Totale Lavoro
Totale Lavoro
Totale Lavoro
Le fonti di un tipo di conoscenza basata sulle evidenze possono essere svariate: ricerche empiriche,
esperienze dei professionisti, dati relativi al contesto specifico, prospettive delle persone coinvolte,
eccetera. Un’altra modalità conoscitiva, che può correlarsi a quella appena citata, è la serendipità,
che presuppone intuizione, flessibilità e apertura all’esperienza. La scoperta scientifica può certo
essere un prodotto accidentale, ma è accompagnata da intraprendenza, coraggio, curiosità e
immaginazione. Un esempio dell’importanza della serendipità nella psicologia del lavoro è quello
degli studi sul campo condotti da Elton Mayo, che hanno contribuito a mettere in luce il ruolo delle
relazioni umane nei luoghi di lavoro, MA senza che questo fosse previsto nelle ipotesi di ricerca di
Mayo, che riguardavano invece l’importanza delle pause e degli incentivi sulla produttività
emerse che la nascita e crescita di un senso di gruppo incrementava la produttività.
La psicologia del lavoro, come abbiamo in parte visto, è solitamente considerata come una
disciplina con una forte valenza applicativa, in quanto presta notevole attenzione alla soluzione dei
problemi concreti degli individui e delle organizzazioni. La nascita del Journal of Applied
Psychology nel 1917 segnava un momento fondamentale nella costituzione delle psicologie
applicate (psico lavoro, psico pubblicità, marketing, ecc). Questa valenza applicativa fu in seguito
criticata perché ritenuta troppo orientata alla soluzione dei problemi dell’industria e superficiale
riguardo la psicologia dei dipendenti necessità di un modo diverso, più attento alle esigenze dei
lavoratori, di fare psicologia applicata. Le critiche hanno stimolato questa disciplina a superare i
limiti evidenziati, e oggi gli psicologi del lavoro possono contribuire a formare organizzazioni più
efficienti (qualità beni e servizi, innovazione, sensibilità verso i clienti, qualità vita interna
all’organizzazione), attente al benessere delle persone (qualità vita lavorativa dei dipendenti
occupational health psicology) e alle diversità e ai cambiamenti (diversità di genere, età, etnia,
mansione diversity management). In quarto luogo, la gestione della progressiva dissoluzione
dell’unità del lavoro nel tempo e nello spazio costituisce un’altra frontiera per la psicologia del
lavoro attività con minori prescrizioni temporali e che può essere svolta anche a distanza, ad es
lavoro online svolto da team virtuali.
Rapporto tra psicologia del lavoro e altre psicologie: nel contesto anglosassone era opinione
comune che la psicologia del lavoro non rappresentasse un ambito di studio a sé stante, ma che
fosse costituita dall’applicazione di principi e teorie psicologiche ai contesti lavorativi (quindi solo
come un campo di applicazione). Ricerche più specifiche e più attuali hanno portato gli stessi autori
ad affermare con convinzione che la psicologia del lavoro ha guadagnato una posizione
indipendente, tutta sua. La psicologia di base produce saperi di carattere generale (psico sociale,
cognitiva, della personalità, eccetera) che possono essere utilizzati in contesti specifici dalle
psicologie applicate. Questi saperi vengono quindi applicati e messi alla prova in situazioni reali
dove se ne verifica la validità. In tal modo le psicologie di base possono ricevere informazioni di
ritorno dalle psicologie applicate di grande utilità per migliorare i modelli teorici circuito
virtuoso.
Psicologia di base psicologia applicata (ad es del lavoro) problemi pratici; concludendo, la
psicologia del lavoro è più rapida a tradurre teorie in intervento, producendo così conoscenza
originale e meritandosi perciò il suo spazio a sé stante dalla psico di base.
Psicologia del lavoro e altri ambiti scientifici: la psico del lavoro opera in stretto contatto con vari
altri ambiti scientifici e discipline, quali quelle sociologiche, giuridiche ed economiche. Ad
esempio, gli studi sul mobbing (esperienze di maltrattamento nei luoghi di lavoro) comprendono
anche competenze giuridiche. Anche la medicina del lavoro è un riferimento per chi si occupa di
stress e benessere nei luoghi lavorativi interscambio continuo tra le discipline. Dal punto di vista
professionale, quando si fa selezione occorre conoscere le leggi sulla privacy e sull’uguaglianza di
trattamento.
Si possono identificare almeno due modi di fare psicologia del lavoro, ai quali corrispondono due
profili professionali:
- Fare ricerca: produrre nuove conoscenze, elaborare teorie, verificare ipotesi partendo da
problemi reali e innovando. A ciò si dedicano i ricercatori inquadrati nell’ambito
accademico e nei centri di ricerca specializzati.
- Agire da professionisti: laureati nei corsi magistrali di psicologia del lavoro che o come
dipendenti di aziende o come liberi professionisti offrono consulenze nelle aree della
formazione, dell’orientamento professionale, della selezione, ecc a clienti che chiedono la
soluzione di un problema.
Insomma, conoscenza prodotta a livello accademico VS conoscenza che i professionisti
“vendono”
Ricercatori e professionisti dovrebbero integrarsi e creare un rapporto di interscambio; in realtà vi è
un divario che separa questi due mondi. Nonostante ciò, la psicologia del lavoro vanta oggi
importanti trend espansivi ed è organizzata in associazioni internazionali che includono sia la
componente accademica che quella professionale.
2. L’articolazione della disciplina
Cinque livelli di analisi adottati negli studi e negli interventi di psicologia del lavoro:
- Intrasoggettivo: processi interni al soggetto, consapevoli alla persona, che ne producono il
comportamento. Secondo tale modello le persone conducono un costante monitoraggio e
valutazione della propria prestazione e la regolano in funzione del raggiungimento di
obiettivi e risultati.
- Soggetto-compito: dall’individuo al compito. Interazione tra persona e compito lavorativo.
E’ il livello di analisi più diffuso nella psicologia del lavoro. Come le persone organizzano il
proprio lavoro, creandosi mappe concettuali e schemi mentali per guidare la loro azione nel
raggiungere i propri scopi.
- Di gruppo: attenzione posta al gruppo, al team.
- Organizzativo: fa riferimento all’organizzazione, ai suoi valori e assunti impliciti che ne
regolano la vita interna, alla sua mission e cultura aziendale.
- Sociale: macroprocessi socioeconomici e culturali che regolano una società. Gli
atteggiamenti lavorativi dell’individuo, in questo caso, vengono considerati come il prodotto
di processi economici, culturali e normativi che caratterizzano diverse fasi storiche e
l’appartenenza a diversi gruppi sociali.
Risulta a questo punto evidente che la psicologia del lavoro si occupa oggi di una vasta gamma di
temi; per cercare di dare ordine e distinguere diversi ambiti di studio e di intervento sono state
create tre subdiscipline all’interno dell’area scientifica denominata psicologia del lavoro e delle
organizzazioni:
1. La psicologia del lavoro, che si occupa del lavoratore che persegue scopi, che apprende,
che prova una serie di esperienze psicologiche sul lavoro.
2. La psicologia delle risorse umane, che è più orientata ad affrontare il rapporto talvolta
problematico tra caratteristiche dell’individuo e richieste organizzative.
3. La psicologia dell’organizzazione: riguarda lo studio di entità sovra individuali aggregate,
come i gruppi e le organizzazioni nel loro insieme, per guidarne il cambiamento
organizzativo.
Temi dominanti nella psico del lavoro: metodologia (come misurare il fenomeno e costruzione test
efficaci), motivazione al lavoro, leadership e formazione.
3. Cenni storici
Le origini della psicologia del lavoro hanno le proprie radici in Wundt (psicologo). E’ alla sua
scuola che si sono formate due figure importanti per questa disciplina:
- Munsterberg: nel 1912 coniò l’espressione psicologia industriale e promosse la disciplina
applicandola a diversi contesti della vita sociale. Fu il precursore delle moderne tecniche di
selezione del personale.
- McKeen Cattell: differenze individuali come determinanti per il comportamento umano.
Creò i primi protocolli per la misurazione delle capacità e abilità individuali (da lui stesso
chiamati test mentali) e li commercializzò.
Posero le basi.
Le prime applicazioni in campo militare costruzione e somministrazione di test
psicoattitudinali per la selezione e la formazione delle truppe americane da inviare in guerra
durante il primo conflitto mondiale (Army Test, una versione anche per analfabeti). Tali test si
mostrarono estremamente pratici e affidabili. Al termine del conflitto, la stessa logica di
selezione basata sulle abilità mentali fu adottata anche nella grande industria per la selezione dei
lavoratori.
Il taylorismo Taylor è considerato il padre dello scientific management, ovvero di un
modello razionale di selezione del personale, di analisi dei tempi e dei movimenti di esecuzione
dei compiti e di un sistema retributivo premiale a cottimo. Questo nacque per necessità, in
risposta all’industrializzazione di massa di fine Ottocento. Il modello mira a semplificare i
compiti scomponendoli in gesti elementari, a ridurre i tempi e a motivare le persone in base al
principio del premio di produzione (più produci e più ti pago). Ciò è il risultato di una visione
della psicologia dell’essere umano semplicistica, basata su nozioni di senso comune; egli aveva
posto al centro il “fattore umano” senza avere gli strumenti conoscitivi per capirne la
complessità. Inoltre Taylor propone un modello generalizzato di organizzazione del lavoro
basato sui seguenti principi:
One best way: scomporre il ciclo di lavoro di una mansione in singoli elementi da
ricombinare e sperimentare in modo da trovare la soluzione più economica per svolgere il
compito.
Uomo giusto al posto giusto: selezionare il lavoratore con le caratteristiche psicofisiche più
idonee per svolgere il compito.
Training analitico: addestrare il lavoratore a svolgere il compito in modo preciso,
dettagliato.
Paghe differenziate: retribuire le persone in modo da premiarle in funzione della complessità
dei compiti e della qualità\quantità della performance.
Altre critiche al modello tayloristico arrivarono dai sindacati, con accuse di sfruttamento, aumento
dei ritmi di lavoro, alienazione, eccetera.
Critica psicologica e limiti dello scientific management costi psicologici subiti dagli individui:
Mancanza di significato di un compito estremamente suddiviso;
Ripetitività dei movimenti;
Ritmi regolati dalla macchina;
Tempi forzati dal cottimo;
Mancanza di autonomia;
Struttura gerarchica fortemente autoritaria;
Riduzione relazioni umane sul ruolo di lavoro.
Un primo contributo critico in merito è da attribuire ad Elton George Mayo. Egli scoprì che vi erano
alcuni aspetti sociali del lavoro che funzionavano da determinanti della qualità e quantità di pezzi
prodotti osserva un gruppo di operai al lavoro; il gruppo aveva scelto un leader riconosciuto e al
suo interno vigeva una regola: produrre sempre leggermente al di sotto del livello previsto dal
management. Chi non si conformava subiva ripercussioni sociali e ambientali. Mayo così mise in
evidenza che talvolta vi sono fattori sociali (in questo caso norme di gruppo) in contrasto con
quanto stabilito dalla direzione. Grazie a questa e ad altre esperienze simili, Mayo definì una serie
di principi che guidano il comportamento umano nei luoghi di lavoro:
- Le persone sul lavoro sono guidate anche da bisogni di natura sociale;
- Il rapporto con altri al lavoro favorisce la costruzione di una identità personale e sociale;
- Uno dei significati psicologici del lavoro è da ricercare nelle relazioni sociali che si creano
sul posto di lavoro;
- I lavoratori esprimono anche un bisogno di essere accettati e di ricevere riconoscimenti dagli
altri.
Da tali principi derivano anche una serie di conseguenze nelle strategie di gestione del personale
che sono alla base del movimento delle relazioni umane:
- Creare sistemi di incentivazione di gruppi invece che individuali;
- Lasciare una maggiore responsabilità ai gruppi di lavoro nella gestione dei processi
produttivi;
- La soddisfazione di bisogni emotivi del lavoratore può condurre a un maggior senso di
appartenenza all’azienda e ad una più intensa lealtà verso di essa.
Per queste intuizioni Mayo è comunemente riconosciuto come il fondatore del movimento delle
relazioni umane, grazie al quale si sono posti al centro della ricerca e dell’intervento psicologico
nei luoghi di lavoro gli atteggiamenti, i desideri e le emozioni dei lavoratori. Le ricerche di Mayo
sono state ampiamente messe in discussione per la loro debolezza metodologica (numero ridotto di
soggetti). I suoi metodi sono stati duramente criticati, ma nonostante ciò il contributo pioneristico di
Mayo risulta fondamentale per aver posto all’attenzione del management la natura sociale del
lavoro umano.
La ricostruzione della complessità psicologica del lavoro umano, a scapito delle semplificazioni
dello scientific management, continuò anche nel secondo dopoguerra a opera del Tavistock Institute
of Human Relations di Londra, che subì anche l’influenza dello psicologo sociale Lewin. L’istituto
portò avanti una serie di esperienze di ricerca e di interventi a carattere interdisciplinare ad es
quello nelle miniere di carbone: il sistema tradizionale di esportazione del carbone (“a braccio”)
affidava a piccoli gruppi diverse mansioni (scavo, carico, trasporto carbone). Le squadre erano
autonome, cementate affettivamente dall’affrontare insieme un lavoro duro in condizioni pericolose
e ansiogene. L’introduzione di nuovi metodi più avanzati semplificava il lavoro dei minatori
rendendolo meno faticoso e nella teoria più produttivo. Ma dalla loro installazione in realtà la
produttività era diminuita ed erano aumentati assenze e infortuni: queste condizioni richiesero
l’intervento del Tavistock. Questo portò a una ricomposizione dei compiti attraverso gruppi auto
regolati. Ciò condusse ad un nuovo aumento di produttività e diminuzione dell’assenteismo. Questo
è un esempio che definisce l’importanza di questi studi; grazie ad essi infatti si sviluppò un modello
di analisi sociotecnica delle organizzazioni di lavoro. L’organizzazione deve essere esaminata come
un sistema aperto nel quale confluiscono diversi tipi di risorse (umane, tecnologiche, finanziarie,
materiali), si attivano diversi processi trasformativi e si esportano all’esterno beni, servizi e prodotti
utili agli altri. L’organizzazione del lavoro umano deve quindi essere esaminata come un elemento
che interagisce in modo costante con gli altri fattori produttivi, in particolare con il sistema tecnico.
Allo stesso tempo occorre prestare sempre attenzione al “fattore umano”, cioè ai bisogni, emozioni
e atteggiamenti dei lavoratori. Concludendo, l’analisi sociotecnica prevede la ricerca di un
equilibrio tra esigenze produttive, apparato tecnologico e caratteristiche dei lavoratori.
Si può notare come anche in Italia, agli inizi del Novecento, vi sia stato uno sviluppo originale della
psicotecnica applicata a diversi ambiti di intervento: scuola, industria, esercito. Nel 1917 vennero
organizzati da padre Gemelli i primi servizi di selezione per il Regio Esercito Italiano, che
riguardavano le attitudini dei piloti dell’aviazione impegnati nel conflitto. In seguito, sotto il regime
fascista, vi fu terreno molto fertile per lo sviluppo e il riconoscimento della psicologia e della
psicotecnica: programma di riforme sociali, Carta del lavoro, Ente nazionale per l’organizzazione
scientifica del lavoro, nascita centri di studio, attività congressuale, ecc. Tuttavia il grande sforzo
profuso dai ricercatori, sostenuti dagli organi politici, per promuovere i metodi della psicotecnica
anche nel mondo industriale privato diede risultati piuttosto modesti. Secondo alcune voci critiche
tra cui quella di Sapelli, la psicotecnica costituiva un tentativo di controllo e razionalizzazione della
vita produttiva e della società civile da parte del nuovo ceto politico emergente di quegli anni. I
tentativi di introduzione nel mondo lavorativo furono generalmente percepiti dagli imprenditori
come una ingerenza negli affari aziendali.
Nel 1943 Adriano Olivetti chiede a Cesare Musatti, suo ospite come rifugiato politico, di progettare
un centro di psicologia innovativo rispetto a quelli di psicotecnica già presenti in Italia. Musatti era
un noto professore di Psicologia. La diversità menzionata doveva consistere nella presenza di
psicologi in fabbrica con l’obiettivo di migliorare sia l’organizzazione e la gestione aziendale che le
condizioni di lavoro nelle fabbriche, dando voce agli operai stessi. Nasce così il Centro di
psicologia, che si caratterizza per una metodologia che integra l’approccio clinico, l’osservazione e
l’indagine qualitativa e quantitativa. Esso riesce a realizzare un programma di iniziative che
pongono le basi per una originale presenza psicologica in azienda:
Per quanto riguarda la psicologia del lavoro, l’azienda aveva deciso di passare dalla linea
tradizionale, con tempi lunghi, a una nuova linea più in movimento nella costruzione delle
macchine da scrivere. Gli psicologi, tramite colloqui, evidenziarono l’impoverimento dei
gesti, insoddisfazione e ansia nelle prestazioni, aumento degli scarti. Perciò si arrivò a un
blocco della linea in movimento e ad un ritorno a quella tradizionale, più lenta ma meno
dannosa per gli operai.
Rispetto alla psicologia dell’organizzazione ricorderemo la collaborazione alla nascita
delle UMI (Unità di montaggio integrate) si tratta di costituire piccoli gruppi di lavoro
(10-30 persone) che operano in modo autonomo in una specifica area dello stabilimento e si
assumono la responsabilità non solo dell’assemblaggio, ma anche del collaudo, della
diagnosi di eventuali difetti e anche delle riparazioni. I tempi lavorativi sono concordati
all’interno del gruppo, come le modalità di rotazione da parte di tutti nei diversi posti.
L’esperimento va verso il superamento di una impostazione tayloristica, ha un successo
notevole sia sul piano della soddisfazione dei lavoratori che dell’efficienza e produttività, e
infine si diffonde in quasi tutti gli stabilimenti Olivetti e diviene un modello a livello
europeo.
Nel modo di svolgere la psicologia delle risorse umane si dimostra con chiarezza l’intento
di affermare il valore della psicologia e la sua capacità di interloquire alla pari con altre
figure professionali e con le diverse funzioni aziendali. Un primo esempio in merito riguarda
la correzione del modello di selezione del personale basato su test psicoattitudinali con
l’introduzione sistematica dei colloqui psicologici, mirati a conoscere le persone, i loro
atteggiamenti e aspettative, e sono la base per successivi approfondimenti. Un secondo
esempio riguarda alcune iniziative che costituiscono un precedente per ciò che oggi viene
chiamato welfare aziendale, tra cui il Centro di riqualificazione operai in questo caso
lavoratori con problemi e disagi psicologici o vittime di infortuni sono seguiti e riabilitati
con la supervisione degli psicologi, e infine riammessi.
In generale, si possono riconoscere due importanti funzioni delle condotte non tecniche:
Rendere più fluide le relazioni sociali esistenti rafforzandole e diffondendole (altruismo,
cortesia, ecc).
Condotte proattive nell’organizzazione, ovvero le condotte che esprimono l’intenzione
personale di farsi carico dei problemi che riguardano la propria organizzazione.
Le nuove dinamiche del lavoro e del mercato, basate su flessibilità e precarietà, hanno fatto
emergere l’esigenza di considerare una ulteriore dimensione della prestazione non considerata dal
modello di Campbell: la prestazione adattiva (adaptive performance). Con tale costrutto si
intende riconoscere come il lavoratore risponda alle richieste dei compiti e dei ruoli anche sulla
base della sua versatilità e tolleranza all’incertezza. Elementi tipici di questa performance:
Gestire emergenze e situazioni di crisi
Gestire situazioni stressanti
Risolvere problemi creativamente
Imparare di continuo nuovi compiti, l’uso di tecnologie e procedure tecniche
Affrontare situazioni lavorative incerte e impreviste
Dimostrare adattabilità interpersonale
Dimostrare adattabilità culturale e valoriale
Dimostrare adattabilità alle diverse situazioni fisico-ambientali
La committenza
Obiettivo selezionatore → NON è quello di individuare il candidato con il più alto livello di
competenza tecnica in assoluto, ma quello di instaurare con l’organizzazione il più alto
potenziale di successo.
Job analysis
job analysis → prima attività del selezionatore, è l’analisi della caratteristiche della posizione
(job description), sia la definizione delle competenze necessarie per operare nella posizione
(person specification).
È necessario pervenire ad un titolo della posizione e una sua sintetica descrizione centrata sulle
finalità che la contraddistinguono.
È necessario evidenziare la posizione in organigramma.
È utile verificare: struttura organizzativa, numero di colleghi, relazioni gerarchiche, età ed
anzianità di servizio del personale, i livelli di inquadramento, il modello di organizzazione del
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lavoro, le responsabilità attribuite e lo stile di leadership → tutto questo è utile per capire le
caratteristiche comportamentali che il candidato deve avere.
Bisogna rilevare della posizione, inoltre: i principali interfacciamenti con le altre funzioni
aziendali. Il tipo di attività svolte. Gli strumenti necessari per svolgere queste attività.
JOB PROFILE
Job profile → profilo professionale del candidato ideale. Significa coniugare la job analysis con
le conoscenze del mercato del lavoro del selezionatore.
Mercato del lavoro → conoscere: varie figure professionali nei vari settori merceologici,
percorsi scolastici, desiderabilità e immagine dell’azienda, caratteristiche salienti dei contratti
di lavoro,
Job profile → comprende range d’età più appropriato, limiti geografici entro cui la persona
dovrà risiedere, titolo di studio più appropriato, durata dell’esperienza professionale richiesta,
conoscenze – capacità - caratteristiche comportamentali, inquadramento-retribuzione. I tempi
disponibile per l’inserimento incidono sul processo di selezione.
Il reclutamento e la convocazione
Può essere attuato perché in un dato momento è necessario procedere ad una nuova
assunzione oppure per aumentare il numero di curricula di interesse nel database.
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Reclutamento
Canali di reclutamento
Per procedere ad una azione di reclutamento bisogna conoscere: il numero delle persone da
assumere, le caratteristiche del job profile, il carattere e la durata della formazione che dovrà
essere proposta ai neo assunti, la data e le modalità di assunzione previste, il budget destinato
a reclutamento a selezione.
- Canali di reclutamento:
interni → comunicazione diretta ai dipendenti dell’organizzazione, i dipendenti possono
autocandidarsi (job posting). Oppure ricerca nel database interno all’azienda.
Quando il selezionatore interroga il database aziendale in cui sono archiviati i curricula inviati
dai candidati, oppure si rivolge direttamente al personale che già lavora in organizzazione.
Il database viene organizzato per figura professionale, da dove il selezionatore estrarrà i
curricula più vicini alla posizione richiesti. Mentre il job posting richiede maggiori cautele → è
un vero e proprio mercato del lavoro interno a servizio dei processi di mobilità interna → può
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- Fasi: elaborare il job profile → contattare l’interlocutore appropriato → ricezione dei curricula.
Quando l’azienda procede da sola usa e-recruitment e inserzioni su giornali, comporta alcune
considerazioni: volontà di rendere pubblica la ricerca, si ottengono ingenti quantità di curricula,
costo limitato oppure oneroso a secondo dell’ampiezza dell’audience del mezzo.
L’inserzione può avvenire via web con costi inferiori, esistono diversi portali appositi. esistono
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Screening curriculare
Olivero, suddivide in: positivi da convocare, negativi da non convocare, di seconda scelta.
Convocazione
La fase di reclutamento si conclude con la convocazione dei candidati che hanno superato lo
screening che parteciperanno alla fase successiva di selezione.
L’avviso viene dato per telefono da parte dell’ufficio di segreteria (il Prof pensa sia un errore
perché dovrebbe farle il selezionatore: si potrebbero perdere persone potenzialmente idonee e
si potrebbero sapere ulteriori informazioni sui candidati oltre che si esprime, linguaggio,
gestione della relazione).
A volte ci sono test prima del colloquio, lo scopo è ridurre ulteriormente la rosa dei candidati,
oppure per approfondire la conoscenza dei candidati.
Il percorso di selezione e i suoi strumenti devono essere progettati in funzione degli obiettivi
conoscitivi del selezionatore.
IL COLLOQUIO
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Dinamiche interpersonali
Il candidato cerca di apparire il migliore per quella posizione, mette in atto delle strategie di
impression management.
Ingratiation → insieme di comportamenti verbali e non verbali messi in atto dal candidato per
piacere al selezionatore. Verbali → acconsentire alle affermazioni del selezionatore. Non verbali
→ annuire con il capo, mantenere contatto visivo.
Deception → quando tentano di nascondere gli aspetti della propria personalità e CV ritenuti
negativi.
Controstrategie del selezionatore, per Ingratiation → fare argomentare bene il pdv del
candidato che è in linea con il suo, in modo da valutare grado di coerenza interna e
persuasività. Per la deception → orientare il colloquio su quei punti della sua storia
professionale che sta cercando di evitare.
Le impressioni pre-colloquio
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Ricerca dimostrano che dalle impressioni pre-colloquio si generano valutazioni che generano
aspettative relative al modo in cui il candidato si presenterà nel corso del colloquio, che
daranno a diversi modi di conduzione, che influenzeranno la possibilità del candidato di
esprimersi correttamente.
Aspettative positive → chance di presentarsi bene.
Aspettative negative → induzione ad apparire meno attraente.
I meccanismi di difesa
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Esistono tre tipi di variabili che intervengono nel processo di formazione della valutazione del
candidato:
Appartenenza Etnica: incide di meno rispetto ad una volta, può capitare preferenza
per candidati di coloro per evitare accuse di razzismo.
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I selezionatori meno competenti si fanno fuorviare da tutto quello che abbiamo citato prima,
mentre quelli più competenza ne traggono informazioni utili.
- Colloquio in serie: diversi colloqui con selezionatori diversi. + punti di vista e confronto
tra selezionatori.
- Colloquio panel: un candidato in presenza di più selezionatori. Confronto finale.
- Colloquio di gruppo: al colloquio partecipa un gruppo di candidati che vengono
convocati tutti insieme. Ogni candidato si presenta a turno ed espone motivazioni ed
aspettative: si osservano le modalità di espressione e di relazione. Oppure i candidati
discutono deliberatamente un argomento. Bassi costi, ottimo per iniziare il processo di
selezione.
I colloqui che abbiamo presentato fin ora sono di tipo SEMISTRUTTURATO: coniugano
pianificazione e flessibilità, si stabiliscono aree da esplorare ma al candidato viene data libertà
di approfondimento ed ordine. Esistono altri due tipi di colloquio, non strutturato o libero:
assenza di formalizzazione temporale, di contenuti e di tipo di interazione, il selezionatore
enuncia dei temi ed il candidato li affronta liberamente.
Oppure strutturato: ordine e contenuto delle domande sono predefinite, può essere
un’intervista situazionale (il candidato descrive come affronterebbe una situazione lavorativa
ipotetica) o di descrizione dei comportamenti (descrive i propri comportamenti in passate
situazioni professionali). Possono essere rischiose perché i c. danno risposte ideali.
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- Fase di apertura: serve per entrare in sintonia con il candidato. Il S. si pone in modo
accogliente e cordiale per rompere il ghiaccio. Il S. si presenta descrivendo il proprio
ruolo in azienda, sottolinea che la prima impressione è stata positiva tanto da
convocarlo. Descrive l’iter di selezione. Già qui acquisisce prime informazioni che evita
di trasformare in giudizi.
- Fase centrale: rilevazione dei requisiti posseduti dal candidato in termini di conoscenze,
capacità e caratteristiche comportamentali, motivazioni alla candidatura e del cambio di
azienda se già occupato. Verifica atteggiamenti ed aspettative nei confronti dell’azienda,
tratti di personalità, obiettivi, i suoi valori, principi e regole che lo guidano. Il S. spiega
il ruolo professionale che sta cercando.
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- Fase di chiusura: ha come obiettivo l’uscita dal colloquio, conferma di avere ottenuto
una sufficiente conoscenza, esplicita le modalità con cui verrà comunicato l’esito e
l’eventualità di una richiesta di ulteriori approfondimenti.
Traccia per la conduzione della fase centrale, dove fisserà le informazioni. Si compila durante o
dopo il colloquio. Sono appunti per focalizzare i passaggi critici e a supporto dell’archiviazione
delle candidature. Le parti in cui è suddivisa sono quelle sopracitate. Inoltre c’è una sezione
per interessi extra professionali e per delle note (registrazione a caldo di impressioni e
promemoria di argomenti su cui tornare).
Le dimensioni comportamentali
Fase di apertura
Benvenuto, stretta di mano, si accomodi, indicare appendiabito, indicare sedia, frasi per
rompere il ghiaccio (trovato traffico? grazie per l’incontro etc…) → scambio iniziale che rivela
alcuni tratti di personalità e comportamentali.
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Avvio colloquio con breve autopresentazione, descrizione proprio ruolo, descrizione figura
professionale ricercata e poi lasciare la parola al C. perché si presenti ed entri nel merito delle
proprie esperienze e titoli di studio.
La fase centrale
Il selezionatore affronta gli argomenti che gli interessano in ordine cronologico. Le domande
devono essere poste in modo neutro, in modo da non suggerire la risposte, così da far
emergere informazioni preziose. Inoltre le domande aperte rendono esplicite le proprietà di
linguaggio. Inoltre dal parlare liberamente o giustificare alcuni elementi del CV, come anche i
vuoti, emerge il sistema di valori e la coerenza della persona.
Durante l’esplorazione delle attività professionali è utile valutarne la pregnanza per ottimizzare
il tempo e approfondire quelle più coerenti alla posizione ricercata → domande aperte per
valutare iniziativa, capacità di problem solving nel cercare il lavoro. Chiedere motivazioni che
hanno indotto a cambiare lavoro lasciando ampio spazio (emergono aspettative, valori,
motivazioni).
Se la conversazione si fosse canalizzata verso un’esplicita ammissione di difficoltà (es. scarsa
adattabilità ai contesti sociali), il S. dovrebbe cercare di allentare la tensione per non rischiare
l’irrigidimento del candidato e perdere l’empatia → spostare ambito di conversazione meno
carico emotivamente.
Infine bisogna chiedere esplicitamente quali sono le aspettative (attività specifiche + grado di
responsabilità ed autonomia), il S. descrive esaurientemente la figura ricercata (attività
previste, posizione in organigramma, livello responsabilità, tipo di contratto etc…), così il C.
farà domande e ci saranno ulteriori scambi di comunicazione oggetto di valutazione.
Fase di chiusura
Il S. deve gestire la fase di chiusura → porre accento su obiettivi conoscitivi completati, tempi
necessari di valutazione, modalità di selezione successiva.
Cordialità sia se impressione positiva o negativa, accompagnare e salutare con stretta di
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mano.
Indicazioni:
- rispetto della persona.
- non palesare la propria posizione privilegiata.
- atteggiamento formale.
- atteggiamento interessato e concentrato.
- non interrompere bruscamente il C.
- quando il C. divaga, farlo divagare.
- controllare ipotesi che vengono formulate ricercando dati in senso opposto.
- non esprimere opinioni o approvazione.
- non mostrare segni di insofferenza o inquietudine se si è certo che il C. non si idoneo.
- assicurarsi di aver ben compreso le risposte del C.
- non dare in anticipo informazioni su valutazione.
- prendere appunti.
- esplicitare le fasi successive della selezione.
- dare sempre comunicazione al C. se escluso.
Difficoltà:
- non tutti i C. si relazionano con facilità (introversi), Il S. deve conquistarne la fiducia
(non aggressivo, ne intrusivo).
- non è sempre facile rispettare i vincoli temporali (1-1,5 h), possibilità di invalidare per
fretta. Ok domande aperte ma molto pertinenti per ottimizzare.
- difficoltà di imparzialità.
I TEST
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informazioni aggiuntive sulle competenze, sulla personalità e sul potenziale dei candidati,
limitando i rischi di una valutazione errata.
4 categorie:
Il tipo di test scelto dipende naturalmente dalla natura delle informazioni che si vogliono
rilevare.
La somministrazione può avvenire in modo collettivo (10-20 C.) oppure individuale. Collettiva
non va bene quando c’è bisogno dell’aiuto del selezionatore e necessità di riservatezza.
Testi di personalità
Vengono utilizzato per integrare le informazioni provenienti dal colloquio e prove di gruppo,
NON istanza selettiva (dentro/fuori l’iter selettivo) ma come integrazione. Quindi meglio
durante il processo e non all’inizio.
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Test di conoscenza
Test attitudinali
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LE PROVE DI GRUPPO
Situazione di incontro e confronto con altri candidati. é costituito da un compito che i candidati
devono svolgere tra di loro. Da 6 a 10 candidati. Consentono soprattutto di raccogliere le
caratteristiche comportamentali dei candidati.
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Le prove
Per valutare: Gestione dell’ansia, Problem solving, Negoziazione, Capacità di ascolto, iniziativa,
Organizzazione.
Scheda: per ogni caratteristica comportamentale sono elencati 5 comportamenti con cui si può
manifestare. Perché sia mantenuta la validità è necessario che gli assessor abbiano comune
formazione relativa alla modalità di lavoro.
Inoltre è utile nelle varie prove scambiarsi i candidati da osservare.
Le schede di valutazione compilate dagli assessor costituiscono la documentazione da usare nel
comitato di valutazione, l’obiettivo del comitato è giungere ad una valutazione di sintesi per
ciascuna caratteristica comportamentale. Se i giudizi di ogni singolo assessor si discostano di
molto va aperto un dibattito di confronto in cui si ripercorrono le prestazioni fornite da ciascun
candidato. Per la realizzazione della sintesi può essere utilizzato un software. Infine viene
stilata una graduatoria provvisoria, anche se può essere scelto poi non il primo ma quello che
ha una caratteristica più spiccata.
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Va steso a freddo, il giorno dopo → per non essere influenzato da singole reazione emotive e
impressioni non adeguatamente elaborate. Si articola in profilo professionale e profilo
psicologico.
- Profilo professionale → è organizzato cronologicamente, specifica le caratteristiche
dell’azienda, mette in luce le conoscenze e le capacità sia di tipo specialistico che
trasversale e le motivazioni.
- Profilo psicologico → valutazione in merito alle dimensioni comportamentali e tratti di
personalità.
La valutazione
Decreta l’uscita di scena di alcuni candidati, e il coinvolgimento ulteriore degli altri, inoltre la
committenza valuta l’operato del selezionatore.
Valutazione → Job profile VS. CV, scheda colloquio, profilo psicoprofessionale, prove di gruppo,
test.
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Buone pratiche:
È possibile che il selezionatore usi una scheda di sintesi per la valutazione su scala likert.
Il S. tende a presentare circa 3 candidature alla linea, perché da un lato può dedicare più
tempo ad ogni candidatura e dall’altro viene coinvolto nel processo decisionale.
Unica sessione di colloqui, una giornata di pausa, valutazione finale.
I C. non si devono incontrare tra di loro per privacy.
Il S. può puntare sull’eterogeneità:
1. competenze allineate,
2. competenze superiore,
3. competenze inferiore ma buone potenzialità → strategia vantaggiosa, il responsabile
può scegliere in base ai propri obiettivi.
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Il setting
Spetta al selezionatore fare gli onori di casa. Presenta il R. e il C. Invita il C ad esporre una
propria presentazione. Dopo è il responsabile che illustra i propri uffici/area ed attività,
evidenziando le aspettative, e quindi verifica le competenze tecniche. Il S. orienta il colloquio
verso il soddisfacimento conoscitivo di entrambi, coglie comportamenti verbali, non verbali,
consapevoli ed inconsapevoli di tutti e due che usa poi al fine di esprimere un giudizio di
compatibilità. Può anche intervenire direttamente con domande che evidenzino un eventuale
rischio di disallineamento di entrambi.
Se la conversazione va in stallo il S. deve cercare di riattivarla, facendo osservazioni o
introducendo domande su nuovi aspetti.
Infine il S. chiede al C. a caldo cosa ne pensa di questa opportunità lavorativa.
Il selezionatore riepilogherà le modalità contrattuali e di assunzione, chiedendo infine un
giudizio su di essi.
Il S. chiude il colloquio.
Il S. convoca il C, riassume i termini contrattuali, firma del contratto. Anche questa occasione
può essere utile per avere feedback sul proprio operato.
Un eventuale riapertura di discussione sulla retribuzione potrebbe portare alla rinuncia del
contratto.
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A volte il candidato è tenuto a svolgere una visita medica prima dell’assunzione, a seconda
della posizione.
Agli esclusi va mandata lettera di conclusione del ciclo selettivo.
Potrebbe essere una buona idea far passare mezza giornata al C. in azienda per osservare
l’attività che dovrà svolgere.
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PROGETTARE LA CARRIERA
DEFINIZIONI, TEORIE E METAFORE
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ipotesi che il successo sia fondato sui rinforzi che il contesto offre; d) fornisce solo modelli
classificatori senza giungere alla costruzione di modelli esplicativi.
2) Teoria degli stadi di carriera. L’individuo può cambiare lungo tutta la sua vita e i
cambiamenti, oltre a essere regolati dallo sviluppo individuale, lo sono anche da una serie
di eventi che il soggetto ha incontrato lungo la sua traiettoria di vita. Quindi, le preferenze
occupazionali, interessi e competenze mutano in un processo continuo caratterizzato
dall’invecchiamento del soggetto e dagli eventi della vita sociale. L’intero corso della vita è
considerato come sequenza di stadi entro cui gli individui sviluppano ruoli, abilità, interessi
e il proprio self concept in rapporto a fattori situazionali che caratterizzano l’esperienza. Gli
stadi entro cui si costruisce la carriera possono essere scanditi in: crescita (0-15 anni),
esplorazione (15-25 anni), stabilizzazione (25-45 anni), mantenimento (45-65 anni),
declino (oltre 65). Le carriere possono cambiare all’interno di micro cicli in cui avvengono
le prese di decisione (decision points), e la maturazione professionale è vista come
implementazione e sviluppo del self concept. L’adattamento positivo al lavoro, la
soddisfazione personale e la carriera sono allora da considerarsi proporzionali alla coerenza
tra self concept e caratteristiche della carriera intrapresa. Tra i limiti di questa teoria: a)
l’individuo è visto in termini passivi come modellabile dagli stadi di carriera; b) eccessiva
attenzione alla sfera lavorativa a scapito di altre comunque determinanti; c) eccessiva
enfasi sugli stadi di esplorazione ed entrata al lavoro.
3) Sogno e ciclo di vita. L’arco della vita è considerato come una sequenza di fasi di
sviluppo caratterizzata da lunghi cicli di stabilizzazione e da più brevi momenti di
transizione, stabilità e cambiamento. Alcuni concetti di base di questa teoria sono il sogno
e la struttura di vita. Il sogno rappresenta la rappresentazione del modello di vita preferito
e determina l’investimento energetico che l’individuo è disposto a erogare. La struttura di
vita è il veicolo per la realizzazione del proprio sogno ed è caratterizzata dalle influenze del
contesto sociale e culturale, dalle caratteristiche del self e del sistema di relazioni che
l’individuo intrattiene con altri significativi e gruppi di riferimento.
Interdisciplinare:
1) Carriera morale. Definita come la posizione che l’individuo occupa sotto il giudizio dei suoi
stessi occhi e di soggetti significativi. Viene generata da opinioni che gli individui si
formano su una persona in relazione a successi o fallimenti conseguiti dal soggetto stesso
in situazioni di azzardo.
La ricchezza dei modelli teorici e delle interpretazioni della carriera è anche testimoniata dalla
quantità di metafore prodotte sul costrutto. Inkson ne individua nove fondamentali: carriera come
eredità, costruzione, ciclo, incontro (tra individuo e ambiente), viaggio, network, ruolo, risorsa,
storia.
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CARRIERE NELLE ORGANIZZAZIONI
La carriera può essere definita come l’evolversi nel tempo dell’interazione tra individuo
ed organizzazione, frutto di una negoziazione continua tra esigenze di sviluppo delle
persone e produttività, sviluppo, innovazione dell’organizzazione. Da un lato
l’organizzazione con le proprie politiche seleziona gli individui ritenuti più adatti e cerca
di renderli il più possibile adeguati allo svolgimento delle mansioni, attivando strategie
di socializzazione, corsi di formazione per l’acquisizione delle competenze e la diffusione
del sapere organizzativo, politiche di promozione delle risorse umane per motivare il
personale e garantirsi la fedeltà organizzativa. Dall’altro lato, gli individui selezionano le
opportunità offerte in base a caratteristiche personali, interessi, preferenze e
aspirazioni. Nello stesso tempo il comportamento individuale tendono a condizionare la
prestazione organizzativa e a introdurre potenziali elementi di innovazione e
cambiamento nei ruoli organizzativi.
Secondo Schein le organizzazioni offrono diverse direttrici di movimento per le persone:
- Verticale: incremento o decremento nelle posizioni gerarchiche, che comportano aumento o
decremento di responsabilità, autonomia, potere decisionale e influenza.
- Radiale: incremento o decremento della propria centralità, ovvero muoversi verso posizioni
più o meno strategiche. Riguarda per lo più figure che nell’organizzazione hanno già
completato il percorso sulla dimensione verticale.
- Circonflesso: movimento orizzontale, da una funzione o reparto a un altro. Non hanno
modifiche nelle responsabilità o nel potere decisionale, ma sono importanti in funzione
della definizione di sé e per la costruzione di uno spettro di competenze professionali che
favorisce flessibilità e adattabilità organizzativa.
Inoltre le carriere sono influenzate da quelle che vengono chiamate àncore di carriera,
ovvero aspetti centrali del sé ai quali la persona non rinuncerà nei casi di scelte difficili
o di transizione. Si formano nelle prime fasi di socializzazione al lavoro, sono il risultato
dell’esperienza passata e regolano la definizione del progetto di vita futura. Schein
individua le seguenti àncore:
¾ La competenza tecnica. Si costruisce parte dell’identità professionale attorno al
contenuto del proprio lavoro e a competenze specifiche.
¾ La competenza manageriale. Si costruisce la carriera in base a avanzamento,
responsabilità, leadership, guadagno, ecc.
¾ La sicurezza. Si sceglie in termini di stabilità, scarsa propensione alla mobilità geografica,
ricerca di garanzie occupazionali, stabilizzazione delle relazioni lavorative e non.
¾ L’autonomia e l’indipendenza. Costituita dalla ricerca di ruoli non troppo vincolanti in
termini di prescrizioni, orari, vincoli sociali, interdipendenza.
¾ La creatività e l’intraprendenza. Costituita dalla ricerca di innovazione e dai benefici
intrinseci connessi alla realizzazione di prodotti e servizi.
¾ La sfida. Le scelte sono regolate dalla ricerca di compiti impegnativi che mettono alla
prova sé stessi e le proprie competenze.
¾ La dedizione. Si sceglie in base alla possibilità di realizzare scopi di ordine etico-valoriale.
¾ L’integrazione dello stile di vita. Costituito dalla ricerca di equilibrio tra lavoro, famiglia,
tempo libero e altre attività.
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Lo stesso autore inoltre analizza i possibili processi di regolazione delle carriere dentro le
organizzazioni, individuando quattro fondamentali esigenze di pianificazione:
1) Pianificazione del personale. Processo attraverso il quale l’organizzazione definisce i
requisiti per i ruoli vacanti e seleziona i profili più idonei. Per una analisi della carriera
completa occorre anche una definizione dei percorsi professionali associati a quei ruoli, con
la possibilità di stimare quali motivazioni, aspirazioni, ecc siano desiderabili nei profili.
2) Pianificazione dello sviluppo. Comporta sia prevedere come evolve un dato ruolo
lavorativo nel tempo, sia comprendere quali sono le potenzialità, le risorse, i talenti dei
dipendenti che meritano di essere potenziati. Strumenti fondamentali in questo senso sono
le tattiche di socializzazione per favorire l’inserimento dei nuovi membri: azioni formative
fisse, seriali, collettive possono indurre orientamenti di ruolo conservativi e un più forte
legame affettivo con l’organizzazione (più adatte per individui con minori risorse individuale
e scarsa autoefficacia percepita), mentre tattiche di tipo individualizzato, informali e
variabili da una parte possono generare risposte innovative ma a rischio di un minore
attaccamento affettivo (meglio per individui dotati di maggiore autonomia e fiducia).
Rivestono importanza anche altre attività di accompagnamento come il mentoring o il
coaching.
3) Pianificazione dei processi di stabilizzazione e di uscita. L’invecchiamento nelle
organizzazioni porta inevitabilmente a un progressivo appiattimento di carriera, alla
riduzione delle occasioni di promozione (effetto plateauing), all’esaurimento della spinta
alla crescita, all’acquisizione di routines e declino motivazionale. In particolare si è notato
che declina la motivazione intrinseca con aumento di importanza di fattori estrinseci
(retribuzione, sicurezza, ecc), ridotta soddisfazione lavorativa, ridimensionamento delle
attese e maggiori difficoltà a intraprendere percorsi di formazione. I possibili interventi
possono comunque puntare su movimenti circonflessi per evitare l’eccessiva
routinizzazione del compito lavorativo, oppure su movimenti radiali, che possono
riguardare l’assegnazione di responsabilità nell’affiancamento o nell’addestramento delle
nuove leve.
4) Pianificazione dei processi sostitutivi del personale.
Secondo Dalton e collaboratori, lo studio delle carriere nelle organizzazioni permette una
rielaborazione degli stadi di sviluppo, non per mezzo di fasce d’età, ma in base a concrete attività
organizzative, al sistema di relazioni e alle quote di potere di cui dispone la persona.
Questi stadi sono:
1) I stadio. Caratterizzato da compiti lavorativi parziali, svolti sotto la supervisione di altri, di
tipo routinario. Il lavoratore in questa fase segue le direttive, ha scarsa autonomia, è in
una posizione di dipendenza e apprendimento e una collocazione organizzativa periferica.
In questo stadio il lavoratore acquisisce competenze, modelli di comportamento e
apprende il funzionamento organizzativo, risultando determinante per la costruzione
dell’identità personale e professionale. Qualora tale sviluppo non abbia luogo e l’individuo
stazioni per lungo tempo in tale posizione, si possono generare stati di insoddisfazione e
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sentimento di mancata realizzazione personale, di fallimento professionale, portando anche
a forme di disagio individuale.
2) II stadio. Prevede compiti lavorativi a maggiore contenuto tecnico specialistico con
l’acquisizione di responsabilità di progetti, di processi o di clienti. In questo stadio
l’individuo cerca di costruirsi una reputazione.
3) III stadio. In questo stadio le competenze tecniche accumulate in precedenza possono
essere applicate per la formazione e lo sviluppo di altre risorse umane. L’individuo può
quindi divenire leader di gruppi di lavoro, mentore, supervisore. L’elemento chiave è lo
sviluppo di altri, in cui il proprio personale sviluppo di carriera si esercita e realizza
attraverso la promozione di altri colleghi più giovani.
4) IV stadio. Caratterizzato dall’aumento di potere nel direzionare le scelte organizzative, nel
definire le scelte strategiche di sviluppo, nel selezionare le persone per posizioni chiave.
Comporta l’acquisizione e l’utilizzo di competenze analitiche (interpretare la situazione,
elaborare alternative, prendere decisioni), relazionali (influenzare, negoziare, guidare,
costruire fiducia) ed emotive (capacità di reggere responsabilità, gestione dell’ansia,
evitare sensi di colpa e rimpianti).
L’approfondimento sulla duplice carriera mette in evidenza come la gestione dei percorsi di lavoro
nelle organizzazioni debba necessariamente considerare anche i vincoli generati dalla vita
familiare e il peso dei calendari sociali che regolano lo sviluppo individuale e di coppia. La duplice
carriera è infatti quella situazione in cui due persone conviventi e con una relazione affettiva
hanno entrambe una situazione lavorativa da gestire, entrambi condizionati da quella del partner.
Hall e Hall hanno classificato le coppie in base alla ripartizione interna dell’impegno tra lavoro e
famiglia:
- Gli accomodanti, in cui ogni membro è fortemente impegnato in sfere differenti.
- Gli alleati, in cui entrambi sono impegnati nella stessa sfera senza elevate aspettative
nell’altra.
- Gli avversari, entrambi altamente coinvolti nella sfera lavorativa ma con richieste all’altro
circa un maggior impegno nella sfera domestica.
- Gli acrobati, entrambi altamente coinvolti in entrambe le sfere di vita. Questa è la
situazione di maggiore potenziale stress per il cumulo di richieste dei compiti familiari e
lavorativi e la continua tensione provocata dai tentativi di coniugare i due tipi di esigenze.
La duplice carriera può provocare poi anche asincronismi rispetto ai calendari sociali, che sono
essenzialmente di tre tipi:
A) Organizzativo: in ritardo rispetto ai tempi di evoluzione della carriera in organizzazione.
B) Di coppia: una carriera più in ritardo rispetto a quella del partner.
C) Familiare: in cui l’evoluzione familiare ha tempi fuori norma.
Si è inoltre notato come le femmine abbiano meno accesso ai ruoli di potere e siano più
fortemente condizionate nella loro carriera dai carichi legati ad eventuali maternità e da un
vincolante sistema di aspettative sociali connesse al ruolo di madre e di custode della casa.
Gli interventi promossi dalle organizzazioni per favorire la gestione della duplice carriera sono:
formazione, orario flessibile, lavoro a casa, assistenza nella collocazione occupazionale del
partner. Tuttavia, si evidenzia come essi siano orientati a favorire la presenza continua della
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donna nei luoghi di lavoro senza però di fatto divenire effettivi strumenti di promozione della
carriera femminile.
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NUOVI CONTESTI, NUOVE CARRIERE
Le organizzazioni di lavoro, nell’ultimo ventennio, hanno subito numerose trasformazioni che
hanno a che fare, in particolare, con la riduzione degli organici, l’appiattimento dei livelli
gerarchici, i processi di fusione e delocalizzazione, l’outsourcing, la flessibilizzazione del lavoro e
delle soluzioni organizzative, il lavoro in team e per progetti.
Questi cambiamenti hanno importanti implicazioni: la maggiore incertezza di lavoro produce
cambiamenti nella definizione dello status sociale degli individui, che è determinato soprattutto dal
possesso di risorse e competenze professionali pregiate e richieste dalle organizzazioni di lavoro;
la presenza nel mercato del lavoro di contratti atipici accentua le differenze tra lavoratori tutelati
nei propri diritti (stabilità, tutela sindacale, copertura previdenziale) e lavoratori con bassi livelli di
garanzie (discontinuità contrattuale, scarsa tutela sindacale, ridotte coperture previdenziali e
normative).
Tali trasformazioni sono state accompagnate anche da cambiamenti significativi nel contratto
psicologico tra individuo e organizzazione: da un sistema di promesse basato sullo scambio
fedeltà/sicurezza, si è passati allo scambio transazionale, di più breve termine, dove sono in gioco
denaro, flessibilità e competenze.
Le organizzazioni comunque tendono sempre meno a ad assumersi la responsabilità di prevedere
lunghi periodi di permanenza dei dipendenti al loro interno. Le pratiche di gestione della carriera,
se adottate, vengono riservate a core workers strategici, lasciando dunque nelle mani dei singoli
individui la responsabilità di costruirsela. Le carriere dunque, tendono a svilupparsi sempre più in
un contesto connotato da temporaneità, elevata mobilità interorganizzativa, debolezza del legame
tra individuo e organizzazione. Da circa 10 anni infatti si parla di bounderyless career, cioè di una
carriera definita sempre più da un percorso autodeterminato dell’individuo e che si sviluppa in
modo non lineare tra più organizzazioni e secondo un copione imprevedibile e volubile.
Per chiarire il senso della carriera senza confini si sono approfonditi tre concetti chiave:
1) Versatilità. La carriera è gestita in modo proattivo dall’individuo, prevede elevata mobilità,
si basa sul principio della ricerca di libertà, della coerenza coi propri talenti, della
soddisfazione professionale e utilizza come criterio la gratificazione psicologica e il
benessere. Secondo Weick può potenzialmente portare l’individuo a prendere nuove
direzioni. La versatilità prevede un individuo disponibile all’apprendimento continuo,
costantemente aperto a nuove possibilità, e che affronta un’avventura professionale
esposta a continui micro cicli di circa 3-5 anni. I frequenti cambiamenti di colleghi, compiti,
supervisori e gruppi richiedono elevata flessibilità e capacità di dare senso e costanza alla
propria azione, ovvero adattabilità e identità. Un altro requisito è l’intraprendenza, ovvero
la capacità auto imprenditoriale di definire le scelte, valorizzare il proprio potenziale e
saper decidere anche assumendosi i rischi delle proprie azioni.
2) Networking. Lo sviluppo di carriera avviene grazie a una elevata mobilità
interorganizzativa con interazioni intensamente dinamiche. Si basa sulla costruzione di un
solido network fuori dai confini della struttura di appartenenza che favorisce la creazione di
nuove opportunità.
3) Enactment. La carriera è attivata dall’individuo con le sue azioni e le sue scelte.
Attraverso la carriera l’individuo costruisce e autodetermina parte del contesto in cui è
chiamato a intervenire. Questo può avvenire soprattutto in organizzazioni che hanno una
struttura debole, ovvero meno prescrittive, che lasciano più spazio all’azione individuale,
sono meno vincolanti. Gli indicatori per individuare debolezza organizzativa sono: gerarchie
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meno solide e autorità meno rigida, che riducono le distanze tra le persone; organizzazione
del lavoro in team, che favorisce interdipendenza, scambio di saperi e contaminazione delle
esperienze; lavori per progetto, in cui si ripartiscono compiti, si costruiscono gruppi, si
stabiliscono obiettivi, scadenze, premi.
La carriera senza confini pone al centro la questione delle competenze. Il progredire della carriera
è sempre più caratterizzato dalla progressiva acquisizione di competenze specialistiche, trasversali
e di carriera e, allo stesso tempo, le organizzazioni incorporano nelle proprie pratiche e modelli di
funzionamento le competenze possedute dai propri membri.
All’inizio della carriera le competenze strategiche sembrano essere quelle relazionali (saper gestire
rapporti interpersonali, saper cooperare), insieme a motivazione e perseveranza, saper osservare
per apprendere le regole di funzionamento dei gruppi, saper giocare il ruolo del nuovo arrivato,
ricercare fonti di supporto e referenti di fiducia.
Quando si passa a dover consolidare la propria posizione in azienda, le competenze chiave
sembrano essere quelle tecnico specialistiche, la conoscenza e assimilazione della cultura
organizzativa, l’affidabilità e l’impegno.
Nella costruzione della propria reputazione sono importanti la qualità del proprio lavoro,
l’innovazione, l’ulteriore specializzazione, e il networking.
Un costrutto multidimensionale che cerca di riassumere le doti e le qualità del lavoratore di fronte
alla carriera senza confini è quello di occupabilità. Per occupabilità si intende una serie di
caratteristiche personali che permettono all’individuo di incrementare le sue opportunità
occupazionali e professionali e di gestire con successo la propria carriera. Queste caratteristiche
sono racchiuse in tre dimensioni:
A) L’identità di carriera. “chi e cosa voglio diventare”, è una sorta di bussola per capire e
organizzare le esperienze passate e orientare il futuro, agendo anche da fattore
motivazionale.
B) La capacità di adattamento. In termini di occupabilità sono rilevanti aspetti come
l’ottimismo, la propensione ad apprendere, la ricerca di feedbacks, l’apertura al
cambiamento, l’accettazione delle sfide, locus of control interno, elevata autoefficacia
percepita.
C) Il capitale umano e sociale. Con capitale sociale si intende una costruzione di una rete
estesa e mirata di relazioni sociali per acquisire informazioni, ottenere accesso a nuovi
contesti, esercitare influenza. Con capitale umano invece si indicano quelle risorse
individuali accumulate durante le varie esperienze scolastiche e lavorative (titoli,
esperienza, qualifiche, ecc.).
Dal punto di vista dell’organizzazione, le competenze distintive di un’azienda sono quelle frutto
dell’apprendimento individuale e organizzativo. Non c’è più una pianificazione razionale delle
carriere, soprattutto laddove i confini organizzativi sono meno rigidi e la struttura è debole. Lo
sviluppo delle carriere va inteso quindi come mantenimento, sviluppo e diffusione delle
competenze di successo presenti nell’organizzazione, facendo decadere la logica delle carriere
verticali e incentivando incrementi di retribuzione di fronte ad un miglioramento del proprio
bagaglio di competenze.
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LA GESTIONE DELLE CARRIERE
Una classificazione delle azioni di gestione delle carriere distingue interventi di sostegno
individuale (career guidance e career counseling), gestite solitamente da servizi pubblici o
consulenti privati, e attività progettate e realizzate da parte delle organizzazioni (career
management) promosse solitamente dagli uffici di gestione delle risorse umane di grandi imprese.
Le attività di orientamento si rivolgono a diverse tipologie di utenza (dai giovani, durante il
percorso scolastico, a persone in situazioni transitorie, a specifiche figure in difficoltà
occupazionale). Hanno finalità informative, educative e mirano alla maggiore consapevolezza di sé
e conoscenza delle opportunità occupazionali del soggetto. In dettaglio:
- Prestano maggiore attenzione all’intera esperienza dell’individuo, e non alla sola sfera
professionale.
- Non si focalizzano solo su alcuni momenti topici di scelta (es. primo impiego) ma cercano di
aiutare l’individuo nella definizione di un percorso di vita più ampio.
- Puntano a dare maggiore cognizione delle alternative possibili offerte dal contesto
(consapevolezza professionale) e sulle proprie caratteristiche (consapevolezza di sé).
- Cercano di produrre cambiamento comportamentali e di atteggiamento per cambiare
orientamenti disfunzionali, stereotipi e rappresentazioni ingenue del lavoro e del mercato
del lavoro.
Un ambito di intervento particolarmente sviluppato è costituito dall’educazione alle decisioni di
carriera. Esistono dei presupposti di base su come le persone prendono decisioni di carriera:
• Gli individui non sono in grado di acquisire e trattare tutte le informazioni salienti ma
tendono ad utilizzare scorciatoie di pensiero (euristiche).
• Le scelte in questo senso diventano accettabili e per difesa si innescano processi di
razionalizzazione e giustificazione a posteriori.
• La scelta di una carriera induce a trascurare le opportunità e i benefici offerti dalle
alternative scartate.
• Come parametri per la scelta vengono considerati coerenza e razionalità, trascurando ad
esempio esiti della decisione e benefici acquisiti.
• Vi è comunque un numero pressoché infinito di fattori che possono influenzare le decisioni
di carriera e il peso di tali fattori ha un’elevata variabilità tra individui, contesti e tempi.
• Vi sono vari stili di decisione (logico, esitante, emotivo, intuitivo, compiacente, irriflessivo).
• Le difficoltà decisionali, l’incertezza, l’ansia e la tensione connessa col processo di decisione
sono diffuse in diversi strati della popolazione, anche se alcuni soggetti risultano
particolarmente esposti.
A questo proposito sono stati elaborati numerosi strumenti di ricerca e di diagnosi, quali
questionari, test e inventari. Tra i principali strumenti: il Career Decision Difficulties Questionnaire
e il Career Decision-Making Self-Efficacy Scale.
La consulenza di carriera (career counseling) si basa sulla costruzione di una relazione di aiuto tra
consulente e cliente attraverso l’ascolto e il colloquio non direttivo. Lo scopo è quello di produrre
cambiamenti individuali su una serie di dimensioni psicologiche ritenute rilevanti: modifiche nello
stile comportamentale, nel sistema di credenze, nella concezione e nella presentazione di sé
stessi, nel modo di affrontare le difficoltà, nello stile decisionale, nelle relazioni emotive e
affettive, nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente circostante. La consulenza di carriera può
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costituire la risposta a problematiche intrapsichiche legate a difficoltà cognitive ed emotive del
soggetto, oppure a problemi legati al rapporto dell’individuo con il contesto occupazionale
(disadattamento nel proprio impiego, stress derivante da relazioni difficili di lavoro,
insoddisfazione lavorativa).
L’intervento, pur partendo da una focalizzazione sulle problematiche di carriera, può, in corso
d’opera, toccare altre sfere di vita critiche per il soggetto e sfociare in cambiamenti e
ristrutturazioni identitarie anche al di fuori dell’ambito occupazionale. Ciò implica un’interazione
col cliente non direttiva e poco strutturata, con carattere esplorativo seguendo un approccio
clinico (psicoterapia). Durante il ciclo di colloqui sono fondamentali le fasi di costruzione della
relazione e sviluppo dell’empatia, e dell’alleanza terapeutica, ovvero una speciale relazione
interpersonale orientata anche alla diagnosi clinica progressivamente approfondita e verificata. In
tali casi però, il consulente dovrebbe essere affiancato da esperti di psicoterapia.
Recentemente si è sviluppato un approccio narrativo alla consulenza di carriera che si focalizza
sulla ricostruzione da parte del soggetto della propria storia professionale. Il punto di partenza
teorico è costituito dall’idea che la carriera rappresenta il prodotto unico e irripetibile
dell’interazione tra un individuo e il suo contesto sociale di riferimento lungo un processo di
sviluppo continuo. Vita vissuta e vita parlata sono indissolubili e si costruiscono in una continua
interazione. In tal senso assume quindi un ruolo centrale il modo attraverso il quale il soggetto
stesso costruisce e attribuisce significato alla propria storia. Il modo di parlare del proprio passato,
il linguaggio utilizzato per narrare e dare unitarietà all’esperienza e all’intreccio degli eventi, gli
episodi e gli snodi considerati critici dalla persona diventano elementi di una trama, la cui
costruzione è oggetto di confronto nelle attività di consulenza. Qui consulente e cliente cooperano
per creare i significati della storia del soggetto, attraverso un dialogo aperto e senza vincoli.
L’obiettivo della consulenza sarà quindi di aiutare la persona a costruire narrazioni di carriera via
via più significative: quanto più queste sono ricche, coerenti, plausibili, tanto più costituiscono il
segnale che l’individuo ha controllo sulla propria situazione. Inoltre la ricchezza della narrazione
passata può essere interpretata come sintomo di una positiva capacità di progettazione della
carriera futura.
Gli interventi di career management realizzati all’interno delle organizzazioni di lavoro puntano a
favorire lo sviluppo delle carriere dei dipendenti in armonia con le esigenze e le strategie aziendali.
Essi possono avere obiettivi di diversa natura: informativi, formativi, diagnostici.
A livello informativo ci sono:
Notifica: segnalazione interna sulle posizioni organizzative vacanti prima di ricercare
risorse all’esterno.
Percorsi: indicazioni sui percorsi di carriera dentro l’organizzazione con segnalazione delle
competenze necessarie per accedere alle varie posizioni, i requisiti richiesti, i benefici e gli
impegni connessi con le varie carriere. Possono rispondere a diversi criteri quali
l’esperienza passata e le caratteristiche di chi ricopre i vari incarichi (natura storica), le
dinamiche evolutive, le politiche di sviluppo dell’organizzazione e le sue strategie di
adattamento al contesto (natura organizzativa), le doti dei singoli lavoratori (natura
comportamentale).
Opportunità: informazioni sulle occasioni di sviluppo professionale (formazione, sviluppo
competenze) presenti dentro e fuori l’organizzazione.
A livello formativo invece:
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o Workshop: occasioni di confronto interne all’organizzazione per discutere opportunità di
carriera di singoli e gruppi, per individuare potenzialità, per descrivere politiche di sviluppo
del personale.
o Mentoring: i dipendenti più giovani sono assegnati a personale esperto che si prende cura
della loro crescita professionale e tutela il percorso di carriera.
o Rotazione: programmi di rotazione delle mansioni e di nuove assegnazioni di compiti
favoriscono la flessibilità del personale e la loro assegnazione futura a nuovi ruoli.
A livello diagnostico infine:
¾ Testing: interventi di analisi, misurazione e valutazione delle caratteristiche individuali
(anche attraverso strumenti informatizzati) per fornire indicazioni di carriera.
¾ Centri di sviluppo: situazioni articolate in cui si valutano diverse caratteristiche dei
dipendenti (doti, competenze, punti di debolezza, stile di comportamento) per stimare il
potenziale sviluppo di carriera. I partecipanti portano a termine una serie di prove e di
esercizi focalizzati su specifiche abilità e competenze ritenute fondamentali per svolgere
alcuni compiti nell’organizzazione.
¾ Counseling: consulenza individuale, svolta da manager o da personale specializzato per la
diagnosi individuale e la costruzione di un progetto di carriera nell’organizzazione.
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