Definizione Di Classe, Metodo e Oggetto Java
Definizione Di Classe, Metodo e Oggetto Java
Definire una
classe in Java significa descrivere il comportamento e le proprietà che gli oggetti
di quella classe avranno. Ecco un esempio di definizione di una classe semplice
in Java:
java Copy code public class Persona { // Variabili di istanza (proprietà della
classe) private String nome; private int eta;
// Costruttore della classe public Persona(String nome, int eta) { this.nome =
nome; this.eta = eta; }
// Metodi della classe public void saluta() { System.out.println(”Ciao, mi chi-
amo ” + nome + ” e ho ” + eta + ” anni.”); }
public void setEta(int eta) { this.eta = eta; }
public int getEta() { return eta; } }
In questo esempio, abbiamo definito una classe chiamata Persona. Ha due
variabili di istanza (nome e eta), un costruttore che permette di inizializzare
gli oggetti della classe, e tre metodi (saluta, setEta, getEta) che definiscono il
comportamento degli oggetti della classe.
Il metodo saluta() stampa un saluto usando il nome e l’età dell’oggetto Persona.
I metodi setEta() e getEta() consentono di impostare e ottenere l’età dell’oggetto
Persona, rispettivamente. In breve, una classe in Java serve a definire la strut-
tura e il comportamento degli oggetti che verranno creati basandosi su di essa.
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In Java, un metodo è un blocco di codice che definisce il comportamento di
un oggetto di una classe. I metodi vengono utilizzati per eseguire operazioni
specifiche su oggetti, modificare lo stato degli oggetti o restituire informazioni
sugli oggetti stessi. Ecco un’esempio di definizione di metodo in Java:
java Copy code public class Calcolatrice { // Metodo per sommare due numeri
public int somma(int a, int b) { return a + b; }
// Metodo per sottrarre due numeri public int sottrazione(int a, int b) { return
a - b; }
// Metodo per moltiplicare due numeri public int moltiplicazione(int a, int b) {
return a * b; }
// Metodo per dividere due numeri public double divisione(double a, double b)
{ if (b != 0) { return a / b; } else { System.out.println(”Impossibile dividere per
zero.”); return Double.NaN; // Not a Number } } } In questo esempio, abbi-
amo definito una classe chiamata Calcolatrice con quattro metodi: somma, sot-
trazione, moltiplicazione e divisione. Ogni metodo esegue un’operazione matem-
atica specifica e restituisce il risultato.
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Ad esempio, il metodo somma accetta due parametri di tipo intero (a e b), li
somma e restituisce il risultato della somma.
I metodi in Java possono anche essere utilizzati per eseguire azioni senza resti-
tuire alcun valore, come ad esempio stampare un messaggio a schermo o modi-
ficare lo stato interno di un oggetto.
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In Java, un oggetto è un’istanza di una classe. Una classe definisce la struttura
e il comportamento di un oggetto, mentre un oggetto è una specifica istanza
di quella classe che esiste effettivamente in memoria durante l’esecuzione del
programma. Ecco un esempio di come si crea e si utilizza un oggetto in Java:
Supponiamo di avere la classe Persona come definita precedentemente:
java Copy code public class Persona { private String nome; private int eta;
public Persona(String nome, int eta) { this.nome = nome; this.eta = eta; }
public void saluta() { System.out.println(”Ciao, mi chiamo ” + nome + ” e ho
” + eta + ” anni.”); }
public void setEta(int eta) { this.eta = eta; }
public int getEta() { return eta; } } Ora possiamo creare un oggetto Persona
utilizzando il costruttore della classe e quindi chiamare i suoi metodi:
java Copy code public class Main { public static void main(String[] args) { //
Creazione di un oggetto Persona Persona persona1 = new Persona(”Mario”, 30);
// Chiamata al metodo saluta dell’oggetto persona1 persona1.saluta();
// Modifica dell’età dell’oggetto persona1 utilizzando il metodo setEta per-
sona1.setEta(35);
// Ottenere l’età dell’oggetto persona1 utilizzando il metodo getEta e stam-
parla System.out.println(”La nuova età di ” + persona1.getNome() + ” è
” + persona1.getEta() + ” anni.”); } } In questo esempio, abbiamo cre-
ato un oggetto Persona chiamato persona1 utilizzando il costruttore della
classe Persona. Abbiamo quindi chiamato il metodo saluta() dell’oggetto
persona1 per stampare un messaggio di saluto. Successivamente, abbi-
amo modificato l’età dell’oggetto persona1 utilizzando il metodo setEta() e
ottenuto la nuova età utilizzando il metodo getEta() e l’abbiamo stampata.
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In Java, ci sono diversi concetti fondamentali che riguardano l’esecuzione e
lo sviluppo di programmi. Ecco le definizioni e le spiegazioni di JRE, JDK e
JVM:
1. JRE (Java Runtime Environment): Il JRE è l’ambiente di esecuzione Java. È
un insieme di software che fornisce l’ambiente necessario per eseguire programmi
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Java. Include la Java Virtual Machine (JVM), librerie di classi Java e altri
file di supporto necessari per eseguire i programmi Java. In sostanza, il JRE
consente di eseguire i programmi Java senza necessariamente avere gli strumenti
di sviluppo installati.
2. JDK (Java Development Kit): Il JDK è un kit di sviluppo software utiliz-
zato per sviluppare applicazioni Java. Include tutti gli strumenti necessari per
compilare, debuggare e eseguire i programmi Java. Il JDK comprende il JRE,
quindi è possibile utilizzarlo per sviluppare e anche eseguire applicazioni Java.
Oltre al JRE, il JDK include anche il compilatore Java (javac), strumenti di
debug e altre utility per lo sviluppo.
3. JVM (Java Virtual Machine): La JVM è una macchina virtuale che esegue i
programmi Java. È un componente chiave dell’architettura Java e fornisce un
ambiente di esecuzione indipendente dalla piattaforma. La JVM interpreta il
bytecode Java e lo traduce in istruzioni native della piattaforma in cui viene ese-
guita. In altre parole, consente ai programmi Java di essere eseguiti su qualsiasi
piattaforma che abbia una JVM disponibile, rendendo Java un linguaggio di
programmazione ”write once, run anywhere” (scrivi una volta, esegui ovunque).
La JVM gestisce anche la gestione della memoria, il garbage collection e altre
attività di gestione delle risorse durante l’esecuzione dei programmi Java.
In sintesi, il JRE fornisce l’ambiente di esecuzione, il JDK è utilizzato
per lo sviluppo e include il JRE, mentre la JVM esegue i programmi
Java all’interno di un ambiente virtuale indipendente dalla piattaforma.
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Primitives & Reference
Tipi primitivi:
1. I tipi Primitivi sono i tipi di dati più basilari in Java. Rappresentano valori
singoli e non sono oggetti. Ci sono otto tipi di dati primitivi in Java: byte,
short, int, long, float, double, char, e boolean. I tipi primitivi sono memorizzati
direttamente in memoria e occupano tipicamente una quantità fissa di spazio.
Esempi: java Copy code int x = 10; double pi = 3.14; char ch = ’A’; boolean
flag = true; Riferimenti:
2. I Reference, d’altra parte, sono variabili che memorizzano gli indirizzi di
memoria (riferimenti) degli oggetti. In Java, gli oggetti sono istanze di classi
e vengono allocati dinamicamente nella memoria heap. Quando dichiari una
variabile di tipo oggetto, quello che memorizzi in quella variabile è un riferimento
all’oggetto, non l’oggetto stesso. Esempi: java Copy code String str = ”Ciao”;
Object obj = new Object(); MyClass myObj = new MyClass();
Differenze:
1. Natura: I tipi primitivi sono tipi di dati di base, mentre i riferimenti sono
variabili che memorizzano gli indirizzi di memoria degli oggetti. 2. Memo-
rizzazione: I tipi primitivi memorizzano valori effettivi, mentre i riferimenti
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memorizzano gli indirizzi di memoria degli oggetti. 3. Memoria: I tipi primitivi
sono memorizzati nella memoria stack, mentre gli oggetti sono memorizzati
nella memoria heap e i riferimenti a quegli oggetti sono memorizzati nello
stack. 4. Operazioni: I tipi primitivi contengono valori direttamente, quindi le
operazioni su di essi manipolano direttamente il valore. I riferimenti, d’altra
parte, ti consentono di accedere e manipolare l’oggetto a cui si riferiscono in
modo indiretto. 5. Valori predefiniti: I tipi primitivi hanno valori predefiniti
(ad esempio, 0 per i tipi numerici, false per boolean), mentre i riferimenti
predefiniscono null fino a quando non vengono assegnati un riferimento
reale a un oggetto. Comprendere questi concetti è fondamentale per una
gestione efficace della memoria e la manipolazione dei dati nei programmi Java.
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Incapsulamento
L’incapsulamento è uno dei concetti fondamentali della programmazione orien-
tata agli oggetti (OOP) in Java. Si riferisce alla pratica di nascondere i dettagli
di implementazione interni di una classe e fornire un’interfaccia pubblica chiara
e limitata attraverso cui le altre classi possono interagire con l’oggetto.
Ecco alcuni punti chiave sull’incapsulamento in Java:
1. Classi e membri privati: In Java, è possibile dichiarare membri di classe
(campi e metodi) come privati usando il modificatore di accesso private. Ciò
significa che i membri privati sono accessibili solo dalla stessa classe e non da
altre classi.
2. Accesso tramite metodi: Per consentire l’accesso controllato ai membri pri-
vati di una classe, è comune fornire metodi pubblici, chiamati metodi getter e
setter, per leggere e modificare lo stato degli oggetti. Questi metodi forniscono
un’interfaccia controllata per accedere ai dati all’interno dell’oggetto.
3. Vantaggi dell’incapsulamento:
-Controllo dell’accesso: L’incapsulamento consente di limitare l’accesso diretto
ai dati della classe, riducendo il rischio di errori e garantendo una maggiore
coerenza nello stato dell’oggetto. -Modularità: Nascondendo i dettagli di imple-
mentazione, l’incapsulamento promuove la modularità del codice, consentendo
di modificare l’implementazione interna di una classe senza influenzare le altre
parti del programma che utilizzano quella classe. -Sicurezza: L’incapsulamento
aiuta a proteggere i dati sensibili da modifiche accidentali o indesiderate, miglio-
rando la sicurezza del programma.
Esempio: public class ContoBancario { private double saldo; // Il saldo è un
membro privato
// Metodo setter per impostare il saldo public void impostaSaldo(double nuovoS-
aldo) { saldo = nuovoSaldo; }
// Metodo getter per ottenere il saldo public double ottieniSaldo() { return saldo;
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} } In questo esempio, il saldo è dichiarato come privato, quindi non è accessi-
bile direttamente dall’esterno della classe ContoBancario. Gli utenti possono
accedere al saldo solo tramite i metodi impostaSaldo e ottieniSaldo, che control-
lano l’accesso ai dati del saldo e forniscono un’interfaccia controllata per manipo-
larlo. _____________________________________________________________
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Gerarchie di Classi
In Java, una gerarchia di classi si riferisce alla relazione di ereditarietà tra le
classi. Questo concetto è fondamentale nella programmazione orientata agli
oggetti e consente di creare una struttura organizzata delle classi, in cui le classi
derivate (o sottoclassi) possono ereditare attributi e comportamenti da classi
genitore (o superclassi). Ecco alcuni punti chiave relativi alle gerarchie di classi
in Java:
1.Classi base e derivate:
Una classe base, o superclasse, è una classe già esistente da cui altre classi pos-
sono essere derivate. Una classe derivata, o sottoclasse, è una classe che estende
una superclasse per ereditare i suoi attributi e metodi e/o per sovrascriverli o
aggiungerne di nuovi.
2.Ereditarietà:
In Java, l’ereditarietà è implementata utilizzando la parola chiave extends. Una
classe derivata può estendere una sola classe base. La sottoclasse acquisisce
tutti i membri non privati della superclasse, come campi dati e metodi, e può
aggiungere nuovi membri o sovrascrivere i membri esistenti, se necessario.
Ad esempio: class Veicolo { void muovi() { System.out.println(”Il veicolo si
muove”); } }
class Auto extends Veicolo { void guida() { System.out.println(”L’auto sta
guidando”); } }
3.Polimorfismo: Il polimorfismo consente a un oggetto di una classe derivata
di essere trattato come un oggetto di una classe base durante l’esecuzione del
programma. Ciò significa che un metodo definito nella classe base può essere
sovrascritto in una classe derivata, e l’invocazione del metodo dipende dal tipo
effettivo dell’oggetto in esecuzione.
4.Utilizzo delle gerarchie di classi: Le gerarchie di classi consentono di organiz-
zare il codice in modo gerarchico e modulare, favorendo il riuso del codice e una
migliore organizzazione concettuale. Le classi più generiche possono essere defi-
nite in cima alla gerarchia, con classi più specifiche che estendono o specializzano
il comportamento in base alle esigenze specifiche dell’applicazione.
Le gerarchie di classi sono uno strumento potente per la progettazione di soft-
ware orientato agli oggetti in Java, consentendo una maggiore flessibilità, rius-
abilità e manutenibilità del codice. ____________________________________________
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Static factory method
Una ”static factory method” in Java è un metodo statico all’interno di una classe
che restituisce un’istanza di quella stessa classe o di una sua sottoclasse. Questo
tipo di metodo è chiamato ”factory method” perché funge da fabbrica per creare
e restituire nuove istanze della classe, generalmente in luogo dei costruttori
tradizionali.
Caratteristiche delle static factory method:
1.Metodi statici: Sono dichiarati come static, il che significa che possono essere
chiamati senza creare un’istanza della classe che li contiene.
2.Restituiscono istanze della classe: Il loro scopo principale è quello di creare e
restituire nuove istanze della classe. Possono restituire istanze della classe stessa
o di sottoclassi.
3.Nomi significativi: A differenza dei costruttori, i quali hanno il nome della
classe, le static factory method possono avere nomi significativi, che riflettono
l’intento o l’uso previsto dell’istanza restituita.
4.Flessibilità: Possono essere utilizzate per implementare logiche complesse di
creazione di istanze, come caching, restituzione di istanze preesistenti o scelta
del tipo di sottoclasse da restituire.
5.Accesso controllato: Poiché sono metodi statici, è possibile controllare
l’accesso alle istanze della classe e implementare logiche di creazione personal-
izzate.
5.Non richiedono una nuova istanza: Le static factory method non richiedono
necessariamente la creazione di una nuova istanza ad ogni chiamata. Possono
restituire istanze preesistenti o cache di istanze, se necessario.
Ad esempio, in una classe MyClass, potresti avere un metodo statico cre-
ateInstance() che restituisce un’istanza di MyClass con parametri specificati,
consentendo un maggiore controllo e flessibilità nella creazione delle istanze.
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Polimorfismo Statico e Dinamico
Il polimorfismo è un concetto chiave della programmazione orientata agli oggetti
in Java che permette a oggetti di classi diverse di essere trattati con un’unica
interfaccia. Ci sono due tipi di polimorfismo in Java: il polimorfismo di compi-
lazione (o polimorfismo statico) e il polimorfismo di esecuzione (o polimorfismo
dinamico).
1. Polimorfismo di compilazione (Statico):
Si verifica quando si ha un riferimento di una classe base che punta a un oggetto
di una classe derivata. Il compilatore utilizza il tipo dichiarato del riferimento
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per risolvere i metodi chiamati. Il polimorfismo di compilazione è raggiunto
attraverso il concetto di ereditarietà e overriding (sovra-scrittura dei metodi).
Esempio: class Veicolo { void muovi() { System.out.println(”Il veicolo si
muove”); } }
class Auto extends Veicolo { void muovi() { System.out.println(”L’auto si muove
velocemente”); } }
public class Main { public static void main(String[] args) { Veicolo v = new
Auto(); // Polimorfismo: un riferimento di tipo Veicolo punta a un oggetto di
tipo Auto v.muovi(); // Chiama il metodo muovi() dell’oggetto di tipo Auto }
}
2. Polimorfismo di esecuzione (Dinamico):
Si verifica quando il metodo di un oggetto viene determinato durante
l’esecuzione del programma, in base al tipo reale dell’oggetto. Si basa
sull’override dei metodi, dove un metodo della classe figlia sovrascrive il
metodo della classe genitore. Il polimorfismo di esecuzione è essenziale per il
funzionamento del polimorfismo e consente di scrivere codice più flessibile e
dinamico.
Esempio: class Veicolo { void muovi() { System.out.println(”Il veicolo si
muove”); } }
class Auto extends Veicolo { void muovi() { System.out.println(”L’auto si muove
velocemente”); } }
public class Main { public static void main(String[] args) { Veicolo v = new
Auto(); v.muovi(); // Chiama il metodo muovi() di Auto (polimorfismo di ese-
cuzione) } }
In entrambi i casi, il polimorfismo consente di scrivere codice più generico e
flessibile, in cui è possibile trattare oggetti di classi diverse con un’interfaccia
comune. Questo porta a codice più modulare e facile da estendere o modificare in
futuro. ____________________________________________________________
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Variabili
In Java, le variabili sono elementi fondamentali per memorizzare e manipolare
dati all’interno di un programma. Possono essere di diversi tipi e hanno diverse
caratteristiche. Ecco un riassunto delle variabili in Java:
1.Tipi di variabili:
Variabili locali: Dichiarate all’interno di un metodo, costruttore o blocco. Es-
istono solo all’interno del blocco in cui sono dichiarate e non hanno un valore
predefinito. Variabili di istanza: Dichiarate all’interno di una classe ma al di
fuori di qualsiasi metodo, costruttore o blocco. Ogni oggetto della classe ha la
propria copia delle variabili di istanza. Hanno valori predefiniti se non vengono
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inizializzate esplicitamente. Variabili statiche (o di classe): Dichiarate utiliz-
zando la parola chiave static all’interno di una classe ma al di fuori di qualsiasi
metodo, costruttore o blocco. Esiste una sola copia della variabile statica condi-
visa da tutte le istanze della classe. Parametri del metodo: Variabili dichiarate
in una firma di metodo e utilizzate per passare valori al metodo durante la chia-
mata. Esistono solo all’interno del metodo stesso e vengono inizializzate con i
valori passati al momento della chiamata del metodo.
4.Dichiarazione e inizializzazione:
Le variabili possono essere dichiarate fornendo il tipo e il nome della vari-
abile: tipo nomeVariabile;. Possono anche essere inizializzate al momento della
dichiarazione: tipo nomeVariabile = valoreIniziale;. Le variabili di istanza e le
variabili locali vengono di solito inizializzate all’interno di un costruttore o di
un metodo, mentre le variabili statiche possono essere inizializzate utilizzando
un blocco statico.
3.Accesso e modifica:
Il modo in cui si accede e si modifica una variabile dipende dal suo tipo e dal
contesto in cui è definita. Le variabili di istanza possono essere accessibili solo
attraverso un’istanza della classe (istanza.nomeVariabile) o attraverso metodi
di accesso (getter e setter). Le variabili statiche possono essere accessibili utiliz-
zando il nome della classe (NomeClasse.nomeVariabile).
4. Costanti:
Le costanti sono variabili il cui valore non cambia durante l’esecuzione del pro-
gramma. In Java, le costanti vengono dichiarate utilizzando la parola chiave
final. Le costanti possono essere di istanza, statiche o locali.
Ecco un esempio di dichiarazione e utilizzo di variabili in Java:
public class EsempioVariabili { // Variabile di istanza private int variabileIs-
tanza;
// Variabile statica public static String variabileStatica = ”Questa è una vari-
abile statica”;
public void esempioMetodo() { // Variabile locale int variabileLocale = 10;
System.out.println(”Variabile locale: ” + variabileLocale); }
public static void main(String[] args) { EsempioVariabili obj = new Esempio-
Variabili(); obj.variabileIstanza = 5; System.out.println(”Variabile di istanza: ”
+ obj.variabileIstanza); System.out.println(”Variabile statica: ” + variabileStat-
ica); obj.esempioMetodo(); } }
-Le variabili sono elementi essenziali per la memorizzazione e la manipolazione
dei dati in Java e giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo di qualsiasi tipo
di applicazione. _______________________________________________________
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Override & Overload
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In Java, override e overload sono due concetti distinti legati alla definizione di
metodi nelle classi. Ecco una spiegazione di entrambi i concetti:
1.Override:
L’override si verifica quando una sottoclasse fornisce un’implementazione speci-
fica di un metodo che è già definito nella sua superclasse. Quando si effettua
l’override di un metodo, si utilizza la stessa firma del metodo della superclasse
(cioè lo stesso nome del metodo e la stessa lista di parametri), ma si fornisce
un’implementazione diversa. L’override è utilizzato per modificare o estendere
il comportamento di un metodo ereditato dalla superclasse nella sottoclasse.
L’annotazione @Override può essere utilizzata per garantire che il metodo nella
sottoclasse effettivamente sovrascriva un metodo della superclasse con la stessa
firma. Questo può essere utile per evitare errori di digitazione.
Esempio: class Veicolo { void muovi() { System.out.println(”Il veicolo si
muove”); } }
class Auto extends Veicolo { @Override void muovi() { System.out.println(”L’auto
si muove velocemente”); } }
2.Overload:
L’overload si verifica quando una classe ha più di un metodo con lo stesso nome
ma firme diverse all’interno della stessa classe o all’interno di una gerarchia
di classi (ad esempio, una classe e le sue superclassi o sottoclassi). I metodi
sovraccaricati hanno lo stesso nome ma differiscono per il numero di parametri,
il tipo dei parametri o entrambi. L’overload è utilizzato per fornire un’interfaccia
più flessibile ai clienti della classe, consentendo loro di chiamare lo stesso metodo
con parametri diversi senza dover ricordare nomi di metodi diversi.
Esempio: class Calcolatrice { int somma(int a, int b) { return a + b; }
double somma(double a, double b) { return a + b; } }
In sintesi, l’override è la pratica di fornire un’implementazione specifica
di un metodo nella sottoclasse che sostituisce l’implementazione della su-
perclasse, mentre l’overload è la pratica di definire più metodi con lo
stesso nome ma firme diverse nella stessa classe o nella gerarchia di classi.
Entrambi i concetti sono fondamentali nella programmazione orientata
agli oggetti in Java e consentono di scrivere codice più flessibile e modulare.
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Classe abstract e Interfaccia
Le classi astratte e le interfacce sono due meccanismi fondamentali per la proget-
tazione e l’implementazione di concetti di programmazione orientata agli oggetti
in Java. Entrambi permettono di definire dei contratti per le classi che le imple-
mentano, ma ci sono delle differenze cruciali tra di loro. Ecco una panoramica
di entrambi i concetti:
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1.Classe astratta:
Una classe astratta è una classe che non può essere istanziata direttamente,
ma può contenere metodi astratti e concreti. Un metodo astratto è un
metodo dichiarato senza un’implementazione. Le sottoclassi devono fornire
un’implementazione per tutti i metodi astratti della classe astratta. Una classe
astratta può contenere anche metodi concreti, cioè metodi con implementazione.
Una classe astratta viene dichiarata utilizzando la parola chiave abstract. Una
classe astratta può estendere un’altra classe astratta o una classe concreta.
Esempio: abstract class Forma { abstract void disegna(); // Metodo astratto
void descrizione() { // Metodo concreto System.out.println(”Questa è una
forma”); } }
2.Interfaccia:
Un’interfaccia è una collezione di metodi astratti e costanti. Non può contenere
metodi concreti. Tutti i metodi dichiarati in un’interfaccia sono implicitamente
pubblici e astratti (non è necessario utilizzare le parole chiave public o abstract).
Una classe può implementare più interfacce. Un’interfaccia viene dichiarata uti-
lizzando la parola chiave interface. Le interfacce forniscono un modo per definire
contratti e definire comportamenti comuni senza specificare l’implementazione.
Esempio: interface Figura { void disegna(); // Metodo astratto void de-
scrizione(); // Metodo astratto }
3.Differenze principali:
- Le classi astratte possono contenere variabili di istanza, costruttori e metodi
concreti, mentre le interfacce possono contenere solo costanti e metodi astratti.
- Una classe può estendere solo una classe astratta, ma può implementare più
interfacce. - Le classi astratte sono utilizzate per modellare concetti comuni e
condivisi tra le classi, mentre le interfacce sono utilizzate per definire contratti di
comportamento. - Le interfacce consentono una maggiore flessibilità nel design
delle classi, in quanto una classe può implementare più interfacce, ma le classi
astratte possono fornire un’implementazione condivisa per i metodi.
In generale, le classi astratte sono più adatte quando si desidera condividere una
parte dell’implementazione tra più classi, mentre le interfacce sono più appro-
priate quando si desidera definire un comportamento comune senza condividere
alcuna implementazione. Entrambi i concetti sono utili e possono essere usati in-
sieme per raggiungere una progettazione efficiente e flessibile del software in Java.
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Ereditarietà
In Java, l’ereditarietà è un concetto chiave della programmazione orientata agli
oggetti che consente a una classe (nota come classe figlia o classe derivata) di
ereditare attributi e metodi da un’altra classe (nota come classe genitore o classe
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base). Questo permette la creazione di una gerarchia di classi che condividono
caratteristiche comuni.
Per utilizzare l’ereditarietà in Java, si utilizza la parola chiave extends per indi-
care che una classe estende un’altra classe. Ecco un esempio semplice:
class Vehicle { protected String brand;
public void drive() { System.out.println(”Vehicle is moving.”); } }
class Car extends Vehicle { private int numberOfSeats;
public Car(String brand, int numberOfSeats) { this.brand = brand;
this.numberOfSeats = numberOfSeats; }
public void honk() { System.out.println(”Beep beep!”); } }
public class Main { public static void main(String[] args) { Car myCar = new
Car(”Toyota”, 4); myCar.drive(); // Metodo ereditato dalla classe Vehicle my-
Car.honk(); // Metodo definito nella classe Car } }
In questo esempio, la classe Car estende la classe Vehicle, ereditandone
l’attributo brand e il metodo drive(). Inoltre, la classe Car ha il suo metodo
honk().
L’ereditarietà permette di:
1.Riutilizzare il codice: i membri della classe genitore possono essere uti-
lizzati direttamente nelle classi figlie. 2.Estendere funzionalità: le classi
figlie possono aggiungere nuovi metodi e attributi o modificare i metodi
ereditati (attraverso l’override). 3.Creare gerarchie di classi: è possi-
bile organizzare le classi in una struttura gerarchica per rappresentare
meglio la relazione tra gli oggetti del dominio specifico. Tuttavia, è im-
portante utilizzare l’ereditarietà in modo oculato, poiché un uso eccessivo
può portare a una gerarchia di classi complessa e difficile da mantenere.
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Principio di Liskov
Il principio di Liskov è un concetto fondamentale nella programmazione ori-
entata agli oggetti che stabilisce che gli oggetti di una classe derivata devono
essere sostituibili con gli oggetti della classe base senza influire sul comporta-
mento corretto del programma. In Java, questo principio viene spesso applicato
attraverso l’ereditarietà e l’implementazione di interfacce.
Ecco un esempio per illustrare il principio di Liskov in Java:
Supponiamo di avere una classe base Shape che ha un metodo area() per calco-
lare l’area della forma e una classe derivata Rectangle che estende Shape. Sec-
ondo il principio di Liskov, dovremmo essere in grado di sostituire un oggetto
Rectangle con un oggetto Shape senza causare errori nel programma.
class Shape { public double area() { return 0; } }
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class Rectangle extends Shape { private double width; private double height;
public Rectangle(double width, double height) { this.width = width; this.height
= height; }
@Override public double area() { return width * height; } }
public class Main { public static void main(String[] args) { Shape shape
= new Rectangle(5, 10); // Possiamo sostituire Rectangle con Shape
System.out.println(”Area: ” + shape.area()); } } In questo esempio,
Rectangle è sostituibile con Shape, il che significa che possiamo usare
un oggetto Rectangle al posto di un oggetto Shape senza cambiare il
comportamento del programma. Questo rispetta il principio di Liskov.
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BubbleSort
Il Bubble Sort è un algoritmo di ordinamento semplice e intuitivo che funziona
confrontando ripetutamente coppie di elementi adiacenti e scambiandoli se sono
in ordine errato. Questo processo viene ripetuto finché l’intero array non risulta
ordinato. Ecco una spiegazione teorica del funzionamento del Bubble Sort in
Java:
1.Passaggi dell’algoritmo:
L’algoritmo inizia con il confrontare il primo elemento dell’array con il secondo
elemento, poi il secondo con il terzo, e così via, fino all’ultimo elemento. Durante
ogni passaggio, se l’elemento corrente è maggiore del successivo, vengono scam-
biati di posizione. Dopo il primo passaggio, l’elemento più grande si sposterà
alla fine dell’array. Il processo viene ripetuto per tutti gli elementi, escludendo
l’ultimo elemento in ciascun passaggio, poiché l’elemento più grande è già stato
posizionato alla fine dell’array. L’algoritmo continua finché non sono più neces-
sari scambi, il che indica che l’array è stato completamente ordinato.
2.Implementazione in Java:
In Java, l’algoritmo Bubble Sort può essere implementato utilizzando due cicli
innestati. Il ciclo esterno controlla il numero di passaggi totali necessari per
ordinare l’intero array. Il ciclo interno scansiona l’array e confronta gli elementi
adiacenti, scambiandoli se necessario. L’algoritmo continua a eseguire questi
passaggi finché non sono più necessari scambi.
3.Complessità temporale:
Il Bubble Sort ha una complessità temporale peggiore di O(n^2), dove n è la
dimensione dell’array. Questo significa che l’algoritmo può richiedere un numero
significativo di operazioni quando l’array è grande, rendendolo inefficiente per
grandi insiemi di dati.
Ecco un esempio di implementazione dell’algoritmo Bubble Sort in Java, come
mostrato nell’esempio precedente. Esempio: public class BubbleSort { public
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static void bubbleSort(int[] array) { int n = array.length; for (int i = 0; i < n - 1;
i++) { for (int j = 0; j < n - i - 1; j++) { // Se l’elemento corrente è maggiore
del successivo, scambiali if (array[j] > array[j + 1]) { // Scambio di array[j] e
array[j+1] int temp = array[j]; array[j] = array[j + 1]; array[j + 1] = temp; } }
}}
public static void main(String[] args) { int[] array = {64, 34, 25, 12, 22, 11, 90};
System.out.println(”Array non ordinato:”); printArray(array);
bubbleSort(array);
System.out.println(”Array ordinato:”); printArray(array); }
public static void printArray(int[] array) { int n = array.length; for (int i = 0; i
< n; ++i) { System.out.print(array[i] + ” ”); } System.out.println(); } }
Questo codice implementa l’algoritmo Bubble Sort in Java. La funzione bub-
bleSort prende un array di interi come input e lo ordina utilizzando l’algoritmo
Bubble Sort. La funzione printArray viene utilizzata per stampare l’array.
Nell’esempio fornito, viene creato un array di esempio e viene stampato prima e
dopo l’ordinamento. ____________________________________________________
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Quicksort e Mergsort. O(n log n) è una notazione utilizzata in informatica per
descrivere la complessità temporale di un algoritmo. Significa che il tempo di
esecuzione dell’algoritmo cresce in proporzione a n moltiplicato per il logaritmo
di n. In termini più semplici, all’aumentare della dimensione dell’input (n),
il tempo di esecuzione dell’algoritmo cresce a una velocità superiore a quella
lineare (O(n)) ma inferiore a quella quadratica (O(n^2)). Questa complessità
temporale è spesso associata ad algoritmi come quicksort e mergesort, che sono
efficienti per l’ordinamento di grandi insiemi di dati.
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Eccezioni (uncheckd, checked, Error, Exception)
Le eccezioni in Java sono eventi anomali che si verificano durante l’esecuzione
di un programma e che interrompono il flusso normale delle istruzioni. Esse
possono essere di diversi tipi, tra cui eccezioni controllate (checked exceptions),
eccezioni non controllate (unchecked exceptions), errori (errors) e sottoclassi di
Exception e Error.
Ecco una panoramica dei diversi tipi di eccezioni in Java:
1.Eccezioni controllate (Checked Exceptions):
Sono sottoclassi dirette della classe Exception, escluse RuntimeException e le
sue sottoclassi. Richiedono obbligatoriamente la gestione tramite try-catch o
la dichiarazione nella firma del metodo con la parola chiave throws. Esempi
includono IOException, SQLException, FileNotFoundException, ecc.
2.Eccezioni non controllate (Unchecked Exceptions):
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Sono sottoclassi della classe RuntimeException. Non richiedono obbligatoria-
mente la gestione tramite try-catch o la dichiarazione nella firma del metodo
con throws. Solitamente sono causate da errori nel codice o da situazioni im-
previste. Esempi includono NullPointerException, ArrayIndexOutOfBoundsEx-
ception, ClassCastException, ecc.
3.Errori (Errors):
Sono sottoclassi della classe Error. Indicano problemi irrimediabili e gravi che
non dovrebbero essere gestiti dal codice dell’applicazione. Esempi includono
OutOfMemoryError, StackOverflowError, AssertionError, ecc. Sottoclassi di
Exception:
Oltre alle eccezioni controllate e non controllate, è possibile definire sottoclassi di
Exception per gestire situazioni specifiche all’interno dell’applicazione. Queste
eccezioni personalizzate possono essere utilizzate per indicare errori specifici
all’interno dell’applicazione. Ad esempio, un’eccezione checked potrebbe
essere sollevata durante l’accesso a un file che non esiste, mentre un’eccezione
unchecked potrebbe verificarsi quando si tenta di accedere a un’area di memoria
non inizializzata. Gli errori, d’altra parte, potrebbero verificarsi a causa di prob-
lemi di sistema o di runtime irrecuperabili, come un’esaurimento della memoria.
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Arraylist,arraylink, arraydeque
ArrayList, ArrayLink, e ArrayDeque sono tutte implementazioni della strut-
tura dati lista in Java. Ognuna di esse ha caratteristiche e comportamenti
leggermente diversi, che le rendono adatte a differenti situazioni d’uso.
ArrayList:
ArrayList è un’implementazione di base dell’interfaccia List che utilizza un
array per memorizzare gli elementi. È dinamico nella dimensione, il che sig-
nifica che può espandersi automaticamente all’aumentare del numero di elementi.
L’accesso casuale agli elementi è molto efficiente, poiché si basa sull’indice.
L’inserimento e la rimozione di elementi all’inizio o nel mezzo dell’array pos-
sono essere costosi in termini di prestazioni, poiché richiedono la spostamento
degli elementi successivi. È molto adatto per l’accesso casuale e per l’aggiunta
o la rimozione di elementi alla fine della lista. LinkedList:
LinkedList implementa l’interfaccia List utilizzando una lista concatenata
invece di un array. L’accesso casuale agli elementi è meno efficiente
rispetto all’ArrayList, poiché richiede la navigazione attraverso i nodi della
lista. L’inserimento e la rimozione di elementi sono più efficienti rispetto
all’ArrayList, specialmente all’inizio o nel mezzo della lista, poiché non
richiedono la riallocazione degli elementi. È molto adatto per l’inserimento o la
rimozione frequente di elementi in varie posizioni della lista. ArrayDeque:
ArrayDeque implementa l’interfaccia Deque utilizzando un array dinamico
per memorizzare gli elementi. È una double-ended queue, il che significa che
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supporta l’inserimento e la rimozione efficiente di elementi sia dalla testa che
dalla coda della coda. L’accesso casuale agli elementi è efficiente, ma meno di
ArrayList poiché non è basato su un array. È molto adatto per le situazioni
in cui sono richieste operazioni di inserimento e rimozione frequenti sia dalla
testa che dalla coda della coda, senza dover spostare gli elementi. In sintesi,
la scelta tra ArrayList, LinkedList, e ArrayDeque dipende dalle specifiche
esigenze dell’applicazione. Se hai bisogno di un accesso casuale efficiente e di
aggiungere o rimuovere elementi principalmente dalla fine della lista, ArrayList
potrebbe essere la scelta migliore. Se hai bisogno di inserire o rimuovere fre-
quentemente elementi in varie posizioni della lista, LinkedList potrebbe essere
più adatto. Se hai bisogno di una double-ended queue con operazioni effici-
enti sia dalla testa che dalla coda, ArrayDeque potrebbe essere la scelta migliore.
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Java collections Framework, la struttura del framework
Il Java Collections Framework (JCF) fornisce un’architettura unificata per rap-
presentare e manipolare collezioni di oggetti in Java. Questo framework offre
un insieme di interfacce, implementazioni di classi e algoritmi per lavorare con
dati aggregati, come liste, insiemi e mappe, in modo efficiente e sicuro.
La struttura del Java Collections Framework si basa su diverse componenti
principali:
Interfacce: Le interfacce definiscono i tipi di dati astratti per le diverse strutture
di dati. Le principali interfacce nel JCF includono:
Collection: Rappresenta una collezione di oggetti, che può essere una lista, un in-
sieme o una mappa. Estende l’interfaccia Iterable e fornisce metodi per manipo-
lare e accedere agli elementi della collezione. List: Rappresenta una sequenza
ordinata di elementi, consentendo l’accesso tramite un indice. Implementazioni
comuni includono ArrayList e LinkedList. Set: Rappresenta un insieme di el-
ementi unici, senza duplicati. Implementazioni comuni includono HashSet e
TreeSet. Map: Rappresenta una mappatura di chiavi univoche a valori. Imple-
mentazioni comuni includono HashMap e TreeMap. Altre interfacce includono
Deque, Queue, SortedSet, SortedMap, ecc. Implementazioni: Le implemen-
tazioni forniscono le concrete strutture di dati che rispettano le specifiche delle
interfacce. Ad esempio, ArrayList, HashSet, HashMap sono tutte implemen-
tazioni di classi che soddisfano le interfacce List, Set, e Map, rispettivamente.
Algoritmi di utilità: Il JCF fornisce anche una serie di algoritmi predefiniti per
lavorare con le collezioni. Questi includono algoritmi di ordinamento, ricerca,
copia, miscelazione, confronto, ecc. Questi algoritmi sono forniti principalmente
dalla classe Collections per le collezioni e dalla classe Arrays per gli array.
Classi ausiliarie: Il framework fornisce anche alcune classi ausiliarie per sempli-
ficare l’utilizzo delle collezioni, come Collections, Arrays, Comparator, Iterator,
ListIterator, ecc.
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La struttura del Java Collections Framework è progettata per essere estensi-
bile e modulare, consentendo agli sviluppatori di creare e utilizzare diverse
implementazioni delle collezioni in modo trasparente e efficiente. Questo frame-
work fornisce un’ampia gamma di strutture di dati e algoritmi che possono
essere utilizzati per risolvere una vasta gamma di problemi di programmazione.
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Innnerclass & Hash set
1.Le inner class (classi interne) in Java sono classi definite all’interno di altre
classi. Esse possono essere statiche o non statiche. Una inner class non statica
ha accesso ai membri della classe esterna, incluso quelli privati, mentre una inner
class statica può accedere solo ai membri statici della classe esterna. Le inner
class consentono di organizzare il codice in modo più logico e possono essere
utili per mantenere l’incapsulamento e la coesione del codice.
Ad esempio, considera la seguente classe che contiene una inner class: public
class OuterClass { private int outerField;
public OuterClass(int outerField) { this.outerField = outerField; }
public void outerMethod() { InnerClass inner = new InnerClass(); in-
ner.innerMethod(); }
class InnerClass { public void innerMethod() { System.out.println(”Accessing
outer field: ” + outerField); } } } In questo esempio, OuterClass contiene una
inner class chiamata InnerClass. All’interno del metodo outerMethod() della
classe esterna, viene istanziata un’istanza della inner class e viene chiamato il
metodo innerMethod(). La inner class InnerClass ha accesso al campo outer-
Field della classe esterna.
2.Passando al HashSet, è una delle implementazioni dell’interfaccia Set nel Java
Collections Framework. Rappresenta un insieme non ordinato di elementi unici.
Utilizza una struttura dati di hash table per memorizzare gli elementi, il che
significa che offre un accesso rapido e efficiente agli elementi e garantisce che
non ci siano duplicati all’interno dell’insieme.
Ecco un esempio di utilizzo di HashSet: import java.util.HashSet;
public class HashSetExample { public static void main(String[] args) { Hash-
Set<String> set = new HashSet<>();
// Aggiungere elementi all’HashSet set.add(”apple”); set.add(”banana”);
set.add(”orange”); set.add(”apple”); // Non viene aggiunto, poiché ”apple” è
già presente nell’HashSet
// Stampa l’HashSet System.out.println(”HashSet: ” + set);
// Verifica se un elemento è presente nell’HashSet System.out.println(”Is ’ba-
nana’ present? ” + set.contains(”banana”));
// Rimuove un elemento dall’HashSet set.remove(”orange”);
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// Stampa l’HashSet aggiornato System.out.println(”Updated HashSet: ” +
set); } } In questo esempio, vengono aggiunti alcuni elementi all’HashSet
utilizzando il metodo add(). Poiché gli HashSet non accettano dupli-
cati, quando viene aggiunto un elemento che è già presente nell’insieme,
esso non viene aggiunto di nuovo. Viene poi verificato se l’elemento
”banana” è presente nell’HashSet utilizzando il metodo contains(), e in-
fine viene rimosso l’elemento ”orange” utilizzando il metodo remove().
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Definizione di HTML
HTML, acronimo di HyperText Markup Language, è il linguaggio standard
utilizzato per creare e progettare pagine web. È un linguaggio di markup che
definisce la struttura e il contenuto di una pagina web utilizzando elementi e
tag.
Ecco una breve panoramica dei concetti chiave di HTML:
1.Elementi: Gli elementi sono i blocchi fondamentali di costruzione di una pagina
HTML. Ogni elemento è definito da un tag di apertura e uno di chiusura, e può
contenere testo e/o altri elementi al suo interno.
Esempio di un elemento HTML:
<p>Questo è un paragrafo.</p>
2.Tag: I tag sono le istruzioni di markup che indicano come visualizzare i diversi
elementi sulla pagina. Possono essere di apertura <tag> e di chiusura </tag>,
oppure possono essere tag autochiusi quando non hanno contenuto.
Esempio di tag di apertura e chiusura:
<h1>Questo è un titolo</h1> Esempio di tag autochiuso:
<img src=”immagine.jpg” alt=”Testo alternativo”>
3.Attributi: Gli attributi forniscono informazioni aggiuntive sugli elementi e
vengono specificati all’interno dei tag di apertura. Ad esempio, l’attributo src
specifica il percorso dell’immagine nel tag <img>.
Esempio di attributo:
<img src=”immagine.jpg” alt=”Testo alternativo”>
4.Struttura: Una pagina HTML è solitamente strutturata utilizzando gli el-
ementi <html>, <head> e <body>. Il contenuto principale della pagina è
contenuto all’interno del tag <body>.
Esempio di struttura di base di una pagina HTML:
<!DOCTYPE html> <html> <head> <title>Titolo della Pagina</title>
</head> <body> <h1>Benvenuti sulla mia Pagina Web</h1> <p>Questa è
una pagina web di esempio.</p> </body> </html>
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5.Linking e Incorporamento: HTML permette di collegare pagine web tra loro
attraverso link ipertestuali (<a>), e di incorporare media come immagini, video
e audio nelle pagine utilizzando tag specifici come <img>, <video>, <audio>.
5.In HTML, l’attributo id viene utilizzato per fornire un identificatore univoco a
un elemento della pagina web. L’id di un elemento deve essere unico all’interno
di tutto il documento HTML, il che significa che non può essere assegnato a
più di un elemento. L’id viene utilizzato principalmente per scopi di scripting
JavaScript, per collegamenti interni alla pagina (ancore) e per applicare stili
CSS specifici a elementi specifici.
6.In HTML, l’attributo class viene utilizzato per definire una o più classi per
un elemento. Le classi consentono di applicare stili CSS o comportamenti
JavaScript a uno o più elementi della pagina web. A differenza dell’attributo id,
l’attributo class non deve essere unico all’interno del documento HTML e può
essere assegnato a più elementi.
HTML è il fondamento di ogni pagina web moderna e fornisce una struttura base
per il contenuto, la formattazione e l’interazione all’interno del browser web. È
spesso utilizzato insieme a CSS (Cascading Style Sheets) per la formattazione
e il design delle pagine, e JavaScript per la logica e l’interattività aggiuntive.
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Web developer tools
Gli strumenti per sviluppatori web sono un insieme di funzionalità e strumenti in-
tegrati nei browser web che consentono agli sviluppatori di analizzare, debuggare
e modificare le pagine web durante lo sviluppo. Questi strumenti sono ampia-
mente utilizzati dai professionisti dello sviluppo web per migliorare l’efficienza
e la qualità del loro lavoro. Ecco una panoramica delle funzionalità comuni
presenti nei web developer tools dei browser più popolari, come Google Chrome,
Mozilla Firefox e Microsoft Edge:
Inspector (Ispezionatore):
Consente di esaminare la struttura HTML e CSS di una pagina web. Permette
di visualizzare e modificare il DOM (Document Object Model) e gli stili CSS in
tempo reale. Fornisce informazioni sugli attributi, gli eventi e le proprietà degli
elementi. Console:
Consente di visualizzare gli errori JavaScript, i messaggi di debug e le avvertenze
generati durante l’esecuzione di una pagina web. Permette di eseguire comandi
JavaScript direttamente nella console. Network (Rete):
Mostra le richieste di rete effettuate dalla pagina web, inclusi i dettagli delle
richieste HTTP come URL, metodi, codici di stato e tempi di caricamento.
Fornisce informazioni sulle risorse caricate, come immagini, fogli di stile, script
e altro ancora. Performance (Prestazioni):
Consente di analizzare le prestazioni di una pagina web, inclusi i tempi di cari-
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camento, il rendering e l’esecuzione di script. Fornisce grafici e dati dettagliati
sulle prestazioni della pagina. Application (Applicazione):
Fornisce informazioni sull’applicazione web, inclusi i dati di storage locale, i
cookie, i manifesti delle applicazioni progressive e altro ancora. Consente di
gestire i dati dell’applicazione, come cancellare cache e cookie. Security (Si-
curezza):
Mostra informazioni sulla sicurezza della connessione HTTPS, inclusi certificati,
protocolli e altri dettagli. Segnala potenziali problemi di sicurezza come mixed
content e risorse non sicure. Source (Sorgente):
Consente di esaminare e debuggare il codice sorgente HTML, CSS e JavaScript
di una pagina web. Fornisce funzionalità di debugging, come il settaggio di
breakpoint e la visualizzazione dello stack trace. Queste sono solo alcune delle
funzionalità più comuni presenti negli strumenti per sviluppatori web. Ogni
browser può offrire una serie di funzionalità aggiuntive o specifiche. Gli svilup-
patori web spesso utilizzano questi strumenti per ottimizzare le prestazioni,
risolvere i bug e migliorare l’esperienza utente delle loro applicazioni web.
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Definizione di SQL
SQL, acronimo di Structured Query Language, è un linguaggio di program-
mazione utilizzato per gestire e manipolare database relazionali. È uno stan-
dard industriale ampiamente utilizzato per interrogare, aggiornare e gestire dati
all’interno dei database relazionali.
Le caratteristiche principali di SQL includono:
1.Interrogazione dei dati: SQL consente di recuperare dati da un database uti-
lizzando istruzioni come SELECT. Queste istruzioni permettono di specificare
quali dati recuperare, da quali tabelle e con quali condizioni.
Esempio di interrogazione SQL:
SELECT nome, cognome FROM utenti WHERE città = ’Roma’;
2.Aggiornamento dei dati: SQL consente di aggiornare i dati esistenti all’interno
di un database utilizzando istruzioni come UPDATE. Queste istruzioni perme-
ttono di modificare i valori dei campi di una o più righe.
Esempio di aggiornamento SQL:
UPDATE utenti SET città = ’Milano’ WHERE id = 123;
3.Inserimento di dati: SQL consente di inserire nuovi dati all’interno di un
database utilizzando istruzioni come INSERT INTO. Queste istruzioni permet-
tono di aggiungere nuove righe di dati a una tabella.
Esempio di inserimento SQL:
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INSERT INTO utenti (nome, cognome, città) VALUES (’Mario’, ’Rossi’,
’Torino’);
4.Cancellazione dei dati: SQL consente di eliminare dati esistenti da un database
utilizzando istruzioni come DELETE FROM. Queste istruzioni permettono di
rimuovere una o più righe di dati da una tabella. (LE RIGHE RIMANGONO!
Non saranno più disponibili!).
Esempio di eliminazione SQL:
DELETE FROM utenti WHERE id = 456;
5.Definizione e gestione dello schema: SQL consente di definire la struttura di
un database utilizzando istruzioni come CREATE TABLE, ALTER TABLE, e
DROP TABLE. Queste istruzioni permettono di creare, modificare e eliminare
tabelle, colonne e vincoli di integrità.
Esempio di definizione di una tabella SQL:
CREATE TABLE utenti ( id INT PRIMARY KEY, nome VARCHAR(50), cog-
nome VARCHAR(50), città VARCHAR(50) );
SQL è un linguaggio potente e flessibile che consente agli sviluppatori e
agli amministratori di database di interagire con i database relazionali in
modo efficiente e affidabile. È ampiamente utilizzato in una vasta gamma
di applicazioni, dallo sviluppo web alla gestione di grandi sistemi aziendali.
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Modello ER, Relazioni: Many to one / one to many, one to one, Many to Many;
1NF, 2NF, 3NF
Il modello ER (Entity-Relationship) è un modello di dati utilizzato per descri-
vere concetti del mondo reale e le relazioni tra di essi in un database. Il modello
ER utilizza entità, attributi e relazioni per rappresentare i dati in modo con-
cettuale.
Le principali relazioni nel modello ER includono:
1.One-to-One (Uno a Uno):
Una relazione uno a uno si verifica quando un’istanza di un’entità è associata a
una e una sola istanza di un’altra entità. Ad esempio, un cliente può avere solo
un account utente e un account utente può appartenere solo a un cliente.
2.One-to-Many (Uno a Molti):
Una relazione uno a molti si verifica quando un’istanza di un’entità è associata
a una o più istanze di un’altra entità, ma un’istanza di quest’ultima entità è
associata a una sola istanza dell’entità precedente. Ad esempio, un autore può
avere scritto molti libri, ma ogni libro è scritto solo da un autore.
3.Many-to-One (Molti a Uno):
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Una relazione molti a uno è l’inverso della relazione uno a molti, dove più istanze
di un’entità sono associate a una sola istanza di un’altra entità. Ad esempio,
molti studenti possono appartenere a una sola classe, ma una classe può avere
molti studenti.
4.Many-to-Many (Molti a Molti):
Una relazione molti a molti si verifica quando molte istanze di un’entità sono
associate a molte istanze di un’altra entità. Ad esempio, molti studenti possono
frequentare molti corsi e molti corsi possono essere frequentati da molti studenti.
-Le normalizzazioni (1NF, 2NF, 3NF) sono tecniche utilizzate per ridurre la
ridondanza dei dati e migliorare l’integrità dei dati in un database. Le normal-
izzazioni si basano su concetti come dipendenze funzionali e eliminazione delle
anomalie.
1.Prima Forma Normale (1NF):
Una tabella è in prima forma normale se non contiene valori ripetuti in alcuna
colonna e se ogni cella contiene un solo valore. In altre parole, ogni attributo
deve contenere valori atomici, non composti.
2.Seconda Forma Normale (2NF):
Una tabella è in seconda forma normale se è in 1NF e ogni non-chiave attributo
dipende completamente dalla chiave primaria. In altre parole, non ci devono
essere dipendenze parziali della chiave primaria.
3.Terza Forma Normale (3NF):
Una tabella è in terza forma normale se è in 2NF e ogni attributo non
chiave dipende solo dalla chiave primaria e non da altri attributi non chiave.
In altre parole, non ci devono essere dipendenze transitive tra gli attributi
non chiave. Le normalizzazioni sono importanti perché aiutano a evitare
anomalie dei dati e a garantire la coerenza e l’integrità dei dati nel database.
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DQL, DML e DDL, TCL, DCL in SQL
In SQL, le operazioni possono essere suddivise in diverse categorie in base alla
loro funzione e all’interazione con i dati e lo schema del database. Le principali
categorie di operazioni in SQL includono:
1.DQL (Data Query Language):
Il linguaggio di interrogazione dei dati è utilizzato per recuperare dati da una o
più tabelle di un database. L’istruzione principale utilizzata in DQL è SELECT,
che permette di specificare quali colonne o attributi recuperare e da quali tabelle.
Esempio di DQL:
SELECT nome, cognome FROM utenti WHERE città = ’Roma’;
2.DML (Data Manipulation Language):
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Il linguaggio di manipolazione dei dati è utilizzato per aggiungere, modificare
o eliminare dati all’interno delle tabelle del database. Le principali istruzioni
DML includono INSERT, UPDATE e DELETE. Esempi di DML:
INSERT INTO utenti (nome, cognome, città) VALUES (’Mario’, ’Rossi’,
’Torino’);
UPDATE utenti SET città = ’Milano’ WHERE id = 123;
DELETE FROM utenti WHERE id = 456;
3.DDL (Data Definition Language):
Il linguaggio di definizione dei dati è utilizzato per definire la struttura del
database, come la creazione, la modifica e l’eliminazione di tabelle e altri oggetti
di database. Le principali istruzioni DDL includono CREATE, ALTER e DROP.
Esempi di DDL:
CREATE TABLE utenti ( id INT PRIMARY KEY, nome VARCHAR(50), cog-
nome VARCHAR(50), città VARCHAR(50) );
ALTER TABLE utenti ADD COLUMN email VARCHAR(100);
DROP TABLE utenti;
4.TCL (Transaction Control Language):
Il linguaggio di controllo delle transazioni è utilizzato per gestire le transazioni
all’interno del database. Le principali istruzioni TCL includono COMMIT,
ROLLBACK e SAVEPOINT. Esempi di TCL:
COMMIT;
ROLLBACK;
SAVEPOINT punto_di_salvataggio;
5.DCL (Data Control Language):
Il linguaggio di controllo dei dati è utilizzato per gestire i privilegi di accesso e la
sicurezza dei dati nel database. Le principali istruzioni DCL includono GRANT
e REVOKE. Esempi di DCL:
GRANT SELECT, INSERT ON utenti TO utente1;
REVOKE DELETE ON utenti FROM utente2; Queste categorie di operazioni
SQL forniscono un’ampia gamma di funzionalità per interrogare, manipolare,
definire, controllare e proteggere i dati all’interno di un database relazionale.
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Operatori logici e operatori di confronto in SQL. Null in SQL
In SQL, gli operatori logici e di confronto sono utilizzati per creare condizioni
nelle istruzioni di query, che vengono utilizzate per filtrare i risultati delle query
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in base a determinati criteri. Ecco una panoramica degli operatori logici e di
confronto comuni in SQL:
Operatori di Confronto:
Gli operatori di confronto sono utilizzati per confrontare due valori e deter-
minare se una determinata condizione è vera o falsa. Esempi di operatori di
confronto includono =, <> (o !=), <, <=, >, >=, BETWEEN, LIKE, IN, IS
NULL, IS NOT NULL. Ad esempio, =, <>, <, <=, >, >= sono utilizzati
per confrontare valori esatti, mentre LIKE è utilizzato per confrontare i valori
utilizzando modelli di stringhe. Operatori Logici:
Gli operatori logici sono utilizzati per combinare condizioni logiche o negare con-
dizioni esistenti. Esempi di operatori logici includono AND, OR, NOT. AND
è utilizzato per combinare più condizioni e restituire true solo se tutte le con-
dizioni sono vere. OR restituisce true se almeno una delle condizioni è vera.
NOT è utilizzato per negare una condizione. Esempio di query SQL utilizzando
operatori di confronto e logici: SELECT * FROM utenti WHERE età >= 18
AND città = ’Roma’;
SELECT * FROM ordini WHERE importo_totale BETWEEN 100 AND 500;
SELECT * FROM clienti WHERE nome LIKE ’J%’;
SELECT * FROM prodotti WHERE categoria IN (’Elettronica’, ’Abbiglia-
mento’);
SELECT * FROM dipendenti WHERE salario IS NULL;
Null in SQL è un valore speciale che indica l’assenza di un valore. Può essere
assegnato a una colonna di un record quando il valore non è noto o non
applicabile. Gli operatori IS NULL e IS NOT NULL sono utilizzati per verifi-
care se un valore è nullo o non nullo, rispettivamente. Ad esempio, WHERE
colonna IS NULL restituisce i record in cui il valore della colonna è nullo.
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JOIN, come si utilizza e quali(INNER JOIN, JOIN e WHERE, JOIN su 3 (o
più) tabelle, OUTER JOIN, UNION EXCEPT INTERSECT, CROSS JOIN )
Le clausole JOIN in SQL vengono utilizzate per combinare righe da due o più
tabelle in base a una relazione tra di esse. Ci sono diversi tipi di JOIN disponibili
in SQL, tra cui INNER JOIN, LEFT JOIN (o LEFT OUTER JOIN), RIGHT
JOIN (o RIGHT OUTER JOIN) e FULL JOIN (o FULL OUTER JOIN). Ecco
come utilizzare i JOIN e le loro varianti principali:
1.INNER JOIN:
L’INNER JOIN restituisce solo le righe che hanno una corrispondenza
in entrambe le tabelle coinvolte nella clausola JOIN. Sintassi: SELECT
t1.colonna, t2.colonna FROM tabella1 AS t1 INNER JOIN tabella2 AS t2 ON
t1.colonna_chiave = t2.colonna_chiave;
23
2.LEFT JOIN (o LEFT OUTER JOIN):
Il LEFT JOIN restituisce tutte le righe dalla tabella a sinistra e le righe cor-
rispondenti dalla tabella a destra. Se non c’è corrispondenza, vengono resti-
tuiti valori NULL per le colonne della tabella a destra. Sintassi: SELECT
t1.colonna, t2.colonna FROM tabella1 AS t1 LEFT JOIN tabella2 AS t2 ON
t1.colonna_chiave = t2.colonna_chiave;
3.RIGHT JOIN (o RIGHT OUTER JOIN): Il RIGHT JOIN è simile al
LEFT JOIN, ma restituisce tutte le righe dalla tabella a destra e le righe cor-
rispondenti dalla tabella a sinistra. Sintassi: SELECT t1.colonna, t2.colonna
FROM tabella1 AS t1 RIGHT JOIN tabella2 AS t2 ON t1.colonna_chiave =
t2.colonna_chiave;
4.FULL JOIN (o FULL OUTER JOIN):
Il FULL JOIN restituisce tutte le righe quando c’è una corrispondenza
in una delle tabelle. Se non ci sono corrispondenze, restituisce valori
NULL per le colonne delle tabelle non corrispondenti. Sintassi: SELECT
t1.colonna, t2.colonna FROM tabella1 AS t1 FULL JOIN tabella2 AS t2 ON
t1.colonna_chiave = t2.colonna_chiave;
5.JOIN su 3 (o più) tabelle:
È possibile eseguire JOIN su più di due tabelle combinando più clausole JOIN.
Sintassi: SELECT t1.colonna, t2.colonna, t3.colonna FROM tabella1 AS t1 IN-
NER JOIN tabella2 AS t2 ON t1.colonna_chiave = t2.colonna_chiave INNER
JOIN tabella3 AS t3 ON t2.colonna_chiave = t3.colonna_chiave;
6.UNION, EXCEPT, INTERSECT:
UNION viene utilizzato per combinare i risultati di due o più query in un’unica
tabella di risultati. EXCEPT restituisce tutte le righe presenti nel primo set di
risultati, ma non nel secondo. INTERSECT restituisce solo le righe presenti in
entrambi i set di risultati. Sintassi: SELECT colonna FROM tabella1 UNION
SELECT colonna FROM tabella2;
SELECT colonna FROM tabella1 EXCEPT SELECT colonna FROM tabella2;
SELECT colonna FROM tabella1 INTERSECT SELECT colonna FROM
tabella2;
7.CROSS JOIN:
Il CROSS JOIN restituisce il prodotto cartesiano delle righe delle due tabelle
coinvolte nella JOIN, cioè tutte le combinazioni possibili delle righe. Sintassi:
SELECT t1.colonna, t2.colonna FROM tabella1 AS t1 CROSS JOIN tabella2
AS t2; _____________________________________________________________
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SQL – Aggregati / Subquery, Funzioni aggregate, GROUP BY, HAVING,
Subquery
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Le funzioni aggregate in SQL sono utilizzate per eseguire operazioni sui dati
all’interno di un insieme di righe, restituendo un singolo valore di risultato. Le
funzioni aggregate più comuni includono COUNT, SUM, AVG, MAX e MIN.
Ecco come utilizzare le funzioni aggregate insieme a GROUP BY, HAVING e
subquery:
1.GROUP BY:
La clausola GROUP BY viene utilizzata per raggruppare le righe di un risul-
tato di query in base ai valori di una o più colonne. È spesso utilizzata in com-
binazione con le funzioni aggregate per calcolare valori aggregati per ciascun
gruppo. Sintassi: SELECT colonna_aggregata, funzione_aggregata(colonna)
FROM tabella GROUP BY colonna_aggregata;
2.HAVING:
La clausola HAVING viene utilizzata per applicare condizioni ai risultati di
una query aggregata, dopo che la clausola GROUP BY è stata applicata.
Consente di filtrare i risultati in base ai valori aggregati. Sintassi: SELECT
colonna_aggregata, funzione_aggregata(colonna) FROM tabella GROUP BY
colonna_aggregata HAVING condizione;
3.Funzioni Aggregate:
Le funzioni aggregate vengono utilizzate per calcolare valori aggregati
all’interno di un gruppo di righe. Alcune delle funzioni aggregate comuni
includono COUNT, SUM, AVG, MAX e MIN. Esempi: SELECT COUNT(*)
FROM tabella;
SELECT SUM(colonna_numerica) FROM tabella;
SELECT AVG(colonna_numerica) FROM tabella;
4.Subquery:
Una subquery è una query innestata all’interno di un’altra query. Può essere
utilizzata in varie parti di una query, come nella clausola SELECT, FROM,
WHERE o HAVING. È spesso utilizzata per eseguire operazioni complesse o fil-
traggi basati su risultati di query annidate. Esempio: SELECT colonna FROM
tabella WHERE colonna IN (SELECT altra_colonna FROM altra_tabella
WHERE condizione);
In generale, le funzioni aggregate, GROUP BY, HAVING e subquery sono
strumenti potenti per analizzare e manipolare dati in SQL. Consentono di
eseguire operazioni complesse sui dati e di ottenere informazioni significative dai
database. __________________________________________________________
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JDBC: definizione, connection:DriverManager getConnection(),DataSource,
statement: executeUpdate() e executeQuery()
JDBC, acronimo di Java Database Connectivity, è una API Java utilizzata per
interagire con i database relazionali. Consente agli sviluppatori Java di eseguire
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operazioni di interrogazione, aggiornamento e gestione dei dati all’interno di un
database utilizzando il linguaggio Java.
Ecco una panoramica delle principali componenti e metodi utilizzati in JDBC:
1.Connection (Connessione):
La connessione JDBC rappresenta una sessione attiva con il database. Viene
utilizzata per stabilire e gestire la connessione al database, eseguire query e
transazioni. Il metodo principale per ottenere una connessione è DriverMan-
ager.getConnection(url, username, password). Esempio:
Connection conn = DriverManager.getConnection(”jdbc:mysql://localhost:3306/nomedatabase”,
”username”, ”password”);
2.DataSource:
Il DataSource è un’interfaccia che fornisce una connessione al database. È più
flessibile rispetto a DriverManager in quanto consente di configurare e gestire
le connessioni in un pool di connessioni. È spesso utilizzato in applicazioni
enterprise per gestire le connessioni al database in modo efficiente. Esempio:
DataSource dataSource = // Creazione e configurazione del DataSource Con-
nection conn = dataSource.getConnection();
3.Statement:
Lo Statement JDBC viene utilizzato per inviare comandi SQL al database e
recuperare i risultati. Ci sono tre tipi principali di statement: Statement, Pre-
paredStatement e CallableStatement. executeUpdate() viene utilizzato per es-
eguire comandi SQL che modificano i dati nel database, come INSERT, UP-
DATE, DELETE. executeQuery() viene utilizzato per eseguire comandi SQL
che recuperano dati dal database, come SELECT. Esempi:
Statement stmt = conn.createStatement(); int rowsAffected = stmt.executeUpdate(”INSERT
INTO tabella (colonna1, colonna2) VALUES (’valore1’, ’valore2’)”);
ResultSet rs = stmt.executeQuery(”SELECT * FROM tabella”);
4.ResultSet:
Il ResultSet rappresenta il risultato di una query SQL. Contiene i dati restituiti
dalla query, che possono essere iterati per accedere ai singoli record e alle relative
colonne. È utilizzato insieme agli statement per recuperare e manipolare i dati
restituiti dalle query. Esempio:
ResultSet rs = stmt.executeQuery(”SELECT * FROM tabella”); while
(rs.next()) { String valore = rs.getString(”nome_colonna”); // Manipolazione
dei dati }
Questi sono solo alcuni dei concetti fondamentali di JDBC e dei metodi
principali utilizzati per interagire con i database relazionali utilizzando Java.
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Le servlet e le JSP (JavaServer Pages) sono entrambe tecnologie utilizzate per
lo sviluppo di applicazioni Web in Java, ma hanno scopi leggermente diversi e
lavorano a livelli differenti all’interno dell’applicazione.
1. Servlet:
Una servlet è una classe Java che estende le funzionalità di un server Web
per generare dinamicamente contenuti Web. Le servlet operano a basso livello,
gestendo direttamente le richieste HTTP e generando le risposte HTTP. Una
servlet è un controller nel modello MVC (Model-View-Controller) per le appli-
cazioni Web Java. Gestisce la logica di business e interagisce direttamente con
il modello dei dati e le risorse del backend. Le servlet sono potenti e flessibili,
ma richiedono di scrivere una quantità significativa di codice Java per gestire la
generazione delle risposte HTML.
2. JSP (JavaServer Pages):
Una JSP è una pagina Web che contiene del codice Java e può essere eseguita
da un server Web compatibile con Java. Le JSP sono progettate per sempli-
ficare la creazione di pagine Web dinamiche, consentendo agli sviluppatori di
incorporare direttamente del codice Java all’interno del markup HTML. Le JSP
operano a un livello più alto rispetto alle servlet e sono orientate principalmente
alla presentazione dei dati. Le JSP possono includere frammenti di codice Java
(chiamati scriptlet) per eseguire operazioni dinamiche durante la generazione
della pagina, ma è consigliabile mantenere la logica di business separata dalla
presentazione utilizzando il modello MVC. L’Expression Language (EL) in
JavaServer Pages (JSP) è un linguaggio di espressione utilizzato per accedere
ai dati memorizzati all’interno di un’applicazione web Java e per manipolare
tali dati direttamente nelle pagine JSP. EL fornisce una sintassi semplice e
concisa per accedere e manipolare oggetti Java, attributi di richiesta, sessione
e applicazione, nonché parametri della richiesta. In breve, le servlet gestiscono
la logica di backend e la generazione delle risposte HTTP, mentre le JSP
sono principalmente utilizzate per la visualizzazione dei dati e la generazione
del markup HTML. In pratica, spesso si utilizzano entrambe le tecnologie
all’interno di un’applicazione Web Java, sfruttando le loro rispettive forze e
ruoli._____________________________________________________________
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Sviluppo Applicazione Web Java: https://www.crio.do/blog/understand-mvc-
architecture/ MODELLO MVC (MODEL - VIEW - CONTROLLER)
1. Client:
Il client è l’entità che invia richieste HTTP a un server per ottenere contenuti o
eseguire azioni. Può essere un browser Web, un’applicazione mobile o un altro
tipo di software che può fare richieste HTTP.
2.Server Tomcat:
Tomcat è un server Web Java open-source che funge da servlet container, ovvero
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un ambiente in cui le servlet possono essere eseguite. Gestisce le richieste HTTP
dai client e le inoltra alle servlet o alle JSP per l’elaborazione.
3. Servlet:
Una servlet è una classe Java che estende le funzionalità di un server Web per
generare dinamicamente contenuti Web. Gestisce le richieste HTTP, interagisce
con il modello dei dati e genera risposte HTTP.
4. JSP (JavaServer Pages):
Una JSP è una pagina Web che contiene del codice Java e può essere eseguita
da un server Web compatibile con Java. Sono utilizzate principalmente per la
visualizzazione dei dati e la generazione del markup HTML.
5. JDBC (Java Database Connectivity):
JDBC è un’API Java per l’accesso ai database relazionali. Consente alle servlet
e alle JSP di interagire con un database SQL per recuperare, inserire, aggiornare
o eliminare dati in base alle richieste del cliente.
6. Modello MVC (Model-View-Controller):
Il Modello MVC è un design pattern architetturale comunemente utilizzato nelle
applicazioni Web Java. Divide l’applicazione in tre componenti principali: Mod-
ello (Model): Rappresenta i dati e la logica di business dell’applicazione. Vista
(View): Rappresenta l’interfaccia utente, come le pagine JSP che mostrano i
dati agli utenti. Controller: Gestisce le richieste degli utenti, interagendo con il
modello per ottenere i dati e selezionando la vista corretta da mostrare.
In sintesi, l’applicazione Web Java si basa su servlet e JSP eseguite su
un server Tomcat, con la possibilità di interagire con un database SQL
utilizzando JDBC. Il modello MVC aiuta a organizzare l’applicazione in
modo modulare e separato, facilitando la manutenzione e lo sviluppo.
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MODELLO DAO (DATA ACCESS OBJECT)
Il modello DAO (Data Access Object) è un design pattern utilizzato nell’ambito
dello sviluppo software per separare la logica di accesso ai dati dalla logica
di business dell’applicazione. Il suo obiettivo principale è quello di fornire
un’interfaccia uniforme per interagire con una o più fonti di dati, come un
database, un file di testo o un servizio Web, isolando il codice di accesso ai dati
e facilitando la manutenzione e l’estendibilità del sistema.
1. Interfaccia DAO:
Si definisce un’interfaccia DAO che espone i metodi necessari per interagire con
i dati, come ad esempio metodi per recuperare, inserire, aggiornare ed elim-
inare dati. Questa interfaccia definisce il contratto che tutte le classi DAO
dovranno implementare, garantendo coerenza nell’accesso ai dati indipendente-
mente dall’implementazione specifica.
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2. Implementazione del DAO:
Si creano classi DAO concrete che implementano l’interfaccia DAO. Ogni classe
DAO si occupa di interagire con una specifica fonte di dati, come un database.
All’interno di ciascuna classe DAO, vengono implementati i metodi definiti
nell’interfaccia per eseguire operazioni CRUD (Create, Read, Update, Delete)
sui dati.
3. Separazione della logica di accesso ai dati:
La logica di accesso ai dati viene separata dalla logica di business
dell’applicazione. Le classi DAO si occupano esclusivamente di accedere
e manipolare i dati, mentre la logica di business si concentra su operazioni più
complesse che coinvolgono i dati.
4. Riduzione della dipendenza dalle fonti di dati:
Utilizzando il modello DAO, è possibile ridurre la dipendenza dell’applicazione
da una specifica tecnologia o fonte di dati. Ad esempio, è possibile cambiare il
tipo di database senza dover modificare la logica di business dell’applicazione.
5. Facilità di testing:
La separazione della logica di accesso ai dati consente di testare facilmente la
logica di business dell’applicazione senza dover coinvolgere effettivamente una
fonte di dati esterna. Si possono creare mock o simulazioni dei DAO per eseguire
test di unità in modo efficiente. In sintesi, il modello DAO offre un’astrazione
dell’accesso ai dati, separando la logica di accesso ai dati dalla logica di busi-
ness dell’applicazione e fornendo un’interfaccia comune per interagire con i dati,
migliorando la manutenibilità, l’estendibilità e la testabilità del sistema.
--Il DAO (Data Access Object) in sé non implementa direttamente JSP, servlet,
Java o SQL, ma è piuttosto una componente dell’architettura dell’applicazione
che si occupa dell’accesso ai dati. Tuttavia, il DAO può essere utilizzato in
combinazione con queste tecnologie per integrare la logica di accesso ai dati
all’interno dell’applicazione Web. Ecco come il DAO può interagire con JSP,
servlet, Java e SQL:
1. JSP e Servlet:
Le JSP (JavaServer Pages) e le servlet sono utilizzate per creare l’interfaccia
utente e gestire le richieste HTTP all’interno dell’applicazione Web. Il DAO
può essere utilizzato all’interno delle servlet o delle JSP per accedere ai dati e
fornire le informazioni necessarie per generare la risposta da restituire al client.
Ad esempio, all’interno di una servlet, si potrebbe utilizzare un’istanza di un
DAO per recuperare i dati dal database e passarli alla JSP per la visualizzazione.
2. Java:
Il DAO è implementato in Java e fornisce metodi per eseguire operazioni CRUD
(Create, Read, Update, Delete) sui dati. Utilizzando le classi e le API di
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JDBC (Java Database Connectivity), il DAO può interagire direttamente con il
database per eseguire query, inserimenti, aggiornamenti e eliminazioni di dati.
3. SQL:
Anche se il DAO stesso non implementa SQL, utilizza il linguaggio SQL per
comunicare con il database. All’interno delle implementazioni dei metodi DAO,
vengono scritte e eseguite query SQL per recuperare, inserire, aggiornare ed
eliminare dati dal database. Ad esempio, all’interno di un metodo retrieve-
Data() di un DAO, si potrebbe scrivere e eseguire una query SQL per recuperare
i dati richiesti dal database. In sintesi, il DAO funge da ponte tra la logica
di business dell’applicazione e il database, fornendo un’interfaccia comune per
accedere ai dati indipendentemente dalle tecnologie utilizzate per l’interfaccia
utente (JSP, servlet), la logica di controllo (Java) e la gestione del database
(SQL). Utilizzando il DAO, è possibile separare la logica di accesso ai dati dal
resto dell’applicazione, migliorando la manutenibilità e l’estensibilità del sistema.
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Ecco come il pattern Model-View-Controller (MVC) può essere implementato
in un’applicazione web utilizzando le tecnologie che hai menzionato: client,
HTML, DAO, JDBC, JSP, server SQL (Tomcat JEE) e database.
1. Client:
Il client è l’utente finale che utilizza l’applicazione web attraverso un browser.
Invia richieste HTTP al server e visualizza le risposte ricevute.
2. HTML (View):
Le pagine HTML costituiscono la vista dell’applicazione web. Contengono la
struttura e il layout delle pagine visualizzate dall’utente. Le pagine HTML
possono includere elementi dinamici generati da JSP, che verranno compilati
lato server prima di essere inviati al client.
3. Servlet (Controller):
Le servlet fungono da controller nell’architettura MVC. Gestiscono le richieste
HTTP provenienti dal client e coordinano la logica dell’applicazione. Quando
una richiesta HTTP arriva al server, una servlet può essere chiamata per gestirla.
Questa servlet può poi interagire con il modello (tramite il DAO) per ottenere o
aggiornare i dati necessari, e quindi instradare i risultati alla vista appropriata
(HTML/JSP) per la visualizzazione.
4. DAO (Model):
Il DAO rappresenta il modello nell’architettura MVC. Fornisce un’interfaccia
per accedere ai dati dal database e nasconde i dettagli dell’implementazione
della persistenza dei dati. Utilizzando JDBC, il DAO si connette al database
SQL e esegue le query necessarie per recuperare, aggiornare, inserire o eliminare
dati. Il DAO può essere utilizzato all’interno delle servlet per accedere ai dati
richiesti e quindi fornirli alla vista per la visualizzazione.
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5. JDBC:
JDBC (Java Database Connectivity) è utilizzato dal DAO per comunicare con
il database SQL. Fornisce un’API Java per eseguire query e manipolare dati
all’interno di un database relazionale. Le servlet e i DAO utilizzano JDBC
per creare connessioni al database, eseguire query SQL e gestire le transazioni
quando necessario.
6. JSP (View):
Le JSP (JavaServer Pages) possono essere utilizzate per generare la vista dinam-
ica dell’applicazione web. All’interno delle JSP, è possibile inserire del codice
Java (scriptlet) per accedere ai dati provenienti dal modello (utilizzando il DAO)
e generare dinamicamente il contenuto HTML che verrà restituito al client. Le
JSP forniscono un modo conveniente per separare la logica di presentazione
(HTML) dalla logica di business e di accesso ai dati (Java).
7. Tomcat JEE (Server):
Tomcat è utilizzato come server web e servlet container per l’esecuzione
dell’applicazione web. Tomcat gestisce le richieste HTTP in arrivo dai client,
instradandole alle servlet appropriate per l’elaborazione e restituendo le risposte
generate alle richieste.
8. Database SQL:
Il database SQL è utilizzato per memorizzare i dati dell’applicazione. Può
essere qualsiasi database relazionale compatibile con JDBC, come MySQL,
PostgreSQL, Oracle, etc. All’interno del database vengono memorizzati i
dati dell’applicazione, e il DAO utilizza JDBC per accedere e manipolare
questi dati in risposta alle richieste dell’utente. In questo modo, l’architettura
MVC facilita la separazione delle responsabilità all’interno dell’applicazione
web, migliorando la manutenibilità, l’estensibilità e la testabilità del codice.
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Un design pattern, in informatica, è una soluzione generale e riusabile a un
problema comune nell’ambito dello sviluppo software. Questi pattern offrono
un approccio strutturato per risolvere problemi ricorrenti, fornendo linee guida
e migliori pratiche per progettare e implementare il codice in modo efficiente,
manutenibile e scalabile.
I design pattern sono spesso descritti attraverso una serie di elementi chiave, tra
cui:
1. Nome: Ogni design pattern ha un nome univoco che lo identifica e lo distingue
dagli altri pattern.
2. Problema: Descrive il contesto in cui il pattern può essere applicato e il
problema specifico che intende risolvere.
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3. Soluzione: Illustra il design generale e la struttura del pattern, comprese le
classi, le relazioni e i meccanismi coinvolti.
4. Conseguenze: Discute i vantaggi e gli svantaggi dell’applicazione del pattern,
oltre agli impatti sulla struttura e sul comportamento del sistema.
I design pattern sono suddivisi in varie categorie in base al loro scopo e alla loro
applicazione. Alcuni esempi di categorie di design pattern includono:
Creazionali: Forniscono un’astrazione per l’istanziazione di oggetti, consentendo
di creare nuove istanze in modo flessibile e controllato. Esempi includono Sin-
gleton, Factory Method e Abstract Factory.
Strutturali: Trattano le relazioni tra le entità software e forniscono modi per
comporre oggetti in strutture più complesse. Esempi includono Adapter, Com-
posite e Decorator.
Comportamentali: Gestiscono la comunicazione e il flusso di controllo tra gli
oggetti, definendo come gli oggetti collaborano tra loro per eseguire un compito.
Esempi includono Observer, Strategy e Template Method.
I design pattern sono strumenti potenti per gli sviluppatori software in quanto
consentono di risolvere problemi comuni in modo efficiente, evitando la necessità
di reinventare la ruota ogni volta che si affronta una sfida simile. Oltre a miglio-
rare la qualità e la manutenibilità del codice, l’uso dei design pattern può anche
facilitare la comunicazione e la comprensione tra i membri del team di sviluppo.
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DOMANDE SULLA SELECT, INSERT, DELETE, UPDATE, DDL E DML.
Nei database relazionali, i tipi di dati sono utilizzati per definire il tipo di in-
formazioni che possono essere memorizzate in una colonna di una tabella. Ogni
sistema di gestione di database (DBMS) può supportare una varietà di tipi di
dati, ma ci sono alcuni tipi comuni che si trovano nella maggior parte dei DBMS.
Di seguito sono elencati alcuni dei tipi di dati più comuni in SQL:
INTEGER / INT: Utilizzato per memorizzare numeri interi. A seconda del
DBMS, può variare in termini di dimensione (ad esempio, INT può essere di 4
byte, 2 byte, ecc.).
VARCHAR(n): Utilizzato per memorizzare stringhe di lunghezza variabile con
una lunghezza massima specificata (n). Ad esempio, VARCHAR(255) può mem-
orizzare una stringa fino a 255 caratteri.
CHAR(n): Utilizzato per memorizzare stringhe di lunghezza fissa con una
lunghezza specificata (n). Ad esempio, CHAR(10) può memorizzare una stringa
di 10 caratteri, riempiendo gli spazi vuoti se la stringa è più corta.
DECIMAL(p, s) / NUMERIC(p, s): Utilizzato per memorizzare numeri deci-
mali con una precisione specificata (p) e una scala specificata (s). La precisione
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rappresenta il numero totale di cifre nella cifra, mentre la scala rappresenta il
numero di cifre dopo il punto decimale.
DATE / TIME / TIMESTAMP: Utilizzato per memorizzare date, ora o date e
ora. DATE memorizza solo la data, TIME memorizza solo l’ora e TIMESTAMP
memorizza data e ora.
BOOLEAN / BOOL: Utilizzato per memorizzare valori booleani (vero/falso,
1/0).
BLOB: Utilizzato per memorizzare grandi oggetti binari, come immagini, audio,
video, ecc.
CLOB / TEXT: Utilizzato per memorizzare grandi quantità di testo, come
documenti di testo, articoli, ecc.
Questi sono solo alcuni esempi di tipi di dati comunemente utilizzati in
SQL. Alcuni DBMS possono anche supportare tipi di dati specializzati
per scopi specifici, come dati geospaziali, dati JSON, dati XML, ecc. È
importante consultare la documentazione specifica del DBMS utilizzato
per una lista completa dei tipi di dati supportati e le loro caratteristiche.
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