La Notte Di Israele: Rivista Italiana Di Geopolitica Rivista Italiana Di Geopolitica
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RIVISTA MENSILE - 24/10/2024 - POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, C. 1, DCB, ROMA
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Rivista mensile n. 9/2024 (settembre)
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PROGRAMMA
Ore 16.30
Sfida per l’Indo-Pacifico. Da Malacca a Taiwan. Con Hirohito Ogi,
Seth Cropsey e Wang Zichen. Modera Giorgio Cuscito Un grato saluto ai nostri lettori
Ore 18
Roma è il mare. Alle origini della marittimità italiana. Conversazione
tra Lucio Caracciolo, Luigi Capogrossi Colognesi e Nicola Piepoli
EDITORIALE
7 La saggezza di Tucidide
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AUTORI
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La saggezza di Tucidide
1. U. DEKEL, «The Risk of Sliding into a Perpetual Multi-Arena War – It Can Still Be Blocked»,
Institute for National Security Studies, n. 1898, 10/10/2024.
2. «Letter from PM Netanyahu to Our Soldiers and Commanders in the Swords of Iron War»,
Prime Minister’s Office, 3/11/2023.
3. Ivi. 7
LA SAGGEZZA DI TUCIDIDE
1 - IL NUCLEARE ISRAELIANO L I B A N O
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S I R I A
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Possibile sito di allestimento
e smaltimento di armi atomiche La g o d i
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Tel Aviv
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Centro chimico
Dimona e deposito di uranio
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Reattore nucleare
estero vicino, percepito alieno. Ma per molti ebrei israeliani i pazzi sia-
mo noi (non per i diasporici, altrimenti sarebbero a Gerusalemme).
Quel che ci pare suicidio a tappe, per i difensori in armi dello Stato
ebraico è benedizione. Si vive un giorno alla volta. La morte è dentro la
vita. L’orizzonte non esiste. Il nuovo antisemitismo eccitato dalla guerra 9
LA SAGGEZZA DI TUCIDIDE
mensile con soldi qatarini trasferiti via Mossad e servizi egiziani fosse
garanzia di tregua infinita. Tanto che nella zona del massacro restavano
di guardia esigui drappelli di giovanissime reclute, per lo più soldatesse.
Perché sprecarvi i migliori reparti, schierati in Giudea e Samaria a dispo-
sizione dei coloni? I gaziani erano presunti subumani, incapaci di sfidare
Tzahal. Pregiudizio tragicamente smentito dall’incursione di migliaia di
palestinesi a caccia di ebrei da catturare o trucidare (carta 2). La rappre-
saglia senza quartiere molto deve al dolore di una superiorità umiliata.
C’erano alternative alla strage di palestinesi che in poche settimane
ha quasi cancellato il 7 ottobre nella comunicazione pubblica del resto
del mondo, amici di Israele inclusi? Assolutamente sì. Testimoniate dagli
scontri quasi fisici nel gabinetto di guerra, domati con ammirevole ca-
parbietà da Netanyahu, senza dubbio fra i più spregiudicati e talentuo-
si politici del nostro tempo. Per esempio, si sarebbero potuti anticipare gli
assassinî mirati dei capi di Õamås e Õizbullåh, dopo aver stretto d’asse-
dio Gaza, con incursioni di commando per salvare gli ostaggi e scompa-
ginare Õamås. Salvo penetrare nel Libano meridionale per disarmare
Õizbullåh come prescritto dalla risoluzione Onu 1701 che la missione
Unifil non avrebbe mai applicato. E scatenare la guerra civile a Beirut
per scalzare il Partito di Dio. Così fratturando il corridoio imperiale per-
siano (carta a colori 2) tenendo agganciati gli Stati arabi interessati ai
patti di Abramo nella coscienza che nessuno intende morire per i pale-
stinesi, ai quali tutti applicano il dogma «usa e getta» sulla base dei ri-
spettivi interessi. Gerusalemme si sarebbe in tal modo garantita l’appog-
gio totale degli Stati Uniti, con europei a rimorchio. E avrebbe ridotto a
temporale d’agosto il diluvio mediatico anti-israeliano.
L’errore voluto di Netanyahu è stato bollare minaccia esistenziale
l’orrore del Diluvio di al-Aqâå. Nemmeno Õamås fosse per conquistare
Gerusalemme. Golda Meir, Iron Lady del laburismo eroico, confidava
che dopo l’Olocausto Israele può permettersi tutto. Bibi ne applica il mot-
to al 7 ottobre. Un tempo si sarebbe gridato al sacrilegio. Dopo che lui
stesso ha attribuito al muftì di Gerusalemme l’idea di annientare gli
ebrei, sicché Hitler ne sarebbe solo l’autore materiale, qualsiasi gioco
10 con la storia diventa lecito. Netanyahu si è dato mano libera per scate-
LA NOTTE DI ISRAELE
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al 7 ottobre 2023
Fonti: Le Monde; Reuters
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Premier Binyamin Netanyahu Ministro della Difesa Yoav Gallant Capo di Stato maggiore delle Idf Herzl Halevi
Fonte: Inss
faccia ai poliziotti di un’entità per loro blasfema. In attesa del giorno del
giudizio, ossia della sentenza della commissione d’inchiesta sul 7 ottobre
che Netanyahu promette ma non forma, visto che lo condannerebbe al
ludibrio, se non al carcere. Altro argomento a favore della guerra infinita.
Avevano visto lungo i capi di Õamås pronti a sfruttare la disunione
degli israeliani per colpirli da Gaza. Ma forse nemmeno i più scatenati
fra gli odiatori dello Stato ebraico erano disposti a considerare che Ge-
rusalemme sarebbe caduta nella trappola al punto di rinnegare i co-
mandamenti cui aveva legato il suo destino. Dai fondatori in avanti, i
suoi leader politici e militari ne avevano praticati sette.
Primo. Il «cane pazzo» può permettersi solo conflitti brevi, causa esi-
guità demografica e territoriale. L’attuale ha già strabattuto il record
della guerra di indipendenza, tra maggio 1948 e marzo 1949. Per il
resto, l’orizzonte bellico è sempre stato di settimane, se non giorni.
Secondo. Il nemico va diviso. Netanyahu l’ha invece coalizzato
aprendo finora sette fronti: Gaza, Libano, Giudea e Samaria, Siria, Iraq,
Mar Rosso (cruciale per la nostra connessione all’Oceano Indiano, via
Båb al-Mandab, carta 3 e carte a colori 3 e 4) province della Repubblica
Islamica, con cui ingaggia il duello decisivo. Tutti i fronti restano aperti
mentre Netanyahu minaccia di tagliare la testa del serpente iraniano e
chiama il «nobile popolo persiano» a rovesciare il regime dei pasdaran.
Terzo. E implicito. L’Iran non va distrutto. È il nemico perfetto. Dun-
que alleato in quanto contribuisce alla causa di Israele quale Male asso-
luto che minaccia di distruggerlo, mentre è deciso a preservare l’«entità
sionista» intorno a cui stringere la catena dell’odio islamico e del revan-
scismo arabo-palestinese. E naturalmente viceversa. Manipolazioni sim-
metriche forse scadute dopo il 7 ottobre e i reciproci attacchi diretti sul
suolo avversario, in una spirale che può finire fuori controllo malgrado le
intenzioni di chi l’ha finora gestita. Oggi persino i sauditi escludono che i
patti di Abramo siano praticabili, in attesa che la tempesta si calmi e Isra-
ele inventi uno stratagemma per salvare la finzione dello staterello palesti-
nese (carta a colori 5).
14 7. Limes, 3/2023, «Israele contro Israele».
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più di mille palestinesi. Come nel caso di Gilad Shalit. Per il quale Israe-
le aveva liberato Yaõyå Sinwår, futuro architetto del 7 ottobre e capo di
Õamås a Gaza. Forte di questa e altre lezioni, Netanyahu ha allestito un
teatro di finti negoziati asseritamente destinati a liberare gli ostaggi in
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Mappa a cura di Clarence Larkin, contenuta nel libro The Book of Revelation: A Study of the Last Prophetic Book of Holy
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Scripture, basata su riferimenti biblici (Genesi, 15: 18-21) e su interviste dell’autore con gli abitanti della zona (1919).
LA NOTTE DI ISRAELE
3:8). Dallo spazio fra Nilo ed Eufrate – oggi dall’Egitto all’Iraq – con vi-
sta su Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico, nello stesso Genesi (17:8)
si precipita all’intimità della terra di Canaan, intesa tra Dan, presso le
Alture del Golan, e Beer Sheva, deserto del Negev. Meno dell’Israele pro-
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9. Per approfondire, cfr. P. PINCHAS PUNTURELLO, «I confini di Israele secondo la Bibbia», Limes,
10/15, «Israele e il Libro», pp. 69-76,
10. Così nel documentario di Arte «Israel, extremists in power», YouTube. 19
LA SAGGEZZA DI TUCIDIDE
Londra
1917 d.C.
Bisanzio
Costantinopoli
324 d.C. e 629 d.C. Mar
Roma 1517 d.C. Caspio
63 a.C. Pella 323 a.C.
Antiochia
198 a.C.
Aleppo 1249 d.C.
Mar Mediterraneo Damasco 660 d.C. Baghdad 750 a.C.
GERUSALEMME
Babilonia 587 a.C.
Susa 539 a.C.
Alessandria 320 a.C. Kerak 1239 d.C.
Il Cairo 878 d.C., 1098
1260 d.C. ol
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Tebe 320 a.C.
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Confini attuali
12. J. TACCHI, Z. AL-QATTAN, E. NADER, M. CASSEL, «Extremist settlers rapidly seizing West Bank
land», Bbc Eye Investigations, 3/9/2024.
13. «Stemming Israeli Settler Violence at Its Root», International Crisis Group, 6/9/2024.
14. Cfr. M. ZONSZEIN, «Israel’s Hidden War», Foreign Affairs, 15/10/2024. 21
LA SAGGEZZA DI TUCIDIDE
15. Cfr. J. ABUSALIM, «The Elephant in the Room: Addressing the Ignored Reality in Israeli
Protests», The Jerusalem Fund, 10/8/2023.
16. «“There Is an Apartheid State Here”: Ex-Mossad Chief on Israel’s West Bank Occupa-
22 tion», Haaretz, 6/9/2023.
LA NOTTE DI ISRAELE
19. Cfr. E. HAZAN, «Quella “Nakba ebraica” del tutto dimenticata. Fino a oggi», Israel Hayom,
28/11/2013, tradotto in www.israele.net, 8/2/2013.
20. Cfr. A. SHILON, «The Jabotinsky Paradox», Mosaic Magazine, 2/8/2021, cui ci rifacciamo
24 per la sua originale ricostruzione della parabola di «Jabo».
1 - LA TERRA D’ISRAELE
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Fonte: «Terra di Israele. Questo è il paese che apparterrà a voi», Keren Kayemet LeYisrael, Gerusalemme 1936
2 - L’IMPERO PERSIANO E I SUOI RUSS A
FED.NEMICI KIRGHIZISTAN
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(perno del corridoio
LIB IA ISRAELE imperiale)
AFGHANISTAN
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Area sotto il controllo KUWAIT Possibile
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governativo Pe blocco
r sic di Hormuz Corridoio imperiale
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Esercito turco e miliziani BAHREIN
antiregime tra cui jihadisti 4 Sfera d’influenza iraniana
QATAR Dubai
Area sotto il controllo Paesi pseudo-amici
delle Forze democratiche Export di petrolio
siriane (Sdf) curde Abu Dhabi verso la Cina Aree di speciale influenza iraniana
Riyad E.A .U. Mascate (oltre il 90%
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Iraq centro-meridionale
Aree sotto controllo del totale)
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dello Stato Islamico
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NEMICI DELL’IMPERO Yemen del Nord (hūtī)
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Esercito turco
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Area sotto controllo Usa sciita in Arabia Saudita
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Asse anti-iraniano
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ISRAELE
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Hafar al-Bātin fo Autostrada e ferrovia
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al-Dammām o Progetti alternativi
Mīnā’ Salmān Dubai al Canale di Suez
Medina
Ğabal ‘Alī BEN GURION
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Riyad Abu Dhabi SOUTHERN GATE
-74%
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Gedda Aeroporto (esistente)
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SU DAN AR ABI A S AU DI TA O MAN EGITTO Ilan e Asaf Ramon
La Mecca
O
Eilat
Porto di Eilat Progetto di un canale
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Yemen (divisioni interne) in bancarotta di accesso per il porto
O
a causa degli nell’entroterra e per
Forze hūtī Porto Salāla attacchi hūtī l’area di movimentazione
-50% delle navi
Forze affiliate al governo yemenita
Forze di resistenza nazionale Tareq Saleh YEM EN Crisi del Mar Rosso
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Forze hūtī
Forze di resistenza nazionale Tareq Saleh
Suyūl Ḥanīš
Haykūk Forze affiliate Stc
Arbitrato del al-Qaī(dā (Aqap)
17 dicembre 1999
Muḥabbaka Eritrea/Yemen
M a r R o s s o al-Muhā
˘
al-Muhā
Isole Fāṭma
’Asab Zona di
(Porto utilizzato separazione
sporadicamente dall’Iran) Dubāb
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Aden
Barīm
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Isole
al-Sawābi‘
★
★
★ ‘Aybāt
Base militare italiana Sa‘d al-dīn Il porto di Gibuti figura al 26°
di supporto posto nella classifica globale
Amedeo Guillet dell’Indice Cppi 2022 e al 3°
posto per quanto riguarda il
Basi militari Usa, Italia, Giappone, Zayla‘ continente africano, dopo Tanger
Francia, Germania, Spagna, Med (Marocco) e Porto Said
★
★
★
★
Regno Unito e Cina (Egitto). È un porto
SO M A LI LA ND
★
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USA KUWAIT FED. RUSSA
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Triangolo co Leg
negoziale SIRIA
BAHREIN
(Usa-Israele-Arabia S.) TURCHIA IRAN
PAESI PER QATAR
Forte legame commerciale CINA
APPROVVIGIONAMENTO
Riyad
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DEI MINERALI E.A.U.
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Prince Sultan e in
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A R A B I A S A U D I T A
NAMIBIA Relazioni da sempre
S U D A N tese ma in ripresa
per la sicurezza
PRIORITÀ STRATEGICHE collettiva regionale
DELL’ARABIA SAUDITA YEMEN
Mar Rosso - hūtī
. - - Golfo di Aden Y E M E N Forze hūtī
. -
Negato supporto logistico e militare ERITREA Hūtī
. - Forze affiliate
agli Usa per l’attacco contro gli hūtī
. - al governo yemenita
Socotra
Prevenire attacchi transfrontalieri e n (Yemen) Forze di resistenza
ETIOPIA nazionale Tareq Saleh
degli hūtī
. - con l’obiettivo di un A d
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Kdumim Nāblus
Qalqīliyya Argaman
Mekhora
Linea verde
Huwwāra
G I O R D A N I A
Muro costruito
Ariel
Muro in costruzione Salfīt Ma‘ale
Efraym
Petzael
Città Vecchia (Gerusalemme)
Fiume Giordano
Municipalità Netiv
di Gerusalemme HaGdud
Beit El Ofra Yitav
I S R A E L E Rimmonim
Rāmallāh
Modi‘in
‘Illit
Gerico
Area israeliana
Zona edificata Mizpe
Yericho
Area municipalizzata
GERUSALEMME Almog
Area C Ma‘ale
Pieno controllo israeliano per la sicurezza, Adumim
pianificazione e costruzione Gilo
Betlemme
Zone chiuse (zone di fuoco)
Aree chiuse esistenti e progettate dietro Beitar ‘Illit Nokdim
la barriera. L’accesso è limitato
ai possessori di permesso Sūrīf
Basi militari israeliane Bayt Fağğār
Bayt Awlā Ma‘ale
Nokdim Halhūl ‘Amos
Nomi località israeliane al-Halīl
Kiryat Arba Mar Morto
Beit Yatir
O
Campi profughi palestinesi
E
NORD 3083 Ras Ba‘labakk
N
Rilievi in Libano
3000 A
R
1000 O
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Attacchi israeliani
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Attacchi Hizbullāh S I R I A
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(razzi, missili e droni) ra
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Bint Gubayl Shmona Nāqūra
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1-3
1-3
Blu Alture
Linea Blu
1
2a
del
Ma’alot-Tarshiha Golan ISRAELE
Acri
Attacchi israeliani:
Haifa Quartier generale di Nāqūra
Base 1-31 (Italia)
Base 1-32a (Italia)
Tiberiade Base 5-42 (Ghana)
GALILEA Danni:
Stime economiche devono ancora essere prodotte
Basi 1-31 e 1-32a: Abbattuti muri perimetrali di cemento (T-wall)
Attacco drone I S R A E L E Base 1-31: Disabilitate antenne di comunicazione del sistema elettronico
Base 1-32a: Distrutti un cancello, un reticolato e sistema di illuminazione
vicino a Tel Aviv Base 5-42: Sfondato un muro perimetrale
Tel Aviv Qg di Nāqūra: Spari contro due torrette di osservazione (Op-14, Op-16)
Qg di Nāqūra: Cinque peacekeeper feriti (due cingalesi e tre indonesiani)
Fonte: autori di Limes, Unifil, Unrwa, Geopolitical report, Atlante Geografico de Agostini
8 - TRA LE ROVINE DI GAZA Aree di recenti
e intensi
Zone sotto controllo israeliano
o
scontri a fuoco
e
Area intorno al corridoio Netzarim
n
Distruzione
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Valico di Rafah
a
massiccia di terreni
r
Corridoio Philadelphi agricoli e abitazioni
r
Area orientale di Rafah
e
Valico di Erez-Ovest
t
ingresso di beni
i
Corridoio Philadelphi
d
di prima necessità
e
Zona cuscinetto controllata
M
e pattugliata dalle forze israeliane
Bayt Lāhyā Valico di Erez
r
a
Strada costiera dichiarata
M
m
L or
e
Aree di infiltrazione di milizie Wadi Gaza
palestinesi attraverso i tunnel
al-Balah
l-D
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alā
.
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Valichi chiusi
mih
al-Mawasi
Zona umanitaria Muro
Fasce di sicurezza:
100 metri
Zona militare 300 metri
israeliana 1.000 metri
Hān Yūnis
Corridoio Netzarim
Passaggio lungo 4 miglia (6,5 km)
costruito dalle Forze di difesa
Rafah israeliane per scopi militari
seme deriva la centrista Tzipi Livni, già ministro degli Esteri, oggi soste-
nitrice dei due Stati che tuttavia riconosce il suo debito verso «Jabo». Al
quale in ambito Likud continua a richiamarsi l’ex presidente Reuven
Rivlin, in polemica con Netanyahu. Fautore del Grande Israele che vor-
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
21. «Former Israeli President Rivlin on Judicial Coup: “You cannot agree to half a democra-
cy”», Haaretz, 20/5/2023.
22. Messaggio di R. RIVLIN su X, 1/9/2019.
26 23. Vedi nota 20.
LA NOTTE DI ISRAELE
sce passeggiando tra le Alpi, che gli chiede: «Sei marxista?». In versi: «Only
cowards and tame spirits/ Need a god to whom to bow/ The highest
type is he who has/ No labels pasted to his brow» 24.
Nulla si capisce del suo sionismo senza considerarne l’universalismo.
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Per lui l’uomo è dio mortale. Lo Stato deve servirlo, non il contrario 25. La
sua antropologia ruota attorno alla dialettica necessità/gioco, biologia/
piacere. Noi umani ci vorremmo re (mani’a ha-malkhut) per godere della
libertà di giocare che distingue il sovrano dal servo. L’uomo è tale perché
ama il gioco. Il progresso dell’umanità deriva dal desiderio di fuggire il
necessario per immergersi nel gioco, finché questo lusso gli diventi neces-
sario. Il ritorno alla Terra d’Israele sarà figlio di tale estetismo geopolitico
che evolverà il diasporico confitto nella maschera dello shtadlan (il media-
tore che cappello in mano si rivolge ai gentili per aiuto, leggi Herzl) in
«ebreo nuovo», dotato di hadar (splendore, maestà, onore): fiero, morale,
elegante, rispettoso dell’eguaglianza di genere, conscio dei propri diritti.
Una personalità così brillante non si lascia comprimere in un mar-
chio. Le sue facce si rispecchiano nelle più varie correnti ideologiche isra-
eliane e diasporiche. Ma il suo lascito presente e futuro sta nell’idea dello
Stato democratico e liberale, dove la maggioranza ebraica garantisce alla
minoranza araba i suoi stessi diritti nel quadro di una costituzione che
Israele non ha mai voluto scrivere per non dover sciogliere le costruttive
ambiguità su cui gira il suo eterno provvisorio. Ora che più di una voce
invoca di colmare quella lacuna giuridico-strategica, sfogliare i prolego-
meni di Jabotinsky alla costituzione sionista tracciati poco prima di mori-
re è esercizio rivelatore. Quasi controprogetto ante litteram della legge fon-
damentale su «Israele, Stato nazionale del popolo ebraico» varata il 18
luglio 2018 dalla Knesset a stretta maggioranza, voluta da Netanyahu e
avversata in quanto «cattiva per Israele e cattiva per gli ebrei» dall’allora
presidente Rivlin, che minaccerà di firmarla in arabo.
Tale legge di valore paracostituzionale stipula fra l’altro che «Eretz
Yisra’el è la patria storica del popolo ebraico» (articolo 1a). A scanso di
equivoci, «il popolo ebraico è l’unico a potere esercitare il diritto di auto-
determinazione nazionale nello Stato d’Israele» (art. 1c). «Gerusalemme
intera e unificata» ne è la capitale (art. 3). «La lingua dello Stato è l’e-
24. «Solo i codardi e gli spiriti molli abbisognano di un dio cui inchinarsi. L’uomo superio-
re non ha etichette incollate sulla fronte».
25. Seguiamo qui la sintesi di A. SHILON, op. cit. Per il lato artistico, vedi A. NAOR, «The leader
as a poet: the political and ideological poetry of Ze’ev Jabotinsky», Israel Affairs, 20:2, pp.
161-181. 27
LA SAGGEZZA DI TUCIDIDE
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Questo poster del 1947 indica come «Terra d’Israele» tutto lo spazio del Mandato
britannico della Palestina e dell’Emirato di Transgiordania. In alto si trova una
citazione di Genesi 15, 18: «In quel giorno il Signore fece un patto con Abramo,
dicendo: “Io do alla tua discendenza questa terra, dal fiume d’Egitto, fino al gran
fiume, il fiume Eufrate”». In fondo, in nero, sono riportate due frasi di Ze’ev Jabo-
tinsky, lo storico leader dei sionisti revisionisti: «Il Giordano ha due sponde. L’una
ci appartiene, l’altra pure» e «Che la mia mano destra si inaridisca se dimenticherò
il lato orientale del Giordano».
28
Fonte: Pubblicazione dell’Irgun Zvai Leumi (2017)
LA NOTTE DI ISRAELE
braico» (art. 4a). L’arabo avrà un suo statuto speciale regolato per legge
(art. 4b). Soprattutto, «lo Stato considera lo sviluppo dell’insediamento
(yishuv) ebraico come un valore nazionale e agirà per incoraggiarne e
promuoverne la creazione e il consolidamento» (art. 7). Nessuna men-
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
zione del carattere democratico dello Stato, come neanche nella Dichia-
razione d’indipendenza (14 maggio 1948) 26. Questa legge è perfetta-
mente adattabile allo Stato unico monoetnico, ne è anzi premessa impli-
cita. Con residui palestinesi in funzione decorativa.
Siccome «Jabo» è paradosso anche postumo, appetto alla sua idea
d’Israele la controproposta di legge fondamentale della minoranza ara-
ba, intitolata «Stato di tutti i cittadini» – se questo è un nome – appare
moderata. Postula sì la parità di diritti dei «due gruppi di appartenenza
nazionale», il principio democratico, il rango di lingua ufficiale dell’a-
rabo accanto all’ebraico. Ma resta al di qua delle tesi di Jabotinsky, vec-
chie di un secolo ma con apertura spericolata al futuro.
Non è certo per arabofilia che l’incompiuta costituzione secondo Ja-
botinsky si spinge oltre le rivendicazioni degli odierni palestinesi di Isra-
ele. Tutto in lui è per l’avvento dello Stato ebraico. Puro realismo nazio-
nalista, con supplemento d’umanismo libertario. Nazione, libertà, uni-
versalismo: trinomio impossibile stando al metro politologico, depurato
della storia. Eppure sono i princìpi della rivoluzione francese, madre
della sinistra, parametro di ogni progressismo. Notiamo come Jabotinsky
intendesse declinarli nello Stato ebraico che ancora nomina Palestina e
di cui negli anni Trenta rivendica l’urgenza, contro buona parte del
suo stesso popolo. Vale la pena citare alcuni frammenti della sua traccia
di costituzione (i tondi sono nostri) 27.
Primo. «Premesso che nulla deve impedire a qualsiasi ebreo stranie-
ro di rimpatriare in Palestina e con ciò diventare automaticamente cit-
tadino palestinese, il principio degli uguali diritti per tutti i cittadini di
qualsiasi razza, credo, lingua o classe dev’essere attuato senza limiti in
tutti i settori della vita pubblica del paese».
Secondo. «In ogni gabinetto di governo dove il primo ministro sia un
ebreo, la vicepresidenza sarà offerta a un arabo, e viceversa. La stessa
regola varrà per le municipalità miste o i consigli di contea».
26. Il testo integrale di questa legge fondamentale e del progetto alternativo dei partiti
arabi, a cura e con note di Cesare Pavoncello, è in Limes, 9/2018, «Israele, lo Stato degli
ebrei», pp. 33-41.
27. Cfr. M. KREMNITZER, A. FUCHS, «Ze’ev Jabotinsky on Democracy, Equality, and Individual
Rights», The Israel Democracy Institute, 2013. 29
LA SAGGEZZA DI TUCIDIDE
sia in ebraico che in arabo. Ebraico e arabo saranno usati con identico
effetto legale in parlamento, nelle corti di giustizia e in generale in ogni
ufficio od organo dello Stato, come anche nelle scuole di ogni grado».
Quarto. «Dopo averle coltivate a spese dello Stato, le terre demaniali
disponibili saranno divise in appezzamenti da assegnare, a prezzi one-
sti e via agevolati termini di credito, agli acquirenti sia individuali che
di gruppo, senza discriminazione fra ebrei e arabi».
Quinto. «Io non credo che la costituzione di qualsiasi Stato debba
includere paragrafi specifici che ne garantiscano esplicitamente il carat-
tere “nazionale”. Anzi, penso che sarebbe bene che di questo genere di
paragrafi ve ne siano il meno possibile. Il metodo migliore e più natura-
le per garantire il carattere “nazionale” dello Stato è di avere una certa
maggioranza».
Si noterà che la prima frase di questo punto nega avanti lettera no-
me e senso della legge su «Israele, Stato nazionale del popolo ebraico». E
che l’ultima è condizione inaggirabile dell’ebraicità dello Stato liberal-
democratico. Altrove Jabotinsky preciserà: «La Palestina potrà essere pro-
mossa a Stato indipendente solo dopo (sottolineatura originale, n.d.r.) la
formazione della maggioranza ebraica» 28. Lo Stato ebraico sarà parita-
rio, democratico e liberale in quanto vi saranno più ebrei che arabi.
Ossimoro chiave. Illogica formale, logica geopolitica. Jabotinsky fonde
due caratteri in feconda contraddizione perché convinto che proprio il
tono aperto e universalista dello Stato possa attrarre milioni di ebrei in
diaspora. In caso contrario, niente Palestina ebraica in Eretz Yisra’el.
Nel suo ultimo libro, uscito nel 1940, scritto sotto la cupa impressione
della guerra, Jabotinsky evocherà a malincuore l’eventuale espulsione
degli arabi dallo Stato, misura estrema per garantirne l’ebraicità: «Non
vedo la necessità di tale esodo, che sarebbe indesiderabile sotto diverse
prospettive. Ma se diventa chiaro che gli arabi preferiscono emigrare, se
ne potrà discutere senza traccia di tristezza nel cuore» 29.
28. Cfr. A. NAOR, «Ze’ev Jabotinsky’s Constitutional Framework for the Jewish State in the
Land of Israel», in A. BARELI, P. GINOSSAR, (a cura di) In the Eye of the Storm: Essays on Ze’ev
Jabotinsky, pp. 51-92. Citato in D. SCHEINDLIN, The Crooked Timber of Democracy in Israel.
Promise Unfulfilled, Berlin-Boston 2023, de Gruyter, p. 25.
30 29. Cfr. M. KREMNITZER, A. FUCHS, op. cit.
LA NOTTE DI ISRAELE
30. In effetti i testi in questione sono due, apparsi in sequenza nella rivista russa Rassvet
(Alba) il 4 e l’11 novembre 1923: «Il muro di ferro» e «L’etica del muro di ferro». Per una
traduzione inglese, vedi «The Iron Wall» nel sito del Jabotinsky Institute.
31. Cfr. K. MICHAEL, O. WERTMAN, «The last “Mapainik” and the “Iron Wall”: Benjamin Netan-
yahu and the Palestinian issue 2009-2021», Israel Affairs, vol. 29, n. 6, pp. 1115-1134. 31
LA SAGGEZZA DI TUCIDIDE
Ora che questa strategia rischia di preludere alla fine del Piccolo Isra-
ele mentre persegue il trionfo del Grande, l’idea dello Stato liberaldemo-
cratico di tutti i cittadini, espanso o meno sulle due rive del Giordano,
pare miraggio. E l’attesa del nuovo Jabotinsky rinviata al dopo apocalisse.
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
ra
Missione Levante
ne
o
Gaza LIBANO 192 militari, 1 unità navale, 10 mezzi terrestri e 1 velivolo Operazione Emasoh/Agenor
(Israele-Gaza) 200 militari, 1 unità navale e 3 velivoli
Il Cairo Arbīl (protezione della libera navigazione nello Stretto di Hormuz)
Camp Singara Eunavfor operazione Aspides
LA NOTTE DI ISRAELE
G olf
(Missione bilaterale di addestramento delle Forze
Mar Rosso
di sicurezza libanesi)
oP
BAHREIN
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Islamabad
QATAR
sic
o Unmogip - Osservatori Nazioni Unite - 2 militari
Jammu (Confine Pakistan-India per il rispetto dell’accordo sul
E.A.U. PAKISTAN e Kashmir cessate-il-fuoco del 17/12/1971)
Stretto
di Hormuz Gibuti - Base italiana Amedeo Guillet
155 militari, 9 mezzi terrestri
33
LA SAGGEZZA DI TUCIDIDE
34
LA NOTTE DI ISRAELE
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Parte I
ISRAELE
contro
SÉ STESSO
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LA NOTTE DI ISRAELE
rientrato in Palestina nel luglio di quell’anno in base agli accordi di Oslo del set-
tembre 1993, alla domanda se c’era qualcosa che lui invidiava a Israele (ero nel suo
ufficio con la collega Dina Nascetti) rispondeva: «Sì. La democrazia». Intendeva la
proverbiale litigiosità degli israeliani, quel fenomeno per cui Amos Oz diceva: «Ab-
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
biamo qui milioni di premier». Cito questo episodio per dire che il leader palesti-
nese conosceva Israele. Aggiungo che a partire dalla seconda metà degli anni Ot-
tanta gli israeliani scoprivano la storia della Nakba (basti pensare al fenomeno dei
nuovi storici). Il dialogo sembrava avviato.
Torniamo alla nostra immagine, che parla non solo degli operai di Gaza, ma
anche degli ebrei di Tel Aviv. Ecco, gli israeliani, a loro volta, vedevano arabi pa-
lestinesi che pregavano, lavoravano e potevano immaginare – volendo – le fami-
glie da cui tornavano la sera, potevano perfino – sempre volendo – porsi qualche
domanda sulla diseguaglianza insita nel rapporto fra le due popolazioni.
Il punto è politico: gaziani e israeliani conoscevano la controparte e sapevano
che si trattava di un conflitto difficile, spesso violento. L’incontro non annullava
l’ostilità, ma conoscere l’Altro in carne e ossa è già un entrare in dialogo, ricono-
scere la sua umanità anche se si presenta da nemico (per approfondire rimando
agli scritti di Emmanuel Lévinas).
2. Nel suo bel libro Il sentiero dei dieci pubblicato da Piemme, Davide Lerner
racconta come oggi a Gaza ci sia invece una nuova generazione di palestinesi,
persone che hanno poco più di vent’anni e non hanno alcuna memoria del mondo
di allora. Sono uomini (perché si parla per lo più di maschi, le donne non andava-
no a lavorare in Israele) che non sono mai usciti dalla Striscia, non sanno altra
lingua che l’arabo, non hanno mai visto un aeroporto, non sono mai stati in un
cinema, non hanno idea di come si viva fuori. Dal 2007 infatti, dopo la presa del
potere da parte di Õamås, Gaza ha sempre vissuto nell’isolamento imposto da
Israele (che comunque si era ritirato dalla Striscia unilateralmente nel 2005, sman-
tellando anche le colonie) con la volonterosa collaborazione degli egiziani e per la
grande soddisfazione del resto del mondo.
Quel recinto faceva comodo a tutti. A Õamås perché rendeva più facile il ferreo
controllo sulla popolazione. Agli israeliani, intesi come società e non solo come
governo, perché li metteva in condizione di rimuovere una realtà scomodissima: a
un’ora di macchina da Tel Aviv, la metropoli cosmopolita e libertina che «non chiude
mai», viveva un’umanità che non aveva niente da perdere, ad eccezione dei maschi
che da perdere avevano il loro potere sulle donne. Governata da un’organizzazione
dai forti tratti integralisti e fondamentalisti che vuole la distruzione di Israele.
E se aggiungiamo il Muro di separazione in Cisgiordania, costruito dagli israe-
liani fra il 2002 e il 2003, capiamo perché oggi per i palestinesi gli ebrei israeliani
sono fantasmi. Lo stesso vale per gli israeliani, che conoscono sempre meno i pa-
lestinesi. Alla base della disumanizzazione c’è la trasformazione dell’avversario
38 concreto, protagonista di un conflitto di lunga durata, in presenza fantasmatica.
LA NOTTE DI ISRAELE
MOSAICO ISRAELIANO
Le élite ashkenazite
di origine europea LIBANO
concentrate soprattutto
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Ğanīn
M ar
Netanya Tūlkarim
M e di t e r r an e o .
Nāblus
Tel Aviv Kfar
(epicentro ebrei secolari) Saba
Cisgiordania
Bat Yam GIORDANIA
Rishon LeTziyon
Ramla Modi‘in Gerico
Ashdod
Gerusalemme
Bnei Brak Efrat
(epicentro ebrei ultraortodossi) Beitar Betlemme (epicentro ebrei nazional-religiosi)
‘Illit
Kiryat Gat
al-Halīl
(Hebron)
Gaza
ISRAELE
NEGEV
EGITTO
39
CONOSCERSI PER RICONOSCERSI
dania, e anche della Striscia. Eppoi, per altri motivi (immigrazione illegale) i
muri vanno oggi di moda, ce ne sono tanti in varie parti del mondo e il loro
numero aumenta di giorno in giorno. I muri prima o poi cadono. Lo dice la storia
dell’umanità. E soprattutto producono, come ogni pensiero esclusivamente «fun-
zionale» e procedurale, effetti collaterali dannosi: agevolano coloro che pensano
di essere protetti dalle mura a non porsi il problema di cosa fare domani, di come
– per dirla ancora una volta con Arendt – avere cura del mondo e capacità di
giudizio.
4. Nel tetro paesaggio delle atrocità compiute da Õamås il 7 ottobre 2023 (che
a molti hanno richiamato alla memoria i peggiori pogrom) e della risposta israe-
liana che ha portato alla catastrofe di Gaza, c’è tuttavia un pezzo dell’umanità che
custodisce e ha cura dell’avvenire. Sono le famiglie degli ostaggi in mano a Õamås.
Spieghiamoci partendo da una questione che viene da lontano. Israele è diventato
negli ultimi decenni uno dei paesi leader nel campo delle alte tecnologie. Viene
chiamato «start-up nation». Primato riconosciuto legittimo dai vicini egiziani e gior-
dani e da vari altri Stati arabi. Con una società segnata da forti disuguaglianze fra
ricchi e poveri, ma dove il prodotto interno lordo è in costante crescita. Con una
popolazione di ormai dieci milioni di abitanti, di cui l’80% ebrei, dotato di un eser-
cito forte. E con una solida alleanza con gli Stati Uniti.
Insomma, prima del 7 ottobre il progetto utopico di Theodor Herzl e dei sio-
nisti riunitisi nel 1897 a Basilea nel loro primo congresso sembrava coronato da
grande successo. Eppure bastava leggere i romanzi dei grandi scrittori, seguire i
giornali, vedere i film per accorgersi del senso di profonda insicurezza degli israe-
liani. Come se non riuscissero a immaginarsi un domani. Il sionismo – al netto di
aver ignorato il fatto che la Palestina-Eretz Yisrael non fosse un «paese senza abi-
tanti» – aveva promesso agli ebrei la «normalità», nozione chiave del pensiero e
della prassi occidentale dell’Ottocento. Non più ebrei dediti a professioni e mestie-
ri astratti, non più Luftmenschen (uomini sospesi nell’aria) in balia dei gentili, a
rischio pogrom e con le valigie sempre pronte.
Sto citando alcuni stereotipi. La realtà era più complessa, il radicamento nei
territori della diaspora era forte, le valigie fino alla fine dell’Ottocento, epoca dei
pogrom nell’impero zarista, raramente usate per emigrare. Ma tanto è. O se voglia-
mo: il sionismo era una delle risposte degli ebrei alla promessa tradita della moder-
nità. La promessa era l’inclusione ma finì con l’esclusione. Fra i pogrom appunto,
l’affaire Dreyfus e lo sterminio.
Però la memoria non sempre è controllabile, come sanno tutti gli psicanalisti.
Riguarda anche le società, non solo gli individui. Negli anni Sessanta, l’allora mini-
40 stro degli Esteri israeliano Abba Eban, uomo colto, mite, poliglotta diceva che i
LA NOTTE DI ISRAELE
confini di Israele erano i confini di Auschwitz. Mai più quindi. Ma esiste un mai
più, davvero? E si può parlarne seriamente dopo aver visto, o peggio vissuto, le
scene del 7 ottobre?
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
5. Dan Diner, un importante storico del Novecento che divide la sua vita fra
Berlino e Tel Aviv, cita spesso un episodio che Nahum Goldmann, uno dei lea-
der più importanti del movimento sionista, ha raccontato nei suoi diari. Un gior-
no del 1956 ha una conversazione con David Ben-Gurion, il fondatore dello
Stato degli ebrei. Parlavano del futuro e della legittimità dello Stato, universal-
mente riconosciuta in virtù della risoluzione Onu del 29 novembre 1947 e per il
fatto che Israele esiste ed è una nazione fra le nazioni. Ben-Gurion citò però il
paradosso di una legittimità basata sulla memoria trasmessa attraverso i testi: è
Dio che ha indicato questa terra a Israele, disse, ma è il nostro Dio, non quello
degli arabi. Ergo: lui, Ben-Gurion, aveva la certezza di essere sepolto in Israele,
ma aveva forti dubbi che lo stesso valesse per suo figlio e i figli di suo figlio. Il
futuro gli appariva breve, immaginabile per qualche anno. Il resto era un’inco-
gnita persino per il padre fondatore, l’uomo che aveva saputo sfruttare ogni
occasione data dalla storia per portare a compimento il progetto di uno Stato
ebraico (Herzl parlava dello Stato degli ebrei, Ben-Gurion tradusse Stato ebrai-
co). Stratega lucido, nel bene e nel male, come pochi altri della sua generazione.
7. Resta la domanda su come Israele voglia vivere nel Medio Oriente. Le rispo-
ste possibili sono diverse. Ma va tenuto conto che stiamo parlando di uno spazio
post-imperiale, post-ottomano, con una lunga memoria di convivenza fra le varie
comunità. Le memorie del passato non muoiono insieme alle sue forme politiche.
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
C’è in questo spazio post-imperiale assai ampio un piccolo pezzo di terra su cui
vivono due popoli. Nessuno dei due ha un altro luogo. È questo il perimetro di un
possibile e doveroso accordo.
42
LA NOTTE DI ISRAELE
DELL’ECCEZIONALISMO EBRAICO
L’odio contro gli ebrei cresce ovunque, ma prende nuove forme. Le
accuse a Israele di genocidio non sono più tabù. La contaminazione
con la retorica anticoloniale. Denunciare le politiche di Netanyahu
non è antisemita, bensì l’unico antidoto al suicidio del paese.
di Anna FOA
TOTALE
ASIA
TOTALE
AMERICHE ISRAELE 6.914.000
45,5%
6.760.000
44,5%
IL NUOVO ANTISEMITISMO E LA FINE DELL’ECCEZIONALISMO EBRAICO
uccidere proprio gli ebrei in quanto tali. Ma davvero, come si è detto, la molla
principale del massacro è stato l’antisemitismo?
inventato dal giornalista tedesco Wilhelm Marr a designare un’ostilità razziale nei
confronti degli ebrei; non nella Shoah, quando Hitler ne decise lo sterminio. Si
tratta di un nuovo antisemitismo? E se sì, cosa in particolare lo qualifica come tale?
Stabilirlo non è facile, tanto è vero che sono nate delle commissioni deputate a
darne una definizione precisa e a delimitarlo anche attraverso esempi che lo distin-
guessero da quanto invece non poteva essere considerato tale. Una di queste defi-
nizioni, quella dell’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra), ha assun-
to carattere ufficiale benché non vincolante ed è stata accettata da molti paesi, fra
cui l’Italia nel 2016. Essa lo descrive come «una certa percezione degli ebrei che
può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo ver-
bali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso
istituzioni comunitarie ebraiche e edifici utilizzati per il culto». Nel 2021 oltre due-
cento studiosi del campo di vari paesi hanno sottoscritto una dichiarazione sull’an-
tisemitismo (Jerusalem Declaration on Antisemitism, Jda) che si proponeva di
emendare il grande rilievo dato da quella dell’Ihra agli attacchi contro la politica di
Israele, nel timore che finisse per essere dichiarato antisemita qualsiasi tipo di cri-
tica. Tale dichiarazione definisce l’antisemitismo come «pregiudizio, ostilità e vio-
lenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)».
A sottolineare quanto sia difficile definire l’antisemitismo, ricordo che esistono
altre formulazioni ugualmente elaborate da organizzazioni e comitati a questo pre-
posti. Come quella della Fundamental Rights Agency, frutto di un’indagine condot-
ta fra il 2012 e il 2018 in Europa e fondata sulla metodologia delle scienze sociali,
che ha analizzato anche la percezione dell’antisemitismo da parte degli ebrei e non
solo il fenomeno in sé.
Ma cerchiamo di cogliere le caratteristiche dell’antisemitismo di oggi. Se guar-
diamo agli episodi di antisemitismo che avvengono in Europa e nel resto del mon-
do, vediamo innanzi tutto che sono prevalentemente o esclusivamente «di sinistra».
Non hanno cioè quasi nessun riferimento alla Shoah e al negazionismo, e scarsis-
simi legami con la destra neonazista. Ugualmente, tranne eccezioni, vediamo la
quasi completa scomparsa dei tradizionali topoi antigiudaici di matrice cattolica,
pure tuttora presenti – almeno in Italia – nella polemica dei cattolici più tradizio-
nalisti. Fa eccezione la satira, tanto è vero che molte vignette pubblicate dalla
stampa utilizzano gli stereotipi del passato, rappresentando gli ebrei come ban-
chieri e attribuendo loro il famigerato naso adunco.
Questo antisemitismo è tutto centrato sul conflitto israelo-palestinese e da esso,
dalla sua esplosione dopo il 7 ottobre, trae vita. In sé, non si tratta di una novità. Da
decenni la lotta dei palestinesi è stata assunta come mito dai gruppi più radicali del-
la sinistra, sostituendo quello del Vietnam e prendendone il ruolo e la funzione:
guerra all’imperialismo, agli americani, alla Nato, sostegno alla guerriglia in America 45
IL NUOVO ANTISEMITISMO E LA FINE DELL’ECCEZIONALISMO EBRAICO
sono stati finora gli echi anche accademici, esso sta assumendo questo carattere, sul
modello delle riflessioni post-coloniali degli Stati Uniti, della loro storiografia, della
loro diffusione nelle università e fra gli studenti. Ed ecco quindi il riferimento costan-
te a Israele come Stato coloniale, all’apartheid, e il linguaggio degli studi che si sem-
plifica senza consapevolezza nelle rozze parole d’ordine dei cortei.
3. Da noi, dai sostenitori di Israele senza se e senza ma, definire come «colo-
niale» la nascita di tale Stato è oggi considerato un falso storico e un’interpretazione
antisemita. Eppure, la storiografia israeliana e quella americana discutono da molti
anni su questo problema. Gli aspetti coloniali individuati nella nascita di Israele
sono stati visti come indicatori di un colonialismo diverso da quello tradizionale, il
cosiddetto settler colonialism (colonialismo di insediamento). In altre interpretazio-
ni, è stato distinto dal primo sionismo il momento della fondazione dello Stato, con
la cacciata dei palestinesi, o il 1967, con l’inizio dell’occupazione – interpretazioni
in gran parte nate all’interno della stessa storiografia israeliana e che nessuno a li-
vello accademico ha mai tacciato di antisemitismo. Lo stesso si può dire dell’accusa
di apartheid rivolta a Israele a proposito della condizione dei palestinesi della Ci-
sgiordania e in misura diversa a Gerusalemme Est. Un’apartheid certo differente dal
modello sudafricano, che le dichiarazioni razziste del governo israeliano si propon-
gono comunque apertamente come obiettivo e tentano di realizzare nei fatti.
Anche se gli slogan anti-israeliani più radicali non si propongono di mettere
in discussione la Shoah, il risultato è che questa ondata di antisemitismo sembra
segnare la fine dei tanti decenni di elaborazione della memoria della Shoah che
abbiamo attraversato dopo il 1945: non perché se ne rimetta in discussione la re-
altà ma piuttosto in quanto fine dell’«eccezionalismo» tanto israeliano quanto ebrai-
co. Lo Stato di Israele, autore di un’occupazione che dura ormai da cinquant’anni
e fautore di un diverso status giuridico per gli ebrei e per i palestinesi, non è più
esentato, in virtù del genocidio subìto dai nazisti, dalle accuse di colonialismo,
genocidio, apartheid. Tutte accuse che il governo continua ad attribuire all’antise-
mitismo del resto del mondo, negando qualsiasi rapporto con il conflitto e con le
sue conseguenze in termini di vite umane e proponendo invece un forte richiamo
alla Shoah. Un richiamo che trova echi negli israeliani, che non possono non assi-
milare gli orrori del 7 ottobre e quelli della prigionia e della morte di tanti ostaggi
allo sterminio nei campi. Benché si tratti di tutt’altra cosa, cioè di un terribile e
sanguinario attacco terroristico. Non un pogrom ma un fenomeno nuovo per l’ef-
fetto che voleva provocare, che ha segnato un netto spartiacque nella storia di
tutti e che rende difficile, anche per quanti in Israele si sono battuti per decenni
per la pace – è stato detto più volte dalla sinistra israeliana – provare empatia per
46 i morti di Gaza.
LA NOTTE DI ISRAELE
4. La crescita dei fenomeni antisemiti nell’ultimo anno ci riporta però alla que-
stione cruciale sottesa alla natura e alla definizione di antisemitismo: quella di qua-
le sia il rapporto tra antisemitismo e antisionismo, intendendo il termine sionismo
nel senso più usato, anche se non correttamente, di politica del governo israeliano.
Gli intrecci fra i due fenomeni sono stretti e innumerevoli. Uno dei criteri per distin-
guerli è quello del manifesto dell’Ihra, che propone di considerare antisemitismo
tutto quanto è rivolto a rifiutare l’esistenza dello Stato di Israele e augurarne la di-
struzione, e non invece la critica alla politica dei governi di Israele. Questa la clau-
sola dell’Ihra: «Negare agli ebrei il diritto dell’autodeterminazione, per esempio so-
stenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo». Così
invece statuisce la dichiarazione di Gerusalemme: «Negare il diritto agli ebrei dello
Stato d’Israele di esistere e prosperare, collettivamente e individualmente, come
ebrei, secondo il principio di uguaglianza». È una formula che si differenzia decisa-
mente da quella della dichiarazione dell’Ihra. Se infatti quest’ultima vede nell’accu-
sa di razzismo un attacco all’esistenza stessa dello Stato di Israele in quanto Stato
degli ebrei, quella di Gerusalemme si richiama al principio di uguaglianza fra ebrei
e palestinesi e attribuisce un carattere antisemita solo a quanti negano agli ebrei il
diritto di avere uno Stato fondato sull’uguaglianza di tutti i suoi cittadini.
Nella pratica, la distinzione fra antisemitismo e antisionismo è difficile. Gli
stessi manifestanti antisionisti, molto spesso del tutto ignoranti della questione, non
si rendono conto che dietro slogan come «Dal fiume al mare» c’è la prospettiva
della distruzione di Israele. D’altra parte moltissimi ebrei, soprattutto nella diaspo-
ra, attribuiscono valenze antisemite a ogni critica alla politica israeliana. La distin-
zione diventa ancora più difficile nei momenti di guerra come questo, quando
molti ebrei ritengono – non del tutto a torto – che sia in gioco l’esistenza stessa di
Israele e molti altri – altrettanto giustamente – che sia in gioco la sua anima.
48
LA NOTTE DI ISRAELE
I FANATICI DELL’APOCALISSE
LA GUERRA ESCATOLOGICA Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Alle origini del messianismo del Partito di Dio. L’attesa per il Mahdø
e l’importanza del martirio. Il jihåd locale contro Israele anticipa la
fine dei tempi. Il rapporto tra lo sciismo duodecimano delle milizie
e quello di Teheran. E se l’imam occultato fosse la Bomba?
sone), rendendolo il paese sciita più popoloso al mondo. Una significativa mino-
ranza sciita si attesta in Libano (45-55% della popolazione) e nello Yemen (34-
40%) 1. Sul fronte opposto sta il sunnismo, di gran lunga la corrente islamica mag-
gioritaria a livello mondiale (87-90% dei musulmani) e oggi, in assenza di un valido Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
1. «Mapping the Global Muslim Population. A Report on the Size and Distribution of the World’s Mu-
slim Population», Pew Research Center, ottobre 2009.
2. F. BOCCA-ALDAQRE, M. CAMPANINI, Manuale di teologia islamica, Milano 2021, Le Monnier Università,
50 pp. 95-96.
LA NOTTE DI ISRAELE
stesso momento della morte del padre. Sicché si iniziò a parlare di Muõammad
al-Mahdø come dell’imam «nascosto» (ôayb, «occultato»), che non era morto ma en-
trato in una fase ulteriore dell’imamato, quella dell’occultazione o dell’occultamen-
to (ôayba). A sua volta distinta in «occultazione minore», che durò settant’anni,
durante i quali l’imam nascosto parlò alla comunità dei fedeli per mezzo di alcuni
rappresentanti scelti, e in «grande occultazione», connotata da un perturbante ed
enigmatico silenzio e che dal 941 d.C. perdura fino a oggi.
«Da questo momento», scrive l’orientalista e filosofo francese Henry Corbin, «ha
inizio la storia segreta del dodicesimo imam. Senza dubbio essa non rientra nel
campo di quella che siamo soliti chiamare storicità dei fatti materiali. Essa domina
tuttavia la coscienza sciita da dieci secoli; essa è la storia stessa di questa coscien-
za» 3. Una coscienza che si strugge nell’attesa messianica del ritorno del Mahdø,
l’atteso (r), che uscirà dall’occultamento alla fine dei tempi.
testo si ritiene che la fondazione dello Stato di Israele abbia inaugurato il ciclo
delle battaglie apocalittiche 5.
È pur vero che la gerarchia ecclesiastica iraniana è sempre stata diffidente nei
confronti delle passioni messianiche e delle imprevedibili fughe in avanti di gruppi
di esaltati. Tuttavia, l’elezione di Ahmadi-Nejad nel 2005 ha ridato vigore all’immagi-
nario mahdista. Il nuovo presidente evocava a ogni piè sospinto l’imminente ritorno
dell’imam nascosto 6. Un anno dopo, nel 2006, a Beirut viene pubblicata un’altra
opera dai toni fortemente millenaristici e dal titolo roboante: Aõmadø Nažåd wa-l-
ñawra al-‘ålamiyya al-muqbila (Ahmadi-Nejad e la futura rivoluzione mondiale). Il
sottotitolo è ancora più esplicativo: Ahmadi-Nejad è il capo delle forze del Mahdø che
libereranno Gerusalemme. (…) Il progetto nucleare è connesso alla apparizione
dell’Imåm Mahdø. L’autore è il libanese Šådø Faqøh, che ne è pure l’editore. Il testo
enumera diciassette segni che precedono, e rendono quindi certa, l’apparizione
dell’Imåm Mahdø; tra questi almeno due sono da segnalare, e cioè «il raduno degli
ebrei in Palestina» e «la lotta di un partito alle porte di Gerusalemme», identificato con
Õizbullåh. In altri opuscoli sempre scritti e editi da Šådø Faqøh si identifica Naârallåh
con lo «yemenita» (al-Yamanø), figura escatologica appartenente alla tradizione sciita,
importante condottiero precursore del Mahdø ormai prossimo al ritorno 7 (tabella).
Ancora più importante è l’opera dello sceicco Na‘øm Qåsim, vicesegretario
generale di Õizbullåh dal 1991, destinato oggi ad assumere una rinnovata centra-
lità. Nel 2006 Qåsim pubblica un libro intitolato Al-Mahdø al-muœalliâ (Il Mahdø
salvatore), nel quale afferma senza mezzi termini che «siamo nell’èra dell’appari-
zione del Mahdø», che Õizbullåh si inscrive nel Movimento dell’apparizione (Õara-
kat al-‰uhûr), e che il suo jihåd aspira ad «accelerare la liberazione e l’apparizione
[del Mahdø]». Rilevante è l’affermazione che l’Anticristo sarà ucciso dal Mahdø in
Palestina 8.
Nel sito web personale di Na‘øm Qåsim è possibile leggere alcuni estratti del
libro. Ad esempio: «Si noti che l’accelerazione degli eventi non lascia spazio a una
lunga attesa alla comparsa [del Mahdø], poiché gli eventi sono molto accelerati e
sono calcolati non in anni o decenni ma in giorni, settimane e mesi, e questo a
causa dei numerosi eventi che si verificano nella regione» 9. E ancora: «Il modello
dei credenti nel tempo dell’occultamento è generalmente migliore rispetto al loro
modello nei tempi della presenza dell’imam infallibile, perché l’occultamento im-
plica una prova aggiuntiva. (…) Chi, tra i credenti e i combattenti nel tempo
5. Ivi, p. 190.
6. M. AHDIYYIH, «Ahmadinejad and the Mahdi», Middle East Quarterly, vol. 15, n. 4, 2008.
7. J.-P. FILIU, op. cit., pp. 200-203.
8. Ivi, pp. 205-206.
52 9. Al-Mahdø al-muœalliâ, naimkassem.com.lb, 2006.
LA NOTTE DI ISRAELE
Com’è scritto nel Manifesto di Õizbullåh del 2009: «O Dio, Tu sai che nessuno
di noi compete per il potere né ha desideri di vanità. Si tratta solamente di far rivi-
vere il diritto, di abbattere la falsità, di difendere coloro che, tra i Tuoi fedeli, sono
oppressi, d’instaurare la giustizia sulla Tua terra, di chiedere la Tua approvazione
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
e avvicinarsi a Te. Per questo i nostri martiri sono morti, e per questo continuiamo
il jihåd. Tu ci hai promesso una di queste due ricompense: o la vittoria o l’onore
di incontrarti attraverso il martirio» 15.
Contrariamente all’Iran e al suo esercito, divenuto col tempo più attento alla
gestione del potere e alla difesa della Repubblica, e dove ormai la cautela regna
sovrana e i toni apocalittici sono smorzati e sempre soppressi sul nascere (con
l’eccezione del periodo di Ahmadi-Nejad), Õizbullåh si può permettere una vitalità
messianica veramente rivoluzionaria. La guerra diventa cosmica, e «l’attualizzazio-
ne dell’escatologia» 16, cioè lo svolgersi attivistico dell’apocalisse in real time, assu-
me un portato motivazionale invincibile.
Qualche decennio fa, commentando i movimenti rivoluzionari in Occidente
Eric Voegelin parlava di «immanentizzazione dell’eschaton» 17, delle cose ultime, o,
in altri termini, del portar quaggiù la Gerusalemme celeste con la forza. Ebbene, si
può parlare di tutto questo anche in riferimento a Õizbullåh. Il «misticismo attivisti-
co» 18, che Voegelin chiama anche gnosticismo rivoluzionario 19, si condensa intor-
no alla credenza che «l’avvento del regno esige la sua cooperazione militare» 20.
Ogni azione militare, allora, assume la forma di un’operazione magica, «l’azio-
ne rivoluzionaria (anche e, forse, soprattutto nei suoi aspetti più violenti) ha una
funzione propiziatrice» 21, intesa a far avverare le profezie, nell’impazienza dei tem-
pi ultimi. Ogni eventuale pace e ogni possibile riforma vengono immediatamente
intese come un tradimento e come una collusione con il Nemico (con la maiusco-
la), quindi scartate a priori.
Sebbene possa sembrare un’antinomia, Õizbullåh conduce un jihåd apocalit-
tico locale: pur avendo di mira tutta la realtà, che verrà alfine trasfigurata dall’av-
vento del Mahdø, nondimeno il Partito di Dio non combatte una guerra indistinta
contro qualsivoglia tipo di infedele o empio (come fanno, ad esempio, i salafiti
jihadisti, tra cui al-Qå‘ida e lo Stato Islamico) 22. Il «Grande Satana» rimangono sen-
z’altro gli Stati Uniti, ma è più urgente impegnarsi in uno scontro con il «Piccolo
15. «The New Manifesto (30 November 2009)», in J. ALAGHA (a cura di), Hizbullah’s Documents. From
the 1985 Open Letter to the 2009 Manifesto, Amsterdam 2011, Pallas Publications, p. 137.
16. B. COOPER, New Political Religions, or An Analysis of Modern Terrorism, Columbia 2004, University
of Missouri Press, p. 57.
17. E. VOEGELIN, La nuova scienza politica, Roma 1999, Borla, p. 202.
18. ID., I movimenti gnostici di massa del nostro tempo, Milano 1970, Rusconi, p. 32.
19. Sul rapporto tra gnosticismo rivoluzionario e jihadismo contemporaneo, cfr. G.M. ARRIGO, Gnostic
Jihadism. A Philosophical Inquiry into Radical Politics, Milano 2021, Mimesis International.
20. E. VOEGELIN, op. cit., p. 182.
21. V. MATHIEU, La speranza nella rivoluzione. Saggio fenomenologico, Roma 1992, Armando Editore,
p. 12.
22. Il più importante studio sul tema è S. MAHER, Salafi-Jihadism. The History of an Idea, London 2016,
54 Hurst & Co.
LA NOTTE DI ISRAELE
Satana», Israele – tanto più che è lì che, secondo la tradizione, avranno luogo gli
eventi escatologici decisivi. E così questioni strategiche e contingenze storiche si
mescolano a considerazioni profetiche e a racconti apocalittici. In questo quadro,
la delimitazione delle operazioni guerresche al territorio israelo-palestinese non è
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
L’apocalisse in 17 punti
Si elencano di seguito i diciassette segni (‘alåma) associati all’apparizione
dell’Imåm Mahdø secondo Šådø Faqøh. In base alla sua lettura, i primi quattordici
segni sono già avvenuti, mentre gli ultimi tre stanno per accadere.
1. «Il raduno degli ebrei in Palestina» con la nascita dello Stato d’Israele (1948).
2. «L’apparizione di un uomo a Qom», identificato con l’ayatollah Khomeini.
3. «La forza militare e mediatica dell’Imåm prima dell’apparizione», ovvero la
costituzione dei Guardiani della rivoluzione in Iran, dell’Esercito del Mahdø in Iraq
e di Õizbullåh in Libano.
4. La fondazione della Repubblica Islamica in Iran, propedeutica al prossimo
Stato guidato dall’Imåm (1979).
5. «La lotta dei turbanti neri contro i nemici dell’Imåm prima della sua appari-
zione»: per gli sciiti i turbanti neri sono il simbolo dei discendenti del profeta, quin-
di il segno si riferisce alla lotta di Khomeini o Khamenei in Iran, di Muqtadå al-Âadr
in Iraq e di Õasan Naârallåh in Libano.
6. «La lotta di un partito alle porte di Gerusalemme», e quindi specificamente
Õizbullåh.
7. «L’ingresso delle forze occidentali in Iraq» (marzo 2003).
8. «Il martirio dell’Anima pura a Naãaf con ottanta fedeli», identificato con la
morte dell’ayatollah Båqir al-Õakøm, capo del Consiglio superiore della rivoluzione
islamica in Iraq (agosto 2003).
9. «Il trasferimento della scienza da Naãaf a Qom», cioè lo spostamento dall’I- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Fonte: Šådø Faqøh, Aõmadø Nažåd wa-l-ñawra al-‘ålamiyya al-muqbila (Ahmadi-Nejad e la futura
rivoluzione mondiale), Beirut 2006. Cfr. J.-P. FILIU, L’apocalisse nell’Islam [2008], O barra O edizioni,
56 Milano 2011, pp. 200-202.
LA NOTTE DI ISRAELE
LA TERRA D’ISRAELE
È SCONFINATA Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
1. I
« L MESSIANISMO EBRAICO È ALLE SUE ORIGINI
e per sua natura – non lo si sottolineerà mai abbastanza – la teoria di una catastro-
fe. Questa teoria mette l’accento sull’elemento rivoluzionario e cataclismatico nella
transizione da ogni presente storico al futuro messianico» 1. Bastano queste poche
parole di Gershom Scholem, filosofo, teologo e semitista di origine tedesca per
comprendere che la storia non è sufficientemente forte da reggere alla tensione
messianica. Il presente, abissalmente differente dal futuro del Regno di Dio, non
può defluire gradualmente verso la fine dei tempi e non vi è alcuna possibilità di
una progressione lineare verso il compimento del tempo.
Il tempo messianico è frutto di un’apocalisse, a cui farà seguito il Regno di Dio.
La redenzione ha quindi una natura «distruttiva», ed è proprio a una conflagrazione
e a una definitiva devastazione che potrebbe condurre l’attuale conflitto. Difficile
non interrogarsi quindi su quali siano i movimenti profondi che scuotono la società
1. G. SCHOLEM, «Per comprendere l’idea messianica nell’ebraismo», in ID., L’idea messianica nell’ebrai-
smo e altri saggi sulla spiritualità ebraica, Milano 2008, Adelphi, pp. 13-45. 57
LA TERRA D’ISRAELE È SCONFINATA, PAROLA DI DIO (E DI BIBI)
2. L’utilizzo della terminologia sacra ha sempre costituito uno degli strumenti Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
discendenza io assegno questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume
Eufrate». Oppure in Deuteronomio 11:24, in cui si legge: «Ogni luogo dove mettere-
te piede sarà vostro: Il tuo territorio si estenderà dal deserto al Libano e dal fiume
Eufrate al Mar Mediterraneo» 10. Vi sono poi limiti circoscritti, come quelli che si tro- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
vano nella descrizione della terra promessa a Mosè in punto di morte in Deuterono-
mio 34:1-4: «Poi Mosè salì dalle pianure di Moab sul monte Nebo, in vetta al Pisga,
che è di fronte a Gerico. E il Signore gli fece vedere tutto il paese: Galaad fino a Dan,
tutto Neftali, il paese di Efraim e di Manasse, tutto il paese di Giuda fino al mare
occidentale, la regione meridionale, il bacino del Giordano e la Valle di Gerico, città
delle palme, fino a Soar. Il Signore gli disse: «Questo è il paese riguardo al quale io
feci ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, questo giuramento: “Io lo darò ai tuoi discen-
denti”. Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai».
Indipendentemente dalle indicazioni geografiche (poco) precise, ciò che
emerge è che, nella narrazione biblica, è Dio a donare la terra al popolo ebraico.
Il racconto mitico, con tutta la sua forza persuasiva, viene dunque impiegato come
fonte storica nel nuovo Stato di Israele, con eroi diversi (il nuovo ebreo) e forme
di redenzione aggiornate 11. La Terra diviene lo scenario della lotta di un popolo
tornato a reclamare la patria, ostaggio dell’invasore arabo. La geografia viene dun-
que ripensata in chiave sacrale, per saldare l’unione tra popolo, Terra e Libro.
Non è casuale, allora, il capillare ripristino della toponomastica biblica per
indicare le città dell’attuale Stato israeliano, che rientra in quello «zelo archeologico
consacrato alla riproduzione della carta dell’“antico” Israele» che evidenzia il «ten-
tativo sistematico, erudito, politico e militare di dearabizzare il territorio, i suoi
nomi e la sua geografia, ma soprattutto la sua storia» 12. La geografia sacra diviene
uno degli elementi identitari su cui costruire l’ideologia etnocratica israeliana, fon-
data sulla differenza specifica rispetto a tutto ciò che è non ebreo.
Un esempio semplice ma non banale di questa operazione è offerto dai libri
scolastici, che rendono chiaro il progetto messianico di uno Stato degli ebrei – e
solo di essi – in cui esistono degli «arabi» (parola utilizzata per la popolazione pa-
lestinese non percepita come minaccia, a differenza di «palestinesi» che indica
specificamente i terroristi o la popolazione araba armata) che vengono però siste-
maticamente marginalizzati e sottorappresentati 13. Il messaggio sionista è chiaro:
«Questa terra è nostra, nostro e delle generazioni a venire il compito di donarle
nuovamente lo splendore d’un tempo».
10. Il Libano compare anche in Giosuè 1:4 «Dal deserto del libano (…) fino al grande mare, dove
tramonta il sole: tali saranno i vostri confini».
11. Un esempio di questo è riportato da N. Peled-Elhanan che racconta «quando ero piccola, negli
anni Cinquanta e Sessanta, il quindici del mese di shevet (il capodanno degli alberi nella tradizione
ebraica) si andava ogni anno con tutta la classe a piantare alberi nei boschi creati dal Fondo nazio-
nale ebraico (cosa che i bambini ebrei israeliani fanno tutt’oggi) e ci veniva spiegato che stavamo
ripristinando i gloriosi boschi biblici distrutti dagli arabi invasori con le loro mandrie mentre noi
eravamo altrove». N. PELED-ELHANAN, La Palestina nei testi scolastici di Israele. Ideologia e propaganda
nell’istruzione, Torino 2015, Gruppo Abele, p. 18.
12. I. PAPPÉ, The ethnic cleansing of Palestine, Oxford 2006, Oneworld, p. 226.
60 13. Cfr. N. PELED-ELHANAN, op. cit., pp. 209-210.
LA NOTTE DI ISRAELE
ca di inserire dei versetti nei testi scientifici e scolastici conferisce a questi ultimi
una sorta di sacralità, ne certifica il portato di verità e al contempo conferisce
alla Bibbia e alle promesse divine validità scientifica (carta 1).
La resa visiva della carta in cui la terra promessa appare indivisa legittima ex
auctoritate anche l’occupazione dei Territori dei palestinesi: «Se ci si domanda
dunque perché la carta non mostri le frontiere di Israele riconosciute internazional-
mente, la risposta è: perché lo dice la Bibbia» 15. La potenza sinottica di queste
mappe forma la coscienza civile della popolazione israeliana fin dal tempo della
scuola, preparando un terreno fertile per l’attecchire della successiva propaganda
costruita sulla minaccia e sulla necessità di sicurezza. Ciò garantisce che l’impegno
a proteggere Eretz Yisrael e a ricostruirne gli antichi confini sia percepito come
comandamento divino.
Le carte diventano modelli in miniatura della realtà, laddove questa è come
minimo prospettica, se non distorta e ideologica. I titoli stessi che vengono dati
alle mappe non richiamano «Lo Stato di Israele», ma indicano solamente «Israele»
o «La Terra di Israele», e includono i territori esterni ai confini ufficiali dello Stato,
ivi comprese le aree occupate confiscate durante le guerre (il cui status non è
riconosciuto dalla comunità internazionale). Le aree palestinesi sotto occupazio-
ne militare, e mai annesse da Israele, non vengono marcate in modo netto, ma
indicate con linee tratteggiate a indicarne la provvisorietà e sembrano, così, fare
pienamente parte dello Stato (carta 2).
Oltre a questa sistematica minimizzazione delle differenze, i testi scolastici non
criticano l’uccisione dei palestinesi, che si infiltrano nel territorio per compiere atti
terroristici, né evidenziano la natura moralmente abietta dei massacri condotti per
lo scopo più alto di proteggere e salvaguardare i cittadini israeliani. La potenza di
Israele dipende direttamente dal «principio del fuoco al fuoco e dell’orrore contro
l’orrore», come ha affermato il 20 settembre 2007 l’allora capo della commissione
parlamentare per la Sicurezza Yuval Steinitz, a seguito di sparatorie contro i civili
nelle zone in cui erano stati lanciati i missili Qassam. Il risultato non può che esse-
re una popolazione allevata nella violenza e nella paura e tenuta insieme dalla
lingua che, esprimendo la parola e la volontà di Dio, trasforma lo Stato ebraico in
una pentola a pressione costantemente in procinto di esplodere.
Il risultato è una forma di «cartoipnosi» 16 prodotta dall’utilizzo della nomencla-
tura biblica e dal rifiuto categorico di quella impiegata durante il protettorato bri-
14. Ivi. p. 131.
15. Ivi, p. 132.
16. Termine coniato da S.W. Boggs per indicare che le mappe, che raffigurano e mettono in ordine
dall’alto una porzione di spazio normalmente non visibile nella nostra esperienza quotidiana, indu-
cono ad accettare acriticamente e inconsciamente le idee suggerite da una certa rappresentazione
dello spazio. Cfr. S.W. BOGGS, «Cartohypnosis», Scientific Monthly, vol. 64, n. 6, 1947, p. 464. 61
LA TERRA D’ISRAELE È SCONFINATA, PAROLA DI DIO (E DI BIBI)
1
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La didascalia della carta riporta quattro versetti biblici che alludono ai confini di
Israele secondo il Libro, ovvero: Esodo 23:31, Deuteronomio 11:24, Giosuè 1:4,
Genesi 28:14. La mappa è prodotta dal ministero dell’Istruzione israeliano ed è
consultabile in N. Peled-Elhanan, La Palestina nei testi scolastici di Israele. Ideolo-
gia e propaganda nell’istruzione, Torino 2015, Gruppo Abele, p. 131.
mascherate da esigenze di sicurezza, laddove non sembra che Israele oggi sia più
sicura di un anno fa, anzi. Eppure, anche lo spirito più laico e disincantato viene
colto dal sospetto che le decisioni politiche siano affiancate da tensioni d’altro or-
dine, incomprensibili se non alla luce di una suprema lotta tra il principio del bene
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e quello del male. L’obiettivo, ovviamente, è la distruzione del male. E, dato che
questo compito potrebbe spettare solo all’Altissimo, tanto vale accelerare la fine
dei tempi e giungere a quel punto di massima concentrazione in cui la storia col-
lassa. Inaugurando il tempo nuovo del Messia.
64
LA NOTTE DI ISRAELE
COMANDA
CHI NON TEME Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
neutici) e da una tendenza all’estremo che, per usare le parole di Girard/von Clau-
sewitz, «non è più nascosta, ma è apparsa alla luce del sole» 1. Si combatte per la vita,
rischiando la morte. In America (chiedere a Trump), in Ucraina e soprattutto in quel
pezzo di terra che, per ironia della storia, siamo soliti chiamare Terrasanta. Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
«cosa» con cui hanno a che fare è già da sempre mediata dal fare dei clientes, dalle
loro informazioni e interpretazioni.
Non abbiamo qui a che fare con una relazione di mera potenza. Il servo non è
più forte del padrone. Piuttosto, dato che il signore non è in possesso della verità
della cosa, allora esso non è dotato neppure dell’autorità necessaria per esercitare
un’egemonia nel senso letterale (dal greco ago, condurre) del termine. Il padrone
potrà anche essere virtualmente riconosciuto come tale, ma a condurre le operazio-
ni sarà il servo. La questione è la conoscenza della realtà effettuale (Wirklichkeit) e
della rete di azioni reciproche (Wechselwirkungen) che la compongono. Il servo
possiede questo sapere, il signore no. Dunque è totalmente dipendente dal servo.
Oltre alla dialettica tra certezza e verità, hegelianamente e geopoliticamente
centrale, agisce in questo contesto anche la questione più empirica della dipenden-
za che lega il signore al servo. Dipendenza che, però, è anch’essa legata alla capa-
cità di lavorare la cosa – o, in termini geopolitici – di saper agire in uno scenario.
Come scrive Hegel, infatti, la potenza del lavoro, la sua forza liberante, sta nel
fatto che esso «forma, coltiva» 7.
La figura dell’Arbeit pone dunque una differenza antropologica tra servo e si-
gnore: il primo, capace di sprofondare nella cosa grazie a quella particolare forma
di intus-legere che è il machen, è abituato ad agire, perché il lavoro è suprema
forma di Bildung (educazione). Il secondo, di fatto non educato alla cosa, dipende
dal servo soprattutto a causa di una sua virtuale incapacità ad agire, che si confi-
gura come un’abitudine di segno inverso: abituato a far compiere il lavoro sporco
al servo, il signore semplicemente dimentica come esercitare la sua potenza con
successo. Quella servile è coscienza che esce fuori di sé e rientra in sé, negando e
lavorando l’esteriorità del mondo. Il padrone non compie questo doppio movi-
mento. Egli semplicemente attende l’agire del servo, dimostrandosi idiota, ovvero
incapace di uscire dal suo spazio «privato» (idion). Il signore dipende dal servo
perché, troppo preso a specchiarsi e a godere del suo essere, non ha mai imparato
(o ha dimenticato) l’importanza del fare, dell’intus-legere e della Bildung.
Nei rapporti tra Stati Uniti e Israele la tendenza è esattamente questa. Washin-
gton non riesce a sentire il polso del Medio Oriente per motivi strutturali. Il parzia-
le abbandono della regione, avvenuto in maniera disordinata (eufemismo) dopo
vent’anni di follie astrategiche seguite agli attacchi dell’11 settembre, ha generato
nella classe dirigente e nella popolazione una sorta di rigetto nei confronti delle
dinamiche mediorientali.
Gli americani, come segnalato dai budget per la difesa e dalle varie National
Security Strategy 8, non vogliono neppure sentir parlare del Medio Oriente. Sono
7. Ivi, p. 289.
68 8. Si vedano in particolare quelle del 2021 e del 2022.
LA NOTTE DI ISRAELE
talmente poco interessati a queste faccende che, quando sono obbligati a trattarle,
propongono «soluzioni» a dir poco fantasiose – esempio: una (sempreverde) Nato
mediorientale 9 – o semplicemente affermano di battersi per difendere l’«unica de-
mocrazia» della regione (previa intesa con le democraticissime petromonarchie del Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
9. Cfr. R. GREENWAY, «L’America deve creare un’alleanza arabo-israeliana contro l’Iran», Limes, 5/2024,
«Misteri persiani», n. 221-228.
10. Cfr. Limes, 3/2023, «Israele contro Israele».
11. Si veda la seconda sezione di Limes, 5/2024, cit., dedicata a «I clienti dell’impero». 69
COMANDA CHI NON TEME LA MORTE
Per quanto siffatta cautela venga consigliata anche ai membri del Partito di
Dio, questi ultimi – imbevuti di un senso di missione particolarmente radicato –
non sempre agiscono seguendo le direttive degli ayatollah. La conseguenza è che
essi mettono in campo operazioni che, dal punto di vista di Teheran, rischiano di Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
bio nella sfera sociale, dove la nascente economia capitalistica distrugge ogni vin-
colo sostanziale e personale introducendo il denaro e il mercato come dispositivi
quantitativi di ordinamento 15.
Ma siffatto processo non avviene nelle dinamiche geopolitiche, dove le identità
immediate e sostanziali non vengono rimosse dalla dialettica. Anzi, come vedremo,
esse resistono e la incrinano, sbilanciandola verso chi ha più da perdere e impeden-
done una risoluzione pacifica: «Solo il servo può trasformare il mondo che lo fissa e
forma nella servitù, e creare un mondo formato da lui in cui egli sarà libero. (…)
trasformando il mondo mediante il lavoro, il servo trasforma sé stesso e crea così le
condizioni oggettive che gli permettono di riprendere la lotta liberatrice» 16.
Insomma, come ebbe a dire René Girard: «La dialettica di servo e padrone, in
questo senso, mi è sempre sembrata irenica» 17. Si tratta dunque di finire Hegel (e
non solo Clausewitz 18), portando all’estremo questa dialettica fino a toccare il suo
limite, costituito dall’incrocio – dialettico, ovviamente – delle due forze che guida-
no il mondo. L’amore e la violenza 19.
discepolo a convincere il maestro della legittimità dei suoi interessi: «Il modello si
ritiene troppo al di sopra del discepolo, il discepolo si ritiene troppo al di sotto del
modello» 22.
Siamo in un’impasse che non può essere risolta dialetticamente. Per il discepo-
lo/servo l’unica soluzione è la rottura di questo circolo, dal quale non può cavare
assolutamente nulla se non l’ipostatizzazione della sua servitù e la frustrazione del
suo desiderio. Per affermare il suo essere, è necessario un tipo differente di sintesi,
in grado di sancire che «il discepolo può servire anch’egli da modello, talvolta per-
sino al suo stesso modello» 23. È necessaria un’operazione illogica, non razionale ed
estrema, che permetta al discepolo di affermare davanti al maestro la sua singola-
rità, la sua irriducibilità e soprattutto la sua concretezza. Trasformandosi così in un
modello.
Ed ecco che il discepolo, «con sintesi a un tempo logica e delirante, deve
presto convincersi che la violenza stessa è il segno più sicuro dell’essere che sem-
pre lo elude. La violenza e il desiderio sono oramai collegati l’uno all’altro» 24.
L’esibizione spettacolare della violenza, che non riconosce superiori, si trasforma
in mezzo per esibire l’identità. L’operazione, che può suonare anche come grido
d’aiuto, serve al discepolo per segnalare al maestro la sua irriducibilità alla mera
dimensione servile. Ed è violenza mimetica. Il discepolo non vuole qualcosa di
diverso dal maestro. Vuole la stessa cosa, ma vuole essere lui a volerla e a deci-
dere le forme di siffatta volontà: «La violenza diviene il significante del desidera-
bile assoluto» 25.
Siamo al contempo dentro e oltre Hegel. La relazione tra servo e signore è
ancora quella di un’azione reciproca, ma questa – nella dialettica maestro-discepo-
lo – è «al tempo stesso scambio, commercio e reciprocità violenta» 26. Il rapporto tra
le due autocoscienze si è modificato nella misura le abbiamo iniziate a considerare
in primis come dotate di un desiderio concreto, situato storicamente e da queste
considerato esistenziale. Avendo compiuto questo passaggio, la dialettica servo-si-
gnore perde la sua natura irenica perché, a questo livello di complessità dialetti-
co-esistenziale, «non abbiamo più la reciprocità che frena e rallenta il corso delle
cose, bensì quella che lo accelera» 27.
Il desiderio, insomma, non è più un qualcosa di tenuto a freno – come nella
Fenomenologia – ma qualcosa di portato all’estremo, in virtù del quale ogni rap-
22. Ibidem.
23. Ibidem.
24. Ivi, p. 208.
25. Ibidem.
26. ID., Portando Clausewitz all’estremo, cit., p. 39.
72 27. Ivi, p. 42.
LA NOTTE DI ISRAELE
4. Forse, per comprendere la dialettica che si è innestata tra Stati Uniti e Israe-
le, questa riconfigurazione della dialettica servo-signore può essere più utile dell’o-
riginale. Del resto, né l’America né lo Stato ebraico sono pure autocoscienze, ma
soggetti geopolitici concreti, dotati di desideri specifici, tra loro molto simili e,
forse proprio per questo, in potenziale competizione.
La questione è la seguente: in Medio Oriente, Israele sta combattendo una
guerra che considera esistenziale, mentre per gli Usa si tratta esclusivamente
dell’ennesima distrazione che gli impedisce di leccarsi le ferite domestiche. Stato
ebraico e America vogliono ancora la stessa cosa: essere Gerusalemme. Il proble-
ma è che per il primo questo obiettivo può essere raggiunto oramai solo con la
violenza, mentre la seconda ritiene che esso presupponga una delimitazione
dell’impero, per impedire alla città sulla collina di bruciare definitivamente 28.
Dal punto di vista americano, la soluzione sarebbe – esattamente come per
l’Europa orientale e in misura minore anche per l’Indo-Pacifico 29 – la creazione di
un ordine regionale mediorientale sufficientemente stabile, basato sull’equilibrio
delle forze e sulla capacità degli alleati di rispondere alle minacce in sostanziale
autonomia. Obiettivo ultimo: permettere agli Usa di dedicarsi alla tempesta dome-
stica, dove la violenza politica dilaga e il tiro al presidente pare essersi trasformato
in sport nazionale.
È in quest’ottica che vanno letti i messaggi inviati dall’amministrazione ameri-
cana allo Stato ebraico, attraverso i quali il maestro statunitense chiede al discepo-
lo israeliano di non ripetere i suoi stessi errori. L’America chiede a Israele di non
condurla in una guerra totale e cerca dunque di esercitare nei confronti dell’alleato
una sorta di potere d’interdizione che, tornando a Girard, è la forma più pura del
potere del maestro. Washington sta infatti dicendo allo Stato ebraico «non imitar-
mi» 30, ovvero sta cercando di tenere a freno il desiderio di Israele.
Ma la contraddizione era destinata a esplodere perché il signore, come abbia-
mo visto in precedenza, pare essere poco educato alla cosa. Washington non
comprende che per gli israeliani questa guerra non è contestualizzabile. Essa non
si combatte né per Gaza, né per il Sud del Libano, né per l’egemonia regionale. Al
contrario, la posta in palio è l’esistenza stessa di Israele in quanto Stato sicuro e
dotato di confini certi, possibilmente come Bibbia comanda.
Washington, insomma, non riconosce e frustra il desiderio dello Stato ebraico.
Il suo «non imitarmi» non produrrà gli effetti sperati sul discepolo. Al contrario, «lo
28. F. PETRONI, «La sindrome di Lear», Limes, 3/2024, «Mal d’America», pp. 51-62.
29. S. WERTHEIM, «La fine dell’impero globale», ivi, pp. 75-84.
30. R. GIRARD, La violenza e il sacro, cit., p. 206. 73
COMANDA CHI NON TEME LA MORTE
getterà nella disperazione» 31, eccitandone l’animo e fomentando una violenza non
più diretta solo verso i (tanti) nemici, ma anche indirettamente verso il maestro, reo
di considerarlo «indegno di partecipare all’esistenza superiore di cui quello gode» 32.
Il legame dialettico tende dunque a rompersi. Il signore/maestro vorrebbe che
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si per ricordare al mondo la sua grandezza. Ancora Lévy: «Che ognuno dica con
chiarezza se riconosce un’altra grandezza a Israele oltre al ritorno all’ovile e un’altra
utilità agli ebrei se non ostacolare il ritorno dei saraceni» 38. Tradotto: non ci accon-
tentiamo di far parte di un ordine volto a contenere l’Iran. Vogliamo che la luce di
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stremo. Ma, concretamente, di che desiderio stiamo parlando? Meglio: qual è l’og-
getto del desiderio che muove lo Stato ebraico e che lo porta a rompere ogni lega-
me di riconoscimento?
La risposta sfiora il paradosso, perché a muovere il desiderio è una forma di
amore talmente potente e sovraumana da rendere impossibile qualsiasi forma ter-
rena di Anerkennung. Questo amore, presente nella cultura ebraica di cui lo Stato
guidato da Netanyahu si fa portavoce, è indirizzato verso un qualcosa di assoluta-
mente altro, di irriducibile alle cose umane e da cui dipende la salvezza degli ebrei.
Ieri questo amore aveva per oggetto Dio, mentre oggi ha per oggetto la Terra. Quel
che non cambia, però, è la fenomenologia di questo modo di amare, il fatto che
esso – orientato esclusivamente verso un principio trascendente – generi indiffe-
renza (se non disprezzo) nei confronti del mondo, così rifuggendo ogni possibilità
di riconoscimento. Del maestro e del nemico.
Torniamo a Hegel. Nei suoi Scritti giovanili, il filosofo tedesco opera una
estremamente controversa analisi dello spirito ebraico, destinata a essere contesta-
ta e considerata piena di stereotipi. Effettivamente è vero. In alcuni passaggi, egli
ricorre a luoghi comuni – come la proverbiale avidità degli ebrei o la loro astuzia
e inaffidabilità – che manifestano un’evidente stereotipizzazione del popolo ebrai-
co, facilmente individuabile anche alla luce della celebrazione della figura di Cristo
svolta da Hegel nella Vita di Gesù, dove il figlio di Dio viene fatto parlare con le
parole di Kant, maestro di rettitudine e buon cuore.
E tuttavia, le analisi del filosofo di Stoccarda sul particolare tipo di amore che
lega gli israeliani alla Terra possono essere utili perché, a ben guardare, esse paio-
no anticipare una particolare postura geopolitica assunta dal sionismo religioso
negli ultimi anni e che trova in Binyamin Netanyahu il suo massimo rappresentan-
te. Ciò non significa, ovviamente, che la cultura ebraica nella sua totalità sia ridu-
cibile all’esaltazione della sacralità della Terra. Esistono correnti dell’ebraismo che,
al contrario, pongono al centro la questione dell’esodo, del viaggio e del nomadi-
smo, proprio per decostruire il mito di Eretz Yisrael. Eppure, l’attuale postura dello
Stato ebraico pare essere fondata soprattutto su questo mito, che dà luogo a una
forma d’amore astrategica per la Terra tale da rendere impossibile ogni riconosci-
mento umano e da trasformare la guerra per i confini di Eretz Yisrael in guerra
escatologica.
Veniamo dunque a Hegel: «Abramo vagò con il suo gregge per un territorio
senza confini, di cui non rese a sé più vicine, coltivandole e abbellendole, singole
parti che in tal modo gli sarebbero state care (…): la terra era destinata solo al
pascolo del suo gregge» 43. In questo passaggio hegeliano emerge in tutta la sua
76 43. G.W.F. HEGEL, Scritti Giovanili, Napoli 2015, Orthotes, p. 453. Corsivi miei.
LA NOTTE DI ISRAELE
potenza la forma d’amore che lega Israele alla sua Terra. Essa è sacra in quanto
tale, ma non viene né coltivata né abbellita. Nessuna sua porzione è cara ad Abra-
mo, che la ama solo perché costituisce la condizione di esistenza del suo gregge.
L’amore per la Terra è un amore astratto, nel senso che essa viene venerata e sa- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
49. A. MARZANO, «Alle origini del sionismo religioso di Binyamin Netanyahu», Limes, 3/2023, «Israele
contro Israele».
50. G.W.F. HEGEL, Scritti giovanili, op. cit., p. 470.
51. Così Kook figlio, citato in A. MARZANO, Storia dei sionismi, cit., pp. 137-138.
78 52. J. DERRIDA, Di un tono apocalittico adottato di recente in filosofia, Milano 2020, Jaca Book.
LA NOTTE DI ISRAELE
altro non è che non un ulteriore passo verso l’eschaton 53. È una dinamica oramai
impossibile da controllare e che potrà concludersi solo, per citare ancora Girard,
dopo essere arrivata all’estremo.
E, in fin dei conti, è per questo che America e Iran non riescono a controllare
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non possiede più le capacità per farlo, se non in modo sporadico, affidandosi so-
prattutto a iniziative personali non coordinate da una catena di comando. Se som-
miamo questo dato di fatto a numerosi rapporti militari e di intelligence, si intuisce
che Israele è molto vicino al raggiungimento del suo primo obiettivo. Il secondo è
invece meno tangibile. Un parametro che a questo riguardo può essere utilizzato è
la capacità dei combattenti palestinesi di coordinare gli aiuti umanitari che giungo-
no a Gaza, che all’inizio del conflitto era quasi totale. Oggi la situazione è rovescia-
ta: il controllo dell’entrata dei beni è nelle mani delle Forze di difesa israeliane
(Idf). Resta quindi il terzo obiettivo. Nello Stato ebraico esiste un consenso sull’im-
portanza della questione degli ostaggi, ma anche visioni eterogenee su come ripor-
tarli a casa. Bisogna accordarsi a qualsiasi prezzo o proseguire e finanche ampliare
la pressione militare per costringere il leader di Õamås, Yaõyå Sinwår, a cedere?
Tale dilemma non è ancora stato risolto e sta logorando la società israeliana dall’in-
terno, proprio come previsto dagli ideatori dell’attacco del 7 ottobre.
LIMES Che ruolo svolge in questo quadro il fronte settentrionale?
MIZRAHI Il Libano inizialmente costituiva un teatro di guerra secondario. Per questo
Gerusalemme ha deciso di limitarsi a rispondere duramente agli attacchi di Õizbul-
låh. Alcuni giorni fa il portavoce delle Idf ha dichiarato che in questi mesi sono
state compiute molte incursioni in territorio libanese contro obiettivi giudicati peri-
colosi per la popolazione civile e per i militari israeliani stanziati lungo il confine.
Ma il vero cambiamento di orizzonte si è verificato lo scorso 16 settembre, quando
Israele ha deciso di spostare il baricentro del conflitto al Nord, con l’obiettivo di
creare le condizioni per il ritorno nel territorio dei circa 70 mila cittadini evacuati.
Questo scopo di ampio respiro è stato poi tradotto in operazioni con un obiettivo
più mirato: indebolire massicciamente le milizie sciite e allontanarle dal confine,
quantomeno secondo le direttive della risoluzione delle Nazioni Unite del 2006.
Õizbullåh ha senz’altro subìto danni considerevoli, in termini di capacità militari e
perdite umane. Ma è ancora in grado di bersagliare le città israeliane e mettere in
pericolo le infrastrutture militari delle Idf.
LIMES Dal punto di vista di Israele, qual è lo scenario finale ottimale per il dopo-
guerra?
MIZRAHI In questo caso la situazione è differente. Il governo israeliano non ha mai
presentato la sua posizione su come dovrà apparire Gaza a partire dal «giorno
dopo», ovvero dalla fine della guerra. Alcuni sostengono che non ha voluto farlo.
Altri che non ha proprio potuto, soprattutto a causa della composizione dell’ese-
cutivo, che presenta figure estremiste di notevole peso politico all’interno della
coalizione.
Nel governo ci sono state numerose discussioni riguardo a «chi dovrà occuparsi di
82 Gaza nel dopoguerra». Quel che è certo è che Israele non permetterà mai che
LA NOTTE DI ISRAELE
palestinesi a Gaza, aggrediti dall’entità sionista». Così, l’8 ottobre 2023 Õizbullåh ha
iniziato a bersagliare Israele con razzi, missili e mortai, dichiarando che avrebbe
smesso solo laddove le Idf si fossero ritirate dalla Striscia. È quanto Naârallåh ha
ripetuto fino al suo ultimo discorso.
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Non c’è da stupirsi. Perché questo è il cardine della strategia di Teheran: accerchia-
re Israele con un «anello di fuoco», i cui principali ideatori erano proprio Naârallåh
e il generale iraniano Qasem Soleimani, ucciso dagli Stati Uniti a Baghdad nel
gennaio 2020. Secondo questa visione, l’Iran si presenta al mondo come garante
dell’equilibrio mediorientale e dietro le quinte usufruisce di proxies disposti a fare
il «lavoro sporco» attraverso attacchi militari e terroristici contro Israele e altri attori
occidentali. Tale ipocrisia mette a dura prova la logica e la moralità di molti paesi
che – in una forma o in un’altra, per una ragione o per un’altra – collaborano con
l’Iran, ovvero con il diretto responsabile delle tensioni che impediscono di raggiun-
gere qualsiasi stabilità in Medio Oriente. Non sarà forse tutta colpa di Teheran, che
arma, addestra e dirige Õizbullåh, le milizie sciite in Iraq, i gruppi filo-iraniani in
Siria e tante altre fazioni che vivono di terrorismo? È proprio per questo che quella
in corso non è la «guerra di Gaza» o la «terza guerra del Libano», ma la prima guer-
ra tra Israele e Iran, sostenuto dai suoi clienti.
Il conflitto non viaggia per ora in direzione favorevole all’Iran, che negli ultimi
mesi ha incontrato due problemi di considerevole entità. Primo, i colpi accusati dai
proxies ma anche dagli stessi iraniani – pensiamo all’uccisione di Ism呸l Haniyya
– hanno costretto Teheran a uscire allo scoperto, abbandonando le vesti di garante
della stabilità mediorientale e affrontando lo Stato ebraico faccia a faccia. Lo si è
visto con gli attacchi missilistici di aprile e ottobre, la cui portata è stata senza pre-
cedenti nonostante gli scarsi risultati ottenuti. Secondo, l’intento di imporre a Isra-
ele una guerra di logoramento su più fronti non funziona più. Gli israeliani hanno
bombardato costantemente le principali risorse e strutture belliche dei nemici,
hanno ucciso le loro più alte cariche e sono entrati militarmente in territorio liba-
nese. Tutto ciò ha mutato l’orizzonte strategico. Non sarà forse la «vittoria totale»
sognata da Netanyahu, ma di certo si tratta di un risultato ben diverso da quello
pronosticato dalla classe dirigente iraniana.
A partire dal 16 settembre, lo Stato ebraico ha tolto il piede dal freno. Il calcolo
delle equazioni e delle reazioni proporzionali è saltato. E una volta entrati in Liba-
no i soldati israeliani si sono resi conto che c’erano tutti i presupposti per un’ag-
gressione di portata simile al 7 ottobre. Õizbullåh aveva creato tunnel di vario ge-
nere, dotati di depositi di armi e postazioni per l’attacco e per la difesa. Sono stati
trovati piani operativi per l’invasione e la conquista del Nord di Israele. Probabil-
mente l’attacco di Õamås – di cui con ogni probabilità l’Iran e Õizbullåh non erano
del tutto informati, perlomeno per quanto riguarda le sue tempistiche – ha in real-
tà annullato l’effetto sorpresa di quel piano.
La decisione dell’Iran e di Õizbullåh di prendere parte alla battaglia di Õamås ha
84 danneggiato, se non compromesso del tutto, il meccanismo di deterrenza conven-
LA NOTTE DI ISRAELE
zionale di maggior valore nelle mani di Teheran: era ciò che garantiva l’impossibi-
lità di un attacco israeliano contro gli impianti nucleari iraniani.
LIMES Alla guerra dello Yom Kippur nel 1973 è seguita la pace con l’Egitto. Oggi
può succedere lo stesso? Possono crearsi nuove dinamiche positive nella regione?
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quale potrebbe chiudere il conflitto fra israeliani e mondo arabo sunnita, che rap-
presenta circa l’85% di tutti i musulmani.
L’intenzione di Gerusalemme è migliorare l’orizzonte strategico regionale senza
prendere impegni a livello locale, soprattutto riguardo alla questione palestinese,
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tentando di tenere i due piani separati. Tale volontà deriva in parte da un compren-
sibile desiderio di normalità – vivere pacificamente con gli altri paesi, sviluppare gli
scambi economici, turistici, culturali, scientifici – ma anche dall’esigenza strategica
di coordinarsi con gli attori minacciati dalle mire egemoniche dell’Iran.
Ad aprile i paesi arabi moderati hanno preso parte allo sforzo per contrastare l’at-
tacco iraniano a Israele. Tuttavia, l’Arabia Saudita non può accettare una normaliz-
zazione dei rapporti con lo Stato ebraico senza che nell’accordo sia incluso un ri-
ferimento ai princìpi di base che dovrebbero risolvere la questione palestinese. Si
tratta di una sorta di «tassa» richiesta a entrambe le parti. Riyad ne ha bisogno per
mantenere il proprio ruolo di guida nel mondo arabo sunnita. Gerusalemme, inve-
ce, per ottenere la normalizzazione con i sauditi. Bisogna anche ricordare che i
governi dei paesi arabi moderati devono sempre muoversi con molta attenzione
riguardo ai rapporti con Israele, poiché le opinioni pubbliche arabe non sono sul-
la stessa lunghezza d’onda delle loro classi dirigenti.
Non è escluso che, in un ipotetico dopoguerra, la visione dei «due Stati, due po-
poli» – linea portata avanti di recente da Washington – possa giocare un ruolo
nella normalizzazione fra Israele e Arabia Saudita. Potrebbe essere il principio su
cui ricostruire il processo di pace. Sarebbe chiaramente la cosa più giusta e più
logica. Ma questa prospettiva non potrà essere realizzata fintanto che uno dei due
popoli vorrà annientare l’altro, ci saranno leader incapaci di far rispettare gli accor-
di presi e le garanzie offerte dagli organismi internazionali saranno assolutamente
inaffidabili. Israele non si troverebbe oggi a combattere in Libano se la risoluzione
dell’Onu siglata nel 2006, secondo cui Õizbullåh non avrebbe dovuto espandere la
propria presenza militare oltre la linea del fiume Lø¿ånø, non fosse stata violata fin
dal giorno zero.
LIMES Nella sua lettura, è possibile che il vero piano di Sinwår non sia ottenere
un’improbabile vittoria militare, ma minare dall’interno la società israeliana?
MIZRAHI Sinwår e Naârallåh prevedevano la disintegrazione dall’interno della no-
stra società, ma hanno dovuto fare i conti con la realtà. Il loro più grande errore sta
nel non aver capito che, in un contesto di democrazia, le divergenze – per quanto
acute – non sono paragonabili a quelle dei modelli dittatoriali cui loro sono sempre
stati abituati. Perché è vero: due ebrei, discutendo, fondano tre partiti. Questa non
è solo una battuta divertente. Gli israeliani hanno notoriamente un carattere procli-
ve alla discussione, sono abituati ad accentuare e in certi casi perfino a estremizza-
re le differenze di opinione. Ma quando si sentono minacciati trovano sempre il
modo di mettere i bisticci da parte. Soprattutto quando non vi è alcuna scelta.
Sinwår e Naârallåh questo non l’hanno capito. È chiaro che il primo stia usando gli
86 ostaggi per colpire la società israeliana. In parte ciò è anche responsabilità di Ne-
LA NOTTE DI ISRAELE
te gli stessi: minare la stabilità sociale dello Stato ebraico ed espandere la dimen-
sione del conflitto a livello regionale.
Purtroppo in Occidente spesso manca la consapevolezza delle differenti scale di
valori in gioco quando si danno giudizi sul conflitto. Alcuni giorni fa sono stata in-
tervistata da una radio britannica. La giornalista mi ha chiesto: «Ma perché non vole-
te accettare la semplice e giusta soluzione dei due Stati?». Dunque le ho chiesto di
aiutarmi. Con chi dovremmo trattare? A chi dovremmo consegnare le chiavi di que-
sto Stato che dovrebbe vivere pacificamente accanto a noi? Forse a Õamås? Oppure
all’Anp, che finirebbe per farsi cacciare di nuovo dalla Striscia come nel 2007?
Si accusa spesso Israele di attaccare la popolazione civile e di fare vittime innocen-
ti. Non ne andiamo certo fieri. Ma come potremmo eliminare le minacce militari di
Õamås e Õizbullåh, se gran parte dei terroristi, dei depositi di armi e dei missili
viene nascosta all’interno di strutture civili? Occorre porsi una domanda elementa-
re: se Õamås posiziona un lanciamissili in una casa e lo utilizza per sparare contro
obiettivi civili dentro Israele, le Idf possono o non possono attaccare l’abitazione,
col rischio di colpire veri o presunti civili che abitano al suo interno? Di certo non
si può accettare impotenti e senza poter reagire queste forme di terrorismo. E poi,
sono curiosa: com’è possibile che non si comprenda l’incompatibilità tra l’idea dei
due Stati e lo slogan tanto di moda nelle manifestazioni pro palestinesi – «dal fiume
al mare» – il quale implica la sparizione di Israele dalla carta geografica?
Non amo i cliché. Ma non posso fare a meno di evidenziare che stiamo combatten-
do contro organizzazioni che pongono i loro obiettivi prima della vita della propria
gente. Per questo è utile ricordare la famosa frase di Golda Meir: «Arabi, noi vi po-
tremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo
mai per averci costretto a uccidere i vostri. Una possibilità di pace esisterà solo
quando gli arabi dimostreranno di amare i propri figli più di quanto odino noi».
87
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LA NOTTE DI ISRAELE
mezzo per porre fine all’occupazione; alla vigilia dell’attacco di Õamås, era il 54%.
Perché un numero così elevato di gaziani non supporta Õamås lo spiega il profes-
sor Khalil Shikaki (Œaløl Šiqaqø) di Ramallåh’: «In Cisgiordania simpatizzare non ha
costi: non si può fare nulla per aiutare Gaza [da qui], ma si può esprimere un so-
stegno emotivo e cognitivo».
Poi c’è l’odio per l’Autorità nazionale palestinese (Anp) e per Abu Mazen, atte-
stato dalla maggioranza dei palestinesi (80% a Gaza e in Cisgiordania) che lo vuole
esautorare. Solo a Gaza l’Anp ottiene qualche punto in più su alcune misure limitate,
triste testimonianza della miseria sotto Õamås. Questo ha distribuito pacchi di cibo
per le prime settimane di guerra, forse lasciando intendere quanto pensasse che
sarebbe durata. Nel sondaggio Awrad di giugno solo il 2% indicava Õamås come
soggetto di cui fidarsi per la fornitura di aiuti umanitari, rispetto al 21% dell’Anp.
Shikaki ritiene che la retorica della liberazione rifletta le tendenze politiche
palestinesi del secolo scorso, esauritesi tra gli anni Sessanta e Ottanta quando l’Or-
ganizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) dichiarò di sostenere uno
Stato nelle aree occupate da Israele nel 1967. Si è parlato senza mezzi termini di
fallimento politico della diaspora, dove in molti non conoscono la realtà della si-
tuazione e indulgono in un paternalistico «vogliamo liberare la Palestina, ma voi ne
pagherete il prezzo».
Secondo una recente indagine coordinata dallo stesso Shikaki, per metà dei
palestinesi la dissoluzione dell’Anp gioverebbe alla causa palestinese e oltre il 70%
guarda positivamente alla nascita di nuovi gruppi armati per arginare le violenze.
Per Raãå al-Œålidø, direttore dell’Istituto di ricerca per la politica economica palesti-
nese, «l’Autorità nazionale palestinese non è in grado di onorare i propri obblighi
verso la popolazione e questa è una forma di collasso istituzionale». Õamås non
gode di buona salute, ma le alternative in campo palestinese sono ectoplasmi te-
nuti in vita da un sempre più esangue credito internazionale. Così l’Autorità nazio-
nale palestinese guidata (si fa per dire) da Abu Mazen; così Fatõ, che ha visto il suo
potere disintegrarsi.
Scrive Michele Giorgio, a lungo corrispondente del manifesto dalla Palestina:
«Per i palestinesi l’Anp è un elefante che grava sulle spalle della popolazione. Tan-
ti ne accettano malvolentieri l’esistenza anche se ha fallito l’obiettivo della piena
indipendenza – cui si oppone Israele – perché temono il caos derivante dalla sua
caduta. Altri pensano che solo attraverso il suo scioglimento e la rinascita dell’Or-
ganizzazione per la liberazione della Palestina i palestinesi potranno elaborare una
strategia nazionale».
Il 27 luglio 2024 quattordici fazioni palestinesi si sono riunite a Pechino per
sancire un’intesa benedetta dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Al termine di
tre giorni di incontri è arrivato l’annuncio che Õamås, Fatõ e gli altri gruppi politici 91
PALESTINA, ANNO ZERO
avrebbero raggiunto un accordo sul futuro della Palestina con la mediazione della
Repubblica Popolare. Il condizionale è d’obbligo, visti i tanti precedenti rimasti
lettera morta. A guidare la delegazione di Õamås era Muså Abû Marzûq, leader
storico del movimento, mentre per Fatõ era presente Maõmûd al-‘Ålûl. Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
3. Dal 7 ottobre 2023 tale orizzonte appare comunque sempre più lontano. Il
risultato più probabile, afferma l’Economist in un articolo del 18 luglio 2024, «è che
un Õamås malconcio finisca per competere con clan e bande in una Gaza senza
legge. Criminalità e violenza sarebbero diffuse. Le organizzazioni umanitarie do-
vrebbero stringere accordi con uomini armati per proteggere i loro convogli, quel-
le di beneficenza cercherebbero di riparare alcuni pezzi di infrastrutture vitali come
gli impianti di desalinizzazione, ma una ricostruzione su larga scala rimarrebbe
impossibile. Alcuni funzionari delle Nazioni Unite chiamano questo scenario “Mo-
gadiscio sul Mediterraneo”».
L’ottantottenne Abu Mazen, stanco e visibilmente provato, ha preso la parola
all’Assemblea Generale dell’Onu per illustrare una road map negoziale: un-cessate-
92 il-fuoco «completo e permanente» nella Striscia che comporti «la fine delle aggres-
LA NOTTE DI ISRAELE
quali risultati? Fatõ è diventata l’ombra di sé stessa. Guardate cosa avete fatto. Guar-
date come avete continuato a cancellare la vostra storia. Ricominciamo dall’inizio.
«Il ritorno alle origini è imposto dalla ferocia del progetto coloniale sionista,
dalla sua follia apocalittica e dalla sua determinazione a sottomettere la regione al
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progetto di trasformare il mito in storia. Quel che è successo durante la rivolta del
maggio 2021 è un ritorno alle questioni iniziali, perché i sionisti hanno voluto con-
tinuare a saccheggiare le case del quartiere di Šayœ Ãarraõ, dichiarando che il loro
progetto di Nakba aspira a cancellare ogni traccia dell’esistenza palestinese. Il loro
linguaggio razzista si è manifestato senza mezzi termini alla luce del sole, come i
proiettili dei loro fucili e le bombe dei loro aerei.
Quando il presidente palestinese Abu Mazen ha deciso di annullare le elezioni
presidenziali, era un modo di evitare le dimissioni. Quando l’Autorità nazionale pa-
lestinese ha intrapreso una campagna del terrore contro la lista Libertà guidata dal
prigioniero Marwån Barôûñø e da Nåâir al-Qudwa sapeva benissimo che la questione
non riguardava il Consiglio costituzionale, ma la presidenza palestinese e la fine del
suo mandato. Riguardava anche come organizzare il cuore pulsante della resistenza
nelle prigioni coloniali per iniziare una nuova (…) resistenza alla colonizzazione. La
presidenza palestinese ha cercato di sfuggire alla sua inevitabile fine rinviando le
elezioni, ma la rivolta di Gerusalemme ha segnalato che quell’epoca è finita.
È arrivato il momento per il presidente Abu Mazen e il suo gruppo dirigente
di dimettersi con onore, per preservare una storia cui un tempo appartenevano.
Questa nuova tappa necessita di una nuova visione che restituisca a un popolo che
ha deciso di non morire ciò che gli appartiene».
È un estratto di un lungo articolo scritto da Khoury il 23 luglio 2023, pubblica-
to integralmente in Italia da Orient XXI con il titolo «Il crepuscolo di Fatõ». Sono
passati quindici mesi da allora e la situazione è ulteriormente peggiorata. Ma resta-
no i palestinesi. Milioni di palestinesi. Possono annientare la loro rappresentanza,
moltiplicare per mille le eliminazioni mirate. Ma un popolo non può essere cancel-
lato. La soluzione finale non è contemplabile. Almeno si spera.
LIMES Vi sono concrete possibilità che si arrivi a un governo palestinese con dentro
Fatõ e Õamås?
AL-MĀLIKĪ Quando la situazione lo consentirà potremo prendere in considerazione
questa opzione. Ma prima bisogna fermare questa guerra folle e proteggere il nostro
popolo. Õamås dovrebbe capirlo e credo sia favorevole all’idea di istituire un gover-
no tecnico. Non è il momento per un governo con dentro Õamås, perché verrebbe
boicottato da diversi paesi com’è già successo in passato. Non vogliamo trovarci in
una situazione del genere. Vogliamo essere accettati pienamente dalla comunità
internazionale. Le elezioni determineranno il tipo di governo che guiderà lo Stato di
Palestina, ma per prima cosa occorre scongiurare ulteriori spostamenti di popola-
zione e coinvolgere i paesi che possono fornire sostegno politico e finanziario.
LIMES La guerra di Gaza ha oscurato quanto avviene in Cisgiordania?
AL-MĀLIKĪ Più che un oscuramento, è una complicità. In Cisgiordania le forze di
occupazione israeliane e i gruppi armati di coloni terrorizzano la popolazione civi-
le e commettono ogni tipo di crimine. Approfittano del fatto che l’attenzione del
mondo è concentrata su Gaza. Gli atti di violenza sono all’ordine del giorno: ven-
gono confiscate terre, distrutte case, sradicati alberi, uccisi innocenti, terrorizzate
famiglie e scolaresche. Soldati e coloni agiscono di concerto: i primi sono sempre
pronti a intervenire per proteggere i secondi dalle reazioni dei palestinesi. Alla fine
sono sempre questi a essere picchiati, imprigionati o a vedersi confiscate le pro-
prietà. Tutto ciò deve finire.
LIMES Lei ha ricucito i rapporti tra l’Anp e l’Arabia Saudita. Ha cambiato idea sugli
accordi di Abramo?
AL-MĀLIKĪ Non c’è stata alcuna ricucitura perché non v’è mai stato alcuno strappo.
Nella visione di Israele quegli accordi dovevano servire a cancellare la questione
palestinese dall’agenda mediorientale. Così non è stato e le drammatiche vicende
di questi mesi lo testimoniano. Il principe ereditario Muõammad bin Salmån è sta-
to molto chiaro: la stabilizzazione della regione e nuove relazioni con Israele pas-
sano per la costituzione di uno Stato palestinese. Il suo punto di riferimento sono
le risoluzioni Onu 242 e 338. Il regno saudita, come tanti altri paesi arabi, sarà
protagonista attivo della ricostruzione di Gaza.
LIMES L’Iran apre il fronte di guerra con Israele chiamando in causa la questione
palestinese.
AL-MĀLIKĪ L’Iran, da Stato sovrano, ha reagito ai ripetuti atti ostili compiuti da Isra-
ele in Siria, in Iraq e in territorio iraniano. Israele non può pensare di agire come
se fosse al di sopra del diritto internazionale. Noi però abbiamo bisogno di soste-
gno, non di una «rappresentanza» esterna. Abbiamo bisogno del sostegno politico
e finanziario del mondo arabo per la ricostruzione post-bellica. I paesi arabi, in
96 particolare gli Stati del Golfo, riconoscono la loro responsabilità. Ma oltre a un
LA NOTTE DI ISRAELE
piano per Gaza, serve una visione comune per il futuro. Stiamo lavorando a stretto
contatto, coordinandoci con loro. Questi paesi possono usare la loro influenza af-
finché americani ed europei premano sugli israeliani e parlino con noi del futuro.
LIMES Il 20 luglio 2024 la Corte internazionale dell’Aia ha dichiarato illegali l’occu-
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LA NOTTE DI ISRAELE
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Parte II
ISRAELE
contro IRAN
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LA NOTTE DI ISRAELE
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Libano (prima del 2022) Giacimenti Principali attacchi israeliani
Libano (a partire dal 2022) di gas I S R A E L E Primi tentativi d’incursione via terra
LA NOTTE DI ISRAELE
getto coloniale (il futuro Stato di Israele) da realizzare nei territori mandatari
sotto autorità britannica.
Eppure, nei mesi scorsi l’inamovibile presidente del parlamento Nabih Berri
(Nabøh Barrø), alleato tattico di Õizbullåh ma pronto a dissociarsi da esso qualora
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si mostri alle corde, aveva ribadito al negoziatore americano Amos Hochstein l’im-
possibilità di ricacciare i combattenti a nord del Lø¿ånø. «Sarà più facile portare il
Lø¿ånø sulla Linea blu», aveva detto Berri.
Haifa, uccidendo 4 soldati e ferendone più di 60 (13 ottobre). La sua struttura mi-
litare è dotata di un’intricata rete di tunnel e di bunker sotterranei in tutto il Sud del
Libano e nella periferia meridionale di Beirut, probabilmente anche nella valle
della Biqå‘ collegata alla vicina Siria. Questi tunnel sono stati presi di mira in ma-
niera sistematica dall’Aeronautica israeliana, per lo più nella capitale ma anche in
zone del distretto di Marã‘uyûn dove si pensa vi siano diversi cunicoli e piattaforme
di lancio sotterranee.
Nelle prime due settimane di offensiva terrestre, il servizio di propaganda
dell’esercito isreliano ha ripetutamente mostrato immagini dei suoi uomini in terri-
torio libanese, in alcuni casi all’interno o in prossimità di abitazioni, pubblicando
filmati e foto di armi leggere «di Õizbullåh» all’interno di edifici. L’esercito israeliano
ha anche affermato di aver scoperto ingressi di alcuni tunnel e bunker sotterranei,
mostrando video di queste scoperte. In un caso ha annunciato (13 ottobre) di aver
catturato un soldato di Õizbullåh, «un terrorista». Nei suoi comunicati, l’esercito
israeliano non ha finora (14 ottobre) mai precisato le località in cui ha ripreso le
immagini delle sue operazioni a ridosso della linea di demarcazione.
La presenza dei tunnel di Õizbullåh è questione annosa. Il Partito di Dio non
ha mai nascosto di aver cominciato a costruirli alla fine degli anni Ottanta, prose-
guendo negli anni della resistenza all’occupazione israeliana. Nel 2018 Israele ave-
va denunciato la presenza di una serie di cunicoli che dal Sud del Libano raggiun-
gevano l’Alta Galilea. Allora aveva persino invitato i vertici di Unifil, la missione
militare Onu di cui fa parte l’Italia con circa mille soldati, a scendere insieme agli
ufficiali israeliani in alcuni tunnel partendo dal lato israeliano. Questi cunicoli era-
no stati chiusi e cementati dalle unità del genio delle Idf (Forze di difesa israeliane).
Ma è verosimile che a nord della Linea blu Õizbullåh sia riuscito a mantenersi atti-
vo e vitale grazie soprattutto a questa rete.
Il sistema sotterraneo di cunicoli e bunker sembra essere la causa principale
della cautela finora mostrata dall’esercito israeliano nel condurre operazioni di ter-
ra nel Sud del Libano. Memori delle cocenti sconfitte subite nell’estate del 2006, gli
israeliani agiscono questa volta saggiando il terreno con operazioni limitate a peri-
metri vicini alla linea di demarcazione. Mini incursioni terrestri a sud-est di Bint
Ãubayl, nella zona di Yårûn e a sud di Marã‘uyûn, nella zona di ‘Udaysa , e in
quella di Nåqûra. Come già accennato, queste tre aree costituiscono per gli israe-
liani tre diverse rampe di lancio per una più massiccia offensiva terrestre, necessa-
ria per tentare di «annientare» Õizbullåh – almeno la sua dimensione militare, la più
superficiale. A tal fine serve anche continuare a colpirne il cervello politico (la
periferia meridionale di Beirut) e il retrovia logistico (la valle della Biqå‘).
A parte due attacchi aerei in zone molto centrali della capitale libanese, fino al
7 ottobre 2024 a essere massicciamente bersagliata è stata la periferia meridionale. 105
106
IL PERCORSO DEL LIBANO E DI HIZBULLĀH escalation di
. Israele contro H. izbullāh
H. izbullāh
sostiene H. amās
Scontri armati a Beirut contro
rivali filo-occidentali 20
H 20
24
Ā
L 20 23 20
L H. izbullāh difende il Libano 21 24
U dai “terroristi” islamici 20
B 20 23 3ª guerra
1 5 20 di Israele
H. izbullāh interviene nella guerra di Siria 2 attacco H. amās
IZ 01 19 a H. izbullāh
H.IZBULLAˉH VENDERÀ CARA LA PELLE
H. 2 -2 contro Israele
0
Scontri armati a Beirut e nel Monte Libano 2 20 crisi finanziaria
00 1 1 in Libano, esplosione
8 nel porto di Beirut
2ª guerra con Israele 2 20 Scoppiano violenze in Siria
00 08
6
20 Scontri armati interni tra H. izbullāh e i rivali filo-occidentali
6 0
20 Grande guerra di Israele in Libano
H. izbullāh costringe Israele 05
al ritiro militare 20
20 04 Assassinio di Harīrī padre
00 20 T E
H. asan Nas. rallāh 03 Braccio di ferro Usa/Francia vs Siria/Iran N
eletto seg. generale del partito 20 Invasione anglo-americana dell’Iraq
I E
00 R
Ritiro militare israeliano
O
I O
H. izbullāh 19 D
nasce come forza di 19 96 E
resistenza a Israele 92 M
Mini-guerra israeliana a H. izbullāh
19 E
82 19
-8 19 91
Guerra del Golfo, ripercussioni in tutta l’area O
5 1 89
9 - Crollo dell’Urss. Tutela siriana in Libano N
19 85 91 A
8 Israele occupa il Sud del Libano
B
19 2
2ª invasione israeliana
I
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
19 79
Rivoluzione iraniana
L
19 78
75 1ª invasione israeliana del Libano
Inizio guerra civile in Libano
LA NOTTE DI ISRAELE
tanti, in dollari statunitensi, stipati negli anni in bunker sotterranei nella Biqå‘, in
Siria e nella periferia meridionale di Beirut. Non è possibile verificare quanto
emerso da alcune fonti di stampa, secondo cui parte dei «miliardi di dollari» asse-
ritamente nascosti sull’Antilibano sarebbe stata incenerita dai raid di Israele. È ve-
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rosimile che il movimento libanese, dotato di ampi mezzi per accumulare capitali
in Libano, Siria, Medio Oriente, Europa, America e Africa, nascondesse – e possa
ancora nascondere – parte delle sue finanze in casseforti sotterranee. L’eventuale
perdita delle stesse potrebbe indebolirne ulteriormente le capacità nel Sud, a Bei-
rut e nella Biqå‘.
Pur colpito al cuore in diversi centri del suo potere militare, politico, di sicu-
rezza e forse finanziario, Õizbullåh non è stato tuttavia annientato. Non nel Sud del
Libano, né in altre aree del paese e del Medio Oriente. L’eventuale resistenza ar-
mata che le sue linee potranno opporre sul terreno agli israeliani offrirà al movi-
mento sciita un’opportunità cruciale per tentare di contenere, nella prassi e nella
retorica, la fulminea e inaspettata débâcle subita a settembre. La partita nel Sud del
Libano – il «corpo a corpo» di cui ha parlato pubblicamente il numero due di
Õizbullåh, Naøm Qåsim, qualche giorno dopo l’uccisione di Naârallåh – sembra
dunque decisiva per determinare la sorte militare e politica del Partito di Dio. Non
soltanto in Libano, ma nella regione. Se Õizbullåh si dimostrasse capace di resiste-
re al nemico israeliano, rallentandone l’avanzata verso il Lø¿ånø e l’Awwålø e inflig-
gendogli perdite significative, darebbe senso all’espressione: «il Sud del Libano sarà
il Vietnam d’Israele». Così potrebbe mantenere una posizione dominante nei deli-
cati equilibri politico-istituzionali del paese e scacciare il suo incubo peggiore: la
creazione di un fronte libanese ostile all’Iran, vicino agli Stati Uniti e a Israele. In
tal caso il Partito di Dio non esiterebbe a imbracciare le armi per tentare di ripor-
tare il suo ordine in Libano, aprendo scenari imprevedibili incluso quello di una
nuova guerra civile.
A Beirut c’è chi lavora a una transizione meno cruenta, ma non meno rivolu-
zionaria. La scomparsa di Õasan Naârallåh ha creato un vuoto inaspettato. Nabih
Berri, da decenni figura centrale in tutti i negoziati tra forze occidentali e medio-
rientali, è alleato di Õizbullåh ma non ha mai troncato i legami con Hochstein,
l’inviato statunitense legato a doppio filo a Israele. Dai primi di ottobre Berri è al
centro di manovre politiche: ufficialmente si muove per «costruire il percorso del
cessate-il-fuoco», ma il suo disegno va oltre la sospensione delle ostilità. Il leader
del partito armato Amal (nessuno dei cui quadri è stato finora colpito da Israele) si
muove per sondare il terreno in vista di una possibile sterzata in senso filo-occi-
dentale della politica estera e di difesa del Libano.
Con Õizbullåh impegnato in una lotta senza quartiere per la sopravvivenza, la
fase è propizia per tentare il ribaltone. Ma il tempo stringe, perché è possibile che
il Partito di Dio rialzi la testa e costringa la campagna militare israeliana a rallenta-
re drasticamente. La manovra di Berri, condotta assieme al premier uscente Naãøb
Miqåtø, consiste nel creare un consenso trasversale ai rimanenti leader politico-con-
108 fessionali libanesi per consegnare il Libano alla coalizione occidentale e filo-israe-
LA NOTTE DI ISRAELE
liana, capeggiata dagli Stati Uniti e di cui fanno parte Francia, Regno Unito e Arabia
Saudita. Questi paesi sono da anni i principali finanziatori dell’esercito libanese,
che dal 2000 non è mai stato dispiegato a sufficienza nel Sud e da tempo svolge
più compiti di polizia che militari. Il suo comandante, generale Joseph Aoun, è da
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tempo candidato alla presidenza della Repubblica, carica vacante da due anni.
Aoun (da non confondere con l’ex presidente e generale Michel Aoun) rimane in
silenzio, ma incontra i vertici istituzionali libanesi. E attende. Intanto Berri lavora
alacremente per far sì che l’élite politica libanese cambi casacca per mantenere il
dominio sulla società.
Con Joseph Aoun presidente, il «nuovo» esercito libanese regolare sarebbe di-
spiegato in un Sud «bonificato» dalla presenza militare di Õizbullåh. La risoluzione
Onu 1701 del 2006 sarebbe applicata, almeno nei paragrafi che meglio di altri as-
sicurano a Israele la creazione della tanto attesa fascia di sicurezza estesa dal Lø¿ånø
alla Linea blu. Persino quest’ultima potrebbe cambiare perché Libano e Israele,
tramite Berri e Hochstein, potrebbero raggiungere uno storico accordo per la deli-
mitazione della frontiera terrestre, dopo quello del 2022 – benedetto da Õizbullåh
– per la delimitazione della frontiera marittima e la conseguente spartizione delle
risorse energetiche offshore. Immaginare che questa sequenza si realizzi è per il
momento un puro esercizio di logica deduttiva, a partire dall’analisi di diverse ini-
ziative intraprese dentro e fuori il Libano in un contesto assai mutevole, dove s’in-
trecciano molteplici interessi e variabili.
4. Per la prima volta in circa due decenni l’equazione di potere in Libano po-
trebbe dunque mutare in maniera drastica, con ripercussioni tutte da misurare. Dal
ritiro israeliano del 2000 a oggi il partito armato libanese e il suo alleato iraniano
hanno imposto sempre più la loro visione strategica sulle scelte di politica estera e
di difesa, in contrasto con gli interessi di Israele e degli Stati Uniti.
Non è stato sempre così. Sin dalla sua nascita la Repubblica libanese emersa
dopo il ventennio di mandato francese (1920-1943), è stata caratterizzata dal domi-
nio di élite locali strettamente connesse alle potenze occidentali (prima la Francia,
poi gli Stati Uniti). Questo legame di dipendenza ha determinato a lungo la strut-
turale debolezza istituzionale dello Stato libanese e delle sue Forze armate: nel Li-
bano postcoloniale non doveva esserci spazio per una forma statuale di resistenza
allo Stato di Israele. Una delle cause principali della guerra civile libanese (1975-90)
è stata la crisi di questo status quo seguito all’indipendenza del 1943. L’ordine liba-
nese filo-occidentale era stato scosso profondamente con il primo massiccio esodo
di palestinesi (1948). Era stato poi restaurato, temporaneamente, con lo sbarco dei
marines nel 1958 in quella che molti chiamano «prima guerra civile» libanese. Gli
accordi del Cairo (1969), dopo la guerra del 1967, sancirono il compromesso tra lo
Stato (sotto tutela occidentale) e le forze della resistenza palestinese.
La dinamica discendente verso il baratro era però irreversibile. Con l’intervento
delle truppe siriane (1976) e l’invasione israeliana (1978), il Libano fu di fatto spar-
tito in due zone d’influenza. In questo contesto di occupazione militare israeliana 109
H.IZBULLAˉH VENDERÀ CARA LA PELLE
del Sud nasce Õizbullåh (1979), con il sostegno decisivo del neonato Iran khomei-
nista. Il crollo dell’Urss (1989) e la guerra del Golfo (1990-1991) aprirono nuovi
scenari e spinsero gli Stati Uniti ad affidarsi alla Siria di Õåfi‰ al-Asad, per decenni
alleato di Mosca, come nuovo arbitro del Libano. Lo Stato libanese rimase, ancora
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
una volta, senza autonomia nella definizione della sua politica estera e di difesa.
Con il ritiro israeliano (maggio 2000), determinato soprattutto dall’incessante
azione di resistenza di Õizbullåh, si assistette a una nuova revisione degli equilibri
regionali. La morte di Assad padre (giugno 2000) e l’invasione anglo-americana
dell’Iraq accelerarono il processo: Francia e Stati Uniti premettero affinché Dama-
sco uscisse dal Libano (2004) e cercarono di imporre direttamente una nuova tute-
la occidentale sul paese. L’alleanza tra Õizbullåh e il partito cristiano maronita del
generale Michel Aoun (2005), la guerra tra Õizbullåh e Israele (2006) e gli scontri
armati interni in Libano (2008) sancirono l’emergere del Partito di Dio come forza
politica, istituzionale (con ministri, deputati, sindaci) e militare dominante.
Da allora Õizbullåh e il suo sostenitore iraniano sono stati gli arbitri della po-
litica estera e di difesa del Libano. Un dato attestato dall’impegno dei combattenti
sciiti nella guerra siriana (2012) e nella lotta al «terrorismo» (2014), fino all’8 ottobre
scorso quando nel Sud del Libano è stato aperto il «fronte di appoggio a Gaza». Le
carte sembrano ora quasi tutte sparigliate, ma la storia non finisce nell’ottobre 2024.
La guerra dei cent’anni in Medio Oriente è destinata a continuare a lungo.
110
LA NOTTE DI ISRAELE
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‘Ridisegniamo
il Medio Oriente’
Conversazione con Meir ELRAN, generale di brigata a riposo delle Forze di difesa
israeliane e direttore della ricerca domestica all’Institute for National Security Studies
a cura di Federico PETRONI
ture di comando e controllo. Secondo, le sue forze di terra devono essere respinte
a nord del fiume Lø¿ånø; il territorio a sud deve essere presidiato dall’esercito liba-
nese e da un contingente internazionale. Una rinnovata missione Unifil deve fare
parte della nuova architettura di sicurezza. Terzo, Õizbullåh deve accettare ispezio-
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LIBANO
Monte Hermon
Tiro
Monte Bental SIRIA
Monte Avital
GOLAN
Haifa
Mar
Mediterraneo Nazaret
Dar)ā
Irbid
Netanya
al-Mafraq
Nāblus
Hertzliya
Tel Aviv Glilot SEDI E BASI INTELLIGENCE
Glilot quartier generale del Mossad
Herzliya attuale sede dell’intelligence militare
Ashdod Gerusalemme e dell’accademia del Mossad (Midrasha)
Kiryat Gat Ora Kibbutz Urim nel deserto del Negev, principale
base di spionaggio SatCom dell’Unit 8200
Gaza Hebron Mar Ora base congiunta Nsa/Unit 8200
Morto Alture del Golan stazioni d’intercettazione
Hān Yūnis elettronica sui monti Avital, Bental e Hermon
Kibbutz Urim Beer Sheva nuova sede dell’intelligence
Beer Sheva militare
ISRAELE
POLI TECNOLOGICI
Tel Aviv
Haifa
Kiryat Gat principale stabilimento israeliano Intel
Herzliya sede di importanti aziende della
cybersecurity, tra le quali il colosso Verint
Beer Sheva capoluogo del Negev e capitale
EGITTO cibernetica d’Israele
GIORDANIA
Territorio israeliano
più Gaza e Cisgiordania
Golan
ARABIA
Confini attuali
Confini di Gaza,
S AU D I TA
Cisgiordania e Golan 113
‘RIDISEGNIAMO IL MEDIO ORIENTE’
la natura della risposta dovranno essere molto misurate e correlate alla nostra idea
di futuro.
LIMES L’Iran come nemico assoluto è servito a Israele a compattare il fronte interno.
Che succede se sparisce?
ELRAN Creare una coalizione regionale contro l’Iran non vuol dire che l’Iran diven-
terà un paese moderato e disposto a collaborare pacificamente coi suoi vicini. Af-
finché ciò accada dovrebbe verificarsi un cambio di regime sostenibile. Ma non
credo che sia uno scenario rilevante al momento. Adesso abbiamo una serie di
obiettivi da raggiungere piuttosto chiari: vincere la guerra contro Õamås e Õizbul-
låh; lavorare coi nostri vicini pragmatici per avviare la ricostruzione post-bellica;
creare la nuova coalizione contro la Repubblica Islamica. Se avremo successo,
potremo fare un passo successivo e considerare come rendere l’Iran un attore me-
no ostile e più costruttivo. Per ora limitiamo la nostra immaginazione a sviluppi più
realistici.
LIMES Ha parlato di sette fronti. Uno importante è lo Yemen. Israele pensa di repli-
care con gli õûñø quello che sta facendo con Õizbullåh?
ELRAN Gli õûñø sono un’altra manifestazione del tentativo dell’Iran di egemonizzare
il Medio Oriente. Nonostante non siano del tutto al servizio di Teheran, stanno
facendo un lavoro significativo, colpendo Israele e ostacolando il traffico marittimo
globale. Noi diamo il nostro contributo, ma sono soprattutto americani, inglesi e
altri europei a partecipare alla guerra contro gli õûñø. Anche questo problema dovrà
essere gestito dalla futura coalizione di cui parlavo prima. Israele non può occu-
parsi degli õûñø da solo. Se ora li colpiamo è perché fa parte della più ampia rispo-
sta a Teheran. Gli iraniani devono capire che nonostante le loro significative capa-
cità siamo più forti di loro e che pure noi siamo parte di una coalizione. Molti
paesi amici hanno aiutato Israele a difendersi ad aprile e a ottobre dai due attacchi
diretti dell’Iran. Anzi, la coalizione degli iraniani si sta deteriorando e la nostra sta
crescendo. Se continueranno a sfidarci, ne andrà dei loro interessi geostrategici.
LIMES È davvero possibile eliminare Õamås da Gaza?
ELRAN Õamås è stato in gran parte smantellato militarmente. In questo momento la
questione principale è assicurarci che non possa controllare la popolazione civile
e il territorio in futuro. Non possiamo ottenerlo da soli e solo con mezzi militari: è
necessario introdurre a Gaza elementi civili e di sicurezza arabi, internazionali e
pure palestinesi. Al momento c’è una controversia in Israele su questo aspetto.
Alcuni sostengono che non è solo Õamås a non avere la legittimità di partecipare
alla futura ricostruzione, ma pure l’Autorità nazionale palestinese. Penso sia un
approccio sbagliato. È nel maggiore interesse di Israele incoraggiare le forze prag-
matiche palestinesi intenzionate a far parte della coalizione con Arabia Saudita,
114 Giordania, Egitto e altri paesi degli accordi di Abramo.
LA NOTTE DI ISRAELE
nata attorno alla bandiera. Dal febbraio 2024, l’Insitute for National Security Stu-
dies, che monitora attentamente le tendenze sociopolitiche interne al paese, ha
registrato che siamo tornati ai precedenti livelli di conflitto domestico. È un fatto
rilevante che tutti dovrebbero tenere in considerazione. È fondamentale per Israe-
le rinnovare il sistema politico, mediante nuove elezioni, e ricostruire la sua politi-
ca domestica, estera e di sicurezza. Il tutto deve avvenire prima di impegnarci nel
processo regionale di ristrutturazione strategica.
LIMES Israele ha la forza per condurre questa guerra trasformatrice se è diviso al
suo interno?
ELRAN Israele è uno Stato resiliente e robusto dal punto di vista economico e mili-
tare. Siamo determinati a rispondere con la forza alle sfide lanciate dai nostri nemi-
ci. Ciò non significa che non abbiamo problemi interni. Oltre il 70% della popola-
zione, non solo ebraica ma anche araba, pensa che questa guerra sia giustificata,
vada combattuta in modo corretto e vada vinta. C’è un forte sostegno ai militari.
Allo stesso tempo, esistono divisioni e controversie sociali e politiche. Questo può
confondere le persone che non comprendono lo spirito di questo paese. Finché
continueremo a combattere, saremo uniti pur restando in conflitto su questioni non
necessariamente legate direttamente alla guerra.
LIMES Però le divisioni riguardano gli obiettivi geopolitici di Israele, come i confini
e l’identità del paese. Riguardano la guerra.
ELRAN È vero, i partiti dell’ultradestra radicale sono totalmente contrari alla parteci-
pazione di elementi palestinesi al futuro governo di Gaza. È un ostacolo rilevante.
A loro sono allineati gli ultraortodossi, gli haredim. In totale questi gruppi costitui-
scono il 25% circa della popolazione, una quota significativa. Il conflitto interno a
Israele è una grande sfida. È per questo che la guerra deve finire il prima possibile.
Dobbiamo concluderla per avviare un grande cambiamento nel governo. La que-
stione della ricostruzione strategica non riguarda solo l’ambiente esterno, ma pure
quello domestico.
LIMES Si aspetta un rilevante cambio di approccio degli Stati Uniti dopo le elezioni?
ELRAN L’America ha una lunga tradizione di significativo supporto strategico per
Israele e i suoi interessi. Repubblicani e democratici accettano il principio di legit-
tima autodifesa. Tuttavia c’è una differenza fra loro. Se vince Donald Trump, sarà
un presidente imprevedibile, come lo è stato in passato. Se chiediamo agli israelia-
ni, almeno il 60% pensa che Trump sia meglio di Harris per noi. Anche i democra-
tici però hanno una grande tradizione di sostegno alla difesa di Israele, che ha
raggiunto l’apice durante la presidenza di Joe Biden. Questo potrebbe cambiare
con il prossimo presidente degli Stati Uniti, almeno su aspetti tattici.
LIMES Perché Kamala Harris sosterrebbe meno Israele rispetto a Biden?
115
‘RIDISEGNIAMO IL MEDIO ORIENTE’
116
LA NOTTE DI ISRAELE
di Michelangelo GENONE
Il 7 ottobre 2023 comincia l’Operazione Diluvio di al-Aqâå, i miliziani di Õamås
provocano la morte di 1.163 persone. Vengono uccisi 739 civili, 357 membri delle
forze di sicurezza e 52 stranieri. All’anniversario dell’inizio dei combattimenti le
vittime nello Stato ebraico salgono complessivamente a 1.698 delle quali 826 tra i
civili, 804 tra le forze di sicurezza e 68 tra gli stranieri (grafico 1). La maggior parte
delle vittime israeliane (1.580) proveniva dal Sud, dove sono avvenuti i massacri
perpetrati dalle milizie del gruppo armato palestinese. Al Nord si contano 63 mor-
ti e in Cisgiordania 52, mentre nel resto dei paesi dell’asse della resistenza filo-ira-
niana hanno perso la vita tre israeliani.
Al 7 ottobre 2024 il numero di feriti tra le Forze di difesa israeliane (Idf) am-
monta a 4.590. Di questi, 2.746 sono stati classificati come feriti lievi, 1.149 con
ferite moderate e 695 con ferite gravi (grafico 2). Tra la popolazione civile israelia-
na si contano 19.019 feriti. Quelli lievi sono 15.091, mentre 1.577 hanno subìto
ferite moderate e 894 gravi. Inoltre, 152 persone sono morte a seguito delle lesioni
1.698
Vittime
804
68 Forze di sicurezza
Stranieri
826
Civili
52
Stranieri
739 63
Civili Nord
1.580
357 Sud
Forze di sicurezza
52
3 Cisgiordania
Iran e asse sciita
1. Cfr. Kathimerinì, 20/12/1994, p. 3.
2. S.Idf,PShin
Fonte: Bet, Swords,ofAndepithesi,
APATHEMELIS (Contrattacco),
Iron Knowledge and Information Center Thessaloniki 1992, ed. Paratiritis, p. 9. 117
‘RIDISEGNIAMO IL MEDIO ORIENTE’
4.590 19.019
Feriti delle Idf Civili israeliani feriti
554 Non specificato
695 751
Feriti gravi Stress emotivo 15.091
2.746 Feriti lievi
Feriti lievi 152
Morti in seguito alle ferite
894
1.149 Feriti gravi
Feriti di media gravità 157 Feriti di media gravità
255 143.000
Ostaggi Sfollati
66 37
Tutt’ora ostaggi Salme recuperate
67.500
Rientrati nelle loro case 68.500
Dal Nord
117
35 Tornati vivi
Salme non recuperate
7.000
Dal Sud
Fonte: Idf, Shin Bet, Swords of Iron Knowledge and Information Center
riportate. Altre 751 hanno manifestato stress post-traumatico, mentre per 554 casi
le condizioni non sono state specificate. All’anniversario dell’attacco, dei 255 pri-
gionieri fatti il 7 ottobre da Õamås 117 sono tornati a casa; rimangono ancora 66
persone in ostaggio.
Dei 72 ostaggi uccisi, 37 salme sono state restituite alle famiglie. Infine, il nu-
mero di israeliani che hanno abbandonato le proprie case a causa del conflitto ha
raggiunto quota 143 mila. Gli sfollati provenienti dal Nord di Israele sono 68.500,
dal Sud 7 mila. Al momento, 67.500 persone hanno già fatto ritorno alle loro abita-
zioni. Secondo i dati dell’esercito israeliano, i palestinesi che hanno perso la vita
nell’ultimo anno sono invece circa 24 mila, ai quali vanno sommati i 17 mila mem-
bri di Õamås uccisi, pari a circa la metà degli operativi dell’organizzazione. Venti-
due su ventiquattro battaglioni del gruppo islamista sarebbero stati neutralizzati e
il 90% del suo arsenale missilistico distrutto.
Dal 7 ottobre 2023 sono stati lanciati da Gaza 13.200 missili contro Israele
(grafico 3). In un anno di combattimenti le Forze di difesa israeliane hanno con-
118 dotto complessivamente 10.900 attacchi sul Libano, la maggior parte dei quali,
LA NOTTE DI ISRAELE
TOTALE 13.200
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
500
400 452
Frequenza dei lanci
300 357
200 216
205
165
100 113 116
104
0
1/2024 2/2024 3/2024 4/2024 5/2024 6/2024 7/2024 8/2024
Fonte: Idf, Shin Bet, Swords of Iron Knowledge and Information Center, ministero della Sanità palestinese
1396
Fonte: Idf, Shin Bet, Swords of Iron Knowledge and Information Center, minister della Sanità libanese,
dichiarazioni di Hizbullāh, Acled (Armed Conflict Location and Event Data) Project
circa 7.851, è stata diretta verso il Sud del paese. I missili e i razzi lanciati da
Õizbullåh su Israele sono 12.400. Il ministero della Sanità libanese ha registrato
2.036 vittime. In base ai dati delle Idf sarebbero stati uccisi 515 combattenti del
Partito di Dio ed eliminata gran parte delle figure di comando dell’organizzazione
(grafico 4). Secondo il ministero della Sanità palestinese dal 7 ottobre 2023 sono
742 i palestinesi uccisi in Cisgiordania. Gli attacchi terroristici che hanno colpito
Israele e i Territori occupati palestinesi hanno sono stati circa 5.500 (grafico 5). In
risposta, le forze di sicurezza israeliane hanno arrestato 5.250 terroristi, tra cui 2.050
operativi di Õamås.
In base ai dati forniti dall’Armed Conflict Location & Event Data (Acled) e dal
portavoce ufficiale delle Idf, sul fronte siriano sono stati condotti approssimativa-
mente 235 attacchi israeliani che hanno causato la morte di circa 250 siriani. Dalla
Siria, invece, nel corso dell’ultimo anno sono stati lanciati contro lo Stato ebraico 119
‘RIDISEGNIAMO IL MEDIO ORIENTE’
40 Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
30
20
10
4 3 3
1 18 2 1 28 2
7 20 0 31 41 5 24 30 12 25 27 5 29
0
10/2023 11/2023 12/2023 1/2024 2/2024 3/2024 4/2024 5/2024 6/2024 7/2024 8/2024
Fonte: Idf, Shin Bet, Autorità carceraria, ministero della Sanità palestinese
circa 60 missili. Nello stesso lasso di tempo, i vettori missilistici provenienti dallo
Yemen sono stati 180. Gerusalemme ha risposto agli attacchi del gruppo sciita õûñø
con due massici raid aerei sul porto di al-Õudayda, uccidendo almeno nove com-
battenti yemeniti. Infine c’è l’Iran, che in reazione all’invasione di Gaza, prima, e a
quella del Libano, poi, ha sferrato contro Israele due ondate di razzi, droni e mis-
sili da crociera, per un numero complessivo di 521 ordigni.
120
LA NOTTE DI ISRAELE
Sebbene fosse chiaro come nessuna iniziativa concreta potesse essere avviata
prima delle elezioni presidenziali statunitensi, è apparso ben presto palese all’Iran
come gli Stati Uniti intendessero riprendere il negoziato in una nuova cornice che
oltre al programma nucleare abbracciasse il più ampio novero dell’industria milita- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
NON SOVRASTA
GUIDA
CONSIGLIO DEL DISCERNIMENTO
Patriarchi ASSEMBLEA DEGLI ESPERTI
CONSIGLIO DEI GUARDIANI
NE
ZI O PRESIDENTE
I GENERA
PARLAMENTO
GOVERNATORATI
Tecnocrati - Militari AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
N FORZE ARMATE
E
ZIO
RA
II G ENE
Z
E RA
EN
II I G
FO
RI
RM OR
I SM VAT
O S ER
CON LA TERZA GENERAZIONE NON PARTECIPA
PRAGMATISMO
A NULLA, MA È IN NETTA CRESCITA
3 PIL A S
TRI IDEOLOGICI DEMOGRAFICA
3. D. DE PETRIS, «Should Israel weight strikes on Iran’s nuclear program?», Newsweek, 3/10/2024.
4. P. BEAUMONT, P. WINTOUR, «Iran’s Ali Khamenei vows Hezbollah and Hamas will not back down», The
Guardian, 4/10/2024. 123
PADELLA O BRACE, IL DILEMMA DI TEHERAN
tosto rari; il precedente era stato in occasione dei funerali del generale Qasem
Soleimani, nel 2020. La decisione di guidarne uno in questo frangente riflette la
volontà della Guida di trasmettere un chiaro messaggio: l’Iran non intende subire
passivamente l’evoluzione della crisi regionale, che sempre più rischia di investirne Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
i confini. Presentatosi sul palco con un fucile in mano, a dispetto dei toni aggres-
sivi e della retorica fortemente anti-israeliana il discorso di Khamenei è apparso
mostrare la fragilità del sistema iraniano più che la sua forza, evidenziando i pro-
fondi timori che ne attraversano la dirigenza.
Tra i molti i messaggi inviati attraverso la cerimonia, tre meritano particolare
attenzione. Il primo è la volontà iraniana di onorare le celebrazioni funebri dell’al-
leato Õasan Naârallåh, ancora non tenutesi in Libano nel timore di nuovi attacchi,
mentre il più fitto riserbo circonda le informazioni in merito alla sorte della salma
dell’ex segretario generale di Õizbullåh, che potrebbe essere stato sepolto tempo-
raneamente in una località segreta 5. Il secondo è la sfida a Israele circa la sicurezza
fisica del capo della Repubblica Islamica, dato per giorni dalla stampa internazio-
nale come rifugiato in un bunker segreto e mostrato invece in pubblico al fianco
di numerosi ospiti stranieri in rappresentanza delle formazioni che compongono
l’informale «asse della resistenza». Il terzo è il mutamento di postura strategica dell’I-
ran, che dichiara terminata la fase della «pazienza strategica» e della disponibilità a
non rispondere alle provocazioni militari di Israele: da qui l’attacco missilistico del
1° ottobre e il dichiarato proposito di rispondere a ogni futura minaccia 6.
Un altro elemento di particolare interesse del sermone di Khamenei è il tenta-
tivo di promuovere una solidarietà musulmana come baluardo contro quello che
la Guida definisce il tentativo israeliano di distruggere i paesi della regione e sot-
tometterli al potere occidentale. A tal fine Khamenei ha tenuto la seconda metà del
suo sermone in lingua araba, rivolgendosi alla comunità regionale musulmana e
sostenendo come le differenze settarie non debbano dividere popoli accomunati
dallo stesso credo e dagli stessi obiettivi. Ha quindi auspicato il superamento di
ogni divergenza tra sunniti e sciiti nel nome di una comunanza di visione e di
obiettivi che deve promuovere la coesistenza pacifica e la difesa comune dalla
minaccia israeliana 7.
Proprio questa parte del discorso, tuttavia, tradisce una delle maggiori preoc-
cupazioni della Repubblica Islamica, che invoca la solidarietà musulmana perché
scettica sulle reali intenzioni delle monarchie del Golfo le cui relazioni con l’Iran e
con Israele sono migliorate negli ultimi quattro anni, pur restando in un perimetro
che Teheran continua a ritenere ambiguo. L’Iran manifesta così il peso del proprio
isolamento internazionale, cercando di sollecitare un’improbabile solidarietà regio-
nale attraverso il ricorso alla comune radice religiosa, che pur gravata dalle frizioni
settarie dovrebbe rappresentare un baluardo contro la crescente egemonia di Isra-
ele. La maggior parte dei paesi in questione non condivide però tale sentimento,
5. R. ABDELNOUR, «Why is Hassan Nasrallah’s funeral so delayed?», L’Orient Today, 4/10/2024.
6. «Iran’s strategic patience is over, Khamenei warns in rare Tehran sermon», The Cradle, 4/10/2024.
124 7. I. AIKMAN, C. HAWLEY, «Iran’s leader defends strikes on Israel in rare public speech», Bbc, 4/10/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
preferendo assumere una posizione di equidistanza tra Iran e Israele stante l’incer-
tezza sugli esiti dell’attuale crisi e la consapevolezza delle conseguenze, soprattutto
economiche, che ne deriveranno. L’appello alla coesione musulmana appare per-
tanto manifestazione dei gravi timori che attanagliano la Repubblica Islamica, la cui
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125
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LA NOTTE DI ISRAELE
LA GALILEA di Yochanan
TZOREF
Il Partito di Dio è caduto nella nostra trappola. E sta pagando un
conto salato. Perché un anno fa abbiamo iniziato con Gaza. Per
affrontare l’Iran ci servono Usa e paesi arabi. Il riscatto delle Idf.
Ma il conflitto non ha sanato le divisioni nella società israeliana.
1. L A PARTECIPAZIONE DI ÕIZBULLÅH AL
conflitto tra israeliani e palestinesi a Gaza, ormai una guerra di attrito, ha preso
avvio quando ad aprile lo Stato ebraico ha evacuato oltre 60 mila cittadini lungo il
confine che lo divide dal Libano. L’azione ha temporaneamente espulso la popo-
lazione israeliana dalla Galilea: un fatto senza precedenti, che i nemici di Israele e
molti altri paesi hanno interpretato come un segno di debolezza. L’evacuazione ha
effettivamente privato Gerusalemme del pieno esercizio della propria sovranità sul
Nord, fatto anch’esso inedito. Chi ha preso la decisione intendeva proteggere pri-
ma di tutto la popolazione, ma è probabile che abbia anche pensato alla necessità
di garantire libertà d’azione alle Forze armate (Idf) per l’operazione che sarebbe
iniziata soltanto molti mesi dopo.
Il 7 ottobre, di fronte all’attacco di Õamås, all’interno del governo israeliano si
è svolto un dibattito – successivamente reso pubblico – per stabilire se aprire un
fronte a nord o a sud. Dopo molte esitazioni Gerusalemme ha deciso di iniziare
con Gaza, poiché un’immediata azione militare contro Õizbullåh avrebbe costretto
Israele a subire contemporaneamente attacchi massicci da due direzioni. Ai missili
provenienti da nord si sarebbe aggiunta una costante pioggia di razzi dalla Striscia.
Õizbullåh avrebbe potuto provocare il danneggiamento o perfino la distruzione di
molti impianti strategici mettendo a rischio, sotto certi punti di vista, le capacità
militari di Israele.
Combattere simultaneamente su due fronti sarebbe stato pericoloso e forse ad-
dirittura impossibile. Per questo motivo abbiamo scelto di occuparci prima della
minaccia meridionale. Abbiamo fatto di tutto per evitare una guerra totale con
Õizbullåh, presumendo che anche loro desiderassero portare avanti uno scontro a
bassa intensità. Non abbiamo offerto a Naârallåh il pretesto per ampliare il conflitto.
L’obiettivo era colpirlo sempre poco più di quanto ci colpisse lui, senza spingerci
127
troppo oltre.
COME RIPRENDERCI LA GALILEA
Col senno del poi, si può affermare che è stata presa la decisione più giusta.
Siamo riusciti a liberare le forze necessarie per operare nella Striscia di Gaza, poi-
ché una guerra su più fronti avrebbe aumentato vertiginosamente il numero di
morti e feriti – fattore che avrebbe aggravato le tensioni interne a Israele. Inoltre,
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siamo riusciti a volgere a nostro favore la ben nota logica delle «equazioni» di
Naârallåh, danneggiandolo ogni giorno un po’ più in profondità e provocando
danni notevoli, ma facendo sempre molta attenzione a non superare il limite. Ge-
rusalemme ha puntato a colpire in Libano soltanto le milizie e le strutture utilizzate
da Õizbullåh per attaccare il nostro esercito e la popolazione civile.
Questo piano è valso finché Israele ha deciso di cambiare le regole del gioco.
Non so se un anno fa fossero già state pianificate le operazioni dei cercapersone e
dei walkie-talkie, oltre a tutto il resto. In ogni caso dare la precedenza alla guerra
a Gaza è stata la scelta migliore. Ci ha permesso di spostare in un secondo momen-
to tutta la nostra attenzione verso il confine con il Libano, dove da anni la situazio-
ne era insostenibile. Non si può avere nozione della propria forza senza conoscer-
ne i limiti.
Non c’è alcun dubbio: quello del 7 ottobre è il colpo più duro subìto da Isra-
ele nella sua storia, dal 1948 a oggi. Certo, l’attacco a sorpresa che ha dato avvio
alla guerra dello Yom Kippur nel 1973 è stato per molti versi traumatico. Ma
quell’attacco non è penetrato fin dentro le mura di casa dei civili. Il suo obiettivo
non era soltanto fare una carneficina. Il 7 ottobre i terroristi hanno ucciso a sangue
freddo, torturato e violentato, spesso documentando i loro atti in diretta sui canali
social. Inoltre, il mondo di oggi è diverso da quello degli anni Settanta. Sono stati
stipulati accordi di pace con diversi paesi arabi. E benché il rapporto con i palesti-
nesi sia in stallo da lungo tempo, sappiamo che è necessario cercare una soluzio-
ne. Prima del 7 ottobre, molti in Israele speravano che questa potesse arrivare dai
paesi arabi o dagli organismi internazionali. Nessuno si aspettava un attacco così
terribile. Ci siamo fatti cogliere di sorpresa.
Per spiegare cosa è accaduto occorre rivolgere lo sguardo al mondo arabo,
che presenta oggi due campi ben definiti. Il primo è composto dai moderati che
desiderano una normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico e intendono
destinare le proprie risorse allo sviluppo sociale ed economico allo scopo di ab-
battere barriere desuete e instaurare relazioni con Israele e l’Occidente tutto. Il
secondo campo presenta invece gli oppositori di tale visione – radicali, conserva-
tori e in certi casi fondamentalisti. Questi non accettano l’avvicinamento allo Stato
ebraico. L’ingresso di Teheran in questo schema ha creato un asse della resistenza.
L’Iran è un paese importante e ciò gli permette di supportare, finanziare e organiz-
zare reti di opposizione, operando su una scala che sarebbe preclusa alle singole
organizzazioni. Gli iraniani sono riusciti così a creare un contrappeso alle tenden-
ze moderate.
Qual era quindi il calcolo dietro l’attacco del 7 ottobre? Õamås puntava a con-
ciliare le differenze nel mondo arabo in proprio favore, generando un’onda d’urto
128 che avrebbe potuto minacciare persino l’esistenza stessa dello Stato ebraico. I mi-
LA NOTTE DI ISRAELE
liziani palestinesi erano certi che Õizbullåh avrebbe colto l’occasione per attaccare
da nord gli insediamenti al confine col Libano. Non c’è dubbio che quanto è acca-
duto al fronte settentrionale rappresenti un trauma nazionale per gli israeliani –
d’altronde si tratta di uno dei disastri più pesanti di cui lo Stato ebraico abbia mai
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fatto esperienza. Eppure in quel caso non ci sono stati massacri. I danni agli edifi-
ci e agli altri generi di proprietà sono stati ingenti, ma il numero di morti è stato
contenuto. Ora la realtà sta cambiando e il centro di gravità militare dello scontro
si sta spostando verso il Libano. La pressione esercitata dalle Idf sul fronte setten-
trionale è significativa e Õizbullåh sta pagando un prezzo molto alto non solo per
tutto ciò che è accaduto nell’ultimo anno, ma anche per la sua decisione di legare
il proprio destino a quello di Gaza.
fretta possibile. Per questo ha fissato in anticipo una breve – si parla di alcune
settimane – finestra operativa per distruggere il maggior numero di infrastrutture
pertinenti al Partito di Dio e per eliminare chi deve essere eliminato. Il messaggio
è chiaro: «Non abbiamo alcuna intenzione di restare impantanati». Da quello che
vedo e sento, gran parte dei libanesi crede a Israele. D’altronde, non è un segre-
to che la maggior parte di loro desideri un indebolimento di Õizbullåh, da un
punto di vista politico e militare, poiché ciò diminuirebbe la sua influenza sulla
vita pubblica nel paese. Oggi è impossibile prevedere se questo approccio avrà
successo. Le guerre non offrono certezze: sai come ci entri, non sai mai come
finiscono.
Ritorniamo all’inizio. Quindi ai circa 60 mila residenti israeliani costretti a scap-
pare dalle loro abitazioni nei pressi del confine con il Libano. Si tratta di un nume-
ro altissimo dal punto di vista israeliano, soprattutto se lo si somma agli altri circa
100 mila evacuati dai moshavim e dai villaggi vicini alla Striscia di Gaza. Ciò solle-
va alcune questioni di carattere umano, sociale, economico e di sicurezza. Molti
abitanti del Nord provano sentimenti contrastanti. Sono risentiti per il prolungarsi
del loro «esilio» dentro i confini del paese, ma sono anche sollevati. Poiché, dopo
decenni di richieste d’aiuto e denunce dell’insostenibilità della situazione, final-
mente Israele sta affrontando di petto il problema. Echeggiano in particolare alcu-
ne domande: Riusciranno gli abitanti delle regioni di confine a tornare nelle pro-
prie case? E a quali condizioni? E poi, cosa otterrà il governo in una futura trattativa?
Nodi non semplici da sciogliere.
Difficile prevedere se queste persone decideranno di tornare a casa o inizie-
ranno altrove una nuova vita. Mi limito a prendere atto di quello che sta accadendo
ai residenti dei kibbutzim nel Sud, coinvolti più o meno direttamente nel massacro
del 7 ottobre. Molti abitanti sono già tornati. Soprattutto gli anziani, che non devo-
no crescere i bambini e mandarli a scuola. Alcuni sono riusciti a riprendere una
routine quotidiana. Certo, il paragone fra Sud e Nord calza solo in parte. Nelle
terre di frontiera settentrionali la situazione è più complessa: c’è ancora la guerra,
c’è ancora fuoco vivo. I fattori che non permettono di tornare alle vecchie abitudi-
ni sono molti.
Tuttavia, Israele ha dimostrato ai propri cittadini la volontà di affrontare il pro-
blema militarmente, con l’obiettivo di allontanare la minaccia da nord. Non c’è
dubbio, il governo israeliano e le Idf dovranno assicurare alla popolazione locale
una lunga lista di condizioni per convincerla a tornare nella regione una volta fini-
ta la guerra. Soprattutto, dovranno distruggere tutte le infrastrutture di Õizbullåh
vicine al confine e smantellare il Partito di Dio da un punto di vista direttivo, mili-
tare e logistico, riducendone drasticamente le capacità operative. I cittadini voglio-
130 no garanzie che gli arsenali di armi siano stati distrutti. Se questi obiettivi militari
LA NOTTE DI ISRAELE
su entrambi i fronti – non riesce ad abbattere le barriere fisiche e mentali erette dai
radicali – anche in questo caso, di entrambi i fronti. Le correnti più intransigenti
riescono sempre a sabotare ogni iniziativa volta alla soluzione del conflitto. Da
parte mia, quando sento qualcuno sostenere che dopo il 7 ottobre non possiamo
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e non dobbiamo cercare la strada per la pace, gli chiedo di riconsiderare seriamen-
te le sue parole, pensando meglio a quale futuro vuole per il nostro paese.
133
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LA NOTTE DI ISRAELE
fronte marittimo ha così permesso agli õûñø di aumentare il reclutamento nelle aree
nord-occidentali da essi controllate, distraendo per il momento la popolazione lo-
cale dai fallimenti del governo di Anâår Allåh, sempre più inefficiente e repressivo,
con la lotta contro Israele e Stati Uniti. Il protagonismo regionale degli õûñø ha ge-
nerato una dinamica politica nuova: il movimento armato è oggi più integrato di
prima nella galassia di attori filo-iraniani, ma al contempo sta provando a diversifi-
care le alleanze in chiave strategica, anche oltre i confini mediorientali 1. Ciò non
sarebbe stato possibile se con i loro attacchi gli õûñø non fossero andati al di là
dell’asse guidato da Teheran, rivolgendosi a un pubblico più vasto, transregionale
e non settario, non sovrapponibile a quello che tradizionalmente ascolta la propa-
ganda dei pasdaran. È a tale audience che si rivolgono i video del sequestro della
Galaxy Leader, la nave cargo di proprietà israeliana della quale gli õûñø hanno
preso il controllo nel novembre 2023, divenuta un trofeo della lotta a Israele tra
selfie, bandiere con il volto di al-Õûñø e del defunto Qasem Soleimani, visite guida-
te per i simpatizzanti. O quelli della petroliera greca Sounion in fiamme a causa
delle cariche esplosive lanciate dai miliziani.
dato che tali attori – statali e non – si muovono tutti nel campo pro Teheran, come
testimoniato dal sempre più stretto partenariato di difesa fra Iran e Russia.
Insieme al movimento armato guidato da Õusayn al-Õûñø, i fatti di Gaza stanno
però cambiando lo Yemen e ne tengono in ostaggio il destino politico. Dopo un Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
anno di attacchi nel Mar Rosso gli õûñø non sembrano più interessati a concludere
un accordo con l’Arabia Saudita. Eppure i sauditi stavano mettendo sul tavolo mi-
sure economiche generose per Anâår Allåh, come il pagamento temporaneo di
tutti gli stipendi pubblici, i fondi per la ricostruzione del Nord-Ovest e una quota
di proventi petroliferi yemeniti da redistribuire nel «quasi-Stato» õûñø. In più, nessun
rappresentante del governo riconosciuto né del Consiglio della leadership presi-
denziale (Plc, istituzione presidenziale di otto membri) è stato finora invitato a
partecipare ai colloqui fra sauditi e õûñø. Questa scelta di Riyad mirante a privilegia-
re la messa in sicurezza del confine ha generato malcontento e diffidenza tra gli
attori riconosciuti dello Yemen.
Il movimento sciita zaidita ha comunque scelto l’escalation marittima e contro
Israele, mettendo Riyad in una posizione assai scomoda: niente accordo possibile
in Yemen fino a quando non vi sarà intesa su Gaza e dintorni, con il rischio che gli
õûñø ricomincino gli attacchi con droni e missili contro il territorio saudita e gli
obiettivi marittimi. Per il principe ereditario Muõammad bin Salmån (MbS) sarebbe
il ritorno a quell’insostenibile realtà che ha scandito la quotidianità tra il 2016 e il
2022, convincendolo infine ad aprire la trattativa.
Senza un’intesa sauditi-õûñø, però, le possibilità di un cessate-il-fuoco in Ye-
men (tra yemeniti) sono ancora più scarse, al netto della roadmap negoziale che
le Nazioni Unite cercano di tenere in vita. Non sono soltanto gli õûñø, infatti, a
strumentalizzare la crisi mediorientale per massimizzare i guadagni politici. Dall’i-
nizio degli attacchi nel Mar Rosso gli attori politico-militari dei governatorati me-
ridionali e dell’area del Båb al-Mandab lanciano messaggi pubblici sempre meno
cifrati a Stati Uniti, Regno Unito e paesi europei. Scopo: ricevere aiuti militari per
ricostruire la Guardia costiera yemenita e per combattere gli õûñø anche con of-
fensive di terra, sfruttando la crescente e tardiva consapevolezza occidentale dei
rischi posti alla sicurezza marittima e regionale dalla spregiudicata strategia del
movimento 3.
‘Aydarûs al-Zubaydø, leader del secessionista Consiglio di transizione del Sud
(Stc) i cui rappresentanti integrano tuttavia il governo riconosciuto che difende
l’unità nazionale, ha invitato gli attori yemeniti, mediorientali e internazionali a
«trovare una nuova strategia» 4 per contrastare gli õûñø. L’Stc sta provando con in-
contri e nomine a raggruppare le forze del Sud e del Sud-Ovest sostenute dagli
Emirati Arabi Uniti: i secessionisti, i nazionalisti della Resistenza nazionale yeme-
nita di ¡åriq Âåliõ (nipote dell’ex presidente che ha il suo feudo ad al-Muœå) e i
salafiti delle Brigate dei giganti di ‘Abd Raõmån al-Muõarramø, i più efficaci nelle
3. E. ARDEMAGNI, «As Western options narrow, Yemen’s anti-Houthi forces vie for US military support»,
Middle East Institute, 5/3/2024.
4. J. IRISH, «New strategy needed to contain Houthis, says Yemen VP», Reuters, 24/9/2024. 137
ˉ TˉI HANNO GIÀ VINTO
GLI H.U
˘
5. E. ARDEMAGNI, «UAE-Backed Forces Regroup in Yemen», Sana’a Center For Strategic Studies, The Ye-
men Review, (in corso di pubblicazione).
6. S.W. DAY, Regionalism and Rebellion in Yemen. A Troubled National Union, Cambridge University
Press, 2012.
7. E. ARDEMAGNI, «Beyond Yemen’s Militiadoms: Restarting from Local Agency», European Union Insti-
138 tute for Security Studies (Euiss), Conflict Series Brief, 21/4/2020.
LA NOTTE DI ISRAELE
il fulcro originario della loro rivendicazione 8, gli õûñø hanno abilmente carpito il
vessillo del nazionalismo yemenita.
In questo processo i bombardamenti sauditi, americani e ora israeliani in Ye-
men hanno svolto un ruolo determinante. Quando l’Arabia Saudita e la sua coali- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Yemen della Federazione Russa, che con gli õûñø trova una convergenza d’interessi
nel Mar Rosso in chiave anti-occidentale. A quel punto gli Stati Uniti sarebbero più
stimolati a ripensare la loro strategia in Yemen, magari ascoltando le sirene del Sud
e del Sud-Ovest che vorrebbero affrontare gli õûñø anche con una assai rischiosa
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operazione di terra, bloccata nel 2018 dall’Onu con gli accordi di Stoccolma per il
cessate-il-fuoco ad al-Õudayda. Di certo il coinvolgimento di nuovi attori medio-
rientali ed extraregionali nel paese modificherà ancora le dinamiche di una guerra
iniziata dieci anni fa come uno scontro politico interno per il potere e le risorse.
Allontanando ancor più le già flebili prospettive di stabilizzazione dello Yemen.
140
LA NOTTE DI ISRAELE
IN MORTE DI SUEZ?
I PROGETTI DI LAND BRIDGE Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
1. P. KAMALI, R. KOEPKE, A. SOZZI, J. VERSCHUUR, «Red Sea Attacks Disrupt Global Trade», International
Monetary Fund, Blog, 7/3/2024.
2. «In the first quarter of 2024, ship traffic in the Suez Canal plummeted by -42.9%», InforMARE,
14/5/2024 (anno XXVIII). 141
IN MORTE DI SUEZ? I PROGETTI DI LAND BRIDGE PER EVITARE IL CANALE
cambia: il Canale di Suez è stato attraversato da 7.922 navi (-48,3% sul corri-
spondente periodo del 2023): 2.930 navi cisterna (-41,7%) e 4.992 unità di altra
tipologia (-51,5%). Gli introiti derivanti dai diritti di transito sono ammontati a
124,1 miliardi di sterline egiziane (-38,4%) 3. Tradotto in dollari e parametrato Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
sull’anno finanziario giugno 2023-giugno 2024, questo dato significa che le en-
trate sono state pari a 7,2 miliardi di dollari a fronte dei 9,4 miliardi incassati
nell’anno finanziario precedente 4.
Il traffico container è risultato particolarmente penalizzato: tra i leader in que-
sto settore del trasporto marittimo, solo Cma Cgm ha continuato a utilizzare il Ca-
nale, impiegando undici navi da 9-11 mila container, insieme a pochi altri operato-
ri che controllano piccole fette di mercato. La conseguenza di tutto ciò è stata che
solo il 4% dei 7,48 milioni di teu normalmente impiegati lungo la rotta Asia-Europa
ha continuato a transitare nelle acque del Mediterraneo via Mar Rosso e Suez 5.
Tutto ciò si traduce anche nella riduzione degli approdi di navi portacontainer nei
porti della regione, innanzitutto quelli del Mar Rosso e del Mediterraneo orientale.
Nel caso dei porti del Mediterraneo orientale (Pireo e Porto Said) e in quelli del
Golfo di Aden, nei primi sei mesi del 2024 la diminuzione degli scali di navi por-
tacontainer è stata del 33% rispetto all’analogo periodo del 2023; nel Mar Rosso,
invece, l’impatto è stato ancor più devastante, giacché il numero medio di scali è
crollato dell’85%, colpendo in modo particolare il porto di Gedda (-74% fra dicem-
bre 2023 e gennaio 2024) e Âalåla nel Golfo di Aden (-50% nel periodo genna-
io-febbraio 2024) 6.
Quel che è peggio è il fatto che gli õûñø hanno dimostrato significative capaci-
tà nell’intero ciclo Isr delle loro azioni contro il traffico mercantile: in altre parole,
non basta solo saper sparare qualche missile o razzo contro un bersaglio navale
– cosa, peraltro, non alla portata di tutti i gruppi insorgenti – ma bisogna anche
saperlo identificare e tracciare. Ebbene, gli õûñø sono stati e sono abilissimi nel ri-
cavare informazioni su compagnie di navigazione, rotte e navi da carico, consul-
tando i database presenti in rete o le informazioni raccolte da loro o da altri attori
anche negli anni che hanno preceduto la crisi attuale. Anche la contromisura adot-
tata da alcune compagnie – ad esempio, spegnere l’Automatic Identification Sy-
stem in corrispondenza dello Stretto di Båb al-Mandab – non si è rivelata sufficien-
te a evitare gli attacchi e questo ne ha favorito il successo 7.
Per l’Italia, la minaccia õûñø contro il traffico transitante per Båb al-Mandab è
insostenibile se protratta nel tempo. Per noi il 28% del valore degli scambi è via
nave e di questo 28% ben il 38% transita attraverso il Mar Rosso 8.
3. «A luglio il traffico navale nel canale di Suez è diminuito del 51,5%», InforMARE, 12/9/2024.
4. «Suez Canal revenue drops as some shippers shun Red Sea», Reuters, 18/7/2024.
5. N. SAVVIDES, «Red Sea crisis reaches peak impact on box ships», Seatrade Maritime News, 23/7/2024.
6. A. MURPHY, «Regional impact of the Red Sea crisis», Sea Intelligence-Press Release, 12/9/2024.
7. «Risks impacting global shipping in Q1 2024», Inchcape Shipping Services, 9/4/2024.
8. M. DEANDREIS (a cura di), Italian Maritime Economy. 11° Rapporto annuale (2024), Centro Studi e
142 Ricerche sul Mezzogiorno, Napoli 2024, Giannini Editore.
LA NOTTE DI ISRAELE
Sheinin e dalla Israel Ports Development & Assets Company Ltd., prevedeva un
intervento in tre fasi. Dapprima (2013-15) doveva essere attuata una completa
privatizzazione dello scalo e si doveva attrezzare Eilat per la gestione dei contai-
ner; poi (2019) si doveva realizzare una connessione ferroviaria; infine (2025) la Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
il porto fu ampliato con la realizzazione del terminal Hayovel e adattato alle esi-
genze di un traffico mercantile aumentato.
Nel 2015 l’Autorità portuale di Israele diede il via alla costruzione di un nuovo
terminal (Hadarom) nel porto di Ashdod, completata nel 2021 con la realizzazione Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
di una nuova infrastruttura in grado di gestire navi portacontainer con carichi fra i
18 mila e i 24 mila teu e una lunghezza di circa 400 metri, dotata anche di collega-
mento ferroviario. La realizzazione di questo nuovo terminal (Hadarom Container
Terminal, Hct) ha comportato l’escavazione di 7,22 milioni di metri cubici di fon-
dale marino, la costruzione di nuove dighe frangiflutti (sia un’estensione delle
precedenti per almeno 600 metri sia la costruzione di una nuova linea della lun-
ghezza di 1.480 metri) che hanno permesso di completare una piattaforma estesa
780 mila metri quadrati (63 ettari) per la movimentazione e lo stoccaggio dei con-
tainer, il tutto per un costo di non meno di 3 miliardi di shekel 13. Il nuovo terminal
– completamente automatizzato per quanto riguarda la gestione dei cancelli di in-
gresso e uscita, delle gru (nove Zpmc Sts) e dei piazzali – è in grado di movimen-
tare fino a 1,7 milioni di teu ed è circondato da acque aventi una profondità com-
presa tra i 14,5 e i 16 metri, che lo rendono adatto ad accogliere non solo le navi
portacontainer ma anche le portarinfuse 14.
Il porto di Ashdod, però, non è solo uno scalo marittimo ma anche un volano
per lo sviluppo di altre iniziative imprenditoriali. Sin dal 2021 esso ospita un certo
numero di start-up che sono impegnate nello studio e nella progettazione di nuove
soluzioni per l’efficientamento dei porti, dalla protezione cibernetica delle attrezza-
ture e dei sistemi di sicurezza fino alla valutazione dei possibili cambiamenti nel
mercato trasportistico globale 15.
A oggi, il porto di Ashdod – il più importante dei sei porti commerciali di
Israele – è l’unico a non essere stato completamente privatizzato, nonostante i
debiti che ha accumulato. Ciò dipende dal suo valore strategico – confermato du-
rante il conflitto con Õamås – che ha visto il porto continuare a funzionare anche
durante i lanci di razzi e missili da parte dei miliziani presenti nella Striscia di Gaza,
che si trova solo 20 km più a sud. Attraverso Ashdod, Israele ha continuato a im-
portare prodotti strategici e il 45% di tutto ciò che riceve dall’estero 16. Per tutti
questi motivi, qualsiasi ipotesi di privatizzazione non potrà eccedere il 49% del
valore della struttura, mantenendo nelle mani dello Stato il restante 51% e facendo
di Ashdod il punto fermo di qualsiasi progetto di sviluppo strategico della portua-
lità nazionale 17.
13. «Ashdod Port Expansion-South Port», Yaron-Shimoni-Shacham, Consulting Engineers Ltd., 2024;
XIAN-DAO FENG, RAN TAO, RUI-YI HUANG, ZHI-WU XUE, «Engineering Solution to Piling Works under Extre-
me Wave Condition», Proceedings of the Thiertieth (2020) International Ocean and Polar Engineering
Conference, Shanghai, October 11-16, 2020, International Society of Offshore and Polar Engineers.
14. «New project: Hadarom Container Terminal (Israel)», Camco Technologies, 31/10/2020; Z. HRVACE-
VIC, «Ashdod Port’s Quay 21 upgrade project complete», Dredging Today, 15/2/2022.
15. «Ashdod Port start-up strategy», PierNext, 9/1/2022.
16. Y. KARRA, «Israel’s Largest Seaport Resolves to Stay Afloat Through War», Israel 21c, 5/11/2023.
17. I. ERETZ, «Ashdod Port CEO reveals IPO plans», Globes, 20/3/2024. 145
IN MORTE DI SUEZ? I PROGETTI DI LAND BRIDGE PER EVITARE IL CANALE
Gruppo storico
ebraico nella zona Siyäzän
Şaki
montuosa azera Penisola di Abșeron
ARMENIA
Ganja
Oleodotto B
tc Nardardan
Baku
Lago A Z E R B A I G I A N
Erevan di Sevana
TURCHIA
IN MORTE DI SUEZ? I PROGETTI DI LAND BRIDGE PER EVITARE IL CANALE
Qobustan
Sabirabad
Ağdam
Shirvan
r MAR CASPIO
S äru
İğdir . Corridoio Horadiz Giacimenti
E RB n extraterritoriale petrolio
a di Zangezur
AZ xçıv gas
Na ad
fa ub Gruppi etnici Scontri
Antica ferrovia sovietica Jul Ord in Azerbaigian (%)
Ağbend RELIGIONI (%)
Ferrovia pianificata Azeri 91,6
IRAN Lesghi 2,0 Musulmani 96
Corridoio di trasporti che dovrebbe Provincia
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Nel 2010, un articolo del Meed (Middle East Business Intelligence) aveva sen-
tenziato che nel 2020 una serie di ferrovie regionali colleganti il Golfo Persico
all’Europa, tramite antiche vie commerciali che attraversano l’Iraq e il Levante,
avrebbe messo in discussione lo status di preminenza del Canale di Suez 27. Sebbe-
ne gli anni seguenti abbiano dimostrato che a essere messa in discussione non è
stata l’importanza del Canale bensì la sua sicurezza, l’ipotesi dello sviluppo di un
land bridge alternativo a Suez si è rivelata fondata. Alla fine del maggio 2023, il
primo ministro iracheno Muõammad Šiyå‘ al-Sûdånø ha annunciato l’avvio del pro-
getto Development Road (Strada dello sviluppo), iniziativa che prevede la creazio-
ne di una linea di collegamento – costituita da un’autostrada e una linea ferroviaria
a doppio binario – fra il porto di al-Fåw, situato sulle sponde dell’omonima peni-
sola, e il porto turco di Mersin. Snodandosi per circa 1.200 chilometri, e attraver-
sando le principali città irachene – Døwåniyya, Naãaf, Karbalå’, Bassora, Baghdad
e Mosul – la nuova linea seguirebbe la preesistente ferrovia che da Bassora arriva
a Baghdad, Tikrøt e Mosul. Da qui, proseguirebbe fino al valico di frontiera di
Rabø‘a, da dove poi verrebbe costruito un nuovo tracciato fino al valico di frontiera
turco di Ovaköy, aggirando il percorso esistente che passa attraverso la Siria 28. Un
25. D. MONBLATT, «Logistics “Tinder” Offers Alternative for Cargo To Bypass Houthi Threat», The Media
Line, 3/1/2024.
26. S. WROBEL, «Israel logistics startup forges overland trade route to bypass Houthi Red Sea crisis»,
Times of Israel, 27/12/2023.
27. «Baghdad’s new route to Europe», Meed, 5/5/2010.
28. «Turkey, Iraq, Qatar and UAE to develop Gulf to Europe rail corridor», Railway Gazette Interna-
tional, 6/5/2024. 149
IN MORTE DI SUEZ? I PROGETTI DI LAND BRIDGE PER EVITARE IL CANALE
sarà sola: Development Road, sebbene sia a guida irachena, prevede infatti la co-
operazione di Turchia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Per metterla nero su bianco, il
22 aprile 2024 i quattro paesi hanno firmato un memorandum d’intesa 31.
Presupposto fondamentale per la realizzazione del progetto è il porto di al- Fåw.
La penisola su cui esso si trova costituisce non solo l’estremità meridionale di questo
land bridge turco-iracheno, ma anche una zona di frontiera storicamente significati-
va: teatro di alcuni dei più feroci combattimenti della guerra fra Iraq e Iran (1980-88),
nonché dell’invasione da parte delle forze iraniane nel 1986, la penisola di Fåw tra-
suda un’aura di vulnerabilità che giustifica la volontà di rafforzare il suo legame con
l’entroterra, potenziandone anzitutto l’infrastruttura più rilevante, ovvero il porto. Il
piano regolatore di questo impianto, stilato ormai un decennio fa, è ambizioso. Esso
prevede infatti la costruzione di ampi terminal per container, rinfuse secche e petro-
lio, oltre a un bacino di carenaggio e a una base navale. Se sviluppato completamen-
te, quello di al-Fåw sarebbe uno dei porti più grandi del mondo 32, sorpassando an-
che Ãabal ‘Alø, attualmente il più grande porto del Medio Oriente 33.
Il piano di sviluppo del porto di al-Fåw si articola in tre fasi: durante la prima,
già avviata e prossima alla conclusione (prevista per il 2028), Baghdad si è appog-
giata alla compagnia sudcoreana Daewoo Engineering and Construction, con la
quale aveva firmato nel 2020 un contratto da 2,6 miliardi di dollari 34. L’accordo
prevedeva la realizzazione di cinque stazioni per lo scarico delle navi, oltre a lavo-
ri di dragaggio per creare un canale navigabile per l’accesso al porto 35. Quest’ulti-
mo sarà largo 400 metri e lungo 24 chilometri e sarà dotato di banchine in grado
di accogliere la nuova generazione di navi portacontainer grazie a una profondità
delle acque piuttosto generosa 36. La seconda fase del progetto, che non è ancora
iniziata, include lo sviluppo di un’area industriale che comprenderà una raffineria,
un’acciaieria e altre strutture industriali, mentre la terza e ultima – da completare
entro il 2050 – prevede la creazione, nei pressi del porto, di un complesso econo-
mico e di uno residenziale 37. Una volta finalizzato, il porto di al-Fåw vedrà conflu-
29. M. SIMMONS, «Iraq-Turkey Development Road designs complete», International Railway Journal,
17/9/2024.
30. «Iraq Unveils $17 B Transport Project Linking Europe and Mideast», Voice of America, 27/5/2023.
31. «Turkey, Iraq, Qatar and UAE ink initial Development Road transit corridor agreement», Bne Intel-
liNews, 24/4/2024.
32. J. CALABRESE, «Iraq’s “Development Road”: Rough Terrain Abroad», The Diplomat, 4/5/2024.
33. B. DUMAN, M. ALACA, «Basra-Turkey «Dry Canal» Project: Ambitious Vision or Pipe Dream?», The
Arab Gulf States Institute in Washington, 22/2/2023.
34. «Iraq signs $2.6 billion deal with S. Korea’s Daewoo to build first phase of Faw port», Reuters,
30/12/2020.
35. A. MOHAMMED, «Iraq to sign $2.625 billion Grand Faw port contract with S.Korea’s Daewoo», Reu-
ters, 23/12/2020.
36. «Design services and works supervision for the Al Faw Grand Port (Iraq)», Technital.
150 37. «AD Ports to run new Iraqi mega-port», Italian Trade Agency, 23/4/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
ire nei suoi terminal petrolio, gas, prodotti alimentari e chimici, il cui trasporto
verso l’Europa potrebbe essere ridotto, in termini di durata del viaggio, di ben
undici giorni 38.
A questo fine, sarà di vitale importanza la realizzazione dell’altra grande infra-
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
metri scarsi priva l’Iraq dei vantaggi offerti da un ampio accesso al mare. Un pro-
blema non da poco, soprattutto per un paese esportatore di petrolio che non
vuole dipendere completamente dagli oleodotti che attraversano altri Stati.
Il petrolio costituisce un altro tassello che aiuta a comprendere l’importanza Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
che il progetto Development Road riveste per l’Iraq. La costruzione di una rete di
trasporto che colleghi il Golfo Persico alla Turchia rafforzerebbe lo status geopoli-
tico dell’Iraq come corridoio commerciale e fornirebbe importanti ritorni economi-
ci (si parla di circa quattro miliardi di dollari all’anno 44), creando nuovi posti di
lavoro e mitigando, al contempo, le conseguenze dannose di un’economia di
rendita 45. Quest’ultimo aspetto è fondamentale. L’Iraq risulta essere uno dei paesi
al mondo più dipendenti dal petrolio: basti pensare che nell’ultimo decennio le
entrate petrolifere hanno rappresentato oltre il 99% delle esportazioni, l’85% del
bilancio del governo e il 42% del pil 46. Da circa vent’anni, tuttavia, il sistema di
redistribuzione delle entrate petrolifere irachene è viziato. Un’ampia fetta delle
entrate è utilizzata principalmente per ridurre la disoccupazione e ampliare le reti
clientelari dei partiti al potere, aumentando continuamente il numero dei dipen-
denti pubblici. Questa è la prassi dal 2003, anno in cui il numero di dipendenti del
pubblico impiego è passato da 850 mila a oltre 4,5 milioni, sommandosi ai milioni
di pensionati iracheni e ai beneficiari di sussidi pubblici 47. Development Road si
colloca perfettamente all’interno di questa prassi, senza però rappresentarne un
superamento. Esso può aiutare a limitare l’improduttività del paese, in quanto rap-
presenta un progetto economico alternativo alla sola rendita petrolifera, però con-
sente di preservare lo status quo, assicurando ancora la centralità del pubblico
impiego o, comunque, l’intervento dello Stato nell’economia 48.
Tuttavia, Development Road ha davanti a sé numerose sfide, molte delle qua-
li derivanti dal paese stesso. Ci sono, innanzitutto, i costi elevati. Il governo ha af-
fermato che finanzierà le principali infrastrutture del progetto – il porto di al-Fåw,
le connessioni ferroviarie e le autostrade – mentre i servizi «accessori» distribuiti
lungo la linea (hotel, ristoranti eccetera) verranno coperti da investimenti privati.
Tra i due punti, a sollevare maggiori perplessità è senz’altro il primo, dato che non
ci sono certezze sul fatto che il governo avrà liquidità sufficiente per finanziare il
progetto. Il fatto che il bilancio del 2023 non vi faccia alcun riferimento 49 non è un
segnale incoraggiante.
Oltre ai costi, il progetto potrebbe risentire dell’inefficienza e della corruzione
ormai dilaganti in Iraq. In primo luogo, la mancanza di sincronizzazione tra le isti-
tuzioni statali può impedire un piano d’azione ben strutturato e integrato. Non è
ancora chiaro se il parlamento iracheno, controllato da fazioni che cercano di mas-
44. B. OZTURK, «Development Road Project: Transforming Türkiye-Iraq Relations», Osservatorio Tur-
chia – Centro Studi di Politica Internazionale, Brief n. 61, luglio 2024.
45. H. HASAN, op. cit.
46. «Iraq overview», The World Bank Group.
47. A. Al-MAWLAWI, «Public Sector Reform in Iraq», Chatham House, giugno 2020.
48. H. HASAN, op. cit.
152 49. Ivi.
LA NOTTE DI ISRAELE
simizzare i propri profitti nello Stato, autorizzerà stanziamenti sufficienti per con-
sentire al governo di procedere con le fasi del progetto. Se si guarda al passato,
inoltre, si nota che i governi susseguitisi dal 2003 non hanno avuto un grande
successo nella gestione di megaprogetti infrastrutturali. Si pensi alla cronica crisiCopia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
della rete elettrica, che rimane inefficiente nonostante i circa 15 miliardi di dollari
spesi nell’arco di un decennio per sistemarla 50.
Un altro fattore che potrebbe minare la fattibilità di Development Road è l’insta-
bilità che caratterizza il paese, esemplificata dalla componente curda e dalla presen-
za di gruppi armati come Katå’ib Õizbullåh, Õarakat Õizbullåh al-Nuãabå’ e Stato
Islamico. Oltre a rappresentare una fonte di insicurezza interna che scoraggia poten-
ziali investitori, questi gruppi potrebbero opporsi attivamente al progetto nel caso in
cui i loro interessi non venissero presi in sufficiente considerazione 51.
Allargando il focus, non si possono non citare anche le sfide derivanti dagli
attori regionali, a partire dalla Turchia, «terminal» settentrionale del land bridge
iracheno. Ankara appare entusiasta del progetto. Ciò non sorprende, dato che
esso rappresenterebbe un significativo passo in avanti verso l’obiettivo dichiarato
di rendere la Turchia uno hub geoeconomico che colleghi Asia, Europa e Africa.
A questo fine, la Turchia sta cercando di promuovere anche il corridoio di Zange-
zur, land bridge che, partendo dal Mar Caspio, raggiungerebbe il territorio turco
attraverso l’Azerbaigian 52: ciò incrementerebbe gli scambi commerciali con l’Asia
centrale, il Caucaso e la Russia, rafforzando, di concerto, i legami panturchi. Il
progetto Development Road, dunque, rientra perfettamente in questo quadro,
dato che consentirebbe ad Ankara di potenziare gli scambi commerciali con la
regione del Golfo e il Medio Oriente. Il sostegno turco a Development Road – es-
senziale per la sua riuscita – appare quindi chiaramente subordinato alla possibi-
lità di Ankara di trarne beneficio. È proprio per questo motivo che Erdoãan non
ha gradito l’iniziativa statunitense del Corridoio economico India-Medio Orien-
te-Europa (Imec) 53 che, avendo come punto d’arrivo Israele, esclude la Turchia.
Uno smacco notevole, che ha spinto Ankara a riconfermare il proprio supporto al
progetto Development Road.
Eppure, il sostegno a questa iniziativa potrebbe non essere del tutto incondi-
zionato. I fattori che rischiano di ridurre l’interesse della Turchia per il progetto
sono molteplici: tra questi, l’attrito con Baghdad in merito alle operazioni di sicu-
rezza turche nel Nord del paese contro il Pkk, denunciate dall’Iraq 54. Recentemente,
sebbene la Turchia abbia esortato Baghdad a coordinare le azioni contro la presen-
za del Pkk, l’Iraq si sarebbe limitato a etichettare il gruppo come «organizzazione
50. R. MOHAMMED, «Corruption, Incoherent Energy Plan, and Poor Management Fuel Iraq’s Power Cri-
sis», Emirates Policy Center, 21/3/2023.
51. H. HASAN, op. cit.
52. D. GÜLDOGAN, «President Erdogan Says Turkey Wants to Realize Zengezur Corridor “As Soon as
Possible”», Anadolu Agency, 26/9/2023.
53. R. SOYLU, «Turkey’s Erdogan opposes India-Middle East transport project», Middle East Eye,
11/9/2023.
54. «Iraq condemns “repeated Turkish attacks” after Kurdish officers killed», France 24, 19/9/2023. 153
IN MORTE DI SUEZ? I PROGETTI DI LAND BRIDGE PER EVITARE IL CANALE
55. E. AKIN, «Iraq bans PKK as security ties with Turkey gain momentum», Al-Monitor, 14/3/2024.
56. A. CHIBANI, «Water Politics in the Tigris-Euphrates Basin», Arab Center Washington D.C., 30/5/2023.
57. M. EL DAHAN, A. RASHEED, «Explainer: What is Stopping the Iraq-Turkey Oil Pipeline Restarting?»,
Reuters, 9/10/2023.
58. «New UAE-Turkey TIR Trade Route Two-Thirds Faster than by Sea», International Road Transport
Union, 20/10/2021.
154 59. S. ZE YU, «Why China dares to tread on Iraq’s Development Road to Turkey», Al Majalla, 3/9/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
reti ferroviarie esistenti verso la Turchia e l’Europa occidentale. Questa nuova linea
– la cui costruzione è stata concordata a giugno fra Cina, Uzbekistan e Kirghizi-
stan 60 – avrà un costo stimato di soli cinque miliardi di dollari ed eviterà regioni
più controverse dal punto di vista geopolitico, come appunto l’Iraq e il Mar Rosso. Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Una soluzione, dunque, non solo più conveniente sul piano finanziario, ma anche
meno rischiosa dal punto di vista della sicurezza.
Conclusioni
I progetti di land bridge sopra descritti hanno scopi e potenzialità tra loro diver-
sissimi. Quelli che fanno capo a Israele sono tesi a evitare l’«imbuto» di Suez ma non
possono prescindere dalla libertà di transito che deve essere assicurata all’accesso
meridionale al Mar Rosso. Ne consegue che l’improbabile infrastruttura cui sembra
mirare il governo dello Stato ebraico potrebbe funzionare sempre e solo se fosse
garantito il controllo di Båb al-Mandab, vero pivot di quell’immenso choke point – la
sua lunghezza supera i mille chilometri – rappresentato dal «sistema» Suez-Mar Ros-
so-Båb al-Mandab. Senza il controllo di Båb al-Mandab, il Canale Ben-Gurion diven-
terebbe inutile quanto il Canale di Suez e il Mediterraneo perderebbe ogni vocazio-
ne medioceanica, almeno se si ragiona in termini di solo trasporto marittimo. Dun-
que, in estrema sintesi, il Canale Ben-Gurion non rappresenta un’alternativa a Suez
– almeno sul piano trasportistico – mentre può essere un grosso problema su quel-
lo geopolitico. Se realizzato, esso farebbe diminuire le entrate dell’Egitto, ne mine-
rebbe la stabilità economica e politica e lo spingerebbe verso la collisione con
Israele e con quanti avessero appoggiato la realizzazione del canale israeliano.
Al contrario, il progetto turco-iracheno appare meritevole di maggiori conside-
razioni. Innanzitutto, ragionando in termini di trasporto multimodale, esso garanti-
rebbe di sfruttare i vantaggi del trasporto marittimo e quelli del trasporto terrestre,
unendo tra loro il Golfo Persico (Oceano Indiano) e il Mediterraneo che, in questo
modo, non perderebbe la propria vocazione medioceanica. In tal senso, il proget-
to turco-iracheno potrebbe davvero rappresentare un’alternativa alla rotta maritti-
ma incentrata sul Mar Rosso, almeno sulla carta.
Però, anche il land bridge turco-iracheno presenta numerose limitazioni. In
primo luogo, al di là delle già esaminate difficoltà geopolitico-economiche che
rendono difficile la sua realizzazione, resta il fatto che il potenziando porto di al-
Fåw presenta i medesimi rischi di Suez circa la possibilità che venga bloccato. Chi
riuscisse a chiudere lo Stretto di Hormuz impedirebbe l’accesso al Golfo Persico/
Golfo Arabico e, dunque, allo stesso porto di al-Fåw. A ben vedere, lo Stretto di
Hormuz assume per il land bridge turco-iracheno lo stesso valore strategico che
Båb al-Mandab ricopre per il «sistema» Suez-Mar Rosso-Båb al-Mandab.
In secondo luogo, non si può ipotizzare che il land bridge turco-iracheno –
come qualsiasi altro land bridge – sia equivalente al trasporto via mare. A pesare
60. «Agreement signed for China-Kyrgyzstan-Uzbekistan rail», Railway Pro, 14/6/2024. 155
IN MORTE DI SUEZ? I PROGETTI DI LAND BRIDGE PER EVITARE IL CANALE
in maniera diversa sono fattori quali peso, volumi e dimensioni dei carichi, costi,
flessibilità, prestazioni di consegna 61. Il trasporto merci marittimo non ha eguali in
termini di portata e capacità, offrendo la possibilità di spostare grandi quantità di
merci su grandi distanze, sia pure al prezzo di tempi che, per quanto siano stati Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
61. C.B. BOZARTH, R.B. HANDFIELD, Introduction to Operations and Supply Chain Management, London
2019, Pearson.
156 62. F. ZAMPIERI, «Game over nel Mar Rosso?», Limes, 2/2024, «Una certa idea di Italia», pp. 191-207.
LA NOTTE DI ISRAELE
– che allo stesso al-Asad, già emarginato e sanzionato. Allo stesso tempo, è chiaro
che anche la Turchia avrebbe molto da perdere nello scenario di un Medio Orien-
te ridisegnato dalla Pax Israeliana.
A livello popolare, in Siria la sensazione di impotenza e di abbandono è stata
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
avvertita con particolare intensità. La visita del ministro degli Esteri iraniano Abbas
Araghchi, che in seguito all’attacco israeliano si è recato prima a Beirut e poi a
Damasco, non è bastata a dissiparla. Quando è stato ricevuto da al-Asad, tutti han-
no visto i funzionari siriani rifiutarsi di salutarlo. Circolano anche voci per cui
al-Asad avrebbe disposto la chiusura dei centri di reclutamento allestiti da iraniani
e da Õizbullåh in Siria.
E mentre i bombardamenti israeliani uccidevano civili libanesi e siriani, un
nuovo flusso di rifugiati di entrambe le nazionalità si è riversato in Siria, giudicata
più sicura del Libano. Le autorità siriane hanno impiegato diversi giorni per so-
spendere il vincolo che obbligava i propri cittadini a cambiare 100 dollari statuni-
tensi a testa per entrare nel paese. Secondo i dati ufficiali di Beirut, sono entrati in
Siria circa 100 mila libanesi e 300 mila siriani, cioè il 20% dei rifugiati siriani che
starebbero prosciugando le risorse del Libano, in bancarotta dall’ottobre 2019.
Il massiccio movimento di ritorno dopo il 2015, che comporta per molti siriani
il rischio di ritorsioni penali per motivi politici o legati alla diserzione dal servizio
militare obbligatorio, sta segnando profondamente il contesto demografico e uma-
nitario regionale. Il rimpatrio dei siriani, aggiunto al peso dei rifugiati libanesi in
una Siria esangue, avrebbe mandato all’aria gli aiuti umanitari che, per via delle
sanzioni occidentali, venivano destinati alla Siria nord-occidentale e nord-orientale,
controllate rispettivamente da milizie sostenute dalla Turchia e da milizie curde
gravitanti attorno al Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), alleate degli Stati
Uniti. Netanyahu non ha mancato di prenderne atto, ordinando ai suoi aerei di
bombardare il principale valico di frontiera tra Libano e Siria per bloccare il flusso
di persone in uscita dal paese dei Cedri.
Nel Nord-Ovest della Siria sono stati documentati festeggiamenti in occasione
della morte di Naârallåh e dei principali leader di Õizbullåh, ritenuti responsabili
delle vittime della guerra civile siriana e di aver salvato il regime di al-Asad. Paral-
lelamente, gli agenti della Hasbara (propaganda) israeliana sostenevano di aver
«vendicato i siriani» (!). Poco prima, manifestazioni e scontri armati avevano impe-
dito l’apertura di un punto di passaggio che collegasse il Nord di Aleppo, control-
lato dai turchi, al resto della Siria, sabotando così un timido tentativo di accordo
economico tra Ankara e Damasco. Reazioni spontanee dei siriani o manipolazione
straniera? Difficile dirlo. In entrambi i casi, le immagini generalmente diffuse evita-
no accuratamente di mostrare i campi di sfollati siriani del Nord-Ovest, che rappre-
sentano più della metà della popolazione.
I bombardamenti israeliani non hanno coinvolto solo il Libano: si sono inten-
sificati anche in Siria, fino a diventare quotidiani. Ufficialmente, prendono a bersa-
glio leader, convogli e installazioni di Õizbullåh e dei Guardiani della rivoluzione
iraniani, colpendo fin nel centro di Damasco. Ma il bombardamento più sorpren- 159
SE LA SIRIA SPROFONDA NELLA PAX ISRAELIANA
dente è stato quello diretto sulla base aerea russa di Õumaymøm, vicino Latakia, in
cui è stato distrutto un deposito. All’attacco non è seguita alcuna reazione signifi-
cativa da parte della difesa aerea russa (!). Circolano anche voci sullo smantella-
mento dei punti di osservazione dell’esercito russo di fronte alle Alture del Golan
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
occupate da Israele. Tutto ciò non fa che rafforzare ancora una volta la percezione
di essere stati abbandonati, questa volta da Mosca. Perché l’esercito russo, che
pure ha una forte presenza in Siria, non si oppone ai bombardamenti israeliani?
Come reagiranno, concretamente, i russi se la promessa invasione israeliana rag-
giungerà la Siria con il pretesto di eliminare Õizbullåh? La guerra in Ucraina è suf-
ficiente a spiegare la debolezza delle loro reazioni, rispetto sia a Gaza sia alla cla-
morosa guerra lanciata da Israele contro Õizbullåh e il Libano?
3. Nulla sembra ormai poter arrestare il corso della Pax Israeliana. Cresce
l’inquietudine per la portata dell’invasione militare israeliana del Libano, che po-
trebbe allargarsi fino a contemplare un’incursione in territorio siriano. Õizbullåh e
Damasco saranno in grado di contrastarla? Con ancora più apprensione si attende
la rappresaglia annunciata da Israele per l’attacco iraniano del 1° ottobre. Fino a
che punto si spingerà? Prenderà di mira le infrastrutture nucleari? E quale sarà la
risposta degli iraniani?
La guerra a Gaza dura già da un anno. La reazione militare israeliana allo sgo-
mento del 7 ottobre 2023 è stata per molti versi caotica. La guerra totale contro
Õizbullåh, invece, sembra essere stata preparata con largo anticipo. Fin dal cessa-
te-il-fuoco del 2006. Vi sono state dedicate notevoli risorse tecnologiche e di intel-
ligence. La decisione di lanciare la guerra è stata l’occasione storica per spostare
l’attenzione dalla questione palestinese, considerata chiusa sia a Gaza sia in Cisgior-
dania, alla riorganizzazione degli equilibri di potere in Libano, Siria e Iran, che po-
trebbe persino culminare nella costruzione di un nuovo ordine: la Pax Israeliana.
160
LA NOTTE DI ISRAELE
LA FONDAMENTALE
PARTITA DEGLI Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
1. Fondata dalla Anglo-Persian Oil Company, Royal Dutch Shell, Compagnie Française des Pétroles
e Calouste Gulbenkian, la Ipc ebbe il monopolio di tutto l’upstream iracheno dal 1925 al 1961. Fu
162 nazionalizzata dal regime baatista nel 1972 e integrata nella Iraqi National Oil Company.
LA NOTTE DI ISRAELE
dell’Iran alla luce della sua profonda penetrazione strategica in entrambi i paesi
diventa in questo contesto ancora più problematico 2.
L’oleodotto Kirkûk-Õadøña era lungo 992 chilometri, con una capacità di un
milione di tonnellate di greggio all’anno. Inaugurato nel 1935 alla presenza delle Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
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(forte presenza del Pkk)
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al-Hadīthah
Itp (oleodotto Iraq-Turchia, chiuso)
Corridoio curdo Raffinerie
Fayšhābūr (valico di frontiera sotto
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
il controllo iracheno)
Ceyhan porto turco per l’esportazione BAGHDAD
di petrolio (Itp)
LA NOTTE DI ISRAELE
4. La Turchia continua a esercitare una forte influenza sul Krg attraverso il Kdp
al potere, mentre sviluppa le sue relazioni con Baghdad in un rinnovato clima di
cooperazione e di distensione. Con quest’ultima ha di recente firmato un memo-
randum d’intesa per l’ambizioso progetto di interconnessione viaria e ferroviaria tra
l’Iraq, gli Emirati Arabi Uniti (Eau) e il Qatar – la cosiddetta Development Road (Stra-
da dello sviluppo) – intesa anello di congiunzione del commercio tra l’Asia e l’Euro-
pa, in competizione con il Corridoio India-Medio Oriente-Europa (Imec) sostenuto
dagli Stati Uniti. Con un costo complessivo di 17 miliardi di dollari, il progetto si
estenderebbe per 1.200 chilometri dal porto iracheno di Bassora fino a quello turco
di Marsin attraversando Baghdad, Tikrøt e Mosul, un’area la cui sicurezza dipende
dalle operazioni militari delle Pmf, dei peshmerga e di gruppi armati – in particolare
il Pkk – che sfuggono al controllo dello Stato. In questo ambito, la Turchia ha anche
ottenuto la messa al bando del Pkk in Iraq e continua indisturbata a condurre ope-
razioni militari contro le postazioni di quest’ultimo nel Nord del paese 7. Proposte di
6. «Ittifaq BP ma‘a al-Iråq bi-sha’n õuqûl naft wa ôåz fø Kirkûk yastanid li-namûêaã taqåsum al-arbåõ»,
(«L’accordo Bp-Iraq su giacimenti di petrolio e gas a Kirkûk si basa sul modello della compartecipa-
zione agli utili»), al-Sharq al-Awsat, 20/8/2024.
7. Y. GOSTOLI, «What’s behind Turkey and Iraq’s “Development Road” project?», The New Arab, 30/4/2024.
Il Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan, conduce un’insurrezione armata per l’indipendenza dei
territori curdi in Turchia fin dal 1984. Riconosciuto come gruppo terrorista anche da Ue, Regno Unito
166 e Usa ha spostato il suo raggio d’azione dalla Turchia orientale alle montagne del Kurdistan iracheno.
LA NOTTE DI ISRAELE
della Regione autonoma nel settembre 2022. Ha altresì scosso le presunte relazioni
curdo-israeliane con bombardamenti più mirati contro abitazioni civili ad Arbøl i cui
proprietari, eminenti uomini d’affari curdi, sarebbero stati verosimilmente coinvolti
in forniture di greggio e/o spionaggio per lo Stato ebraico. Forte dei suoi legami
con le Pmf – incluse le sue fazioni (faâå’il) più radicali della resistenza – e con i
partiti sciiti al potere, la Repubblica Islamica condivide con essi l’antisionismo, l’an-
ti-americanismo e l’attivismo politico islamico. Accanto alla sua influenza politica
e di sicurezza, ha anche sviluppato un florido commercio e un crescente turismo
religioso. Continua poi ad approvvigionare il suo vicino arabo di gas e di energia
elettrica da cui dipendono il benessere e la stabilità delle sue province meridionali,
in particolare quella di Bassora che resta la fonte predominante della produzione
di greggio e il passaggio attualmente esclusivo dell’export energetico iracheno 8.
L’influenza iraniana sarebbe tra le cause principali dell’assenza di oleodotti terrestri
lungo l’asse Sud-Nord.
L’Iraq ha cercato di diminuire la sua dipendenza dalle esportazioni dal Golfo
Persico fin dai tempi della guerra contro l’Iran rivoluzionario (1980-88). Allora co-
me adesso lo Stretto di Hormuz, attraverso cui passa circa un quarto del consumo
mondiale di greggio, rimane minacciato dalle tensioni israeliane e americane con
l’Iran, anche alla luce del conflitto a Gaza. A questo si aggiunge la forte competi-
zione dei paesi del Golfo Persico – in particolare l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi
Uniti – che, prefiggendosi di aumentare la produzione complessiva di greggio da
22 milioni di b/g nel 2021 a 31,4 nel 2027, intendono altresì sviluppare e diversi-
ficare i propri sbocchi, siano essi porti marittimi o oleodotti terrestri. L’importanza
dei paesi di transito e di sbocco risulta quantomai evidente. Ma laddove oleodotti
dall’Arabia Saudita e dagli Emirati potrebbero in futuro arrivare ai porti omanita
di Duqm e yemeniti di Niš¿ûn e Qišn, lo sbocco accarezzato dai diversi governi
iracheni verso il porto giordano di ‘Aqaba continua a essere invece minato da am-
biguità e discordie 9.
sora-Õadøña, lunga 785 chilometri e con una capacità di trasporto di circa 2,2 mi-
lioni di b/g. La seconda è la Õadøña-‘Aqaba, lunga circa 900 chilometri e con una
capacità di circa 1 milione di b/g, di cui 150 mila destinati alla raffineria giordana
di al-Zarqå’ (carta 2). Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
10. «Tawîøõ ãadød õawla anbûb Baâra-Õadøña: tanmawø wa sayarfid al-iqtiâåd al-‘iråqø» («Un nuovo chia-
168 rimento in merito all’oleodotto Bassora-Õadøña: aiuterà l’economia irachena»), al-Masala, 29/6/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
Mersin
Ceyhan I R A N
TEHERAN
CIPRO
S I R I A Bayğī Campi petroliferi
Kirkūk da potenziare
LIBANO al-Hadīta Kirkūk
Bāy Hasan
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Haifa
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Ma
Habbāz
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ISRAELE Karbalā’
AMMAN Zarqā’
al-Nağaf al-Dīwāniyya
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GIORDANIA al-Na
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EGITTO Yanbu‘
RIYAD
Mu‘ağğiz
Terminal Kurdistan iracheno
petroliferi Rabiġ Influenza iraniana sull’Iraq
DEVELOPMENT ROAD
Corridoio stradale Governatorati iracheni
e ferroviario strategici nell’ambito
del progetto
Itp (Iraq-Turchia da riaprire) Ipsa Development Road
Oleodotto Basra-‘Aqaba (riapertura dell’oleodotto esistente)
(progetto originario)
Porti fondamentali Raffinerie esistenti
Oleodotto Basra-‘Aqaba per l’export da potenziare
(progetto nuovo) nell’ambito del progetto
di sviluppo
zioni con l’asse iraniano della resistenza rende il progetto ancora più controverso.
L’estensione possibile alla Siria, alleata dell’Iran, ne equilibrerebbe allora il peso
geopolitico.
Esposto agli stessi rischi della sicurezza della Development Road di cui sareb- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
11. «Iraq, Saudi discuss reviving oil pipeline connection», Middle East Monitor, 25/5/2023; «Iraq hopes
170 for IPSA Pipeline Access with Riyadh Rapprochement», Middle East Economic Survey, 1/9/2017.
LA NOTTE DI ISRAELE
AI, LA FRECCIA
AVVELENATA Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
comunicazioni convulse tra operativi e vertici che in quel momento sono state
caotiche e non più aderenti a profili di sicurezza adeguati.
Una volta analizzati i dati, in pochi giorni è cominciata la caccia e il bottino è
stato grosso. Un primo raid israeliano su Beirut ha portato all’uccisione di Ibråhøm Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
‘Aqøl (capo dell’unità di élite di Õizbullåh e membro del Consiglio della Jihåd), di
Aõmad Wahbø (che ha supervisionato le operazioni militari delle Forze speciali
Raîwån fino all’inizio del 2024) e di 14 combattenti del Partito di Dio. Tra questi
Abû Yåsir A¿¿ar, al-Õåãã Nønawå e Õusayn ‘Alø Ôandûr (alias «macellaio di Maîåyå»,
che guidò il feroce assedio alla città siriana occupata dall’opposizione ad al-Asad),
responsabili di alto rango delle Forze Raîwån. L’attacco è stato effettuato da caccia
F-15 che hanno lanciato quattro missili penetranti capaci di colpire nel sottosuolo
il secondo piano interrato dove si stava tenendo la riunione tra il capo delle forze
militari di Õizbullåh ‘Aqøl e un’altra ventina di comandanti del gruppo. I missili
hanno causato il crollo dell’edificio residenziale nel sobborgo di Beirut di al-Ãåmûs,
roccaforte dell’organizzazione. Un obiettivo individuato attraverso l’analisi condot-
ta con l’Ai, che ha suggerito anche quali fossero le armi migliori per neutralizzarlo.
Un secondo raid in Libano il giorno successivo ha eliminato centinaia di esponen-
ti di alto livello e miliziani del Partito di Dio, invalidando definitivamente l’ipotesi
che spiegava le esplosioni dei dispositivi come atto dovuto a una fuga di notizie
circa la loro manomissione. Il sabotaggio è stato invece parte di un piano più am-
pio e complesso, come rivelato dal generale riservista israeliano Amir Avivi in
un’intervista rilasciata alla Stampa, che ha parlato di un’operazione chirurgica mi-
rata ai soli miliziani per limitare il più possibile le vittime civili e (ma questo non
viene detto) individuarne la posizione.
Ad attestarlo definitivamente è intervenuto il raid del 27 settembre che ha uc-
ciso Õasan Naârallåh con ordigni bunker-busting scagliati a Îåhiya, la zona meri-
dionale di Beirut roccaforte di Õizbullåh, su un agglomerato di edifici costruiti
sottoterra per permettere a miliziani e leader di nascondersi tra i civili 1. Il livello
delle informazioni tratte dall’elaborazione dei dati insieme alle capacità Humint
(Human intelligence) di cui Israele ha dato prova infiltrando gli apparati di sicu-
rezza iraniani (da cui l’uccisione il 1° aprile del capo pasdaran Mohammad Reza
Zahedi nel consolato iraniano a Damasco e il 30 luglio del leader di Õamås Ism呸l
Haniyya a Teheran), hanno poi portato all’eliminazione del successore di Naârall-
åh, Håšim Âafø al-Døn, in un raid su Beirut il 3 ottobre costato la vita anche al capo
dell’intelligence del Partito di Dio Õusayn al-Za‘øma, conosciuto come Murtaîå.
1. G. OLIMPIO, «Chi ha tradito Nasrallah?», Corriere della Sera, 1/10/2024: «Una persona arrivata dall’Iran
ha stretto la mano di Nasrallah lasciandogli una sostanza che ha permesso agli israeliani di localizzar-
lo nei sotterranei di Daieh». 173
AI, LA FRECCIA AVVELENATA ALL’ARCO DI ISRAELE
2. M. GIUSTINO, «Quel “Verde” Iran che tifa contro Hezbollah: l’atteggiamento ostile della popolazione
176 contro l’asse della resistenza», Il Riformista, 27/9/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Parte III
la GUERRA
degli ALTRI
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
LA NOTTE DI ISRAELE
L’AMERICA di Federico
PETRONI
La guerra d’Israele erode la credibilità degli Stati Uniti, palesemente
incapaci di plasmare gli eventi e usati per allargare il conflitto.
La crisi di sfiducia tra gli americani investe anche lo Stato ebraico.
I dolori di Kamala Harris. Il dibattito negli apparati.
e conquista i grandi centri urbani. E non solo non elabora un piano per il dopo, ma
rifiuta categoricamente le proposte americane di una Gaza governata da una coali-
zione internazionale di paesi arabi e da elementi palestinesi moderati. A orecchie
israeliane, le richieste statunitensi devono suonare come tentativi di sabotaggio.
Il dramma si replica in grande nella primavera 2024. Gli israeliani vogliono
entrare a Rafaõ. Gli americani si oppongono: non vogliono vedere nel Sud della
Striscia le stragi viste al Nord. Biden va in televisione e dice che l’invasione di Rafaõ
è la sua «linea rossa» 1. Il segretario di Stato Antony Blinken avvisa Netanyahu: «Ci
saranno conseguenze nella nostra relazione». Risposta di sfida: «Se è qui che la fi-
niamo, è qui che la finiremo» 2. Il seguito dà ragione al primo ministro: le minacce
degli americani sono vuote.
Quando le truppe israeliane entrano a Rafaõ, Biden esplode e in privato rico-
pre il leader israeliano di improperi. Nella sequenza restituita dal giornalista Bob
Woodward: «figlio di puttana», «fottuto bugiardo» e, apice del suo climax morale,
«bad guy» 3. A maggio, il presidente ordina di fermare l’invio di bombe da duemila
libbre. Ma rinuncia a usare la decisione per fare pressione sull’alleato. Nessuno si
azzarda a comunicarla agli israeliani, tantomeno in pubblico. Una volta accortose-
ne, Netanyahu scatena contro l’amministrazione democratica i suoi alleati repubbli-
cani al Congresso, ansiosi di scandali in anno elettorale. L’invio delle bombe ri-
prende, ovviamente senza una comunicazione formale. Israele costringe l’America
a rimangiarsi le sue minacce.
In seguito, Biden prova ad affrontare Netanyahu pubblicamente. In un discor-
so alla nazione, annuncia un piano per cessare il fuoco a Gaza e liberare gli ostag-
gi. Accusa il primo ministro: manca solo il suo assenso. Spera di metterlo in cattiva
luce davanti alla sua gente. Ma nemmeno giocare a carte scoperte mette l’avversa-
rio con le spalle al muro. Netanyahu respinge l’offerta, dicendo di voler riprendere
il controllo del confine Gaza-Egitto, noto come corridoio Philadelphi. E quando tra
fine luglio e settembre Israele allarga la guerra, uccidendo il capo politico di Õamås
a Teheran e iniziando a decapitare quadri e vertici di Õizbullåh, la Casa Bianca
ammette apertamente: un cessate-il-fuoco è «fuori dalla portata di Biden» 4.
Gli affronti crescono assieme alla guerra. Israele non solo ignora ma sabota le
iniziative degli americani. E smette di comunicare a Washington le sue prossime
mosse, nonostante il rischio di rappresaglie sulle basi americane in Medio Oriente.
L’allargamento della guerra al Libano è emblematico. Israele tiene l’alleato all’oscuro
1. «Exclusive interview with President Biden following State of the Union address», Msnbc, 10/3/2024.
2. F. FOER, «The War That Would Not End», The Atlantic, 25/9/2024.
3. J. GANGEL, J. HERB, E. STUART, «“That son of a bitch”: New Woodward book reveals candid behind-
the-scenes conversations of Biden, Trump, Harris and Putin», Cnn, 8/10/2024.
4. A. WARD, «U.S. Officials Concede Gaza Cease-Fire Out of Reach for Biden», The Wall Street Journal,
180 19/9/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
delle uccisioni dei vertici di Õizbullåh. Quando apprende dal suo omologo israelia-
no Yoav Gallant dell’eliminazione di Õasan Naârallah, il segretario alla Difesa Lloyd
Austin gli sbotta davanti: «Scusami, cos’hai detto?», per aggiungere in un secondo
incontro: «Siete pronti a difendervi da soli, visto che non ci avete preavvisato?» 5. Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Solo il giorno prima, alle Nazioni Unite, gli Stati Uniti avevano faticosamente rag-
giunto con l’Iran e alcuni paesi arabi ed europei un accordo per un cessate-il-fuoco
tra Israele e Õizbullåh, che quest’ultimo avrebbe anche accettato, secondo il mini-
stro degli Esteri libanese. Credevano di avere l’assenso del governo Netanyahu.
L’invasione del Libano ripropone la dinamica già vista a Gaza. Solo più in
grande e più disfunzionale dalla prospettiva americana per via di un anno di falli-
menti. Nell’arco di poche ore, l’amministrazione Biden esorta una soluzione diplo-
matica; prova a dissuadere una massiccia operazione di terra; appoggia Israele
quando è in procinto di entrare dicendo di avergli strappato la promessa di una
«operazione limitata»: smantellare Õizbullåh nel Sud del Libano e ritirarsi senza
occupare quel territorio 6. Quindi sposa pienamente gli obiettivi israeliani: indebo-
lire Õizbullåh per indebolire l’Iran, estromettere il Partito di Dio dal governo liba-
nese e scacciarlo a nord del fiume Lø¿ånø.
È la certificazione che da un anno gli Stati Uniti rincorrono Israele. Cambiano
idea di continuo per non dover prendere provvedimenti. Rinunciano a impedire
l’allargamento della guerra per provare a minimizzare le sue conseguenze. L’idea
dell’amministrazione Biden era dimostrare totale sostegno in pubblico a Israele per
essere più franchi in privato e plasmare la condotta bellica dell’alleato. Il fallimen-
to è stato spettacolare. Una riunione fra Biden e i suoi più stretti consiglieri raccon-
tata dall’Atlantic restituisce lo spirito del tempo. Domanda operativa: possiamo
comportarci diversamente? «Nel corso delle due ore successive, il gruppo discute
una proposta dietro l’altra. Non c’è atto di magia diplomatica o brillante idea crea-
tiva da estrarre dalla manica. Alla fine, alzano le mani» 7.
Gli Stati Uniti non sono del tutto in balia di Israele. Subiscono il gioco, ma
possono ancora rifiutare risorse esclusive allo Stato ebraico, per esempio i mezzi
per colpire il programma nucleare iraniano. La deterrenza è gravemente compro-
messa, benché non interamente saltata, più per le cautele di Teheran. Anche se la
presenza americana non ha impedito alla guerra Israele-Iran di diventare diretta.
regionale perché in ballo c’è la sua stessa ragion d’essere: Israele come rifugio per
gli ebrei.
Il governo israeliano ha poi sicuramente tratto il massimo da circostanze tem-
porali assai favorevoli, cioè dalla campagna elettorale negli Stati Uniti. Biden e Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
ancor più Kamala Harris non possono affrontarlo apertamente perché troppo in
bilico nei sondaggi per rischiare di alienarsi anche pochi elettori. Trump è disposto
a parole a concedere qualsiasi cosa a Israele pur di poter dire che il governo non
lo sta aiutando adeguatamente. L’amministrazione democratica è poi specialmente
indebolita, sia dalla fragilità del presidente sia dalla sua imminente uscita di scena.
Lo sarà ancor di più nei due mesi e mezzo della transizione, durante la quale non
sono escluse distrazioni derivanti dalla contestazione del voto, specie in caso di
sconfitta dei repubblicani. Alla fine, a trarre più vantaggio dello stato di semi-va-
canza alla Casa Bianca non è stato un nemico, ma un alleato.
Il primo ministro israeliano ha inoltre sfruttato caratteristiche uniche al rappor-
to tra i due paesi. Per esempio, il sionismo di ferro di Biden, le intime relazioni fra
apparati (specie d’intelligence, che aggira spesso capi recalcitranti), le entrature di
Netanyahu nei gruppi di pressione filo-ebraici (come le lobby evangeliche) o il
suo rango di spicco nel Partito repubblicano. Nel viaggio di fine luglio in America,
il premier ha incontrato Trump a Mar-a-Lago, in una sorta di consultazione col
governo ombra.
Ma la caratteristica principale è che gli Stati Uniti non possono non difendere
Israele. È irrealistico pensare a un presidente che resta a guardare mentre lo Stato
ebraico finisce sotto i missili. Lo scandalo scoppierebbe per molto meno: scoprire
per esempio che il comandante in capo non ha fatto tutto quanto in proprio pote-
re per dare assistenza militare all’alleato sotto attacco. Questa realtà toglie credibi-
lità alle minacce degli Stati Uniti di lasciare soli gli israeliani. Israele sa che può
uccidere tutti i capi milizia che vuole, anche senza preavviso, tanto è nell’interesse
degli americani evitare che lo Stato ebraico subisca un colpo eccessivo. Austin ha
dato un nome a questo atteggiamento: Israele «sta giocando coi soldi della casa» 8.
Furente, il Pentagono ha comunicato all’alleato di stare dibattendo se i continui
rinforzi abbassano la tensione o invece incoraggiano Israele ad aumentarla – oltre
a sviare importanti risorse dal contenimento della Cina 9. Ma la timidezza delle mi-
sure prese contro lo Stato ebraico parla da sé. In un anno gli americani hanno
sanzionato qualche colono; costruito un pontile galleggiante per rifornire Gaza dal
mare (poi andato in pezzi); adottato due vaghe risoluzioni all’Onu per ammonire
Israele; minacciato di mettere in pausa la consegna di qualche armamento senza
andare fino in fondo.
Il motivo di tanta deferenza risiede in una dinamica più generale. Gli interes-
si di Israele e Stati Uniti non divergono del tutto. O, meglio, divergono profonda-
8. K. DEYOUNG, M. RYAN, «How Joe Biden lost his grip on Israel’s war for “total victory” in Gaza», The
Washington Post, 3/10/2024.
9. H. COOPER, E. SCHMITT, «A Pentagon Debate: Are U.S. Deployments Containing the Fighting, or Infla-
182 ming It?», The New York Times, 4/10/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
(Israele-Arabia S. in trattativa)
Mantenere il controllo dei colli di bottiglia di Suez, Bāb al-Mandab e Hormuz
Contenere la Turchia in Siria e nell’Egeo Colli di bottiglia
Basi e strutture militari Usa
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Cipro Nord
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Sede della V Flotta
Riyad BAHREIN
SUDAN Base aerea Usa QATAR
Prince Sultan US Central Command PA
E.A.U. Stretto
di Hormuz
ERITREA
OMAN
YEMEN Oceano
ETIOPIA Indiano
Stretto di Bāb al-Mandab
distante da quello che Israele fa. Per esempio, l’interesse a non allargare il conflit-
to è rivolto anche, se non soprattutto, contro lo stesso Netanyahu. Ma Israele or-
mai la guerra l’ha iniziata. Come limitare le ostilità se non le comandi? Se non puoi
abbandonare un alleato che dice di combattere un nemico comune? Se non puoi Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
4. Oltre alla credibilità degli Stati Uniti, Israele in guerra lede la propria popo-
larità in America. Dal 7 ottobre, ha smesso di essere intoccabile. È politicamente
controverso. È inviso a buona parte delle nuove generazioni e agli elettori demo-
cratici. Le due nazioni restano sorelle e intrecciate più di prima. Eppure l’interesse
complessivo degli americani cala. Aumenta l’aperto rifiuto per un ruolo risolutore
degli Stati Uniti.
Nel febbraio 2024, il Pew Research Center, il più autorevole istituto demosco-
pico d’America, ha condotto un rigoroso studio intervistando oltre 12 mila persone
su Israele, la guerra in corso e cosa dovrebbero fare gli Stati Uniti 12. Risultato: una
faticosa metà, il 57% degli intervistati, considera legittime le ragioni per cui Israele
combatte contro solo un 15% che le considera illegittime; tuttavia, solo il 34% ritie-
ne accettabile la sua condotta, contro il 38% che la ritiene inaccettabile. È come se
l’opinione popolare riflettesse la posizione del governo: potete fare la guerra, ma
moderatevi.
Israele è diventato argomento di parte. È un fatto d’età e di orientamento poli-
tico. La differenza generazionale è lampante. Gli under 30 sono inclini a ritenere che
Õamås abbia motivi più validi di Israele per combattere (44 contro 35%) e inaccet-
tabile la condotta di quest’ultimo a Gaza (48%). Simpatizzano più per i palestinesi
(60%) e meno della metà di loro ha un’opinione positiva degli israeliani (46%),
percentuale crollata di 17 punti dal 2019. Non stupisce che accusino Biden di favo-
rire troppo Gerusalemme (36%) e si oppongano all’invio di armi (45 contro 16% a
favore). Sorprende invece che siano la fascia d’età più tiepida all’idea che gli Stati
10. J.T. MATHEWS, «What Was the Biden Doctrine?», Foreign Affairs, settembre-ottobre 2024.
11. R. HAASS, «The Trouble With Allies», Foreign Affairs, settembre-ottobre 2024.
12. L. SILVER ET AL., «Majority in U.S. Say Israel Has Valid Reasons for Fighting; Fewer Say the Same
184 About Hamas», Pew Research Center, 21/3/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
Uniti debbano avere un forte ruolo diplomatico nel conflitto (13%). È una resa, an-
che sulle capacità dell’America.
Il divario su Israele tra elettori repubblicani e democratici è noto. I numeri testi-
moniano due novità: il divario è diventato un abisso e la popolarità di Israele è crol- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
5. Kamala Harris non è famosa per avere opinioni solide. Da candidata alla
presidenza ha cambiato posizione su molti temi. I critici le danno della banderuo-
la. Le tensioni della sinistra sulla causa palestinese non potevano non metterla a
disagio. I suoi travagli raccontano che Israele è diventato argomento controverso
nel Partito democratico e dello stato della diaspora ebraica in America.
13. J.R. WEINBERG, R. MELLER, I. NOY-FREIFELD, «A Growing Divide in American Public Opinion of Israel»,
The Institute for National Security Studies, Inss Insight, n. 1835, 12/3/2024. 185
COME SI USA L’AMERICA
era molto calata la legittimazione del governo Netanyahu tra gli ebrei d’America,
fra gli oppositori più strenui della riforma giudiziaria, del sionismo religioso, dell’oc-
cupazione della Cisgiordania. Tra i giovani, i sondaggi avevano iniziato a rilevare
un calante affetto per Israele. Cresceva una piccola minoranza di antisionisti. La
guerra ha radunato attorno alla Stella di Davide anche chi giura sulla bandiera a
stelle e strisce. Secondo il sondaggio del Pew, l’89% degli intervistati di fede ebrai-
ca ritiene valide le ragioni di Israele, più degli evangelici (74%), anche se il 33%
ritiene inaccettabile la sua condotta bellica. Eppure, la maggioranza continua a
pensare che la guerra debba finire con la creazione di uno Stato palestinese (46%,
opzione preferita). Insomma, la diaspora in America appoggia Israele in guerra,
non Netanyahu.
Tuttavia, l’antisemitismo è in crescita. Gli episodi di questo tipo sono più che
decuplicati, dai 751 del 2013 agli 8.873 del 2023, secondo i dati della Anti-Defama-
tion League 17. Oltre un terzo di cittadini ebrei riferisce maltrattamenti a causa della
propria fede, contro un 10% della media nazionale. E il 60% ha paura di esprimere
la propria affiliazione 18. La diaspora smette di sentirsi sicura in un paese dove le
ideologie politiche si stanno muovendo verso idee paranoiche, stereotipi e razzi-
smi sotto altro nome. Tanto a destra quanto a sinistra. La cultura dell’intolleranza
reciproca oggi diffusa negli Stati Uniti fa sentire precari gli ebrei. L’immagine di
America paese rifugio è a rischio? Di certo è una delle tante derive della libertà
d’espressione nella nazione eretta su di essa.
6. A Washington non c’è tempo per interrogativi così alti. Il dibattito strategico
su Israele è molto più serrato. La domanda è diventata: fino a che punto sostener-
li? Colpire duramente l’Iran o no? Il discrimine tra le varie posizioni non è la pro-
pensione alla guerra bensì la considerazione della Repubblica Islamica.
Si è prodotta infatti un’interessante convergenza. Gli eredi dei neoconservato-
ri negli apparati e la nuova destra trumpiana sono normalmente nemici per via
della riluttanza dei secondi a usare la forza. Entrambi però considerano l’Iran il
male assoluto, l’anello debole del gruppo dei rivali, e guardano con favore a un
attacco su vasta scala con la partecipazione attiva degli Stati Uniti per indebolire le
sue capacità militari (qualcuno invoca anche la distruzione delle installazioni nu-
cleari). Nella loro rappresentazione, gli ayatollah sono sensibili alle umiliazioni e
all’esibizione della forza – tutti ricordano come l’uccisione del generale Soleimani
sotto Trump calmò le acque per qualche tempo.
16. Sondaggi del Siena College Research Institute del 27-29 settembre 2020; 11-16 settembre 2024;
12-13 e 16-17 luglio 2024.
17. «Audit of Antisemitic Incidents 2023», Anti-Defamation League, 16/4/2024.
18. J.J. JONES, «Americans Show Heightened Concern About Antisemitism», Gallup, 1/7/2024. 187
COME SI USA L’AMERICA
zione militare regionale antipersiana 19. In questo campo figurano anche diversi
militari ed ex funzionari d’intelligence che hanno speso l’intera carriera nelle guer-
re mediorientali e hanno un conto aperto con la Repubblica Islamica sin dall’atten-
tato di Beirut del 1982 contro i marines. L’incognita è Trump stesso, che potrebbe
tentennare davanti al rischio di mettersi al comando di un nuovo grande conflitto
in Medio Oriente, vista l’impopolarità tra gli americani.
Sull’altro lato della barricata, l’attuale amministrazione democratica ha fatto
dell’appeasement con l’Iran il pilastro con cui normalizzare il Medio Oriente. Buo-
na parte del personale civile ha partecipato ai negoziati per l’accordo sul program-
ma nucleare del 2015, ha provato a riesumarlo dal 2021 e considerava una disten-
sione possibile fino a che a settembre Israele l’ha volontariamente minata allargan-
do la guerra al Libano. La sua linea principale di politica estera, qui come in
Ucraina o nell’Indo-Pacifico, è evitare escalation o, meglio, di finire in guerra diret-
tamente con le potenze rivali. Anche a costo di accettare prolungamenti dei con-
flitti in corso. Cerca di contenere Israele e i benefici da trarre dal suo operato al
Levante (indebolire Õamås, Õizbullåh, volendo anche i pasdaran in Siria), senza
permettere a Netanyahu di portare la guerra in Iran. Buona parte del personale
militare è in questa corrente dei cauti perché sempre più orientata sull’Indo-Pacifi-
co e portata a vedere questo conflitto come una distrazione.
La linea di faglia non divide nettamente democratici e repubblicani. I figli dei
neocon sono ormai migrati tra i democratici (ritorno alle origini). Kamala Harris ha
persino definito l’Iran «il nostro principale avversario» in un’intervista su tutt’altro
(forse era più un appello all’elettorato ebraico o magari un messaggio alla Cina). E
una nuova presidenza Trump manterrebbe comunque delle cautele. In ogni caso,
man mano che la guerra Israele-Iran si approfondirà, le quotazioni dei sostenitori
di un duro colpo alla Repubblica Islamica aumenteranno. Per inerzia del conflitto,
per scelta obbligata, per volontà d’Israele.
19. Per un’esposizione di questo punto di vista, rimandiamo a R. GREENWAY, «L’America deve creare
188 un’alleanza arabo-israeliana contro l’Iran», Limes, 5/2024, «Misteri persiani», pp- 221-228.
LA NOTTE DI ISRAELE
1
MONTANA NORTH
DAKOTA
OREGON M
IC 3 2
H
IG
WISCONSIN
MINNESOTA
SOUTH A 4
IDAHO WYOMING N
DAKOTA NEW YORK
5 6
IOWA PENNSYLVANIA
NEVADA NEBRASKA 7
OHIO
9
S TAT I U N IT I ILLINOIS 8
UTAH
INDIANA
WEST
COLORADO VIRGINIA
KANSAS VI RG I NI A
MISSOURI
IL DILEMMA DEGLI USA: EVITARE L’ESCALATION O INDEBOLIRE L’IRAN?
CALIFORNIA KE N T UCKY
N OR T H
C AR OL I NA
ARIZONA OK L A HO MA T EN N E SS EE
A R KA N SA S S OU T H
NEW C A ROL I N A
MEXICO
GEOR G IA
A L A B A MA
M ISS ISS IP PI
T E X AS
FLORIDA
LOUIS IA NA 1 - MA I NE
2 - N EW HA MPS HI R E
3 - V E R MONT
ALASKA
4 - MA SSACH US E T TS
5 - CONN E C T I C U T
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
6 - RHODE ISLAND
HAWAII 7 - NE W J ER S E Y
8 - DE L AWAR E
9 - MARYLAND
LA NOTTE DI ISRAELE
tracciata in seguito alla guerra dei Sei giorni nel 1967. Questo schema si è presen-
tato con costanza negli ultimi decenni, ma il conflitto in corso potrebbe rovesciarlo.
2. Arginare Israele è una logica che da decenni governa i rapporti degli Stati
Uniti con lo Stato ebraico. Lo si vede per esempio nel «vantaggio militare qualitati-
vo», espressione che nel gergo militarese di Washington indica la condizione di
vendere armi ai paesi arabi a patto di lasciare a Israele le tecnologie belliche di
punta. Queste ultime aumentano il valore deterrente dello strumento militare isra-
eliano, permettendogli di compensare con la qualità i vantaggi quantitativi degli
eserciti circostanti. Ma, dipendendo dalle capacità tecnologiche statunitensi, Israele
non è in grado di condurre escalation pericolose.
Un altro strumento per smorzare le preoccupazioni dell’alleato – e dissuadere
le sue campagne preventive contro gli attori ostili – sono gli accordi bilaterali di
sicurezza. Pur non al livello dei classici trattati di reciproca difesa sullo stile della
Nato o di quelli con Giappone e Corea del Sud, hanno giocato un ruolo cruciale
nei calcoli americani e israeliani. E sono stati un potente segnale per gli avversari
regionali dei due paesi.
Infine, gli Stati Uniti hanno usato il loro rango di grande potenza come ponte
fra Israele e il Medio Oriente, specialmente in tempi di crisi e conflitti. Gli esempi
sono innumerevoli. La cosiddetta diplomazia delle navette di Henry Kissinger du-
rante la guerra del Kippur fu cruciale per arrivare alla fine delle ostilità. Gli Stati
Uniti furono poi essenziali nel negoziare una distensione permanente fra Egitto e
Israele con gli accordi di Camp David. Durante la guerra civile libanese, Washing-
ton fece forti pressioni su Gerusalemme affinché ritirasse i propri contingenti,
mentre si impegnava in quella che si sarebbe poi rivelata una disastrosa operazio-
ne di peacekeeping, terminata col primo attacco di Õizbullåh all’ambasciata statu-
nitense di Beirut, in cui morirono 241 marines. Negli anni Novanta, gli americani
svolsero un ruolo importante negli accordi di Oslo fra israeliani e palestinesi. E di
recente l’amministrazione Trump ha promosso gli accordi di Abramo, promettendo
un aumento dell’integrazione economica mediorientale.
Questi strumenti sono serviti in passato a bloccare tentativi di escalation e
guerra preventiva di alcuni governi israeliani. Per esempio, lo squilibrio nel rappor-
to bilaterale ha frustrato i tentativi occasionali di Binyamin Netanyahu di adottare
un approccio più muscolare contro le minacce percepite come esistenziali. La di-
namica è arrivata persino a coinvolgere la politica interna di entrambi i paesi, come
si è visto nel caso dell’adozione dell’accordo sul programma nucleare iraniano del
2015, quando lo stesso Netanyahu si è rivolto al Congresso minacciando di sabo-
tarlo, una mossa che ha fatto infuriare l’amministrazione Obama e precipitare i
rapporti bilaterali al punto più basso a memoria d’uomo. 191
IL DILEMMA DEGLI USA: EVITARE L’ESCALATION O INDEBOLIRE L’IRAN?
3. Dopo dodici mesi è chiaro che il cuore della guerra non è più solo lo scon-
tro fra Israele e Õamås a Gaza ma si estende alla rete di surrogati e clienti di Tehe-
ran nota come asse della resistenza – o «rete della minaccia iraniana», come defini-
ta nei circoli militari e d’intelligence a Washington. Dagli attacchi di Õizbullåh a
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
nord a quelli degli õûñø a sud fino ai vettori d’instabilità in Siria e Iraq, nell’ultimo
anno abbiamo visto in diretta l’Iran impiegare un pezzo importante della sua gran-
de strategia: l’uso di minacce simultanee e multidirezionali per imporre costi signi-
ficativi a Israele.
La risposta degli Stati Uniti è stata fornire allo Stato ebraico munizioni, intelli-
gence e assistenza anti-aerea, come dimostrato dall’intercettazione di diversi droni
e missili provenienti dall’Iran nell’aprile e nell’ottobre 2024. Altre forme di aiuto
sono state molto più controverse, come le munizioni impiegate con effetti deva-
stanti su Gaza. Infine gli Stati Uniti guidano l’Operazione Prosperity Guardian, la
coalizione di oltre venti paesi che cerca di mitigare la minaccia degli õûñø al traffico
marittimo nel Mar Rosso e a Båb al-Mandab.
Nonostante questo sostegno, essenziale per la difesa del territorio dello Stato
ebraico, l’impiego della forza da parte di Israele al di fuori dei suoi confini ha spin-
to il conflitto in una direzione che mostra quanto gli interessi strategici di Washing-
ton e Gerusalemme siano in contrasto fra loro. Le uccisioni mirate dei capi di
Õamås, Õizbullåh e dei Guardiani della rivoluzione iraniani nel Levante dimostra-
no che Israele si sente autorizzato a perseguire obiettivi militari molto più grandi
del mero indebolimento militare di Õamås. Con l’incursione in Libano, l’enfasi si è
spostata sul confine settentrionale. Avendo sgombrato tre quarti di Gaza, Israele si
è rivolto a un nemico ben più potente: Õizbullåh.
Due sembrano essere i fattori trainanti di questa decisione. Primo, il governo
di Gerusalemme ha annunciato l’intenzione di mettere in sicurezza la frontiera
settentrionale per far tornare a casa i 70 mila sfollati dalle zone evacuate dopo il 7
ottobre per timore di un’operazione simile a quella di Gaza da parte di Õizbullåh.
Secondo, fonti israeliane riferiscono che lo stesso Õizbullåh sembrava sul punto di
condurre un attacco in grande stile, anche se l’informazione non è confermata.
Per affrontare la minaccia a nord, Israele dovrà riuscire nella difficile impresa
di estirpare Õizbullåh da posizioni molto radicate. Se ci riuscisse, genererebbe di
fatto un cuscinetto fra sé e il Libano. In un certo senso, l’incursione di terra mira a
creare nei fatti quello che sarebbe dovuto accadere con la risoluzione 1701 del
Consiglio di Sicurezza dell’Onu, introdotta alla fine della guerra in Libano del 2006.
Il documento predisponeva il ritiro di Israele dal sud e quello di Õizbullåh dal nord
del fiume Lø¿ånø, oltre a istituire una forza di peacekeeping e monitoraggio, la mis-
sione Unifil. Nel tempo, però, la milizia libanese è tornata a stabilirsi a sud del
Lø¿ånø e a costituire una minaccia. Lo si è visto chiaramente dopo il 7 ottobre, quan-
do queste stesse forze hanno condotto attacchi di varia intensità contro lo Stato
ebraico.
Per Õizbullåh, ingaggiare Israele serviva a dimostrare solidarietà a Õamås, a
192 sfoggiare certe capacità e a dissuadere lo Stato ebraico dall’allargare il conflitto.
LA NOTTE DI ISRAELE
4. Se accettiamo che Israele abbia spostato gli obiettivi bellici da Õamås agli
snodi dell’asse della resistenza e alle capacità strategiche dell’Iran, allora gli Stati
Uniti si trovano di fronte a un dilemma geostrategico significativo.
Da un lato, il regime iraniano ha rappresentato una persistente minaccia per
gli interessi americani. Da decenni è un attore destabilizzante i cui intenti strategici
includono la definitiva fuoriuscita degli Stati Uniti dal Medio Oriente. E in quanto
potenza nucleare latente rischia di essere una minaccia esistenziale per molti part-
ner degli americani nell’area. Da questo punto di vista, una Repubblica Islamica
seriamente indebolita, privata di alcuni strumenti di proiezione regionale e già
appesantita da un’economia poco performante sarebbe una manna per gli obietti-
vi strategici degli Stati Uniti, fra cui rientra evitare la proliferazione nucleare. Un
simile sviluppo permetterebbe a Washington di concentrarsi maggiormente su Ci-
na e Russia.
Dall’altro lato, se Israele allarga la mappa allarga anche la guerra. Ciò compor-
terebbe un coinvolgimento americano in un momento in cui nessun presidente
desidera dedicare grandi risorse ai conflitti in Medio Oriente. Lo Stato ebraico po-
trebbe certo iniziare un attacco strategico alla Repubblica Islamica. Ma non potreb-
be finirlo senza una significativa assistenza americana per via di alcuni particolari
requisiti operativi.
Mentre scriviamo, Israele valuta una serie di obiettivi per rispondere al recente
attacco missilistico iraniano del 1° ottobre scorso. Tutti questi bersagli comporte-
rebbero costi significativi per il regime: attacchi aerei e missilistici su basi e infra-
strutture militari; un colpo devastante agli impianti petroliferi, una delle principali
fonti di reddito del paese; un attacco per degradare o rendere inefficace il nascen-
te programma atomico dell’Iran.
Benché abbia dimostrato di saper condurre operazioni contro obiettivi militari
e petroliferi, attaccare le infrastrutture nucleari va oltre le capacità delle Forze di
difesa israeliane. Anzitutto, per quanto forte, l’Aeronautica non possiede bombar- 193
IL DILEMMA DEGLI USA: EVITARE L’ESCALATION O INDEBOLIRE L’IRAN?
dieri a lungo raggio e i suoi caccia, anche di alto profilo come gli F-35, non posso-
no trasportare le munizioni necessarie a distruggere in profondità i bunker nei
quali sono protetti gli impianti nucleari iraniani. Israele non possiede nemmeno
quelle bombe, in dotazione solo agli Stati Uniti. Inoltre, lo Stato ebraico non dispo- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
ODI ET AMO
TRA MOSCA Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
E TEHERAN di Mauro
DE BONIS
I legami tra Russia e Iran non sono mai stati così stretti, ma le
incomprensioni restano. I casi del corridoio di Zangezur e delle isole
contese nel Golfo Persico. La politica occidentalista di Pezeshkian.
Tra Israele e gli ayatollah il Cremlino preferirebbe non scegliere.
tutto quelle macchinose intrecciate con la Repubblica Islamica dopo l’inizio della
campagna ucraina. Legame nato in precedenza come matrimonio d’interesse e te-
nuto assieme dalla comune condotta anti-americana, oggi più strategico ma non
privo di ostacoli, attriti e incertezze. A cominciare dal programma del nuovo presi-
dente iraniano Masoud Pezeshkian, fresco «riformatore», capo di Stato benedetto
dalla Guida suprema per riallacciare con Stati Uniti e satelliti occidentali, alleggeri-
re il peso delle sanzioni e ricalibrare la cooperazione con la Russia, e con la Cina,
stando bene attento al dibattito tutto iraniano sulla convenienza di gettare anima e
cuore tra le grinfie dei due giganti eurasiatici. Controversia traducibile con: «Se
Washington ci riapre le porte, siamo pronti a ridimensionare le aspettative di Mo-
sca e Pechino nei nostri riguardi?».
Possibile. Del resto anche nelle stanze del potere moscovita questo retropen-
siero si nasconde da qualche parte. In linea con l’infedeltà che ha punteggiato una
relazione oggi messa a dura prova da Israele. Che, con una guerra, può prendere
due piccioni, ovvero mettere in crisi il legame russo-iraniano e spezzare sul nasce-
re le velleità occidentaliste della nuova leadership persiana. Il Cremlino però diffi-
cilmente accetterà di perdere il sostegno di un «alleato» importante per l’andamen-
to dei combattimenti in terra ucraina. E pedina essenziale per realizzare quella
svolta verso Oriente prevista da tempo ma che oggi appare vitale dopo lo squarcio
al momento non tamponabile con l’Occidente a guida americana. La leadership
russa, come sempre, preferirebbe non scegliere tra Iran e Israele, conferma a Limes
Andrej Kortunov, direttore del Russian International Affairs Council (Riac). Mosca,
continua l’analista russo, ha bisogno di entrambi come partner regionali, ma la lo-
gica del conflitto russo-ucraino e di quello mediorientale spinge Mosca più vicina
all’Iran e più lontana da Israele.
destramento dei piloti iraniani e consegnare, forse entro la fine dell’anno, anche i
sospirati caccia Su-35 2. Assistenza trascurabile perché i russi non intendono sguar-
nire le proprie truppe impegnate altrove, ma che logica vuole possa aumentare in
caso di guerra aperta tra Teheran e Tel Aviv. Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Quella che invece non sarebbe ancora avvenuta è la fornitura a Mosca di mis-
sili balistici made in Iran. Una vera e propria querelle innescata da tante dichiara-
zioni occidentali di avvenuta consegna, come quelle del segretario di Stato ameri-
cano Antony Blinken che, citando rapporti dell’intelligence a stelle e strisce, accusa
gli iraniani di aver fornito ai russi un primo lotto di Fath-360, vettori adatti a colpi-
re città ucraine a ridosso del fronte di guerra. In cambio dei quali il Cremlino
avrebbe condiviso con la Repubblica Islamica segreti nucleari 3, probabilmente per
velocizzare la realizzazione della Bomba. Accuse a cui non sono seguite prove, né
avvistamenti di questo tipo di armamenti sulla linea del fuoco ucraina 4. Ma che
hanno fatto scattare a settembre nuove sanzioni americane contro Iran e Russia, la
cui partnership in via di sviluppo, spiega il dipartimento di Stato, minaccia la sicu-
rezza europea e accresce l’influenza destabilizzante di Teheran in Medio Oriente e
nel mondo.
Per questo Washington si impegna a utilizzare ogni strumento atto a impedi-
re l’esportazione di armi iraniane, specie quelle destinate alle truppe russe che
combattono contro Kiev. E punisce la Iran Air come «elemento chiave» del traffico
di armi illecito, oltre a due compagnie di navigazione con sede in Russia ree di
aver trasportato attrezzature militari iraniane attraverso il Mar Caspio 5. Inutili le
reiterate smentite delle autorità iraniane, col neopresidente Pezeshkian pronto a
giurare che, da quando è entrato in carica, ovvero a fine luglio 2024, nessuna
fornitura in armi è stata effettuata alle Forze armate di Mosca, tantomeno agli õûñø
yemeniti 6.
Il rapporto militare resta comunque un punto fermo nella cooperazione rus-
so-iraniana. Seguito da quello economico, che pure in affanno – col fatturato com-
merciale diminuito l’anno scorso di circa il 20% 7 – mette in campo molti progetti
congiunti. A cominciare dagli importanti investimenti di Gazprom nel settore di sua
competenza e dall’implementazione delle infrastrutture necessarie a sviluppare lo
strategico Instc (Corridoio internazionale di trasporto Nord-Sud) per connettere
San Pietroburgo all’India evitando le consuete rotte commerciali. Fino all’accordo
sulla fornitura di gas russo a Teheran raggiunto a giugno ed elogiato qualche set-
2. N. SMAGIN, «Russia Is Being Drawn Deeper Into the Middle East Conflict», Carnegie Politika,
14/8/2024.
3. D. SABBAGH, «Alarm in UK and US over possible Iran-Russia nuclear deal», The Guardian, 14/9/2024.
4. M. MOTAMEDI, «Is Iran supplying ballistic missiles to Russia for the Ukraine war?», Al Jazeera,
11/9/2024.
5. «New Iran and Russia Sanctions Designations», U.S. Department of State, 10/9/2024.
6. «Iran. Prezident Islamskoj Respubliki Masud Peseškian delaet neodnozna0nye zajavlenija v otno-
šenii Rossii» («Iran. Il presidente della Repubblica Islamica Masoud Pezeshkian fa dichiarazioni con-
troverse sulla Russia»), ng.ru, 26/9/2024.
7. K. KIRILLOVA, «Moscow Considers Borrowing From Tehran’s Economic Model to Weather Sanctions»,
Eurasia Daily Monitor, vol. 21, n. 133, 17/9/2024. 197
ODI ET AMO. TRA MOSCA E TEHERAN
timana fa da Pezeshkian che, all’epoca della firma, non era ancora a capo della
Repubblica Islamica. Affermazioni rilasciate dal neopresidente durante l’incontro
col primo ministro russo Mikhail Mišustin per parlare d’affari, dove il leader irania-
no ha etichettato il contratto come un «eccellente esempio di cooperazione» che Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
spingerà il paese islamico a diventare uno hub regionale del gas e che, insieme agli
altri concordati piani di lavoro, servirà a compensare le «crudeli sanzioni» occiden-
tali. Il flusso giornaliero di 300 milioni di metri cubi di gas non è ancora iniziato,
ma aspetta la costruzione dell’apposita conduttura di trasporto che Mosca si è im-
pegnata a realizzare sui fondali del Mar Caspio, antagonista nello stesso bacino al
gasdotto Est-Ovest tra Turkmenistan e Azerbaigian e parte del già citato corridoio
Instc, direzione Nord-Sud 8.
I due paesi, nonostante le difficoltà legate alla somiglianza tra le due econo-
mie, puntano giocoforza sul rapporto reciproco per alleviare il fardello delle san-
zioni (la Russia col primato mondiale di circa ventimila, seguita a distanza dall’Iran
con circa quattromila 9) e dell’isolamento imposti dall’Occidente. Relazione che
necessita però di più fiducia e conoscenza dell’altro, lacuna che Mosca cerca di
colmare prevedendo nel programma scolastico 2024-25, solo per le classi corri-
spondenti alle nostre medie e secondarie, l’insegnamento di posizione economi-
co-geografica, risorse naturali e popolazione della Repubblica Islamica, che il do-
cumento del ministero dell’Istruzione diretto ai professori indica come partner
strategico della Federazione Russa 10. La materia andrà ad affiancarsi allo studio dei
consueti paesi asiatici come Cina, India e Giappone.
3. Restano però nel rapporto tra Mosca e Teheran alcune zone d’ombra che la
crisi mediorientale e il comune destino di reietti dell’Occidente tendono a coprire.
Dissidi pronti a riesplodere se il legame tra le due si dovesse allentare per favorire
indigeribili interessi di paesi terzi invisi all’una o all’altra. Segnale di una relazione
in divenire, calata in realtà regionali alla ricerca di una stabilità ancora tutta da de-
finire. Come quella del Caucaso meridionale, orfano trentennale del padre-padro-
ne sovietico, oggi conteso da interessi e spinte contrapposti di paesi in aperta
competizione. E dove si è consumato da poco l’ultimo atto del ruvido contrasto tra
Cremlino e Repubblica Islamica legato alla realizzazione del corridoio di Zangezur,
il varco terrestre previsto nell’Armenia meridionale a ridosso del confine iraniano
per collegare l’Azerbaigian alla sua exclave di Naxçıvan. Un percorso che Teheran
teme possa impedirle di mantenere l’accesso diretto a Erevan, suo prezioso partner
caucasico. Inoltre, la Repubblica Islamica è preoccupata che tale progetto possa
incrinare la sua sicurezza nazionale, visto che l’opera andrebbe a consolidare il
8. «Iranian President Locks In Gas Pipeline Deal with Russia», The Moscow Times, 1/10/2024.
9. A. KORTUNOV, «Russia’s Economy: Short-Term and Long-Term Challenges», Russian International
Affairs Council, 1/10/2024.
10. M. ŽOLOBOVA, N. KONDRAT’EV, «Minprosveš0enija vvelo v školakh izu0enie ekonomiki Irana kak
“strategi0eskogo partnëra” Rossii i posledstvij kolonizacii Afriki» («Il ministero dell’Istruzione ha intro-
dotto nelle scuole lo studio dell’economia dell’Iran come “partner strategico” della Russia e le conse-
198 guenze della colonizzazione dell’Africa»), istories.media, 9/9/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
S I R I A
Bāniyās
M a r
Latakia
- centro di supporto logistico e di manutenzione Humaymīm
.
- 4 navi militari di medie dimensioni
Dal 2017 la Russia ha ottenuto per Tartūs
. . S I R I A
49 anni il controllo e la sovranità
sul territorio della base. Può ampliare
l’infrastruttura per consentire l’attracco
di navi a propulsione nucleare
Tartūs
. .
rapporto tra Baku e Ankara, targata Nato dunque avversaria nella regione. Il rischio
è rendere porosa quella parte di frontiera dove gli azeri potrebbero autorizzare agli
amici israeliani spiacevoli sortite in territorio iraniano.
Anche la Guida suprema Khamenei si era scagliata a fine luglio contro il cor-
ridoio di Zangezur. Seguito qualche settimana più tardi da altri membri della lea-
dership iraniana, furiosi sia per la visita del presidente russo Putin in Azerbaigian
sia per le dichiarazioni del ministro degli Esteri Lavrov a favore della realizzazione
del passaggio, da lasciare, d’accordo con Baku, al controllo russo. «Siamo contro
qualsiasi cambiamento geopolitico nel Caucaso» hanno tuonato gli iraniani a ini-
zio settembre 11, fino a farsi sentire da Mosca, avvertendo col capo della diploma-
zia Seyed Abbas Araghchi come ogni minaccia all’integrità territoriale dei vicini e
ogni ridefinizione dei confini fossero da considerare una linea rossa invalicabile.
Il Cremlino è corso ai ripari e per non compromettere l’amicizia con gli ayatollah
11. «Iran rebukes Russia over its policy shift on Zangezur corridor», iranintl.com, 2/9/2024. 199
ODI ET AMO. TRA MOSCA E TEHERAN
12. E. MAMEDOV, «Order restored to Iranian-Russian relations after geopolitical row», eurasianet.org,
19/9/2024.
13. A. ZELTYN’, L. ZELTYN’, D. KHATAI, «Masud Pezeškian i iranskij “Vzljad na Vostok”» («Masoud Peze-
shkian e lo “sguardo a est” dell’Iran»), Russia in Global Affairs, 1/9/2024.
14. I. SUBBOTIN, «Tegeran pytaetcja zavoevat’ doverie Zapada krikitoj SVO» («Teheran cerca di conqui-
200 stare la fiducia dell’Occidente criticando la Svo»), ng.ru, 24/9/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
to: l’ultima parola spetta comunque alla Guida suprema – il nuovo presidente ira-
niano ha iniziato il suo mandato deciso a tentare un riavvicinamento agli Stati
Uniti e ai loro alleati europei, con l’obiettivo primario di convincere Washington a
ridurre il peso delle sanzioni che tanto gravano sull’economia del paese.
Egli mira insomma a rivedere, senza rovinare, le relazioni con la Russia e la
Cina, con l’appoggio anche di quel Mohammad Javad Zarif già ministro degli Este-
ri con Rohani e adesso vicepresidente per gli Affari strategici della Repubblica
Islamica. Politico navigato che spesso ha criticato la Federazione Russa a proposito
del Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action), il naufragato accordo sul nucleare
iraniano del 2015, o della condotta nella guerra siriana. Zarif ha disapprovato l’in-
vio di armi alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, rendendo pubbliche le sue
preoccupazioni circa un irrealistico legame con Mosca, pronta, secondo lui, a sfrut-
tare Teheran e a impedirle di normalizzare le relazioni con Washington per timore
di vedere l’Iran nel campo avverso 15. Oltre alla sua voce, anche quella di altri uo-
mini di Stato si è fatta sentire, come quella dell’ex ambasciatore a Baku Afshar
Soleimani, secondo il quale il Cremlino starebbe giocando con il suo paese a
vantaggio dei soli russofili interni e avrebbe ingannato l’Iran anche su questioni
regionali, come quelle caucasiche, caspiche e centrasiatiche 16.
C’è chi si è spinto persino oltre, ma in definitiva la posizione di Pezeshkian
resta di vicinanza con la Russia, complice forse anche la già citata visita di Šoigu a
Teheran, durante la quale si è ribadito che le relazioni continueranno a svilupparsi
in maniera continua e duratura 17. Non si dimentica l’appoggio che Mosca e Pechi-
no hanno riservato all’isolata Repubblica Islamica nei momenti più bui, né il regi-
me sanzionatorio impostole dagli Stati Uniti e dall’Europa. Senza trascurare il fatto
che la crisi mediorientale ha rimescolato le carte e affievolito i buoni propositi di
apertura verso un Occidente schierato con Israele. Un cambiamento è possibile,
chiarisce ancora Andrej Kortunov, solo se gli americani dimostrano più flessibilità
nei confronti dell’Iran di quanto non facciano ora, con l’amministrazione Biden che
sostiene – forse con riluttanza, ma fermamente – la posizione eccezionalmente ri-
gida di Tel Aviv su Teheran. In sostanza, conclude, Washington non ha nulla o
molto poco da offrire agli iraniani.
Mosca invece è pronta a concludere con l’amico islamico quell’accordo di
partenariato strategico ventennale che il presidente Putin ha approvato a metà
settembre, da firmare col presidente Pezeshkian a margine del vertice Brics di Ka-
zan’, in terra russa, di fine ottobre. Ma stando a quanto riporta la Tass potrebbe
rasiatici vitali per la sua futura tenuta. Ma la Russia non può neppure separarsi
definitivamente da Israele, a meno che, secondo Kortunov, non sia Israele ad ab-
bandonare Mosca.
202 18. «Iran-Russia treaty on comprehensive cooperation ready for signing – ambassador», Tass, 4/10/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
più ostiche da parte di Washington contro la Cina. Soprattutto alla luce dell’attuale
stato di tensione tra le prime due potenze al mondo.
Le turbolenze nel cuore dell’Eurasia non favoriscono neanche la Belt and Road
Initiative (Bri, nuove vie della seta). L’iniziativa cinese si concentra sullo sviluppo
economico e sociale e sull’integrazione regionale imperniata su sicurezza e stabili-
tà. Il Medio Oriente è una delle principali aree di attuazione del progetto. Quindi
il suo futuro è di particolare interesse per la Repubblica Popolare. Nell’ultimo de-
cennio la collaborazione tra Pechino e i paesi mediorientali ha prodotto notevoli
risultati, favorendo l’allineamento tra le nuove vie della seta e le iniziative naziona-
li. Si pensi al caso dell’Egitto con il piano di sviluppo del corridoio del Canale di
Suez. Oppure all’Arabia Saudita con il progetto Vision 2030. In una certa misura, la
Bri aveva alimentato stabilità e pace nella regione.
Molti all’estero vedono le nuove vie della seta come un ambizioso piano di
espansione, ma si tratta di un equivoco. Il progetto rappresenta innanzitutto una
soluzione alle difficoltà interne che ostacolano lo sviluppo cinese. In maniera simi-
le, alcuni considerano la crescente attenzione di Pechino verso enti internazionali
come l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) e i Brics (consesso
composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, più altri paesi) come un modo
per affrontare gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali. In realtà, gli sforzi cinesi
in questo ambito consistono più che altro in una replica passiva al crescente con-
tenimento attuato da Washington contro la Repubblica Popolare. In parte, anche
le nuove vie della seta rispondono a tale logica.
Dato il significativo indebolimento economico registrato a causa dell’epidemia
di Covid-19, la Cina non ha intenzione di sfidare attivamente l’America. Soprattutto
in Medio Oriente, dove Pechino non ha allestito alcun piano in proposito. Al con-
trario, il governo cinese cerca di concentrarsi sullo sviluppo domestico e sulla co-
operazione con altri paesi, senza accrescere la rivalità diretta con Washington.
Ovviamente l’escalation dei conflitti regionali o peggio ancora lo scontro diret-
to tra Israele e Iran distoglierebbero gli attori mediorientali dallo sviluppo di tali
attività e danneggerebbero le nuove vie della seta. Inoltre, metterebbero ulterior-
mente in luce la limitata influenza della Cina nel campo della sicurezza. Sebbene
in Medio Oriente diversi Stati abbiano attribuito grande importanza alla presenza
economica della Repubblica Popolare, quando si tratta di stabilità nazionale e re-
gionale il loro primo pensiero non è rivolgersi a Pechino. Semmai molti fanno
ancora affidamento sulla protezione di Washington, il cui fascino resta forte mal-
grado anni di frustrazione determinata dalle politiche degli Stati Uniti e dall’eviden-
te danno causato agli equilibri regionali dalla relazione speciale con Israele.
Tra i paesi ancora legati all’America vi sono anche Stati del Golfo come la
204 stessa Arabia Saudita, sempre più connessa economicamente alla Cina. Il peggio-
LA NOTTE DI ISRAELE
ramento della crisi in Medio Oriente accrescerebbe la dipendenza di tali attori dagli
Stati Uniti, consentendo a questi ultimi di interferire nelle nuove vie della seta. Così
le iniziative economiche e diplomatiche di Pechino nella regione subirebbero un
ridimensionamento. Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
che bisogna concentrarsi. Quasi certamente una guerra tra Israele e Iran degenere-
rebbe in un conflitto di portata globale e la pressione americana sulla Cina diminu-
irebbe, almeno temporaneamente.
Washington vede la Repubblica Popolare come una minaccia alla propria in-
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
207
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LA NOTTE DI ISRAELE
ISRAELE
DIVIDE Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
L’ITALIA di Germano
DOTTORI
La ragion di Stato induce Roma ad allinearsi a Gerusalemme.
L’opinione pubblica teme l’allargamento del conflitto in Medio
Oriente e in qualche caso simpatizza con l’‘asse della resistenza’
guidato dall’Iran. Quanto è occidentale il nostro paese?
È uno schema a cui non si sfugge. Ne è un’evidenza il fatto che nella nostra
opinione pubblica si riscontri una significativa sovrapposizione da un lato tra chi si
sente vicino all’Ucraina aggredita e chi sta con Israele «senza se e senza ma» e
dall’altro tra coloro che sposano «a prescindere» i punti di vista di russi, cinesi, ve-
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
nezuelani, iraniani e dei sostenitori arabi dell’islam politico. In costanza di crisi, ri-
sulta difficile promuovere il ragionamento. Piuttosto dominano le pulsioni emotive,
con tutti i conseguenti pregiudizi cognitivi, che tendono a selezionare le informa-
zioni in entrata filtrandole secondo la propria griglia di convinzioni. Questa è la
cornice di riferimento in cui vanno inquadrate anche le reazioni agli eventi succe-
dutisi dal 7 ottobre 2023. Incluse quelle meno razionali tra le tante registratesi dopo
gli attacchi dei soldati di Gerusalemme ai peacekeepers delle Nazioni Unite.
Ogni conflitto ha le proprie specificità. Nessuna guerra è mai uguale a un’altra
se non per il triste corredo di morti, odio e distruzione che l’accompagna. L’attuale
ciclo di violenze che sta insanguinando il Medio Oriente è iniziato con un atto di
macroterrorismo che aveva suscitato un livello inusuale di solidarietà nei confronti
dello Stato ebraico. Tuttavia, forse non si è fatto tutto ciò che si poteva per conso-
lidare queste simpatie, che alla prova dei fatti si sono rivelate effimere.
In particolare, Israele ha rinunciato a divulgare le immagini più drammatiche
del pogrom perpetrato ai suoi danni da Õamås, preferendo onorare il desiderio
delle famiglie in lutto di non vedere pubblicati i video degli ultimi momenti di vita
dei propri congiunti. Con un insolito compromesso, in Italia e altrove la loro frui-
zione è stata conseguentemente circoscritta a pochi politici, giornalisti e opinion
leader: alcune decine di persone in tutto, alla cui capacità comunicativa la diplo-
mazia israeliana si è affidata. Una scelta moralmente ineccepibile, che tuttavia ha
indebolito la narrazione di Gerusalemme. Con l’effetto di rendere incomprensibile
e inaccettabile ai più la durezza della successiva reazione su Gaza, di cui invece
osserviamo da mesi gli esiti sugli schermi piccoli e grandi di tutto il mondo. Nel
duello tra parole e immagini non c’è storia: vincono le seconde.
L’asprezza della risposta israeliana avrebbe comunque suscitato emozioni ne-
gative, ma forse sarebbe stata in parte metabolizzata. Tanto più che il concetto di
vendetta è tutt’altro che estraneo alla cultura del nostro paese. Poco importa che
almeno un terzo degli uccisi nella Striscia fosse costituito da miliziani che si erano
fatti scudo dei civili: la morte e la mutilazione documentate di migliaia di bambini
e donne hanno suscitato sgomento, pietà e riprovazione nel pubblico del nostro
paese. E sono un elemento di sofferenza anche per i non pochi amici che Israele
ha in Italia. Agli occhi di tantissimi nostri connazionali, conseguentemente, le vitti-
me si sono rapidamente trasformate in carnefici. L’allargamento della risposta al
Libano ha ulteriormente complicato il quadro. Specialmente dopo lo scoppio della
crisi innescata dagli spari dell’Esercito israeliano contro le basi Unifil e dal coinvol-
gimento negli incidenti dei suoi avamposti 1-31 e 1-32A, gestiti dai militari italiani.
quella abbracciata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, perseguendo obiettivi che
oltrepassano di molto il ristabilimento della dissuasione e tendono alla modifica
degli equilibri geopolitici nell’intero Medio Oriente. Per questo motivo adesso alla
figura di Binyamin Netanyahu vengono associati non soltanto gli eccessi di violen-
za, ma altresì un’arroganza in cui molti vedono niente altro che l’ultima estrema
affermazione della prepotenza globale dell’Occidente: ciò contro cui protestano
appunto gli «antagonisti» di tutte le fazioni appena scesi in strada.
Alle condanne più o meno esplicite e ai disordini di piazza va sommato anche
lo scetticismo di non pochi esperti, che ritengono il progetto ben al di là delle at-
tuali possibilità israeliane e paventano l’esacerbazione dell’odio reciproco tra le
parti. L’irruzione sulla scena dei missili degli õûñø e soprattutto di quelli iraniani, fra
i quali pare anche alcuni vettori ipersonici, ha da ultimo generato una non trascu-
rabile ondata di paura tra i nostri connazionali. Paura che alcuni sondaggi hanno
prontamente rilevato già prima dell’incidente occorso ai caschi blu 3.
L’opinione pubblica è frastornata. È lontana culturalmente dalle logiche cui
s’impronta l’uso della forza e completamente a digiuno di quella che nel 1966 Tho-
mas Schelling definì «diplomazia della violenza». Così, osserva sbigottita le distru-
zioni e le catastrofi umanitarie dell’ultimo anno, temendo di esserne in qualche
modo risucchiata 4. Eccitata da qualche dichiarazione forse troppo impulsiva, ora è
attraversata anche da tendenze neonazionaliste, che si sono fatte largo specialmen-
te tra coloro che non sono consapevoli delle realtà geostrategiche fondamentali in
cui ci muoviamo. Chi era anti-israeliano ora lo è di più. Si è registrata persino una
ripresa dell’antisemitismo, un mostro che in Europa risorge di continuo dalle pro-
prie ceneri. Anche molti di coloro che si sentono più vicini allo Stato ebraico han-
no finito col deplorarne più o meno a bassa voce la mancanza di misura, sperando
che finisca tutto al più presto.
Risulta difficile spiegare all’uomo comune in che modo la sopravvivenza d’I-
sraele (una potenza nucleare) sia stata messa in discussione da avversari tanto più
poveri e meno avanzati dal punto di vista tecnologico come Õamås, Õizbullåh e lo
3. Stando alle rilevazioni di Demopolis, i timori degli italiani per le conseguenze del conflitto iniziato il 7
ottobre 2023 sono costantemente aumentati, parallelamente all’auspicio di una tregua. Di recente, inoltre, un
sondaggio condotto congiuntamente dall’Ispi e dall’Ipsos ha quantificato l’ampiezza del distanziamento da
Israele dell’opinione pubblica del nostro paese: soltanto il 21% dei nostri connazionali riterrebbe comprensibile
la risposta data da Gerusalemme al pogrom di Õamås, contro il 49% di quelli che la definiscono una
catastrofe umanitaria sproporzionata al diritto di autodifesa dello Stato ebraico. Con riferimento al paese dei
Cedri, il 40% raccomanderebbe agli israeliani di raggiungere un compromesso con Õizbullåh, contro il 13%
dei favorevoli a colpirlo da lontano e l’8% che sosterebbe l’invasione del Libano meridionale. Soltanto il 5%
degli italiani riterrebbe doveroso per il nostro governo appoggiare incondizionatamente Israele. L’8%
vorrebbe un sostegno senza riserve alla causa palestinese. Un altro 17% farebbe altrettanto, ma condannando
Õamås. Il 69% chiedeva al governo di adoperarsi per una mediazione tra le parti che scongiurasse l’escalation.
Cfr. «Sondaggio Ispi: un anno di guerra in Medio Oriente», Ispi, 7/10/2024.
212 4. T.C. SCHELLING, The Diplomacy of Violence, in Arms and Influence, New Haven 1966, Yale University Press.
LA NOTTE DI ISRAELE
stesso Iran. Sfugge il vero problema: il futuro d’Israele dipende più che mai dalla
sua capacità di proteggere gli ebrei dalle aggressioni. Se abitare in Terrasanta di-
ventasse troppo rischioso, l’intero progetto andrebbe in frantumi. La comprensione
di questo dato è più importante che mai se si desidera prevenire reazioni scompo- Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
5. In realtà, il nostro governo non è stato affatto insensibile agli umori dell’o-
pinione pubblica. Naturalmente ha dovuto definire la propria postura tenendo
conto della nostra posizione geopolitica e degli interessi nazionali in gioco, tra i
5. Della seduta delle commissioni Esteri e Difesa dei due rami del parlamento svoltasi il 2 ottobre 2024, durata
oltre due ore, è visibile la registrazione video su webtv.camera.it/evento/26249 213
ISRAELE DIVIDE L’ITALIA
quali spiccano la tutela del sistema di alleanze e la sicurezza degli italiani residenti
in Libano: 3.200 civili, un migliaio di militari schierati a sud del fiume Lø¿ånø con
Unifil e una ventina di effettivi che compongono la squadra della missione adde-
strativa Mibil di stanza a Beirut. Nel complesso, l’atteggiamento descritto il 2 otto-
Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
bre scorso durante l’audizione dei ministri degli Esteri e della Difesa svoltasi a
Montecitorio appare tuttora equilibrato e in linea sia con l’approccio storicamente
abbracciato dal nostro paese sia con le misure specificamente adottate dopo i fatti
del 7 ottobre.
Pur riconoscendo a Gerusalemme il diritto di difendersi, l’esame delle nuove
richieste di via libera all’esportazione per materiali d’armamento diretti verso Isra-
ele è stato sospeso non appena sono iniziate le operazioni israeliane a Gaza. Il
governo ha ribadito anche in parlamento di aver preso le distanze rispetto alla loro
intensità e ha sottolineato le divergenze tra la posizione italiana e quella di Ne-
tanyahu. Quanto alle cessioni approvate prima del pogrom, Tajani ha reso noto di
averne disposto il riesame caso per caso alla luce delle previsioni della legge
185/1990 che disciplina la materia dell’export nazionale di armi. Quindi ha resistito
anche alla pressione delle imprese del settore, malgrado alcune fossero ormai a
rischio di chiusura e in predicato di licenziare addetti. Quindi non hanno senso le
richieste di sottoporre a embargo le forniture militari a Israele, avanzate da più
parti dopo l’episodio del 10 ottobre scorso. L’Italia le aveva fermate ben prima che
lo facesse la Francia guidata dal presidente Macron.
A proposito della questione del riconoscimento dello Stato di Palestina, da mol-
ti invocato sull’esempio della Spagna che lo ha effettuato senza che ad avviso di
Tajani ne fossero discesi effetti apprezzabili, il titolare della Farnesina ha motivato la
scelta attendista del governo con la necessità di aspettare la riunificazione sotto
un’unica autorità dei Territori palestinesi, ancora sottoposti a leadership differenti.
Inoltre, ha confermato la disponibilità italiana a sostenere la transizione verso questo
traguardo anche con lo schieramento di nostri soldati nella Striscia di Gaza, ovvia-
mente nel quadro di una missione multinazionale sotto le insegne delle Nazioni
Unite e ad ampia partecipazione araba. Tuttavia, non sarebbe sorprendente se vi
fosse un ripensamento, dato quello che è successo in Libano. Inoltre, il ministro
degli Esteri non aveva mancato di ricordare la decisione italiana di votare a favore
dell’imposizione di sanzioni contro i coloni israeliani insediatisi in Cisgiordania.
Tajani ha respinto ogni tentativo di paragonare la situazione libanese a quella
ucraina, sottolineando che «Zelens’kyj non è Naârallåh» e che l’Italia è stata il primo
paese a inviare nuovi aiuti a Beirut per fronteggiare l’emergenza umanitaria inne-
scata dai bombardamenti israeliani. È stato altresì ricordato come l’Italia abbia
scelto di inviare dopo anni un suo ambasciatore a Damasco per riannodare le fila
del dialogo con la Siria.
215
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LA NOTTE DI ISRAELE
DISTENSIONE E DETERRENZA
LA FORMULA SAUDITA Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
soluzione dei due Stati, iniziativa congiunta con partner arabi ed europei 3. Risale
invece al novembre 2023, in occasione di un summit a Riyad, l’istituzione di una
commissione arabo-islamica sempre a guida saudita. L’obiettivo dichiarato è aggre-
gare un consenso più ampio possibile per fermare il conflitto e sostenere la causa Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
palestinese 4. La coerenza con cui l’Arabia Saudita porta avanti le proprie posizioni
dall’inizio della guerra sembra, tuttavia, assumere più i contorni di un intento per-
formativo, non (ancora?) di un chiaro disegno per un ordine post-bellico a Gaza.
L’attivismo saudita serve in primo luogo ai Sa‘ûd per riaffermare la leadership
nel mondo arabo-islamico, impedendo che altri provino a intestarsela. Non solo l’I-
ran, che storicamente ha sfidato la credibilità di Riyad quale custode delle sacre
moschee per l’approccio morbido a Israele; o il Qatar, che vanta un ruolo diploma-
tico chiave grazie al mantenimento di un dialogo diretto e continuo con le principa-
li parti in conflitto. Dietro le quinte sta prendendo forma un crescente antagonismo
con gli Emirati Arabi Uniti (Eau), di cui i sauditi non condividono la visione per il
dopoguerra palestinese. Abu Dhabi si starebbe preparando a formare un comitato di
leader palestinesi e figure imprenditoriali fedeli a Muõammad Daõlån 5 – ex capo
della sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) a Gaza – e avversi all’attua-
le presidente dell’Anp Abu Mazen 6. Cacciato da Gaza nel 2007, Daõlån ha trovato
asilo politico negli Emirati divenendo consigliere per la Sicurezza del presidente bin
Zåyid. È una figura controversa, anche per il presunto ruolo di architetto degli accor-
di di Abramo del 2020. In virtù dello stretto rapporto con il governo emiratino è
impensabile che abbia il favore di Riyad, la quale non vuole veder replicato in Pale-
stina uno schema analogo a quello già in vigore tra Doha e Õamås 7.
Un’altra linea rossa per l’ala politica più rilevante di Casa Sa‘ûd facente capo a
MbS concerne il ruolo di Õamås. Benché Riyad abbia dimostrato negli ultimi anni un
certo interesse a coltivare canali diretti con il gruppo – i rapporti sono però gelidi dal
2007 8 – il principe saudita non vuole che Õamås sia il referente politico della «nuova»
Palestina e preme per un processo di riforma dell’Anp. Le preoccupazioni di Riyad
circa la competenza, la legittimità e le capacità di tale organismo hanno sin qui di-
sincentivato un forte impegno saudita verso l’Autorità, nonché un suo maggiore
coinvolgimento nel prefigurare il dopoguerra a Gaza 9. Ne consegue una strategia
attendista, necessaria per testimoniare all’audience domestica e regionale il pieno
supporto alla causa palestinese senza però compromettere l’agenda Vision 2030.
3. J. HABOUSH, «Saudi Arabia announces new global coalition to establish Palestinian state», Al Arabiya,
27/9/2024.
4. J. SALHANI, «What’s behind the Arab-Islamic ministerial tour of UNSC states?», Al Jazeera, 23/9/2023.
5. «Mahmoud Abbas cuts short Saudi trip after Israel launches West Bank assault», Middle East Eye,
28/8/2024.
6. «Mapping Palestinian Politics – Mohammed Dahlan», European Council on Foreign Relations.
7. A. ZACCOUR, «Mohammad Dahlan, Abu Dhabi’s controversial candidate for Palestine’s leadership»,
L’Orient Today, 14/11/2023.
8. «Saudis said set to host top Hamas delegation, further dimming Israeli hopes for ties», The Times of
Israel, 16/4/2023.
9. A. ALGHASHIAN, «Exaggerations, Obstacles and Opportunities: The Saudi Arabian Position in the Ga-
218 za War», Mitvim – The Israeli Institute for Regional Foreign Policies, settembre 2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
Negli anni questa tendenza ha preso forma in diverse campagne antipalestinesi sui
social, come «Palestine is not my cause» del 2020 11. Durante il mese di Ramadan
di quell’anno, la serie tv saudita Exit 7 ha suscitato controversie per le affermazio-
ni del protagonista circa la necessità che Casa Sa‘ûd sia equidistante tra Israele e
Palestina 12.
La generazione saudita coetanea di MbS, per non parlare di quella successiva,
ha abbracciato la nuova narrazione saudita patriottica e ipernazionalista che nel so-
stituire progressivamente quella tradizionale ha mutato radicalmente la politica inter-
na ed estera di Riyad. Il conflitto tra Israele e Õamås ha rimesso al centro la tensione
tra queste due facce del regno. Benché smentite da funzionari sauditi, le rivelazioni
dello statunitense The Atlantic su una presunta conversazione tra MbS e il segretario
di Stato americano Antony Blinken avvenuta nel gennaio 2024 nella città saudita di
al-‘Ulå restituiscono un quadro interessante 13. Il principe ereditario avrebbe confes-
sato al proprio interlocutore un totale disinteresse verso i palestinesi, mostrando
preoccupazione per il crescente sentimento filopalestinese dei giovani sauditi (circa
il 70% della popolazione) come effetto collaterale della guerra in corso. «Gran parte
di loro non ha mai saputo molto della questione palestinese. Si sono affacciati a
essa per la prima volta con questo conflitto», avrebbe dichiarato MbS. Un sondaggio
del Washington Institute for Near East Policy condotto tra novembre e dicembre
2023 aveva già registrato un forte calo del sostegno da parte dei cittadini sauditi a
qualsiasi tipo di contatto, compresi i legami commerciali, con Israele 14.
Senza un rimpasto dell’attuale governo israeliano e l’uscita di scena del pre-
mier Netanyahu, è altamente improbabile che Riyad compia alcun passo diploma-
tico. Una simile mossa risulterebbe troppo dirimente e comporterebbe costi politi-
ci tali da surclassare il valore strategico di un’eventuale normalizzazione con Israe-
le. Tuttavia il negoziato con lo Stato ebraico non è abbandonato, è solo congelato.
Gli incentivi che hanno portato il regno a considerare una normalizzazione non
sono venuti meno: i benefici derivanti dall’apertura all’economia israeliana, tra le
più dinamiche, tecnologiche e innovative della regione rispondono agli ambiziosi
obiettivi sauditi di diversificazione e modernizzazione.
Connettività è un’altra parola chiave. Se si considera la geografia dei piani di
sviluppo del regno, come la città futuristica Neom sulla costa del Mar Rosso, si
10. «Saudi crown prince says Israelis have right to their own land», Reuters, 3/4/2018.
11. «Saudi activists accused of launching hashtag ‘Palestine is not my cause’», Middle East Monitor,
23/4/2020.
12. C. BIANCO, C. 9OK, «L’asse Israele-arabi si piega ma non si spezza», Limes, 5/2021, «La questione
israeliana», pp. 223-230.
13. F. FOER, «The War that Would Not End», The Atlantic, 25/9/2024.
14. C. CLEVELAND, D. POLLOCK, «New Poll Sheds Light on Saudi Views of Israel-Hamas War», Washington
Institute for Near East Policy, 21/12/2023. 219
220
Province dell’Arabia Saudita
BASI MILITARI SAUDITE Tabūk
IRAQ al-Gawf
IRAN al-Hudūd al-Šamāliyya
GIORD. al-Madīna
al-Gawf Hā’il
al-Qasīm
Makka
Hafar al-Bātin al-Riyād
al-Šarqiyya
Tabūk Hā’il Città militare King Khalid King Abdulaziz
Base militare
al-Bāha
base navale
‘Asīr
Gāzān
al-Dammām
Nagrān
King Abdulaziz Q A T A R
Base aerea Strade
(prima base militare del paese)
Confini province saudite
EGITTO al-Watah
Medina base missilistica Riyad al-Harg
Prince Sultan
Base aerea Usa E.A.U.
OMAN
King Faisal Laylā
base navale
DISTENSIONE E DETERRENZA, LA FORMULA SAUDITA ALLA PROVA DEL FUOCO
Tā’if
Gedda King Fahad
La Mecca Base aerea
al-Sulayyil
base missilistica
Aeronautica 20.000
Difesa aerea 16.000
YEMEN
Forze strategiche 2.500
LA NOTTE DI ISRAELE
3. Nel triangolo negoziale con Israele e Stati Uniti, Riyad ambisce verosimil-
mente anche a rafforzare la cooperazione con lo Stato ebraico nel settore della si-
curezza e della difesa. Dopo le «primavere arabe» (2010-2011), con il consolida-
mento della posizione regionale di Teheran e la decisione saudita di lanciare un’o-
perazione militare nello Yemen contro gli õûñø (2015), una stretta collaborazione
con Israele inizia a essere vista in ottica puramente anti-iraniana. Nel 2017-2018 i
contatti discreti tra le intelligence saudita e israeliana si intensificano 19 e negli anni
successivi emergono varie indiscrezioni sul presunto interesse di Riyad – sotto
pressione per i lanci di droni e razzi di fabbricazione iraniana da parte del gruppo
yemenita – per il sistema israeliano Iron Dome 20.
Il 2019 è un anno cruciale per i Sa‘ûd: l’attacco su larga scala coordinato dall’I-
ran contro gli impianti petroliferi sauditi di Buqayq e Œurayâ e la mancata reazione
15. A. RIZZI, «The infinite connection: How to make the India-Middle East-Europe economic corridor
happen», European Council on Foreign Relations, 23/4/2024.
16. B. EVERETT, E. SCHOR, «Senators in both parties open to treaty vote on US-Saudi defense pact», Se-
mafor, 18/9/2024.
17. H. PAMUK, A. CORNWELL, M. SPETALNICK, «US and Saudi Arabia nearing agreement on security pact,
sources say», Reuters, 3/5/2024.
18. S. MCCARTHY, W. CHANG, «China calls for “urgent” action on Gaza as Muslim majority nations arrive
in Beijing», Cnn World, 21/11/2023.
19. P. ELIE, «Saudi Arabia and Israel: From Secret to Public Engagement, 1948–2018», Middle East Jour-
nal, vol. 72, n. 4, 2018, pp. 563-586.
20. A. EGOZI, «Saudi Arabia Considering Israeli-Made Missile Defense Systems», Breaking Defense,
14/9/2021. 221
DISTENSIONE E DETERRENZA, LA FORMULA SAUDITA ALLA PROVA DEL FUOCO
21. J. BARNES-DACEY, C. BIANCO, «Mending fences, Europe’s stake in the Saudi-Iran détente», European
Council on Foreign Relations, 30/9/2024.
22. H. ALGHANNAM, «A year after Saudi-Iran reconciliation, concrete progress can be seen», Al Majalla,
23/3/2024.
23. «Why Arab states didn’t join the US-led Red Sea task force», The New Arab, 16/1/2024.
24. A. ASMAR, «Saudi company denies US reports about Houthi attack on its ship in Red Sea», Anadolu
Agency, 3/9/2024.
25. S. AL-BATATI, «Yemen’s Central Bank revokes licenses of 6 Sanaa banks», Arab News, 11/07/2024.
26. «Behind the scenes of the economic conflict: Why might legitimacy backtrack on its decisions?»,
Almasdar online, 21/7/2024 (originale in arabo).
27. «Iran’s Raisi, Saudi Arabia’s MBS discuss Israel-Hamas war», Al Jazeera, 12/10/2023.
28. «HRH Crown Prince Meets with Iran’s President», Saudi Press Agency, 11/11/2023.
222 29. «Saudi and Iranian FMs meet in New York on UNGA sidelines», Arab News, 22/9/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
30. S. ASEM, «Iranian foreign minister visits Beirut as Gulf states declare neutrality», Middle East Eye,
4/10/2024.
31. A. KARIM, «Iran’s Foreign Minister Araghchi to visit Saudi Arabia as Tehran braces for Israeli attack»,
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32. C. BIANCO, E. TASINATO, «European Approach Toward the Iran-Israel Escalation», Emirates Policy
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33. J. BARNES-DACEY, C. BIANCO, «Mending fences, Europe’s stake in the Saudi-Iran détente», European
Council on Foreign Relations, 30/9/2024.
34. P. HAFEZI, A. MILLS, «Exclusive: Gulf states must not allow use of airspace against Iran, Iranian offi-
cial says», Reuters, 9/10/2024.
35. Account ufficiale X, ministero degli Esteri dell’Arabia Saudita, 2/4/2024. 223
DISTENSIONE E DETERRENZA, LA FORMULA SAUDITA ALLA PROVA DEL FUOCO
esprimere grave preoccupazione per gli sviluppi regionali esortando «tutte le parti
a esercitare la massima moderazione» 36. Dalle analisi e dai commenti delle ultime
settimane si evince come nell’ottica saudita la portata dell’escalation dipenderà dal
tipo di risposta di Israele e solo in seconda battuta da come reagirà l’Iran. In un Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
36. Account ufficiale X, ministero degli Esteri del Regno di Arabia Saudita, 14/4/2024.
37. A. AL-RAŠøD, «Direct conflict between Iran and Israel», Asharq al-Awsat, 2/10/2024 (originale in
224 arabo).
LA NOTTE DI ISRAELE
1. I
L CONFLITTO SEMPRE MENO INDIRETTO TRA
Iran e Israele ridimensiona la potenza della Turchia, emarginandola dal grande
gioco mediorientale. Esito che per Ankara costituisce il reale obiettivo strategico
dello scontro, o comunque ne rappresenta prioritaria e intenzionale conseguen-
za. Dalla prospettiva anatolica il confronto tra Iran e Israele è infatti raffinata ope-
razione di manipolazione mediante la quale Gerusalemme e Teheran strumenta-
lizzano il nemico, i partner e i rivali per consolidare la propria posizione al cen-
tro dello scacchiere mediorientale, marginalizzare i competitori più temibili e per-
seguire i propri scopi, compatibili e sovrapponibili. Alla luce – meglio, all’oscurità
– di tale sofisticata cortina fumogena i turchi interpretano la coreografica messin-
scena allestita da persiani e israeliani. Nella narrazione turca mainstream, iraniani
e libanesi hanno (s)venduto il segretario generale di Õizbullåh Õasan Naârallåh a
Israele 1 creando il pretesto per lanciare la seconda ondata di missili contro lo Sta-
to ebraico. Le cui coordinate, come sei mesi prima, sono state cordialmente co-
municate con anticipo agli Stati Uniti così da minimizzare le perdite materiali e
umane del Piccolo Satana 2.
Nell’attuale contesto mediorientale è forse impossibile scorgere due paesi più
allineati della Repubblica Islamica e dello Stato d’Israele. Ad aprile i turchi prova-
rono a recitare di straforo il ruolo della comparsa, reclamando di aver favorito il
dialogo tra persiani e americani nei giorni precedenti al primo attacco missilistico
1. Cfr. ad esempio il dibattito andato in onda sulla Cnn Türk il 28/9/2024, «İran ve Lübnan, Nasrallah’ı
sattı mı? İsrail’in paylaşımındaki 2 isim kim?» («L’Iran e il Libano si sono venduti Nasrallah? Chi sono i
due nomi resi pubblici da Israele?»), YouTube.
2. P. STEWART, S. HOLLAND, «US sees indications of imminent Iranian missile attack on Israel», Reuters,
1/10/2024; «Iran launches waves of missiles at Israel hours after US warning», The Guardian,
1/10/2024. 225
LA TURCHIA SOGNA LA ZONA GRIGIA
può accusare il primo ministro israeliano – al quale poco più di un anno fa strin-
geva sorridente la mano – di qualunque tipo di nefandezza, ma non può pensare
di farsi campione della cosiddetta piazza araba – ammesso e non concesso che
tale enigmatica entità esista ancora – senza atti concretamente ostili contro Israele
analoghi agli attacchi missilistici iraniani.
Il momento di difficoltà di Erdoãan è rispecchiato dalle sterili e frustrate inte-
merate contro Netanyahu, inquietante déjà-vu dell’inconcludente retorica pre-15
luglio – la minaccia di inviare truppe in Libano in caso di invasione israeliana ra-
senta la celebre profezia sulla celebrazione della preghiera del venerdì nella mo-
schea degli Omayyadi di Damasco. Con l’unica conseguenza di schiacciare passi-
vamente la Turchia sul fronte a guida iraniana. E di rendere più difficile per Anka-
ra assumere un ruolo simile a quello giocato sul fronte ucraino. Operazione alla
quale Erdoãan lavora, finora con limitato successo, dal 7 ottobre 2023.
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Triangolo strategico
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Turchia-Azerbaigian-Pakistan
Basi turche NIGER
CIAD SUDAN
Tensioni marittime tra Turchia e Grecia ETIOPIA INIZIATIVE GEOPOLITICHE TURCHE
LA NOTTE DI ISRAELE
sconfiggere i ribelli del Tigrè, dalle infrastrutture strategiche costruite dalle aziende
turche per connettere internamente il vasto paese africano. Contestualmente la
Turchia stringe accordi di cooperazione militare con Gibuti, posta in gioco massima
della competizione regionale 16, mentre coltiva relazioni particolarmente cordiali Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
ridoi ibridi per aggirare il Canale 22. La Turchia non fa eccezione, anzi è capofila del
revisionismo logistico. Ankara continua a promuovere spregiudicatamente il suo
Corridoio centrale che collega Pechino a Londra attraverso le steppe centrasiatiche,
il Caspio, il Caucaso e l’Anatolia. Immagina con Iraq, Qatar ed Emirati Arabi Uniti Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
M a r E g e o Rodi
LA TURCHIA SOGNA LA ZONA GRIGIA
Karpathos
SIRIA
Creta Kasos
CIPRO
LIBANO
Limiti di Zee frutto di un accordo bilaterale Impianto gnl galleggiante israeliano LE PARTITE ENERGETICHE NEL
in progetto per intensificare
Limiti di Zee non ufficiali lo sfruttamento di Leviathan MEDITERRANEO ORIENTALE
LA NOTTE DI ISRAELE
provare a calamitare le entità arabe che intendono far pagare allo Stato ebraico le
sue malefatte senza però scatenare una guerra regionale (potenzialmente nucleare)
e che sono disposte a fare affari con i sionisti senza che tuttavia a farne le spese
siano (solo) i palestinesi. Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
Israele e Iran: il presidente siriano Baššår al-Asad non può escludere che gli tocchi
lo stesso destino di Naârallåh e Haniyya, o comunque di restare schiacciato nello
scontro tra il protettore persiano e il suo nemico. Il regime alauita è sempre stato
la componente più ambigua della rete imperiale della Repubblica Islamica. Già tra Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
il 2006 e il 2011 Damasco entrò di fatto nell’orbita turca, pur senza uscire del tutto
da quella iraniana.
L’annunciato incontro tra Erdoãan e al-Asad non è ancora avvenuto, ma il
capo dell’opposizione turca Özgür Özel, grande sostenitore della riconciliazione
con il regime, sostiene che il presidente turco gli abbia garantito che incontrerà il
suo omologo siriano 29. Per al-Asad quella verso Ankara potrebbe essere l’unica via
di salvezza, nel momento in cui l’Iran fatica evidentemente a difendere i propri
clienti e gli ideologi del governo Netanyahu annunciano la prossima entrata delle
Forze di difesa israeliane a Damasco. Soprattutto se l’Egitto desse una patina pana-
raba all’iniziativa.
L’intero impianto è però minato da due criticità. La prima è tattica e contingen-
te: l’Egitto è un attore sclerotizzato incapace di pensare in termini strategici. La
grande strategia dell’attuale regime egiziano è sopravvivere. Ankara può sfruttare
le vulnerabilità africane del Cairo per avanzare i suoi interessi nel Mediterraneo
orientale e nel Corno d’Africa. Ma nella condizione in cui versa l’Egitto è nel mi-
gliore dei casi un partner improbabile, inadeguato ad affrontare i rischi geopolitici
quotidianamente fronteggiati dalla Turchia.
La seconda criticità è strategica e strutturale. Ankara non può permettersi di
combattere Stati Uniti e Israele e – soprattutto per questo – non ha interesse a sfi-
dare l’Iran. Come la catastrofe siriana attesta, i turchi sono perfettamente consape-
voli di non disporre (ancora) delle risorse fisiche e mentali per riempire il vuoto
lasciato dall’eventuale collasso dell’influenza imperiale iraniana tra gli Zagros e il
Mediterraneo, che verrebbe colmato da Washington e Gerusalemme. Per la Tur-
chia sarebbe game over. Erdoãan non ha dunque alternative vincenti. L’egemonia
turca è un’utopia. L’egemonia israelo-americana il male assoluto. L’egemonia per-
siana il male minore, che nel migliore dei casi rischia di tradursi in un accordo
Usa-Iran analogo a quello del 2015. Quindi con la spartizione del Medio Oriente
tra americani e iraniani.
4. La Turchia potrebbe non avere dunque altra scelta che accettare la logica
imposta da Israele e Iran. Il che avrebbe due notevoli conseguenze geopolitiche.
Primo: la Bomba turca. Se la competizione regionale viene orientata esclusiva-
mente dalla logica militare, se la competizione diventa guerra, è fisiologico che un
attore volitivo ambisca a dotarsi della stessa tipologia di armi a disposizione dei
rivali. Israele è una potenza nucleare non dichiarata, l’Iran è una potenza nucleare
in potenza. La Turchia deve dunque diventare una potenza nucleare, pena l’irrile-
29. «Özgür Özel’in iddiası: Erdoãan Esad’a haber yolladı» («Özgür Özel: Erdoãan ha inviato un mes-
234 saggio ad Asad»), İnternet Haber, 8/10/2024.
LA NOTTE DI ISRAELE
vanza. Erdoãan aprì la questione nel settembre 2019 in un comizio a Sivas, per poi
lasciarla cadere 30. Negli scorsi giorni uno degli ideologi a lui più vicini, il teologo
e consigliere finanziario Hayreddin Karaman, ha riproposto con veemenza il tema
scatenando un impetuoso dibattitto interno. Anche per l’oggettiva ragionevolezza Copia di c467e6c04b94ae82a3e5f76245db13c9
della tesi: «La Turchia sta facendo del suo meglio per contrastare quest’oppressione
e questa condotta demoniaca (di Israele, n.d.a.), ma i suoi sforzi non bastano a
ottenere risultati concreti. O il mondo islamico si unirà e coopererà con Cina e
Russia, o la Turchia salirà di grado dotandosi di missili e armi nucleari» 31.
Secondo: se l’egemonia turca in Medio Oriente non è un’opzione e se l’obiet-
tivo strategico è contenere Stati Uniti e Israele, non ha (più) alcun senso crogiolar-
si nella tattica accettazione dell’impero regionale della Repubblica Islamica. La
Turchia deve poter partecipare attivamente alla contesa. La guerra con Israele deve
dunque diventare una possibilità. Lo Stato ebraico deve poter essere un nemico da
combattere, dunque una minaccia attuale e concreta alla sicurezza nazionale della
Repubblica di Turchia. È questo il senso dell’avvertimento lanciato lo scorso 1°
ottobre da Erdoãan. «Ve lo dico chiaramente, dopo il Libano Israele ha messo nel
mirino la nostra patria. Netanyahu sogna l’Anatolia» 32. Laddove lo scenario più in-
quietante non è che i servizi segreti turchi, come nel 2015 a Reyhanlı per provare
a legittimare l’offensiva contro il regime di al-Asad, inscenino atti ostili dello Stato
ebraico. Ma che Netanyahu e i suoi esaltati accoliti intendano effettivamente sag-
giare la consistenza della potenza turca.
30. «Erdogan says it’s unacceptable that Turkey can’t have nuclear weapons», Reuters, 5/9/2019.
31. H. KARAMAN, «Bu mel’un amacı nasıl engelleriz» («Come possiamo contrastare questo empio propo-
sito»), Yeni Şafak, 8/9/2024.
32. «Israel’s next target will be Türkiye, Erdoãan says», Hürriyet Daily News, 1/10/2024. 235
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SAMIR AITA - Presidente del Cercle des Economistes Arabes. Consulente in econo-
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PIERGUIDO IEZZI - Già ufficiale di carriera con oltre trent’anni di esperienza nel mon-
do della cibersicurezza. Autore di Cyber e potere (2023).
ORNA MIZRAHI - Ricercatrice senior all’Institute for National Security Studies (Inss).
Ha prestato servizio nell’Esercito israeliano e nello staff per la sicurezza nazio-
nale del primo ministro.
CESARE PAVONCELLO - Traduttore e freelancer. Collabora da anni con giornali e tele-
visioni su questioni legate a Israele e al conflitto israelo-palestinese.
NICOLA PEDDE - Analista per il ministero della Difesa per oltre vent’anni, oggi diret-
tore del think tank Igs – Institute for Global Studies.
FEDERICO PETRONI - Consigliere redazionale di Limes e coordinatore didattico della
Scuola di Limes.
DANIELE SANTORO - Coordinatore Turchia e mondo turco di Limes.
SCOTT SMITSON - Direttore del programma di Grand Strategy alla Denison University,
veterano dello U.S. Army.
EMILY TASINATO - Pan-European Fellow allo European Council on Foreign Relations,
dove si occupa principalmente di politica e sicurezza nella Penisola Arabica e
nella regione del Golfo.
LORENZO TROMBETTA - Corrispondente per Limes dalla Siria e dal Libano. Autore di
Negoziazione e potere in Medio Oriente (2022).
YOCHANAN TZOREF - Ricercatore senior all’Institute for National Security Studies
(Inss). Analista del mondo arabo specializzato in relazioni israelo-palestinesi,
società palestinese e sue relazioni con Israele e gli insediamenti.
FRANCESCO ZAMPIERI - Docente di Strategia all’Istituto di Studi militari marittimi (Ve-
nezia) e Senior Researcher al Centro studi militari marittimi. Docente a contrat-
to al master in Geopolitica e sicurezza globale e al corso di laurea in Sicurezza
e Relazioni internazionali all’Università Sapienza di Roma.
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La storia in carte
a cura di Edoardo BORIA
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3. Dalla proclamazione dello Stato di Israele (1948) fino alla guerra dei Sei gior-
ni (1967) la Striscia di Gaza rimase sotto l’amministrazione dell’Egitto, come ricorda
l’assenza di confine nella figura 3 in corrispondenza di Rafah. , oggi emblema della
gabbia in cui sono rinchiusi i palestinesi di quel territorio. Dallo stesso francobollo
risultano evidenti le ambizioni egiziane a svolgere il ruolo di leader regionale inte-
standosi una battaglia a nome dell’intera comunità araba, come specifica la scritta in
basso a destra «Gaza part of Arab Nation». Due elementi accomunano questa im-
magine alla precedente: l’assenza di riferimenti a Israele e l’uso della lingua inglese,
a indicare che il messaggio è rivolto alla platea internazionale.
Fonte: emissione filatelica dello Stato egiziano, 1957. 239
4. L’incerta titolazione della figura 4 fa riflettere: perché quello che per tanto
tempo era stato il «Vicino Oriente» (traduzione letterale di «Near East» e «Pro-
che Orient») viene oggi preferibilmente chiamato «Medio Oriente»? Escludendo
uno spostamento dovuto al fenomeno della deriva dei continenti, vale chiedersi se
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questo Oriente, in definitiva, sia vicino o lontano. Ma poi: come può essere vicino
o lontano per tutti, visto che ogni popolo del mondo è a una distanza diversa da
quest’area? Le espressioni geografiche sono storie di conquiste e imposizioni, di
egemonie e asservimenti, di politica, cultura e percezione dell’altro. Inesorabil-
mente volute dai più forti e accettate dai più deboli.
All’inizio del Novecento i più forti erano ancora, come nel secolo precedente,
gli inglesi, e dunque non potevano che essere loro a imporre agli altri il canone
geografico. L’esercito britannico operava in Asia attraverso due comandi distinti:
quello del Cairo aveva in affidamento la porzione più occidentale del continente
e agiva attraverso l’Armata del Vicino Oriente; più a est, quello di Delhi coman-
dava l’Armata del Medio Oriente. Quando, durante la fase più delicata del se-
condo conflitto mondiale, i due comandi furono unificati spostando anche quello
di Delhi al Cairo, l’Armata del Medio Oriente cominciò a dare il nome all’intera
regione araba scalzando progressivamente l’appellativo di «Vicino Oriente», che
cadde in disuso. Allora molti nel mondo lo abbandonarono, compresi gli italiani
che dovrebbero invece chiamare «vicina» un’area del loro stesso quadrante me-
diterraneo. Siccome il nome fa la cosa, insieme all’aggettivo perdemmo anche la
percezione di quanto le dinamiche di quell’area siano concatenate alle nostre.
La figura 5 ricorda il desueto epiteto grazie al Comitato americano per il soc-
corso al Vicino Oriente. La carta venne pubblicata nel 1915 ma, ovviamente, un
Comitato con quella missione non ha mai potuto smettere di operare in quanto non
gli è mai venuta a mancare la ragione della sua istituzione. Oggi conserva l’espres-
sione facendosi chiamare Fondazione Vicino Oriente. Paradossale per chi è il più
lontano da quell’area.
Fonte figura 4: particolare della tavola «Vicino e Medio Oriente», da Grande
Atlante Geografico De Agostini, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1987, tav. 24.
Fonte figura 5: Ethel Franklin Betts, «Salva i sopravissuti – 3.950.000 per-
sone stanno morendo di fame», American Committee for Relief in the Near East,
New York 1918.
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DA ENERGIE
DIVERSE,
UN’ENERGIA
UNICA.