vi siano
alcune caratteristiche individuali che rendano alcuni lavoratori più soggetti a subire incidenti?
Occorre piuttosto capire se alcuni tratti della personalità sono implicati nell’adozione di
comportamenti sicuri.
3. Tassonomia di errori umani
L’analisi degli incidenti nei luoghi di lavoro mette in evidenza come nella gran parte dei casi sia
implicato qualche comportamento umano errato. La condotta dell’operatore è in una certa misura
responsabile dell’incidente o costituisce comunque un anello della catena di eventi che conducono
alla catastrofe. Pertanto, lo studio, o tassonomia, degli errori umani può costituire un importante
percorso per risalire alla piena comprensione degli incidenti nei luoghi di lavoro. Reason e
Rasmussen hanno contribuito alla classificazione dei comportamenti non sicuri che possono
condurre ad esiti negativi (incidenti, infortuni). Il modello di Reason considera errori ed intenzioni
come due concetti inscindibili. La tassonomia degli errori si basa in primo luogo su una distinzione
tra:
1. Atti non intenzionali, cioè privi di pianificazione da parte degli individui;
2. Atti intenzionali, cioè conseguenti una pianificazione da parte degli individui.
1. Atti o comportamenti non intenzionali
Senza intenzioni. Sono distinti a loro volta in due categorie:
o Sviste o disattenzioni (slips). L’errore è provocato da azioni che deviano dal loro corso
previsto senza che l’individuo se ne renda immediatamente conto. L’intenzione è corretta
ma l’azione non è congruente all’intenzione. Tali sviste avvengono solitamente nello
svolgimento di compiti routinari.
o Dimenticanze (lapses). Errori di memorizzazione, di recupero di dati dalla memoria
nell’esecuzione di un compito. Tali errori sono attribuibili ad azioni mancate o ad omissioni.
Riassumendo, i comportamenti reputati non sicuri dovuti ad atti non intenzionali (slips e lapses)
sono riferiti solitamente a un malfunzionamento cognitivo e costituiscono dei fallimenti di
esecuzione di un compito. Un’ulteriore classe di errori molto significativa è quella degli errori di
riconoscimento dovuta a cattivo riconoscimento di segnali (come nel caso sopra citato
dell’incidente ferroviario). Anche il sovraccarico di lavoro può essere considerato un importante
fattore di disattenzioni e dimenticanze.
2. Atti o comportamenti intenzionali
Anch’essi due ulteriori categorie:
 Sbagli (mistakes). L’incidente o l’errore è provocato da un’azione guidata da un’intenzione
non appropriata. Quindi l’errore è prodotto da un’intenzione errata che genera un’azione
anch’essa sbagliata. La discrepanza si registra tra intenzione e conseguenze del
comportamento.
 Violazioni (violations). L’incidente o l’errore è provocato da un comportamento
deliberatamente adottato non congruente a istruzioni, norme e codici. E’ una fattispecie di
errori molto diffusa che spesso causa incidenti.
Gli sbagli costituiscono dei fallimenti di pianificazione, e possono essere a loro volta articolati in
due sotto categorie:
- Errori riferiti a prestazioni rule-based; si manifestano principalmente in compiti di problem
solving nei quali non vengono applicate le adeguate regole di soluzione.
- Errori riferiti a prestazioni knowledge-based; sono dovuti a limiti conoscitivi associati al
compito e a circostanze impreviste e non familiari (conoscenze e competenze insufficienti
per affrontare il compito). Avvengono quando un nuovo problema viene gestito senza
un’adeguata analisi o perché la qualità delle soluzioni adottate non è verificata in modo
completo o infine perché vi è un’elevata fiducia del decisore nei propri mezzi.
Janis propone una strategia vigilante di problem solving che dovrebbe contenere l’errore e che si
articola nei seguenti passaggi:
1. Formulazione del problema.
2. Uso delle risorse informative.
3. Analisi e riformulazione.
4. Valutazione e selezione.
5. Esecuzione e supervisione.
Le violazioni invece derivano da una scelta deliberata di un’azione non sicura da parte
dell’individuo. Dunque comportano un’azione consapevole, intenzionale che è stata scelta.
Ulteriore distinzione delle violazioni (Reason):
- Di routine: fanno parte di un repertorio comportamentale abituale della persona e si ripetono
regolarmente. Ad es il mancato utilizzo di sistemi di protezione durante lo svolgimento del
lavoro per ridurre i tempi di esecuzione o per evitare impedimenti o condizioni non
confortevoli.
- Eccezionali: atti intenzionali che si manifestano in occasioni particolari a fronte di
circostanze specifiche.
Reason identifica inoltre tre grandi limiti del nostro funzionamento cognitivo che possono essere
considerati come precursori psicologici degli errori:
 Razionalità limitata. La capacità della mente umana di formulare e risolvere problemi
complessi è poca cosa se paragonata alla dimensione di questi. Da qui nasce la difficoltà nel
trattare la grande mole di informazioni che riceviamo in modo razionale e consapevole.
 Razionalità imperfetta. Presenza di numerose scorciatoie nel ragionamento umano ed errori
strutturali nei processi di stima, giudizio, scelta, decisione. Le persone si basano su un
numero limitato di questi ragionamenti che rendono più semplici le operazioni mentali
relative a compiti complessi.
 Razionalità riluttante. Evitamento della tensione cognitiva. Difficoltà a intraprendere
elaborazioni di informazioni complesse e per lunghi periodi di tempo. Riluttanza nella
conduzione del ragionamento analitico. Problema dell’attenzione come risorsa scarsa.
Possono essere prese contromisure per ridurre il potenziale impatto negativo di tali errori. Ciò
significa mettere in atto delle misure che facciano da protezione e impediscano all’inaffidabilità
umana di generare incidenti, infortuni o catastrofi. Questo compito è delegato principalmente ai
progettisti che, nella creazione di impianti e attrezzature di lavoro, devono tenere in considerazione
i potenziali comportamenti inadeguati messi in atto dalle persone anche in modo non intenzionale.
Agli psicologi è affidato il compito di capire come gli individui interagiscono con tali sistemi di
protezione. Talvolta possono essere aggirati con violazioni, altre volte possono produrre effetti
indesiderati, ecc. Lo psicologo deve assolvere alcuni aspetti di risk management, come ad es il dare
consapevolezza circa la percezione distorta dei rischi.
4. Sicurezza come prodotto organizzativo
Come si è già sottolineato, la sicurezza costituisce il complesso prodotto di diversi fattori (umani,
tecnici, organizzativi). Una prospettiva individualistica basata sulla sola affidabilità umana e sulla
frequenza di infortuni e incidenti sarebbe dunque riduttiva. Con i lavori di Turner e Perrow
l’attenzione si è spostata sull’influenza di fattori organizzativi nella genesi e nella dinamica degli
incidenti. Nelle analisi e nelle ricostruzioni dei maggiori disastri ricoprono un ruolo centrale
elementi come:
 Le decisioni;
 I sistemi di coordinamento e controllo;
 La formazione degli operatori;
 I processi di comunicazione;
 L’integrazione e lo scambio di informazione;
 La conoscenza e la sua circolazione all’interno del sistema organizzativo;
 Le culture della sicurezza;
La centratura sull’organizzazione ci fa capire che gli errori non si commettono solo perché
l’operatore è negligente o disattento. La fallibilità umana può essere facilitata da alcuni contesti
organizzativi che costituiscono dei veri e propri error-inducing systems. Esistono dunque contesti
che facilitano gli errori o in cui essi sono inevitabili o addirittura accadono perché l’organizzazione
si è dimostrata miope e sorda. Queste nuove consapevolezze hanno permesso di spostare
l’attenzione sulla costruzione sociale della sicurezza secondo la prospettiva del costruttivismo
sociale. Il posto di lavoro è il luogo in cui diversi gruppi di individui con diversi ruoli interagiscono,
negoziano e generano quotidianamente una cultura della sicurezza attraverso regolamenti, politiche,
soluzioni, ecc. Un ruolo importante in questo lo hanno i sindacati, che hanno da molto tempo posto
la sicurezza al centro delle politiche di tutela dei lavoratori e l’hanno considerata un aspetto
fondamentale.
L’analisi organizzativa degli incidenti si basa sull’integrazione di diversi elementi concatenati che
possono condurre all’incidente. Reason sostiene che ogni organizzazione dispone di una serie di
difese multistrato costruite per premunirsi contro gli incidenti; in un mondo ideale questi strati
difensivi sarebbero intatti, mentre nella realtà sono pieni di “buchi”. Perciò il modello di Reason
viene chiamato Swiss Cheese Model, proprio a causa della somiglianza dei buchi presenti nel
groviera, formaggio svizzero. L’autore afferma che ogni incidente è generato dall’intreccio di errori
attivi e condizioni latenti. Latenti perché senza una “scintilla” data da un errore umano, che attiva
materialmente l’incidente, potrebbero restare nascoste; la possibilità che effettivamente accada un
incidente dipende dunque da una traiettoria di opportunità, che partendo dalle decisioni errate ai
livelli gestionali attraversa tutto il sistema, superando le difese, fino a generare l’incidente.
Le condizioni latenti dunque sono presenti nel sistema prima dell’evento avverso, e questo implica
che possono essere scoperte e riparate prima che causino un danno; secondo Reason però non è
possibile eliminarle del tutto, perché sono il prodotto inevitabile di ogni scelta strategica, ma solo
individuare le più pericolose. Infine uno degli aspetti importanti è trarre insegnamento dagli errori e
dagli incidenti per generare nuova conoscenza e per migliorare le misure di prevenzione i near
miss sono lezioni a costo zero. Un near miss è un evento che avrebbe potuto avere conseguenze
dannose, ma che non si è concretizzato in un incidente. Esso costituisce una opportunità per
l’organizzazione e serve perché se si traggono le giuste conclusioni e si agisce di conseguenza,
prevengono danni maggiori. Accadono con più frequenza rispetto agli esiti catastrofici.
Imparare la sicurezza guardando alle organizzazioni ad elevata affidabilità (HRO) come centrali
nucleari, squadre antincendio, ecc. Diversi princìpi:
a) Preoccuparsi degli eventi critici.
b) Riluttanza a semplificare.
c) Sensibilità alle attività in corso.
d) Impegno nella resilienza.
e) Rispetto per le competenze.
5. Il clima di sicurezza
Ruolo del contesto sociale e organizzativo nel produrre sicurezza clima di sicurezza (Zohar e
Luria). Tale nozione deriva da quella più generale di clima organizzativo, che indica le percezioni
condivise tra i membri di una organizzazione circa diversi aspetti dell’ambiente sociale. Il clima di
sicurezza riguarda un sistema specifico di percezioni riferite al modo in cui nell’organizzazione si
guarda alla sicurezza e fornisce al lavoratore informazioni su quali sono le priorità
dell’organizzazione; inoltre è soggettivo e costituisce un’operazione di sense making, essendo il
prodotto di una interpretazione del contesto da parte del lavoratore. Si può parlare della costruzione
sociale di un clima di sicurezza grazie al contributo dei vari attori in gioco: istituzioni organizzative,
management, quadri intermedi, lavoratori, organismi di rappresentanza. Organizzazioni con climi di
sicurezza più positivi tendono a promuovere comportamenti più sicuri. Infatti questo clima
rappresenta una sorta di guida al comportamento organizzativo e può regolare le decisioni
collettive; può inoltre divenire fonte di legittimazione organizzativa. A questo proposito Zohar e
Luria caratterizzano il clima di sicurezza su diversi livelli di analisi:
- Organizzativo formale: il clima di sicurezza si costruisce mediante l’adozione di politiche di
sicurezza, la definizione degli obiettivi strategici nelle politiche di sicurezza, l’indicazione di
procedure. A questo livello, il clima di sicurezza può essere definito mediante atti formali,
regole esplicitate di comportamento, disposizioni ufficiali.
- Di gruppo: considera le pratiche concrete e l’esecuzione materiale dei compiti da parte dei
gruppi di lavoro. In tal caso, il clima di sicurezza è definito da un sistema di regole
tacitamente condivise tra i membri del gruppo e i supervisori. Nasce dall’applicazione
quotidiana di pratiche di lavoro che mutano in modo dinamico e si adattano al contesto con
estrema duttilità. Secondo gli autori è proprio a questo livello che si costruisce un concreto
clima di sicurezza.
A questo livello di analisi, una particolare importanza è rivestita dalla qualità delle comunicazioni
tra leader (manager, supervisore) e subordinati (membri del gruppo di lavoro). Stili di direzione
trasformazionali, quindi aperti, dinamici, basati sulla comunicazione e che quindi favoriscono un
clima di sicurezza positivo rispetto invece a stili correttivi basati sul controllo e sul monitoraggio,
sull’individuazione degli errori e dei colpevoli e su una rigida gerarchia.
Come analizzare il clima di sicurezza:
 Atteggiamenti della direzione aziendale verso la sicurezza
 Pratiche di gestione delle risorse umane
 Livello di rischio nei vari compiti lavorativi
 Sostegno dei supervisori
 Processi interni al gruppo di lavoro
 Relazioni tra gruppi
 Pressione e ritmi di lavoro
6. La prestazione sicura: indicazioni dalle ricerche
Infortuni e incidenti costituiscono solo una misura approssimativa sulla rischiosità dei posti di
lavoro. Non è detto che se non accadono, quel posto di lavoro è sicuro. Gli infortuni come misura
della sicurezza aspetti negativi: ogni paese ha dei sistemi normativi che intendono in modo
diverso cosa si deve intendere per “infortunio sul lavoro”; ogni paese è dotato di un proprio sistema
di reporting degli incidenti sul lavoro (cause, condizioni, esiti); vi è una elevata probabilità che le
organizzazioni di lavoro non denuncino in modo completo gli incidenti; vi sono alcune condizioni
organizzative che favoriscono o inibiscono la denuncia degli infortuni sul lavoro da parte degli
operatori. La ricerca empirica, basata sull’ osservazione diretta dei comportamenti di sicurezza,
misure self-report che raccolgono opinioni e percezioni degli operatori e altri indicatori, può
contribuire ad arricchire il quadro teorico e portare all’individuazione di nuove linee di intervento.
Christian (studioso): clima di sicurezza + coscienziosità + motivazione alla sicurezza + conoscenza
della sicurezza= prestazione sicura, ovvero azioni e comportamenti che gli individui esibiscono
nello svolgimento del proprio compito finalizzati a promuovere sicurezza e benessere dei lavoratori,
dei clienti, del pubblico e dell’ambiente. La prestazione sicura comprende sia una serie di
comportamenti individuali (safety compliance), come l’osservanza di norme e procedure, l’utilizzo
di misure protettive, che una serie di comportamenti organizzativi (safety partecipation), come la
comunicazione e la segnalazione dei rischi, l’avvio del cambiamento organizzativo, eccetera. Gli
autori ritengono che l’attenzione vada posta sui concreti comportamenti lavorativi e organizzativi
delle persone. Sono tali condotte sicure che possono ridurre la probabilità di accadimento di eventi
nefasti, quali incidenti e infortuni. La prestazione sicura può essere a sua volta prevista sulla base di
alcuni antecedenti prossimali, come la motivazione alla sicurezza e la conoscenza relativa ai termini
della sicurezza stessa. Infine, nel modello rientrano alcuni antecedenti distali, che fanno riferimento
a fattori legati all’ambiente di lavoro sia di tipo strutturale che di carattere psicosociale. Inoltre si
riferiscono a fattori di carattere individuale. In base ai risultati delle ricerche analizzate, si possono
sintetizzare i seguenti andamenti rilevanti per capire quali siano gli antecedenti della prestazione
sicura:
- Importanza del clima di sicurezza;
- Contributo significativo degli aspetti individuali;
- Ruolo importante di conoscenze e motivazione nel favorire la prestazione sicura;
- La prestazione sicura costituisce un predittore di incidenti e infortuni.
Da ciò derivano una serie di implicazioni e suggerimenti operativi, come l’importanza della
motivazione alla sicurezza, il fatto che il comportamento dei supervisori in questo ambito influenzi
quello degli operatori, eccetera.

Capitolo 6. Costi e ricavi del lavoro


1. Gli esiti del lavorare
Ci soffermiamo ora su alcuni tratti dell’esperienza lavorativa che rappresentano sia un esito
desiderato (ad esempio, la soddisfazione), sia un risvolto negativo del modo con cui si lavora in una
data organizzazione (ad es, lo stress lavorativo). Tali esiti sono spesso intrecciati tra loro. In questo
capitolo seguiremo una traccia che deriva dalla tradizione emancipatoria della psicologia del
lavoro: essa intende infatti enfatizzare gli aspetti positivi e desiderabili delle condotte lavorative per
mettere in evidenza i fattori correttivi adottabili per migliorare la condizione del lavoratore o i
fattori di cui si dovrebbe tenere conto per progettare nuovi lavori. Tuttavia per avere un quadro
completo sarà opportuno considerare le frequenti ripercussioni negative del lavorare. Tenere
insieme questi aspetti serve anche da antidoto ad una visione ingenua del lavoro che rischia di
accentuare la comune retorica del successo e dell’autorealizzazione professionale, sottostimando i
costi di tale attività. Il lavoro concreto, infatti, ha una doppia faccia: offre l’opportunità alla persona
di soddisfare i propri desideri e aspettative, ma presenta in molti casi notevoli prezzi da pagare.
2. Soddisfazione lavorativa
Con la soddisfazione lavorativa ci si trova di fronte a un atteggiamento favorevole verso il lavoro
che, nella sua componente emozionale, considera un vissuto generale di appagamento, con
emozioni piacevoli per il lavoro svolto o che si sta svolgendo e, nella sua componente cognitiva,
esprime un giudizio relativamente favorevole sul bilancio tra costi e ricavi dell’attività svolta
(quindi componenti sia emozionali che cognitive)). Il concetto di soddisfazione lavorativa è
considerato da molto tempo uno degli esiti lavorativi significativi e ricercati dal lavoratore e, nello
stesso tempo, una delle variabili capaci di influenzare numerose condotte lavorative, partendo però
da presupposti teorici differenti:
 Modelli di discrepanza. La soddisfazione lavorativa deriva dalla mancanza di discrepanze
tra le percezioni del lavoro attualmente svolto e alcuni stati psicologici come i bisogni, i
valori, le aspettative, le credenze su ciò che si ritiene giusto e corretto. In concreto, la
soddisfazione deriva da un confronto tra ciò che il lavoro offre realmente e ciò che le
persone desiderano ottenere, o si aspettano di ottenere dal lavoro.
 Modelli disposizionali e di personalità. Le molte differenze individuali nella soddisfazione
lavorativa risultano connesse, a parità di condizioni lavorative, a caratteristiche della
persona come il self (alta stima di sé, autoefficacia, ecc), la capacità di tollerare lo stress,
ecc. Inoltre, l’affettività negativa, vista come un tratto personale che ha una certa stabilità
nel tempo, assume un peso rilevante nel far percepire l’esperienza lavorativa come poco
soddisfacente. Le persone con elevata affettività negativa (e pessimistica) tendono a
sovrastimare gli elementi di minacciosità ambientale, a percepire in maniera negativa le
richieste, a provare stress e ansia. Tuttavia, un’eccessiva attenzione agli elementi
disposizionali della persona rischierebbe di far sottovalutare i fattori contestali che si
determinano negli ambienti di lavoro.
 Modelli situazionali. Le caratteristiche della situazione lavorativa risultano differentemente
valutate dai lavoratori come possibile fonte di soddisfazione.
 Altri aspetti situazionali come il reddito, la sicurezza e la stabilità del posto e la qualità delle
condizioni fisico-ambientali.
Il lavoro è una situazione di scambio concreto di energie, di tempo, di impegni in cui gioca un ruolo
centrale la contropartita materiale offerta dall’organizzazione: la retribuzione concreta espressa in
forma diretta (lo stipendio) o indiretta (promozioni, benefici, ecc). Da un altro punto di vista la
condizione lavorativa e i valori potrebbero essere classificati secondo un continuum bipolare di
possibili ricavi positivi (good job) e negativi (bad job) per la soddisfazione e il benessere. Le
modalità con cui la retribuzione del lavoro viene effettuata, oltre che il suo ammontare,
rappresentano una parte consistente del sistema premiante (benefici concreti) che caratterizza
un’organizzazione. Gli effetti principali nella distribuzione di ricompense tangibili sono abbastanza
chiari: l’aumento di tali ricompense migliora le condizioni di vita, gli stili di consumo, la gestione
del tempo libero, il prestigio sociale. Quando la distribuzione di tali ricompense non corrisponde a
criteri di equità (vedi capitolo 3), è assai probabile che anche il livello di soddisfazione tenda a
diminuire. La soddisfazione lavorativa viene spesso analizzata come possibile antecedente di
condotte lavorative efficaci e secondo molti è strettamente connessa al concetto di produttività,
anche se le verifiche empiriche danno risultati discordanti in merito. In generale, si è osservato che
questa relazione risulta influenzata da numerosi fattori come ad es i mezzi, le condizioni di lavoro e
gli scopi dell’attività. Si è inoltre osservato spesso che lo stato d’animo e le emozioni vissute dal
lavoratore (intese come risposte emotive ad eventi specifici) hanno una relazione con la
soddisfazione lavorativa, nel senso che sono considerate predittori della soddisfazione globale.
Generalmente si usa una distinzione tra emozioni positive (gioia, gratitudine, entusiasmo, ecc) e
negative (paura, rabbia, tristezza) e ci si preoccupa degli effetti disfunzionali di queste ultime su
atteggiamenti e comportamenti. In realtà, occorrerebbe analizzare nel dettaglio le differenti
situazioni: entrambi i tipi di emozioni svolgono una funzione adattiva (paura prudenza;
scetticismopuntigliosità, ecc). Lavoro emotivo: viene svolto dalla persona per corrispondere alle
attese, regole e prescrizioni emotive tipiche dell’organizzazione in cui lavora; è una regolazione
delle emozioni. Due principali strategie di gestione:
 Strategie superficiali (surface acting), che si riferiscono al cambiamento dell’espressione
delle emozioni senza cercare di modificare ciò che si prova veramente. Specialmente nel
lavoro dei servizi con il pubblico, quelli educativi e sociali o sanitari, ovunque vi sia un
front-office, le modalità di manifestazione delle emozioni rispondono a regole abbastanza
precise (dimostrare sempre affidabilità, cortesia, il sorriso, ecc) e il lavoratore dovrà sempre
esprimerle a prescindere dal suo umore (dissonanza emotiva).
 Strategie più profonde (deep acting), richiedono invece che il lavoratore controlli e
modifichi il suo stato emotivo per renderlo coerente con le attese, e poi lo esprima nella
forma desiderata. Quindi prevede prima una fase di simulazione, poi quella di cambiamento,
e infine una di equilibrio tra entrambe.
3. Engagement
Engagement (lett. fidanzamento) tre diverse prospettive è un:
 Set di risorse motivazionali collegate ad altre risorse personali.
 Stato psicologico durevole strettamente connesso con l’esperienza di emozioni positive.
 Positivo e appagante stato di benessere che si esprime attraverso il lavoro.
Work engagement versante positivo della sindrome del burnout, che vedremo in seguito.
Secondo Kahn l’engagement si configura come l’opportunità di ricavare dal legame con il ruolo
lavorativo energie per la costruzione del Sé. Con l’engagement la persona esprime se stessa sul
piano fisico, mentale, emozionale nel lavoro che fa e lo sforzo e l’impegno profuso si giustificano
proprio perché la persona si identifica con il suo lavoro; indica una piena presenza psicologica sul
lavoro, ovvero un pieno coinvolgimento in esso. Dunque si riconoscono nell’engagement due
dimensioni principali: di energia e di identificazione con il lavoro. Differenti tipi di engagement:
- Trait engagement: personalità proattiva.
- State engagement: involvement (coinvolgimento).
- Engagement comportamentale: comportamenti di cittadinanza organizzativa, ovvero
altruistici e non legati esplicitamente al ruolo lavorativo.
Come si presentano i lavoratori “engaged”? Essi mostrano alti livelli di energia, tendono ad essere
entusiasti del loro lavoro e spesso sono così immersi nel lavoro a cui sono profondamente legati che
non si rendono conto del tempo che passa. Il fatto che questi lavoratori siano disposti a grandi sforzi
per il loro lavoro, resistano alle difficoltà, si dedichino con grande entusiasmo alla loro attività ha
fatto erroneamente pensare a una sovrapposizione tra engagement e workaholism (con questo
termine ci si riferisce ad una condotta lavorativa atipica, con connotazioni negative che si esprime
in uno sforzo esagerato e impegno nell’attività lavorativa, come vedremo nel capitolo 7). In realtà si
tratta di due condizioni ben distinte, dal momento che nell’engagement manca la tipica spinta
compulsiva del workaholism. Le persone engaged lavorano molto perché amano il loro lavoro, e
non perché sono spinti da forze interne che non riescono a controllare.
Ma da cosa dipende l’engagement? Due elementi:
- Fattori di contesto: aspetti fisici, tecnici, sociali e organizzativi del lavoro. Presenza di
opportunità e risorse nel contesto di lavoro. Tutti fattori che motivano il lavoratore.
- Caratteristiche personali: risorse personali quali l’autoefficacia, la resilienza, la stima di
sé, l’ottimismo.
Conseguenze dell’engagement la condizione di engagement è considerata come un fattore che
produce esiti positivi a livello individuale (crescita personale e sviluppo professionale) e
organizzativo (miglioramenti dei risultati delle prestazioni, delle relazioni sociali e del clima
organizzativo). I lavoratori engaged migliorano costantemente le loro prestazioni e performance.
C’è differenza tra soddisfazione ed engagement? Sono entrambi ritenuti costrutti con valenza
positiva per il benessere della persona. La soddisfazione però riguarda maggiormente
l’appagamento di un interesse, di un desiderio o di un bisogno e si situa a un livello più moderato
rispetto all’engagement che invece comprende eccitazione, passione ed entusiasmo. Inoltre la
soddisfazione risulta più reattiva, mentre l’engagement è proiettato sul futuro.
Dal punto di vista completamente opposto, gli psicologi del lavoro di metà Novecento hanno
definito il lavoro come “attività coatta”, ovvero hanno voluto rimarcare i suoi numerosi ostacoli allo
sviluppo della persona e gli elementi di costrizione spazio temporale. Ci soffermeremo solo su due
esempi per dare un’idea di questo versante negativo dell’esperienza lavorativa: il primo concerne la
fatica (lavorare stanca o annoia), il secondo si riferisce ai numerosi rischi per il benessere fisico e
psicologico, che sono stati tematizzati dentro l’ampia categoria dello stress lavorativo.
4. Fatica fisica, mentale ed emotiva
Diversi tipi di fatica sul lavoro:
o Fisica, muscolare
o Cronica o patologica, quando non si recupera energia dal sonno
o Mentale, cognitiva
o Emotiva, nei rapporti con le persone
Può rappresentare un segnale di allerta che, se riconosciuto, diviene funzionale al benessere del
lavoratore, e quindi può essere adattiva. Gli fa rendere conto che deve riposarsi, interrompere e
minimizzare i rischi che ne derivano. In ogni caso, soprattutto nella situazione di fatica mentale,
vanno considerate due caratteristiche tipiche:
1. Un decremento della capacità di lavoro e delle prestazioni lavorative dimensione
comportamentale;
2. Un’esperienza soggettiva di disagio e avversione per l’attività, una tendenza a ridurre la
spinta a continuare il lavoro e a cercare riposo dimensione soggettiva.
Lo stato di fatica fisica (non patologica) risulta temporaneo e reversibile. La fatica mentale è in
genere conseguenza dello svolgimento di compiti con elevato livello di difficoltà che coinvolgono i
processi cognitivi di ricezione ed elaborazione dell’informazione per un periodo prolungato di
tempo. I sintomi della fatica mentale si esprimono a vario livello (senso di stanchezza, disturbi del
sonno, irritabilità, depressione, ecc) e comportano un allungamento dei tempi di reazione, il
pensiero rallentato, giudizi e ragionamenti difettosi, eccetera. La fatica mentale si esprime mediante
l’interferenza su vari sub sistemi cognitivi:
 La percezione: riduzione movimenti oculari e della soglia percettiva.
 L’elaborazione dell’informazione: incertezza, disattenzione, disturbi, ecc.
 La memoria: difficile memorizzazione.
La fatica viene associata al decremento delle prestazioni quando non esiste la possibilità di
compensare in qualche modo l’attuale carenza con l’uso di caffè, di farmaci, un aumento dello
sforzo, ecc. La compensazione da parte del lavoratore si realizza in genere quando esistono forti
spinte motivazionali che per un certo tempo permettono il mantenimento del livello di attività
mascherando, ma non eliminando, lo stato di fatica.
La noia è una condizione vicina alla fatica mentale, caratterizzata dalla percezione di stare in un
contesto cupo, tedioso, povero di stimoli con attività ripetitive e con cicli temporali di lavoro
brevi, che si susseguono senza sosta. Essere annoiato significa vivere uno stato affettivo
insoddisfacente, di bassa attivazione psicofisica, con tratti di tristezza, vissuti di solitudine e
facile distraibilità. Vi è mancanza di interesse e attrattiva per quello che si fa. Essere annoiati
comporta il lavorare poco, il ritirarsi dall’impegno e dunque vi è un calo netto delle prestazioni.
Si è notato che compiti troppo semplici, ripetitivi e poco stimolanti hanno maggiore probabilità
di essere fonte di noia; tuttavia molto dipende da come essi vengono percepiti e interpretati dalla
persona (infatti sono riscontrare diverse differenze individuali nell’esperienza di noia). Con la
noia sorgono anche una serie di effetti controproducenti come l’insoddisfazione, l’aumento di
ansia e depressione, la riduzione del benessere individuale, ecc. Ci sono molti tipi di lavoro che
si caratterizzano per la ripetitività delle mansioni e dei compiti specifici; che succede alla fine
della giornata? Non solo si è stanchi, ma ci si può sentire sazi del lavoro che si fa, quasi
nauseati. A questo proposito si parla di saturazione o sazietà lavorativa (mental satiation).
Prevenzione della fatica mentale: riprogettare il lavoro:
- Design della struttura dei compiti (varietà, autonomia)
- Miglioramento della compatibilità tra richieste lavorative e capacità cognitive/competenze
della persona
- Miglioramento del coordinamento tra attività
- Miglioramento della distribuzione delle pause durante la giornata
- Miglioramento rilassamento e sonno
5. Lo stress lavorativo
E’ un fenomeno preoccupante, assai diffuso in tutto il mondo. Da molti anni istituzioni quali la
Commissione Europea si focalizzano sui nuovi rischi legati alle trasformazioni del lavoro e alla sua
intensificazione. Si sottolinea l’esigenza di adottare una nozione allargata di qualità della vita
lavorativa (comprendente il benessere psicologico delle persone). Tra i rischi lavorativi di natura
psicosociale sono indicati: lo stress, la depressione, l’ansia, vari tipi di dipendenza, la violenza sul
lavoro, molestie, intimidazioni. Gli esiti di queste spinte europee consistono in provvedimenti
normativi e organizzativi sul tema generale del benessere psicosociale sul lavoro presi nei diversi
paesi. Nel 2004 è stato firmato un accordo europeo tra i sindacati e associazioni di categoria sul
tema dello stress.
Lo stress è un processo complesso che comincia con le richieste poste alla persona dal lavoro e
procede attraverso vari tipi di valutazione percettiva di tali richieste. Quando la persona sente che
esse eccedono le risorse e possono rappresentare una minaccia per sé e per il suo attuale equilibrio
con l’ambiente diventano necessarie contromisure per evitare conseguenze dannose. Se
l’adattamento non ha risultato, si possono determinare conseguenze negative anche gravi per la
persona. Lo stress infatti riguarda la sfera fisico-biologica, quella psicologica e comportamentale:
insomma, l’intera persona. Esiste sia uno stress positivo (eustress), in cui esso attiva emozioni
interpretabili dalla persona come sfide stimolanti, superando le quali è possibile crescere e
raggiungere risultati soddisfacenti e di benessere personale, che uno negativo (distress), distruttivo.
Vediamo adesso alcuni termini:
 Stress o processo di stress per denominare un processo articolato che chiama in causa
stimoli, modalità di elaborazione della persona ed esiti.
 Stressors per indicare eventi che l’individuo incontra nella sua esperienza e che possono
attivare il processo di stress.
 Strain per categorizzare le reazioni fisiologiche, psicologiche e comportamentali adottate
dalla persona.
 Coping strategies per indicare un insieme di sforzi e capacità di risposta strategica per
affrontare, padroneggiare, ridurre le richieste o gli squilibri attivati da un’interazione
stressante.
 Stress outcomes per definire le conseguenze dello strain.
Tre orientamenti:
1. Quelli che si focalizzano soprattutto sulle fonti di stress ovvero lo stress come caratteristica
dello stimolo ambientale (richieste, eventi, o stressors).
2. Quelli che si affermano soprattutto sulle risposte allo stress (le reazioni fisiologiche,
psicologiche, ecc).
3. Quelli che si propongono di analizzare l’interazione tra persona e ambiente, ovvero la
transazione che integra stimoli e risposte in uno stesso processo che produrrà esiti di
importante rilievo per le persone.
Sulla base di queste sottolineature possono essere delineati vari modelli psicologici dello stress. Gli
approcci teorici che si rifanno alle prime due definizioni sono i più antichi ed eccessivamente
semplificati: la persona è concepita come recettore passivo, e sono sottovalutati i processi percettivi
e valutativi, le differenze individuali e di contesto, nonché le strategie di gestione della relazione
persona-ambiente. Il terzo orientamento, prettamente psicologico, anziché focalizzarsi sui singoli
elementi in gioco cerca di comprendere le dinamiche della loro interazione. Secondo questa
prospettiva lo stress e i suoi effetti non risiedono solamente nell’individuo o solamente
nell’ambiente lavorativo, ma nella specifica forma assunta dall’interazione tra queste due
componenti. Faremo due esempi di modelli di stress che rientrano in questa categoria: il Job
Demands-Control Model (modello domanda-controllo, Karasek) e l'Effort/Reward Imbalance
Model (ERI):
 Il primo prevede che la relazione tra richiesta lavorativa e possibilità di controllo possa
determinare l’avvio del processi di stress in grado di determinare lo strain lavorativo anche
di tipo cronico. Le due dimensioni citate vanno da un minimo a un massimo ed individuano
uno spazio di quattro quadranti che corrispondono a quattro tipi di esperienza psicosociale di
lavoro:
- Lavori ad alto strain (alta domanda X basso controllo);
- Lavori a basso strain (bassa domanda X alto controllo);
- Lavori attivi (alta domanda X alto controllo)
- Lavori passivi (bassa domanda X basso controllo)
Il modello è stato successivamente arricchito con l’introduzione di una terza dimensione che, in
parte, corregge l’eccessiva attenzione posta sulle variabili lavorative rispetto alle risorse personali:
il sostegno sociale (si parla in questo caso di Demand-Control-Support Model). Ha una doppia
connotazione: aiuto in caso di difficoltà e condivisione dei vissuti emotivi; svolge una funzione di
moderazione.
 Il modello ERI stabilisce che non siano solo gli sforzi per rispondere alle richieste lavorative
che portano allo strain, ma che sia fondamentale la percezione di squilibrio tra sforzi e
ricompense. In particolare, lo sforzo elevato associato a basse ricompense rappresenta un
rischio per il benessere soggettivo e una serie di conseguenze di strain fino al bornout.
Accanto alle variabili legate al contesto di lavoro, sono considerate come fattori personali
importanti le motivazioni. E’ importante anche considerare il binomio sforzo-ricompense in
rapporto agli esiti finali.
Entrambi gli approcci sono ritenuti ancora assai fruttuosi sia sul piano della ricerca che su quello
delle possibili strategie di intervento.
Gli stressors lavorativi sono i fattori dello stress ambientale, espressi sotto forma di richieste e
carico di lavoro per l’individuo, di elementi di minaccia per l’equilibrio dei suoi rapporti con
l’ambiente o di eventi che mettono alla prova le capacità di tolleranza individuale. Si presta
attenzione sia al contenuto del lavoro sia al contesto dove si svolge il lavoro stesso. Con le
trasformazioni nel mondo del lavoro l’attenzione si è spostata dall’ambiente fisico a fattori connessi
ai ruoli organizzativi focus anche su stressors di carattere trasversale. Essi riguardano ad es la
carriera lavorativa e organizzativa, le connessioni tra contesti lavorativi ed extra lavorativi e la job
insecurity. Modalità di classificazione degli stressors:
 Stressors individuali. Tre tipi di fattori di stress:
Stresssors soggettivamente percepiti: percezione di una situazione stressante, di una
inadeguatezza dei compensi monetari, di ostilità dell’ambiente.
Stressors connessi a caratteristiche oggettive dell’occupazione: tipo di occupazione,
modalità di impiego (precariato, part-time, ecc), eccetera.
Job stressors in senso stretto: psicologia della persona richieste del compito, pressioni del
ruolo, relazioni con i superiori, ritmi di lavoro, sovraccarico mentale, eccetera.
 Stressors di gruppo e organizzativi. Possibili fonti di stress: organizzazioni poco
trasparenti, con inadeguati stili di direzione, rapporti di gruppo e interpersonali scadenti,
cambiamenti tecnologici technostress; instabilità lavorativa ad es downsizing.
 Stressors extra organizzativi. Tre principali categorie di stressors non sempre direttamente
legate alla specifica mansione o al ruolo lavorativo:
- Caratteristiche ambientali: valori e aspettative, ambiente fisico e sociale, densità sociale
(affollamento, temperatura, discomfort, qualità dell’ambiente).
- Contesto familiare: fattori legati alla casa e alla famiglia e alla vita quotidiana.
- Perdita o mancanza del lavoro: esperienza della disoccupazione.
Spill-over effect: anche il contesto extra organizzativo viene considerato come possibile fonte
stressante per il tipo di interazione con quello lavorativo. In altre parole, le tensioni di un ambiente
di vita possono rifluire sull’altro creando situazioni di conflitto.
L’impatto degli stressors sulle persone è moderato da numerose variabili, che riguardano sia la
persona (le sue risorse psico-sociali) che le caratteristiche del contesto. Ciò spiega da un lato la forte
variabilità delle risposte allo stress e dall’altro la difficoltà di effettuare valutazioni diagnostiche
rapide ma accurate e convincenti. Due grandi categorie di variabili:
 Fattori individuali. Le differenti risorse individuali possono far variare la percezione di
minacciosità o gravità degli eventi stessi rispetto al proprio self importanza del locus of
control, in cui le persone orientate internamente (ovvero che credono nel potere personale di
controllare e influenzare gli eventi) dimostrano di reggere meglio situazioni ambigue
rispetto a quelle orientate esternamente (che vedono gli eventi dominati dal potere di altri).
Ottimismo disposizionale: tendenza ad attendersi risultati favorevoli nel futuro, che svolge
una funzione di autoregolazione stimolando la scelta di strategie attive per far fonte alle
difficoltà attuali e migliorare il controllo della situazione. Hard personality: personalità
coraggiosa, audace come caratterizzata da convinzione nel controllo, nell’impegno, nella
sfida. Un altro fattore di stress riguarda le differenze individuali nel grado di tolleranza
emozionale dell’incertezza e la vulnerabilità sia individuale che di gruppo.
 Fattori legati al lavoro e all’organizzazione. Ha ricevuto una notevole attenzione il grado di
controllo che la persona può esercitare sul lavoro, in particolare la percezione di poterlo
influenzare. Il clima psicosociale e il sostegno sociale (dei colleghi e dei superiori)
favoriscono un ambiente esente da stress. Il sostegno sociale può evitare cause di stress
(effetto preventivo), può essere una misura di rimedio (effetto curativo) o di moderazione
della causa di stress (effetto tampone).
Esiti dello stress categorie:
 Esiti psicofisici: malattie cardiovascolari, diabete, disturbi neuropsichici, aumento della
pressione, ecc. Tra le forme più gravi la sindrome o disturbo post traumatico (traumi da
incidenti, catastrofi, lo hanno spesso i militari).
 Esiti psicologici e di disagio psichico: riduzione dell’attenzione, perdita del sonno, tensione
continua, paura, collera, eccetera che rendono l’individuo ancora più prigioniero dello stress.
 Esiti comportamentali sul lavoro: errori di ruolo, ritardi, assenteismo, reazioni aggressive,
squilibri, ecc.
 Esiti per la vita personale: impoverimento vita sociale, interferenza e difficoltà nella vita
familiare, abbassamento delle aspettative lavorative, ecc.
 Esiti socioeconomici e organizzativi: lo stress riguarda ¼ dei lavoratori. Assenteismo,
conflittualità, incidenti provocano perdite socio economiche e organizzative.
Burnout rappresenta una forma grave di stress cronico, identificato soprattutto nell’ambito delle
occupazioni caratterizzate da un’ampia quota di rapporti lavorativi con le persone. Esso comprende
tre componenti: la depersonalizzazione (un atteggiamento negativo verso il proprio lavoro chiamato
cinismo); l’esaurimento emotivo (dovuto a un eccessivo coinvolgimento emozionale che drena
energie, si raffredda e infine si inaridisce); il senso di ridotta efficacia professionale (non si
riescono più a realizzare le proprie capacità). Attualmente il burnout viene studiato in relazione al
work engagement nell’ambito del modello teorico dello stress chiamato Job Demands-Resources
Model. Questo approccio considera insieme sia gli esiti negativi dello stress lavorativo (burnout) sia
quelli di carattere positivo (engagement).
Job demands Job resources
Indebolimento del benessere con domande Processo motivazionale che sostiene un
troppo impegnative che consumano le energie aumento dell’impegno, basso cinismo,
mentali, emotive e fisiche dei lavoratori. prestazioni eccellenti.
Antecedenti del burnout Antecedenti del work engagement
Il lavoratore in stato di burnout, infine, mostra sentimenti di impotenza a risolvere i problemi e una
crisi di identità professionale che esprime in risposte disfunzionali, quali perdita del controllo,
apatia, distacco, ecc.
Gestione dello stress cosa può fare una persona che si rende conto di trovarsi in una condizione
di stress negativo? Vi sono dei meccanismi e dei fattori protettivi che vengono attivati per affrontare
le avversità, e che in molti casi si rivelano efficaci. Alcuni studiosi si soffermano sul coping inteso
come insieme di strategie psicofisiologiche, cognitive e comportamentali che svolge una funzione
protettiva:
o Eliminando o modificando le condizioni responsabili del problema;
o Modificare l’esperienza in modo da cambiarne il risultato: ad es riprogrammare i compiti;
o Minimizzando il rischio di conseguenze gravi, anche con il sostegno di altri (colleghi).
Vengono identificate tre principali categorie di coping strategies:
- Centrate sul problema: azioni direttamente orientate a rimuovere le cause all’origine del
processo di stress resilienza psicologia positiva, focus su caratteristiche positive delle
persone.
- Centrate sulle emozioni: azioni che cercano di modificare il significato attribuito all’evento
attenuandone il carico emozionale.
- Centrate sui sintomi: indirizzate a rafforzare le capacità di risposta e di resistenza agli
stressors.
Nei contesti organizzativi sono individuabili almeno tre livelli di intervento:
1. Individuale
2. Gruppo di lavoro
3. Organizzativo, legato al contesto e all’ambiente
Tali interventi possono essere guidati da varie finalità descritte in dettaglio:
I. Identificazione e valutazione precoce degli stressors.
II. Prevenzione primaria: riduzione stressors.
III. Prevenzione secondaria: per preservare il benessere e facilitare la gestione attiva dello
stress.
IV. Prevenzione terziaria: focalizzata su trattamento e riabilitazione.
Situazione normativa italiana: Documento di valutazione dei rischi (DVR) di ogni tipo, cioè
compresi quelli da stress, di cui si fa carico ogni azienda obbligatoriamente. Vi è inoltre un ciclo di
controllo per la gestione del rischio psicosociale che consiste in una serie di fasi ripetute nel tempo
che richiedono il coinvolgimento di tutti gli stakeholders (dirigenza, lavoratori, tecnici prevenzione,
esperti, ecc) intervento di diagnosi e azioni migliorative. Esso prevede fasi di individuazione dei
pericoli, valutazione dei rischi, decisione sulle misure da intraprendere, intervento con azioni
concrete e infine di controllo periodico.

Capitolo 7. Condotte lavorative anomale e controproducenti


1. Il lato oscuro del lavoro
Comportamenti devianti (assenteismo, furti, falsa presenza sul lavoro, ecc) sempre più diffusi sia
tra operai e impiegati che tra i “colletti bianchi” (lavori più prestigiosi) forme di devianza
lavorativa, condotte ambivalenti, non etiche, trasgressive e addirittura criminali.
2. I comportamenti controproducenti
Diversi tipe di condotte:
 Antisociali: azioni tese a danneggiare l’organizzazione, i lavoratori e i clienti.
 Disfunzionali: condotte motivate, messe in atto da singoli o da più persone e che hanno
conseguenze negative per persone, gruppi e organizzazione.
 Devianza lavorativa: condotta volontaria dei lavoratori che viola norme organizzative e,
perciò, minaccia il benessere dell’organizzazione e dei suoi membri.
 Counterproductive Workplace Behavior (CWB): condotte intenzionali attuate dai lavoratori,
considerate contrarie ai legittimi interessi dell’organizzazione. Si può tradurre tale locuzione
con condotte controproducenti per sottolineare gli effetti non solo sull’organizzazione in
generale, ma anche sulle persone.
Si possono inoltre schematizzare le seguenti caratteristiche principali del fenomeno che risultano
sostanzialmente condivise tratti comuni:
 Si tratta di condotte intenzionali o volontarie indirizzate da singoli individui o da gruppi
contro gli interessi e gli obiettivi legittimi di un’organizzazione;
 Si caratterizzano per avere, in dosaggi diversi, sia una componente reattiva (o impulsiva,
emozionale) sia una componente più strumentale o proattiva;
 Sono attivate dai lavoratori verso la produzione (rallenti, ritardi) o verso la proprietà
dell’organizzazione (furti, vandalismi) o anche verso il capitale umano, ovvero le altre
persone.
 Assumono connotazioni differenti a seconda che si esprimano come azioni illegali,
immorali o devianti (ovvero che non rispettano regole sociali).
Se i comportamenti controproducenti sono intenzionalmente pianificati, tutto ciò che determina
conseguenze negative sulla produttività e sulle persone, ma si verifica accidentalmente, non rientra
in questa categoria. Inoltre non tutte le condotte che minacciano l’armonia della vita organizzativa
sono classificabili come comportamenti contro produttivi. Ad es il rifiuto di fare straordinari oltre
una certa soglia o a svolgere mansioni dequalificanti non possono essere considerate condotte
controproducenti poiché sono messe in atto per tutelare i diritti dei lavoratori potenzialmente lesi
dalle scelte aziendali. Lo stesso dicasi per azioni collettive di protesta come manifestazioni o
scioperi, che sono espressione di una protesta, individuale e collettiva, per contrastare situazioni
lavorative ingiuste.
Approfondimento sul significato dell’intenzione di attuare condotte controproducenti si attuano
perché la persona che le esegue ha sviluppato un atteggiamento favorevole verso quel tipo di
comportamento e giudica che le conseguenze siano positive per sé e perché la “norma soggettiva”
della persona tollera quel certo comportamento. Sono state identificate da Vardi e Weitz tre tipi di
intenzione di base:
a) Condotte intenzionali finalizzate a trarre benefici per sé stessi indirizzate verso l’interno
dell’organizzazione (vittimizzando altre persone).
b) Condotte intenzionali che procurano vantaggi per l’organizzazione indirizzate verso
l’esterno dell’organizzazione (tangenti, appalti truccati).
c) Condotte intenzionali con finalità distruttive indirizzate sia verso l’interno che verso
l’esterno dell’organizzazione (vandalismi, aggressività).
Schema concettuale:
 Fattori antecedenti alle condotte controproducenti, classificati per livello:
Fattori che caratterizzano ogni esperienza lavorativa
Livello individuale: inadeguato sviluppo morale della persona, tendenza al disimpegno morale
(si attribuiscono le responsabilità di un evento ad altri), bassa stima di sé, instabilità, affettività
negativa (irritazione, ansia, ecc).
Livello del posto di lavoro: regole non chiare, compiti illegittimi, pressioni, occasioni di
devianza, autonomia, eccetera.
Livello del gruppo: esistenza di norme interne troppo tolleranti, deviazioni, social loafing (apatia
e disimpegno di qualche membro che approfitta della tolleranza degli altri per contribuire poco al
lavoro collettivo), cyber-loafing (utilizzo del tempo di lavoro per navigare sul web), groupthink
(conformismo di gruppo, scarsa discussione interna ed eccessiva dipendenza dal leader).
Livello di organizzazione: scarsa chiarezza degli obiettivi da raggiungere e al loro grado di
incoerenza e conflittualità, sistemi di controllo oppressivi, condotte incoerenti, abusi.
 Fattori conseguenti alle condotte controproducenti, che approfondiremo in seguito:
Possibili condotte finali
Condotte controproducenti intra-personali: abuso di sostanze, workaholism.
Condotte controproducenti inter-personali: inciviltà, violenza, moleste sessuali, mobbing.
Condotte controproducenti sulla prestazione: assenteismo, turnover, social loafing.
Condotte controproducenti sulla proprietà: sabotaggi, furti, spionaggio.
Infine, un individuo sul posto di lavoro può avere un impatto diretto con un collega deviante,
ovvero essere oggetto dei suoi abusi, un impatto indiretto quando ne è testimone o lo sa per sentito
dire, e infine un impatto ambientale, di carattere più ampio, perché si basa sulla conoscenza di
numerosi episodi ripetuti nel tempo che influenzano il clima psicosociale dell’intera organizzazione.
3. Workaholism
Con questo termine si descrive una condotta di lavoro atipica con effetti controproducenti per la
persona, che si esprime con un eccessivo impegno, sforzo e coinvolgimento della persona stessa
nelle attività inerenti il proprio ruolo lavorativo. Siamo di fronte a una sorta di “dipendenza dal
lavoro” che emerge soprattutto tra persone che ricoprono posizioni di responsabilità manageriale o
liberi professionisti che tendono a non stabilire chiari confini tra lavoro e tempo libero. In alcuni
casi questa condizione scaturisce dalla necessità di evitare altre responsabilità personali (ad es la
famiglia) accentuando il desiderio di ricevere riconoscimenti da colleghi e superiori per l’impegno e
i risultati raggiunti. Diverse connotazioni che creano diversi tipi di workaholist:
- Compulsività
- Perfezionismo
- Competitività
Le persone che vivono questa condizione solitamente mostrano un alto coinvolgimento emotivo con
il lavoro, una forte spinta motivazionale interna e un non molto elevato piacere di lavorare. Tutto
ciò alla lunga può provocare un isolamento affettivo e sociale che chiaramente impatta
negativamente sul benessere e sulle relazioni interpersonali. Sono stati dimostrati diversi legami tra
workaholism e stress: alti valori della dimensione motivazionale corrispondono a bassi livelli di
benessere emotivo; mentre alti livelli del piacere di lavorare comportano una minore presenza di
stress. Il lavoratore dunque entra in una sorta di circolo vizioso, lavorando sempre di più e
diventando dipendente dal lavoro es. Karoshi in Giappone, Corea e Cina: persone morte per
infarto o suicidio in seguito al troppo lavoro.
Concludendo, le organizzazioni dovrebbero farsi carico anche del problema dell’eccesso di lavoro,
osservando con cura coloro che lavorano troppo.
4. Aggressività e violenza nei luoghi di lavoro
Aggressività lavorativa: comportamento di individui, dentro e fuori da un’organizzazione, che è
diretto a danneggiare uno o più lavoratori e che si svolge in ambito lavorativo.
Gli episodi di violenza e aggressività nei luoghi di lavoro stanno aumentando. La violenza è una
forma specifica di aggressività tesa a ledere fisicamente una persona, mentre l’aggressività può non
comportare condotte violente. Occuparsi di ciò è importante perché comportamenti aggressivi sul
luogo di lavoro sono indicatori di un peggioramento generale dei contesti lavorativi, che diventano
quasi delle arene in cui si manifesta una competizione individuale eccessiva e spietata. E’
importante anche il concetto di condotte incivili (inciviltà lavorativa), che spesso precedono
comportamenti aggressivi, e che comunque collaborano a creare un clima psicosociale teso e
rischioso. Le manifestazioni aggressive possono essere:
 Atti fisici aggressivi come condotte dirette e attive (ad es un assalto), o dirette ma passive
(ad es abbandonare il posto quando entra il “nemico”); indirette ma attive (un furto) o
indirette e passive (mettere in cattiva luce un avversario).
 Aggressione verbale nel contesto di lavoro, come condotte dirette e attive (ad es insulti,
minacce) o dirette ma passive (ad es non rispondere al telefono al nemico); indirette e attive
(pettegolezzi) o indirette ma passive (non smentire i pettegolezzi).
Non esiste un modello unico di spiegazione dei fenomeni aggressivi nei contesti di lavoro. Fra gli
approcci più usati possiamo ricordare:
1. Modello comportamentista: fa derivare le risposte aggressive da una situazione di
frustrazione. Tale condizione si realizza tutte le volte che il contesto lavorativo (i superiori, i
colleghi, ecc) determina costrizioni o blocchi alle azioni o alle aspettative delle persone di
raggiungere un certo scopo desiderato. La frustrazione suscita risposte individuali o
collettive tese alla ricerca di alternative per raggiungere i risultati attesi dalle persone. Tale
risposte però interferiscono sul normale funzionamento lavorativo peggiorando il clima di
lavoro e stimolando comportamenti controproducenti.
2. Giustizia organizzativa: gli atti aggressivi sono la risposta alla percezione di ingiustizia
nella distribuzione dei costi e benefici (giustizia distributiva), nelle procedure di
funzionamento organizzativo (giustizia procedurale) e nelle relazioni (giustizia
interpersonale). Più in generale, crisi della fiducia organizzativa, ovvero quando gli
individui reagiscono pesantemente perché avvertono che il contesto lavorativo ha tradito la
loro fiducia iniziale.
3. Violazione del contratto psicologico: risposte di aggressività e violenza quando il contratto
psicologico non viene rispettato (promesse non mantenute, obblighi reciproci).
Tre tipi di variabili che intervengono nella costruzione di risposte aggressive:
 Caratteristiche individuali
 Fattori organizzativi
 Aspetti socioculturali
Per teorizzare una sorta di profilo del lavoratore aggressivo occorre considerare alcune variabili
psicologiche (cognitive, affettive e di personalità) bassa stima di sé, tratti di personalità ostile;
inoltre spesso è correlato a ciò l’abuso di sostanze e l’alcolismo; in misura molto minore,
contrariamente a quanto si crede, sono coinvolte le patologie mentali. Comunque molto dipende
anche e soprattutto dal contesto.
5. Mobbing
Con il termine mobbing si caratterizzano un insieme di manifestazioni negative nei contesti di
lavoro che comprendono insulti, offese verbali e fisiche, prevaricazioni, abusi, ecc. Ciò comporta
umiliazioni per le vittime fino ad esperienze di strain grave che si concludono con l’uscita dal
lavoro. Una definizione essenziale di mobbing comprende:
a) Le azioni di attacco, offesa, esclusione di qualcuno intaccando progressivamente i suoi
compiti lavorativi normali;
b) La presenza di tale interazione conflittuale anomala fatta in modo ripetuto e regolare per un
certo periodo di tempo;
c) La presenza di un’asimmetria di posizione (la vittima ha in genere una posizione sociale
inferiore).
Il mobbing costituisce un’esperienza di relazioni interpersonali negative tra diversi attori: la vittima,
il mobber (colui che svolge il mobbing), il co-mobber o side-mobber (complici/spettatori).
Elementi di base per delineare questo fenomeno:
o Condotte di mobbing: la vittima deve riconoscersi in quanto tale perché ci sia una condotta
di mobbing; deve esserci un riconoscimento soggettivo di essere vittima di qualcuno. Atti
negativi che si diffondono anche attraverso i mezzi elettronici: cyberbulling. Cinque classi
di condotta e di atti negativi: reputazione della vittima (calunnie, giudizi, esaltazione dei
difetti, richiami pubblici), possibilità di comunicare della vittima con i colleghi, relazioni
sociali in generale (discorsi interrotti, restrizioni comunicative), qualità dell’occupazione e
delle mansioni (assegnazione di compiti futili, demansionamento), salute e benessere
(minacce di violenza).
o Frequenza e durata degli atti negativi. Si è indicato un limite convenzionale che
contraddistingua questo fenomeno da altri tipi di conflitto interpersonale nei luoghi di
lavoro ricorrenza settimanale per circa sei mesi.
o Asimmetria di potere: nella situazione di mobbing il conflitto è sempre asimmetrico. Chi ha
più potere vessa chi ne ha meno, e la vessazione funziona proprio in virtù di ciò.
o Tipologie di mobbing:
 Mobbing verticale: quando gli atti negativi sono svolti da un superiore.
 Mobbing orizzontale: atti negativi svolti dai colleghi.
 Mobbing strategico: atti negativi finalizzati ad espellere un lavoratore che si sa già
come sostituire.
Il mobbing accade per una combinazione di cause sociali, organizzative e individuali: stressors
ambientali, ostilità tra colleghi, invidie, ridotta intelligenza emotiva, eccetera. Conseguenze del
mobbing: deterioramento del benessere e disadattamento ambientale della persona (alterazioni
comportamentali, disagio psicologico, sindromi psichiatriche) e peggioramento delle relazioni
lavorative (clima aziendale sfavorevole, abbassamento della fiducia nell’organizzazione, ecc).
6. I ritardi sul lavoro
I ritardi sul lavoro rientrano nella categoria delle condotte incivili e controproducenti per
l’organizzazione. Si dividono in: ritardo cronico (crescente frequenza e durata), ritardo stabile
periodico (stabile frequenza e durata), ritardo casuale (senza uno specifico pattern di durata e
frequenza). Il ritardo è stato studiato in stretto collegamento con altri comportamenti anomali come
l’assenteismo o il turnover rappresentandolo come espressione dell’insoddisfazione lavorativa, delle
scarse motivazioni sul lavoro, della frustrazione che spingerebbero alla ricerca di una forma di
adattamento anche non convenzionale e al limite delle regole condivise. Assumendo questa
impostazione si può proporre un modello di spiegazione del ritardo che prevede due possibili
percorsi:
I. Il primo comincia dalla considerazione di atteggiamenti negativi verso l’organizzazione o di
forti percezioni di non equità. Essi sarebbero il motore principale dei comportamenti di
ritirata di cui il ritardo costituisce un esempio. Quanto più essi sono negativi e tanto più è
possibile che dal ritardo si passi a condotte controproducenti più importanti come
l’assenteismo.
II. Il secondo considera antecedenti di natura diversa fattori specifici del ritardo:
 Alcune caratteristiche generali di personalità (ad es bassa coscienziosità);
 Il tipo di percezione del tempo;
 Il contesto culturale: in alcune culture la puntualità è molto importante, in altre
invece è il contrario;
 Il pendolarismo;
 Il tipo di equilibrio tra lavoro e famiglia in termini di tempo.
In sintesi, individuare con cura i fattori che influenzano il ritardo sul lavoro permette di impostare
interventi correttivi della situazione di lavoro prima di arrivare a sanzioni disciplinari anche gravi.
7. Assenteismo e turnover
Fanno parte dei comportamenti di ritirata insieme ai ritardi e sono anch’essi sintomi di un contesto
di lavoro insoddisfacente. Il principio di base è che la presenza lavorativa, rinforzata dal rispetto
delle promesse reciproche tra persona e organizzazione di fatto assicura la continuità lavorativa ed è
percepita come significativa per ottenere i risultati attesi. Secondo molti la soddisfazione lavorativa
rafforza il significato psicologico della presenza, ed essa inoltre può assumere una connotazione
deviante: il presenteismo. Si usa questo termine per indicare la presenza sul lavoro anche quando si
è ammalati. L’assenteismo è un comportamento assai complesso che occorre distinguere tra
volontario e involontario, giustificato da malattia. Esso rappresenta una risposta individuale che
resta illecita e opportunistica seppure possa avere giustificazioni attenuanti (ad es una reazione
all’insoddisfazione) e può persino essere visto come una strategia più attiva, elaborata con
l’intenzione di esplicitare un orientamento di dissenso o conflittuale (quindi come ritorsione). Il
turnover è una sorta di valvola di sicurezza per i lavoratori che vivono un’esperienza organizzativa
insoddisfacente. E’ inteso come un’uscita volontaria da un’organizzazione a causa di motivi
ambientali, personali, ecc.
Antecedenti di assenteismo e turnover:
- Caratteristiche del contesto socioeconomico: disoccupazione, competenze, concorrenza,
ecc.
- Percezioni e valutazioni relative alla qualità del contesto di lavoro: clima organizzativo,
sistema di controllo, ecc.
- Sistema di norme interne al gruppo di lavoro che si è venuto creando rispetto alle assenze. In
taluni casi le norme di gruppo rappresentano una pressione a mantenere la presenza a tutti i
costi; spesso, invece, si determina una sorta di norma di accettazione di un certo livello di
assenza cultura dell’assenza.
Le assenze hanno come conseguenza una riduzione dell’efficienza produttiva e della reputazione
aziendale. Inoltre occorre considerare le reazioni dei colleghi, le difficoltà per l’assenteista di
collaborare e cooperare con loro e gli effetti sulla persona stessa.
8. Condotte contro la proprietà
Rischi esterni (intrusioni, invasione della proprietà, rapine, ecc) ma anche rischi interni (furti di
denaro, dati, materiali, ecc da parte del personale). Alla base di queste ultime condotte vi è
un’intersezione tra caratteristiche personali e fattori ambientali. E’ importante il livello del controllo
aziendale: occorre evitare lassismo e trascuratezza. Le appropriazioni indebite rappresentano
l’espressione di una condotta antisociale individuale che si verifica più facilmente quando vi è una
bassa identificazione organizzativa, insoddisfazione e un inadeguato adattamento al lavoro.
Rientrano nella categoria dei comportamenti controproducenti anche il vandalismo (manifestazioni
violente, muri imbrattati, treni danneggiati) e il sabotaggio (spesso derivato da istanze ideologiche,
politiche e sindacali, che spesso sono condotte incivili collettive. Possono però essere anche
individuali e in tal caso derivano da risentimento, desiderio di vendetta, ecc. Le conseguenze sono
ovvie, di perdita sia per l’organizzazione (sia morale che materiale) che per l’individuo.
9. Sintesi delle linee di intervento
Importanza di cogliere la relazione tra caratteristiche individuali e contesto in queste condotte
devianti. Occorre dunque sia migliorare i processi di socializzazione (selezione del personale,
modalità di socializzazione del personale stesso, monitoraggio e miglioramento della gestione del
personale) che il contesto di lavoro, e per fare ciò è fondamentale il ruolo della progettazione del
lavoro. Progettare il lavoro e gestirlo con politiche amministrative coerenti comporta un più facile
conseguimento di risultati produttivi e di benessere.
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LA SELEZIONE DEL PERSONALE

La committenza

Il committente affida a un’altra parte la realizzazione di un’opera o di un servizio.


Per la selezione il committente è la linea o cliente interno (differenti funzioni che contribuiscono
alla messa a punto di un prodotto o di un servizio).
La linea esprime il bisogno, affermando l’esigenza di assumere personale, affida il compito al
selezionatore.
Il selezionatore attiva una relazione con la committenza per interpretare e comprendere il
bisogno nel migliore dei modi.
Il selezionatore deve: comprendere le ragioni della richiesta, sapere che le attese
dell’organizzazioni riguardano aspetti visibili ma anche nascosti (atteggiamenti, valori,
motivazioni), sapere che ciascuna organizzazione sedimenta nel tempo una propria cultura che
definisce i buoni comportamenti ed abitudini dei dipendenti

Obiettivo selezionatore → NON è quello di individuare il candidato con il più alto livello di
competenza tecnica in assoluto, ma quello di instaurare con l’organizzazione il più alto
potenziale di successo.

Job analysis

job analysis → prima attività del selezionatore, è l’analisi della caratteristiche della posizione
(job description), sia la definizione delle competenze necessarie per operare nella posizione
(person specification).

- Job description → insieme di compiti professionali, che richiedono strumenti di lavoro


per raggiungere obiettivi.

Strumenti di indagine: interviste individuali (n°1, soprattutto con responsabili di area e


colleghi), interviste di gruppo, questionario, diario compilato dal lavoratore, osservazione
diretta del lavoro, lo svolgimento del lavoro in oggetto, videoregistrazioni, trascrizioni di casi
reali ed incidenti critici.

È necessario pervenire ad un titolo della posizione e una sua sintetica descrizione centrata sulle
finalità che la contraddistinguono.
È necessario evidenziare la posizione in organigramma.
È utile verificare: struttura organizzativa, numero di colleghi, relazioni gerarchiche, età ed
anzianità di servizio del personale, i livelli di inquadramento, il modello di organizzazione del

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lavoro, le responsabilità attribuite e lo stile di leadership → tutto questo è utile per capire le
caratteristiche comportamentali che il candidato deve avere.

Bisogna rilevare della posizione, inoltre: i principali interfacciamenti con le altre funzioni
aziendali. Il tipo di attività svolte. Gli strumenti necessari per svolgere queste attività.

- Person specification → definizione delle competenza che il candidato deve possedere. →


Conoscenza = sapere di ordine generale tecnico-specialistico e organizzativo.
Capacità = possono essere di tipo tecnico-specialistico o trasversali.
Qualità/comportamenti = doti personali di tipo operativo, sociali e soggettive. Sono
sovrapponibili alla competenza trasversali (abilità di diagnosi, di relazione, di problem solving,
di decisione, in sostanza le capacità di produrre trasformazione.). Trovarle è il passaggio più
delicato non emergono sempre bene dalla job description, è il selezionatore che deve
individuarle prestando attenzione alla dimensione tecnico-operativa e culturale. é importante il
confronto selezionatore - capo area.

JOB PROFILE

Job profile → profilo professionale del candidato ideale. Significa coniugare la job analysis con
le conoscenze del mercato del lavoro del selezionatore.

Mercato del lavoro → conoscere: varie figure professionali nei vari settori merceologici,
percorsi scolastici, desiderabilità e immagine dell’azienda, caratteristiche salienti dei contratti
di lavoro,

Job profile → precisazione di una serie di requisiti specifici, integrazione jobanalysis/mercato


lavoro = ceck list con caratteristiche anagrafiche, scolastiche, professionali, di competenz e
contrattuali

Job profile → comprende range d’età più appropriato, limiti geografici entro cui la persona
dovrà risiedere, titolo di studio più appropriato, durata dell’esperienza professionale richiesta,
conoscenze – capacità - caratteristiche comportamentali, inquadramento-retribuzione. I tempi
disponibile per l’inserimento incidono sul processo di selezione.

Il reclutamento e la convocazione

Può essere attuato perché in un dato momento è necessario procedere ad una nuova
assunzione oppure per aumentare il numero di curricula di interesse nel database.

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Reclutamento

Consiste in un’attività di esplorazione del mercato del lavoro finalizzata all’individuazione di


candidati che possiedano i requisiti per l’inserimento in organizzazione.

- Reclutamento permanente → senza essere vincolati dalla fase di assunzione, individuare


un bacino di aspiranti all’assunzione che possiedano le competenza desiderate, facili da
contattare e disponibili all’inserimento immediato.

La GRU anticipa i fabbisogni di personale monitorando nel tempo: uscite e pensionamenti,


dimissioni e licenziamenti, passaggi di livello, cambiamenti a seguito di riorganizzazioni,
evoluzione di tecnologie, riqualificazione dei dipendenti → emergono professioni prioritarie in
termini di piani di reclutamento.

Canali di reclutamento

Per procedere ad una azione di reclutamento bisogna conoscere: il numero delle persone da
assumere, le caratteristiche del job profile, il carattere e la durata della formazione che dovrà
essere proposta ai neo assunti, la data e le modalità di assunzione previste, il budget destinato
a reclutamento a selezione.

- Canali di reclutamento:
interni → comunicazione diretta ai dipendenti dell’organizzazione, i dipendenti possono
autocandidarsi (job posting). Oppure ricerca nel database interno all’azienda.

esterni → interlocutori esterni all’azienda in grado di segnalare i candidati:


scuole/università, centri di formazione professionale, associazioni e ordini professionali,
società di outplacement, centri per l’impiego, uffici informagiovani, società di selezione
del personale, società di head hunting, agenzie per il lavoro.

esterni senza intermediari → inserzione sui quotidiani ed e-recruiment.

Canali di reclutamento interni

Quando il selezionatore interroga il database aziendale in cui sono archiviati i curricula inviati
dai candidati, oppure si rivolge direttamente al personale che già lavora in organizzazione.
Il database viene organizzato per figura professionale, da dove il selezionatore estrarrà i
curricula più vicini alla posizione richiesti. Mentre il job posting richiede maggiori cautele → è
un vero e proprio mercato del lavoro interno a servizio dei processi di mobilità interna → può

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essere motivante → sviluppo professionale sia orizzontale (diversa posizione, stessa


responsabilità) che verticale (diversa posizione, maggiore responsabilità), è necessario però
che l’azienda abbia un valido sistema di valutazione della professionalità e di monitoraggio nel
tempo.

Reclutamento interno → ridotti i tempi e i costi, maggiori probabilità correttezza procedimento

Canali di reclutamento esterni

I canali di reclutamento esterni rivestono un’importanza strategica in quanto permettono di


cooptare risorse in grado di portare all’interno dell’organizzazione non solo competenze
specialistiche, ma anche approcci, metodi, valori, sensibilità che al momento non fanno parte
del patrimonio aziendale, costituendo in tal senso un’opportunità per l’apprendimento ed il
cambiamento organizzativo.

- Fasi: elaborare il job profile → contattare l’interlocutore appropriato → ricezione dei curricula.

Inviano gratuitamente i CV: scuole, istituti di formazione e università, centri di formazione


professionale, associazioni e ordini professionali, società di outplacement, centri per l’impiego,
informagiovani.
A pagamento invece: studi privati, società di selezione del personale e di head hunting.

Agenzie di lavoro (ex società di lavoro temporaneo): inviano gratis CV ma prestano il


lavoratore a fronte di compenso 10-15% del suo stipendio. NO per ampliamento organico ma
per momenti particolari e limitati (mercato istantaneo).

Quando l’azienda procede da sola usa e-recruitment e inserzioni su giornali, comporta alcune
considerazioni: volontà di rendere pubblica la ricerca, si ottengono ingenti quantità di curricula,
costo limitato oppure oneroso a secondo dell’ampiezza dell’audience del mezzo.

Struttura dell’inserzione, sei punti fondamentali:


- descrizione identità aziendale,
- nome della figura professionale ricercata,
- obiettivo della ricerca con mission della posizione,
- ruolo di inserimento,
- profilo in cui vengono esplicitati i requisiti richiesti,
- retribuzione

L’inserzione può avvenire via web con costi inferiori, esistono diversi portali appositi. esistono

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inoltre società specializzate nel reclutamento on-line.

Screening curriculare

Prima valutazione → screening, numero di candidati significativo ma non troppo ampio,


utilizzando dei parametri di valutazione che corrispondono a dei requisiti minimi che fungono
da filtri.
In questa prima fase si ordinano i curricula in modo decrescente secondo il parametro della
coerenza con il profilo ricercato, e convocando la prima fascia di graduatoria, dopodiché
colloqui (10/12) e test, infine due o tre candidati per il colloquio con la line.

Olivero, suddivide in: positivi da convocare, negativi da non convocare, di seconda scelta.

Il selezionatore valuta come il curriculum è stato strutturato e lo confronta con la descrizione


della posizione ricercata.

Convocazione

La fase di reclutamento si conclude con la convocazione dei candidati che hanno superato lo
screening che parteciperanno alla fase successiva di selezione.

L’avviso viene dato per telefono da parte dell’ufficio di segreteria (il Prof pensa sia un errore
perché dovrebbe farle il selezionatore: si potrebbero perdere persone potenzialmente idonee e
si potrebbero sapere ulteriori informazioni sui candidati oltre che si esprime, linguaggio,
gestione della relazione).

A volte ci sono test prima del colloquio, lo scopo è ridurre ulteriormente la rosa dei candidati,
oppure per approfondire la conoscenza dei candidati.

Il percorso di selezione e i suoi strumenti devono essere progettati in funzione degli obiettivi
conoscitivi del selezionatore.

IL COLLOQUIO

Colloquio: momento di comunicazione bidirezionale volto all’incontro ed alla reciproca


comprensione, non solo per verificare corrispondenza con JOB PROFILE, ma anche per
verificare possibilità che tra azienda e candidato si instauri un rapporto duraturo per cui gli
obiettivi di entrambi potranno essere raggiunti.

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Valutatore → interessato ad esprimere una valutazione valida, attendibile, sensibile e


predittiva. Dare buona immagine dell’azienda.
Valutato → presentarsi al meglio delle proprie potenzialità, esplicitare punti di forza,
nascondere punti di debolezza. Valuta però il selezionatore, la posizione e l’organizzazione.

Dinamiche interpersonali

Esistono già delle prime impressioni prima del colloquio.


Del Selezionatore → date dalla lettura CV, stile comunicativo e comportamentale
durante chiamata di convocazione.
Del Candidato → in base alle caratteristiche dell’annuncio di ricerca, alla gestione della
relazione da parte del selezionatore durante la chiamata, alle informazioni raccolte
sull’azienda.

Le strategie di impression management

Il candidato cerca di apparire il migliore per quella posizione, mette in atto delle strategie di
impression management.

Ingratiation → insieme di comportamenti verbali e non verbali messi in atto dal candidato per
piacere al selezionatore. Verbali → acconsentire alle affermazioni del selezionatore. Non verbali
→ annuire con il capo, mantenere contatto visivo.

Deception → quando tentano di nascondere gli aspetti della propria personalità e CV ritenuti
negativi.

Controstrategie del selezionatore, per Ingratiation → fare argomentare bene il pdv del
candidato che è in linea con il suo, in modo da valutare grado di coerenza interna e
persuasività. Per la deception → orientare il colloquio su quei punti della sua storia
professionale che sta cercando di evitare.

Le impressioni pre-colloquio

Durante la fase di screening CV il selezionatore costruisce impressioni pre-colloquio circa la


coerenza del profilo del candidato rispetto alla posizione, che influenzeranno la conduzione del
colloquio e la valutazione finale.
L’influenza di queste impressioni è regolata da alcuni mediatori cognitivi e comportamentali:
- Categorizzazione→ è un processo cognitivo che ordina e semplifica la realtà, agevolando
l’adattamento al proprio ambiente di riferimento. -Semplificazione realtà con stereotipi -

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-> immagine impoverita riguardante una categoria di soggetti, accompagnati spesso


da: - pregiudizio → predisposizione personale sfavorevole verso una categoria di
persone.

Ricerca dimostrano che dalle impressioni pre-colloquio si generano valutazioni che generano
aspettative relative al modo in cui il candidato si presenterà nel corso del colloquio, che
daranno a diversi modi di conduzione, che influenzeranno la possibilità del candidato di
esprimersi correttamente.
Aspettative positive → chance di presentarsi bene.
Aspettative negative → induzione ad apparire meno attraente.

I selezionatori rischiano di trovare le caratteristiche che si aspettano di trovare. Ricordano le


informazioni più coerenti con le impressioni pre-colloquio e meno le altre, le neutre vengono
valutate più positivamente se le aspettative sono positive e viceversa.

La gestione delle informazioni sfavorevoli.

Possono minare la validità della valutazione:


- attribuzione di maggiore importanza alle informazioni sfavorevoli piuttosto che a quelle
favorevoli → per ridurre il rischio di assumere un candidato non idoneo ed evitare
ripercussioni su se stesso.
- attribuzione di carattere sfavorevole alla informazioni ambigue. → sempre per un
calcolo costi-benefici, dipende dal sistema dal sistema di analisi e codifica
dell’informazione proprio del selezionatore.

I meccanismi di difesa

Esistono alcune modalità di funzionamento mentale di entrambi per il contenimento delle


ansietà legate alla relazione interpersonale ed alla valutazione.
I maggiormente ricorrenti sono: proiezione, identificazione, razionalizzazione, rimozione,
perfezionismo, scissione, formazione reattiva, sublimazione.

Il selezionatore devi individuare la presenza anomala di tale meccanismi perché potrebbero


testimoniare l’incompatibilità del candidato con la posizione ricercata. Il selezionatore può
mettere il candidato esplicitamente di fronte al suo meccanismo di difesa solo se questo
impedisce di approfondire il colloquio.

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Il processo di formazione della valutazione

Esistono tre tipi di variabili che intervengono nel processo di formazione della valutazione del
candidato:

Caratteristiche del candidato →


- Requisiti (livello di istruzione scolastica, esperienza professionale, risultati ai test).
Possiedono un elevato grado di oggettività.
- Caratteristiche demografiche (Genere, appartenenza etnica, età)
Selezionatore M, Candidato M: sovrastima delle caratteristiche per posizioni
manageriali oppure percepito come minaccia.
Selezionatore M, Candidato F: attrazione fisica del selezionatore, vantaggi per
posizioni dove è richiesta bella presenza e relazioni interpersonali.
Selezionatore F, Candidato F: desideri di riscatto che portano F ad assumere F
Selezionatore F, Candidato M: come per primo caso ma in maniera ridotta.

Appartenenza Etnica: incide di meno rispetto ad una volta, può capitare preferenza
per candidati di coloro per evitare accuse di razzismo.

Età: è contestuale, o si escludono a priori i più vecchi.

- Caratteristiche fisiche (espressione facciale, obesità, attrattività)


Attrattività: candidati attraenti suscitano valutazioni positive
 Abbigliamento
Abbigliamento classico (giacca e cravatta o taileur) suscitano valutazione finali più
positive.
 Aspetto esteriore (cura di sé, capelli, abiti non sgualciti, profumo, barba curata,
pulizia generale)
Sono tutte variabili che influenzano positivamente o negativamente la valutazione
 Similarità tra selezionatore e candidato
La similarità, se presente, influenza in modo positivo la valutazione sia per le
variabili di tipo biografico sia come stile di pensiero e comportamento.

I comportamenti non verbali e verbali del candidato →


- Il comportamento non verbale (Gestualità, Postura, Contatto visivo)
Gestualità, se sincrona con i contenuti verbali dimostra sicurezza, postura eretta
idem, contatto visivo prolungato idem
- Il comportamento verbale (Stile di comunicazione, Tono della voce, Uso delle pause,
Fluenza del discorso, Inflessione dialettale, Correttezza formale, Appropriatezza dei

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contenuti del discorso)


Stile di comunicazione: assertivo (esprime le idee e rispetta le altrui, il migliore),
condiscendente (modifica le proprie opinioni in base a quelle altrui), direttivo (voglio
che gli altri siano d’accordo con me).
Tono della voce: greve e sommesso da impressione di scarsa preparazione e fiducia
in se stessi.
Ritmo: pause troppo brevi = ansia, pause troppo lunghe = indecisione.
Fluenza: scorrevolezza dell’espressione verbale, scarsa fluidità = negativo.
Inflessioni dialettali: meglio senza.
Correttezza formale a appropriatezza dei contenuti discorso: + alte = + valutazione
positiva.

I selezionatori meno competenti si fanno fuorviare da tutto quello che abbiamo citato prima,
mentre quelli più competenza ne traggono informazioni utili.

Altre forme di colloquio

- Colloquio in serie: diversi colloqui con selezionatori diversi. + punti di vista e confronto
tra selezionatori.
- Colloquio panel: un candidato in presenza di più selezionatori. Confronto finale.
- Colloquio di gruppo: al colloquio partecipa un gruppo di candidati che vengono
convocati tutti insieme. Ogni candidato si presenta a turno ed espone motivazioni ed
aspettative: si osservano le modalità di espressione e di relazione. Oppure i candidati
discutono deliberatamente un argomento. Bassi costi, ottimo per iniziare il processo di
selezione.

I colloqui che abbiamo presentato fin ora sono di tipo SEMISTRUTTURATO: coniugano
pianificazione e flessibilità, si stabiliscono aree da esplorare ma al candidato viene data libertà
di approfondimento ed ordine. Esistono altri due tipi di colloquio, non strutturato o libero:
assenza di formalizzazione temporale, di contenuti e di tipo di interazione, il selezionatore
enuncia dei temi ed il candidato li affronta liberamente.
Oppure strutturato: ordine e contenuto delle domande sono predefinite, può essere
un’intervista situazionale (il candidato descrive come affronterebbe una situazione lavorativa
ipotetica) o di descrizione dei comportamenti (descrive i propri comportamenti in passate
situazioni professionali). Possono essere rischiose perché i c. danno risposte ideali.

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LA PREPARAZIONE DEL COLLOQUIO

La preparazione del selezionatore

Il S. prima di svolgere il colloquio deve leggere la documentazione relativa a candidato e


posizione ricercata (ciò gli consentirà di recuperare dettagli che favoriranno una condizione di
empatia col candidato).
- Documentazione attinente alla ricerca di personale: job description + person
specification + job profile.
- Materiale relativo al candidato: CV + domanda assunzione + appunti presi nel corso
della telefonata di convocazione + risultati test e prove di gruppo.
Avere con sé scheda di colloquio e brochure aziendale da consegnare alla fine.

Il setting del colloquio

Importante creare un’atmosfera di interpersonale caratterizzata da fiducia, apertura, e


disponibilità.
La reception accompagna il candidato dal selezionatore oppure lo fa accomodare in una saletta
accogliente e riservata. Al momento del colloquio il S. arriva, saluta formalmente, stretta di
mano, lo conduce nella stanza del colloquio (anche qui ambiente riservato ed accogliente,
lontano da rumori) → Tavolo rettangolare al centro della stanza ne troppo grande ne troppo
piccola, finestre e porta di lato per evitare distrazioni, no illuminazione diretta, no suppellettili
o altre cose sul tavolo, conversazione vis-a-vis, no cellulari. Stanza dal clima rilassanti con
colori pastello.

Le fasi operative del colloquio

Tre fasi principali: fasi di aperture, centrale e chiusura.

- Fase di apertura: serve per entrare in sintonia con il candidato. Il S. si pone in modo
accogliente e cordiale per rompere il ghiaccio. Il S. si presenta descrivendo il proprio
ruolo in azienda, sottolinea che la prima impressione è stata positiva tanto da
convocarlo. Descrive l’iter di selezione. Già qui acquisisce prime informazioni che evita
di trasformare in giudizi.
- Fase centrale: rilevazione dei requisiti posseduti dal candidato in termini di conoscenze,
capacità e caratteristiche comportamentali, motivazioni alla candidatura e del cambio di
azienda se già occupato. Verifica atteggiamenti ed aspettative nei confronti dell’azienda,
tratti di personalità, obiettivi, i suoi valori, principi e regole che lo guidano. Il S. spiega
il ruolo professionale che sta cercando.

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- Fase di chiusura: ha come obiettivo l’uscita dal colloquio, conferma di avere ottenuto
una sufficiente conoscenza, esplicita le modalità con cui verrà comunicato l’esito e
l’eventualità di una richiesta di ulteriori approfondimenti.

I temi del colloquio

- Informazioni anagrafiche: si verifica la completezza e l’esattezza.


- Istruzione scolastica: il C. elenca e chiarisce i vari titoli.
- Corsi di formazione: Il S. fa domande e verifica conoscenze linguistiche ed informatiche.
- Esperienze professionali: il C. descrive le proprie esperienze dalla più remota alla più
recente. Descrivendo le caratteristiche dell’azienda e del compito.
- Motivazione al cambiamento: approfondire le ragioni del cambiamento, di natura
professionali, economiche e personali. Per rilevare coerenza tra scelte e motivazioni
interiori.
- Aspettative professionali: aspettative di posizione e di responsabilità.

La scheda per il colloquio

Traccia per la conduzione della fase centrale, dove fisserà le informazioni. Si compila durante o
dopo il colloquio. Sono appunti per focalizzare i passaggi critici e a supporto dell’archiviazione
delle candidature. Le parti in cui è suddivisa sono quelle sopracitate. Inoltre c’è una sezione
per interessi extra professionali e per delle note (registrazione a caldo di impressioni e
promemoria di argomenti su cui tornare).

Le dimensioni comportamentali

La job analysys individua alcune caratteristiche fondamentali implicate nella posizione


ricercata. Viene stilato un elenco che funge riferimento per il S. durante il colloquio. Si deve
ottenere una descrizione della personalità corretta in termini di canoni psicologici e coerente
con le aspettative dell’azienda.

LA CONDUZIONE DEL COLLOQUIO

Fase di apertura

Benvenuto, stretta di mano, si accomodi, indicare appendiabito, indicare sedia, frasi per
rompere il ghiaccio (trovato traffico? grazie per l’incontro etc…) → scambio iniziale che rivela
alcuni tratti di personalità e comportamentali.

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Avvio colloquio con breve autopresentazione, descrizione proprio ruolo, descrizione figura
professionale ricercata e poi lasciare la parola al C. perché si presenti ed entri nel merito delle
proprie esperienze e titoli di studio.

Dopo questa prima interlocuzione il selezionatore cerca di sintonizzarsi con il candidato


adottando il suo stile comunicativo (tono voce, pause etc..), creando empatia e facendo così in
modo che il C. parli in modo sincero ed approfondito.

La fase centrale

Il selezionatore affronta gli argomenti che gli interessano in ordine cronologico. Le domande
devono essere poste in modo neutro, in modo da non suggerire la risposte, così da far
emergere informazioni preziose. Inoltre le domande aperte rendono esplicite le proprietà di
linguaggio. Inoltre dal parlare liberamente o giustificare alcuni elementi del CV, come anche i
vuoti, emerge il sistema di valori e la coerenza della persona.
Durante l’esplorazione delle attività professionali è utile valutarne la pregnanza per ottimizzare
il tempo e approfondire quelle più coerenti alla posizione ricercata → domande aperte per
valutare iniziativa, capacità di problem solving nel cercare il lavoro. Chiedere motivazioni che
hanno indotto a cambiare lavoro lasciando ampio spazio (emergono aspettative, valori,
motivazioni).
Se la conversazione si fosse canalizzata verso un’esplicita ammissione di difficoltà (es. scarsa
adattabilità ai contesti sociali), il S. dovrebbe cercare di allentare la tensione per non rischiare
l’irrigidimento del candidato e perdere l’empatia → spostare ambito di conversazione meno
carico emotivamente.
Infine bisogna chiedere esplicitamente quali sono le aspettative (attività specifiche + grado di
responsabilità ed autonomia), il S. descrive esaurientemente la figura ricercata (attività
previste, posizione in organigramma, livello responsabilità, tipo di contratto etc…), così il C.
farà domande e ci saranno ulteriori scambi di comunicazione oggetto di valutazione.

Motivazioni al cambiamento → evidenziano grado di maturità intellettuale, inclinazioni verso


collaborazione o competitività, grado di consapevolezza circa la proprio efficacia.

Infine si richiedono informazioni relative ad attività extraprofessionali, come hobby e sport.

Fase di chiusura

Il S. deve gestire la fase di chiusura → porre accento su obiettivi conoscitivi completati, tempi
necessari di valutazione, modalità di selezione successiva.
Cordialità sia se impressione positiva o negativa, accompagnare e salutare con stretta di

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mano.

Buone pratiche per il selezionatore

Valutare non solo competenze ma anche le possibilità di integrazione nell’azienda in termini


relazionali, organizzativi, valoriali → “il modo di essere del candidato è coerente con la cultura,
i valori e le norme dell’azienda?” → possono essere soddisfatte le aspettative delle parti?
Il S. non deve tralasciare neanche il più piccolo dettaglio.
Puntare ad entrare in sintonia ed empatia con il C. → scambio sincero.
Porre tutti i C. nelle medesime condizioni di partenza → stesso stile di conduzione.

Indicazioni:
- rispetto della persona.
- non palesare la propria posizione privilegiata.
- atteggiamento formale.
- atteggiamento interessato e concentrato.
- non interrompere bruscamente il C.
- quando il C. divaga, farlo divagare.
- controllare ipotesi che vengono formulate ricercando dati in senso opposto.
- non esprimere opinioni o approvazione.
- non mostrare segni di insofferenza o inquietudine se si è certo che il C. non si idoneo.
- assicurarsi di aver ben compreso le risposte del C.
- non dare in anticipo informazioni su valutazione.
- prendere appunti.
- esplicitare le fasi successive della selezione.
- dare sempre comunicazione al C. se escluso.

Difficoltà:
- non tutti i C. si relazionano con facilità (introversi), Il S. deve conquistarne la fiducia
(non aggressivo, ne intrusivo).
- non è sempre facile rispettare i vincoli temporali (1-1,5 h), possibilità di invalidare per
fretta. Ok domande aperte ma molto pertinenti per ottimizzare.
- difficoltà di imparzialità.

I TEST

Un test è una situazione standardizzata in cui il comportamento di una persona viene


campionato, osservato e descritto, producendo una misura del comportamento stesso
confrontabile con una norma relativa alla popolazione di riferimento. Consentono di ottenere

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informazioni aggiuntive sulle competenze, sulla personalità e sul potenziale dei candidati,
limitando i rischi di una valutazione errata.

4 categorie:

- Test di personalità: si propongono di rilevare le caratteristiche emotive, motivazionali e


relazionali di un individuo.
- Test di conoscenza: valutare ciò che l’individuo conosce in un certo ambito di
competenze.
- Test attitudinali: mettono a fuoco specifiche abilità per l’apprendimento, consentono di
verificare il potenziale dell’individuo al di là della sua competenza tecnico-specialistica.
- Test di interessi e di valori professionali: individuare le attività professionali verso cui
indirizzare una persona a partire dalle sue preferenze.

Il tipo di test scelto dipende naturalmente dalla natura delle informazioni che si vogliono
rilevare.

La somministrazione può avvenire in modo collettivo (10-20 C.) oppure individuale. Collettiva
non va bene quando c’è bisogno dell’aiuto del selezionatore e necessità di riservatezza.

Testi di personalità

Sono strumenti che si propongono di verificare le caratteristiche emotive, motivazionali,


relazionali e di atteggiamento che sono alla base delle modalità di interazione di un individuo
con il proprio ambiente. Non per trovare patologie, ma per riconoscerne gli orientamenti
comportamentali → a questo fine meglio test strutturati e questionari.
Questionari di personalità → fanno riferimento ad una teoria della personalità o classificazione
tratti → es. CPI (california Psychological Inventory), MMPI (Minnesota Multiphasic Personality
Inventory), BFQ (Big Five Questionnaire), MBTI (Myers-Briggs Type Indicator), etc…

Vengono utilizzato per integrare le informazioni provenienti dal colloquio e prove di gruppo,
NON istanza selettiva (dentro/fuori l’iter selettivo) ma come integrazione. Quindi meglio
durante il processo e non all’inizio.

Il 16 PF di Cattel → 185 item, 170 vero/falso, 15 misurano capacità di ragionamento a tre


risposte, una esatta. 30-60 min.
Rileva 16 dimensioni di base della personalità (chiamati fattori primari) e 5 fattori globali.

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Test di conoscenza

Quando si è interessati a valutare ciò che un soggetto conosce ed è in grado di fare in


relazione ad una determinata area di competenza. Può essere usato anche come scrematura,
in questo caso si farà all’inizio.
Possono essere orali, carta e matita, prove pratiche.
È possibile usare test per via informatica, CAT (Computerized Adaptive Test), più il soggetto va
avanti più le domande sono difficili, oppure il contrario se sbaglia.

Test attitudinali

Hanno l’obiettivo di rilevare il possesso di specifiche abilità, ritenute importanti per


l’apprendimento e/o lo svolgimento di una di una determinata attività professionale, al di là
delle competenze tecnico specialistiche possedute. Es. attitudini a: ragionamento astratto,
verbale, numerico, logico, spaziale, meccanico, alla memoria, alla fluidità espressiva,
all’orientamento, alla discriminazione tra stimoli, alla rapidità motoria, alla destrezza manuale,
al coordinamento occhio-mano, creatività, giudizio artistico, giudizio musicale. Es. DAT
(Differential Aptitude test), GAT (General Ability Test), GABT (General Aptitude Test Battery).

GAT → per diplomati, valutazione attitudini ragionamento verbale, numerico, astratto e


spaziale. 4 batterie distinte, ciascuna indaga un’area.

Test di interessi professionali e di valori professionali

Hanno l’obiettivo di conoscere le preferenze (curiosità, attenzione, orientamento, attrazione,


desiderio etc..) degli individui relativamente ai differenti ambiti di attività. Utile per
neodiplomati/laureati senza esperienza.
Questionario di autovalutazione → che consente di individuare un profilo di interessi a sua
volta coerente con una specifica area professionale.
Es. VPI (Vocational Preference Inventory) di Holland, lo SCII (Strong-Campbell Interest
Inventory) etc…
Per necessità di validità e di variabilità del mercato del lavoro sono state abbandonate le
domande dirette, ora si usano costrutti generali come quello dei valori professionali: (sistema
di bisogni, desideri e scopi, strutturato gerarchicamente secondo un ordine di importanza
relativa).
Insoddisfazione → discrepanza tra valori personali ed aziendali, oppure il lavoro stesso non
permette di esprimere gli orientamenti valoriali.
Valori estrinseci: successo, sicurezza, tempo libero, stipendio.
Valori concomitanti: rapporto con i colleghi e capi, politiche aziendali, ambiente di lavoro.

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Valori intrinseci: autonomia, responsabilità, varietà, uso creatività.

LE PROVE DI GRUPPO

Situazione di incontro e confronto con altri candidati. é costituito da un compito che i candidati
devono svolgere tra di loro. Da 6 a 10 candidati. Consentono soprattutto di raccogliere le
caratteristiche comportamentali dei candidati.

La scelta delle prove di gruppo

Dipendono dalla professionalità ricercata, risorse economiche e di tempo.


Sono impiegate quando le caratteristiche comportamentali risultano fondamentali per la
posizione richiesta. In ogni caso sono utili per avere informazioni, tuttavia sono costose quindi
vengono utilizzate solo in determinati casi.
L’applicazione delle prove di gruppo è elevata quando la posizione ricercata ha un alto
contenuto relazionale, sia un alta collocazione organizzativa, che implica la gestione e il
coordinamento di collaboratori e gruppi di lavoro. La valenza è comunque buona nel caso di
bassa responsabilità gerarchica ma alto contenuto relazionale, e viceversa.

La progettazione e lo svolgimento delle prove di gruppo

Individuazione delle caratteristiche comportamentali che si ritengono fondamentali e


irrinunciabili.
Per ogni caratteristica è necessario individuare un tipo di attività che la renda osservabile.
Una volta individuata il tipo di prova utile può la mettere a punto, scrivendola e predisponendo
i materiali. Oppure adattarne una presente in letteratura.
é possibile utilizzare il metodo degli incidenti critici, si intervistano i responsabili e colleghi per
individuare aspetti salienti per la posizione, e poi chiamare in causa nelle prove le competenze
necessarie.
Infine vanno definite le modalità di osservazione della prova ed il setting.
I candidati si accomodano al tavolo liberamente, gli osservatori sono minimo due max quattro,
uno funge da conduttore. Poi si manterranno in assoluto silenzio per non interrompere le
interazioni tra candidati.
I comportamenti verranno annotati su apposite griglie di rilevazione, alla fine si attribuirà un
punteggio ai candidati in base alla presenza ed alla frequenza dell’espressione dei
comportamenti attesi.
L’ambiente deve permettere le stesse possibilità di interazione a tutti i partecipanti e
l’osservazione.

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Le prove

Per valutare: Gestione dell’ansia, Problem solving, Negoziazione, Capacità di ascolto, iniziativa,
Organizzazione.

- L’autopresentazione (Gestione dell’ansia, iniziativa): un assessor (valutatore) da dieci


minuti di tempo circa per organizzare un’esposizione orale di 5 minuti riguardante
alcuni aspetti personali e professionali. L’assessor domanderà per un volontario ed
inizierà a valutare la situazione di imbarazzo e le iniziative. Poi osserverà i
comportamenti verbali e non verbali, oltre che le informazioni dichiarate relative a
motivazioni o le aspettative.
- L’orientamento valoriale (Negoziazione, capacità di ascolto, iniziativa): viene fornito un
elenco costituito da dieci valori professionali. 15 min. per organizzare individualmente
una lista in ordine di importanza, 45 minuti per condividere il lavoro e giungere ad una
graduatoria di gruppo. la graduatoria individuale consente di valutare la coerenza con i
valori aziendali, mentre il lavoro di gruppo fa osservare la capacità di ascolto, di
iniziativa e di negoziazione.
- Il piano di lavoro (Problem solving,Negoziazione, Capacità di ascolto, iniziativa): due
fasi, 18 azioni che devono essere ordinate in una logica sequenziale per svolgere
correttamente il compito affidato. Prima ordine individuale, poi devono dare un ordine
di gruppo,
- La pianificazione (Problem solving,Negoziazione, Capacità di ascolto, iniziativa,
Organizzazione): fin dall’inizio lavoro di gruppo, in un ora e mezza dovrenno produrre
un elaborato di risposta ad un compito affidato e consegnarlo agli assessor. Inoltre qui
si potrà rilevare la gestione del tempo, la perseveranza, la precisione.

Materiali e modalità di valutazione

Scheda: per ogni caratteristica comportamentale sono elencati 5 comportamenti con cui si può
manifestare. Perché sia mantenuta la validità è necessario che gli assessor abbiano comune
formazione relativa alla modalità di lavoro.
Inoltre è utile nelle varie prove scambiarsi i candidati da osservare.
Le schede di valutazione compilate dagli assessor costituiscono la documentazione da usare nel
comitato di valutazione, l’obiettivo del comitato è giungere ad una valutazione di sintesi per
ciascuna caratteristica comportamentale. Se i giudizi di ogni singolo assessor si discostano di
molto va aperto un dibattito di confronto in cui si ripercorrono le prestazioni fornite da ciascun
candidato. Per la realizzazione della sintesi può essere utilizzato un software. Infine viene
stilata una graduatoria provvisoria, anche se può essere scelto poi non il primo ma quello che
ha una caratteristica più spiccata.

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LA STESURA DEL PROFILO PSICOPROFESSIONALE E LA VALUTAZIONE

Va steso a freddo, il giorno dopo → per non essere influenzato da singole reazione emotive e
impressioni non adeguatamente elaborate. Si articola in profilo professionale e profilo
psicologico.
- Profilo professionale → è organizzato cronologicamente, specifica le caratteristiche
dell’azienda, mette in luce le conoscenze e le capacità sia di tipo specialistico che
trasversale e le motivazioni.
- Profilo psicologico → valutazione in merito alle dimensioni comportamentali e tratti di
personalità.

La valutazione

Decreta l’uscita di scena di alcuni candidati, e il coinvolgimento ulteriore degli altri, inoltre la
committenza valuta l’operato del selezionatore.
Valutazione → Job profile VS. CV, scheda colloquio, profilo psicoprofessionale, prove di gruppo,
test.

Errori che il selezionatore deve neutralizzare:


- coazione a giudicare: tendenza ad emettere subito un giudizio globale e definitivo circa
l’idoneità del candidato.
- indulgenza: propensione a dare valutazione positive.
- severità: propensione a valutare negativamente il candidato.
- tendenza centrale: propensione ad effettuare valutazioni non sbilanciate per paura di
sbagliare.
- errore sequenziale: orientamento ad esprimere una valutazione su una dimensione
influenzata da quella precedente.
- errore logico: collegamento automatico tra due o più caratteristiche del candidato che
ottengono ciascuna la medesima valutazione su base logica (es. associare intelligenza
con onestà).
- negazione: tendenza a non considerare alcuni fatti relativi al candidato.
- effetto alone: estensione della valutazione di una caratteristica ad un’altra.
- contrasto: inclinazione a valutare le caratteristiche del candidato in opposizione alle
proprie.
- somiglianza: inclinazione a giudicare i candidati simili a se.
- proiezione: tendenza del S. ad attribuire ai candidati il proprio modo di pensare e di
agire.
- primacy-recency: attribuzione di maggior peso alle info ricevute per prime o per ultime.

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Buone pratiche:

- Ripercorrere tutte le informazioni raccolte sulla posizione aperta e sulle caratteristiche


del candidato.
- Verificare il livello di coerenza tra le esperienze professionali e le attività previste dalla
posizione ricercata.
- Stabilire l’importanza di ogni elemento rilevato per la posizione oggetto della selezione.
- Considerare il grado di allineamento delle dimensioni comportamentali con quelle
maggiormente significative per la posizione.
- Esaminare le motivazioni al cambiamento in modo che siano congruenti con quelle che
l’organizzazione è in grado di offrire.
- Riflettere sulle aspettative professionali, se sono realizzabili nella posizione.
- Confrontare le aspettative economiche del candidato con quelle previste dal contratto.
- Analizzare la corrispondenza tra il sistema valoriale del candidato e quello dell’azienda.
- Controllare che non ci siano pregiudiziali all’assunzione per quanto riguardi i tempi.
- Considerare le potenzialità del candidato in termini di propensione ad assumere nel
tempo ruoli con maggiore responsabilità o complessità.

È possibile che il selezionatore usi una scheda di sintesi per la valutazione su scala likert.

IL COLLOQUIO CON LA LINEA

La preparazione del colloquio

Il S. tende a presentare circa 3 candidature alla linea, perché da un lato può dedicare più
tempo ad ogni candidatura e dall’altro viene coinvolto nel processo decisionale.
Unica sessione di colloqui, una giornata di pausa, valutazione finale.
I C. non si devono incontrare tra di loro per privacy.
Il S. può puntare sull’eterogeneità:
1. competenze allineate,
2. competenze superiore,
3. competenze inferiore ma buone potenzialità → strategia vantaggiosa, il responsabile
può scegliere in base ai propri obiettivi.

Obiettivi colloquio con il responsabile:


- reciproca conoscenza;
- esposizione storia lavorativa, competenze, motivazioni, aspettative, traguardi;
- il responsabile descrive la mission, le attività, le competenze necessarie, le scelte
organizzative;

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- i risultati che il responsabile si aspetta;


- approfondire le conoscenze tecniche;
- inquadramento contrattuale e retribuzione.

Il setting

Stesso del colloquio con il selezionatore, Responsabile e C. disposti frontalmente, S.


lateralmente. Il S. osserva l’interazione.

La realizzazione del colloquio

Spetta al selezionatore fare gli onori di casa. Presenta il R. e il C. Invita il C ad esporre una
propria presentazione. Dopo è il responsabile che illustra i propri uffici/area ed attività,
evidenziando le aspettative, e quindi verifica le competenze tecniche. Il S. orienta il colloquio
verso il soddisfacimento conoscitivo di entrambi, coglie comportamenti verbali, non verbali,
consapevoli ed inconsapevoli di tutti e due che usa poi al fine di esprimere un giudizio di
compatibilità. Può anche intervenire direttamente con domande che evidenzino un eventuale
rischio di disallineamento di entrambi.
Se la conversazione va in stallo il S. deve cercare di riattivarla, facendo osservazioni o
introducendo domande su nuovi aspetti.
Infine il S. chiede al C. a caldo cosa ne pensa di questa opportunità lavorativa.
Il selezionatore riepilogherà le modalità contrattuali e di assunzione, chiedendo infine un
giudizio su di essi.
Il S. chiude il colloquio.

La scelta del candidato

Il S. ed il C. si troveranno per decidere quale candidato scegliere, contratto e modalità e tempi


inserimento.
Il S. non dice subito qual’è secondo lui il più idoneo, ma si pone in ascolto del R., presenta le
sue osservazione senza imporle. Il S. si sente giudicato, e può rischiare di esporre
positivamente i C. in maniera erronea (qui serve la consapevolezza del selezionatore e basta).

L’assunzione del candidato

Il S. convoca il C, riassume i termini contrattuali, firma del contratto. Anche questa occasione
può essere utile per avere feedback sul proprio operato.
Un eventuale riapertura di discussione sulla retribuzione potrebbe portare alla rinuncia del
contratto.

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A volte il candidato è tenuto a svolgere una visita medica prima dell’assunzione, a seconda
della posizione.
Agli esclusi va mandata lettera di conclusione del ciclo selettivo.
Potrebbe essere una buona idea far passare mezza giornata al C. in azienda per osservare
l’attività che dovrà svolgere.

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PROGETTARE LA CARRIERA
DEFINIZIONI, TEORIE E METAFORE

Le principali teorie possono essere raggruppate in cinque filoni, due a carattere


sociologico, due a carattere psicologico e uno interdisciplinare.
Sociologiche:
1) Modello sociologico classico. Secondo questo modello, che si è occupato della parte
osservabile della carriera, essa è una sequenza di posizioni lavorative ordinata in modo
ascendente, stabile a livello intergenerazionale (i posti vengono molto probabilmente
occupati dai figli), che risente di predittori e fattori di regolazione del destino occupazionale
quali variabili ascrittive (genere, status, ecc) ed educative (titolo di studio). L’andamento
della carriera in questo senso costituisce un indicatore della condizione sociale
dell’individuo e un elemento per comprendere i processi di mobilità sociale. I limiti di
questa teoria sono: a) sottostima i margini di libertà dell’individuo nell’intraprendere
percorsi di carriera autodeterminati; b) vede le dinamiche occupazionali troppo statiche
rispetto al dinamismo sociale degli anni recenti; c) si trascurano i potenziali passaggi
successivi alla scelta occupazionale.
2) Scuola di Chicago. La carriera è vista come un percorso individuale all’interno di una o
più istituzioni sociali, non necessariamente ascendente ma caratterizzata da diversi tipi di
transizione (mobilità orizzontale, cambiamento occupazionale, ecc). Pone enfasi sulla
componente interattiva tra individuo e organizzazione. Infatti le strutture sociali non
vengono intese come forme rigide che regolano il comportamento, ma come insieme di
regole socialmente prodotte all’interno dei gruppi umani in continuo cambiamento nel
tempo, spostando il focus su come gli individui entrano in relazione con le istituzioni sociali
e rendendo l’ascesa verticale solo una delle possibili dinamiche del percorso. La carriera
viene vista come dotata sia di una componente soggettiva (il significato che l’individuo dà
agli eventi in un determinato contesto sociale) e una componente oggettiva (le tappe e le
posizioni che le istituzioni sociali prevedono per regolare i percorsi), cosicchè essa sia alla
fine regolata da contingenze esterne che condizionano il percorso e richiedono una
continua rielaborazione di significati e attribuzioni da parte dell’individuo.
Psicologiche:
1) Teoria dei tratti. Le differenze interindividuali di carriera riflettono differenze
interindividuali su dimensioni psicologiche come personalità, attitudini, livello di
aspirazione, interessi e valori professionali. Le scelte di carriera costituiranno dei tentativi
di adattamento, alla ricerca di un buon fit tra i tratti personali che evolvono nel tempo e i
benefici offerti dal contesto lavorativo. Una discrepanza porterebbe a insoddisfazione e
comportamenti di ritirata, anche se il grado di tolleranza varia da individuo a individuo. Per
contrastare una incongruenza esistono comunque vari stili di risposta: attivismo (tentativo
di agire sull’ambiente per modificarlo), adattamento (modificare il proprio self),
perseveranza (resistere), uscita. Questo modello dei tratti presenta dei limiti: a) eccessiva
importanza a fattori individuali trascurando fattori sociali; b) visione meccanica del
rapporto individuo/organizzazione dove l’elemento determinante è solo l’adattamento; c)

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ipotesi che il successo sia fondato sui rinforzi che il contesto offre; d) fornisce solo modelli
classificatori senza giungere alla costruzione di modelli esplicativi.
2) Teoria degli stadi di carriera. L’individuo può cambiare lungo tutta la sua vita e i
cambiamenti, oltre a essere regolati dallo sviluppo individuale, lo sono anche da una serie
di eventi che il soggetto ha incontrato lungo la sua traiettoria di vita. Quindi, le preferenze
occupazionali, interessi e competenze mutano in un processo continuo caratterizzato
dall’invecchiamento del soggetto e dagli eventi della vita sociale. L’intero corso della vita è
considerato come sequenza di stadi entro cui gli individui sviluppano ruoli, abilità, interessi
e il proprio self concept in rapporto a fattori situazionali che caratterizzano l’esperienza. Gli
stadi entro cui si costruisce la carriera possono essere scanditi in: crescita (0-15 anni),
esplorazione (15-25 anni), stabilizzazione (25-45 anni), mantenimento (45-65 anni),
declino (oltre 65). Le carriere possono cambiare all’interno di micro cicli in cui avvengono
le prese di decisione (decision points), e la maturazione professionale è vista come
implementazione e sviluppo del self concept. L’adattamento positivo al lavoro, la
soddisfazione personale e la carriera sono allora da considerarsi proporzionali alla coerenza
tra self concept e caratteristiche della carriera intrapresa. Tra i limiti di questa teoria: a)
l’individuo è visto in termini passivi come modellabile dagli stadi di carriera; b) eccessiva
attenzione alla sfera lavorativa a scapito di altre comunque determinanti; c) eccessiva
enfasi sugli stadi di esplorazione ed entrata al lavoro.
3) Sogno e ciclo di vita. L’arco della vita è considerato come una sequenza di fasi di
sviluppo caratterizzata da lunghi cicli di stabilizzazione e da più brevi momenti di
transizione, stabilità e cambiamento. Alcuni concetti di base di questa teoria sono il sogno
e la struttura di vita. Il sogno rappresenta la rappresentazione del modello di vita preferito
e determina l’investimento energetico che l’individuo è disposto a erogare. La struttura di
vita è il veicolo per la realizzazione del proprio sogno ed è caratterizzata dalle influenze del
contesto sociale e culturale, dalle caratteristiche del self e del sistema di relazioni che
l’individuo intrattiene con altri significativi e gruppi di riferimento.
Interdisciplinare:
1) Carriera morale. Definita come la posizione che l’individuo occupa sotto il giudizio dei suoi
stessi occhi e di soggetti significativi. Viene generata da opinioni che gli individui si
formano su una persona in relazione a successi o fallimenti conseguiti dal soggetto stesso
in situazioni di azzardo.
La ricchezza dei modelli teorici e delle interpretazioni della carriera è anche testimoniata dalla
quantità di metafore prodotte sul costrutto. Inkson ne individua nove fondamentali: carriera come
eredità, costruzione, ciclo, incontro (tra individuo e ambiente), viaggio, network, ruolo, risorsa,
storia.

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CARRIERE NELLE ORGANIZZAZIONI
La carriera può essere definita come l’evolversi nel tempo dell’interazione tra individuo
ed organizzazione, frutto di una negoziazione continua tra esigenze di sviluppo delle
persone e produttività, sviluppo, innovazione dell’organizzazione. Da un lato
l’organizzazione con le proprie politiche seleziona gli individui ritenuti più adatti e cerca
di renderli il più possibile adeguati allo svolgimento delle mansioni, attivando strategie
di socializzazione, corsi di formazione per l’acquisizione delle competenze e la diffusione
del sapere organizzativo, politiche di promozione delle risorse umane per motivare il
personale e garantirsi la fedeltà organizzativa. Dall’altro lato, gli individui selezionano le
opportunità offerte in base a caratteristiche personali, interessi, preferenze e
aspirazioni. Nello stesso tempo il comportamento individuale tendono a condizionare la
prestazione organizzativa e a introdurre potenziali elementi di innovazione e
cambiamento nei ruoli organizzativi.
Secondo Schein le organizzazioni offrono diverse direttrici di movimento per le persone:
- Verticale: incremento o decremento nelle posizioni gerarchiche, che comportano aumento o
decremento di responsabilità, autonomia, potere decisionale e influenza.
- Radiale: incremento o decremento della propria centralità, ovvero muoversi verso posizioni
più o meno strategiche. Riguarda per lo più figure che nell’organizzazione hanno già
completato il percorso sulla dimensione verticale.
- Circonflesso: movimento orizzontale, da una funzione o reparto a un altro. Non hanno
modifiche nelle responsabilità o nel potere decisionale, ma sono importanti in funzione
della definizione di sé e per la costruzione di uno spettro di competenze professionali che
favorisce flessibilità e adattabilità organizzativa.
Inoltre le carriere sono influenzate da quelle che vengono chiamate àncore di carriera,
ovvero aspetti centrali del sé ai quali la persona non rinuncerà nei casi di scelte difficili
o di transizione. Si formano nelle prime fasi di socializzazione al lavoro, sono il risultato
dell’esperienza passata e regolano la definizione del progetto di vita futura. Schein
individua le seguenti àncore:
¾ La competenza tecnica. Si costruisce parte dell’identità professionale attorno al
contenuto del proprio lavoro e a competenze specifiche.
¾ La competenza manageriale. Si costruisce la carriera in base a avanzamento,
responsabilità, leadership, guadagno, ecc.
¾ La sicurezza. Si sceglie in termini di stabilità, scarsa propensione alla mobilità geografica,
ricerca di garanzie occupazionali, stabilizzazione delle relazioni lavorative e non.
¾ L’autonomia e l’indipendenza. Costituita dalla ricerca di ruoli non troppo vincolanti in
termini di prescrizioni, orari, vincoli sociali, interdipendenza.
¾ La creatività e l’intraprendenza. Costituita dalla ricerca di innovazione e dai benefici
intrinseci connessi alla realizzazione di prodotti e servizi.
¾ La sfida. Le scelte sono regolate dalla ricerca di compiti impegnativi che mettono alla
prova sé stessi e le proprie competenze.
¾ La dedizione. Si sceglie in base alla possibilità di realizzare scopi di ordine etico-valoriale.
¾ L’integrazione dello stile di vita. Costituito dalla ricerca di equilibrio tra lavoro, famiglia,
tempo libero e altre attività.

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Lo stesso autore inoltre analizza i possibili processi di regolazione delle carriere dentro le
organizzazioni, individuando quattro fondamentali esigenze di pianificazione:
1) Pianificazione del personale. Processo attraverso il quale l’organizzazione definisce i
requisiti per i ruoli vacanti e seleziona i profili più idonei. Per una analisi della carriera
completa occorre anche una definizione dei percorsi professionali associati a quei ruoli, con
la possibilità di stimare quali motivazioni, aspirazioni, ecc siano desiderabili nei profili.
2) Pianificazione dello sviluppo. Comporta sia prevedere come evolve un dato ruolo
lavorativo nel tempo, sia comprendere quali sono le potenzialità, le risorse, i talenti dei
dipendenti che meritano di essere potenziati. Strumenti fondamentali in questo senso sono
le tattiche di socializzazione per favorire l’inserimento dei nuovi membri: azioni formative
fisse, seriali, collettive possono indurre orientamenti di ruolo conservativi e un più forte
legame affettivo con l’organizzazione (più adatte per individui con minori risorse individuale
e scarsa autoefficacia percepita), mentre tattiche di tipo individualizzato, informali e
variabili da una parte possono generare risposte innovative ma a rischio di un minore
attaccamento affettivo (meglio per individui dotati di maggiore autonomia e fiducia).
Rivestono importanza anche altre attività di accompagnamento come il mentoring o il
coaching.
3) Pianificazione dei processi di stabilizzazione e di uscita. L’invecchiamento nelle
organizzazioni porta inevitabilmente a un progressivo appiattimento di carriera, alla
riduzione delle occasioni di promozione (effetto plateauing), all’esaurimento della spinta
alla crescita, all’acquisizione di routines e declino motivazionale. In particolare si è notato
che declina la motivazione intrinseca con aumento di importanza di fattori estrinseci
(retribuzione, sicurezza, ecc), ridotta soddisfazione lavorativa, ridimensionamento delle
attese e maggiori difficoltà a intraprendere percorsi di formazione. I possibili interventi
possono comunque puntare su movimenti circonflessi per evitare l’eccessiva
routinizzazione del compito lavorativo, oppure su movimenti radiali, che possono
riguardare l’assegnazione di responsabilità nell’affiancamento o nell’addestramento delle
nuove leve.
4) Pianificazione dei processi sostitutivi del personale.

Secondo Dalton e collaboratori, lo studio delle carriere nelle organizzazioni permette una
rielaborazione degli stadi di sviluppo, non per mezzo di fasce d’età, ma in base a concrete attività
organizzative, al sistema di relazioni e alle quote di potere di cui dispone la persona.
Questi stadi sono:
1) I stadio. Caratterizzato da compiti lavorativi parziali, svolti sotto la supervisione di altri, di
tipo routinario. Il lavoratore in questa fase segue le direttive, ha scarsa autonomia, è in
una posizione di dipendenza e apprendimento e una collocazione organizzativa periferica.
In questo stadio il lavoratore acquisisce competenze, modelli di comportamento e
apprende il funzionamento organizzativo, risultando determinante per la costruzione
dell’identità personale e professionale. Qualora tale sviluppo non abbia luogo e l’individuo
stazioni per lungo tempo in tale posizione, si possono generare stati di insoddisfazione e

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sentimento di mancata realizzazione personale, di fallimento professionale, portando anche
a forme di disagio individuale.
2) II stadio. Prevede compiti lavorativi a maggiore contenuto tecnico specialistico con
l’acquisizione di responsabilità di progetti, di processi o di clienti. In questo stadio
l’individuo cerca di costruirsi una reputazione.
3) III stadio. In questo stadio le competenze tecniche accumulate in precedenza possono
essere applicate per la formazione e lo sviluppo di altre risorse umane. L’individuo può
quindi divenire leader di gruppi di lavoro, mentore, supervisore. L’elemento chiave è lo
sviluppo di altri, in cui il proprio personale sviluppo di carriera si esercita e realizza
attraverso la promozione di altri colleghi più giovani.
4) IV stadio. Caratterizzato dall’aumento di potere nel direzionare le scelte organizzative, nel
definire le scelte strategiche di sviluppo, nel selezionare le persone per posizioni chiave.
Comporta l’acquisizione e l’utilizzo di competenze analitiche (interpretare la situazione,
elaborare alternative, prendere decisioni), relazionali (influenzare, negoziare, guidare,
costruire fiducia) ed emotive (capacità di reggere responsabilità, gestione dell’ansia,
evitare sensi di colpa e rimpianti).
L’approfondimento sulla duplice carriera mette in evidenza come la gestione dei percorsi di lavoro
nelle organizzazioni debba necessariamente considerare anche i vincoli generati dalla vita
familiare e il peso dei calendari sociali che regolano lo sviluppo individuale e di coppia. La duplice
carriera è infatti quella situazione in cui due persone conviventi e con una relazione affettiva
hanno entrambe una situazione lavorativa da gestire, entrambi condizionati da quella del partner.
Hall e Hall hanno classificato le coppie in base alla ripartizione interna dell’impegno tra lavoro e
famiglia:
- Gli accomodanti, in cui ogni membro è fortemente impegnato in sfere differenti.
- Gli alleati, in cui entrambi sono impegnati nella stessa sfera senza elevate aspettative
nell’altra.
- Gli avversari, entrambi altamente coinvolti nella sfera lavorativa ma con richieste all’altro
circa un maggior impegno nella sfera domestica.
- Gli acrobati, entrambi altamente coinvolti in entrambe le sfere di vita. Questa è la
situazione di maggiore potenziale stress per il cumulo di richieste dei compiti familiari e
lavorativi e la continua tensione provocata dai tentativi di coniugare i due tipi di esigenze.
La duplice carriera può provocare poi anche asincronismi rispetto ai calendari sociali, che sono
essenzialmente di tre tipi:
A) Organizzativo: in ritardo rispetto ai tempi di evoluzione della carriera in organizzazione.
B) Di coppia: una carriera più in ritardo rispetto a quella del partner.
C) Familiare: in cui l’evoluzione familiare ha tempi fuori norma.
Si è inoltre notato come le femmine abbiano meno accesso ai ruoli di potere e siano più
fortemente condizionate nella loro carriera dai carichi legati ad eventuali maternità e da un
vincolante sistema di aspettative sociali connesse al ruolo di madre e di custode della casa.
Gli interventi promossi dalle organizzazioni per favorire la gestione della duplice carriera sono:
formazione, orario flessibile, lavoro a casa, assistenza nella collocazione occupazionale del
partner. Tuttavia, si evidenzia come essi siano orientati a favorire la presenza continua della

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donna nei luoghi di lavoro senza però di fatto divenire effettivi strumenti di promozione della
carriera femminile.

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NUOVI CONTESTI, NUOVE CARRIERE
Le organizzazioni di lavoro, nell’ultimo ventennio, hanno subito numerose trasformazioni che
hanno a che fare, in particolare, con la riduzione degli organici, l’appiattimento dei livelli
gerarchici, i processi di fusione e delocalizzazione, l’outsourcing, la flessibilizzazione del lavoro e
delle soluzioni organizzative, il lavoro in team e per progetti.
Questi cambiamenti hanno importanti implicazioni: la maggiore incertezza di lavoro produce
cambiamenti nella definizione dello status sociale degli individui, che è determinato soprattutto dal
possesso di risorse e competenze professionali pregiate e richieste dalle organizzazioni di lavoro;
la presenza nel mercato del lavoro di contratti atipici accentua le differenze tra lavoratori tutelati
nei propri diritti (stabilità, tutela sindacale, copertura previdenziale) e lavoratori con bassi livelli di
garanzie (discontinuità contrattuale, scarsa tutela sindacale, ridotte coperture previdenziali e
normative).
Tali trasformazioni sono state accompagnate anche da cambiamenti significativi nel contratto
psicologico tra individuo e organizzazione: da un sistema di promesse basato sullo scambio
fedeltà/sicurezza, si è passati allo scambio transazionale, di più breve termine, dove sono in gioco
denaro, flessibilità e competenze.
Le organizzazioni comunque tendono sempre meno a ad assumersi la responsabilità di prevedere
lunghi periodi di permanenza dei dipendenti al loro interno. Le pratiche di gestione della carriera,
se adottate, vengono riservate a core workers strategici, lasciando dunque nelle mani dei singoli
individui la responsabilità di costruirsela. Le carriere dunque, tendono a svilupparsi sempre più in
un contesto connotato da temporaneità, elevata mobilità interorganizzativa, debolezza del legame
tra individuo e organizzazione. Da circa 10 anni infatti si parla di bounderyless career, cioè di una
carriera definita sempre più da un percorso autodeterminato dell’individuo e che si sviluppa in
modo non lineare tra più organizzazioni e secondo un copione imprevedibile e volubile.
Per chiarire il senso della carriera senza confini si sono approfonditi tre concetti chiave:
1) Versatilità. La carriera è gestita in modo proattivo dall’individuo, prevede elevata mobilità,
si basa sul principio della ricerca di libertà, della coerenza coi propri talenti, della
soddisfazione professionale e utilizza come criterio la gratificazione psicologica e il
benessere. Secondo Weick può potenzialmente portare l’individuo a prendere nuove
direzioni. La versatilità prevede un individuo disponibile all’apprendimento continuo,
costantemente aperto a nuove possibilità, e che affronta un’avventura professionale
esposta a continui micro cicli di circa 3-5 anni. I frequenti cambiamenti di colleghi, compiti,
supervisori e gruppi richiedono elevata flessibilità e capacità di dare senso e costanza alla
propria azione, ovvero adattabilità e identità. Un altro requisito è l’intraprendenza, ovvero
la capacità auto imprenditoriale di definire le scelte, valorizzare il proprio potenziale e
saper decidere anche assumendosi i rischi delle proprie azioni.
2) Networking. Lo sviluppo di carriera avviene grazie a una elevata mobilità
interorganizzativa con interazioni intensamente dinamiche. Si basa sulla costruzione di un
solido network fuori dai confini della struttura di appartenenza che favorisce la creazione di
nuove opportunità.
3) Enactment. La carriera è attivata dall’individuo con le sue azioni e le sue scelte.
Attraverso la carriera l’individuo costruisce e autodetermina parte del contesto in cui è
chiamato a intervenire. Questo può avvenire soprattutto in organizzazioni che hanno una
struttura debole, ovvero meno prescrittive, che lasciano più spazio all’azione individuale,
sono meno vincolanti. Gli indicatori per individuare debolezza organizzativa sono: gerarchie
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meno solide e autorità meno rigida, che riducono le distanze tra le persone; organizzazione
del lavoro in team, che favorisce interdipendenza, scambio di saperi e contaminazione delle
esperienze; lavori per progetto, in cui si ripartiscono compiti, si costruiscono gruppi, si
stabiliscono obiettivi, scadenze, premi.
La carriera senza confini pone al centro la questione delle competenze. Il progredire della carriera
è sempre più caratterizzato dalla progressiva acquisizione di competenze specialistiche, trasversali
e di carriera e, allo stesso tempo, le organizzazioni incorporano nelle proprie pratiche e modelli di
funzionamento le competenze possedute dai propri membri.
All’inizio della carriera le competenze strategiche sembrano essere quelle relazionali (saper gestire
rapporti interpersonali, saper cooperare), insieme a motivazione e perseveranza, saper osservare
per apprendere le regole di funzionamento dei gruppi, saper giocare il ruolo del nuovo arrivato,
ricercare fonti di supporto e referenti di fiducia.
Quando si passa a dover consolidare la propria posizione in azienda, le competenze chiave
sembrano essere quelle tecnico specialistiche, la conoscenza e assimilazione della cultura
organizzativa, l’affidabilità e l’impegno.
Nella costruzione della propria reputazione sono importanti la qualità del proprio lavoro,
l’innovazione, l’ulteriore specializzazione, e il networking.
Un costrutto multidimensionale che cerca di riassumere le doti e le qualità del lavoratore di fronte
alla carriera senza confini è quello di occupabilità. Per occupabilità si intende una serie di
caratteristiche personali che permettono all’individuo di incrementare le sue opportunità
occupazionali e professionali e di gestire con successo la propria carriera. Queste caratteristiche
sono racchiuse in tre dimensioni:
A) L’identità di carriera. “chi e cosa voglio diventare”, è una sorta di bussola per capire e
organizzare le esperienze passate e orientare il futuro, agendo anche da fattore
motivazionale.
B) La capacità di adattamento. In termini di occupabilità sono rilevanti aspetti come
l’ottimismo, la propensione ad apprendere, la ricerca di feedbacks, l’apertura al
cambiamento, l’accettazione delle sfide, locus of control interno, elevata autoefficacia
percepita.
C) Il capitale umano e sociale. Con capitale sociale si intende una costruzione di una rete
estesa e mirata di relazioni sociali per acquisire informazioni, ottenere accesso a nuovi
contesti, esercitare influenza. Con capitale umano invece si indicano quelle risorse
individuali accumulate durante le varie esperienze scolastiche e lavorative (titoli,
esperienza, qualifiche, ecc.).
Dal punto di vista dell’organizzazione, le competenze distintive di un’azienda sono quelle frutto
dell’apprendimento individuale e organizzativo. Non c’è più una pianificazione razionale delle
carriere, soprattutto laddove i confini organizzativi sono meno rigidi e la struttura è debole. Lo
sviluppo delle carriere va inteso quindi come mantenimento, sviluppo e diffusione delle
competenze di successo presenti nell’organizzazione, facendo decadere la logica delle carriere
verticali e incentivando incrementi di retribuzione di fronte ad un miglioramento del proprio
bagaglio di competenze.

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LA GESTIONE DELLE CARRIERE
Una classificazione delle azioni di gestione delle carriere distingue interventi di sostegno
individuale (career guidance e career counseling), gestite solitamente da servizi pubblici o
consulenti privati, e attività progettate e realizzate da parte delle organizzazioni (career
management) promosse solitamente dagli uffici di gestione delle risorse umane di grandi imprese.
Le attività di orientamento si rivolgono a diverse tipologie di utenza (dai giovani, durante il
percorso scolastico, a persone in situazioni transitorie, a specifiche figure in difficoltà
occupazionale). Hanno finalità informative, educative e mirano alla maggiore consapevolezza di sé
e conoscenza delle opportunità occupazionali del soggetto. In dettaglio:
- Prestano maggiore attenzione all’intera esperienza dell’individuo, e non alla sola sfera
professionale.
- Non si focalizzano solo su alcuni momenti topici di scelta (es. primo impiego) ma cercano di
aiutare l’individuo nella definizione di un percorso di vita più ampio.
- Puntano a dare maggiore cognizione delle alternative possibili offerte dal contesto
(consapevolezza professionale) e sulle proprie caratteristiche (consapevolezza di sé).
- Cercano di produrre cambiamento comportamentali e di atteggiamento per cambiare
orientamenti disfunzionali, stereotipi e rappresentazioni ingenue del lavoro e del mercato
del lavoro.
Un ambito di intervento particolarmente sviluppato è costituito dall’educazione alle decisioni di
carriera. Esistono dei presupposti di base su come le persone prendono decisioni di carriera:
• Gli individui non sono in grado di acquisire e trattare tutte le informazioni salienti ma
tendono ad utilizzare scorciatoie di pensiero (euristiche).
• Le scelte in questo senso diventano accettabili e per difesa si innescano processi di
razionalizzazione e giustificazione a posteriori.
• La scelta di una carriera induce a trascurare le opportunità e i benefici offerti dalle
alternative scartate.
• Come parametri per la scelta vengono considerati coerenza e razionalità, trascurando ad
esempio esiti della decisione e benefici acquisiti.
• Vi è comunque un numero pressoché infinito di fattori che possono influenzare le decisioni
di carriera e il peso di tali fattori ha un’elevata variabilità tra individui, contesti e tempi.
• Vi sono vari stili di decisione (logico, esitante, emotivo, intuitivo, compiacente, irriflessivo).
• Le difficoltà decisionali, l’incertezza, l’ansia e la tensione connessa col processo di decisione
sono diffuse in diversi strati della popolazione, anche se alcuni soggetti risultano
particolarmente esposti.
A questo proposito sono stati elaborati numerosi strumenti di ricerca e di diagnosi, quali
questionari, test e inventari. Tra i principali strumenti: il Career Decision Difficulties Questionnaire
e il Career Decision-Making Self-Efficacy Scale.

La consulenza di carriera (career counseling) si basa sulla costruzione di una relazione di aiuto tra
consulente e cliente attraverso l’ascolto e il colloquio non direttivo. Lo scopo è quello di produrre
cambiamenti individuali su una serie di dimensioni psicologiche ritenute rilevanti: modifiche nello
stile comportamentale, nel sistema di credenze, nella concezione e nella presentazione di sé
stessi, nel modo di affrontare le difficoltà, nello stile decisionale, nelle relazioni emotive e
affettive, nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente circostante. La consulenza di carriera può
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costituire la risposta a problematiche intrapsichiche legate a difficoltà cognitive ed emotive del
soggetto, oppure a problemi legati al rapporto dell’individuo con il contesto occupazionale
(disadattamento nel proprio impiego, stress derivante da relazioni difficili di lavoro,
insoddisfazione lavorativa).
L’intervento, pur partendo da una focalizzazione sulle problematiche di carriera, può, in corso
d’opera, toccare altre sfere di vita critiche per il soggetto e sfociare in cambiamenti e
ristrutturazioni identitarie anche al di fuori dell’ambito occupazionale. Ciò implica un’interazione
col cliente non direttiva e poco strutturata, con carattere esplorativo seguendo un approccio
clinico (psicoterapia). Durante il ciclo di colloqui sono fondamentali le fasi di costruzione della
relazione e sviluppo dell’empatia, e dell’alleanza terapeutica, ovvero una speciale relazione
interpersonale orientata anche alla diagnosi clinica progressivamente approfondita e verificata. In
tali casi però, il consulente dovrebbe essere affiancato da esperti di psicoterapia.
Recentemente si è sviluppato un approccio narrativo alla consulenza di carriera che si focalizza
sulla ricostruzione da parte del soggetto della propria storia professionale. Il punto di partenza
teorico è costituito dall’idea che la carriera rappresenta il prodotto unico e irripetibile
dell’interazione tra un individuo e il suo contesto sociale di riferimento lungo un processo di
sviluppo continuo. Vita vissuta e vita parlata sono indissolubili e si costruiscono in una continua
interazione. In tal senso assume quindi un ruolo centrale il modo attraverso il quale il soggetto
stesso costruisce e attribuisce significato alla propria storia. Il modo di parlare del proprio passato,
il linguaggio utilizzato per narrare e dare unitarietà all’esperienza e all’intreccio degli eventi, gli
episodi e gli snodi considerati critici dalla persona diventano elementi di una trama, la cui
costruzione è oggetto di confronto nelle attività di consulenza. Qui consulente e cliente cooperano
per creare i significati della storia del soggetto, attraverso un dialogo aperto e senza vincoli.
L’obiettivo della consulenza sarà quindi di aiutare la persona a costruire narrazioni di carriera via
via più significative: quanto più queste sono ricche, coerenti, plausibili, tanto più costituiscono il
segnale che l’individuo ha controllo sulla propria situazione. Inoltre la ricchezza della narrazione
passata può essere interpretata come sintomo di una positiva capacità di progettazione della
carriera futura.

Gli interventi di career management realizzati all’interno delle organizzazioni di lavoro puntano a
favorire lo sviluppo delle carriere dei dipendenti in armonia con le esigenze e le strategie aziendali.
Essi possono avere obiettivi di diversa natura: informativi, formativi, diagnostici.
A livello informativo ci sono:
ƒ Notifica: segnalazione interna sulle posizioni organizzative vacanti prima di ricercare
risorse all’esterno.
ƒ Percorsi: indicazioni sui percorsi di carriera dentro l’organizzazione con segnalazione delle
competenze necessarie per accedere alle varie posizioni, i requisiti richiesti, i benefici e gli
impegni connessi con le varie carriere. Possono rispondere a diversi criteri quali
l’esperienza passata e le caratteristiche di chi ricopre i vari incarichi (natura storica), le
dinamiche evolutive, le politiche di sviluppo dell’organizzazione e le sue strategie di
adattamento al contesto (natura organizzativa), le doti dei singoli lavoratori (natura
comportamentale).
ƒ Opportunità: informazioni sulle occasioni di sviluppo professionale (formazione, sviluppo
competenze) presenti dentro e fuori l’organizzazione.
A livello formativo invece:

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o Workshop: occasioni di confronto interne all’organizzazione per discutere opportunità di
carriera di singoli e gruppi, per individuare potenzialità, per descrivere politiche di sviluppo
del personale.
o Mentoring: i dipendenti più giovani sono assegnati a personale esperto che si prende cura
della loro crescita professionale e tutela il percorso di carriera.
o Rotazione: programmi di rotazione delle mansioni e di nuove assegnazioni di compiti
favoriscono la flessibilità del personale e la loro assegnazione futura a nuovi ruoli.
A livello diagnostico infine:
¾ Testing: interventi di analisi, misurazione e valutazione delle caratteristiche individuali
(anche attraverso strumenti informatizzati) per fornire indicazioni di carriera.
¾ Centri di sviluppo: situazioni articolate in cui si valutano diverse caratteristiche dei
dipendenti (doti, competenze, punti di debolezza, stile di comportamento) per stimare il
potenziale sviluppo di carriera. I partecipanti portano a termine una serie di prove e di
esercizi focalizzati su specifiche abilità e competenze ritenute fondamentali per svolgere
alcuni compiti nell’organizzazione.
¾ Counseling: consulenza individuale, svolta da manager o da personale specializzato per la
diagnosi individuale e la costruzione di un progetto di carriera nell’organizzazione.

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